capitolo 11 i fotorivelatori

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CAPITOLO 11
I FOTORIVELATORI
Introduzione
11.1 Assorbimento ottico in un semiconduttore
11.2 Proprietà generali dei fotorivelatori
11.3 Rumore nei fotorivelatori
11.4 Tipologie di fotorivelatori
11.5 Fotodiodi metallo-semiconduttore-metallo (MSM)
1
Introduzione
I fotorivelatori sono dispositivi optoelettronici che assorbono energia, sotto forma di
radiazione luminosa, e la convertono in energia elettrica, che generalmente si manifesta
tramite una corrente elettrica. La risposta del dispositivo si definisce quindi come una
fotocorrente che dipende dal tasso di assorbimento dei fotoni e dalla loro energia.
I fotorivelatori coprono un vasto campo di applicazioni, comprendente, ad esempio,
rivelatori per sistemi di comunicazione in fibra ottica, sensori di fiamma e sensori chimici e
biologici. A seconda del campo di impiego a cui sono destinati, i fotorivelatori devono
presentare opportune specifiche, la cui importanza e priorità è dipendente dalle stesse
applicazioni:
- alta responsività
- linearità in funzione della potenza ottica incidente
- elevata sensibilità alla lunghezza d'onda di funzionamento
- velocità di risposta
- basso rumore
- costo contenuto
- dimensioni ridotte
- bassi consumi
- alta affidabilità.
Il funzionamento di un fotorivelatore comprende, in genere, tre processi:
1)
generazione di portatori da parte della luce incidente;
2)
trasporto dei portatori fotogenerati e/o loro moltiplicazione tramite eventuali
meccanismi di amplificazione nel materiale fotosensibile
3)
raccolta dei portatori e generazione di una fotocorrente, che fluisce in un circuito
esterno.
11.1 Assorbimento ottico in un semiconduttore
Nei fotorivelatori, vi è la conversione della radiazione ottica incidente in coppie
elettrone-lacuna, che possono essere rilevate in un appropriato circuito elettrico esterno.
Questa proprietà è basata su uno dei fenomeni fondamentali dell'interazione della radiazione
2
elettromagnetica con la materia: l'assorbimento. Il fenomeno dell'assorbimento ottico in un
semiconduttore può coinvolgere diversi tipi di transizioni a seconda del valore dell'energia
dei fotoni incidenti hν, in cui h è la costante di Planck e ν la frequenza del fotone incidente.
Infatti quando un semiconduttore viene illuminato con fotoni di energia pari all'ampiezza
della banda proibita Eg, i fotoni vengono assorbiti dal materiale e si creano coppie elettronelacuna come mostrato nel processo (a) della figura 1.1. Se invece hν risulta maggiore di Eg,
viene generata una coppia elettrone-lacuna e, inoltre, l'energia in eccesso pari a (hν-Eg) viene
dissipata sotto forma di calore ( cioè mediante l’emissione di fononi acustici e/o ottici) come
mostrato nella figura 1.1, processo (b). Entrambi i processi, (a) e (b), sono chiamati
transizioni intrinseche (o transizioni banda-banda).
Se il fotone incidente presenta un'energia hν minore di Eg, e non vi sono stati energetici
disponibili nella banda proibita, si verifica il fenomeno della trasparenza, ossia il fotone
incidente non viene assorbito dal materiale.
Figura 1.1 - Assorbimento ottico in un semiconduttore per: (a) hν=Eg, (b) hν>Eg, e (c)
hν<Eg.
D'altra parte se hν è minore di Eg e vi sono stati energetici disponibili nella banda proibita,
dovuti ad impurità chimiche o a difetti fisici, si avrà l'assorbimento del fotone incidente
come mostrato nella figura 1.1, transizione (c). Quest'ultimo processo è noto come
transizione estrinseca.
I diversi meccanismi di assorbimento della radiazione elettromagnetica da parte della
materia, come descritto sopra, permettono di classificare i fotorivelatori nei tipi intrinseci ed
estrinseci.
3
Un fotorivelatore intrinseco usualmente è in grado di rivelare radiazioni di lunghezza d'onda
λ prossima all'ampiezza della banda proibita del semiconduttore, tramite una fotocorrente
prodotta da coppie elettrone-lacuna generate dalla fotoeccitazione.
