Roma, si inaugura la mostra “Fotografare, Suonare, Amare” di Federico Aniballi di Stefania Taruffi Inaugura a Roma il 19 dicembre dalle 17 alle 22, con ingresso libero, un’interessante mostra dal titolo “Fotografare, Suonare, Amare” del fotografo Federico Aniballi. Saranno esposti 43 scatti di vario formato. Le istantanee che si susseguono rappresentano una vera e propria carrellata di ritratti di grandi artisti che operano nel panorama musicale italiano tra i quali: Simone Cristicchi, Niccolò Fabi, Paolo Benvegnù, Roberto Angelini, Nobraino, Pier Cortese, Awa Ly e Massimo Giangrande, Andrea Di Cesare, Lara Martelli, Mokadelic, Valentina Lupi, The Surfadelic, David William Caruso, Giovanni Di Cosimo e Dieci Unità Sonanti. Ogni giornata avrà come ospite almeno uno tra i cantanti fotografati. La manifestazione avrà come colonna sonora i classici del loro repertorio, più improvvisate jam session. Il progetto nasce dalla collaborazione feconda tra Federico Aniballi e Roberto Guido, curatore della mostra, il quale afferma che: “la musica e la fotografia sono due forme d’arte che per loro natura stimolano due sensi diversi: l’udito e la vista. Quando ascolti una canzone però non porgi solo l’orecchio, ma di fatto vibri insieme con ogni nota; e quando osservi una foto, non vedi solo forme e colori, ma anche le emozioni che animano quella carta opaca. Allora forse c’è un altro senso, più acuto e raffinato che governa gli altri due: è il senso dell’amore, ragione di ogni vita, massima espressione di qualunque forma d’arte”. Questo avviene negli scatti di Aniballi che, come afferma il curatore: “prima di essere un bravo fotografo è uno psicologo, incline per natura e competenza a cogliere le sfumature dell’animo umano”. Federico Aniballi Federico infatti nella vita, oltre a essere un romanziere e opinionista televisivo e da alcuni anni attivo sul fronte della fotografia, è in primo luogo uno psicologo clinico. La sua innata sensibilità, raffinata anche grazie alla professione di psicologo, gli permette dunque di cogliere ogni sfumatura dell’animo umano e di fissarla in un’immagine. L’iniziativa è inoltre a sfondo benefico poiché l’introito della vendita delle fotografie e dei calendari sarà devoluto al CUAMM, “Medici con l’Africa”. La musica e la fotografia, come sottolinea il curatore, saranno dunque le protagoniste “di quell’universo unico e straordinario che prende vita sopra e sotto il palco”. Informazioni: Mostra allestita presso il RistoArt Guido in Via Santa Maria del Pianto, 12 – Vernissage 19 Dicembre dalle 17 alle 22 – Ingresso libero. Fino al 31 dicembre. Pollini e il clavicembalo ben temperato Di Mariano Colla Maurizio Pollini Un candido fascio di luce illumina il pianoforte a coda posto sul palcoscenico della Sala S. Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Il prezioso strumento si appresta a essere domato, nella sua apparente freddezza, dalle mani del pianista milanese Maurizio Pollini per dare vita a una delle più grandi opere di Johann Sebastian Bach, il “Clavicembalo ben temperato”, I° libro di “Preludi e Fughe”, ultimato nel 1722. Non è un evento in sé che Pollini suoni Bach, ma è sempre suggestivo ammirare come un solo strumento possa dare vita a tante voci diverse contemporaneamente, come previsto da questa opera bachiana, in cui il compositore tedesco richiede al clavicembalista o al pianista un impegno solitario di circa due ore. La potenzialità che Bach aveva messo in mostra con la scala ben temperata, novità assoluta per i suoi tempi, viene dunque assegnata alla responsabilità tecnica di un unico esecutore e di un singolo strumento musicale, in contrasto con le grandi polifonie concertistiche e orchestrali del musicista tedesco. La scala ben temperata fa tuttora parte della cultura musicale del mondo occidentale, patrimonio del nostro sapere e sentire, con poche applicazioni e impieghi al di fuori dei nostri confini. Sono suggestioni di note e intervalli scritti sulla carta e che poi ritroviamo sulla tastiere di un clavicembalo o di un pianoforte. Il possente spirito di Bach aleggia nell’auditorium quando Pollini, minuto e quasi fragile, si avvicina allo strumento. Il cono di luce traccia un confine con il resto della sala ed esalta la figura vagamente ieratica del pianista. Per circa due ore interpreterà il grande maestro dando vita e corpo alla imponente opera. Il silenzio è assoluto quando le prime note del “Preludio e Fuga in do maggiore” si diffondono nella vasta sala dell’Auditorium. Bach con il clavicembalo ben temperato scrisse un preludio e una fuga per ciascuna delle 12 tonalità, in modo maggiore e minore. Il clavicembalo ben temperato contiene quindi 24 preludi e fughe. Fu una rivoluzione, anticamera