coolclub dicembre 2008

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Anno V
Numero 48/49
dicembre 2008
gennaio 2009
PUGLIA VINCENTE?
Puglia violenta, come in un film di Maurizio Merli
dove anche il fruttivendolo è cattivo e corrotto.
Oppure Puglia vincente, come in un film con
Silvester Stallone dove alla fine si alzano i pugni
al cielo e si crede che il mondo, veramente, possa
cambiare. Roba da film, proprio come quelli
proiettati sugli schermi in questi giorni.
Puglia d’amore e d’odio, immaginata, ricordata,
raccontata. Roba da romanzi che proprio di
questi tempi vincono premi. Puglia dei veleni,
quella che uccide giorno dopo giorno, roba da
cronaca nera.
E ancora la Puglia di tutti i giorni, con le storie
della gente, con la vita vera che solo le canzoni
sanno catturare e restituirci.
C’è chi si affretta a dire che quella che il cinema
racconta oggi non c’è più, per fortuna, debellata
da una regione che cresce e migliora mese dopo
mese. D’altro canto la gente non smette di gridare,
denunciare, piangere. Altri si lamentano, come
fosse uno sport tramandato dai nonni insieme alle
bocce, oppure seccano al sole insieme al tabacco
alimentando un apparente immobilismo. Sullo
sfondo un brulicare di bellezza che contraddice.
Come sempre questa terra vive di opposti e forse
per questo è forziere di energie incredibili. Il
bene e il male, come fratelli crescono uno accanto
all’altro, visione biblica, ancestrale, di un vivere
che oggi è sotto gli occhi di tutti. Dopo il vangelo
secondo il turismo, arrivano i vangeli apocrifi e
fa piacere. L’idea di un passato e di un presente
difficili non possono che sottolineare i passaggi
del riscatto.
Il silenzio, per chi come noi ama la musica, piace
solo di rado. Ecco perché, ancora una volta,
come spesso è capitato in questi anni, torniamo
a tastare il polso di questa terra e a parlare di
Puglia.
Una regione che mai come in questi ultimi
anni ha investito sul nuovo, che ha puntato
sui giovani e che oggi raccoglie frutti. Abbiamo
raccolto testimonianze di queste vittorie senza
dimenticare le immancabili debacle.
Con uno sguardo alle generazioni che hanno
costruito un substrato di possibilità per la
cultura nel nostro territorio, ci avviciniamo a
un nuovo anno che speriamo sia fecondo e pieno
di sorprese come questo che volge al termine.
Sempre per non dimenticare abbiamo scelto
come foto di questo sommario quella di Fabrizio
de Andrè, scomparso da dieci anni, che ci piace
ricordare con una sua frase: “Dai diamanti non
nasce niente, dal letame nascono i fiori”.
Osvaldo Piliego
Editoriale 3
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Anno 5 Numero 47/48
dicembre 2008/gennaio 2009
Iscritto al registro della
stampa del tribunale di Lecce
il 15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Pierpaolo Lala, C. Michele
Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato, Dario
Goffredo, Michela Cerini
Hanno collaborato a questo
numero: Giancarlo Susanna,
Rossano Astremo, Ludovido
Fontana, Berardino Amenduni,
Tobia D’Onofrio, Camillo
Fasulo, Federico Baglivi, Livio
Polini, Enrico Martello, Ennio
Ciotta, Fulvio Totaro, Nino G.
D’Attis, Stefania Ricchiuto,
Roberto Conturso.
In copertina Donatella
Finocchiario sul set di
Galantuomini, foto di Giovanni
Ottini
Ringraziamo Viola Berlanda
(per la foto di Taranto),
Giovanni Ottini, Sabrina
Manna, la Cooperativa Paz
di Lecce (che ci sta ospitando
in questi giorni), Manifatture
Knos e le redazioni di
Blackmailmag.com, Radio
Popolare Salento di Taranto
e Lecce, Controradio di Bari,
Mondoradio di Tricase (Le),
Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
quiSalento, Lecceprima,
Musicaround.net.
Progetto grafico
erik chilly
Impaginazione
Scipione
Stampa
Martano Editrice - Lecce
Chiuso in redazione (sicuro?)
alla fine del mese, è quasi
sempre il 31!
Per inserzioni pubblicitarie e
abbonamenti:
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3394313397
PUGLIA VINCENTE?
Donatella Finocchiaro 6
Puglia che vince non si cambia 14
musica
Moltheni 18
Recensioni 28
Libri
Luisa Ruggio 44-45
Recensioni 47
Cinema Teatro Arte
Radio Egnatia 52
Radiodervish a Sannicandro 54
Eventi
Calendario 57
sommario 5
SE AVESSI FATTO
L’AVVOCATO
Intervista a Donatella Finocchiaro, protagonista
del film Galantuomini di Edoardo Winspeare
Donatella Finocchiaro è l’attrice italiana
del momento. Catanese, classe 1970, è la
protagonista del nuovo film di Edoardo
Winspeare, Galantuomini, presentato fra gli
applausi al Festival del Film di Roma. La sua
interpretazione di Lucia, donna al servizio
della Sacra Corona Unita ma innamorata di
un giudice, le è valsa il premio come miglior
attrice protagonista. Dopo l’ottimo debutto sul
grande schermo nel 2002 in Angela di Roberta
Torre, l’attrice siciliana non si è più fermata,
lavorando con alcuni dei migliori registi italiani
tra cui Tavarelli, Andò, Bellocchio e Porporati.
Nonostante il successo la sua immagine rimane
quella di una ragazza semplice, dietro la quale
si nascondono una grande passione e qualche
curiosità.
Dal tuo esordio cinematografico ad oggi
non hai mai smesso di raccogliere premi.
6
PUGLIA VINCENTE?
Si direbbe che sei una predestinata. Ma
quando hai scoperto che saresti diventata
un’attrice e come hai mosso i primi passi?
In realtà la mia carriera è iniziata per gioco.
Finito il liceo, a Catania ho iniziato per hobby
a frequentare corsi di danza e canto, solo con
l’intento di distrarmi dagli studi. La mia voglia di
confrontarmi con il palcoscenico però cresceva e
così mi spostai per un po’ a Roma per seguire altri
corsi. Nel ’96 debuttai con Il Teatro dell’Orologio,
ma fu solo una breve parentesi, perché poco dopo
tornai a Catania per finire l’Università. Lo feci
per dovere; in realtà consideravo quegli studi
aridi e poco adatti alla mia personalità.
La laurea in giurisprudenza è un retaggio
culturale del sud allora…
L’ho presa perché a quell’età mi mancava una
passione vera. Quand’ero adolescente mi sarebbe
piaciuto fare l’architetto o l’arredatrice d’interni,
Donatella Finocchiaro e Fabrizio Gifuni
facendomi un sacco di complimenti e dicendomi
che gli sarebbe piaciuto lavorare con me. Il film
che progettava allora era un altro, comunque
ci lasciammo con la promessa che ci saremmo
risentiti non appena ci fossero stati sviluppi.
Così due anni fa mi ha proposto la sceneggiatura
di Galantuomini e io ne sono subito rimasta
folgorata.
Nel film interpreti Lucia, una donna
affiliata alla Sacra Corona Unita. Come è
stato entrare in un ruolo del genere?
Poco fa ne parlavo al telefono con mia zia. Lei
mi ha chiesto: “Figlia mia, come hai fatto a
parlare con quell’accento?” (ride). Ovviamente
ho dovuto scontrarmi da subito con il limite più
grosso, quello linguistico. Per ovviare a questo
problema sono arrivata nel Salento venti giorni
prima dell’inizio delle riprese, durante i quali ho
fatto conversazione in dialetto. Il salentino, per
certi versi, potrebbe sembrare simile al siciliano
e invece ci sono molte sfumature che traggono
in inganno. Per fortuna ho avuto il supporto
di un sacco di persone che vorrei ringraziare
una per una. Prima e durante le riprese sul
set si è creato un clima bellissimo, che ha visto
partecipare al film tutti con lo stesso entusiasmo,
dall’elettricista agli attori. E poi non ero mai
stata in Puglia e sono felicissima di averlo fatto.
ma bisognava cambiare città e non nutrivo per
quei mestieri un grande trasporto, uno di quelli
che ti fa lottare. Scelsi la strada più comoda,
che per me era fare l’avvocato. Poi l’amore per il
teatro mi ha definitivamente convinta a rischiare
ed è cambiato tutto.
Hai mai pensato di coniugare le cose?
L’Avvocato Finocchiaro non suona male.
Potrebbe essere il titolo di una nuova
fiction…
(Ride)... Sai che è un’idea? Non ci avevo mai
pensato…
Parliamo un po’ di Galantuomini. Come
è nata la tua collaborazione con Edoardo
Winspeare?
Il primo contatto c’è stato diversi anni fa.
Edoardo aveva appena finito di girare Il miracolo
e preparava il suo nuovo film. Mi telefonò
Sembra davvero che ti sia divertita nel
girarlo. Raccontami un aneddoto della
lavorazione.
Oddio, ce ne sono tanti (ride)… Ma se devo
sceglierne uno, c’è una sequenza in cui io
partecipo con la mia amica Sabrina a un addio al
nubilato. Lei interpretava mia cugina Consuelo.
Ci siamo tanto divertite a ballare e a girare quelle
scene anche perché secondo la sceneggiatura
dovevamo essere brille. E lo eravamo sul serio
(ride ancora).
Un’ultima domanda. Il finale, di cui erano
state previste addirittura tre versioni,
lascia ogni decisione nelle mani dello
spettatore. Qual è la tua?
C’è chi dice che l’80 percento della riuscita di un
film sia in una conclusione adeguata. Condivido
quella che è stata adottata per Galantuomini,
la trovo quella più giusta. Detto questo, da
spettatrice io immagino un finale nel quale Lucia
rimane infelice, ma acquista consapevolezza
della sua condizione. Un momento intenso nel
quale si allontana rassegnata, ma sicura.
C. Michele Pierri
PUGLIA VINCENTE? 7
GALANTUOMINI
Storia d’amore e di Sacra Corona Unita
“Io sono più emozionato oggi che a Roma”. Il
regista Edoardo Winspeare era visibilmente in
tensione all’anteprima nazionale di Lecce del
film Galantuomini che segna il suo ritorno dopo
il buon risultato de Il Miracolo (in concorso nel
2003 alla Mostra del Cinema di Venezia).
La preparazione del film è stata lunga e articolata.
Da queste parti si sapeva già tutto, sulla storia,
sui personaggi, sul clima complessivo nel quale
il film era ambientato; eppure la sorpresa della
visione ti prende sempre, anche quando sai già o
pensi di sapere, quello che ti aspetterà.
La trama è molto semplice o meglio sembra
molto semplice. Nel Salento dell’inizio degli anni
‘90 una donna della Sacra Corona Unita, Lucia
(Donatella Finocchiaro) incontra
al funerale di un vecchio e caro
amico di infanzia Fabio (Lamberto
Probo), stroncato da un’overdose
per una partita di eroina tagliata
male, un altro caro e vecchio
amico Ignazio (Fabrizio Gifuni)
che nel frattempo è diventato
un magistrato. Dopo una lunga
esperienza al Nord (forse nella
Milano da bere?) l’uomo di legge
torna a Lecce per affrontare
8
PUGLIA VINCENTE?
insieme a quello che sembra un piccolo pool la
nascente criminalità organizzata. La storia segue
dunque due registri: quello della criminalità da
una parte, con le traversate verso il Montenegro
alla ricerca di droga e armi, e la passione e
l’amore dall’altra, con il crescere di una storia
che, fin dall’inizio sembra impossibile.
“È una storia d’amore sullo sfondo di una terra
che è cambiata, che ha perso la sua innocenza,
è stata contaminata, da isola felice qual era” ha
ribadito Winspeare. “Il film pone un dilemma
shakespeariano che ha una dimensione
universale: la scelta tra la legge (la propria legge),
le regole e l’amore, la passione, il sentimento.
Per lui la scelta è essere uomo di giustizia o
dare ascolto all’amore. Per lei, tra la sua legge
- i codici della criminalità - e la
passione. Una storia d’amore
impossibile. Una storia che si
muove nel classico terreno del
melodramma”.
La sceneggiatura, ben scritta
dallo stesso regista insieme ad
Alessandro Valenti e Andrea
Piva, funziona bene. La storia
infatti non ha segni di cedimento,
tranne forse qualche piccola
sbavatura, e prende ritmo man mano. Certo
qualche dubbio rimane sul ruolo di una donna
così in vista nell’organizzazione mafiosa, forse
fin troppo decisionista, però regge anche questo
anche grazie alla bella interpretazione della
Finocchiaro.
“Ho fatto lezione di cinema in carcere e con
i detenuti abbiamo realizzato dei lavori. Gli
uomini avevano grande attenzione e rispetto”,
ha precisato Winspeare (nella foto a destra). “Le
donne erano tostissime, alcune molto più difficili,
altre più cattive degli uomini. Mi sono chiesto
spesso: queste donne criminali hanno perso la
femminilità? Sono in conflitto con proprio essere
donna? Si sono dovute un po’ mascolinizzare per
farsi rispettare? È una domanda alla quale mi
sono risposto costruendo un personaggio come
quello di Lucia. La risposta è necessariamente
nella contraddizione, nel conflitto. Solo alla fine
sapremo se Lucia sceglierà di seguire la propria
femminilità o se in qualche modo, continuando a
seguire il suo destino, dovrà rinunciarvi”.
Quindi se l’amore sembra trionfare, Winspeare
tinteggia, soprattutto per chi in questa terra è
cresciuto, un quadro abbastanza fosco di quegli
anni. Con i morti ammazzati per strada senza
troppi convenevoli, con le case in campagna
trasformate in centrali dello spaccio e delle
sevizie, con le bombe, con il pizzo, con i bar
che diventano punti di “ristoro alternativo”,
con le prime timide ammissioni della presenza
malavitosa anche da questa parte, con i traffici
dall’altra parte dell’Adriatico appena sconvolto
dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine
dei regimi comunisti, con un Salento ancora
sconosciuto al grande pubblico, ancora lontano
dalla Notte della Taranta e dal boom turistico. In
tutto questo contesto l’integrità del magistrato
scricchiola, Ignazio butta il cuore oltre lo Stato o
meglio sembra farlo giacché (altro merito del film
di Winspeare) il giudizio morale resta sospeso, è
designato allo spettatore.
“Ho conosciuto un magistrato come Ignazio.
E sono stato in contatto con due uomini di
legge, il procuratore aggiunto Cataldo Motta
e il magistrato Leone De Castris, mio amico”,
sottolinea il regista. “Mi hanno molto aiutato
a capire. Anche Alessandro Valenti (uno degli
sceneggiatori) è figlio di un famoso penalista. Il
mondo della giustizia ci è abbastanza noto”.
C’è un altro Salento in questo film, c’è un’altra
visione, poco da cartolina (nonostante le splendide
immagini di centri storici, spiagge, coste, mare),
di una terra che continua a essere difficile.
Il cast annovera, oltre ai già citati Finocchiaro
e Gifuni, anche Giuseppe Fiorello (molto bravo
nel suo personaggio guappo), Gioia Spaziani,
Marcello Prayer, Antonio Carluccio, Giorgio
Colangeli tutti a proprio agio con la lingua
che giustamente (nella maggior parte dei casi)
non è dialetto ma un italiano con la cadenza
tipica di questi posti. Anzi proprio rispetto alla
sottotitolazione c’è qualche dubbio. Va bene
far capire la trama ma non sembra esagerato
spiegare anche “pampaciulu” o “coglione”?
Quando Montalbano usa frasi idiomatiche
siciliane non è certo sottotitolato.
Da tradizione nei film di Winspeare grande
spazio è stato dato agli attori salentini e pugliesi,
selezionati da Biagino Bleve, come Ippolito
Chiarello, Piero Rapanà, Carlo Bruni (già
protagonista de Il Miracolo), Probo e Pino Zimba,
scomparso pochi mesi fa. Tra i presenti anche
l’avvocato leccese Fabio Valenti, il giornalista
Rai Marcello Favale (a quei tempi in effetti le
televisioni locali erano ancora poche e piccole) e
molti altri. Le musiche sono di Gabriele Rampino,
anima dell’etichetta discografica Dodicilune.
Il film, prodotto da Fabrizio Mosca per Acaba
Produzioni, è realizzato in collaborazione con Rai
Cinema, con il sostegno della Direzione Generale
per il Cinema e con il contributo di Apulia Film
Commission, Provincia di Lecce e Italgest.
Pierpaolo Lala
PUGLIA VINCENTE? 9
DESIATI, L’AMORE E
LA PUTRIDA TARANTO
Lo scrittore pugliese racconta il suo ultimo romanzo, Il
paese delle spose infelici, pubblicato da Mondadori.
Chi ha vissuto l’adolescenza agli inizi degli anni
’90 nella provincia di Taranto non farà fatica
a riconoscersi nella descrizione compiuta da
Mario Desiati nella sua ultima fatica, Il paese
delle spose infelici (Mondadori). L’alienazione
di pomeriggi sempre troppo vuoti, l’incontro
con le droghe e l’alcol, il calcio, l’ascesa dell’ex
picchiatore fascista Cito, la scoperta del porno,
il frastuono di chitarre elettriche sparate nelle
cuffie per stordirsi, il polo siderurgico, simbolo
estremo di una terra invasa dal male. Quello
di Desiati non è solo un romanzo sul nostro
meridione marcescente, ma racconta, attraverso
la storia di tre ragazzi, Veleno Zazà ed Annalisa,
il potere totalizzante e distruttivo dell’amore.
Mario, il tuo romanzo può avere, a mio modo
di vedere, diverse chiavi di lettura. Una può
essere quella di identificarlo come romanzo
rappresentativo di quella generazione di
10 PUGLIA VINCENTE?
ragazzi nati negli anni ’70, che ha vissuto
l’adolescenza in quel decennio fragile e
incognito che è rappresentato dagli anni
’90. Qual è la peculiarità di quel periodo,
rispetto ai decenni precedenti, e perché hai
voluto rappresentarlo?
È un periodo di felicità illusoria per quel branco
di cani randagi composto da Veleno e i suoi amici.
La vitalità che esprimono è autenticamente
dirompente, tre anni dopo la fine della guerra
fredda sembrava che stava per arrivare il
migliore dei mondi possibili… forse non é stato
così.
Perché è presente con costanza il
riferimento all’ascesa al potere di Cito.
Quale rivoluzione ha rappresentato il
citismo per Taranto e i tarantini, tanto
da meritarsi ampio spazio in un romanzo
che fa della difficoltà di crescere, vivere
Taranto, foto di Viola Berlanda
ed amare in un paese del sud il suo tema
portante?
Cito è l’emblema di come cambia la società
mediatica e politica italiana, dieci anni prima di
Berlusconi e Veltroni, Cito è un politico moderno,
ma il lato oscuro del moderno, quello che
inevitabilmente entra nella vita dei protagonisti.
La storia entra nella vita privata, come può la
letteratura non tenerne conto?
sono vissuti con me hanno sempre mantenuto un
loro aspetto di non definizione e questo spazio ho
tentato di riprodurre.
Al racconto delle vicende esistenziali dei
tre protagonisti, Veleno, Zazà e Annalisa,
si accosta sempre il respiro della leggenda
popolare, con il continuo riferimento alle
tragiche vicende delle spose infelici di
Martina. Il tutto dà alla narrazione una
struttura sospesa, a volte quasi atemporale.
Come mai questa scelta?
Ho tenuto il passo dei miei ricordi e delle mie
suggestioni, i protagonisti che in questi anni
Una considerazione sulla lingua. Rispetto
ai tuoi due precedenti romanzi in Il paese
delle spose infelici c’è il ricorso ad una
lingua più ricercata, fortemente lirica, che
s’abbassa di tono solo quando presenta i
termini dialettali di alcuni dialoghi. Come
mai questo cambio di passo?
La voce dello scrittore e la voce del romanzo sono
a volte stili inconciliabili.
Rossano Astremo
Quanto difficile è stato per uno scrittore
uomo lavorare su un personaggio complesso
e tragico quale quello di Annalisa?
Per nulla difficile, perché Annalisa esiste e io
sono pazzo di lei.
PUGLIA VINCENTE? 11
NICOLA CONTE
Il jazzista e dj che non lascia Bari
Vive ancora a Bari, la sua città, e di fronte
casa sua c’è il mare, “così la mattina vedo solo
l’azzurro del cielo”. Eppure Nicola Conte, dj e
musicista, passa gran parte dell’anno in giro per
il mondo. Ogni tanto suona anche nella sua città.
Capiterà il 27 e 28 dicembre, al teatro Piccinni,
dove presenterà i brani del suo ultimo album
Rituals con il suo Jazz Combo. Da Bari è partita
la sua carriera: dopo un diploma al liceo classico
e dopo aver frequentato un po’ Scienze politiche,
ha dato vita con un gruppo di amici al Fez, un
movimento artistico-musicale che ha avuto
rilevanza internazionale.
12 PUGLIA VINCENTE?
Perché vivi ancora a Bari?
Qui si sta bene, è una città a dimensione d’uomo.
Il quartiere dove abito non è stato depredato
dall’edificazione selvaggia, è libero dal cemento.
Dalla mia finestra non vedo palazzi, la mattina
vedo solo l’azzurro del cielo. E poi Bari è al centro
di luoghi splendidi: basta fare piccoli tragitti in
macchina per trovarsi in Valle d’Itria, in Salento,
sul Gargano o in Calabria.
Abiti vicino Punta Perotti, il complesso di
palazzi abbattuto nel 2006.
Punta Perotti è stato uno scandalo: un esempio
dell’edilizia cieca che bada solo ai propri
interessi. Il lungomare sud barese è vuoto: non
si è mai costruito perché ci si è espansi verso
l’entroterra. Poteva essere quindi l’inizio di una
trasformazione in positivo, bastava avere un po’
di cura e attenzione per lo skyline.
Come è nato il Fez?
È stato un fatto casuale, basato sull’entusiasmo
mio e di una cerchia di amici. Bari non ha mai
offerto condizioni particolarmente favorevoli da
questo punto di vista. Il Fez è stato completamente
autoprodotto e autogestito. Si voleva creare
qualcosa di nuovo. Abbiamo cambiato il modo
di accogliere le persone nei locali, dai prezzi al
genere di servizio offerto. Si respirava per la
prima volta un’aria internazionale. Per sei anni
abbiamo organizzato eventi senza finanziamenti
da parte del Comune, poi quando sono arrivati
è nato un festival. E comunque non ci siamo
mai mossi in base a criteri economici, ma solo
seguendo la nostra passione. Le prime serate
si sono tenute nell’autunno del 1990, l’ultimo
appuntamento lo abbiamo organizzato nel 2003.
Perché il Fez è nato proprio in quegli anni?
Forse per le condizioni culturali favorevoli
dell’epoca, a partire dal teatro Petruzzelli
al massimo dello splendore alla fine degli
anni ‘80?
Certo, l’atmosfera era favorevole, ma noi
eravamo al di fuori di quel circuito. È chiaro
però che allora si respirava un’aria decisamente
migliore rispetto a oggi.
Cosa pensi di tutti i problemi sorti intorno
alla riapertura del Petruzzelli?