I fotorivelatori estrinseci, invece, grazie al drogaggio del semiconduttore con appropriate
impurità, che crea stati elettronici all'interno della banda proibita, sono in grado di rivelare
radiazioni di energia inferiore all'energia della banda proibita. In questo tipo di dispositivi,
l'assorbimento di un fotone generalmente promuove un elettrone dal livello energetico
dell'impurità alla banda di conduzione, oppure un elettrone dalla banda di valenza al livello
energetico dell'impurità, lasciando in corrispondenza della banda di valenza una lacuna.
L'elettrone o la lacuna, nelle rispettive bande, contribuiscono così alla fotocorrente e quindi
alla rivelazione del segnale ottico. Poiché la differenza di energia tra queste sottobande è in
genere piccola (100 meV), questi dispositivi sono usati per la rivelazione nella regione
spettrale dell’infrarosso (IR). Tuttavia, in questa regione spettrale diventando l'energia dei
fotoni comparabile con l'energia termica media (≈ kT, in cui k rappresenta la costante di
Boltzmann e T la temperatura assoluta del dispositivo) degli atomi del rivelatore stesso, un
numero elevato di eventi quantici può essere generato dall'eccitazione termica piuttosto che
dall'assorbimento della luce e ciò costituisce fonte di rumore. Il modo più ovvio per ridurre
questo segnale di rumore è quello di ridurre la temperatura del dispositivo; molti rivelatori di
fotoni che operano a lunghezze d'onda prossime a 3 µm devono infatti essere raffreddati con
azoto liquido (77 K).
In realtà, solo una parte della radiazione ottica incidente su un semiconduttore viene
assorbita dal materiale, essendo parte di questa riflessa e parte trasmessa. Infatti, il flusso di
fotoni φ(x) (espresso in unità di fotoni per centimetro quadrato al secondo) ad una generica
distanza x nel semiconduttore è dato da
Φ( x ) = ( Φ 0 − Φ R )e − αx
(1.1)
in cui φ0 rappresenta il flusso di fotoni incidente sul materiale semiconduttore, come si può
osservare in figura 1.2, φR il flusso di fotoni che viene riflesso mentre α indica una costante
di proporzionalità definita come coefficiente di assorbimento del materiale. Questo dipende
fortemente dalla lunghezza d'onda λ della radiazione ottica incidente.
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Figura 1.2 - Assorbimento ottico. (a) Semiconduttore illuminato.
(b) Decadimento esponenziale del flusso di fotoni.
11.2 Proprietà generali dei fotorivelatori
Il più semplice dei fotorivelatori a semiconduttore è rappresentato dal
fotoconduttore, in cui la conducibilità aumenta in presenza di illuminazione. Altri schemi
richiedono invece la presenza di una giunzione p-n oppure Schottky all'interno del
dispositivo. In entrambe i casi, il dispositivo deve essere realizzato in modo che alla luce sia
consentito di penetrare nella regione destinata all'assorbimento, regione attiva del
dispositivo. Questo viene realizzato predisponendo delle opportune finestre nel metallo,
utilizzato nella realizzazione dei contatti, oppure depositando sul materiale fotosensibile uno
strato di metallo talmente sottile da essere semitrasparente.
Un'importante proprietà dei fotorivelatori è descritta dalla loro responsività Rph, la
quale fornisce la corrente prodotta da una certa potenza ottica incidente. La responsività Rph
è definita come
R ph =
IL A
J
= L
Pop
Pop
5
⎛A⎞
⎜ ⎟
⎝W⎠
(2.1)
dove IL è la fotocorrente prodotta in un dispositivo di area ottica A, JL è la densità di
fotocorrente e Pop è la densità di potenza ottica incidente.
Il fenomeno della generazione dei portatori viene invece quantificato dall'efficienza
quantica η Q del fotorivelatore, definita come
JL q
hν
= R ph
Pop hν
q
ηQ =
(2.2)
pari al numero di portatori fotogenerati (coppie elettrone-lacuna), che raggiungono i contatti,
e quindi il circuito esterno, nell'unità di tempo (electron rate) diviso per il numero dei fotoni
incidenti nell'unità di tempo (photon rate).
La quantità ηQ definita dalla (2.2) viene anche chiamata efficienza quantica esterna del
dispositivo, ηext. L'efficienza quantica interna ηi rappresenta invece il numero di coppie
elettrone-lacuna generate diviso il numero di fotoni assorbiti ed è generalmente molto
elevata, tendendo all'unità, nel caso di materiali puri e privi di difetti.
