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CAPITOLO SECONDO
EDITH STEIN
2.1 CENNI BIOGRAFICI
Ho già menzionato, all’inizio di questo lavoro, il fatto che nel periodo in cui il
filosofo tedesco Edmund Husserl insegnava a Gottinga, tra il 1901 ed il 1916, intorno
a lui si formò un gruppo di ricercatori fenomenologi, tutti allievi di Husserl. Nomi
illustri della filosofia del ‘900 compongono la lista di questo gruppo, ma quello che
attira la mia attenzione è quello di Edith Stein.
Edith Stein nasce a Breslavia nel 1891. Di origine ebrea, appare già dai tempi del
liceo una studentessa brillante e attenta. Dopo la licenza liceale, frequenta per quattro
semestri i corsi di psicologia e germanistica all’Università di Breslavia, ma le
conoscenze acquisite non soddisfano la sua voglia di sapere.
Venuta a conoscenza del pensiero di Husserl, nel 1913 si trasferisce a Gottinga per
seguire le sue lezioni, entrando così a far parte del suo gruppo di ricerca.
Nel 1916 segue Husserl a Friburgo. Nell’agosto dello stesso anno discute la sua
dissertazione per il dottorato. Il titolo della tesi sarà: Il problema dell’empatia.
A Friburgo la Stein assume il ruolo di assistente di Husserl ed in tale ruolo tiene delle
lezioni introduttive sul pensiero husserliano.
Ma Edith Stein non è famosa solo per la sua attività di filosofa ma è conosciuta
anche perché Papa Giovanni Paolo II l’ha elevata agli onori degli altari
proclamandola Santa della Chiesa Cattolica e Compatrona d’Europa.
Edith Stein proviene da una famiglia di origini ebree, ma i genitori non erano
praticanti, ed ella stessa nella sua giovinezza si dichiara atea.
Tuttavia accade questo: nell’estate del 1921, la filosofa è ospite a casa dei coniugi
Conrad-Martius e, per una serie di circostanze, una sera si trova tra le mani Vita di
15
Santa Teresa d’Avila, un libro che sarà molto importante per lei e che leggerà tutto in
una notte.
In tale modo Edith Stein si converte al cattolicesimo e riceve il battesimo il 1°
gennaio 1922 e la sua madrina sarà proprio Hedwig Conrad-Martius, anch’ella
filosofa fenomenologa. Desidera prendere i voti ma dovrà aspettare undici anni
prima che questo suo desiderio si realizzi.
Si dedica all’insegnamento ed all’attività di conferenziera, di cui parleremo
ampiamente in seguito, fino a quando i nazisti le impediscono di lavorare. Quindi
matura la decisione di prendere i voti, per cui, nell’ottobre del 1933 entra nel
Carmelo di Colonia e diventa suora di clausura. Prende il nome di suor Teresa
Benedetta della Croce.
Ma gli eventi storici incalzano, la violenza nazista aumenta sempre di più ed Edith
Stein non può nascondere le sue origini ebree.
Nel 1938 fugge dalla Germania insieme alla sorella Rosa, anch’ella convertita al
cattolicesimo, trovando rifugio nel Carmelo di Echt, in Olanda.
Scrive la sua ultima opera Kreuzeswissenschaft (La scienza della Croce), ma non
avrà il tempo di portarla a termine.
Arrestata insieme alla sorella dai nazisti, morirà nella camera a gas del lager di
Auschwiz il 9 agosto 19421.
2.2 IL PROBLEMA DELL’EMPATIA. LA CONOSCENZA DELL’ALTRO
Non è possibile in questa sede esporre in maniera esaustiva il pensiero di Edith
Stein, né mi sembra opportuno farlo. Mi propongo quindi di mettere in luce i concetti
più significativi, partendo appunto dalle origini.
Come ho accennato, la Stein, nel 1913, si trasferisce a Gottinga per seguire le lezioni
di Husserl ed entra a far parte del suo gruppo di ricercatori fenomenologi.