E cosa devo pensare? Che c’è una famiglia (i
proprietari del teatro, ndc) che tiene in ostaggio
un’intera città per i propri interessi privati.
L’attuale vita culturale di Bari è
paragonabile a quella che si viveva ai tempi
del Fez?
No, assolutamente no! Quello che è accaduto con
il Fez non si è più ripetuto. Quando nasce un
movimento artistico-culturale così importante,
non si può ripetere. Sono cose che accadono una
volta ogni tanto.
Cosa è rimasto oggi del Fez?
Il Fez ha seminato tanto non per la città di Bari,
ma per qualcosa di più grande. Sono cresciuti
musicisti anche di livello internazionale: Fabrizio
Bosso, Gianluca Petrella, Gaetano Partipilo,
Mirko Signorile, Rosalia De Souza, Stefania
Dipierro, Alberto Parmegiani, Fabio Accardi...
Essere meridionale ha influito nella tua
carriera? È stato un valore aggiunto,
un ostacolo da superare, un particolare
ininfluente?
Sicuramente non è stato ininfluente. È stato un
po’ penalizzante all’inizio, perché siamo partiti
da Bari, quindi ai margini della scena nazionale.
Essere meridionale vuol dire però avere un
background culturale importante, vuol dire
avere un certo modo di sentire le cose. Cerco però
di trascendere gli aspetti levantini più negativi
come il qualunquismo. Del resto, vivo in una
dimensione internazionale. Mi conoscono come
italiano, non come meridionale.
Nei tuoi lavori hai sempre coinvolto
musicisti con cui sei cresciuto e pugliesi
come te, come ad esempio Petrella e
Partipilo nell’ultimo disco. C’è una precisa
scelta di suonare con artisti della tua
terra?
No. Sono semplicemente gli artisti con cui ho
condiviso il mio percorso. Con loro ho lavorato
per anni. È naturale che cerchi di avere sempre
la loro collaborazione. Scegliere i musicisti in
base alla loro provenienza è sbagliato dal punto
di vista artistico. È un atteggiamento...
...Politico?
Sì, politico.
Il tuo sito Internet è stato appena rinnovato.
Nella home page c’è un fumetto che ti
vede protagonista. Si tratta di un nuovo
progetto?
No, è un progetto vecchio: il mio sito personale
doveva essere così dall’inizio, ora lo abbiamo
sistemato. Il fumetto è di Giuseppe Palumbo
(materano, ndc), uno dei migliori disegnatori
italiani in circolazione, autore di alcuni numeri
di Diabolik. Sul sito abbiamo pubblicato una
prima storia (il titolo è La Rosa e la Cenere), ne
seguirà forse un’altra, poi non si sa..
Sei mai stato contattato per la Notte della
Taranta?
In Salento ho tantissimi amici e ci vado sempre
volentieri. Ma non sono stato mai coinvolto
nella Notte della Taranta. Un giorno potrebbe
succedere, magari se si esce da una certa logica
legata più al rock.
Ludovico Fontana
PUGLIA VINCENTE? 13
PUGLIA CHE VINCE
NON SI CAMBIA
C’è crisi, c’è crisi dappertutto, dicono i musicisti
e gli analisti, gli economisti e gli uomini della
strada. C’è chi professa ottimismo come stile di
vita e spera che questo possa, allo stesso tempo,
rappresentare una panacea di tutti i mali. C’è
chi ha paura, chi legge i dati e si spaventa, chi
suona allarmi mai abbastanza rumorosi per
essere recepiti.
E c’è la Puglia. Una regione che cresce. Cresce
a livello di immagine, grazie anche ad alcune
fortunate coincidenze che hanno portato valore
alle nostre meraviglie. Il caso Salento è un mix
di azioni di marketing e capacità di aver saputo
cogliere la “moda” in campo turistico: e così ci
ritroviamo ad accogliere più turisti, anno dopo
anno, mentre il resto d’Italia langue.
La Puglia cresce a livello economico: i dati sul PIL
(+1,8% nel 2007, più della Lombardia, più della
media delle regioni del Sud Italia) possono non
rappresentare un indicatore incontrovertibile,
ma paradossalmente acquistano più valore
ora che i meno sono ben più frequenti dei più
sulle borse e sui bilanci che al momento della
loro pubblicazione. E cresce a livello culturale,
dove la cultura non è l’etichetta con cui si tende
ad annoverare l’insieme di quelle attività che
14 PUGLIA VINCENTE?
dilettano un certo tipo di pubblico, solitamente
di estrazione sociale medio-alta, ma è l’indicatore
di una maturata coscienza artistica e sociale.
C’è il Controfestival, un vero e proprio
viaggio che ogni anno la città di Bari percorre
all’interno della propria produzione musicale.
La formula tradizionale prevedeva 48 ore di
concerti ininterrotti, 96 band pronte a darsi
il cambio sullo stesso palco, per una rassegna
aperta al pubblico, sempre, gratuitamente. Ma
quest’anno, alla settima edizione, Controradio
(organizzatore dell’evento) ha deciso di cambiare
registro, mobilitando il centro cittadino con sette
giorni di appuntamenti che riguardano non solo
la musica ma anche il cinema e la fotografia.
Dal 7 al 13 dicembre, dal Fortino al Cube, con
eventi di grande prestigio (Puglia Night Parade
in primis), Bari verrà piacevolmente stravolta,
i performer potranno metterla alla prova grazie
all’interazione con un pubblico ben più vasto
ed eterogeneo rispetto alle annate precedenti.
(www.myspace.com/controradio).
È questo il senso della Puglia vincente: la
voglia di provarci. È quella che ha spinto Silvio
Maselli a prendere le redini di Apulia Film
Commission (www.apuliafilmcommission.it), è
quella che ha spinto la Regione Puglia a investire
fondi pubblici per la promozione del cinema
nella nostra regione. È la razionalizzazione
di un’intuizione: la Puglia vince perché ha più
di un vantaggio competitivo, il cinema può
diventare il principale strumento perché il resto
d’Italia (e non solo) ne sia consapevole. La Puglia
vince perché vincono i pugliesi. Ed è proprio
questo il grande segreto di questa istituzione:
aggiungere valore, e non solo economico. Da I
Galantuomini di Edoardo Winspeare, mattatore
a Roma, a Il passato è una terra straniera, film
tratto dall’omonimo libro di Gianrico Carofiglio,
passando per l’ultimo lavoro di Lina Wertmuller
fino ad arrivare a Maria non gli piace,
produzione italo-tedesca realizzata proprio nella
nostra regione grazie al sovvenzionamento della
nostra Film Commission, capace in un anno di
ridurre fortemente il gap con l’analoga struttura
piemontese. E chissà che non possa ambire al
ruolo di migliore Commission d’Italia, magari
grazie alla realizzazione (in corso) dei cineporti,
veri e propri luoghi di accoglienza per le troupe
ed elaborazione per scrittori, sceneggiatori,
registi ed attori.
La Puglia vince, e vince anche partite difficili,
dove l’avversario è scorretto nella migliore
delle ipotesi, subdolo, silenzioso e feroce nella
peggiore. La Puglia sa portare centomila
persone in piazza per dire no alla criminalità
organizzata, come ha fatto il 15 marzo 2008,
a Bari, in una manifestazione promossa da
Libera, organizzazione guidata da Don Luigi
Ciotti e nata proprio allo scopo di sollecitare la
società civile sui temi della lotta alle mafie. E
lo sa fare perché esistono realtà come ALNRC
(Agenzia per la Lotta Non Repressiva alla
Criminalità). L’obiettivo di questa struttura
del Comune di Bari è costruire una strategia
stabile, coerente e sistematica di prevenzione
dei fenomeni criminosi attraverso misure
che proteggano quelle fasce di popolazione
maggiormente esposte al rischio di “cooptazione”
da parte dei gruppi mafiosi. ALNRC vince
perché coordina assistenti sociali e poliziotti,
presidi e magistrati, amministrazione comunale
e dirigenti delle carceri.
La Puglia vince perché non ha paura. Forse non
vince sempre, forse non tutti saranno d’accordo
sul fatto che la Puglia è vincente, ma chissà cosa
succederebbe se questi tre esempi diventassero
un modello e un’ispirazione per tutti noi.
Berardino Amenduni
UN GENIO
EXTRALARGE
In poche settimane i salentini Gianluca De
Rubertis e Alessandra Contini, noti con il poco
ambizioso nome de Il Genio (loro dicono “meglio
che chiamarsi I deficienti”) hanno iniziato a
spopolare con il loro singolo Pop Porno. Dal tam
tam su myspace e youtube (dove in moltissimi si
sono cimentati in una parodia del video sul tavolo
da biliardo) si è passati in fretta alla televisione.
Da Simona Ventura e Quelli che il calcio (dove
anche il sex simbol Costantino ha canticchiato
il brano) al Maurizio Costanzo Show, da Le
Invasioni Barbariche a Scalo 76, solo per citarne
alcune, il duo è sempre più presente in video.
Ma Il Genio non è solo un singolo. L’omonimo cd,
già prodotto dalla Disastro Records, è approdato
ad una major (Universal) ed in questi giorni è
in distribuzione con la rivista XL. Davvero non
male per un progetto nato per gioco nella casa
milanese dei due amici e cresciuto nel corso
degli ultimi due anni attraverso concerti e nuove
registrazioni. De Rubertis (protagonista insieme
alla sorella Matilde negli Studio Davoli) propone
una dozzina di brani che funzionano, frutto di un
gioco ma fatto con intelligenza. Un altro pezzo
della Puglia e del Salento che questo giornale
orgogliosamente racconta da circa cinque anni.
Una Puglia da esportazione della quale a volte ci
si dimentica. Anche se è un Pop Porno. (pila)
PUGLIA VINCENTE? 15
FINE
PENA
MOI!
Dai film sulla Sacra Corona Unita alla Puglia dei
veleni, gli artisti raccontano un’altra regione
Nel 2008 due dei migliori registi della terra
salentina, Edoardo Winspeare e Davide
Barletti (in coppia con il romano Davide Conte)
hanno firmato due film molto diversi ma con uno
stesso sfondo comune. Galantuomini e Fine pena
mai raccontano storie ambientate a cavallo tra
gli anni ‘80 e ‘90 nel periodo più fecondo della
Sacra Corona Unita. La quarta mafia, meno
celebre di quelle siciliana, calabrese e campana
(tornata prepotentemente alla ribalta dopo il caso
Gomorra) ha infestato molti comuni di questa
terra fino ad allora incontaminata.
Nel corso degli ultimi anni si era pensato che la
malavita organizzata, almeno da questa parte,
fosse stata completamente debellata, grazie
all’impegno della magistratura e delle forze
dell’ordine, grazie alla mobilitazione generale
scatenata anche in seguito alle stragi dei primi
anni ‘90. Lecce e il Salento hanno vissuto i
maxiprocessi, le aule bunker, i morti ammazzati
per strada, la violenza, le bombe.
Nel 2001/2002 gli ultimi gravi episodi di sangue
nel capoluogo sembravano aver messo la parola
fine. E invece, qualcosa sembra accadere.
Fine Pena Mai e i Galantuomini (come in un certo
senso erano stati la Capagira e Mio Cognato del
barese Alessandro Piva) cercano di fare luce
su quel periodo, o almeno iniziano un percorso,
mentre non si fermano le attività criminali che
si trasformano, cambiano, vanno sottobosco.
Qualche mese fa poi a Gallipoli accade quello che
non ti aspetti, un boss, da poco uscito dal carcere,
Salvatore Padovano, nel frattempo diventato
anche scrittore, viene ucciso nella sua pescheria
in riva al mare. E si ripensa agli anni ‘80, al
sangue, alla violenza.
E poi c’è il lato oscuro di un territorio (quello
che nel maggio 2007 avevamo chiamato The
dark side of the sud) che in questi anni forse ha
deciso di mettere i suoi problemi da parte, di
nasconderli come si fa con la polvere, sotto un
tappeto. Ma i problemi restano lì intatti. Così
anche i Sud Sound System hanno deciso di
mettere la loro faccia su un manifesto (la foto la
vedete in alto a sinistra) e di combattere un’altro
Salento e un’altra Puglia, quella dei veleni,
quella dell’inquinamento, dell’Ilva di Taranto,
della centrale di Cerano, degli strani inceneritori,
delle polveri sottili che, secondo i dati diramati da
alcuni oncologi (il professor Serravezza su tutti)
ma smentiti da altri, stanno facendo ammalare i
salentini più del dovuto.
Gli artisti si muovono. A Taranto, da anni,
Alessandro Langiu porta avanti, a teatro e
con i libri, una sua personale battaglia che sta
diventando battaglia di molti. Barletti, oltre al
film, ha firmato anche un documentario sulla
Scu, Diario di uno scuro, in onda in questi giorni
su Sky - Cult.
Caparezza ha lanciato la sua hit (anche dal
palco della Notte della Taranta) Vieni a ballare
in Puglia che ha scatenato numerose polemiche.
Insomma non è una Puglia solo vincente quella
che stiamo costruendo, è una Puglia che ha pochi
collegamenti aerei, dimenticata dai grandi traffici
(ma ricordata da altri), una Puglia dove si muore
(e molto) sui cantieri, dove la politica in molti
settori è ancora freno e non volano di sviuluppo.
Una Puglia che spesso perde. Una Puglia
che spesso vince. L’importante è osare e non
accontentarsi di un inutile pareggio.
Pierpaolo Lala
PUGLIA VINCENTE? 17
MUSICA
18
MOLTHENI
È uscito I segreti del corallo nuovo
capitolo della storia musicale di
Umberto Giardini in arte Moltheni,
un artista complesso per l’intensità
e la tavolozza di emozioni dalla quale
sa attingere per comporre canzoni
preziose come gemme.
Vita rubina è una di quelle canzoni
da conservare, quei piccoli gioielli
di sincerità, poesia, e malinconia
capaci di emozionare. Un biglietto
da visita che ci presenta un Moltheni
più intenso che mai. La progressione
musicale dell’album è trascinante,
affiatata al mood che pervade le sue
canzoni, intrisa di una psichedelia
pinkfloydiana
nella
parentesi
strumentale Che il destino possa
riunire ciò che il mare ha separato. La
poetica di Umberto Giardini è sempre
coperta da un velo d’ombra, esplora
zone dolorose, indaga i rapporti, il
passato e raramente offre soluzioni.
Questo è il grande dono di Moltheni
quello di essere immediatamente
confidente, vicino e per questo quasi
disarmante, la sua scrittura sa essere
cruda come evocativa. Dopo le prime
battute il disco sembra d’improvviso
chiudersi in se stesso, cercare ancora
più intimità, ecco che le tessiture
musicali si fanno semplici come nel
suo precedente ep. I segreti del corallo
è la conferma di un artista che segue
una strada che porta dritta al cuore.
Abbiamo fatto qualche domanda a
Moltheni...
Cosa si nasconde nel corallo,
o cosa nasconde il corallo, c’è
sempre qualcosa nei titoli dei
tuoi album che lascia spazio alle
interpretazioni e resta sospeso.
Cos’è per te la memoria del
corallo?
Nel corallo si nasconde tutto ciò che va
nascosto. L’uomo vive perennemente
nel segreto, meraviglioso quello
dell’amore quando accade sublime
quello della conoscenza e della
sapienza, che si svela solo se occorre.
Per me la memoria del corallo è
come fermarsi in mezzo al traffico
autostradale, scendere
dall’auto
e camminare verso un nulla, forse
migliore.
Musicalmente il disco gioca con
vari registri, è attraversato da un
bellissimo strumentale e sembra
arrivare all’osso della musica,
per lasciare spazio ai sentimenti,
all’espressione. Come hai visto
nascere e crescere il suono di
questo disco?
L’ho vissuto così mentre nasceva, come
modellare una creatura senza averla
neppure lontanamente immaginata.
Un suono naturale, pensato, ma in
verità ottenuto aspettando che le cose
accadessero... lavorandoci.
Hai inserito due brani già presenti
in Splendore terrore del 2005,
regalandogli un nuovo vestito.
Perché questa scelta?
Perché sono due brani straordinari, e
perché meritavano un nuovo vestito
così come appaiono nelle performance
live, dei tour precedenti e di quello
attuale.
La copertina e parte del disco
è una dedica all’amore, ce ne
parli?
La cover e l’interno del packing è
caratterizzata da due visi di donne
sconosciute degli ‘30 e ‘40. Donne
che dovevano essere ricordate anche
solo per il loro sguardo delicato,
perso nell’amore e nel suo significato.
(O.P.)
MUSICA 19
foto di Massimo Spadotto
MASSIMO VOLUME
Intervista a Emidio Clementi
Nel 1993, di ritorno da Bologna, un amico
mi portò in dono un vinile pubblicato dalla
Underground Records. Il nome della band che lo
aveva inciso era Massimo Volume, la copertina
raffigurava un uomo coi baffi disteso in una
vasca da bagno piena di schiuma e il titolo
dell’album era Stanze. Ricordo ancora l’effetto
che mi fece il primo ascolto, l’impatto del suono
e dei testi declamati da Emidio Clementi: un
esordio aggressivo che usava la lingua italiana
in un periodo di anglofonìa diffusa; una raccolta
di short stories da ascoltare – appunto – alzando
20 MUSICA
il volume al massimo.
Abolito il confine netto fra musica e letteratura,
il gruppo convogliava la lezione di Patti Smith,
Jim Carroll, Lou Reed in uno stile personalissimo
destinato a maturare nel tempo. A quel lavoro
sarebbero seguite altre tre uscite: Lungo i
bordi (1995); Da qui (1997) e Club Privé (1999),
quindi un periodo di sonno, almeno per la sigla
Massimo Volume che oggi riprende quel discorso
interrotto agli inizi del 2002 e si riaffaccia alle
scene con un tour, probabile preludio a un quinto
disco. Bentornati.
Nel 1997 Club Privé chiuse un primo
ciclo della vostra storia con la frase
“Chiameremo nuovi numeri e avremo altri
nomi”; oggi siete tornati insieme dopo
diverse esperienze come solisti, tutte a mio
avviso influenzate in qualche modo dallo
spettro dei Massimo Volume. Come è stato
ritrovarsi il primo giorno in sala prove e
poi sul palco?
Più facile del previsto. I brani sono tornati a
galla in fretta e con la stessa intensità di un
tempo. Poi, una volta sul palco, è stato molto
emozionante ritrovarsi di fronte a un pubblico
eterogeneo e affettuosissimo e ricreare dal nulla
quel suono che ci è sempre appartenuto e che era
ancora conservato da qualche parte, non so bene
dove.
So che state valutando la possibilità di registrare un nuovo album, vi preoccupa più
l’idea di rimettervi in gioco con del materiale inedito o di affrontare un mercato discografico profondamente mutato rispetto
all’ultima volta che i Massimo Volume hanno fatto uscire un disco?
Sicuramente ci preoccupa di più verificare
la nostra condizione creativa. Non è nostra
intenzione ripartire dal 2002, anno in cui ci
siamo sciolti, ma da oggi. Il fatto che il mondo
discografico sia ormai agonizzante invece non
è che ci tocchi più di tanto. Mi sembra che la
musica continui comunque a circolare.
Editori ed etichette discografiche non
sembrano più interessati a seguire il
percorso di uno scrittore o di un musicista
per più di un paio di uscite. Si è imposta
la cultura dell’usa e getta e in generale il
pubblico non sembra lamentarsi di questo
andazzo deprimente. Tuttavia, il vostro
ritorno sulle scene era atteso ed è stato
accolto da più parti con entusiasmo. Siete
fiduciosi?
A volte ho come l’impressione che editori e
discografici abbiano poco rispetto del pubblico.
Lo trattano come se fosse una massa di idioti.
Pensando di venirgli incontro puntano alla
mediocrità. Ma le cose non stanno come loro
pensano. Lo dimostra il fatto che un gruppo
difficile come il nostro ha ampliato il suo seguito
anche dopo lo scioglimento. Il pubblico non ha
voglia solo di distrarsi. Seguire i consigli di
certa gente, che vorrebbe smussare e alleggerire
sempre tutto in nome di una maggiore fruibilità,
per un artista è come scavarsi la fossa con le
proprie mani.
Copyleft letterario e free download per la
musica: quali sono le vostre opinioni in
merito?
Non ho mai avuto particolare simpatia né verso
le major né verso la siae. Il fatto che la musica
possa essere scambiata liberamente mi sembra
una grande conquista. Anche se questo porta a
volte a una certa superficialità nell’ascolto, a un
overdose di possibilità.
In passato avete collaborato con Faust’o,
Steve Piccolo e Manuel Agnelli in sede
di produzione artistica dei vostri lavori.
Come vedete oggi queste esperienze? Che
rapporto avete con i vostri vecchi dischi?
Personalmente di profondo affetto, anche se
non li ascolto quasi mai. Lo stesso sentimento lo
provo verso tutti quelli che nel corso degli anni
ci hanno aiutato a mettere a fuoco le nostre idee.
Sono molto contento di avere collaborato con
loro, artisti che ho sempre stimato e da cui ho
imparato molte cose.
Portereste un po’ di elettronica nel vostro
suono attuale?
Non credo. Ma non avendo ancora cominciato a
lavorare al nuovo disco, non posso escluderlo a
priori.
Nel 2000 avete composto brani per la
colonna sonora di Almost Blue di Alex
Infascelli, quest’anno il Museo del Cinema
di Torino vi ha proposto di sonorizzare dal
vivo La Chûte de la Maison Usher di Jean
Epstein; vi interessa ancora scrivere per il
cinema? Con chi vi piacerebbe collaborare
in futuro?
Credo che la nostra musica si adatti bene alle
immagini, ma il mondo del cinema è così chiuso
in sé stesso, così asfittico, che non ci spero più
di tanto in una collaborazione futura. Guarda
gli autori delle colonne sonore. Sono sempre
quelli. Ma vale il discorso di prima. Sono pochi
i produttori che hanno voglia di sperimentare
qualcosa di nuovo. Sono come i piccioni. Una
volta che se ne alza uno, tutti gli altri lo seguono,
altrimenti restano a beccare le briciole sullo
stesso angolo di marciapiede.
Nino G. D’Attis
MUSICA 21
MARTA SUI TUBI
Si intitola Sushi e Coca il terzo disco dei Marta
Sui Tubi, eclettica e spiazzante creatura guidata
dai siciliani Carmelo Pipitone e Giovanni Gulino.
Il nuovo disco della band, partita come duo ed
arrivata ad essere un quartetto con l’ingresso
in pianta stabile di Ivan Paolini alla batteria e
in ultimo di Paolo Pischedda al piano, segna un
ulteriore passo in avanti sia in termini di scrittura
che di arrangiamenti e produzione. L’aggiunta
del piano in particolar modo, ha arricchito
profondamente queste nuove canzoni, sempre
corrosive dal punto di vista lirico, ancora più
deviate e trasversali dal punto di vista musicale.
Inoltre, con Sushi e Coca il gruppo inaugura la
propria label Tamburi Usati, l’anagramma di
Marta Sui Tubi. Quello che segue è il resoconto
di una chiacchierata telefonica con Giovanni
Gulino, voce del gruppo, che il prossimo 20
dicembre sarà a Bari, per un’unica (per ora) data
pugliese.