L'efficienza quantica esterna, che rappresenta una delle più importanti figure di merito per i
fotorivelatori, è dipendente dal coefficiente di assorbimento α del materiale semiconduttore e
dalla larghezza "d" della regione di assorbimento secondo la seguente relazione.
ηext ∝ ⎡⎣1 − e−α d ⎤⎦
(2.3)
La relazione (2.2) ci permette di scrivere la responsività Rph del rivelatore come
R ph =
ηQ q
hν
=
ηQ λ( µm )
1.24
(A / W)
(2.4)
che mostra come, per un fissato valore di ηQ, Rph dovrebbe aumentare linearmente con λ
come viene schematicamente mostrato nel tratteggio in figura 1.3.
Tuttavia poiché l'efficienza quantica esterna risulta, come visto nella (2.3), dipendente dal
coefficiente di assorbimento α, che a sua volta è fortemente dipendente dalla lunghezza
d'onda λ della radiazione ottica incidente, il campo di frequenze nel quale può avvenire la
generazione di un apprezzabile fotocorrente è limitato dalla presenza di due tagli: una
lunghezza d'onda di taglio superiore ed una lunghezza d'onda di taglio inferiore.
La lunghezza d'onda di taglio superiore λC (corrispondente alla frequenza di taglio inferiore)
è determinata dall'ampiezza di banda proibita Eg, ed è dovuta al fatto che l'assorbimento
ottico banda-banda è nullo per hν<Eg ossia per λ>λC. La lunghezza d'onda di taglio inferiore
(corrispondente alla frequenza di taglio superiore) della risposta spettrale ha luogo perché
per piccole lunghezze d'onda i valori del coefficiente di assorbimento α del materiale
semiconduttore sono molto elevati (≈ 105 cm-1), e pertanto la radiazione è assorbita
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prevalentemente in prossimità della superficie, dove è alta la concentrazione di difetti
superficiali e quindi il tempo di ricombinazione è basso.
2
Figura 1.3 - Confronto fra le curve di responsività di un fotorivelatore ideale (curva a tratti) e di un
fotorivelatore reale.
La lunghezza d'onda di taglio superiore λc, dipendente dall'ampiezza di banda
proibita del semiconduttore, è facilmente esprimibile dalla relazione
λc =
hc
1.24
=
( µm )
E g E g ( eV )
(2.5)
Nella figura 1.4 vengono riportati i valori dell'ampiezza di banda proibita Eg e della
lunghezza d'onda di taglio superiore λc, per diversi materiali semiconduttori di interesse
pratico insieme con il campo di lunghezze d’onda a cui è sensibile l’occhio umano [3].
Anche nei fotorivelatori, il silicio ha un fortissimo interesse tecnologico. Esso è utilizzato per
realizzare fotorivelatori operanti dall’UV al vicino infrarosso (1.1 µm).
Si nota la presenza del nitruro di gallio (GaN), semiconduttore composto del tipo III-V, in
corrispondenza ad un’energia di banda proibita di 3.4 eV. Questo insieme con il nitruro di
alluminio (AlN), anch'esso un semiconduttore composto del tipo III-V, a cui corrisponde
un'energia di banda proibita di 6.2 eV, sono in grado di generare un insieme di leghe ternarie
del tipo AlxGa1-xN, in cui x è la frazione molare di alluminio presente nella lega, che
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consentono di ottenere sistemi di rilevazione nella regione spettrale che si estende dal vicino
ultravioletto al lontano ultravioletto.
Figura 1.4 - Ampiezza di banda proibita Eg e lunghezza d'onda di taglio superiore per diversi
materiali semiconduttori. L'ampiezza di banda proibita dei semiconduttori variabile tra 0.2 eV
(per InSb) e 6.2 eV consente di ottenere sistemi di rivelazione versatili nella regione spettrale che
si estende dall’infrarosso all’ultravioletto.
11.3 Rumore nei fotorivelatori
Tutti i fotorivelatori sono limitati nella potenza ottica minima del segnale che
possono rivelare dalla presenza di rumore. Le sorgenti di rumore, che alterano il segnale da
rivelare, possono essere classificate in due gruppi: interne al dispositivo e provenienti da
fluttuazione del segnale ottico e dell'ambiente.
