ETNA FEST
Nello Pappalardo
foto di Jessica Hauf
La rassegna “vivere la
musica” ha offerto al
pubblico entusiasta
una stella di prima
grandezza della musica
internazionale. Grande
grinta, carisma, personalità forte, ma anche
“artista maledetta”
Patti Smith,
la poetessa del rock
Se chiediamo a un buon consumatore di rock di citare i
titoli di alcune delle canzoni
portate al successo da Patti
Smith, è facilissimo che quello
si fermi a Because the night –
più che altro, perché si tratta
di un successo scritto a quattro
mani con il Boss, con Bruce
Springsteen, che ne ha fatto,
per la propria parte, un pezzo
classico tutto suo -, magari
aggiungendo People have the
p o w e r, per certi contenuti
espressi, Gloria, che, oltre
tutto, è una cover presa a pre stito da Van Morrison, che la
eseguiva nei favolosi Sessanta
con i suoi Them, e arrivando a
spingersi fino alla recentissima Gandhi, ma solo perché
c’è di mezzo il grande apostolo della Non-violenza. Di più non si può. È difficile che
vada avanti, a meno che non si tratti di qualcuno che
ne è un irriducibile fan. Un po’ come succederebbe con
un’altra grande icona de l rock, qual è, per es empio, il
compiantoFrankZappa.
In ogni caso tutti sanno per fettamente, apprez zandola, chi è Patti Smith (anche chi è Frank Zappa) e
quale postodi ass olutorilievooccupa nella s tor ia della
musica contemporanea. Un’artista a tutto tondo, cheè
fondamentalmente una poetessa: e come talela chicagoana Patricia Lee Smith, clas se 1946, esordisce, sul
finire degli anni Sessanta, susollecita zionedi uno dei
più grandi fotografi-artisti, che è anche suo grande
amico,Robert Mappelthorpe. Di poesia Patti impregna
tutto ciòchec omunica: anche la musica, nella quale
entra di pr epotenza nel 1975, conla pubblicazione del
suo primo album , Horses, che la colloca s ubitofra le
più impo rtanti rockstar am ericane, capaci di esprimer e altissimi contenuti sociali,
politici e culturali.
Alla figurina esile, la stessa che
abbiamo visto, ac compagnata
dalla sua Acoustic Band, sul palcoscenico dell’auditorium delle
Ciminiere, in apertura di quella
intrigante rassegna di artis ti
offerta da “Vivere la musica”,
Patti Smith fa corr is pondere
grande grinta, carisma, una personalità di segno forte, anche
piuttosto imprevedibile, metten-
do in rilievo un’immagine di artista maledetta, capace
anche, per sposarsi, diventare madre e fare la casalinga, di interrompere un’irresistibile carriera nel 1979 –
è rimasto nella memoria di molti l’ultimo concerto a
Firenze -, per riprenderla, quasi dieci anni dopo, dal
punto in cui l’aveva lasciata. Proprio perché, come
dicevamo, Patti s’è conquistato un proprio spazio, prescindendo da mode e tendenze momentanee, è diventata subito, e a pieno titolo, un monumento del rock.
In grado ancora di infiammare, di raggiungere l’uditorio con temi e contenuti di grande impegno. Oggi la
Smith vive in maniera particolare le emozioni del
dopo-11 settembre, si cala più che mai nel sociale,
parla di pace, detesta Bush e la sua politica (lo afferma
più volte, senza mezzi termini, mentre parla coi suoi
interlocutori), auspica “che il popolo, centro di tutta la
nostra società torni ad appropriarsi di tutto”. E, per
dimostrare il suo essere un’artista eclettica, che tende a
non dormire sugli allori e a mettersi continuamente in
discussione, si propone anche in veste di pittrice. Suo il
progetto Strange messenger, la mostra presentata a
Ferr ara (purtroppo non s e l’è portata dietro, a
Catania), nella quale i frammenti delle Twin towers e il
desolato panorama di Ground Zero, a New York, diventano l’ossessivo leit motiv della poesia di Patti Smith,
che qui si fa elem ento vis ivo e grafico, mentre altrove
è parola, in un altro luogo ancora è musica. Che in
ogni caso è, autenticamente, Patti Smith. Quella di cui
magari non ci ricordiamo i titoli delle songs, ma che
consideriamo, senza riserve, fra le colonne portanti del
rock. E della poesia. E dell’arte.