Ho l’impressione che intorno a Sushi e
Coca ci sia molto interesse, anche al di
22 MUSICA
fuori dell’ambito indie, e auspico che possa
creare una breccia nella canzone italiana,
invero un po’ statica. Come state vivendo
queste attenzioni?
Non so, per noi è un buon periodo ma non riesco
ad avere l’oggettività giusta per dirti se le cose
stanno effettivamente in questo modo. Se vedi
le cose dal di dentro non hai gli elementi né
l’esatta percezione delle cose per capire quello
che ti accade intorno. Certo, è un momento molto
bello e il pubblico è sempre più numeroso però,
insomma, ancora non siamo diventati ricchi…
(ride)
Il disco esce per la label Tamburi Usati,
anagramma del vostro nome. Un bel modo
per dichiararsi indipendenti?
Si, ma senza sbandierare i vessilli di
indipendenza. Semplicemente abbiamo fatto
due calcoli e ci siamo resi conto che ci conveniva
così. Abbiamo vagliato diverse proposte ma
non ci convincevano nel senso che, oltre a voler
mantenere la nostra liberta artistica, ci premeva
mantenere un prezzo del disco basso. Cosa che
con il lavoro precedente non ci è riuscita visto
che c’era una struttura che ci promuoveva e che
doveva trarne, anche giustamente, un guadagno.
Quindi ci siamo trovati il disco a 20 euro nei
negozi e ‘sta cosa ci ha veramente massacrato.
L’autoproduzione ci ha permesso di vendere
Sushi e Coca alla metà.
Altra novità importante è l’ingresso del
pianista Paolo Pischedda, il vostro fonico,
in pianta stabile nel gruppo. Un ingresso
‘pesante’, visto che molti pezzi sono
caratterizzati dal pianoforte. Una scelta
coraggiosa per un gruppo minimale come
il vostro…
Si, per me è un dovere il sapersi rinnovare e il non
ripetersi e questo passa anche per l’ampliamento
della formazione. Ultimamente dal vivo stiamo
suonando con un violoncellista. È importante
che ci siano più teste, che ti aiutino ad elaborare
al meglio le idee. Paolo è un musicista eccellente
e ha giocato un ruolo fondamentale. Con Paolo
continuiamo ad avere un sound riconoscibile,
acustico e robusto, ma con in più questi interventi
di pianoforte che raramente viene suonato in
maniera tradizionale…
Mi è capitato spesso di apprezzare il sound
di alcuni dischi e poi scoprire che erano
stati registrasti alle Officine Meccaniche,
come nel caso di Sushi e Coca. Come è stato
per voi avere a disposizione questo studio?
Beh, le Officine Meccaniche sono un posto
davvero particolare. Trovi tutta la tecnologia di
questo mondo, ma in chiave vintage, analogica.
Anche la struttura in sé è affascinante… una
vecchia balera riadattata… ed è molto rock’n’roll.
Nel mese che abbiamo passato in studio abbiamo
incontrato un po’ di personaggi. C’erano i Klaxons
che suonavano nella sala accanto alla nostra e
noi li guardavamo un po’… schifati… (ride)
… con la giusta dose di snobismo…
Esatto! Abbiamo passato un bellissimo
pomeriggio in compagnia di Gary Lucas, il
chitarrista coautore di Grace di Jeff Buckley.
Noi eravamo lì a cazzeggiare e c’era questo
americano un po’ sfatto… abbiamo chiacchierato
un po’. Gli ho chiesto con chi avesse suonato e
lui mi ha detto “conosci Jeff Buckley?”…(ride). E
poi vabbè, tanti altri personaggi nostrani come
Capossela, Silvestri, Baustelle. Tornando alle
Officine, è un posto bellissimo ed è gestito da
Mauro Pagani che è un grande uomo e un grande
musicista. Siamo finalmente riusciti a registrare
un disco che rispecchia il nostro modo di suonare
dal vivo. In passato ci avevamo provato senza
riuscirci.
Passando ai testi, che sono un elemento
essenziale per i Marta, ho l’impressione che
la scrittura sia un po’ mutata… la trovo più
aspra, spigolosa…
Non so, il disco rispecchia molto il periodo
immediatamente precedente alla registrazione.
Non mi sembra che la scrittura sia mutata
di molto. Potremmo dire che invecchiare ti fa
diventare più bastardo e allora in quel senso
magari si, è un po’ più aspra. Avevamo l’urgenza
di comunicare determinate cose e dirle con una
certa veemenza, per cui certe canzoni sono un po’
cattive, dirette.
Parlando di Sicilia, qualche tempo
fa avete partecipato al doppio cd del
manifesto 26 Canzoni per Peppino Impastato,
nel quale avete musicato una sua poesia.
Mi racconti quell’esperienza che ci ha
svelato l’incredibile sensibilità artistica di
Peppino?
Anche per noi è stata una rivelazione. Dopo la
riscoperta, grazie al film I Cento Passi, Peppino
è diventato un simbolo della lotta contro il potere
mafioso. Poi una cosa di non poco conto è che
Peppino è nato e vissuto ad una sessantina di km
da casa mia dunque ho potuto ben immaginare
il contesto nel quale si muoveva e questo ce lo
ha fatto sentire naturalmente molto vicino.
Recentemente abbiamo avuto la possibilità di
conoscere il suo grande amico Moffo che ci ha
raccontato tante cose su Peppino. Ci ha anche
confermato che il film I Cento Passi si basa su
una visione molto romanzata della sua vita.
Tutto sommato una cosa normale e non intacca
minimamente e il coraggio e la grandezza del suo
insegnamento. Tornando al cd, ricevemmo una
telefonata da Giuseppe (Fontanella, chitarrista
dei 24 Grana e direttore artistico del progetto,
ndr.) che ci prospettò l’idea di questo tributo. Per
noi è stato bellissimo, una sorta di full immersion
nella sicilianità. Le poesie di Peppino trasudano
sicilianità.
Cos’è la sicilianità?
Per me è una specie di particolare e intima
gestione del silenzio, che porta a considerazioni
e comportamenti a volte spropositati ma spesso
genuini, nel bene e nel male.
Ilario Galati
MUSICA 23
FRANZISKA
Con più di dieci anni alle spalle i Franziska sono
sicuramente una delle band reggae italiane più
conosciute all’estero. dopo due anni ricchi di
successi e riconoscimenti ci raccontano il nuovo
suono, quello del passato e quello di sempre. Per
presentare Action, il loro nuovo album, abbiamo
parlato con Ciccio Bolognesi, percussionista
della band.
Miglior band europea all’ European Contest
del Rototom Sunsplash nel 2007; una tourné
che ha toccato paesi come la Francia, il
Belgio, l’Olanda e la Germania; il singolo
The Herb che precede l’ultimo lavoro Action
votato miglior brano al Global Marijuana
Music Award nel 2008... Insomma due anni
incredibili... Ce li racconti?
Esattamente, due anni incredibili… A parte
i premi vinti, che sono dei riconoscimenti che
danno molti stimoli, sono stati due anni di tante
esperienze che ci hanno formato ancora di più
come musicisti e come band e che ci hanno
preparato alla registrazione di Action.
L’ultimo lavoro vede ospiti del calibro
di Sean Martin degli Smoke, Freddie Mc
Gregor, Bunna degli Africa United... Il
respiro è quello internazionale... che ci dici
di queste collaborazioni?
24 MUSICA
Durante gli anni si sono create molte amicizie con
altri artisti, soprattutto in l’Italia, così ci siamo
trovati con Bunna, ad esempio, per continuare
la collaborazione iniziata con l’ultimo album di
Africa Unite, 4 Riddims 4 Unity, su cui abbiamo
realizzato due tracce. Sean Martin fa parte della
famiglia Smoke, una band interamente di amici
e con cui ci sono da sempre collaborazioni. Così
anche per Lathly e High Priest, tutte figure dei
nostri “giri”. Per Freddie McGregor la strada è
stata diversa, siamo andati a trovarlo in occasione
di una sua data dalle nostre parti, gli abbiamo
fatto ascoltare i provini del disco nuovo, che gli
sono piaciuti molto, ed il nostro ri-arrangiamento
della sua Big Ship, che lo ha entusiasmato e
convinto a partecipare al nostro disco. Per noi
sicuramente un grandissimo riconoscimento. Mi
piace anche ricordare quella schiera di musicisti
che hanno dato il loro apporto alla riuscita di
questo progetto discografico.
Viene riconfermata la volontà di cantare
interamente in inglese. Perché?
Cerchiamo di condividere dei messaggi
universali, per cui cerchiamo di rivolgerci a più
persone possibile in tutto il mondo, e l’inglese è
la lingua che più facilmente e più direttamente
ci permette di raccogliere una “massive”
omogenea in tutte le parti del mondo. E poi si
adatta sicuramente meglio al nostro suono, dalla
matrice molto black. E poi Roddy ha imparato il
patois durante gli anni di innamoramento verso
questa musica ed il suo stile è bello così, non
sarebbe giusto snaturare le cose.
Avete realizzato un disco che mescola
sapientemente reggae, dub, new roots e
dance hall in un mix che alla fine risulta
potente e gradevole. Ci sveli la formula
vincente dietro questa alchimia?
Il segreto è fare quello che ti piace fare! Cerco di
spiegarmi meglio… siamo un collettivo di ormai
dieci persone che suonano questa musica per
gusto personale. Siamo tutti musicisti ognuno
con la propria formazione, che spazia dal jazz al
latin e quant’altro, ma tutti uniti dalla passione
per questa musica: il reggae. Inteso in tutte
le sfaccettature che questo può avere, per cui
passando da episodi più suonati e più melodici,
che possiamo definire nu roots, ad atmosfere
elettroniche e molto danzerecce, secondo quello
che è anche lo stile dance hall contemporaneo.
E poi siamo innamorati del dub, per cui non
potremmo mai rinunciarci né dal vivo né in
studio… per questo sono nate le bonus track
del disco, tre dub version di tre pezzi dell’album
in cui abbiamo sfogato i nostri istinti… E poi
siamo noi per primi i fruitori di questa musica,
andiamo spesso a vedere e soprattutto ad
ascoltare concerti insieme, studiamo i musicisti
e gli arrangiamenti, cerchiamo di carpire quegli
elementi riproducibili poi sul nostro suono e nelle
nostre canzoni; ci troviamo anche spesso nelle
dance hall del milanese proprio perché questa
musica ci piace anche nei momenti ricreativi.
Non mancano tematiche sociali piuttosto
scottanti... Sinceramente, quanto c’è di
riscontrabile in un contesto del tutto
italiano?
Nelle nostre canzoni parliamo di quello che
vediamo intorno a noi, cercando di raccontare
e di parlare di valori universali. Partiamo
dal nostro quotidiano per provare a capire le
problematiche che affliggono il mondo in cui ci
troviamo a vivere, e che dovremmo imparare a
rispettare tutti un po’ di più. Il contesto è quello
worldwide, ma sono tutti spunti riscontrabili
anche nel nostro Belpaese. È anche importante
a volte non limitarsi a guardare solo il proprio
orticello, ma capire che viviamo in un contesto
sociale ben più complesso, in cui c’è bisogno
dell’apporto di tutti per salvaguardare il nostro
ambiente e le nostre vite.
Alessandra Caricasulo
MUSICA 25
ALESSANDRO GRAZIAN
Tre anni dopo il suo esordio con Caduto, il
cantautore padovano Alessandro Grazian torna
con Indossai, sempre per la curiosa Trovarobato,
etichetta che fa capo ai Mariposa. Undici tracce
non banali per un cd ricco e ostico (ed è un
complimento).
Com’è nato questo nuovo lavoro?
Il nuovo disco è nato dalla necessità di ridefinire
i miei confini. Tre anni fa, nei giorni in cui usciva
il mio disco d’esordio, ho cominciato subito a
mettere a fuoco alcune nuove idee. Indossai è
un disco che fotografa un progetto di scrittura
per certi versi slegato dalla dimensione intima
del precedente, inoltre ho messo a nudo le mie
passioni musicali non proprio contemporanee.
Quali sono le differenze tra Caduto e
Indossai?
Le differenze penso siano molte, anche se tra
i due dischi esiste un comune denominatore.
Caduto è un disco a suo modo scarso ed intimo,
fondato sull’autoreferenzialità, mentre Indossai
è un disco d’impianto più sinfonico. In Indossai
le urgenze di contenuto si fondono con urgenze
musicali molto più forti.
Le tue canzoni richiamano alla tradizione
cantautorale italiana e francese, quali sono
(se ci sono) i tuoi punti di riferimento?
Ho sempre ascoltato molta musica perciò i
riferimenti sono molteplici. Certi generi musicali
e certi autori non hanno influenzato direttamente
l’estetica di quello che faccio ma sicuramente
hanno contribuito a forgiare l’attitudine con cui
compongo. Ovviamente mi piace certa musica che
rimanda alla vulnerabilità, musica dai tratti più
intimisti. Dovendo fare pochi nomi potrei citare
Nick Drake, Jacques Brel, Sergio Endrigo, ma
adoro anche le composizioni di Ennio Morricone
e le canzoni dei Beatles; inoltre da ragazzino
ascoltavo rock’n roll.
Una
delle
tue
caratteristiche
è
rappresentata dall’uso di una lingua molto
ricercata, attenta alle parole e alle figure
retoriche. Come mai?
Per me le parole sono importanti, sia per il
contenuto che per la forma: il fatto che canto in
italiano mi spinge a scrivere qualcosa che non
sia scontato e così cerco di evitare certe soluzioni
in favore di altre meno ovvie. Le parole meno
comuni mi piacciono da sempre. (pila)
MUSICA 27
BODIES OF WATER
A Certain Feeling
Secretly Canadian
SOULFLY
Conquer
Roadrunner Records
Osannati dalla critica, i
Californiani
confezionano
pezzi memorabili, deliziosi
arrangiamenti, sfoggiano un
irresistibile cantato ed un
sorprendente eclettismo di
forme; surfisti sulla cresta
dell’onda cavalcata da neofiti
come ArcadeFire o WolfParade
e
vecchie
glorie
come
Morricone e Bowie, realizzano
un mosaico che unisce tessere
di 50 anni di rock. Uno solo è
il problema: le suite assumono
spesso
le
dimensioni
di
psycho-jam sessions in cui gli
azzeccatissimi giri e le melodie
tendono ad essere portati alle
lunghe risultando, ahimè,
tediosi. Se soltanto si evitasse
qualche eccessiva ripetizione,
lo
spirito
delle
canzoni
risalterebbe nel suo splendore,
come accade agli unici episodi
con un compiuto senso della
misura: i primi due, cinematici
e
multi-gravitazionali,
e
HeavenInACage,
catarsi
SonicYouth-iana seguita da un
fugace coro di pulsioni esotiche.
Se si ascolta un po’ qui un po’
li, è un vero capolavoro; se si
ascolta tutto di un fiato, la sua
magniloquenza risulta prolissa
e annoia. Bravi, però.
Tobia D’Onofrio
I Soulfly sono tornati con
un disco ben suonato e ben
scritto, quasi un omaggio a
certe sonorità del passato che
stanno tornando alla luce.
Il clima generale del disco
affonda, infatti, nel death. Ben
prodotto ed arrangiato, ancora
condito da tipici stacchi roots,
pur tuttavia è lo stesso death
che era alla base di lavori come
Arise e Chaos A.D. Ma è meglio
chiarire subito: i Sepultura sono
distanti, ma mai come questa
volta sono stati così influenti
sulla scrittura delle tracce che
compongono “Conquer”. Non
il migliore album dei Soulfly,
forse incapaci di ripetere la
qualità dei primi due lavori, ma
comunque un disco piacevole
da ascoltare e ben strutturato.
Se poi vogliamo vederla in un
altro modo… probabilmente
questo è il migliore album che
i Sepu non hanno mai scritto
da dieci anni a questa parte
e sicuramente anch’esso farà
discutere.
Tutto
sommato
è un nuovo irrinunciabile
capitolo per tutti i fan di
Max, che di certo leggeranno
questa recensione dopo aver
già acquistato l’album. Per gli
indecisi sarà sufficiente sapere
che, restando gli standard
compositivi dell’autore sempre
al di sopra della media, la vena
è decisamente thrash e il piede
spinge spesso sull’acceleratore.
Camillo “RADI@zioni”
Fasulo
28 MUSICA
BORN RUFFIANS
Red, Yellow and Blue
Warp
La Warp ha prodotto un album
strumentale di art-rock che, con
attitudine anarchica, mischia
e rilegge ogni influenza alla
luce di una brillante vivacità.
La sensibilità folk pervade
questo disco un po’ British, un
po’ garage, un po’ indie.. un
sound scarno e minimale alla
Violent Femmes costruisce
acrobatiche impalcature; una
sorniona sensualità ipnotica
e ritmica, strizza l’occhio agli
anni 80 dei Police (InAMirror,
FoxesForever,
RedElephant)
e con disinvoltura dà vita a
trascinanti grooves; iniezioni
di power pop ultraminimale
(Hummingbird); Dylan, blue
collar, roots americano con acide
parti vocali (LittleGarçon);
stramberie alla Pixies, come in
KurtVonnegut, dall’andamento
roboante e galoppante prima,
ritmico e melodico alla T.Heads
dopo. Certo è vero che dove
i V.Femmes puzzavano di
strada, qui i Nostri puzzano
ancora di latte… ma i pezzi
sono contagiosi (HedonisticMe)
e vi rapiranno senza dubbio
alcuno.
Hanno
un
gran
talento questi quattro semplici
furbacchioni canadesi. Oh,
quasi dimenticavo… long live
Canada!
Tobia D’Onofrio
TV On The Radio
Dear Science
Interscope, 4AD
Il
collettivo
multirazziale di Brooklyn
è dedito a un mix di
elettronica,
formato
canzone, e black music. I riferimenti più
prossimi sono le soundscapes di B.Eno, il pop
di P.Gabriel e Bowie e
l’eclettismo di Prince,
ma il sound è connotato
da stramberie electro,
free, noise e indie-rock dagli accenti spigolosi e fragorosi, al limite
dello shoegaze. In questo terzo capitolo, molti angoli sono smussati, la voce è il baricentro delle canzoni e gli strumenti innalzano un wall of sound di dimensioni Spector-iane, senza risultare
eccessive. La forte componente black si esprime con i linguaggi
del soul, del funk e dell’hip-hop. I momenti intimisti sono viaggi
interstellari (Dlz) mentre le tracce più ritmiche (il break-beat di
Dancing Choose) sono vortici da dancefloor. Il disco sembra concepito per il grande pubblico, è più uniforme e compatto, forse
prodotto meglio di quelli precedenti; ora andrebbe incrementato
l’aspetto cantautoriale, ma trovare il pelo nell’uovo non si addice
alla caratura di un grande album come questo.
Tobia D’Onofrio
B. FLEISCHMANN
Angst is not a
weltanschauung
Morr music
Come al solito Fleischmann
si conferma una delle punte
di diamante della Morr
Music, ogni sua uscita è un
istituzione nel catalogo Morr,
e lo è anche questo Angst
Is Not A Weltanschauung:
nove tracce di ottima fattura
elettronica,
come
nella
migliore tradizione dell’artista
viennese. Si conferma un
punto di riferimento dell’
‘altra’ elettronica, ricordando
chi è stata e cosa ha prodotto
negli anni la Morr, se per
caso qualcuno se ne fosse
dimenticato,
complici
le
ultime
variabili
uscite
dell’etichetta berlinese. Il titolo
è eloquente: wikipedia dice che
Weltanschaunng “esprime un
concetto di pura astrazione che
può essere restrittivamente
tradotto con visione del
mondo’’, e sicuramente il caro
Fleischmann riesce a darci
una visione del mondo soffice e
delicata con tutte le sue tracce
di classica indietronica fatta
superbamente. Non esiste una
traccia particolarmente più
bella delle altre, sono tutte
particolarmente belle nella
loro diversità. Non è l’album
della maturità, se mai, arrivati
a questo punto, della maturità
né è l’abbondante conferma. Gli
stili cambiano, la musica si (d)
evolve i gruppi spuntano come
funghi e spariscono dopo un
annata, le ‘istituzioni’ restano.
Federico Baglivi
MALIKA AYANE
Malika Ayane
Sugar
Il
mondo
del
lavoro
anglosassone si basa su
un
concetto:
reputazione.
Solitamente ci si costruisce
la reputazione attraverso le
raccomandazioni,
ma
non
nell’accezione italiana, tutta
clientelare. Le raccomandazioni
di Malika Ayane (malììkaiàn
è la pronuncia, e lei ci tiene a
sottolinearlo sul suo Myspace),
cantante milanese di origine
marocchina, studentessa di
Conservatorio, già voce alla
Scala di Milano si chiamano
Paolo Conte, Caterina Caselli,
Ferdinando Arnò, Pacifico e
Giuliano Sangiorgi. L’Avvocato
di Asti si è dichiarato addirittura
fan di Malika, sciogliendo
per una volta quell’aurea di
austerità che da sempre ne fa
una sua cifra stilistica e umana;
MUSICA 29
Caterina Caselli è diventata
la mammasantissima del pop
italiano: se lei sceglie, è legge.
E lei ha scelto: Malika è entrata
in casa Sugar. Ferdinando Arnò
è il nome che forse dice meno
di tutti, ma è quello che forse
conoscete meglio: quando passa
un automobile in tv con una
bella base di sottofondo, è quasi
sempre merito suo. Pacifico
è uno dei musicisti italiani
più
sottovalutati
d’Italia.
Giuliano Sangiorgi, leader dei
Negramaro, mutua con Malika
l’investitura della Caselli.
Queste raccomandazioni non
si fermano sulla carta: Paolo
Conte
scrive
“Fandango”,
Caselli e Arnò producono,
Pacifico collabora in “Sospesa”,
che fa capolino nelle radio
da qualche mese, Sangiorgi
è l’autore di “Perfetta”, il
punto più alto dell’album
d’esordio. Con tutte queste
raccomandazioni,
è
quasi
lapalissiano dire che stiamo
parlando del migliore album
pop italiano dell’anno. Ma di
gran lunga. Anche perché, ok le
raccomandazioni, ma lei canta
da dio.
Berardino Amenduni
MUNK
Cloudbuster
Gomma
I Munk escono con questo
nuovo
lavoro
Cloudbuster
a fine 2008. Si avvalgono di
collaborazioni importanti, su
tutte quella di Asia Argento
30 MUSICA
che gli presta la voce su alcune
tracce. Ma in definitiva il disco
non lascia il segno. Un insieme
di generi, che a volte faticano
a stare insieme. E’un pò di
tutto, dalla dancefloor alla
minimal con impulsi presi in
prestito dal rock, ma rischia di
essere niente. Probabilmente
si è rischiato, poteva andare
bene sfondando un filone che
potrebbe fare anche proseliti,
ma c’è il rischio che vada anche
male, sfondando per l’appunto,
una porta aperta e sfociando
cosi nell’anonimato di centinaia
di uscite simili. Tuttavia resta
un disco di ottima fattura che
troverà spazio nei nostri prive
d’elite.
Federico Baglivi
NO AGE
Nouns
Sub Pop
Una sparata corsa shoegaze di
due minuti scarsi introduce gli
enfant-prodige in casa Sub Pop.