Una sorgente di rumore, che come sarà spiegato in seguito può essere sia interna che
esterna al dispositivo, è chiamata shot noise o rumore granulare. In un fotorivelatore infatti
gli elettroni che contribuiscono alla generazione della corrente considerati come particelle
discrete che trasportano cariche discrete, sono distribuiti nell'energia e nel momento secondo
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una certa funzione di distribuzione. Pertanto poiché gli elettroni presenti nel dispositivo non
si muovono con la stessa velocità ed energia, se si contano gli elettroni che vengono raccolti
ad un elettrodo in un certo intervallo di tempo Δt, il loro numero varierà come
schematicamente mostrato in figura 1.5.
Se la variazione del numero di elettroni che vengono raccolti in un intervallo di tempo Δt
segue la funzione di distribuzione di Poisson, allora se aΔt è il numero medio di particelle
che vengono raccolte in un intervallo di tempo Δt, con a corrente media particellare, la
probabilità di trovare N particelle nell'intervallo Δt è (per N molto maggiore di uno) data da
P( N, Δt ) =
⎛ (N − aΔt )2
1
exp⎜⎜ −
2aΔt
2π( aΔt )
⎝
⎞
⎟⎟ =
⎠
⎛ ΔN 2
exp⎜⎜ −
2πN
⎝ 2N
1
⎞
⎟⎟
⎠
(3.1)
dove N è il valore medio (=aΔt) e ΔN è la fluttuazione dal valore medio. Questa funzione di
distribuzione è rappresentata in figura 1.5 (b). Il massimo di questa funzione si ha per
N= N =aΔt. Mentre la deviazione quadratica media della funzione di distribuzione di
Poisson, ossia il rumore, è statisticamente
(ΔN)2
=
(N − N)
2
= N
(3.2)
E' importante sottolineare che questo tipo di rumore può manifestarsi sia nel fascio di fotoni
che incide sulla superficie del rivelatore, sia nel flusso di corrente del fotorivelatore
risultante dalla generazione di coppie elettrone-lacuna, poiché entrambi gli eventi riguardano
particelle discrete. Pertanto si tratta di un tipo di rumore che può essere sia interno che
esterno al dispositivo.
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Figura 1.5 - (a) Elettroni in un semiconduttore che si muovono casualmente secondo una certa
funzione di distribuzione; (b) Probabilità di trovare N elettroni che attraversano un'area A
nell'intervallo di tempo Δt. La corrente media particellare è a, mentre il numero medio di elettroni
è N =aΔt; (c) Rappresentazione schematica del flusso di corrente in un fotorivelatore. La variazione
statistica comporta la presenza di rumore nei fotorivelatori.
Un'importante figura di merito dei rivelatori è rappresentata dal rapporto fra il
segnale generato ed il rumore (Signal to Noise Ratio, SNR). Nel caso di rivelatori limitati dal
rumore di granularità, essendo il segnale medio nel dispositivo pari a N (=aΔt), il rapporto
segnale rumore è dato da
SNR =
N
N
= N = aΔt
(3.3)
Inoltre se si assume che la corrente media nel dispositivo sia I, allora la quantità a che
rappresenta la corrente particellare è data da
10
a=
I
q
(3.4)
Dall'espressione (3.3) si nota come il rapporto segnale rumore diminuisca al diminuire
dell'intervallo di tempo di osservazione. Se si indica con f la banda di frequenza del
dispositivo allora sarà
f≅
1
2 Δt
(3.5)
SNR =
a
2f
(3.6)
quindi la (3.3) diviene
Espressione che evidenzia come il rapporto segnale rumore peggiori all'aumentare della
banda di frequenza del dispositivo.
Il rumore di granularità è in genere espresso in termini di corrente equivalente di rumore
come
I sh = q
(ΔN )2
Δt
=q
aΔt
= 2qIf
Δt
(3.7)
Oltre al rumore di granularità i fotorivelatori presentano altre sorgenti di rumore.
Un'altra sorgente di rumore è rappresentata dal rumore termico di fondo o Johnson
associato con la radiazione da corpo nero secondo cui i fotoni incidenti sul materiale con
un'energia maggiore all'ampiezza della banda proibita di energia generano rumore creando
coppie elettrone-lacuna. Tuttavia, se kT è piccolo rispetto all’ampiezza di banda proibita del
materiale, il livello di rumore dovuto all'agitazione termica è trascurabile. Pertanto per il
maggior numero di frequenze ottiche il rumore termico è trascurabile. Inoltre i fotorivelatori
sono soggetti al rumore di generazione ricombinazione G-R attribuito alle proprietà
superficiali dei semiconduttori e alla generazione e ricombinazione dei portatori di carica
sugli stati superficiali.