Husserl gli assegna una tesi di laurea: Il problema dell’empatia.
Il lavoro di tesi impegnerà la filosofa tedesca per diverso tempo nel corso del suo
periodo universitario fino a quando non la discute a Friburgo nel 1916 (come ho
esposto prima).
La prima parte della suddetta tesi purtroppo è andata perduta; comprendeva una
storia della letteratura su tale argomento. Ma è nella seconda parte della tesi che la
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filosofa esamina in maniera approfondita l’empatia, utilizzando il metodo di indagine
filosofica della fenomenologia.
Come definire l’empatia? In generale essa si può enunciare come l’unione o la
fusione emotiva di un essere umano con altri esseri umani od oggetti (considerati
animati)2.
Il termine tedesco è Einfühlung, che è quello originario.
Theodor Lipps discusse a lungo sull’empatia e la utilizzò per dare una spiegazione
all’esperienza estetica. Secondo il pensiero di Lipps, l’esperienza estetica, insieme
alla conoscenza degli altri, avviene attraverso un atto di imitazione e di proiezione.
Per istinto di imitazione, si riproducono le manifestazioni corporee altrui e questo
riproduce in noi stessi le emozioni che solitamente con esse si accompagnano, e ci si
pone nello stato emotivo della persona cui quelle manifestazioni corporee
appartengono. E tale proiezione dello stato emotivo in noi sarebbe il modo di
comunicare tra le persone. Quindi l’esperienza estetica è un proiettare nell’oggetto
estetico emozioni propriamente umane3.
La Stein invece, giunge a risultati diversi da quelli di Lipps. Ella fa un esempio
iniziando la sua indagine con questa proposizione: «Un amico viene da me e mi dice
di aver perduto un fratello e io mi rendo conto del suo dolore. Cos’ è questo rendersi
conto?».
La filosofa non si pone il problema di conoscere la maniera attraverso cui io vengo a
sapere del dolore del mio amico, ma si pone la domanda: «Cos’è questo rendersi
conto?».
Attraverso la percezione esterna non mi è possibile giungere al dolore stesso. Infatti
nella percezione mi è dato un dato di fatto, in carne ed ossa, hic et nunc. Il volto con
espressione dolorosa volge verso il soggetto ora un lato ora l’altro, ma il soggetto
non giungerà mai ad un orientamento in cui si possa giungere al dolore stesso.
Nel corso della sua indagine filosofica, la Stein scopre che la percezione esterna è un
atto originario offerente, cioè che deriva dall’origine.
L’atto di empatia non è la percezione esterna, ma ha in comune con la percezione il
fatto che è un atto originario, anche se il suo contenuto, il suo vissuto, non è
originario, in quanto il contenuto di un atto empatico è il vissuto di un altro4 (l’altro
può essere addolorato, ma anche provare gioia, paura, ecc.).
Come si svolge l’atto empatico? Ci sono tre gradi di attuazione. Il primo grado si
ha quando il vissuto dell’altro «emerge improvvisamente davanti a me», quando
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vengo a sapere che il mio amico ha perduto suo fratello. Il secondo grado si ha
quando il soggetto viene coinvolto nello stato d’animo dell’altro, ad esempio uno si
sente coinvolto nel dolore vissuto dal suo amico. Il terzo grado si attualizza quando il
vissuto torna davanti al soggetto non come coinvolgimento d’animo quanto piuttosto
come oggetto di coscienza5.
Nel corso della sua indagine, la Stein compara il vissuto empatico con altri
vissuti, quali il ricordo, l’attesa, e la fantasia. Tali vissuti sono originari, ma non sono
offerenti, infatti il loro contenuto non è in carne ed ossa, non è davanti a loro, ma ad
esempio posso dire «io ricordo un vissuto passato»6.