Simile l’incipit di Eraser: poi,
sorprendentemente, i No Age
alzano il tiro, sguinzagliando la
decisa componente garage-punk
che tende a connotare l’intero
lavoro. Nasce una miscela
esplosiva, un originale ibrido
tra melodia pop, i My Bloody
Valentine, il punk californiano,
l’emo ed il garage. Reminiscenti
dei Dinosaur Jr, talvolta emuli
di artisti britannici, i due
ragazzi californiani dispensano
la
loro
adolescenziale
aggressività,
stemperandola
con
una
vena
creativa
esplosiva e traducendola in
velocità, rumore e parti vocali
alla stregua di veri e propri
anthems. Sui momenti dilatati
e introspettivi prevale una
propensione a contorcere le
note in soniche galoppate, ed
affogare in tribali e cacofonici
baccanali,
oppure
dentro
sature nuvole di rumore. Un
risultato genuino e travolgente,
una sincera ispirazione, un
sound potente e stratificato che
magicamente lascia emergere
i suoi gioielli, soltando dopo
ripetuti ascolti.
Tobia D’Onofrio
DEERHOOF
Offend maggie
Kill rock stars
La band di San Francisco, più
in forma che mai, dopo circa un
anno di distanza dal precedente
Friend Opportunity, ritorna per
proporre un nuovo affascinante
album. Il quartetto capitanato
da Satomi Matsuzaki (bassista,
voce fanciullesca…) realizza
quattordici tracce di gradevole
sperimentazione indie. La
linea melodica, certamente
più presente che nel passato,
interagisce con giochi introversi.
Incontri fra loop, on e off,
interferenze noise, cantilene
teen, funky wave su tappeti
volanti post-rock, una giostra
di vivacità aggressiva dove è
difficile non restare coinvolti.
In questo paesaggio ritroviamo
canzoni come The Tears And
Music Of Love, ottima track
d’apertura di pura espressione
indierock, l’ossessionante e
originale alterative pop di
Basket Ball Get Your Groove
Back, l’adrenalinica Eaguru
Guru,
la
provocatoria
e
sperimentale noisetronica This
is God Speaking, e per ultima
la mutevole e visionaria Jagged
Fruit. Un disco molto piacevole,
consigliato.
Livio Polini
PSAPP
The Camel’s Back
Domino
Dietro il nome Psapp si
nascondono due talentuosi
artisti inglesi, Carim Clasmann
(chitarrista, produttore) e Galia
Durant (voce, tastiera, violino).
Il duo in passato è divenuto
famoso per aver prestato delle
canzoni al mondo dei telefilm
americani di successo. Sono
inoltre noti per aver sviluppato
un certo tipo di pop elettronico.
The Camel’s Back, il loro terzo
disco, appare fin dai primi ascolti
un lavoro ben riuscito, ricco di
stile, probabilmente più sobrio
rispetto al passato. Un album
più maturo, ma non per questo
meno originale, indubbiamente
differente.
L’impronta
elettronica appare così meno
invadente ma sofisticata, ricca
di
campionamenti,
glitch,
effetti micro, suoni di tastiere
FRANCESCO DEL PRETE
Corpi D’Arco
Italy Music
Tutta la musica che c’è in cinque corde, perché l’importante è
quello che hai in testa, al resto si pensa la tecnica o la tecnologia.
Quante sfumature ha una melodia? È come chiedere a un pittore
quante sfumature ci sono nel celeste. Celeste, lo stesso colore del
violino protagonista di questo disco. Dietro di lui, con lui, parte
di lui, corpo e anima del progetto è Francesco del Prete, eclettico
musicista salentino. Fare suonare uno strumento come fossero
dieci, orchestrare uno strumento, moltiplicarne le possibilità,
catturare suoni per riprodurli in sequenza è una tecnica chiamata
Loop. Oggi molto usata nell’ambito dell’elettronica, in passato la
Loop machine è stata utilizzata e resa famosa in ambito “rock” dal
chitarrista dei King Crimson Robert Fripp e nella musica “colta”
da compositori come Steve Reich e Terry Riley. Francesco la
sceglie per amplificare il suo violino, per farlo diventare una band.
E lui è one man band, esploratore delle musiche, delle possibilità
della musica. La sensibilità acquisita negli anni, anche attraverso
il suo percorso musicale trasversale, si riversa in questo disco che
gioca con richiami classici e si innesta in panorami contemporanei
di assoluta fruibilità. Rischio in operazioni di questo tipo è la
facile scivolata nello sterile virtuosismo. Francesco, nonostante
le doti tecniche rare, riesce a esprimere equilibrio e una grande
comunicatività melodica, operazione a tratti anche ironica
(ricordate i Penguin cafè orchestra di Telephone and rubber
band?). Sa insaporirsi di atmosfere esotiche in Bungee jumping in
coppia con il bravissimo sassofonista Raffaele Casarano, oppure
diventare elettrico come chitarra e basso in un tango tutto speciale
(Rosso di Tango). Sembra di fare un giro dalle parti Django
Reinhardt (Il graffio) per poi inerpicarsi su percorsi emotivi
(Arpeggio di lune) da colonna sonora (Yann Tiersen). Sogna fiore
mio è la dimostrazione che basta pochissimo, un violino pizzicato e
una voce (Sandra Caiulo) per tessere trame nuove alla tradizione.
E il viaggio continua in bilico tra classicismi, sperimentazione,
jazz, avanguardia e salentinità (La pizzica del prete). Oltre ai
già citati ospiti del disco sono in alcune tracce: Ovidio Venturoso
alla batteria, Riccardo Laganà al tamburello e Matteo Bortone al
contrabasso. Il resto è solo Francesco e il suo violino.
Osvaldo Piliego
MUSICA 31
giocattolo,
apparentemente
più minimale, lasciando spazio
ad un lato acustico e folk,
all’incontro con la tradizione.
Splendida la voce di Galia,
perfettamente in sintonia con
lo stile. Tra le canzoni spicca
Somewere There Is A Record Of
Our Actions. Decisamente un
buon disco.
Livio Polini
i più noti Animal Collective,
con Woodbine abbiamo un
ambient dalle sfumature quasi
impercettibili. Qualche traccia
più avanti troviamo Group
Transport Hall, in vero stile
anni sessanta, con Flashlights
il rumore acquista una grande
dignità. Da giudicare solo dopo
ripetuti ascolti, un disco di
carattere.
Livio Polini
WOMEN
Women
Jagjaguwar
MARILLION
Happiness is the road
Intact records
convenzionali.
Il
secondo
capitolo dell’opera The Hard
Shoulder è invece una raccolta
di brani che rimarca l’esperienza
pop dello scorso Somewhere
Else, disco fortemente criticato
dai fans storici perché ritenuto
eccessivamente commerciale,
con
brani
prettamente
radiofonici come il singolo
Whatever Is Wrong With You,
pop-rock incalzante con riff
immediato. Nel complesso
un lavoro che conferma, dopo
il periodo incerto del disco
precedente, le capacità di una
band che mantiene sempre
alto il livello qualitativo delle
proprie produzioni.
Enrico Martello
DOMENICO
PROTINO
Domenico Protino
Warner Music
Primo ed omonimo album
per il quartetto canadese
Women, trenta minuti di
pura e ribelle espressione
artistica,
distorsione
e
contaminazione in scenari lofi, dove apprezzabili melodie
pop abbracciano incontrollate
aggressività noise. Provate ad
immaginare i Jesus and Mary
Chain insieme ai Pavement e
ai Love. Proposto inizialmente
solo per il mercato canadese
dall’etichetta Flemish Eye,
questo disco, dopo pochi mesi,
è stato scoperto e riproposto
ad un pubblico più largo
dall’etichetta Jagjaguwar. La
registrazione,
volutamente
vintage e in bassa definizione,
è ad opera di Chad VanGaalen.
La prima canzone è Cameras,
un intro che lascia apprezzarsi
già da subito, un garage pop
della durata di un solo minuto.
Con Lawncare sembra di sentire
32 MUSICA
Sono
passati
esattamente
trent’anni
da
quando
i
Silmarillon,
progetto
embrionale di questa storica
prog-rock band, riempivano la
sala del Marquee Club, tempio
del progressive londinese. Nel
corso di questa lunga carriera i
Marillon hanno viaggiato sulle
frequenze del neoprogressive
accanto a nomi come Genesis
e Vander Graaf Generator fino
a giungere a soluzioni più popindie grazie all’ingresso del
cantante Steve Hogart al posto
di Fish nel 1988. Happiness
Is The Road, ultima fatica del
quintetto scozzese, consta di
due cd che costituiscono due
concept album ben distinti.
Il primo Essence è incentrato
su
una
forte
semplicità
compositiva dettata da brani
particolarmente
semplici
all’ascolto ed arrangiamenti
tanto
pregevoli
quanto
La musica italiana cerca nuove vie ma non nasconde e non
può nascondere la sua più
sanremese natura melodica.
Ovviamente non tutte le melodie sono uguali e non tutti i
cantanti riescono a coniugare il
rock con testi semplici e diretti.
Domenico Protino, cantautore
trentunenne brindisino, cerca
questa strada con il suo primo omonimo album licenziato
dalla Warner (mica male per
un esordio). Arriva alla lunga
durata dopo aver ottenuto interessanti riconoscimenti come il
Premio Lunezia e la prestigiosa partecipazione – come unico rappresentate italiano – e
il Premio come miglior autore
al Festival di Viña del Mar in
Cile. In Sudamerica Protino
ha presentato il primo singolo di questo cd, La guerra dei
trent’anni. È il primo di 10 brani che scorrono tra rock schietto, linee melodiche “classiche” e
delicate ballate. (pila)
AVANTI POP
Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub
Oasis – I’m outta time
Secondo singolo da
Dig Out your soul,
settimo album di
studio della miglior
band
del
mondo,
almeno a detta del suo
nuovo leader, Noel
Gallagher,
capace
di spodestare suo
fratello Liam a colpi
di solidità tecnica e
lirica. Ma c’è proprio la firma di quest’ultimo sul
brano più beatlesiano, e quindi più oasisiano, del
lavoro meno immediato e forse più prescindibile
del quartetto di Manchester. Si dice che siano
cresciuti, che siano meno arroganti. A febbraio
hanno ben 5 date in Italia: avrete voglia di
correre il rischio di andarli a vedere, dopo celebri
esibizioni durate venti minuti?
Dido – Don’t believe in love
Eccola qua, dopo 5 anni dal precedente lavoro
e dopo 3 di gestazione. È tornata Florian Cloud
de Bounevialle Armstrong (ora capisco perché
ha scelto un nome d’arte da quattro lettere…),
dopo che i suoi brani sono stati tirati a lucido
da Brian Eno, ?uestlove (The Roots), suo fratello
Rollo (Faithless). E’ tornata Dido, bionda, eterea,
britannica come sempre, con un brano furbetto
e un ritornello uptempo, per lo meno rispetto
al suo solito. Un singolo strategico, buono per
le radio ma che lascia la porta socchiusa per
qualche esule dalla musica commerciale, tentato
ad avventurarsi in Safe trip home, il tormentato
nuovo album.
The Killers – Human
Non prendiamoci in giro, questa Human è una
delle canzoni più trash della storia del sedicente
alternative rock. La band di Las Vegas suona
come i Pet Shop Boys reduci da un corso di
aggiornamento a casa Scissor Sisters (Brandon
Flawers, il leader, mi abbuona i Pet ma li accosta
a Johnny Cash tra le sue ispirazioni del periodo:
i lettori, ne sono certo, non si bevono questa
storia). Non vorremmo mai aspettarci una roba
synth-pop da sedicenti quasi-metallari. Eppure,
tutti a ballare: la canzone è perfetta nel senso
chimico della parola. È praticamente impossibile
trovarla sgradevole. Anche per chi non è abituato
a sedicenti gruppi musicali ed è più avvezzo alla
musica da club.
The Rascals – I’ll give you sympathy
Prendi gli Arctic Monkeys, innalzali a tuo
personale punto di riferimento, diventa il leader
di una formazione talentuosa, fatti amico il
leader delle Scimmie, crea con lui un duo (i
Last Shadow Puppets), fatti accompagnare da
un’orchestra di settanta elementi durante i live.
E, da-dan, non avrai bisogno di investire una
sterlina per la promozione del tuo primo album.
Complimenti a Miles Kane, che probabilmente
non avrà premeditato ogni singola mossa
di questa fantasiosa ricostruzione, ma che
ha sicuramente tratto giovamento dalle sue
frequentazioni. Se solo fosse nato prima degli
Arctic, avremo gridato al miracolo. Invece, ci
accontentiamo di un eccellente falso d’autore.
Jason Mraz – Make it Mine
I’m yours era quello che un certo tipo di pubblico
cerca d’estate per farsi cullare, con la scusa che
è una canzone un po’ meno gradita dalle grandi
masse. È la storia dei tormentoni intelligenti (chi
non ricorda l’incredibile ovazione per My friend
dei Groove Armada?). Era il primo singolo di
Jason Mraz, cantante originario della Virginia,
che con questa eccellente Make it mine dimostra
di non essere solo fuffa attraverso un improbabile
mix tra surf-pop e french touch. Biarritz music.
Berardino Amenduni
JAY
BRANNAN
Parlando di Jay Brannan, cantautore e attore di culto
(almeno per il momento), non si può fare a meno di tirare in
ballo il termine forse abusato “carisma”. Sia sul palco, sia
in una veloce quanto divertente conversazione poco prima
del suo concerto romano all’Init, un locale per “carbonari”,
Brannan ci ha dato l’impressione di avere un carattere e
una personalità molto forti. Sarà che è abbastanza abituato
a fare tutto da solo, sarà che ha fatto tesoro delle sue
esperienze professionali, ma questo ragazzo di 26 anni –
sguardo limpido e stretta di mano vigorosa, sa benissimo
quello che vuole. Ci scherza su, come quando gli chiediamo
se si considera un attore o un cantautore - «Nessuna delle
due cose!», risponde ridendo – ma poi diventa serio e ci
dice che cercherà di fare sia l’uno che l’altro. Cosa che,
va detto chiaramente, gli riesce benissimo. Come avrete
constatato voi stessi se avete visto Shortbus, il cult movie
di John Cameron Mitchell in cui Jay interpreta uno dei
ruoli più impegnativi e scabrosi (Ceth, una sorta di angelo
erotico e gentile) o se avete avuto l’occasione di ascoltare
qualcuna delle sue canzoni.
Il suo amore per l’indipendenza lo ha portato fra l’altro
ad entrare in polemica con Wikipedia, che Jay ha diffidato
dal mantenere in rete una biografia che a suo dire era
piena di errori e troppo incline ad etichettarlo come gay.
La bio c’è ancora, ma ora sembra abbastanza corretta.
Diversa, certo, da quella che Jay ha scritto per il suo sito
(www,jaybrannan.com) e che comincia così: «Jay Brannan
è nato sotto una pietra nella parte più fredda dell’Himalaya,
dove fu cresciuto da monaci trappisti che gli insegnarono
a mantenere la temperatura del corpo senza bisogno di
cibo e vestiti attraverso un’intensa meditazione e una forte
abitudine al bere. Subito dopo il suo primo compleanno
subì una morte pittoresca e dolorosa a causa di un leone
di montagna affamato che non era molto bravo a meditare
e aveva bisogno di uno spuntino abbondante. Dopo non
troppo tempo però lo spirito indomito di Jay ricomparve nel
Texas meridionale in una famiglia che in realtà voleva una
bambina. In un modo o nell’altro ebbero ciò che volevano,
ma il compromesso sembrò più controverso dell’originaria
delusione (…)». E via così. Con un sense of humour che
batte quasi sempre sul tasto di un costante conflitto con
l’autorità. Un altro esempio? Il breve testo che compare sul
Polaroid EP messo in vendita in rete: «Una delle cose più
importanti che ho imparato nella vita fino ad oggi è seguire
il mio istinto. Questo mondo è pieno di gente cui piace dirti
cosa puoi e non puoi fare, e come puoi o non puoi farlo.
Ho passato la mia intera esistenza a dimostrare che questa
34 MUSICA
gente si sbaglia. A coloro che vedono cosa io non sono in
grado di fare – grazie per credere in me».
Con buona pace dei texani tutti d’un pezzo e guerrafondai
– un nome a caso: George W. Bush – Jay Brannan è nato
proprio nello stato della stella solitaria, salvo poi aver
viaggiato in lungo e in largo per tutta la federazione, dalla
California a New York, seguendo quell’attitudine quasi
metafisica al vagabondaggio che Jack Kerouac ha descritto
così bene in On the Road.
Il giro di boa in questo inquieto e costante spostarsi è il
film di John Cameron Mitchell, in cui Jay canta e suona
un brano poi incluso nella colonna sonora. Fino a quel
momento non scriveva ed è stato proprio con Shortbus
che ha cominciato a farlo seriamente. Sulla spinta del suo
(relativo) successo – da noi in Italia è già un miracolo
che in questi tempi di integralismo sia arrivato nelle sale
per poi essere distribuito su dvd con un noto settimanale
– Jay ha utilizzato la rete per distribuire le canzoni che
man mano scriveva. Anche l’etichetta con cui ha fatto
uscire Goddamned (attenzione: è un piccolo capolavoro)
è sua ed è frutto della stessa volontà di indipendenza «Ho avuto contatti con un paio di case discografico, ma
ammesso che qualcuno volesse partecipare al naufragio, mi
avrebbe imposto dei cambiamenti e io voglio fare sempre e
comunque di testa mia».
Il risultato è uno dei dischi d’esordio più riusciti del 2008
– come del resto quello di Scott Matthew l’altro cantautore
di Shortbus – esempio di come si possa reinventare una
tradizione che è talmente forte da venir respirata e vissuta
quasi inconsapevolmente. Quando gli facciamo qualche
nome di riferimento – Jackson Browne o Joni Mitchell –
Jay ammette di conoscere solo Blue, che peraltro racchiude
tra i suoi splendidi brani la quintessenza di uno stile che ha
profondamente segnato la canzone d’autore d’oltreoceano.
In Blue Joni Mitchell cantava di amore con toni sinceri e
spesso dolenti; Jay Brannan preferisce forse l’ironia, ma
è altrettanto incapace di nascondersi dietro un mestiere.
Ecco dunque Housewife, che il pubblico attento dell’Init
conosceva già a memoria, ed ecco Goddamned: due facce
di una scrittura che si muove tra (auto)ironia e utopia, due
facce comunque credibili per un artista di vero talento.
Che poi siamo ancora in pochi a saperlo fa parte del
cahier des doleances che da troppo tempo siamo costretti a
compilare e sfogliare. Jay Brannan ci insegna tuttavia – con
la leggerezza e la grazia che gli appartengono – che vale
sempre la pena di battersi contro l’oscurità e l’ignoranza.
Giancarlo Susanna
DAMMI UNA SPINTA
Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse
Monkey – Monkey Bee
Non hanno molto
bisogno di spinte.
Stiamo parlando di
Damon Albarn, un
genio assoluto, capace
di saltellare tra i Blur
e i percussionisti del
Mali fino a cambiare
le regole del pop
contemporaneo
con
il progetto Gorillaz,
e Jamie Howlett, che a quel cambiamento di
regole ha pesantemente contribuito disegnando
una band. Ma disegnandola nel vero senso della
parola: chi ha mai visto i veri volti dei Gorillaz,
in fondo? Le premesse spiegano già tutto: i due,
evidentemente annoiati dal logorio della vita
moderna, decidono di riscrivere una novella
cinese del sedicesimo secolo e tirar fuori uno
spettacolo teatrale ed un album. Rigorosamente
in cinese. La BBC decide di lanciarli per gli spot
olimpici. Sì, vogliono cambiare un’altra volta le
regole del pop contemporaneo.
Black Mountain – Wucan
Ci vuole coraggio a
chiamare un album In
the future e lanciarlo
con un brano inedito
dei Doors. In verità
non c’è niente di male
nella filologia spinta,
quando i livelli della
produzione musicale sono così alti: la critica
musicale si è spesa per incensare il quintetto
canadese protagonista della scena prog del loro
paese e noi non possiamo che accodarci e sognare
un mondo migliore in cui brani da sei minuti ed
un secondo possano trovare cittadinanza in una
qualsiasi radio, in barba a tutte le regole, solo
perché belli. Estremamente belli.
Milez Benjiman – chop that wood
Quando
decidi
di
affidarti a bassi così
potenti,
o
sei
un
visionario o un pazzo.
Potete
immaginare
quale teoria sposare:
il funk del futuro è
anche qua, in questo
ragazzotto di Chicago
che non disdegna affatto
l’elettronica ma che anzi, affida ai sintetizzatori
la pesante eredità della Motown nel suo percorso
artistico. Questa è la vera scommessa del mese:
solo 25000 visite sul suo Myspace, nemmeno una
paginetta su Wikipedia. Se volete provare a fare
i fighi con gli amici, segnatevi questo nome. Nella
peggiore delle ipotesi, se ne dimenticheranno.
Red Snapper – The sleepless
Scoperti dalla Warp 15
anni fa, che li accolse
in scuderia nonostante
fossero “an unusual
feature” (e questo
potrebbe già bastare
a capire il perché della
segnalazione) i Red
Snapper sono un trio
che dopo 8 anni di
assenza (di cui sei di
incomunicabilità tra i componenti) ha deciso di
tornare col botto. Pale Blue Dot, è questo il titolo
del loro album, è l’orgoglioso ritorno al trip-hop
delle origini. Un genere morto senza alcuna
ragione, che oggi ritorna con forme ortodosse
(come questa) o meticce, come il dubstep. Una
testimonianza, appunto, di un mai sopito
amore degli appassionati di quel genere per le
sonorità scure, terrifiche e contemporaneamente
caldissime. La loro attesa è stata decisamente
premiata.
Daelle – The real flow
Napoli
vuole
dire la sua sul
new-soul,
sul
cantautorato
jazz. E decide
che Daelle è
l’ambasciatrice
giusta. Cresciuta
negli ambienti
hip-hop
del
c a p o l u o g o
campano ed ora approdata verso lidi più sicuri
e artisticamente solidi, “The real flow” è l’unica
produzione in lingua italiana del suo repertorio
in divenire e, sarà per una certa passione per
l’esotico al contrario (almeno in questi casi,
ovvero quando le sonorità sono molto poco
italiane), è decisamente la sua miglior canzone.
Scoperta da Alessio Bertallot (Radio Deejay), uno
che ha lanciato Amalia Grè nell’immaginario
collettivo della musica italiana, Daelle, da brava
partenopea, agiterà i suoi portafortuna ogni
giorno. E dopo questa rubrica, ne dovrà agitare
ancora un altro.
Berardino Amenduni
35
i nostri inviati con Thurston Moore
BEATA GIOVENTÙ SONICA
Racconto di una giornata trascorsa con i Sonic Youth
Alla fine abbiamo deciso di andare a vedere i
Sonic Youth dal vivo. In realtà non è che per il
sottoscritto si trattasse di una grande novità, ho
visto più volte loro dal vivo che il parroco del mio
quartiere servire messa.
Non vi sto qui a spiegare le motivazioni. Questa
volta l’occasione era davvero ghiotta, oltre
al concerto, avrebbero inaugurato in quel di
Bolzano la mostra Sensational Fix, dedicata ad
oltre venti anni di rapporto ed amicizia fra la
band ed amici artisti, musicisti, scrittori, film
maker ecc…
Mentre curavo la mia allergia galoppante riesco
addirittura ad ottenere gli accrediti per la
conferenza stampa di presentazione della mostra
e per il concerto di Bolzano.