La corrente equivalente di rumore dovuta al processo di generazione e ricombinazione è
I gr = qg 2( G + R )A e tf
(3.8)
in cui: G ed R rappresentano le velocità di generazione e ricombinazione, f la banda di
frequenza del dispositivo, t lo spessore del fotorivelatore, Ae l'area coperta dai contatti
metallici e g il guadagno fotoconduttivo, che rappresenta il numero di cariche raccolte ai
contatti per ogni coppia elettrone-lacuna fotogenerata.
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Definiamo ora alcune figure di merito che ci permetteranno di descrivere le
prestazioni del rivelatore, date le condizioni operative. Oltre al rapporto segnale-rumore già
introdotto, un'altra importante figura di merito che viene utilizzata per la quantificazione del
rumore in un fotorivelatore è rappresentata dalla potenza equivalente del rumore (NEP,
Noise Equivalent Power). Questa è pari alla quantità di luce, in termini di potenza,
equivalente al livello di rumore intrinseco del dispositivo. In altre parole il NEP rappresenta
il livello di luce richiesto per ottenere un rapporto SNR unitario. Di norma ci si riferisce al
valore di NEP alla lunghezza d'onda λMAX, in cui la responsività è massima, ed in condizioni
di polarizzazione nulla.
NEP =
Corrente di rumore [ A / HZ ]
Re sponsività di picco [ A / W ]
⎡ W ⎤
⎢ Hz ⎥
⎣
⎦
(3.9)
Se consideriamo il caso di rivelatori limitati dal rumore di granularità si ha che se I0<<IL,
ossia se la corrente di buio I0, corrente presente nel rivelatore anche quando non è soggetto
ad uno stimolo ottico, è molto inferiore alla fotocorrente IL, allora il NEP è dato da
NEP =
2!fa
ηQ
(3.10)
dove f è la banda di frequenza del dispositivo.
Se invece I0>>IL il NEP è dato da
(2qI 0 f ) 12 !ω
NEP =
ηQ q
(3.11)
Un'altra importante figura di merito è rappresentata dalla detettività D che è definita come
D=
1
NEP
(3.12)
Sia la detettività che il NEP dipendono dall'area ottica del semiconduttore e dalla banda di
frequenza. Una quantità, chiamata detettività specifica D*, è definita in modo tale da non
dipendere da queste due variabili come
(Af ) 2
1
∗
D =
NEP
(3.13)
Questo parametro consente, una volta fissata la banda di frequenza, di scegliere il rivelatore
dal valore massimo di D* [3].
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11.4 Tipologie di fotorivelatori
In questo paragrafo verrà descritta la struttura, il funzionamento e le caratteristiche
dei tre fondamentali tipi di fotorivelatori: i fotoconduttori, i fotodiodi p-i-n ed i fotodiodi a
valanga. Questi dispositivi sono in grado di soddisfare molte delle specifiche di rivelazione
nel settore della comunicazione ottica e di altre applicazioni. Tuttavia, a causa di alcuni
problemi in questi dispositivi e per speciali richieste di rivelazione sono stati progettati
schemi e dispositivi più sofisticati. Uno di questi è rappresentato dal fotodiodo metallosemiconduttore-metallo (MSM) che verrà discusso nel prossimo paragrafo.
11.4.1 Fotoconduttori
Un fotoconduttore è strutturalmente il più semplice dei fotorivelatori, consistendo
semplicemente in uno strato di semiconduttore dotato di contatti ohmici ad entrambe le
estremità dello strato (fig. 1.6(a)).
Il principio di funzionamento di un fotoconduttore si basa su un aumento di
conducibilità (rivelato da un circuito esterno del tipo mostrato in figura 1.6(b)) della regione
attiva del dispositivo, causato dalla generazione di coppie elettrone-lacuna ottenuta sia
attraverso transizioni banda-banda (intrinseche), sia attraverso transizioni che coinvolgono
livelli energetici della banda proibita (estrinseche).