Per spiegare meglio l’atto di empatia, Lipps fa l’esempio dello spettatore che
osserva l’acrobata al circo mentre questo compie le sue imprese. Lo spettatore,
nell’osservare l’acrobata, può provare paura per il pericolo che l’acrobata corre
compiendo le sue evoluzioni, ma è distinto dall’acrobata, lo spettatore non compie i
movimenti dell’acrobata; infatti mentre l’acrobata compie le sue imprese, lo
spettatore può contemporaneamente cogliere un oggetto da terra.
Quindi il soggetto del vissuto empatizzato non è lo stesso che compie l’atto
dell’empatizzare, per cui i due soggetti sono reciprocamente separati, non c’è identità
tra loro7.
La Stein, in seguito alla tesi di dottorato, parlerà ancora ampiamente dell’empatia
e la definirà come atto di “presentificazione”. Occorre menzionare comunque che
nella lingua italiana presentificare significa manifestarsi.
All’interno dell’essere umano esiste un centro vitale, o nucleo. Quindi l’empatia è un
vissuto originario ma presentifica il vissuto di un altro, il moto vitale presente e
originario di un altro8.
Quindi attraverso l’empatia colgo l’altro, mi accorgo dell’altro, colgo la vita psichica
di un altro, e mi accorgo che l’altro è simile a me, e ciò implica anche la possibilità
di conoscersi. Quindi in tale maniera nascono le simpatie e le antipatie.
Spesso si attribuisce all’empatia una caratteristica che non le è propria, cioè quella
di essere presso l’altro in atteggiamento benevolo. Bisogna tenere a mente che l’atto
di empatia, cogliere l’altro, può suscitare nel soggetto che sta empatizzando
sentimenti di simpatia e benevolenza, tuttavia in un soggetto differente possono
anche essere suscitati sentimenti negativi e contrari come ad esempio antipatia, odio,
indifferenza, ecc.
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Conseguentemente é responsabilità di ciascuna persona scegliere quali siano le
regole morali ed etiche che voglia seguire, quindi decidere che comportamento
assumere nei confronti dell’altro che «sta empatizzando».
Si può dire anche che a volte attribuisco ad altri caratteristiche o qualità che non gli
appartengono veramente e possono nascere così delle “simpatie” ingannevoli9.
La Stein viene ricordata non solo per essere stata una grande filosofa e pensatrice,
ma anche di essere stata una donna di grande fede, non a caso Giovanni Paolo II l’ha
proclamata santa e compatrona d’Europa.
Si può ben dire che le sue indagini filosofiche sono impregnata di un profondo
sentimento di fede ed anche prima della conversione mostrava un’apertura ed una
tendenza al sentimento religioso. Già prima della conversione, infatti, affermava che
attraverso l’empatia c’è la possibilità di conoscere la vita interiore degli altri esseri
umani e nello stesso tempo di comprendere in qualità di credente, l’amore, l’ira, i
comandamenti del Signore.
Allo stesso tempo Dio può cogliere la vita dell’uomo. Il Signore non s’ingannerà
mai sui vissuti degli uomini, mentre gli uomini si inganneranno tra loro
reciprocamente sui propri vissuti. Tuttavia anche per il Signore i vissuti degli uomini
non diventano vissuti propri. In questo punto del pensiero speculativo è evidente il
passaggio alla metafisica. Husserl, nelle Ideen, decide di mettere tra parentesi il
problema di Dio, anche se non è né ostile né contrario ed in un altro appunto sostiene
che se si ascrive a Dio la capacità di guardare nella coscienza degli altri, allora
consegue che l’essere di Dio comprende in sé tutti gli altri esseri10.
2.3 COSCIENZA, PSICHE, FORZA VITALE
Ho prima accennato come Husserl, nelle sue speculazioni filosofiche, abbia
ampiamente indagato sulla coscienza, legandola all’intenzionalità.
Partendo dal pensiero del suo maestro, anche Edith Stein compie un’indagine
filosofica sulla coscienza.