Pronti? Via!
In treno svengo più volte per il sonno, abbraccio
forte la mia donna, mangio come un cannibale,
flirto con un intero vagone di persone e penso
distrattamente al fatto che li avrei finalmente
incontrati di persona.
Quel venerdì 10 ottobre, passeggiando dalla
stazione di Bolzano per raggiungere la galleria
d’arte contemporanea Museion, continuavamo a
chiederci se tutto ciò fosse vero.
Una volta entrato nella galleria, alla reception
ci consegnano gli accrediti stampa da applicare
sulle maglie e ci comunicano che i Sonic Youth
attendevano i giornalisti al quarto piano dello
36 MUSICA
stabile per la conferenza di presentazione.
Loreta, la mia donna, è impazzita.
Ha stampato sul suo viso un incredibile sorriso.
Era tutto vero.
Ovviamente ci accomodiamo in prima fila,
affianco ai colleghi del Manifesto, di Alias, di
Repubblica, della Rai.
Come se nulla fosse ci sentiamo immediatamente
a nostro agio.
Eravamo le persone giuste al posto giusto.
Piazzo anche la mia videocamerina con relativo
cavalletto cinese proprio affianco al cannone di
Orf 1, canale televisivo nazionale austriaco.
Le porte dell’ascensore si aprono e davanti ai
nostri occhi sfila la gioventù sonica in tutto il suo
splendore.
Si accomodano a circa due metri da noi.
In quel momento ho cercato di fare mente locale,
di raccogliere un po’ i pensieri, di capire cosa
stesse succedendo. Poi ho lasciato perdere.
Si parla del rapporto fra il gruppo e l’arte, di
come una rock band possa essere stimolo e punto
di partenza per altre creazioni artistiche.
Lee Renaldo conferma la sua indole da vero
rocker, ammettendo più volte di essere “solo il
chitarrista di una rock band”, Kim Gordon strappa
sguardi e diffonde sorrisi gratuitamente, facendo
scivolare il discorso su New York, spianando la
strada a Thurston Moore, dinoccolato ragazzone
sonico loquace cinquantenne che per circa trenta
minuti ci fa sognare.
Sarà lui a raccontare gli esordi della band, la
prima sala prove, il rapporto con il punk rock, il
valore dei Talking Heads.
Diceva esattamente quello che noi volevamo
sentirci dire.
Riempiva di complimenti chi come noi, anche
grazie ad artisti come loro, ha deciso di non
fermarsi alle apparenze, scegliendo di spingere
avanti la curiosità.
Steve Shelley, con la sua aria da bravo ragazzo,
si limita a salutare e ringraziare tutti.
Sciolte le file della conferenza, in quello splendido
salone bianco chirurgico che si affacciava a picco
sulle montagne dell’Alto Adige, iniziano un paio
di ore di pura ricreazione scolastica con la band:
chiacchiere, fotografie, risate, confidenza.
Mi diverto anche a spiare e riprendere di nascosto
un blindatissimo set fotografico con una Kim
Gordon spalmata sul pavimento bombardata dai
fotografi.
Dopo tutti questi siparietti iniziamo il tour della
mostra in anteprima per la stampa.
Quattro piani interi pieni di beata gioventù
sonica.
Passeggiavamo circondati da quadri realizzati
da Patti Smith, da video privati realizzati dai
Sonic Youth coi loro amici Nirvana, Dinosaur jr
ecc.
Camminiamo calpestando immense installazioni
realizzate con dischi in vinile del grande artista
Christian Marclay, per poi ritrovarci di fronte
a pareti intere coperte da chitarre, locandine,
effetti personali.
Fa effetto vedere un video in cui i Sonic Youth
con prole si accompagnano in un picnic col
grande guru William Burroughs.
Ci fermiamo a suonare i loro strumenti in una
sala prove allestita apposta al piano terra.
Ancora una volta la realtà ha superato qualunque
desiderio.
Noi eravamo lì per questo.
Non ci perdiamo per nulla al mondo
l’inaugurazione ufficiale al pubblico della mostra,
ritrovandoci ad un certo punto a sorseggiare vino
al bancone del bar della galleria in quest’ordine:
io brillo che gridavo al posto di parlare, Loreta che
rideva al posto di parlare, Thurston Moore che
voleva rubarsi la nostra ultima mela dal tavolo
del catering, Kim Gordon più bella del solito, Lee
Renaldo composto e Steve Shelley che indicava
noi col dito ad alcuni suoi amici dicendogli che
eravamo venuti li apposta dal Sud Italia.
Si poteva stare meglio?
Il giorno dopo i fantastici quattro (per l’occasione
fantastici cinque…) suonano nella fabbrica
Stalbahu di Bolzano, con una cornice impreziosita
da carri ponte, pezzi di acciaieria pesante ed un
clima sereno e divertente.
Il concerto è stato duro, anzi durissimo.
Il set è stato serrato, poco spazio a svisate e
cazzate.
Quasi tutti brani storici suonati a muso duro e
pesantemente: Schizofrenia, Eric’s Trip, 100%
ecc..
Davvero molto intenso.
Facciamo in tempo anche a prenderci la scaletta
del concerto dal palco prima di concederci alle
danze, brindando alla vita, questa volta per
nulla increduli.
Tutto quello che abbiamo visto, che abbiamo
ascoltato, che abbiamo fatto, tutta la gente
che abbiamo conosciuto, quella che abbiamo
solo salutato, i Sonic Youth stessi, gentili ed
accomodanti, lo staff del Museion, il pubblico
col sorriso sul volto, i nostri sorrisi, i nostri
abbracci.
Eravamo noi stessi.
Ennio Ciotta
MUSICA 37
THE MICROPHONES
Le mille facce di un genio schivo
Foto Nathan Wind as Cochese
Phil Elverum è artefice di numerosi progetti,
tra cui The Microphones, poi evolutosi in
MountEerie. Phil è l’archetipo del genio schivo,
suona ogni strumento ed i primi lavori dipingono
perfettamente la sua solitudine, stratificata da
un sedici e poi da un otto tracce analogici. La
sua vulcanica creatività ha trovato espressione
sublime nella musica lo-fi.
Tra il 1998 ed oggi, una serie di gioielli (i più
per pochi eletti o senza distribuzione) in bilico
fra Gastr Del Sol, Will Oldham, rumorismo,
ambient, silenzi, droni, frammenti noise-pop
ed un magma di arrangiamenti pirotecnici.
Regnano una frammentarietà ed un eclettismo
che tendono ad allontanare l’ascoltatore, ma
affiorano una scrittura ed un lirismo superiori
alla media… Poco importa se la magica melodia
dura pochi secondi e viene nascosta in una lunga
tempesta noise (I Want to be Cold)… È musica
dalla funzione esorcizzante: la morte, l’eternità,
e l’uomo disarmato di fronte alla Natura sono
infatti le tematiche esplorate da Phil.
Nel 2008 sono usciti Black Wooden Ceiling
Opening, un album che conferma il passaggio
ad una forma canzone più regolare, e TheGlow
pt.2, il disco del 2001 che molti considerano
il capolavoro, oggi ristampato con inediti che
aggiungono poco ad un corpus già compiuto.
Per la prima volta l’intimismo del cantautore
si dedica alla ricerca di un’espressione meno
ermetica.
Improvvisazione,
incompiutezza,
silenzi, trovano il perfetto equilibrio formale in
un’alternanza di vibrazioni, sonorità brucianti e
parti melodiche fra le più ispirate del prolifico
catalogo. La consapevolezza solletica l’intento
comunicativo dell’artista, che sembra sforzarsi
nel dare una forma al suo essere etereo, fragile,
impalpabile.
38
“Ho preso coscienza della mia stazza, ho ricordato
il mio fuoco, la mia mancanza di riposo, il mio
calore a senso unico, ne volevo ancora. Ma sono
piccolo, non sono certo un pianeta. Sono piccolo,
tutti noi lo siamo”(I Felt My Size).
La titletrack è un tour de force: da una
possente intro distorta si passa ad una folksong
acustica che viaggia con le stampelle, infine
a uno spaziale decollo con arabeschi di piano
fuoritempo. Un organo, nel finale del brano,
spalanca la dimensione religiosa e l’invocazione
si perde nel passo deciso di un ibrido lo-fi dei
Tortoise. Canzoni come quadri, piccole sinfonie,
confessioni… The Moon è una cavalcata
“shoegaze” alla MyBloodyValentine impreziosita
da fiati jazz. You’ll be in the air sfoggia un
disarmante minimalismo sinfonico. Map è pura
poesia, una preghiera lisergica per doppia voce,
da far accapponare la pelle. Un sound denso e
descrittivo fino all’inverosimile, che alterna
parti ultracompresse a momenti liberatori. Una
lucida lettura dell’Essere di fronte all’immensità
dell’Universo, ma soprattutto una ricerca
musicale personale e coerente, in cui confluiscono
anni di sperimentazione avant-garde, folk,
indie e pop. L’arte e il suo creatore si fondono
in catarsi, saltando dall’astratto al figurativo;
l’urgenza espressiva s’impadronisce di sicurezze
ed incertezze, le trasforma in palpitanti emozioni
e le incastona in un “lirico mosaico cubista”.
Un viaggio emozionante che si conclude con un
cuore che pulsa… e pulsa. My warm blood. “Il
mio sangue caldo”, dice Phil “io sono solo, ma
gli insetti che mi circondano sanno che il mio
sangue è ancora caldo”. Un capolavoro.
Tobia D’Onofrio
STILL FIZZY RECORDS
Bonjour My Love della band anconetana El
Cijo (nella foto a destra) segna la nascita di
una nuova, interessante, etichetta discografica.
Abbiamo parlato dei primi vagiti della Still Fizzy
Records con Gilberto.
Giovanissimi ma con le idee ben chiare, la
vostra prima uscita è bellissima nella forma
e nel contenuto. Da dove sbucate?
Grazie per i giovanissimi, in realtà il sottoscritto
va per i 37 anni. Giovanissimo sicuramente in
relazione al music business, visto che El Cijo
è la prima uscita ufficiale dell’etichetta. Still
Fizzy esce da un sogno nel cassetto, cioè dalla
mia passione infinita per la musica. Esce dalla
crisi delle major e dalla frammentazione del
mercato, dalle nuove tecnologie che permettono
di realizzare progetti musicali ed imprenditoriali
a costi contenuti.
Ci parli un po’ di El Cijo?
Ho conosciuto ed apprezzato i ragazzi prima
come Postodellefragole, collaborando insieme a
loro in alcuni progetti di comunicazione. Avevo
accennato loro l’idea di aprire un’etichetta.
Quando mi hanno fatto sentire il primo demo,
è immediatamente scoccata la scintilla e la
proposta di produrre il loro album. Ci abbiamo
messo un annetto, ma il risultato soddisfa tutti!
Sono ottimi musicisti, ma prima di tutto ottime
persone; la band ha uno stile molto personale e
un suono versatile; dal vivo poi sono trascinanti.
Per fortuna non si prendono ancora troppo sul
serio!
Avete un sguardo ai generi che abbraccia
tutto ciò che può essere definito indie…
questo almeno ascoltando Badge and
talkalot, vostra produzione decisamente
più elettronica… Che intenzioni avete?
Le intenzioni sono di produrre la musica che mi
piace, senza restrizioni di genere, già ci pensano
i critici a metterti in qualche recinto. Mi ispiro
ad etichette stilisticamente libere, come la
Warp, !K7, Wichita, XL recordings. È solo la
passione condivisa per la musica che da origine
a un progetto targato Still Fizzy. Ben venga
un eventuale successo commerciale, ma non è
qualcosa che cerco a tutti i costi.
Da creativi a produttori di musica, come
nasce l’idea di un’etichetta discografica?
Quando ho deciso di rischiare imprenditorialmente, aprendo un’agenzia creativa (Stradi
Vari), avevo diverse richieste che riguardavano
colonne sonore per showreels, sonorizzazioni
per mostre, tutorials. Alcune di queste tracce, si
sono trasformate in canzoni del progetto Badge
and Talkalot. In seguito diverse etichette a cui
avevo presentato l’album dicevano che era buono, ma non rientrava nel loro genere. Quindi ho
capito che l’etichetta che poteva ospitare il Badge album, doveva ancora essere creata…
Ha ancora senso stampare, produrre
oggetti musicali?
Personalmente credo di sì, io per primo sono
un collezionista di musica originale. È vero
che le nuove generazioni non hanno l’abitudine
di comprare musica nei formati classici, ma
ci sono ancora interessanti nicchie di mercato.
Mi rivolgo ad appassionati simili a me, cerco di
catturare l’interesse degli ascoltatori attenti e
delle persone alla ricerca del gadget esclusivo.
Quali sono i vostri prossimi progetti in
cantiere?
Sicuramente il secondo album di El Cijo. Ma prima
di questo, dovrebbero uscire altri due progetti di
musica elettronica che mi vedono impegnato in
prima persona in qualità di musicista-producer.
Inoltre è prevista in agenda una compilation di
artisti internazionali, in bilico tra l’elettronica e
il jazz, che parteciperanno ad un evento-festival
ancora top-secret che si svolgerà a Modena e
Carpi a metà del prossimo anno… (O.P.)
MUSICA 39
LIBRI
ANGELO PETRELLA
Un giovane spacciatore, Sanguetta. Uno
studente, Chimicone. Un poliziotto: l’Americano.
Ne La città perfetta di Angelo Petrella, tre storie
si intrecciano per sei anni a Napoli dalla fine
degli ‘80, tra la guerra di clan della Camorra, la
fine del Pci e la nascita della Pantera. Violenza,
tradimento e corruzione sono all’ordine del
giorno e non risparmiano nessuno.
La città perfetta è una città terribile:
camorristi sanguinari, polizia corrotta e
giovani fragili ed esaltati. Perché è una
città perfetta?
Il momento storico da me narrato, gli anni dal
1988 al 1993, costituiscono la divaricazione più
grande del tessuto sociale napoletano e italiano
(la crisi del Pci, la Pantera, Tangentopoli). Un
contesto perfetto per gli arrampicatori sociali
di ogni risma: i miei tre personaggi, ciascuno
nel suo contesto, ambiscono al successo a tutti
i costi. E il fatto che anche Chimicone, l’unico
portatore di un ideale inizialmente “sano”, sia
40 LIBRI
alla fine anche lui un “arrampicatore”, segna lo
scacco di tutto il nostro sistema sociale.
In questa storia non ci sono personaggi
buoni, ma anche i cattivi non sono
personaggi semplicemente cattivi. Non ci
sono innocenti, ma chi sono i colpevoli?
Colpevoli sono tutti, perché a mio avviso la
letteratura noir non deve offrire immagini
manichee del bene. Il noir attinge al male rimosso
dall’immaginario collettivo proprio per spiazzare
il lettore e ricordargli che è lui - non i libri - a
dover portare avanti la faticosa operazione di
cercare di cambiare il mondo.
Le tre storie individuali non nascondono
tutta la realtà che le circonda. Cosa c’è
alle spalle di Sanguetta, Chimicone e
dell’Americano?
C’è un mondo in crisi, l’ultimo sisma del
Novecento politico le cui scosse si protrarranno
fino ai nostri giorni. La fine della guerra fredda,
anche in Italia, muta decisamente gli equilibri
sociali: la Dc finisce con Tangentopoli, il Pci
dalla caduta del muro di Berlino sembra perdere
il consenso di massa. È un gran casino... e
ognuno cerca di fare man bassa di opportunità,
vantaggi, potere.
Racconti una Napoli di quasi venti anni fa.
Perché proprio quel periodo subito prima
della cosiddetta “rinascita” di Napoli? E
come è cambiata la città fino ad oggi?
Proprio per raccontare che la “rinascita” è un
mito, un’operazione di pura facciata, oltre la
quale restano in bella evidenza le crepe lasciate
dal sisma. Il guaio è che molti intellettuali si
sono prestati all’operazione di imbiancatura
di Napoli, senza realmente porsi il problema
di aggiornare la classe dirigente, di guidare e
incanalare le tante energie culturali rimaste
represse. Durante gli anni Novanta abbiamo
avuto da un lato i grandi - e costosi - progetti
di arte, manifestazioni ed eventi internazionali;
dall’altro, la cultura dell’omogeneità più retriva
(i neomelodici, il tradizionalismo, il recupero
di Merola e quant’altro). Nel baratro apertosi
in mezzo, nel dimenticatoio, sono cascate
tutte le energie nuove sviluppatesi a partire
dal movimento della Pantera dei primissimi
anni ‘90, che sopravviveranno solo nel circuito
underground.
C’è anche un’immagine dell’Italia che passa
dentro le storie della città perfetta?
Indubbiamente. A mio avviso è un’immagine
dell’Italia, quella che il romanzo restituisce.
Ovviamente ho potuto immaginarla a partire
dalla realtà che conosco, che è quella del mio
meridione. La società napoletana - la borghesia,
il lavoro sfruttato, la politica indifferente - è
identica a quella di altre città. Essendoci però
meno risorse e meno speranze per le nuove
generazioni rispetto a, che so io, Milano o Roma,
i problemi forse li si avvertono prima e con più
durezza.
I resoconti di cronaca nera degli ultimi
mesi (e degli ultimi anni, per la verità)
raccontano una violenza spietata: dalla
guerra di Scampia ai sei africani trucidati
a Castel Volturno: la realtà supera di gran
lunga la fantasia per ferocia?
A volte sì. L’importante è però comprendere che
la letteratura non narra “il male per il male”,
ma utilizza il male al fine di far comprendere,
di pungolare, di motivare il lettore a rifiutare
lo stato di cose esistenti. E a volte, forse, riesce
anche ad anticipare la realtà. (F.T.)
ANGELO PETRELLA
La città perfetta
Garzanti
Napoli
come
scenario di un
grande, pericolosissimo gioco:
scatole
cinesi
che si aprono,
fanno sobbalzare il lettore, rivelano lo sporco
difficile da grattar via, l’odore
del sangue che ti
entra nelle narici e non sparisce
più perché ha
già impregnato
la memoria. Al
terzo romanzo,
Angelo Petrella,
classe 1978, affronta una lunga
storia a più voci
(Sanguetta, giovane spacciatore
e praticante camorrista; Chimicone, figlio di un
operaio, studente del liceo Genovesi proiettato
verso la clandestinità e la lotta armata; l’Americano, poliziotto DIGOS immorale al soldo del miglior offerente; Omissis, entità dei servizi segreti
che tutto conosce e manovra ad arte) che si svolge in un arco di tempo compreso tra il 1988 ed il
1994. In questi anni, a Napoli e all’Italia intera
succede di tutto: Maradona, il movimento della
Pantera, la crisi del Partito Comunista, Tangentopoli, le guerre di camorra che produrranno
circa 1230 morti, la nascita di un nuovo sistema
politico destinato a rimodellare i rapporti con la
società attraverso metastasi di nuova generazione rispetto a quelle della Prima Repubblica. Petrella colpisce duro, riservando ai sentimenti solo
spazi effimeri (la storia d’amore tra Chimicone e
Betta, l’amicizia che lega lo studente al personaggio tragico di Zapatino). Il resto è un racconto
teso e feroce, tra colpi di pistola, lanci di granate,
tonnellate di coca da “zucare”. Sconvolge e desta
ammirazione per il grande senso del ritmo, per
un linguaggio che lascia entrare la musica dei 24
Grana, degli Almamegretta, del Clan Vesuvio.
Non c’è respiro: romanzo che trascina il lettore
nella puzza di merda, di spazzatura, di polvere
da sparo che l’Italia si è abituata ad usare come
eau de toilette. (N.G.D’A.)
41
WU MING 2
Pontiac: un libro, un reading, una rivolta
Wu Ming 2 ha accolto via e-mail alcune curiosità
su Pontiac-storia di una rivolta, che è al contempo
un audiolibro illustrato, scaricabile in più modi
all’indirizzo www.pontiac.manituana.com,
e
una lettura-concerto proposta nei calendari dei
contesti più disparati.
Sono rimasta ammaliata dal sentimento
della ribellione presente in questa vostra
autoproduzione, che non è “solo” la
restituzione creativa di un evento rimosso
dalla Storia
Il tema principale di Pontiac è il colonialismo,
non tanto come evento storico, ma come modello
onnipresente, metastorico, di incontro tra
culture, corpi, nazioni. L’alternativa possibile
è quella di un meticciato dove la cultura sia
qualcosa che gli individui fanno, non qualcosa
che hanno o portano per nascita e sangue. Dove
ciascuno è libero di essere diverso senza che
questo esaurisca la sua identità.
Pontiac nasce da un accenno presente in
Manituana. Cosa ti ha talmente coinvolto
da approfondire la ricerca su questa
figura?
Mi sono innamorato della rivolta di Pontiac
strada facendo. All’inizio, mi affascinava
soprattutto come antefatto della Rivoluzione
Americana. Un antefatto significativo, perché
dice fin da subito che l’Indipendenza delle
Tredici Colonie nacque sotto il segno della Razza
42 LIBRI
e della Terra. Poi, studiando più a fondo, mi sono
reso conto della complessità della vicenda, una
ribellione di tribù indiane molto lontane tra loro
che per la prima volta si coalizzano contro un
nemico comune, usando come armi tomahawk e
fucili, leggende ancestrali e retorica colonialista,
profezie religiose, lettere false, voci incontrollate,
astuzia guerrigliera, piccole invidie e miserie di
uomini.
La vostra lettura-concerto si apre con un
mito della ri-creazione: in Nanabush ciò
che si narra non è l’origine del mondo,
ma il percorso che ha condotto al suo
rinnovamento.
Ho trovato un simbolismo molto forte in questa
“genesi” degli indiani Anishinabeg. Il Padrone
della vita sogna e subito crea il mondo per
riprodurre quel che ha sognato. Poi però una
grande inondazione lo sommerge e allora
Nanabush lo deve ri-creare, a partire da un
granello di fango originario. Ma non è solo: ad
aiutarlo ci sono gli animali scampati con lui alle
Acque. Perché per costruire un mondo nuovo non
basta volerlo, non basta sognarlo: bisogna farlo
insieme.
Nella seconda traccia due ritratti in
contrapposizione: chi cerca la terra e la
sua occupazione, e chi agogna il sole e la
sua meraviglia. Perché hai voluto questo
“confronto”?
Il pezzo è costruito in maniera dialettica, per
mostrare due diverse molle dell’esplorazione e
del desiderio: la curiosità e il possesso. Tuttavia,
la fine dei due esploratori è simile: Henry Hudson
cercava la terra e nuove vie commerciali, ed è
morto solo, schiacciato da quella ricerca. Ioscoda,
il guerriero degli Ottawa, voleva raggiungere la
Casa del Sole, il Tramonto, e anche lui morì solo,
su un alto crinale, gli occhi rivolti a Oriente. Sono
due esempi di “desideranti”, sognatori solitari,
contrapposti alla combriccola di Nanabush, un
collettivo di sognatori che invece riesce a salvarsi
e a rifare il mondo.
Una contrapposizione simile si ha anche
nella traccia intitolata ad Antoine de La
Mothe, in cui una costruzione speculare
rivela le due facce – a mio parere negative dello stesso personaggio..