Di fatto essendo la conducibilità, per un fotoconduttore intrinseco, data da
σ = q( µ n n + µ p p )
(4.1.1)
in cui µn e µp sono rispettivamente la mobilità degli elettroni e delle lacune, p è la
concentrazione di carica per le lacune ed n è la concentrazione di carica per gli elettroni,
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Figura 1.6 - (a) Geometria di un fotoconduttore di lunghezza L ed area A=WL. (b) Tipico circuito di
polarizzazione per un fotoconduttore. La radiazione genera un cambiamento nella resistenza del
fotoconduttore. La capacità C è usata esclusivamente nel caso in cui si voglia rivelare solo la
componente alternata del segnale.
si nota come l'aumento della conducibilità per effetto dell'illuminazione sia causato
principalmente dall'aumento del numero di portatori. La lunghezza d'onda massima alla
quale il dispositivo può funzionare (corrispondente alla frequenza di taglio inferiore) è data
dalla relazione (2.5). Nel caso di un fotoconduttore estrinseco invece, potendo la
fotoeccitazione avvenire fra l'estremità di una banda ed un livello energetico presente nella
banda proibita, la lunghezza d'onda di taglio è determinata dalla posizione del livello
energetico presente nella banda proibita.
Un'importante proprietà dei rivelatori fotoconduttivi è quella di presentare un
meccanismo di guadagno interno al dispositivo, ossia la possibilità di raccogliere ai contatti
più di un elettrone (o lacuna) per ogni fotone incidente sul dispositivo.
Per spiegare il meccanismo di guadagno si consideri il funzionamento di un fotoconduttore
in presenza di illuminazione.
In un dispositivo di tipo n leggermente drogato in cui gli elettroni siano il meccanismo
dominante di conduzione, in assenza di radiazione luminosa, la conducibilità risulta essere
σ0 = q( µn n 0 + µ p p0 )
(4.1.2)
in cui n0 e p0 rappresentano rispettivamente la densità di buio degli elettroni e delle lacune.
L'applicazione di un segnale ottico di opportuna lunghezza d'onda causa la generazione di
una densità di carica in eccesso δn=δp=GLτp, in cui GL è la velocità di generazione delle
coppie elettrone-lacuna e τp è l'effettivo tempo di ricombinazione delle cariche in eccesso,
tale da far divenire la conducibilità pari a
σ=q[µn(n0+δn)+µp(p0+δp)]
14
(4.1.3)
Il confronto tra le relazioni (4.1.3) e (4.1.2) porta ad esprimere la variazione di conducibilità
nel materiale dovuta al segnale ottico, chiamata fotoconduttività, come
Δσ = qδp( µ n + µ p )
(4.1.4)
Per rivelare l'avvenuta variazione di conducibilità è necessario applicare un campo elettrico
E, in presenza del quale la densità di corrente risulta essere
J = (J 0 + J L ) = (σ 0 + Δσ )E
(4.1.5)
dove J0 rappresenta la densità di corrente di buio del rivelatore. La fotocorrente nel
dispositivo è pertanto
(
)
(
)
I L = J L A = qδp µ n + µ p AE = qG L τ p µ n + µ p AE
(4.1.6)
Le quantità µ n E e µ p E rappresentano rispettivamente la velocità degli elettroni e delle
lacune che, in presenza di elevati campi elettrici E diventano le velocità di saturazione
indipendenti dall'entità del campo elettrico applicato, mentre A rappresenta l'area ottica del
fotoconduttore.
Se definiamo il tempo di transito degli elettroni nel dispositivo come
t tr =
L
µn E
(4.1.7)
in cui con L si è indicata la lunghezza del fotoconduttore, l'espressione (4.1.6) della
fotocorrente diviene
⎛ τ p ⎞⎛ µ p
I L = qG L ⎜⎜ ⎟⎟⎜⎜ 1 +
⎝ t tr ⎠⎝ µ n
⎞
⎟⎟ AL
⎠
(4.1.8)
Se inoltre si definisce come corrente di fotoconduzione primaria la quantità
I Lp = qG L AL
(4.1.9)
che rappresenta la fotocorrente se ogni coppia elettrone-lacuna contribuisse solamente con
una carica ai contatti, ossia senza guadagno nel dispositivo, si può esprimere il guadagno del
fotoconduttore come
G ph =
τp ⎛ µp
IL
= ⎜⎜ 1 +
I Lp t tr ⎝ µ n
⎞
⎟⎟
⎠
(4.1.10)
che evidenzia come l'amplificazione di corrente dipenda dal rapporto tra il tempo di vita dei
portatori e quello di transito, ossia il guadagno nel dispositivo nasce dal fatto che gli
elettroni circolano più volte nel circuito prima di ricombinare con una lacuna fotogenerata.