Secondo Edith Stein, ad ogni coscienza appartiene necessariamente l’io puro, che
può essere indicato come una forma particolare della coscienza. L’io puro è un
individuo assoluto e questa individualità non è pensata come una qualità ma piuttosto
come essere sé stessi11.
La coscienza può essere vista anche come il sinonimo della riflessione.
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Cos’è la riflessione? Essa è, da un punto di vista concettuale, l’atto o il procedimento
con il quale l’uomo prende a considerare le sue stesse operazioni. Husserl chiama la
riflessione «percezione immanente», cioè la percezione che costituisce un’unità
immediata con il percepito, ed è appunto la coscienza stessa12.
La coscienza, secondo la Stein, non va indicata come conoscenza. Ricordiamo che
per conoscenza si intende come una tecnica per l’accertamento di un oggetto
qualsiasi13. Quando si compie un atto di coscienza non è come compiere un atto di
conoscenza.
Poco prima abbiamo fatto cenno alla riflessione. Nell’atto di riflessione la
coscienza può essere colta nella sua essenza e può essere concettualizzata.
Quando si è coscienti di se stessi, non si compie alcun atto della riflessione, ma c’è
piuttosto una luce interiore che illumina il flusso del vivere, ed è la coscienza
originaria del vivere che fluisce. Solo attraverso la coscienza originaria è possibile
una conoscenza della coscienza14.
Prima che la Stein andasse a Gottinga per seguire le lezioni di Husserl, aveva
iniziato a studiare psicologia. Quindi nella sua analisi della struttura umana, Edith
Stein analizza non solo la coscienza ma anche la psiche. Secondo il suo pensiero, la
psiche è in contrasto con la coscienza, infatti si parla di «qualità psichiche», mentre
non ha senso affermare che esistono «qualità della coscienza»15.
La psiche è un ente del mondo reale, è una sostanza che si inserisce nella realtà16.
Esiste una causalità della psiche? La natura è caratterizzata da legami di causa ed
effetto, e questo secondo le scienze positive.
Ma cosa è la causalità? Essa si definisce, nel significato più generale, come la
connessione tra due cose, in virtù della quale la seconda è univocamente prevedibile
a partire dalla prima17.
Per meglio spiegare il concetto, Edith Stein fa un esempio: «Io sento freddo, ma
posso ingannarmi sul contenuto di questa sensazione, che io indico come freddo ed
essere ingannato dalla mia coscienza di questo vissuto. Certamente sento freddo,
quando ho questa sensazione, ma è possibile che io senta freddo senza che il freddo
vi sia veramente».
In tale situazione si osserva una condizione esterna (freddo) e una proprietà o
capacità interna (di sentire freddo) e da qui si può riscontrare la presenza di una forza
vitale, che non va confusa con l’io come flusso di vissuti18.
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Questa forza vitale può essere di maggiore o minore intensità e ciò influenza le
variazioni delle condizioni vitali. La causalità di tali variazioni non è dovuta al flusso
di vissuti ma alla forza vitale.
Se tolgo o fornisco energia alla forza vitale, ciò influenza le condizioni psichiche.
La psiche è un continuo qualitativo e c’è distinzione tra le diverse qualità della
psiche: è vero che è difficile distinguere le sfumature del rosso però posso
distinguere il rosso e il blu, ed indicare il sentimento vitale dell’una e dell’altra
qualità19.
È possibile rintracciare una legge causale proprio nella distinzione tra le qualità
psichiche, però è una causalità differente da quella della ricerca scientifica. Una
qualità psichica non può essere quantificata, non esiste alcun strumento di misura che
sia in grado di rilevare la quantità di una qualità psichica. Quindi la causalità, che è
alla base della psiche, non è «esatta» come quella delle scienze fisiche, ma
«prescientifica».
La Stein, quindi, utilizza l’espressione: «sono così stanca che non ho la forza di
alcuna attività». Qui è presente una causalità, la stanchezza, della psiche, e uno stato
corporeo-psichico.