Il mio giudizio sul marchese di Cadillac non è
del tutto negativo. Si costruì una carriera con
le menzogne, è vero, ma a quanto pare aveva
un’idea di società meticcia, di convivenza tra
bianchi e nativi, molto innovativa e radicale. Non
a caso, fu proprio il passaggio di Fort Detroit agli
inglesi a scatenare la rivolta di Pontiac. Con la
sua storia volevo più che altro mostrare un altro
aspetto del sogno, la sua parentela con la bugia, e
in particolare il legame tra questa e il cosiddetto
“sogno americano”, l’idea di una “Terra delle
Opportunità”, della quale Cadillac mi sembra un
rappresentante perfetto.
Salto all’ultima traccia Cosa siamo, in cui
si fa appello alla risorsa della dignità: il
cambiamento non passa per la presa di
potere, ma attraverso la rivendicazione dei
diritti degli ultimi.
Rivendicare i diritti degli ultimi non è un gesto
di vuota solidarietà: significa rivendicare i nostri
diritti. Clandestinità e precariato sono facce
della stessa medaglia. Come le nazioni indiane ai
tempi di Pontiac seppero mettere da parte mille
differenze per perseguire uno stesso obiettivo,
così oggi dovrebbero fare le diverse tribù di senza
diritti, clandestini della dignità.
Quanto ha inciso l’incontro con la gente
nella scelta di proporre sul web questa
realizzazione?
E’ stato determinante. Prima di andare in giro
per le piazze e i teatri non pensavamo nemmeno
di registrare lo spettacolo. Solo dopo abbiamo
capito che ne valeva la pena, anche perché molta
gente ce l’ha chiesto, per riascoltare con più
attenzionetutta la storia.
E l’approccio con l’immagine, quando è
stato pensato?
Come scrittore, ci tenevo che la registrazione in
studio dello spettacolo venisse accompagnata
da un piccolo “libro”, un oggetto da sfogliare e
guardare. Metterci soltanto i testi delle letture
mi è parsa da subito una scelta limitata.
Così abbiamo deciso di coinvolgere Giuseppe
Camuncoli, un eccezionale disegnatore di fumetti
con cui da tempo c’era la voglia di collaborare. C’è
voluto tempo per trovare le illustrazioni “giuste”,
e per vari motivi: primo, per evitare errori storici
e filologici; secondo, per individuare, in ciascun
brano, l’aspetto più centrale e visivo; terzo,
perché volevamo che le immagini non fossero un
semplice contributo appiccicato alle parole.
La proposta di un download in più modalità
completa con coerenza il progetto.
Quali sono state finora le risposte a tutto
quanto?
Lo spettacolo è stato messo in scena in una
quindicina di date. Per l’audiolibro, invece,
abbiamo avuto più di 2700 download in sei mesi.
I paganti sono un centinaio, con una media di
circa 7 euro a copia (più del prezzo consigliato).
Oltre al download non c’era alcuna strategia
di vendita: nessun bonus per chi paga, nessun
contenuto aggiuntivo, nessuna confezione
deluxe. Questa operazione non era pensata
per un ritorno commerciale. La scommessa
era più che altro sulla relazione e sul progetto
“transmediale” legato a Manituana, l’idea cioé
di esplorare quell’universo narrativo con ogni
mezzo necessario e coinvolgendo nell’impresa
una vasta comunità di lettori attivi.
Stefania Ricchiuto
LIBRI 43
LUISA RUGGIO
Il suo primo romanzo Afra (Besa Editrice), uscito
nel 2006, ottenne un ottimo riscontro e molti
premi. Da qualche settimana la giornalista e
scrittrice leccese Luisa Ruggio ha pubblicato il
suo nuovo romanzo La nuca.
Medioevo. Terra di Hydrunte. Una bella
adolescente, sospettata di stregoneria perché
innamorata delle parole, si traveste da uomo per
diventare l’allievo di uno Scriptorium particolare.
Un luogo pieno di libri e inchiostri dove i maestri
sono due fratelli. Un alchimista eremita e un
arabo che colleziona nuche femminili, alla
continua ricerca di quella perfetta per la stesura
di un codice fatto di puro erotismo. Insieme
scopriranno la mistica della sensualità. E la
forma più spirituale dell’amore. Una storia che
è anche un commovente omaggio alla Scrittura,
un tributo alla potenza incantatoria della
Parola, sull’osmosi tra Filosofia occidentale
e Favola orientale e un falso storico sulla vita
immaginaria dell’alchimista di Soleto Matteo
Tafuri.
44 LIBRI
La tua storia è ambientata nel passato
ma sono molti i punti di contatto con il
presente. Inoltre racconti di terre a noi
vicine. Come mai questa ambientazione?
È un passato sospeso, tipico delle favole,
un tempo che somiglia a una cronologia che
conosciamo bene ma in realtà é un tempo allo
specchio, come nella teoria degli Universi
Tangenti raccontata nel film “Donnie Darko”.
La scrittura fa anche questo. Mette in contatto
due flussi temporali, quello oggettivo e quello
soggettivo, quello della vita materiale e quello
sotterraneo della mente. Volevo provare a
raccontare la vita immaginaria di Matteo
Tafuri, l’alchimista di Soleto realmente esistito
e che portò la conoscenza ai cafoni di stanza alla
fine del mondo, fondando uno Scriptorium. Una
notte, per un imprevisto, mi ritrovai a guardare
la guglia del campanile di Soleto, con i quattro
diavoli di pietra e che la leggenda attribuisce
all’opera di un mago molto potente. Mi venne
voglia di parlare della Scrittura come materia
narrante e quindi del piacere di raccontare
storie, trascurata al prezzo di un minimalismo
fin troppo prudente. Quest’alchimia. La Terra
d’Otranto di un ipotetico Cinquecento e il vicino
Oriente era lo sfondo ideale. A Sherazade,
sarebbe andato a genio.
Oriente e Occidente si sfiorano, si toccano,
si incastrano. Qual è secondo te il rapporto
tra questi due mondi?
È come quello che c’é tra i sessi, una continua
attrazione e repulsione, una lotta per la
monarchia e un desiderio impossibile di fusione,
un dualismo che ha gemmato mondi. Nel
mio romanzo, Oriente e Occidente sono due
fratellastri: Matteo e l’arabo Gherìb, il maestro
di spada. Entrambi finiranno col desiderare
la stessa donna, l’allievo femmina, Hyrie. Un
ménage à trois che ha a che fare con la ricerca
della nuca perfetta sulla quale stendere un
codice.
La tua lingua è molto curata a tratti
neanche troppo semplice. Dove nasce e
come si alimenta questo stile?
Nel ritmo, nell’istinto che porta a seguire un
ritmo. È come quando improvvisi musica con
uno strumento, esegui uno spartito accessibile
solo a te. Ma per improvvisare devi conoscere la
musica, così da sapere quali sono i tuoi accordi.
I libri sono la mia musica. Leggo moltissimo e
mi concedo il piacere della lentezza e del ritorno
su certe pagine. Duras, Miller, Fante, Salinger,
Celine, Conrad, Carroll, De Luca, Campo,
Marquez, e via elencando. Poi c’è mia nonna, la
senza alfabeto, gran narratrice di favole lì per lì,
lei mi ha insegnato moltissimo senza volerlo.
Sei al tuo secondo romanzo ma continui la
tua vita da giornalista. come concili le due
anime?
Potendo la smetterei di doverle conciliare.
Ma di sola scrittura non si campa. E allora
il giornalismo, che per certi aspetti è proprio
il contrario della scrittura. Velocità contro
lentezza, volendo dirne uno. Concilio i due mondi
con un minimo di gioia e di gratitudine, perche’ il
giornalismo mi ha permesso di incontrare alcune
delle penne che amo.
Qual è l’ideale colonna sonora di questo
romanzo? In generale cosa ascolta Luisa
Ruggio?
Questo romanzo è pieno di traversate a cavallo
nei boschi, è lunare, pieno di viandanti,
adolescenti visionarie, sacerdoti corrotti,
guerrieri della parola, mistici della spada, carghi
pieni di spezie, leggende. Ascoltavo spesso Henry
Purcell durante la stesura. Bach, Mozart. Ma
per assurdo ascoltavo anche Bowie, Sakamoto,
Jarre, Thelonius Monk, Mertens, Sylvian. In
generale ascolto il jazz. E mi piace caldo.
In questo numero ci interroghiamo se
questa Puglia sia veramente vincente. Tu
che ne pensi?
Sarà vincente quando quelli che sono dovuti
fuggire per poter realizzare qualcosa saranno
messi nella condizione di tornare. Sarà vincente
quando quelli che sono restati qui tentando di
realizzare qualcosa non sentiranno più il peso
dell’insilio.
Quali sono gli autori pugliesi che leggi? E
in generale? Quali sono gli autori che ti
hanno maggiormente influenzato?
Rina Durante. Trovo assurdo che non si
ristampino certi capolavori. La malapianta è
un romanzo stupendo, dovrebbero ristamparlo e
fargli spazio sugli scaffali di queste librerie dove
c’é di tutto e manca l’essenziale. Allo stesso modo
trovo inaccettabile la sparizione de Gli amorosi
sensi. Perché? Ecco, questo riguarda anche la
domanda precedente. E mi fa arrabbiare. C’é
una tale ipocrisia editoriale e una sequela oziosa
di investimenti vigliacchi. La Puglia, il Salento
soprattutto, i giovani scrittori pugliesi hanno
tutti un grande debito con Rina Durante. E i
debiti vanno estinti, persino quando è troppo
tardi. Per quanto riguarda gli autori che mi
hanno maggiormente ‘innamorato’ più che
influenzato, faccio un nome su tutti: Marguerite
Duras.
Hai fatto molte presentazioni dei tuoi libri.
Qual è il tuo rapporto con i lettori?
Con i lettori provo a uscire dalla letteratura
per entrare nella vita. Provo a uscire da quella
tipologia di presentazioni organizzate per benino
dove c’é uno che parla e un gruppo di gente che
sonnecchia. Provo a parlare con loro, non solo a
loro. Il rapporto cambia. Ed è fantastico, questo
muove energia, la fiuti, la senti, la tocchi. I libri,
poi, fanno il loro percorso da soli e trovano i loro
lettori a prescindere dal contorno.
Hai già in cantiere un nuovo progetto?
Sì. Però non te lo dico (e rido...).
Pierpaolo Lala
LIBRI 45
MARCO ROVELLI
Lavorare uccide
Bur Rizzoli
dell’energia umana in questo tempo: ridotta a
mero atto produttivo di denaro, come stupirsi
se la vitalità repressa, reclusa nelle gabbie del
lavoro, si traduce con questa assiduità anche in
mera morte?
Stefania Ricchiuto
GIUSEPPE GENNA
Italia de profundis
Minimum Fax
Delle morti sul lavoro ci giungono giorno
per giorno bollettini dolenti, anche grazie
all’accortezza quasi irrequieta degli operatori
di certa informazione, impelagati a restituire
elenchi disarmanti e rendiconti più che lucidi
sull’ennesimo incidente compiutosi in tragedia,
senza mai sporgersi, però, oltre l’aspetto dei
fatti. La rappresentazione dell’esteriorità di
queste vicende drammatiche – esercizio tipico
del giornalismo più sguaiato – conosce a volte
l’approfondimento, ma mai lo scavo, che è un modo
altro, e assai distante dal primo, per leggere tra
le righe di un accadimento dalla frequenza ormai
divorante. Le “morti bianche” – espressione
scollegata da una realtà di sangue a profusione
e ustioni avvinghiate ai corpi – sono condannate
a restare un fenomeno avvertibile solo entro
i limiti della commiserazione rassegnata, a
meno che non si cominci a divulgare seriamente
l’ultima inchiesta narrativa di Marco Rovelli [già
autore di Lager italiani sui centri di permanenza
temporanea]. Lavorare uccide - questo il titolo
snervato e insieme nervoso – è in libreria da
diversi mesi ed è testo di evidente attualità, ma
nonostante ciò si contano sulle dita di una mano
i media che hanno voluto porre l’attenzione
su quest’analisi aguzzina, che dissotterra
molto ed estrae ancora di più. Va scritto:
non è opera che in/formi sui fatti. Di contro,
espande la percezione dei casi, suggerendo
una meditazione capace di addentrarsi nelle
ragioni più inaccettabili, eppure tangibili, di
sciagure che presto la maggioranza della gente
collocherà nell’ordinario. Il problema reale non
sta negli incidenti, ma in ciò che li sussume: gli
ingranaggi stritolanti del lavoro contemporaneo.
Contro questi, Marco Rovelli proietta non solo
gli avvenimenti inaccettabili che hanno toccato
la pelle di una moltitudine di annientati, ma
soprattutto l’urgenza di riflessione sul senso
Pastiche
criminale:
Genna
coverizza
Burroughs, Leopardi,
il Pasolini di Petrolio,
Carmelo Bene, Bret
Easton Ellis e perfino
se stesso (pescando da
Medium, il romanzo
pubblicato solo in rete)
in
un’opera-fiume
eccessiva,
funerea,
dallo stile iperbolico
che fa varcare al
lettore la soglia di una dimensione altra del
narrare, costringendolo a rincorrere una linea
continua di sgomento. È una vera e propria
gara di resistenza, una sfiancante mise en abîme
all’interno della quale le forme drammatiche
sbatacchiano, si contraddicono, vanno a pezzi per
poi essere riunite in una composizione astratta
inquietante: ad attenderci in questo altrove
ci sono le spoglie di tutti i desideri, di tutte le
storie fuori controllo. C’è troppa velocità nelle
nostre vite, poi accadono gli incidenti, i fulmini
a ciel sereno, i deragliamenti in prossimità
di incroci non segnalati tra passato e futuro.
Verità e rappresentazione all’effetto Droste:
abbandonata la cornice thriller degli esordi,
Genna ci scaglia addosso un libro di corpi, voci,
ectoplasmi, allucinazioni in cui ogni vicenda
sembra cominciare dove l’altra finisce in un
cortocircuitante, reiterato non inizio protervo e
musone. Un monumento al Mastodontico Nulla
del nostro tempo, alle domande senza risposte,
alle suppliche non soddisfatte. La strada era
stata aperta da L’Anno luce (2005), e ricordarlo
è necessario perché non si arriva impreparati
a questo Italia de profundis,
alla sua
drammaticità fatta di periodi che si deformano.
Voli fantastici e orrori abominevoli. Frammenti.
Scorie. Epica pressofusa alla lirica in un gesto
di allontanamento, di sparizione nella coscienza
del disinganno.
Nino G. D’Attis
LIBRI 47
ANDREW DAVIDSON
Gargoyle
Mondadori
Hanno
pagato
un
milione di dollari per
pubblicare
questo
debutto.
L’amore
brucia, e in qualche caso
aumenta sensibilmente
il tuo conto in banca
(devo segnarmi da
qualche parte il nome
dell’agente
letterario
che ha fatto il miracolo:
Eric Simonoff della
Janklow
&
Nesbit
Associates). La vicenda
di un attore porno
strafatto che subisce un incidente e si risveglia
dal coma ridotto ad un tronco di carne bruciata (i
chirurghi gli hanno portato via anche il prezioso
attrezzo del mestiere) sembra roba da Palahniuk.
Mettiamoci anche una donna misteriosa, Marianne
Engels, scultrice di gargoyle di pietra ed ospite
abituale del reparto psichiatrico che instaura con
il paziente un rapporto ambiguo, fatto di resoconti
di vite passate (sostiene di avere 700 anni, di
essere cresciuta in un monastero in Germania e
di essere stata tra i primi amanuensi traduttori di
Dante) e gli ingredienti per una storia struggente
e bislacca ci sono tutti. Preparate i fazzoletti. Anzi
no, qui le pagine che parlano d’amore si alternano
a quelle in cui le fiamme che fanno girare il motore
del mondo (potere, cinismo, denaro, edonismo)
lambiscono più volte la voglia di tenerezza.
Materia difficile da gestire? È un inferno, ma
Davidson (canadese che ha insegnato per diversi
anni in Giappone) ci prova, e ha sicuramente dalla
sua l’impegno meticoloso per la documentazione
storica e medica. Inizio folgorante, descrizioni
cliniche raccapriccianti. Qualcosa viene meno
quando il ritmo cala dopo le prime 150 pagine e
si avverte una certa stanchezza, poi si riprende a
volare alto fino alla conclusione delirante. Però un
milione di verdoni…mah! (N.G.D’A.)
GLI ICONOCLASTI- GIANLUCA
CHINNICI
A-cerchiata Storia veridica ed esiti
imprevisti di un simbolo
Eleuthera
La A-cerchiata è un simbolo notorio, che richiama
il movimento anarchico e la complessità di
pensieri e pratiche ad esso sottese. Effigie di
semplicissima realizzazione – una A maiuscola
inscritta in un cerchio –, fu ideata da Tomás
48 LIBRI
Ibañez e compiuta da René Darras nel 1964,
quando il Groupe Jeunes Libertaires di Parigi
firmò un articolo in cui la si proponeva sigla scelta
del movimento, per la necessità di uno strumento
comunicativo che fosse soprattutto economico: di
fatto, l’immediatezza grafica “riduceva al minimo
il tempo per le scritte murali”, mentre il tratto
essenziale la poteva rendere comune a tutte le
espressioni dell’anarchismo, facilitando così un
riconoscimento pubblico altrimenti complicato.
Accolta senza eclatanti entusiasmi, la A-cerchiata
ricomparve dopo qualche anno su manifesti e
volantini della Gioventù Libertaria milanese, e da
lì fu un procedere a ritmo disinvolto verso i muri,
e non solo i muri, di tutta Europa. L’incontro con
la cultura punk e con la speculazione commerciale
fece il resto, contribuendo ad un’espansione spesso
mortificante di questo ideogramma da strada,
usato e abusato e rielaborato anche in contesti poco
affini al suo senso originario. Eppure, proprio in
questa apparente banalizzazione sta la coerenza
dissacrante di un emblema di libertà vera, che
rende coincidenti la peculiarità politica di un
simbolo e le svariate declinazioni del suo essere
un po’ marchio, un po’ suggello, un po’ schizzo
casuale: ciò che conta è che non ci sia identità
alcuna che possa rivendicarne un presunto
significato reale. Seguendo le tracce di questo
sentimento di non appartenenza, Eleuthera
ripercorre la storia dell’A-cerchiata secondo
autenticità, e lo fa con un volume fotografico
curato dall’artista visuale Gianluca Chinnici, e da
un collettivo estemporaneo di autori. Alcuni nomi
[ estratti a caso, tutti notevolissimi ]: Goffredo
Fofi, Marco Philopat, Marco Rovelli, Wu Ming
1, Enrico Ghezzi. Tutti, mettono in discussione
gli esercizi più abituali di un simbolo davvero
popolare e per niente populista, svelandone
l’imbarazzante libertinaggio e restituendone
appieno la sacrosanta inafferrabilità.
Stefania Ricchiuto
JUAN JOSE GARFIA
Adiòs Prisiòn. Il racconto delle
fughe più spettacolari
Autoprodotto
Juan Jose Garfia lotta da sempre contro
l’istituzione carceraria, universo abietto in cui
l’espiazione dei reclusi è a uso e consumo dalla
società di fuori , e quindi territorio privilegiato
delle più scellerate forme del controllo sociale.
Il suo attivismo si è concentrato soprattutto sul
regime F.I.E.S, il corrispettivo spagnolo del 41/bis
italico, che attraverso l’isolamento annichilisce il
corpo - già incluso in una ristrettudine -, non solo
sopprimendo la possibilità di contatti miseri e
accennate vicinanze, ma soprattutto accordando
che su quel corpo si consumi l’impensabile, senza
che possa intervenire il fastidio, il disturbo,
la seccatura di una testimonianza esterna
disgustata. In un’oppressione così feroce anche
quando silenziosa, il detenuto cerca spesso di
non morire, rintracciando, negli ingranaggi
che lo avviluppano, una qualche risorsa di
sopravvivenza, capace di alimentare la personale
forma di vita. Una di queste energie è il tempo
vuoto e vacuo, che in carcere non si esaurisce
facilmente , e che pone la parte più profonda di sé
in convivenza con le tensioni più naturali, come
la libertà. Questa, tra le sbarre è raggiungibile o
con una dissociazione “rifugio” – data per esempio
dall’espressione artistica e comunque concessa
dall’istituzione – oppure con una dissociazione
“presenza”, che recupera il corpo escluso e lo
riporta oltre la gabbia, a far da sé. In fuga. Perché
“la fuga dal carcere è un assioma indiscutibile
per qualunque recluso con una coscienza di
classe”. Di questa dignità inviolabile ci narra
Jose Juan Garfia, condannato a 213 anni per il
suo impegno, restituendoci con tutti i particolari
più inverosimili sei evasioni avvenute in Spagna
sul finire degli anni’80. Il libro circola per merito
dell’attività della Biblioteca dell’Evasione [www.
bibliotecadellevasione.org], che raccoglie libri da
mettere a disposizione gratuita di tutti i detenuti
nelle carceri italiane. (S.R.)
CHARLES D’AMBROSIO
Il suo vero nome
Minimum Fax
A distanza di sette anni dal suo esordio letterario,
minimum fax propone Il suo vero nome, una
raccolta di racconti firmata Charles D’Ambrosio.
Un viaggio onirico, sospeso fra la vita e la morte.
Una scrittura intima, elegante, che culla il lettore
fra le ferite insanabili di un’esistenza tormentata.
Si parte dalla Punta, località di villeggiatura in cui
Kurt, piccolo e maturo Caronte, traghetta adulti
sbronzi e depressi a bordo del suo carrettino di
legno; passando per una stazione di servizio di
Carbondale, in compagnia di un ex marinaio e di
una ragazza che nasconde atroci sofferenze sotto
una stopposa parrucca di ricci; sino ai piedi del
monte Hood, dove il crudele silenzio della morte
echeggia fra le mura domestiche di un austero
casolare, rivelando la fragilità dei rapporti e
la violenza della disperazione. I ricordi di una
giovinezza dimenticata ed i segreti di infanzia,
attraversano le vite del ribelle John Torrence e
di suo padre, di Neal e Sarah, di Bobby e la sua
famiglia. Nelle parole di D’Ambrosio c’è tutto:
il dolore, la follia, l’amore, lo smarrimento e la
TONY SOZZO
Nolente
Lupo Editore
Torna Tony Sozzo, torna quel suo lavoro di
auscultazione interiore
che ci ha aveva conquistato nel suo precedente
L’eterna cosa peggiore.
Cresce Tony, cresce in
tutto. Cresce il protagonista delle sue storie, un
suo ego non molto alter,
forse più audace, forse
più estremo. Il vivere,
l’incapacità di farlo, la
quotidianità, le difficoltà
di una contemporaneità che sembra non essere
sensibile è tutta in Nolente. La vita normale, a
volte tanto da diventare invisibile. Le scelte i
gradini, a volte insormontabili che le età ci mettono davanti. Tutto questo è nella scrittura di
Tony, un romanzo di formazione, o meglio di crescita, come dicevamo. Anche la scrittura cresce,
dopo la pulizia e la compostezza, rara di questi
tempi, del primo romanzo Tony riesce a modellare la lingua affinandola ancora, perfezionandola.
Fa capolino una pungente ironia, che spezza il
ritmo, lascia respirare il lettore, lo solleva, prima
di affondare un colpa allo stomaco.