della musica seriale, che ha dato pari dignità non solo alle 7 note ma anche ai 5 semitoni. Infatti con il clavicembalo ben temperato Bach si proponeva di mostrare i vantaggi del “temperamento equabile”, ossia del metodo che sostituisce al sistema musicale pitagorico per quinte naturali, un sistema in cui l’ottava risulta divisa in 12 dodici semitoni uguali. La novità fu sconvolgente per il tempo, tant’è che il nuovo sistema non fu subito adottato in Europa, bensì si è dovuto aspettare la metà dell’800 per risentirlo in uso. Un preludio e una fuga, quindi, per ciascuno dei due modi, maggiore e minore, in un ordine che trova il gusto dell’invenzione. Si aprono spazi immensi e vuoti che la tecnica e il sentimento del pianista riempiono coniugando l’arte, che prevede la soggettività, l’estro, l’invenzione del singolo e la fuga, che è un meccanismo perfettamente organizzato con delle ben precise regole da rispettare, come un problema da risolvere. Se salti un passaggio non ne vieni più a capo. La concentrazione di Pollini ha un che di mistico. La fuga è scienza e poesia insieme, e solo un grande artista è in grado di sviluppare alla tastiera un discorso armonico, senza strappi, senza pause pur con l’adrenalina che si genera in una sala di concerto. Ogni rumore molesto può interrompere la concentrazione. Il grande pianista canadese Glenn Gould abbandonò nelle matura età le sale da concerto per suonare, da solo, all’interno degli studi di registrazione, totalmente insonorizzati, dove la musica si poteva esprimere nella massima purezza, senza disturbo alcuno. Il rapporto tra il pianoforte e Pollini è quasi carnale. Le sue mani accarezzano la tastiera con una mobilità impressionante, dipanando e valorizzando la complessa architettura della fuga. Con una breve pausa tra un brano e l’altro, Pollini ritorna sulla terra con semplici gesti quali l’atto di asciugarsi, con un fazzoletto, il sudore che sgorga dalla fronte. E’ un dialogo con Bach. Tra i due grandi artisti sembra instaurarsi una comunicazione intima, estranea ai più se non in una lettura soggettiva. La musica scorre nella sua complessità, alternando consonanze e dissonanze, dove queste ultime introducono toni aspri e stridenti per un orecchio maggiormente abituato e confortato dallo stile melodico, ma che tuttavia generano una tensione rispetto al senso di stabilità e soddisfazione prodotto dalla consonanza. Si susseguono con pari intensità armonica ed emotiva i Preludi e le Fughe in dodiesis minore, in re maggiore, in fa diesis minore, in la bemolle maggiore, per citare alcuni dei brani. Vi è qualche cosa di numerico nella composizione, la purezza e l’assolutezza dei numeri, divini e infiniti, come sosteneva lo stesso Cartesio padre della modernità e della geometria analitica. Il concerto volge al termine. Pollini svolge gli ultimi tratti del lungo percorso musicale con tutti i segni dello sforzo fisico e mentale, ma le sue mani sembrano avulse dal corpo. Con armonia e dolcezza, senza la minima flessione, suona le ultime note del “XXIV preludio e fuga in si minore”. Quando le dita si arrestano e, lentamente, si sollevano dalla tastiera, trascorre un attimo di incantato, assoluto silenzio, prima che un applauso caloroso, sentito, voluto, inondi la grande sala del concerto. Un pubblico commosso tributa al grande pianista la giusta ovazione e Bach, forse , in qualche parte del mondo o dei cieli, ammiccando, approva. I regali di Natale Antonella Ruggero di di Valeria Ferraro “I regali di Natale” è il nuovo doppio album di Antonella Ruggiero, in uscita questo weekend, interamente dedicato alla rilettura dei canti della tradizione natalizia nazionale e internazionale. In copertina, Antonella fotografata a 27 mesi. Nella grafica del disco e del booklet, i testi dei canti e le fotografie dei giocattoli che ha ricevuto in regalo ogni Natale della sua infanzia. “ Questi sono i regali di Natale che ricevevo di anno in anno”, ricorda la Ruggero. “Era un periodo dell’anno davvero straordinario, ammaliante ed era l’attesa di qualcosa di bello, e bella era proprio l’attesa. Immaginare, fantasticare, senza capire, ma semplicemente gioire, come solo i bambini sanno fare”. La Ruggiero intraprende un cammino attraverso la tradizione storica del Natale, ripercorrendone le varie fasi, dall’Avvento alla nascita di Gesù, e poi gli Angeli, i pastori, le ninnananne e i canti dell’inverno. “Veni veni Emmanuel”; “Noel, Noel, è nato il redentor (oh holy night)”; “Il piccolo tamburino (the little drummer boy)”; “Panis Angelicus”; “Quem pastores laudavere”; “In notte placida”; “Duos isposos”; “Deck the halls”; “Mille cherubini in coro”; “Gaudete”; “Alberi di natale (o tannenbaum)”; “Gloria in excelsis deo (les anges