Ma è anche possibile che raccolga le mie forze per accorrere in aiuto a qualcuno.
Quindi compio un atto che supera il condizionamento psico-fisico sulla base di una
motivazione20.
Per motivazione si intende un tipo di legame esistente tra gli atti, non è una
compenetrazione di fasi contemporanee o successive al flusso di vissuti, e neppure di
una connessione tra vissuti, ma di completarsi o un essere completato dell’uno a
motivo dell’altro. La struttura dei vissuti fra i quali si instaura una relazione di
motivazione è tale che essi si configurano come atti che hanno la loro origine nell’io
puro: l’io compie un atto perché ha già compiuto l’altro21.
2.4 IL NUCLEO, L’ANIMA
In ogni essere umano, secondo la Stein, esiste un elemento distintivo che
denomina «nucleo», il quale non può essere alterato, è immutabile. Esso è il
momento identitario di ogni persona. Ciascuna persona si distingue dall’altra non
solo per i tratti fisici, psichici o quelli spirituali, questi possono essere alterati o
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cambiati, quindi ciò che rimane è l’insostituibilità di ogni persona nonostante le
trasformazioni.
Il nucleo non è un sostrato psichico, ma piuttosto un punto di riferimento
costitutivo della persona. Nel nucleo è contenuto il senso dell’esistenza.
Ci sono due possibilità: si può realizzare ciò che è contenuto nel nucleo oppure no ed
essere quindi in uno stato di superficialità.
Edith Stein afferma che non è sempre facile comprendere il senso della propria
esistenza e sapere ciò che è contenuto nel nucleo, ma è indispensabile impegnarsi a
conoscerlo.
Il nucleo è anche il luogo in cui si manifesta la presenza di «Qualcosa» che ci
supera e che diventa un punto di riferimento esistenziale. Tale «Qualcosa» sarà
meglio definito dalla filosofa nel corso dell’indagine sull’esperienza religiosa e
sull’esperienza mistica22.
A causa anche del suo sentimento religioso, Edith Stein effettua un’indagine
approfondita non solo sul nucleo ma anche sull’anima. Nucleo e anima sono al
centro dell’essere personale e sembrano essere la stessa cosa, infatti entrambi non
sono soggetti a sviluppo, tuttavia non tutto ciò che è nel nucleo é già totalmente
realizzato ma si radica nella vita di una persona.
L’anima dà la sua impronta al carattere ed alla vita interiore, si radica nel nucleo,
quindi l’essere umano può sviluppare la propria personalità.
Ho parlato prima delle qualità psichiche: il complesso di tutte queste qualità
rappresenta il carattere dell’individuo23.
Il carattere può essere definito come il modo d’essere o di comportarsi abituale e
costante di una persona, e ciò individua e distingue la persona medesima24.
Le qualità caratteriali di una persona riguardano essenzialmente lo spirito, non la
sfera del sensibile. Se una persona sente i suoni bene o meno bene, oppure se la sua
vista è buona o meno buona, queste cose sono «circostanze esterne» ma non
influiscono sul suo modo d’essere o di comportarsi.
Anche per l’intelletto vale ugualmente ciò che abbiamo affermato: se una persona è
stupida o scaltra, ciò non influisce sul suo carattere.
Il campo d’azione del carattere di un individuo si può identificare nella vita affettiva
e nella volontà. Esso in pratica è la capacità di sentire un impulso e questo sentire si
trasforma in volontà e azione. Siamo nel campo della morale e dell’etica. Quindi il
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carattere è l’apertura, o eventualmente la chiusura, ai valori morali ed etici, e ad altri
valori ed il modo in cui ci si pone per attuarli o meno.
Le qualità caratteriali sono improntate dall’anima di una persona25.
Edith Stein mette in chiaro che l’anima e il nucleo non sono soggetti a sviluppo,
tuttavia la filosofa afferma: «l’Io può e deve formare sè stesso».