Osvaldo Piliego
speranza. Sette racconti che fotografano due
generazioni: la pazzia e la rassegnazione dei
padri, contro la saggezza ed il romanticismo dei
figli. Nella seconda parte di Lirismo, penultimo
racconto del libro, si riassapora lo stile asciutto
ed essenziale di uno dei grandi maestri della
short story. Dopo una camminata notturna
nel parco pubblico in Main Street, coperto da
una distesa dorata di neve, Potter assapora,
nel tepore del suo appartamento, una patata
al cartoccio che teneva nascosta nella tasca del
cappotto. La celebrazione dei piccoli gesti, mi ha
riportato alla mente la scrittura di Carver, ed in
particolar modo un racconto, L’idea. Una capacità
di trasmettere emozioni e sapori attraverso
poche parole perfettamente incastonate l’una con
l’altra, in grado di creare un’empatia fra lettore
e personaggio che avevo riscontrato in pochi
scrittori. Per questa e per mille altre ragioni, vi
consiglio di tuffarvi fra le pagine de Il suo vero
nome.
Roberto Conturso
LIBRI 49
VERSO SUD, SALENTO D’ACQUA
E DI TERRA ROSSA
fotografie Caterina Gerardi
testo Marilena Cataldini e Marina
Pizzarelli
Anima Mundi Edizioni
Il Salento che non ti immagini, quello che non vedi
se non lo cerchi, una terra da scoprire ancora una
volta viaggiando verso sud, fino all’estremo, fino a
dove è possibile. C’è, all’ombra di ciò che è secolare,
tanto altro che occhi attenti hanno catturato e parole
preziose hanno saputo raccontare. C’è un Salento che
non appartiene ai salentini, un Salento che altre vite
hanno vissuto e vivono, il Salento degli “altri”. Molti
non lo sanno ma da decenni questa terra è rifugio,
residenza, eremo. Ci sono angoli di questa terra che
sono cattedrali votate all’arte, al pensiero, al creare,
luoghi fisici e della mente al contempo. Una visione
illuminante raccontata da occhi stranieri, ma mai
estranei. Bellissima operazione quella di Verso
Sud, pubblicazione di Anima Mundi. Un viaggio
per immagini realizzate da Caterina Gerardi
accompagnate dai testi di Marilena Cataldini e
Marina Pizzarelli. Racconti di vite, di chi il Salento
lo ha adottato o si è lasciato adottare (artisti e
intellettuali), un’occasione per parlare di altro,
una ricognizione che esplora quello che si nasconde
dietro i muretti a secco. L’immagine che ne esce è
quella di un luogo in cui il tempo assume i contorni
non solo della lentezza, ma quelli del “ritorno”,
come dice nella sua introduzione Goffredo Fofi: “Gli
occhi degli altri sono indispensabili a comprendere
un luogo, anche per chi vi è nato e non ne è mai
partito. Ma non possono essere quelli del turista…
il Salento esige attenzione, continuità, scavo. Esige
ritorno”. Un’operazione, oltre che ben riuscita nella
confezione e nei contenuti, importante. Testimoniare
una nuova angolazione del nostro territorio,
cominciare a contemplare il contemporaneo oltre
che la tradizione è un omaggio alle sfumature di
una regione che può essere “acqua e terra rossa”.
Allegato al libro anche un dvd documentario con le
musiche di Nidi d’Arac. (O.P.)
50 LIBRI
Nasce una nuova casa editrice nel Salento e non
possiamo che salutarla con affetto e apprezzarne
il coraggio. Si chiama Bepress quasi volesse
rivendicare già appena nata il suo diritto
ad esistere oppure volesse essere l’altro lato
dell’editoria. Ne abbiamo parlato con i fondatori
Simone Rollo e Andrea Ferreri.
Come nasce l’idea di una casa editrice
“alternativa” come la vostra?
Più che alternativa Bepress è “in movimento”,
ovvero alla continua ricerca di scuotere un
ambiente che spesso si presenta obsoleto o
troppo commerciale. Questo stimolo al continuo
muoversi ci ha spinto, dopo diversi anni di
passione nel mondo dell’editoria, a realizzare il
sogno di avere una casa editrice tutta nostra.
Le vostre prime due uscite sono Ketamina
e Marijuana… Il progetto è quello di
realizzare un abecedario delle droghe. Ce
ne parlate?
La prima collana di Bepress è Acide Realtà.
Sicuramente è un argomento controverso del
quale è difficile parlare ma la nostra esperienza
ci porta a condividere le politiche internazionali
di riduzione del danno o più volgarmente di
educazione all’uso delle sostanze psicotrope. Con
i nostri lavori tentiamo di fornire ai consumatori
quell’informazione essenziale sui danni così come
sui semplici effetti delle sostanze psicotrope.
Tale approccio è inoltre utile agli operatori del
settore per aggiornare le proprie conoscenze
dall’ottica dell’insider, una visione dal di dentro,
dei perché, dei contesti e delle modalità del
consumo di droghe.
C’è un’idea “politica” o una filosofia alla
base del vostro progetto?
Bepress è un progetto in cui crediamo fortemente
e con cui vogliamo promuovere una cultura
aperta ed impegnata, la stessa che ci ha formati.
Non nascondiamo il nostro spiccato antagonismo
costruttivo nei confronti delle dinamiche
societarie che non ci piacciono, che possa essere
politico o filosofico, il nostro è un approccio
progressista e senza tabù.
Quali sono i libri, le collane in cantiere?
Oltre alla già citata Acide Realtà a breve
usciranno altri saggi di approfondimenti
sociologici e filosofici di estrema attualità,
manteniamo ancora un poco di riservatezza
sugli argomenti ma vi assicuriamo che saranno
libri esplosivi che manderanno in crisi di nervi
coloro che vorrebbero sommergere determinati
fenomeni. Abbiamo imparato il lavoro dal meglio
dell’underground italiano ed internazionale e di
conseguenza non avremo remore nel parlare di
droga, violenza, sub-culture, etc... Per capirci
meglio sul modo e sui contenuti, annunciamo
l’uscita di un tascabile del grande Philip Dick
con prefazione di Antonio Caronia.
Avete subito trovato un’ottima distribuzione, un inizio importante per chi sceglie di
diffondere il più possibile un messaggio…
Cosa significa fare editoria oggi per voi?
Lanciarsi nel mondo dell’editoria senza le dovute
basi è un azzardo, chiunque può stampare un
libro ma se l’obbiettivo è diffondere i contenuti
di ciò che si è pubblicato è fondamentale entrare
in un canale distributivo. Abbiamo alle spalle un
editore importante come Mimesis che insieme a
PDE ha creduto al nostro lavoro e così ci hanno
lanciati verso le librerie di tutta la nazione.
Per essere editori oggi crediamo ci sia bisogno
della passione che ci hanno trasmesso i nostri
precursori come Pierre dalla Vigna e Marco
Philopat, ed allo stesso tempo, tre caratteristiche
base: originalità, professionalità ed un tocco di
follia.
Una casa editrice salentina ma che ha
già orizzonti nazionali e non solo, a chi vi
rivolgete?
L’approccio di Bepress verso il pubblico è
assolutamente trasversale. Il linguaggio dei
nostri libri è studiato affinché possa essere
recepito da tutti nonostante i contenuti di
elevato spessore. Abbiamo scelto come base del
nostro progetto il Salento ma l’ottica di Bepress,
così come si deduce dai primi lavori, è globale a
tutti gli effetti.
Osvaldo Piliego
LIBRI 51
CINEMA TEATRO ARTE
DAL SALENTO
A ISTANBUL
Sulle frequenze di Radio Egnatia
La via Egnatia è un’antica strada latina che
rappresentava la naturale prosecuzione della
via Appia in Oriente. Nata per collegare le due
capitali dell’Impero, Roma e Costantinopoli
(l’attuale Istanbul), attraversava paesi e culture
diversissime fra loro, contribuendo a realizzare
uno dei primi esempi, ancora embrionali, di
quella che molti secoli dopo sarà chiamata
globalizzazione.
Un lungo viaggio che inizia dal Salento, dove
la spedizione guidata dall’artista napoletano
Matteo Fraterno raccoglie le caratteristiche
chianche, lastre di pietra che vengono lasciate
simbolicamente in ogni luogo lungo cui si snoda
la Via Egnatia, mentre la rassicurante voce
fuoricampo dell’attore Fabrizio Saccomanno
si preoccupa di mettere lo spettatore a proprio
agio. Si può partire.
Su quello stesso percorso nasce Radio Egnatia,
documentario in concorso al Torino Film Festival
nato da un’idea di Matteo Fraterno e Davide
Barletti che ne è anche regista e prodotto dal
Fluid Video Crew, Geco e Istituto delle Culture
Mediterranee con il sostegno di Apulia Film
Commission, Provincia di Lecce, Unione dei
Comuni della Grecìa Salentina e Regione Puglia.
La radio del titolo è un’emittente immaginaria,
sulle cui frequenze viaggiano spezzoni di
programmi che sono realmente andati in onda
nei territori che attraversano la via.
A Brindisi si fa la conoscenza della moglie di
Nicolino Gioia, attore italo-albanese considerato
il Mastroianni della Terra delle aquile; si rema
nel lago di Prespa, specchio d’acqua che si
affaccia su Albania, Grecia e Macedonia e perciò
detto il Lago dei tre confini; si canta in griko con
Niki, custode silenziosa di oltre duecento canti
della tradizione macedone.
52 cinema teatro arte
Durazzo, Salonicco, Xanti sono solo alcuni delle
tappe in cui ogni posto racchiude in se una
storia, una cultura, un incontro. Il dialogo è
LA PUGLIA A TORINO
dunque possibile, ed è proprio a questo che punta
il documentario che fa parte di una ricerca più
ampia sostenuta dal programma Cultura 2000
con l’aiuto di Stalker - Osservatorio Nomade
con partenariati in Francia, Grecia e Italia. A
questo film si affiancano una trasmissione radio,
otto episodi televisivi, due giornali e due guide
che completano un progetto volto a stringere
relazioni sorpassando qualsiasi confine etnico
e culturale. Quello che rimane è un grande
“monumento transnazionale”, dove ogni chianca
rappresenta una pietra di memoria, il segno di
un passaggio e di un legame.
Scorrendo queste immagini si ha la netta
sensazione di essere cittadini del mondo. Ci si
lascia facilmente alle spalle paure e pregiudizi
e si fa forte la percezione di come, malgrado i
proclami, la nostra società continui a fare passi
indietro. Ma anche di come nulla sia del tutto
perduto.
C. Michele Pierri
Radio Egnatia, il documentario di Davide Barletti
(nella foto), che sarà presentato anche al Festival
di Tirana e al Levante Film Festival di Bari,
non è stata l’unica pellicola pugliese presente a
Torino. Nella stessa sezione concorreva infatti
anche Leonardo di Paolo De Falco, mentre tra i
cortometraggi era presente Carlo Michele Schirinzi
(che al festival barese presenterà Oligarchico) con
Sonderbehandlung.
Leonardo, ambientato a Bari all’interno della
comunità degli immigrati cinesi, prodotto da Film
Grad e dalla Teca del Mediterraneo, con il sostegno
dell’Apulia Film Commission, racconta: “la realtà
della comunità cinese di Bari con inedita intimità,
attraverso un ricco intreccio di storie ed esperienze:
dal musicista alla famiglia di negozianti, dal
problema del permesso di soggiorno alle lezioni di
cinese a scuola. Uno spaccato che va oltre miti e
luoghi comuni”. E che testimonia la nascita di un
bambino cinese, Leonardo appunto, figlio di una
coppia mista. “Il suo futuro è un enigma”, dice De
Falco, “ma è quello di cui mi premeva parlare. Si
può fare un documentario sul futuro? Spesso i
documentaristi si occupano della storia passata,
della memoria. Io ho fatto questo lavoro pensando
sempre al futuro e l’incontro casuale ma anche
probabilmente cercato inconsciamente con diversi
bambini neonati, ne è per me una prova. Leonardo
sarà un uomo con un’identità frutto di un incrocio
di razze, ce ne sono stati tanti nella storia del
mondo, ma non so perché di fronte a lui mi sentivo
emozionato, attratto da questa sua condizione di
pioniere, di conquistatore di una terra diversa”.
In Sonderbehandlung, su una vecchia pellicola
scorrono le immagini di un incontro d’amore. L’uomo
e la donna sopravvivono al passare del tempo che
segna ed erode il film. Intanto, fuori dalla stanza
scorre il presente, con le automobili che sfrecciano e
la pioggia che cade incessante, mentre un lampione
illumina la notte. Sul finale, le note di Selene
di Domenico Modugno interrompono il silenzio.
Sonderbehandlung è un termine utilizzato dalle SS
che significa “trattamento speciale” e indicava la
morte nelle camere a gas.
cinema teatro arte 53
TEATRI ABITATI
I Radiodervish al Castello di Sannicandro
Workshop, laboratori, presentazioni, incontri,
concerti, eventi: dal 3 ottobre scorso i Radiodervish,
ossia Nabil Salameh e Michele Lobaccaro (nella
foto), nel castello Normanno Svevo di Sannicandro
di Bari stanno portando avanti una interessante
residenza nell’ambito del progetto Teatri Abitati.
Le porte dell’Occidente, infatti, si svilupperà
come un grande laboratorio in cui i Radiodervish
metteranno a disposizione il loro universo
artistico come strumento attraverso il quale poter
partecipare al processo creativo che si concluderà
alla fine del 2009 con la produzione del nuovo
disco e del nuovo spettacolo legato ad esso.
Nei prossimi mesi il castello si trasformerà in un
centro polifunzionale dedicato alla musica e alle
arti, luogo privilegiato di incontro e dialogo fra
culture diverse, come da tradizione nella storia
ormai ventennale del gruppo barese.
La residenza ha già ospitato la scrittrice Igiaba
Scego, due serate dedicate a visioni e passaggi
(videodervish) con la partecipazione dei registi
Pippo Mezzapesa e Michelangelo Severgnini,
un workshop sulla musica per film con Giovanni
Guardi (Fandango) e Pasquale Catalano (autore
di colonne sonore).
Mercoledì 3 dicembre (ore 21.00) la cantante
siciliana Etta Scollo presenterà il suo ultimo cd Il
54 cinema teatro arte
fiore splendente.
Giovedì 11 dicembre (ore 21.00) spazio a U(ma)
niversi a cura di Enzo Mansueto. Una serata
di poesia e musica volta a esplorare i profondi
universi che accomunano questi arcaici, atavici,
eroici umani versi.
Mercoledì 17 dicembre (ore 21.00 - ingresso 12
euro) l’anno si chiude Con le radici al cielo, un
omaggio a Mahmud Darwish. Un progetto speciale
dei Radiodervish dedicato allo scrittore scomparso
il 9 agosto 2008. Brani dei Radiodervish e letture
di testi e poesie di Darwish per uno spettacolo che
rende omaggio all’opera e alla vita di un grande
poeta.
Il progetto Teatri Abitati proposto dal Teatro
Pubblico Pugliese, finanziato attraverso l’Accordo
di Programma Quadro “Sensi Contemporanei”
per la promozione e diffusione dell’arte
contemporanea e la valorizzazione di contesti
architettonici e urbanistici nelle Regioni del
Sud Italia sottoscritto dalla Regione Puglia,
Assessorato al Mediterraneo, dal Ministero dello
Sviluppo Economico, dal Ministero per i Beni e le
Attività Culturali.
Info myspace.com/leportedelloccidente
080.555.99.87
IL CENTRO
DEL DISCORSO
MANNAGGIA
‘A MORT’
AL PREMIO
SCENARIO
Mannaggia a’ mort di Principio Attivo Teatro,
un gruppo teatrale di San Cesario di Lecce, il 5
e 6 novembre scorsi ha partecipato a Parma alla
finale del Premio Scenario Infanzia.
Lo spettacolo, di e con Giuseppe Semeraro e
Dario Cadei, con musica originale dal vivo di
Raffaele Vasquez, ha riscosso notevole successo.
In questa edizione del Premio Scenario Infanzia
erano stati presentati inizialmente 85 progetti,
di cui solo 21 erano stati scelti per una prima
selezione svoltasi a Cascina verso fine settembre.
In finale erano stati selezionati invece otto
lavori. “Lo spettacolo”, spiega l’autore Giuseppe
Semeraro “si presenta come un sogno, un incubo
forse un gioco condotto con un linguaggio che
ricorda un cartone animato in bianco e nero o
un film muto anni ’20”. Due attori in carne e
ossa si danno battaglia intorno a un quadrato
bianco, ideale stanza di mattoni invisibili. I
personaggi, un uomo, un palloncino e la morte
sono protagonisti di surreali e divertenti gag
accompagnate dalle diavolerie acustiche di un
musicista che scolpisce lo spazio scenico con
ritmo e poesia. Le divertenti dinamiche tra i due
protagonisti diventano pian piano una danza
liberatoria e coinvolgente.
Da venerdì 5 a domenica 7 dicembre si apre
con una serie di incontri, seminari e spettacoli
la prima edizione del premio nazionale di
drammaturgia contemporanea “Il Centro del
Discorso”, promosso dall’Associazione Culturale
Induma.
Il programma prende il via venerdì 5 dicembre
alle ore 18.00 press le Officine Cantelmo di
Lecce con un incontro preliminare e un buffet.
A seguire, nell’ambito del progetto Puglia Night
Parade, andranno in scena il reading “Groppi
d’amore nella scuraglia” di Tiziano Scarpa con
Tiziano Scarpa e Fabrizio Parenti (alle ore 20.00
presso Palazzo Adorno - ingresso gratuito) e lo
spettacolo Ecce Robot. Cronaca di un’invasione
di e con Daniele Timpano, Amnesia Vivace
(ore 23.00 presso le Officine Cantelmo - ingresso
gratuito).
Sabato 6 dicembre dalle 10.00 alle ore 13.00
prima sessione di incontri con gli “Arrivi al centro
del discorso” dal titolo Qual è il centro del
discorso? A cosa serve la drammaturgia?.
Dalle 15.30 alle 20.00 invece le “Partenze” dal
centro del discorso con Percorsi, strategie e vie
di fuga. Cosa possiamo fare perché il discorso
continui?.
Domenica 7 dicembre dalle 10.00 alle 13.00
“Uscite” dall’autostrada dentro alle cervella altri
tragitti del “pensare da sé” e infine dalle 16.00
letture, conversazioni e festa finale. Agli incontri
(per info 338 3479431) partecipano attori, registi,
scrittori, autori, drammaturgi, giornalisti e
operatori tra i quali: Miguel Acebes, Marco
Andreoli, Sonia Antinori, Fabrizio Arcuri, Dario
Cadei, Manuela Cherubini, Massimiliano Civica,
Roberto Corradino, Mimma Gallina, Giovanni
Giovanetti, Graziano Graziani, Alessandro
Langiu, Mauro Marino, Otto Marco Mercante,
Pietro Minniti, Antonio Moresco, Fabrizio
Parenti, Andrea Porcheddu, Luca Ricci, Roberto
Ricco, Letizia Russo, Tiziano Scarpa, Giuseppe
Semeraro, Claudio Suzzi, Antonio Tarantino,
Daniele Timpano, Katharina Trabert, Vitaliano
Trevisan, Clarissa Veronico, Nicola Viesti e gli
abitanti delle Manifatture Knos.
Il bando del Premio (le iscrizioni scadono il 15
gennaio) è on line sul sito www.manifattureknos.
org.
cinema teatro arte 55
EVENTI
DAL 5 AL 7 DICEMBRE
Puglia Night Parade a Bari, Brindisi, Foggia,
Lecce, Taranto, Barletta, Andria, Alberobello e
Castel del Monte
La Puglia diventa il più grande palcoscenico
a cielo aperto del mondo. Dal 5 al 7 dicembre,
infatti, Puglia Night Parade metterà in scena più
di 80 spettacoli, il meglio degli artisti di strada,
danza, teatro, musica e concerti, in un sapiente
mix fra turismo, cultura e intrattenimento. Info e
programma su www.viaggiareinpuglia.it
SABATO 6
David Rodigan dj set al New Demodè di Bari
Rodigan ancora oggi mantiene intatto lo stesso
entusiasmo per la musica di quando aveva 15
anni, e risparmiava soldi per comprarsi dischetti
come “My boy lollipop” di Millie Small. Un’energia
incontenibile, vitale e contagiosa... unita ad una
competenza e professionalità immensa.
Giovanni Lindo Ferretti a Galatina (Le)
Giobbe Covatta a Lecce
DOMENICA 7
Paolo Conte al Teatro Politeama Greco di Lecce
Dimebag Darrell tribute all’Istanbul Cafè di
Squinzano (le)
DAL 7 AL 13 DICEMBRE
Controfestival a Bari
Quest’anno il Controfestival giunto al suo settimo
anno cambia e si rinnova. 48 ore di musica live, 96
realtà artistiche tra musicisti, registi, fotografi e
pittori,non più in un unico luogo. Questa stagione
il Controfestival dura una settimana e si svolge in
luoghi differenti. Un festival itinerante per la città
di Bari che parte il 7 dicembre presso il Fortino
di Bari (Controfestival Lounge) per continuare
in alcuni pub della città (Storie del Vecchio Sud,
Taverna del Maltese, Dublin, Matisse), quindi
l’Auditorium Marco Demitrio, sede di Controradio,
per concludersi il 13 al Demodè per il Cube. Il
tutto come sempre in diretta su Controradio Bari.
Per iscriversi potete inviare una mail di adesione
con i vostri dati a [email protected]
LUNEDÌ 8 E MARTEDÌ 9
Comicult ad Acaya (Le)
L’obiettivo fondamentale della Fiera è quello
di promuovere la cultura legata al mondo della
“Nona Arte” e, contemporaneamente, fornire
un interscambio con altre culture, attraverso la
partecipazione di ospiti stranieri di alto livello
e la creazione di dibattiti sull’Arte Fumettistica
nel mondo. La particolarità di ComicCult rispetto
ad altre fiere del settore, quindi, sarà quella di
prevedere una sorta di gemellaggio tra fumetto
italiano e manga e, mediante esso, tra la cultura
italiana e quella giapponese in termini più ampi.
Info www.comiccult.net
LUNEDÌ 8
Supertele ai Cantieri Koreja di Lecce
Alle ore 16:30, nel foyer dei Cantieri Teatrali
Koreja di Lecce, si inaugura la mostra “Supertele”
di Michele Giangrande, secondo appuntamento
del progetto Passages arte architettura design
curato da Marco Petroni. La mostra sarà
introdotta da una conversazione sul tema “Tra
arte e design. Storia di due storie”. Partecipano
Antonella Marino – critico d’arte Repubblica Bari,
Marco Petroni – curatore e critico di architettura
e design Repubblica Bari e l’artista Michele
Giangrande. Ingresso libero.
Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le)
Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live
itinerante dedicato ai musicisti appassionati di
tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento
garantito. Ingresso gratuito.