dans nos campagnes)”; “God rest ye merry, gentlemen”; “Adeste fideles”; “O sanctissima (o du fröhliche)”; “Laudate dominum”; “ Noel, Noel (the first nowell)”; “Ave Maria”; “Stille Nacht (Astro del ciel); “Bianco Natale (White christmas)” Questi i canti del doppio album, interamente realizzato in studio, tra Milano e Berlino, ad eccezione di “Bianco Natale” e “Stille Nacht”, registrati dal vivo a Betlemme e Gerusalemme con la prestigiosa orchestra sinfonica “I Virtuosi Italiani” – una delle formazioni più in vista del panorama classico e contemporaneo – e trasmessi da RaiUno il mattino del Natale di un anno fa. Rapita da canti popolari, facili a trovarsi in prossimità delle feste, la Ruggiero si fa travolgere da una musica di sapore squisitamente antico, e ripropone il massimo patrimonio musicale natalizio, scelto con rigore filologico spaziando dal medioevo al XX secolo, passando per Mozart, Shubert, e cantando in italiano, latino, tedesco e dialetto sardo. Momenti altissimi, accompagnati dai migliori musicisti italiani che, raffinati ed eleganti, impreziosiscono, senza disturbare, l’atmosfera semplice e raccolta che anima il vero natale: Mark Harris (pianista americano storico collaboratore di Fabrizio De André), Massimo Moriconi (per anni contrabbassista nei dischi di Mina), Daniele Di Gregorio (percussionista e vibrafonista di Paolo Conte), Maurizio Colonna (grande virtuoso della chitarra classica), “Arkè String Quartet” (modernissimo quartetto frequentatore dei migliori palcoscenici mondiali), “I Virtuosi Italiani”, sino ad attingere alla crème del jazz italiano rappresentata da Paolo Di Sabatino, Stefano Dall’Ora, Ivan Ciccarelli, Massimo Manzi, Renzo Ruggieri, Davide Di Gregorio e “Oficina Guitart”. Una strumentazione minimale composta da pianoforte, contrabbasso, percussioni e fisarmonica; vibrafono, marimba e saxofono/flauto; duo di chitarre classiche e violoncello; quartetto d’archi, pianoforte, chitarra classica, uniti ad un utilizzo appena accennato dell’effettistica elettronica di Roberto Colombo. Una ricerca di spiritualità che fa parte di un percorso, intrapreso sin dal 2001, con “Luna crescente/Sacrarmonia”, sviluppatosi nel tempo e apprezzato dal pubblico, con oltre 200 applauditissimi concerti in tutto il mondo. Partendo dalle radici della tradizione musicale internazionale, attorno ad Antonella Ruggiero si sono avvicendati diversi organici musicali, da quelli più ristretti e cameristici, sino alla grande orchestra sinfonica, permettendo all’artista una lettura del repertorio da ogni possibile angolazione. Ed ora il suo “dono” di Natale per noi: un intimo ricordo, nostalgico ed evocatore; l’unico che con la sua purezza, può farsi monito: l’augurio verso il ritorno ad un Natale semplicemente “cristiano”, e l’abbandono dell’attesa di un “vortice mosso dal business”. Presentato a Roma il musical La Bella e la Bestia. di Stefania Taruffi Si è tenuta ieri sera a Roma, nella suggestiva cornice dei Giardini di Palazzo Brancaccio, la presentazione alla stampa dello spettacolo La Bella e la Bestia, che debutterà a Roma, nello storico Teatro Brancaccio, il 22 ottobre. Questa produzione rappresenta un intramontabile capolavoro del genere musical, allestito in maniera sontuosa e con grande profusione di mezzi e investimenti. Ieri sera un piccolo assaggio dello spettacolo, dato dai due protagonisti, interpretati da Arianna e Antonello Angiolillo, insieme ai magici oggetti animati dalla storia Lumiere (il candelabro), Din Don (l’orologio), Mrs Brick (la teiera), la Saliera, la Pepiera e il Tappeto. Din Don, responsabile del castello, ha condotto la serata. La Bella e la Bestia è stato portato sul palco dalla Stage Entertainment, la multinazionale olandese fondata da Joop Van de Ende, che ha rivoluzionato il mercato europeo del live entertainment unendo la passione per il teatro agli ingredienti fondamentali per il successo in questo settore: creatività, professionalità e competenze manageriali. Lo sottolinea l’Amministratore Delegato di Stage Entertainment Italy, Barbara Salabè, proveniente da Milano, dove la celebre fiaba di Disney, la Bella e la Bestia è andata in scena al Teatro Nazionale, fino a maggio 2010, con enorme successo di pubblico: 290 mila biglietti venduti. La Salabè si dichiara fiera che questa produzione avvicinerà anche la capitale d’Italia a New York (dove a Broadway il musical è andato in scena per ben 12 anni) e Londra, le patrie dei musical a lunga durata più applauditi nel mondo, ma anche a Madrid e Parigi. “Il Teatro Brancaccio è un teatro storico di Roma e noi siamo molto orgogliosi di poter portare lì questo nostro spettacolo” spiega la Salabè”, “perché è un teatro molto grande (1300 posti ndr), che ha avuto