Per poter dare una spiegazione a questa frase, occorre prima fare un’altra domanda.
«Cos’è l’Io?»
Nella grammatica italiana col termine io si denomina il pronome personale di prima
persona singolare maschile e femminile.
Questo termine è diventato oggetto di investigazione filosofica dal momento in cui il
riferimento dell’uomo a sè stesso, come riflessione su di sè, è stato assunto a
definizione dell’uomo stesso.
Ciò è avvenuto con Cartesio che ha posto il problema dell’io per la prima volta in
termini espliciti. «Che cosa sono dunque io?», chiedeva Cartesio, «Una cosa che
pensa. Ma che cosa è una cosa che pensa? E’ una cosa che dubita, concepisce,
afferma, nega, vuole o non vuole, immagina e sente. Certo che non è poco se tutte
queste cose appartengono alla mia natura»26.
Ripeto la frase precedente: «l’Io può e deve formare sé stesso».
Per darne una spiegazione mi vengono in aiuto i concetti di materia e forma.
Quindi mi domando: «Cosa è l’Io?», «Cosa è il sé?».
Il sè è la materia, quella che deve essere formata ed il risultato di tale operazione è lo
sviluppo dell’essere umano come persona, con le sue caratteristiche peculiari, con le
sue capacità corporeo-psichiche, con le sue qualità caratteriali. Questo è ciò che l’Io
deve formare, dare forma.
Edith Stein afferma che «non ci può essere un’anima umana senza l’Io», né «un Io
umano può esistere senza anima». Io ed anima sono strettamente legati.
Husserl giunse alla conclusione che il soggetto degli atti è l’«io puro», caratterizzato
come puntiforme, o anche la «coscienza pura», che è quella che rimane dopo
l’operazione di epochè, ossia la messa in parentesi del mondo27.
Esiste una spazialità? Certamente! L’anima umana è dotata di estensione,
ampiezza e profondità. L’anima possiede una spazialità interiore, infatti è comune
dire «in me», ed anche «nella mia anima». Essa può essere riempita da qualcosa, che
è appunto l’Io, inteso come l’«io puro».
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Tuttavia l’Io umano deve essere anche un Io psichico; gli atti dell’Io psichico
possono essere caratterizzati come superficiali e profondi a seconda se l’Io decide di
sostare in superficie o nella profondità dell’anima. Ma il punto più profondo
dell’anima è dove l’Io trova il luogo della sua pace, ed è il luogo dove l’anima può
raccogliersi28.
Edith Stein, come ho menzionato nella biografia, è stata anche una donna di
grande fede; infatti, pur proclamandosi atea nella sua giovinezza, in età adulta si
convertì al Cattolicesimo ed entrò nell’ordine Carmelitano come suora di clausura.
Sembra quasi naturale quindi che il suo pensiero filosofico sia stato influenzato dalla
filosofia e teologia cristiana; ricordiamo in particolare Santa Teresa d’Avila, San
Giovanni della Croce, e San Tommaso D’Aquino.
Il pensiero filosofico occidentale, a partire dalle sue origini, ha indagato a fondo
sull’anima umana e sul senso dell’anima.
In generale l’anima è il principio della vita, della sensibilità e delle attività
spirituali, in quanto costituente un’entità a sè o sostanza. L’uso della nozione di
anima è condizionato dal riconoscimento ad altre realtà, sebbene in rapporto con
esse.
L’anima viene il più delle volte considerata come «sostanza», intendendosi con
questo termine per l’appunto una realtà a sè, cioè che esiste indipendentemente dalle
altre29.