LUNEDÌ 8 E MARTEDÌ 9
Ex Amleto ai Cantieri Koreja di Lecce
LUNEDÌ 8 A MERCOLEDÌ 10
Beckett suite a Calimera (Le)
Nell’ambito del progetto Teatri Abitati presso
il Teatro Elio di Calimera sarà presentato al
pubblico lo spettacolo di Astràgali teatro Beckett
Suite, per la regia di Fabio Tolledi. Lo spettacolo,
basato su alcuni dramaticules dello scrittore
Premio Nobel Samuel Beckett, immetterà gli
spettatori nelle straordinarie visioni beckettiane,
e vedrà un allestimento speciale che trasformerà
lo spazio teatrale. Ingresso gratuito. Sipario ore
21.00
MARTEDÌ 9
Anna Oxa (Le voci dell’anima) alla Chiesa della
Natività di Nostro Signore di Bari
Serata Emergency al Jack’n Jill di Cutrofiano
(Le)
Music For Rights avrà inizio alle 21.00 con una
“Cena per Emergency” in collaborazione con il
Jack’n Jill. Si continuerà poi con la Jam session
a partire dalle 23.00 circa. Ci saranno tanti
eventi 57
musicisti, circa una trentina! Qualche nome:
Raffaele Casarano, Combass, Salvatore Cafiero,
Davide Mercaldi, Michele Minerva, Andrea
Sabatino, Luigi Bruno, Mauro Tre, Michele
D’Elia, Francesco del Prete e molti altri.. Info e
prenotazioni al 329/2273200
MERCOLEDÌ 10
Rosapaeda con Gabriele Mirabassi e Riccardo
Tesi presenta Mistica del canto d’amore (Le voci
dell’anima) alla Chiesa del Salvatore di Bari
Jam Session al Gruit di Brindisi
Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live
itinerante dedicato ai musicisti appassionati di
tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento
garantito. Ingresso gratuito.
GIOVEDÌ 11
Rfc al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco con Collegium
Musicum diretto da Rino Marrone in La tua voce
è soave (Le voci dell’anima) alla Chiesa San
Francesco d’Assisi di Bari
Queimada al Goldoni di Brindisi
GIOVEDÌ 11 e VENERDÌ 12
Vinicio Capossela al Politeama Greco di Lecce
DA GIOVEDÌ 11 A SABATO 13
La poesia detta al Fondo Verri di Lecce
VENERDÌ 12 E SABATO 13
Paladini di Francia ai Cantieri Koreja di Lecce
Lo spettacolo di Francesco Niccolini per la regia di
Enzo Toma dedicato a Che cosa sono le nuvole? di
Pier Paolo Pasolini è una delle nuove produzioni
della compagnia Koreja. Ingresso 12 euro. Sipario
ore 20.45. Info 0832242000.
VENERDÌ 12
Banda elastica Pelizza a Novoli (le)
La rassegna Tele e Ragnatele della Saletta della
Cultura di Novoli (Le) prosegue con La Banda
Elastica Pellizza (per semplicità BEP). Nasce
alla fine del 2003 da un iniziativa di Daniele
Pelizzari (chitarra e voce) ed Alessandro Aramu
(basso). Dopo alcuni avvicendamenti la BEP si
stabilizza nella attuale formazione a cinque, con
Paolo Rigotto (batteria e cori), “Bati” Bertolio
58 EVENTI
(fisarmonica) e Andrea Sicurella (chitarre e
fiati). Autore e compositore della BEP è Daniele
Pellizzari che scrive canzoni da ascoltare e riascoltare più volte e molto volentieri, atmosfere,
diverse tra loro, di cui innamorarsi facilmente e
sinceramente e legate da una voce dai timbri caldi
ed affascinanti. Storie minimali, a volte ironiche e
sul filo del surreale, a volte profonde ma fresche,
leggere di spirito e mai banali, per cantare di
mondi che d’abitudine non fan la voce grossa,
e per questo passano spesso inosservati. Per
loro e nostra e vostra fortuna. Storie raccontate
con indiscutibile originalità, vero talento e una
maturità non consueta. Ingresso 5 euro. Inizio ore
21.30.
Mauro Tre e Fabio Capone alla Svolta di Lecce
Venerdì 12 dicembre a Lecce la serata si colora d
blue. Inaugura infatti Svolta. Un nuovo ristorante
e jazz bar che si presenta con una ricetta i cui
ingredienti principali sono il connubio tra la cucina
semplice, rispettosa dei cicli naturali degli alimenti,
e la musica jazz. In questo primo appuntamento
dalle 21.30 si possono gustare alcuni dei piatti
e vini proposti sul menù in presentazione al
pubblico accompagnati dall’esperienza di Mauro
Tre e Fabio Capone. Ingresso gratuito. Svolta è in
Via XX Settembre 5/A (ex Moi Moi) a Lecce. Info
329 8455974 - 3924300512
Ballake Sissokò, Driss El Maloumi e Rajery (Le
voci dell’anima) alla Chiesa di San Marcello di
Bari
Afterhours al New Demodè di Bari
Baciamolemani al Glamour di Taviano (le)
SABATO 13
Capitan Quentin ai Sotterranei di Copertino (Le)
Ballarock all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)
Chemirani ensemble – Nel cuore d’oriente: intrecci
sonori dalla Persia (Le voci dell’anima) alla
Chiesa di San Sabino
Festa della vite con Locomotive Percussion Project
a Novoli (Le)
La “Locomotive Percussion Project” è un’orchestra
costituita da sole percussioni. Presente anche il
canto nella sua forma più completa, in quanto
elemento di comunicazione, ed espressione
artistica, di tutte le culture musicali. Lo spettacolo
della “Locomotive Percussion” nasce da un’idea di
Alessandro Monteduro, ed è il prodotto di vari
ingredienti ben miscelati. Gli arrangiamenti dei
fiati sono a cura di Raffaele Casarano, nonché
direttore artistico del progetto “Locomotive Jazz
Festival”, ed a condividere con lui il sound, ci
saranno Andrea Sabatino e Vincenzo Presta.
Dai ritmi della Locomotive Percussion diretta da
Giovanni Imparato e dalle coreografie di danza
afro di Sissi Chiummo si sprigionerà l’essenza
istintiva del movimento primitivo. Ingresso
gratuito.
Paolo Vincenti presenta Danze moderne (I tempi
cambiano) a Sannicola (Le)
DOMENICA 14
La Mirabile Visione. Frammenti da La Vita Nuova
di Dante Alighieri ai Sotterranei di Copertino
(Le)
The Papiers al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
LUNEDÌ 15
Nicola Lagioia - Maurizio Rippa in the king is
dead. Long live the king! (Le voci dell’anima)
all’Auditorium Diocesano Vallisa di Bari
Qualibò al Teatro Elio di Calimera
Le iniziative della rassegna Teatri Abitati,
coordinata da Astragali, continuano con lo
spettacolo Partitura privata della compagnia di
danza Qualibò, finalista Premio Scenario 2005 e
vincitrice di altri importanti riconoscimenti, che
partendo dalla suggestione iconografica della
pittura di Lucian Freud, proporrà uno spettacolo
tra teatro, danza e arti visive. Inizio ore 21.00.
Ingresso gratuito.
LUNEDÌ 15 DICEMBRE
Mathurin Bolze in Ali al Teatro Kismet OperA di
Bari
MARTEDÌ 16 E MERCOLEDÌ 17
Mathurin Bolze in Ali presso Istituto Penale per i
Minorenni “N. Fornelli” di Bari
MARTEDÌ 16
Thierry ‘Titi’ Robin e Alezane (Le voci dell’anima)
alla Chiesa del SS Redentore di Bari
Jam Session al Joyce di Lecce
Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live
itinerante dedicato ai musicisti appassionati di
tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento
garantito. Ingresso gratuito.
MERCOLEDÌ 17
Nasca Teatri Di Terra presenta Studi Sparsi al
Caffè Letterario di Lecce
GIOVEDÌ 18
The Warlus, Garnet e Straneffetto al Jack’n Jill di
Cutrofiano (Le)
Ambrogio Sparagna con Peppe Servillo, Simone
Cristicchi e Alessia Tondo in La Chiarastella (Le
voci dell’anima) alla Chiesa di San Paolo di Bari
Casador al Goldoni di Brindisi
VENERDÌ 19 E SABATO 20 DICEMBRE
La Passione delle troiane ai Cantieri Koreja di
Lecce
Lacrime di donne, lamenti strazianti e canti
intonati per raccontare una perdita. La tragedia
vissuta da una madre che perde troppo presto un
figlio. La tragedia di Andromaca che vede morire
per mano greca il figlio Astianatte e la disperazione
della Vergine di fronte alla crocifissione di Cristo.
La Passione delle Troiane si pone come frutto
della commistione tra Le Troiane di Euripide
e il tema della Passione di Cristo, scegliendo di
adottare come modalità narrativa le moroloja,
SINO AL 31 DICEMBRE
Wildlife Photographer of the Year al Palazzo
Ducale di San Cesario di Lecce
La mostra curata da BBC, Museo di Storia
Naturale di Londra e Manifatture Knos, è unica
al mondo e scaturisce da un concorso fotografico
internazionale sulle più belle immagini
naturalistiche scattate in tutto il mondo e divenuta
negli anni un appuntamento imperdibile per tutti
coloro che amano la natura nella sua dimensione
più spontanea e incontaminata. Il Wildlife
Photographer of the Year è infatti il più prestigioso
concorso internazionale per la fotografia a soggetto
naturalistico, ideato e organizzato ogni anno dalle
più importanti istituzioni britanniche impegnate
nella salvaguardia della natura: il Natural History
Museum e il BBC Wildlife Magazine.
Apertura: mar/dom. - ore 17.00/20.00; dom.
11.00/13.00 (lunedì chiuso). Ingresso 2 euro
Info: [email protected];
www.manifattureknos.org
nenie funebri appartenenti alla tradizione grika.
La regia è di Antonio Pizzicato e Salvatore
Tramacere. Ingresso 12 euro. Sipario ore 20.45.
Info 0832242000.
VENERDÌ 19
Arianna Savall in Bella Terra, Canti Da Nord
a Sud (Le voci dell’anima) alla Chiesa Mater
Ecclesiae di Bari
Casador alla Saletta della Cultura di Novoli (Le)
Tele e ragnatele ospita i Casador. Dopo i due album
solisti Colonia Paradi’es (1999) e Nema Fictione
(2006) Alessandro Raina presenta in anteprima
assoluta in versione acustica di Casador, nuovo
capitolo in inglese del cantautore già voce dei
Giardini di Mirò ed oggi alla guida degli Amor
eventi 59
Fou. Negli ultimi due anni l’attività da solista
di Alessandro Raina lo ha portato a collezionare
numerosissime apparizioni live, aprendo i concerti
di Wilco, Piano Magic, Shannon Wright, Elvis
Perkins, Piers Faccini ed altri fra i principali
nomi della scena alternativa internazionale. Il
disco d’esordio di Casador, registrato fra Milano,
Siracusa e Parigi vedrà la luce nel 2009. Ingresso
5 euro. Inizio ore 21.30
SABATO 20
Winter Party a Lecce
Torna puntuale come il Natale la grande festa con
tutti i dj di Coolclub. Quest’anno l’appuntamento
è nelle nuovissime Officine Cantelmo. Tutte le
info su www.coolclub.it
Francesco Del Prete presenta Corpi d’arco allo
Spazio Sociale Zei di Lecce
Marco Bardoscia e Alberto Parmegiani ai
Sotterranei di Copertino (Le)
Arvo Pärt con Ensemble Vox Clamantis e Cello
Octet Amsterdam in Alleluia Tropus presso la
Cattedrale di Bari
DOMENICA 21
Gipsy Night ai Cantieri Koreja di Lecce
LUNEDÌ 22
dj Chiara Spata al Caffè Letterario di Lecce
Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le)
MARTEDÌ 23
Tobia Lamare e The Sellers all’Istanbul Cafè di
Squinzano (Le)
Concerto della nuova band capitanata dal
cantante e chitarrista Tobia Lamare che si muove
tra folk e rock. A seguire selezioni del dj dal ciuffo
ribello nel consueto viaggio sonoro tra rock, punk,
soul, indie.
Logo al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
Sul palco uno dei migliori
gruppi della scena salentina, i
Logo. L’idea parte da Stefano
Scuro (voce e chitarra) e
da alcuni brani scritti e
poi arrangiati insieme al
resto della formazione che
si è andata delineando
con Salvatore Cafiero alla
chitarra, Andrea Caputo
al basso, Davide Mercaldi
alla batteria. Dal punto di
vista artistico e musicale,
i brani sono di chiara
estrazione rock, ma con
influenze di vario tipo, dalle
sonorità “alternative” al “british”, dalle melodie
all’italiana a sonorità “indie-pop rock”; una
miscela di soluzioni derivanti dalle varie e diverse
provenienze artistiche dei singoli elementi.
GIOVEDÌ 25
Postman Ultrachic all’Istanbul Cafè di Squinzano
60 EVENTI
(Le)
VENERDÌ 26
Pierpaolo Leo ai Sotterranei di Copertino (Le)
Livio Minafra per Le mani e l’ascolto al Fondo
Verri di Lecce
P40 al Glamour di Taviano (Le)
DA VENERDÌ 26 A DOMENICA 28
AlterNatale al Kismet e al Demodè di Bari
Una rassegna multidisciplinare di tre giorni al
Kismet di Bari, con after party finale presso il
Demodè di Modugno, in collaborazione con Libera
- Associazioni Nomi e Numeri Contro le mafie,
patrocinata da Regione Puglia, Provincia di Bari,
Comune di Bari e Università degli studi di Bari.
Accanto alla line up artistica, che pesca dalla
scena indipendente italiana - Le luci della
centrale elettrica. Lucariello, Beatrice Antolini,
NoBraino, Fabryka, PoogliaTribe - la rassegna
si caratterizza per la sensibilità verso temi di
rilevanza sociale, come lotta alle mafie e sicurezza
stradale, in collaborazione con i partner coinvolti.
Info [email protected]
SABATO 27
Le Luci della Centrale elettrica alla Saletta della
Cultura di Novoli (Le)
Tele e Ragnatele 2008 si chiude con il concerto di
uno degli esordi cantautoriali italiani più belli del
2008, ovvero il giovane ferrarese Vasco Brondi ed
il suo progetto “Le Luci della Centrale Elettrica”:
voce roca e chitarra che malinconicamente narrano
le vite di provincia tutte uguali. Vasco sarà
accompagnato alla chitarra da Giorgio Canali, che
ha anche prodotto il suo disco d’esordio “Canzoni
da spiaggia deturpatata”, premiato con la Targa
Tenco come miglior esordio. Vasco Brondi,
ventiquattrenne ferrarese, propone un progetto di
cantautorato denuclearizzato.
Aim a Taviano (Le)
Andrea Baccassino e Luigi Mariano – Omaggio a
Gaber ai Sotterranei di Copertino (Le)
Nicola Conte Jazz Combo al Teatro Piccinni di
Bari
Dj, produttore e remixer di culto nella scena
internazionale nu-jazz, Nicola Conte è da
oltre dieci anni sinonimo di qualità musicale,
competenza e stile. Il nuovo album “Rituals”
uscito a ottobre 2008 è già un classico!
Colle der formento all’Istanbul Cafè di Squinzano
(Le)
Il Colle Der Fomento nasce a Roma nel 1994
dall’incontro di Masito e Danno, due giovani
rapper capitolini, con Ice One, figura chiave
dell’old school italiana. In un momento in cui
l’hip hop è sulla bocca di tutti, in cui le major
discografiche fanno a gara per trovare il nuovo
fenomeno di turno, il Colle Der Fomento, forte
della sua storia e del suo vastissimo fans-base è
uscito l’anno scorso con un disco totalmente dal
basso ma con un’attitudine e un “suono” che sa
di grandi produzioni internazionali. In apertura
Resina Sonora e Sfritti Mistici.
DOMENICA 28
L’Enfance Rouge ai Sotterranei di Copertino (Le)
Nicola Conte Jazz Combo al Teatro Piccinni di
Bari
Bandadriatica a Zollino (Le)
Evillive, Foreshadowing e Silvered all’Istanbul
Cafè di Squinzano (le)
Jam Session all’Underground di Castro (Le)
Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live
itinerante dedicato ai musicisti appassionati di
tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento
garantito. Ingresso gratuito.
LUNEDÌ 29
Beatrice Antolini a Lecce
Il primo disco Big saloon pubblicato dalla regina
della psichedelica italiana Madcap records
conquistò tutti con la sua freschezza, il suo
fascino un po’ retrò e al contempo modernissimo.
Beatrice Antolini si è subito distinta come
un’artista capace di stendere un crossover
tra i generi mantenendo un’ispirazione e uno
stile assolutamente personale. Dopo le sue
collaborazioni con Baustelle, Bugo è uscito A
Due il suo nuovo, bellissimo, disco licenziato da
Urtovox. Il concerto è alle Officine Cantelmo di
Lecce. Info www.coolclub.it
Aim all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le)
Brown Sugar Blues Band ai Sotterranei di
Copertino (Le)
Domenico Protino per Le mani e l’ascolto al Fondo
Verri di Lecce
Triace a Martignano (Le)
La musica popolare, attraverso il progetto Triace,
si apre a nuove ricerche sonore, alla scoperta
di nuove e suggestive atmosfere. Triace, è la
simbiosi tra la vocalità tradizionale salentina e i
suoni più contemporanei, gli strumenti ricercano
continuamente insieme alle voci. Lo Spettacolo
e il cd (pubblicato da Anima Mundi) di Triace
si propone sul filo dell’emozione trascinando il
pubblico in un mondo ricco di sonorità e di ritmi
avvolgenti. Il progetto prende il titolo dalla
canzone “Sebben che siamo Donne” strofette
popolari nate tra il 1900 e il 1914 ed entrate
stabilmente nel repertorio delle mondine.
Questa è la prima canzone di lotta proletaria
al femminile, una significativa testimonianza
dell’evoluzione politica della donna lavoratrice.
Da questo parte il progetto Triace e ripercorre
i canti popolari dal Salento alle Mondine. Solo
geograficamente distante ma sia le “Tabacchine”
sia le “Mondine” sono donne che da sempre hanno
lavorato nei campi, nelle monde per offrire la
loro manodopera e che dopo una lunga e faticosa
giornata lavorativa tornano a casa a fare le mogli
a fare le madri. Triace sono: Emanuela Gabrieli,
Alessia Tondo e Carla Petrachi (voce), Giorgia
Santoro (flauto), Adolfo La Volpe (chitarre), Vito
De Lorenzi (percussioni).
La mela e Newton + Zeder al Goldoni di Brindisi
MARTEDÌ 30
Dirty Trainload ai Sotterranei di Copertino (Le)
Cucuwawa al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
Il suono del pedale della grancassa di una batteria,
quel suono che dà la spinta alla musica, unita alle
graffianti chitarre. È da questo che i Cucuwawa
prendono il loro nome, da questa unione tra il
ritmo e la melodia. La band nasce nel 2001 dalla
fusione di due gruppi: uno rock’n’roll e l’altro beat.
Dopo lo stop di più di un anno per creare nuovi
brani dalla carica rock e che li vede completamente
discostarsi dal reggae e la patchanka, i Cucuwawa
sono tornati per far divertire ancora una volta il
loro pubblico.
Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le)
SABATO 3 GENNAIO
Giorgio Distante e Dario Congedo ai Sotterranei
di Copertino (Le)
DOMENICA 4
La corrida al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
LUNEDÌ 5
Jam Session all’Agon Club di Galatina (Le)
Roberta & Carlo presentano Jam Session, un live
itinerante dedicato ai musicisti appassionati di
tutti i generi. Strumenti residenti e divertimento
garantito. Ingresso gratuito.
GIOVEDÌ 8
Ghigni five al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
Pensieri in volgare al Goldoni di Brindisi
VENERDÌ 9
Bubble Bullet e Ensef ai Sotterranei di Copertino
(Le)
GIOVEDÌ 15
Simone Perrone al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
Luca Gemma al Goldoni di Brindisi
VENERDÌ 16
Linea [from FFD] ai Sotterranei di Copertino
(Le)
SABATO 17 E DOMENICA 18 GENNAIO
Paradise 2 – il suono incessante di un albero
caduto e Maglie al Teatro Kismet OperA di Bari
MERCOLEDÌ 21
Ippolito Chiarello legge “Il Naso” di Gogol al Caffè
Letterario di Lecce
GIOVEDÌ 22
Acoustic Trio al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
One Way Ticket al Goldoni di Brindisi
VENERDÌ 23 E SABATO 24
Pathosformel. La timidezza delle ossa e Ritratto
felice al Teatro Kismet OperA di Bari
GIOVEDÌ 29
Brown Sugar al Jack’n Jill di Cutrofiano (Le)
VENERDÌ 30
Squarcicatrici ai Sotterranei di Copertino (Le)
TORNA ITALIA WAVE LOVE FESTIVAL
Dopo l’enorme successo dell’anno scorso - oltre
2.000 iscrizioni - ripartono anche per il 2009 i
concorsi della fondazione Arezzo Wave Italia per
tutti gli artisti emergenti d’Italia. Come sempre
la partecipazione è gratuita ed aperta a band, dj
producer, vj e progetti audio/video che vogliono
esibirsi sui palchi della prossima edizione di
Italia Wave Love Festival che si terrà a Livorno
dal 16 al 19 Luglio. Tutti i regolamenti e le
modalità di iscrizione dei concorsi sono on line su
www.italiawave.com. Le iscrizioni scadono il 15
gennaio.
DOVE TROVO COOLCLUB.IT?
Coolclub.it si trova in molti locali, librerie, negozi
di dischi, biblioteche, mediateche, internet point.
Se volete diventare un punto di distribuzione di
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Lecce (Manifatture Knos, Caffè Letterario,
Cagliostro, Circoletto Arcimondi, Arci Zei,
Libreria Palmieri, Liberrima, Libreria Apuliae,
Ergot, Pick Up, Libreria Icaro, Fondo Verri, Negra
Tomasa, Road 66, Shui bar, Cantieri Teatrali
Koreja, Santa Cruz, Molly Malone, La Movida,
Biblioteca Provinciale N. Bernardini, Museo
Provinciale Sigismondo Castromediano, Edicola
Bla bla, Urp Lecce, Castello Carlo V, Torre di
Merlino, Trumpet, Orient Express, Euro bar, Cts,
Ateneo - Palazzo Codacci Pisanelli, Sperimentale
Tabacchi, Palazzo Parlangeli, Buon Pastore,
Ecotekne, La Stecca, Bar Rosso e Nero, Pizzeria
il Quadrifoglio, Associazione Tha Piaza Don
Chisciotte), Calimera (Cinema Elio), Cutrofiano
(Jack’n Jill), Gallipoli (Libreria Cube), Maglie
(Libreria Europa, Music Empire), Melpignano
(Mediateca), Corigliano D’Otranto (Kalos
Irtate), Otranto (Anima Mundi), Alessano
(Libreria Idrusa), Galatina (Palazzo della
Cultura), Nardò (Libreria i volatori), Leverano
(Enos), Novoli (Saletta della Cultura Gregorio
Vetrugno), Squinzano (Istanbul Cafè), Ugento
(Sinatra Hole), Brindisi (Libreria Camera a Sud,
Goldoni, Birdy Shop), Ceglie (Royal Oak), Erchie
(Bar Fellini), Torre Colimena (Pokame pub),
Oria (Talee), Bari (Taverna del Maltese, Caffè
Nero, Feltrinelli, Kismet teatro, New Demodè,
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