un destino alterno e per ridargli un po’ di vita, pensiamo che la Bella e la Bestia sia lo spettacolo adatto. Abbiamo fatto un investimento interessante nella parte tecnologica del Teatro Brancaccio in quanto gli spettacoli di questo tipo, richiedono una grande tecnologia. L’apparato tecnico è imponente, per esempio abbiamo cambi di scena ogni 7 minuti con 33 artisti sul palco con 200 costumi e 10 scenografie per 34 cambi di scena”. Gli elementi di scena sul palco sono movimentati tramite un sofisticato sistema computerizzato dotato di tecnologia wireless ed è stata prevista una nuova tecnologia all’avanguardia nella torre scenica. Inoltre anche la facciata del teatro verrà ristrutturata per l’occasione. Un’operazione maestosa che è costata lo sforzo produttivo di 45 persone, un anno di preparazione e un investimento di 5 milioni di €. Prestigioso anche il team artistico che ha dato vita a questo capolavoro. Le musiche sono state composte da uno dei più celebri musicisti viventi: Alan Menken, vincitore di ben 8 premi Oskar, due dei quali proprio per la Bella e la Bestia. La Regia è di Glenn Casale. Protagonisti La Bella, Arianna, figlia d’arte ed enfant prodige e La Bestia, Antonello Angiolillo, già vincitore del premio Massimini nel 2001, come ‘miglior giovane attore di musical’, con importanti presenze nei musical italiani. Un’orchestra dal vivo e incredibili scenografie ed effetti speciali rendono questo musical una delle esperienze più emozionanti che si possano vivere a teatro. Finalmente anche Roma è rilanciata come capitale dell’ entertainment di alto livello, un investimento importante non solo nel Teatro Brancaccio, ma anche nella cultura e nell’immagine della Capitale, che in tal modo sarà proiettata in una dimensione più internazionale. (I biglietti si possono acquistare sul sito www.labellaelabestia.it oppure al telefono chiamando l’800.44.88.00, sui siti internet oppure nei punti vendita Ticketone, Greenticket, Listicket, UNicredit, Vivaticket) Niccolò Fabi e le Parole di Lulù Di Valentino Salvatore Erodoto, con tono marziale, scriveva che in tempo di pace sono i figli a seppellire i propri padri, mentre in tempo di guerra sono i padri che devono seppellire i figli. Viene da domandarsi se in fondo la vita di ognuno di noi non possa essere considerata anch’essa una piccola guerra, fatta di conquiste, ritirate, perdite, vittorie e sconfitte. Niccolò Fabi ha provato a comunicare un frammento del suo dolore ai suoi amici ed estimatori, affidandolo alla propria pagina Facebook, come un messaggio in bottiglia. “Vi sto per scrivere quello che non avrei mai voluto scrivere”, ha fatto sapere il cantautore, parlando di “un dolore devastante che mi attanaglia la gola”, “conseguenza dell’esperienza più inaccettabile, orrida, ingiusta e innaturale che un essere umano possa vivere”. Il 2 luglio una meningite fulminante gli portava via la piccola figlia Olivia, di appena due anni. Per chi la conosceva e la amava, Lulù. Un dolore indicibile che lascia solo un abisso di sgomento. Difficile andare avanti e anche dare un senso al proprio mestiere, adesso. Tant’è che egli stesso non ne fa mistero. “Fino a quando non avrò trovato un modo per trasformare questo dolore e dare un senso costruttivo a questo incubo, il palcoscenico sarà l’ultimo posto in cui desidererò stare, so di poter contare sulla vostra sensibilità e sull’amore che mai come adesso è l’unico strumento che merita di essere suonato… un abbraccio che contiene tutto”. Inevitabile l’annullamento di alcuni concerti, per elaborare un lutto per una perdita insensata. Saltano le esibizioni nella Villa Ada di Roma, a Succivo, a Nichelino, al Sound Fest e a Porto San Giorgio, anche per promuovere l’uscita dell’ultimo disco Solo un Uomo. Niccolò Fabi che tante sensibilità è riuscito a toccare e a coinvolgere con le sue canzoni non è rimasto solo, ha trovato attorno a sé l’affetto e la vicinanza di tantissimi di quegli amici che hanno intercettato proprio sul social network il suo dolore rispondendo ogni giorno con il desiderio di manifestargli solidarietà ed empatica commozione.