Anche San Tommaso, esponente del pensiero filosofico cristiano medievale,
indagò a fondo sull’anima e sulla sua essenza. Secondo il filosofo santo, l’uomo è
natura razionale, la quale è la sua anima che è il principio primo di vita e dà vita al
corpo, non è il corpo ma è l’atto del corpo. Tale atto è una realtà immateriale,
incorporea, sussistente di per sè, e in quanto tale immortale30. La Stein studia a fondo
il pensiero filosofico di San Tommaso, ed affronta in maniera mirabile la questione
riguardo al rapporto tra ricerca filosofica ed esperienza di fede, e ciò è ben sviluppato
nel saggio «La fenomenologia di Husserl e la filosofia di San Tommaso D’Aquino»
dove la filosofa fa una distinzione tra conoscenza divina, che è la conoscenza della
«verità nella sua totalità» e la conoscenza umana, alla quale sono posti dei limiti
stabiliti. Nella sua grande opera «Essere finito ed essere eterno», la Stein dà una
definizione della «filosofia cristiana», e la indica come un ideale di un perfectum
opus rationis, che sia riuscito a raccogliere in unità tutto quello che si è reso
accessibile dalla ragione naturale e dalla Rivelazione.
24
Tuttavia la filosofia cristiana non è «filosofia pura» ma non è nemmeno teologia,
essa è aperta alla teologia ma non è in grado di darci la verità totale ed assoluta. Il
suo compito è preparare il cammino alla fede.
La Stein indaga a fondo anche sulla fede cristiana: la fede è tenebre per l’intelletto
e progresso dell’intelletto è prendere dimora nella fede.
La fede è un progredire, al di là delle conoscenze razionali, verso l’unica Verità.
Quindi la Stein afferma, senza ombra di dubbio, che la fede è più vicina di ogni
scienza filosofica e anche teologica alla Sapienza divina.
Quando Dio unisce a sè lo spirito dell’uomo gli dona la visione beatifica, e nella vita
terrena il massimo avvicinamento a questa altissima meta, la visione beatifica, è la
visione mistica31.
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G. REALE – D. ANTISERI, Fenomenologia, Esistenzialismo, Filosofia Analitica e nuove
Teologie (Storia della filosofia, 10), Bompiani, Milano 2008, pp. 61-62.
N. ABBAGNANO, «empatia», Dizionario di Filosofia, Unione Tipografico Editrice Torinese,
Torino 1998, p. 361-362.
Ivi, p.362.
A. ALES BELLO – M. P. PELLEGRINO, Incontri possibili. Empatia, telepatia, comunità, mistica,
Castelvecchi, Roma 2014, pp. 91-92.
G. Reale – D. Antiseri, Fenomenologia, Esistenzialismo, op.cit., p. 63.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., p.39.
Ibidem.
Ivi, p.40.
Ivi, p.14.
A. ALES BELLO, Edith Stein. La passione per la verità, Messaggero, Padova 1999, pp. 55-56.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., pp. 100-101.
N. ABBAGNANO, «riflessione», Dizionario, op.cit., pp. 936-937.
N. ABBAGNANO, «conoscenza», Dizionario, op.cit., p. 193.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., pp. 102-103.
Ivi, p.112.
Ibidem.
N. ABBAGNANO, «causalità», Dizionario, op.cit., p. 143.
A. ALES BELLO, Edith Stein. La passione, op.cit., p. 32.
Ivi, p. 33.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., pp. 42-43.
A. ALES BELLO, Edith Stein. La passione, op.cit., p. 35-36.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., p. 44.
Ivi, p. 114.
N. ABBAGNANO, «carattere», Dizionario, op.cit., p. 134.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., pp. 114-115.
N ABBAGNANO, «io», Dizionario, op.cit., p. 611.
A. ALES BELLO – M.P. PELLEGRINO, Incontri possibili, op.cit., pp. 44-45.
Ivi, p.45.
N. ABBAGNANO, «anima», Dizionario, op.cit., p. 49.
G. REALE – D. ANTISERI, Patristica e Scolastica (Storia della filosofia, 3), Bompiani, Milano
2008, p. 470.
G. REALE – D. ANTISERI, Fenomenologia, Esistenzialismo, op.cit., pp. 64-65-66.
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