“Amici…ogni singola parola d’amore o pensiero commosso che abbiamo ricevuto sono stati un appiglio nella caduta e adesso sono una spinta nella risalita, e di questo vi ringraziamo profondamente . Un’onda d’affetto così travolgente che sentiamo su di noi quel privilegio riservato a pochi che è poter scorgere la bellezza nell’orrore. Anche per questo sento la forza e il bisogno di ricominciare. Senza enfasi come sempre giorno dopo giorno, perchè non è risorgere ma semplicemente e meravigliosamente suonare…… quindi vivere…………nicc” Così dal 7 agosto è ripartito il suo tour con un concerto a Sessano del Molise, gli sarà sembrato di salire sul palco quasi per la prima volta. Poi l’idea di organizzare un evento, Parole di Lulù, per ricordare la piccola in occasione del suo compleanno, ma non solo. Un grande concerto previsto per il pomeriggio di domani 30 agosto, dalle 15 fino a mezzanotte a Casale sul Treja, tra Roma e Viterbo. Il concerto diventa anche l’occasione per raccogliere fondi per un progetto pensato da Niccolò Fabi e dalla compagna Shirin Amini, madre di Olivia. Contribuire cioè alla ricostruzione dell’Ospedale Pediatrico di Chiulo in Angola, assieme a Medici con l’Africa CUAMM, che si occupano della cura e dell’assistenza dei bambini. Un fortino di speranza in un paese tra i più poveri, nel quale il tasso di mortalità infantile è il secondo più alto al mondo. La situazione dell’area in cui sorge l’ospedale – la provincia del Kunene – è drammatica e l’impegno profuso assiduamente dai tanti medici presenti permette di ricoverare circa 3000 bambini l’anno, non sempre è sufficiente. La musica sarà ancora una volta veicolo di solidarietà e di speranza. Il cantautore collabora da un anno con l’organizzazione Medici per l’Africa, ma si è sempre mostrato sensibile alle sofferenze delle terre africane, già nel 2007 era stato in Sudan, viaggio da cui era nato il documentario Live in Sudan. Poi è stata la volta di Parole che fanno bene, parole e musica dello stesso cantautore e regia di Bruno Nappi, per raccontare un viaggio tra gli ospedali in Uganda. Tanti gli artisti che hanno risposto all’appello di Niccolò Fabi e che saranno presenti al concerto a Casale sul Treja. Si va da Alex Britti a Claudio Baglioni, da Cristina Donà ad Elisa, da Daniele Silvestri a Enrico Ruggeri. Ma anche Fiorella Mannoia, Gianni Morandi, Jovanotti, Luca Barbarossa, Max Gazzè, Paola Turci, Roy Paci, Samuele Bersani, Simone Cristicchi. Ci saranno anche artisti come il batterista Roberto Gatto, la chitarra della Premiata Forneria Marconi Franco Mussida. Musicisti che esplorano diversi generi musicali ma che si incontreranno per questo evento all’insegna della solidarietà, nessuna scaletta, pura improvvisazione. Così come la vita. Per maggiori info: www.paroledilulu.it My Grandmother’s Space Suit, il terzo album della Fonderia Di Anna Esposito Della meglio gioventù della musica italiana fanno parte i musicisti della Fonderia, un gruppo col vezzo della contaminazione creativa. In principio era un trio d’improvvisazione, poi la sperimentazione eclettica di nuovi generi musicali li ha trasformati in un quintetto d’eccezione in grado di portare allo stato di “fusione” i cinque elementi jazz, rock, funk, psichedelia, elettronica e influenze etniche. La band strumentale ha registrato in Inghilterra, nei Real World Studios di Peter Gabriel, il suo terzo album, “My Grandmother’s Space Suit” che ha visto anche la presenza di Barbara Eramo. Musica, la loro, densa di sonorità stranianti e insolite , il loro primo album “Fonderia” si è aggiudicato il Premio Darwin nel 2004 come miglior disco dell’anno e “Re>>enter” invece vincitore del Premio Toast/MEI 2006. La loro continua sperimentazione e ricerca ha fatto nascere interessanti progetti artistici come la rimusicazione di film muti per il Festival “Strade del Cinema” di Aosta, piuttosto che l’improvvisazione pittorica con gli artisti Francesco Nespola e Francesco Parruzza o l’incontro con le atmosfere surreali dei testi di Nicola Bultrini. Luca Pietropaoli, il trombettista del gruppo, ci ha parlato delle loro esperienze e dei loro progetti . Il curriculum musicale di Fonderia vanta l’interazione con le più significative forme d’arte: la pittura, la poesia, il cinema e il teatro. Con quale di queste c’è stata più affinità? Sicuramente il cinema, pensando alla nostra partecipazione al Festival “Strade del Cinema” di Aosta. E stato un lavoro impegnativo, ma che ci ha anche dato molte soddisfazioni e gratificazioni, come il primo premio nella Sezione Giovani nel 2003 per la rimusicazione di “My wife’s relations” di Buster Keaton, mentre nel 2001 al Festival Rimusicazioni di Bolzano ricevemmo un premio per la migliore musica originale con “Charcuterie mecanique” dei fratelli Lumiere, ed “Emak-Bakia” di Man Ray. La nostra musica si adatta bene alle immagini, ma anche il teatro è stata importante fonte d’ispirazione. Abbiamo curato le musiche per lo spettacolo teatrale “Pinocchio nel paese delle meraviglie” realizzato dall’associazione “Il Cavallo Bianco”. Un teatro itinerante con bambini bielorussi dalle storie “difficili”, provenienti dalle zone colpite dalla catastrofe di Chernobyl e che vivono un profondo disagio sociale. La vostra esperienza col cinema è stata prevalentemente la rimusicazione di film muti d’epoca. Quale sarebbe oggi il regista con cui vorreste collaborare? Senza dubbio Gabriele Salvatores, che peraltro abbiamo già avuto occasione di incontrare nel 2008, al Villa Celimontana Jazz Festival. Trovo che i suoi film abbiano atmosfere quasi oniriche in sintonia con le nostre suggestioni musicali. Quali sono i riferimenti musicali di Fonderia? Veniamo da estrazioni ed esperienze musicali molto diverse, ma indubbiamente molto forte è stata l’influenza musicale del jazz elettrico degli anni ’70, il funk americano, il new jazz dei paesi scandinavi e il progressive. Tutto ciò che è jazz ed elettronica, la contaminazione dei generi. “My Grandmother’s Space Suit”: il vostro terzo album interamente registrato nei Real World Studios di Peter Gabriel, in Inghilterra. Che esperienza è stata? Abbiamo avuto la possibilità di dare vita a questo nuovo importante progetto musicale grazie a Marco Migliari, produttore e ingegnere del suono dei Real World Studios. Determinante è stata la nostra voglia di affidarci nella produzione artistica ad un professionista di gran livello come Migliari e nello stesso tempo volevamo cercare nuove strade di sperimentazione. E stato un’importante laboratorio per noi, abbiamo cercato di approfondire la composizione, l’arrangiamento dei nuovi brani, ma l’aspetto su cui ci siamo maggiormente focalizzati è la sintesi. Abbiamo privilegiato la resa acustica finale piuttosto che la mera improvvisazione e il risultato è evidente siamo passati dai 70’ del precedente disco ai 55’ dell’ultimo. A giovarne sono state le armonie, gli incastri ritmici e le soluzioni melodiche. E stata indubbiamente una scelta coraggiosa perché questo disco in pratica ce lo siamo autoprodotto, crediamo molto in questo progetto e siamo soddisfatti del risultato. La vostra scelta di autoprodurvi il nuovo album è sicuramente coraggiosa, soprattutto considerando la crisi del mercato discografico che in molti addebitano al downloading illegale della musica in rete. Ci sono stati anche gruppi in controtendenza come i Radiohead che scelsero ad esempio volontariamente di consentire gratuitamente il downloading del loro album In Rainbows. Qual è la vostra opinione in merito? Penso che questi fenomeni di pirateria siano il rovescio della medaglia del progresso, che è impossibile arrestare e difficile da controllare, la cosa migliore credo sia adattarsi. Il mondo della musica sta subendo delle trasformazioni evidenti, a cosa porteranno questi cambiamenti non possiamo saperlo. Se da un lato c’è sicuramente una maggiore circolazione della musica che è un bene, dall’altro la crisi delle vendite dei dischi non aiuta però la sopravvivenza della musica. Magari accadrà in futuro che i musicisti saranno costretti ad esibirsi di più dal vivo, a fare più concerti e in fondo questo non è un male. La «buona novella» della Pfm Di Anna Esposito La Premiata Forneria Marconi, con slanci d’apprenti sorcier ha cercato di far rivivere a distanza di quarant’anni La buona novella, come tributo di devota gratitudine al maestro Fabrizio De Andrè. Era il novembre del 1970 quando il poeta genovese pubblicò il suo quarto album, il suo migliore dirà poi, di recente ristampato su LP, in tiratura più che limitata, su vinile color oro. A registrarlo la Pfm ante litteram, I Quelli, non v’era ancora il grande bassista Patrick Djivas, ma gli storici componenti della band Franz Di Cioccio e Franco Mussida. Ho assistito ad una della tappe più significative del loro tour, al Gran Teatro di Roma. Il pubblico li ha accolti sul palco con il commosso affetto che si riserva agli amici ritrovati, quelli che non vedi da tempo, ma che non puoi dimenticare. “Questa è La buona novella secondo la Pfm” annuncerà Di Cioccio e in effetti l’esecuzione integrale del concept album ispirato ai Vangeli apocrifi è stato completamente riletto e riarrangiato dalla band. Quattro decenni sono bastati per decidere di guardarsi allo specchio, per riappropriarsi della musica trasfigurando la mera esecuzione in un peccato originale, la loro “versione adulta”. In principio fu il Laudate Dominum e L’infanzia di Maria, così prende vita La buona novella, tra evocative luci oniriche e le loro dita virtuose. Audace vertigine è la loro “buona novella”, certo rischiosa a tener conto dei puristi estimatori di De Andrè, con suoni talvolta liquidi, altri acidi che s’imprimono sulla tela sensoriale affascinata di chi comodamente seduto in poltrona ne gode in silenzio a tratti estatico. Affascinante e insolita la versione di Il sogno di Maria, Via della Croce e Il testamento di Tito fino al liberatorio Laudate hominem. Nel mirabile esercizio di stile della Pfm s’intravede De Andrè, durante l’esecuzione è lui a rimanere fedele a se stesso nella poesia dei suoi versi. Il loro rock progressive o “musica immaginifica” come l’appellano loro, ha reso degna l’Italia negli anni di competere con i titani del genere come gli Emerson, Lake & Palmer, King Krimson, Genesis e Van Der Graaf Generator, l’intensità suggestiva della loro musica sembra essere continuamente rigenerata. Questa la sensazione ascoltando soprattutto la seconda parte dello spettacolo dove ad andare in scena è il loro ottimo album interamente strumentale “Stati d’immaginazione”, pubblicato sul finire del 2006. Ad accompagnare le suggestioni musicali del pubblico otto microfilm proiettati sullo sfondo del palco, tra villaggi olandesi, pigmei che s’adoperano nella costruzione di un ponte, il sogno di volare di Leonardo Da Vinci e il capolavoro del disco La terra dell’acqua con visioni di puro caos e paura di una Venezia che annaspa, una miscellanea di immagini di repertorio e ricostruzioni virtuali che si concludono con la morte di Venezia che infine annega tra le acque. A riprendere le fila dello spirito iniziale del tributo a De Andrè, come Atlantide che riemerge, Volta la carta disgela definitivamente l’iniziale contemplazione assorta in platea, degno di lode il violinista Lucio Fabbri, ma anche Piero Monterisi alla batteria che si alterna al drumming potente di Di Cioccio e Gianluca Tagliavini alle tastiere. Non mancheranno i loro marchi di fabbrica più famosi come la tarantella rock Celebration e Maestro della voce, scritta dall’ottimo Demtrio Stratos, leader degli Area. E anche se come dice Di Cioccio “le fragole a Natale non si mangiano”, nonostante si sia ampiamente fuori stagione, giungerà tra l’acclamazione generale Impressioni di settembre “ e leggero il mio pensiero vola e va ho quasi paura che si perda”, in pochi resisteranno seduti trattenendosi dal desiderio di cantarla con nostalgico piglio. Sessantenni in tour per un concerto di oltre due ore, istinto, sudore e la lingua in fuori di Di Cioccio. Sebbene non sia possibile impedire al tempo di levigare tutto ciò che incontra al suo passaggio e lo san bene anche loro, il virtuosismo appassionato concede insperati stati di grazia. Prossime date della Pfm in tour: 07 settembre 2010 PFM canta De André + successi PFM PAVIA (PV) Castello Visconteo Ingresso Gratuito ore 21:30 20 agosto 2010 PFM canta De André + successi PFM CANISTRO SOTTO (AQ) ore 21:30 19 agosto 2010 PFM canta De André + successi PFM APRICENA (FG) ore 21:30 16 agosto 2010 PFM canta De André + successi PFM AVELLINO (AV) ore 21:30 14 agosto 2010 PFM canta De André PFM 35 e un minuto (successi PFM) SPINAZZOLA (BA) ore 21:30 9 agosto 2010 PFM canta De André COPERTINO (LE) ore 21:30 € 25,00 posti a sedere non numerati, compreso di prevendita € 15,00 compreso di prevendita posti in piedi 8 agosto 2010 PFM canta De André + successi PFM TERRACINA (LT) Arena Molo ore 21:30 www.pfmpfm.it L’eterno addio dei Rolling Stones Di Anna Esposito Rotolano sulla scena mondiale della musica da cinquant’anni, anticonformisti, provocatori, sporchi e cattivi, comparsi epifanici come il gatto Begemot a stravolgere l’era del beat e del politically correct con un po’ di sano e dannato rock dipinto di blues. Anche se i quattro ragazzi di Liverpool l’aria da baronetti se l’erano infilata come un guanto, figli della working class londinese, mentre gli Stones di contro interpretarono l’anima della borghesia più irrequieta, e non solo. Mick Jagger, storico leader del gruppo, teppista rivoluzionario, dionisiaco e irresistibile, disarmante e sfrenato è stato la voce della trasgressione e la ribellione di intere generazioni, eppure anche per gli Stones potrebbe essere giunto il momento di ritirarsi. Mick Jagger e Keith Richards (entrambi 66 anni), Ronnie Wood (63) e Charlie Watts (69) forse giunti al capolinea della loro carriera. «Sanno che l’età avanza inesorabilmente e vogliono superarsi ritirandosi ancora nel pieno della forma con dei concerti indimenticabili, non vogliono imbrogliare i loro fan». Questa la dichiarazione di una fonte vicina allo storico gruppo e la notizia, rimbalzata dalle pagine del Sun ha già girato il mondo in ogni latitudine. Avrebbero deciso per celebrare il loro pare definitivo congedo dal palcoscenico, un lungo addio distillato da concerti indimenticabili in giro per il mondo, con il promoter Live Nation, concedendosi per altri due anni alla bramosia degli irriducibili fan, il 2012 però è previsto l’ultimo inchino e si chiuderà il sipario. Vero è che gli Stones ci hanno abituati negli anni al loro sensazionalismo irridente, dal 1982 al 1990 avevano rinunciato ai live e il primo addio all’Inghilterra lo dissero nel 1971 per protestare contro le salate gabelle del Regno di Sua Maestà. Difficile ora dire se in questo caso si tratti di puro e semplice marketing o di un reale presagio di scioglimento in buon ordine, ciò che è certo è che gli equilibri all’interno del gruppo lasciano intravedere qualche screzio, almeno a giudicare dalle dichiarazioni fatte da Keith Richards venti giorni fa, che intimano Jagger di dare una risistemata ad alcuni passaggi compromettenti della sua autobiografia in uscita, altrimenti il chitarrista della band potrebbe uscire sbattendo dietro di sé la porta. Una biografia d’urto nello stile Stones, ça va sans dire. Ma è stato anche a suon di provocazioni e trasgressioni che i “maledetti del rock” han saputo far fruttare il loro capitale, con all’attivo ben 250 milioni di dischi venduti nel mondo. Sarà pur vero che non si può rotolare per sempre, ma come dice il saggio Jagger “a good thing never ends”. L’Aura: dedicato Itali@Magazine a Siamo invisibili ogni volta che pensiamo di poterci finalmente svelare per ciò che siamo, ma poi siamo costretti a ritornare sui nostri passi; siamo invisibili ogni volta che le parole vorrebbero scorrere fuori dalle labbra, ma vengono bloccate , quasi ci fosse una diga intera a trattenerle; siamo invisibili ogni volta che affidiamo il cuore a qualcuno che non lo merita, siamo invisibili quando è impossibile descrivere ciò che accade dentro. L’Aura Abela No di Davide Bornigia allo sgombero dell’”Art Lounge Ambient” di Roma Di Stefania Taruffi Aspre sono state in questi giorni le polemiche in merito alle concessioni comunali per l’utilizzo delle aree tutelate dalla Sovraintendenza, per eventi o locali temporanei. Ad andarci di mezzo la manifestazione “Art Lounge Ambient” di Valle Giulia” –conosciuta dal pubblico con il nome di KURA KURA, di fatto una delle poche manifestazioni estive completamente in regola con le autorizzazioni e con un allestimento completamente ecocompatibile e in linea con l’ambiente circostante. L’ideatore e produttore dell’evento culturale presentato dalla società Etruria Tourist S.r.l. di Roma, Davide Bornigia, si difenderà dalla richiesta di sgombero ricevuta oggi, facendo ricorso al TAR. “Da diversi giorni” – afferma Bornigia – sto subendo un vero e proprio attacco persecutorio contro il mio progetto, giunto alla sua seconda edizione – allestito nella sede di Valle Giulia a Roma, e precisamente di Scalea Bruno Zevi di fronte alla Galleria d’Arte Moderna. L’evento in sé vuole essere nient’altro che un elegante salotto cultural-musicale, arredato con mobili eco-compatibili, in linea con l’ambiente circostante e rivolto a un pubblico selezionato”. Il titolare sottolinea inoltre di essersi impegnato personalmente a investire perché il tratto di Valle Giulia fosse ripulito e risanato, non soltanto per il decoro della Città, ma anche perché gli ospiti della manifestazione possano apprezzare il valore storico e artistico dell´area in un momento di relax. L’”ART LOUNGE AMBIENT” – manifestazione meglio conosciuta dal pubblico con il nome “KURA KURA” – ha ricevuto regolare autorizzazione n. 1014 rilasciata in data 20 maggio 2010 da parte del Municipio II – Unità Organizzativa Amministrativa in cui si richiama il parere favorevole espresso dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali con una nota protocollata agli atti. Nello stesso documento, vengono richiamati altri pareri favorevoli: da quello del II Gruppo di P.M. a quello del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica. “Il mio progetto” – prosegue l’imprenditore – “è di altissima qualità e né io né il mio staff abbiamo ricevuto mai richiami ed eccezioni sul nostro lavoro da parte di autorità competenti alla sicurezza, residenti della zona o chicchessia. Eppure oggi, a pochi giorni dall’inaugurazione e dall’apertura al pubblico della manifestazione, ricevo determinazione dirigenziale del Comune di Roma in cui s’impone lo sgombero degli spazi, senza specificare alcuna motivazione”. Spiega inoltre l’imprenditore romano che non si tratta di un manufatto, bensì di una struttura amovibile precaria approvata dal Comune di Roma, che non modifica assolutamente le costruzioni architettoniche e urbanistiche dell’area monumentale di Valle Giulia. Eppure l’imprenditore romano si trova oggi a dover rendere conto a più di cinquanta famiglie, coinvolte nella manifestazione, che rischiano di perdere il posto di lavoro che prevedeva un fitto calendario di quattro mesi. “Sono davvero addolorato” – conclude Davide Bornigia – “e mi trovo perfettamente in sintonia con la dichiarazione del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano espressa proprio questa mattina in occasione della visita alla tomba di Cavour: “ la legislazione deve aiutare le imprese e contribuire alla stabilità per ridurre le conseguenze delle crisi”.