Pertanto ogni volta che l'elettrone passa attraverso il circuito contribuisce alla fotocorrente.
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Un guadagno piuttosto elevato può così essere ottenuto rendendo τp grande e ttr piccolo (nei
dispositivi basati su silicio, dove τp può essere molto grande, si possono ottenere guadagni
dell'ordine di 103 ed anche più elevati).
Tuttavia, l'aumentato guadagno lo si ottiene a spese della velocità di risposta che è
controllata da τp. Ossia il prodotto della banda di frequenza per il guadagno risulta costante
[3].
Un'altra importante considerazione da fare sulle prestazioni del dispositivo è inerente
la generazione di rumore. Il rumore, in questo tipo di fotorivelatori, è principalmente
generato dall'elevata corrente di buio del dispositivo ed è conosciuto come rumore termico o
Johnson. Come già spiegato, questo rumore ha origine dal moto casuale delle cariche che
contribuiscono alla corrente.
La corrente di rumore risultante da questo processo ij, formulata da Nyquist tramite
argomenti di termodinamica è espressa da
i 2j =
4 kTB
RC
(4.1.11)
in cui B è la banda di frequenza del dispositivo ed RC la resistenza del canale fotoconduttivo.
Inoltre il rapporto segnale-rumore, S/N, può essere espresso approssimativamente come
S ( conduttivi tà ) luce
≅
N ( conduttivi tà ) buio
(4.1.12)
che dimostra come sia necessario ridurre la conduttività di buio per ridurre il rumore [2].
Sebbene i fotoconduttori possano ottenere un elevato guadagno, questi sono
degradati dalla presenza di un elevata corrente di buio. Infatti, come si può vedere dalla
relazione (4.1.2), anche in assenza di radiazione applicata il dispositivo può presentare
un'elevata conduttività e quindi un'elevata corrente di buio. Strutture di dispositivi che non
siano influenzate dalla presenza di un'elevata corrente di buio, e che pertanto consentano
l'ottenimento di un elevato rapporto segnale-rumore, sono rappresentate dal diodo p-n o p-i-n
polarizzato inversamente [3].
11.4.2 Il diodo fotorivelatore p-i-n
Il fotodiodo p-i-n, realizzato da una regione di semiconduttore intrinseco i fra due
strati di semiconduttore drogati rispettivamente di tipo p ed n, è uno dei fotorivelatori più
comuni, perché lo spessore della regione di svuotamento (lo strato intrinseco i) può essere
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progettato in modo da ottimizzare l'efficienza quantica e la risposta in frequenza del
dispositivo. Inoltre, essendo stato progettato in modo da funzionare in condizione di
polarizzazione inversa, ha il pregio di presentare una bassa corrente di buio indipendente dal
valore di polarizzazione applicato, come si può vedere dalla caratteristica I-V del dispositivo
mostrata in figura 1.7.
Figura 1.7 - Caratteristica I-V di un fotodiodo p-i-n.
Infatti la principale sorgente di rumore in questo tipo di fotorivelatore è rappresentata dal
rumore di generazione ricombinazione G-R, che risulta 1÷2 ordini di grandezza superiore al
rumore Johnson.
La figura 1.8 mostra la sezione di un fotodiodo p-i-n con il relativo diagramma a
bande di energia in condizione di polarizzazione inversa del dispositivo. La fotocorrente IL è
essenzialmente dovuta alle coppie fotogenerate nella regione di svuotamento (regione i), o a
distanze inferiori ad una lunghezza di diffusione da essa. Le coppie elettrone-lacuna essendo
il diodo polarizzato in inversa, vengono separate dal forte campo elettrico presente nella
regione di svuotamento, e trascinate da questo lungo la regione i, come mostrato in figura
1.8, dando origine alla corrente che fluisce nel circuito esterno.
La fotocorrente che viene prodotta in questo modo è esprimibile come
I L = qAJph ( 0 )(1 − R )[1 − exp( −αW )]
(4.1.13)
in cui Jph(0) è il flusso di fotoni ad x=0, W è lo spessore della regione di svuotamento, α è il
coefficiente di assorbimento del materiale ed R è la riflettività della superficie.
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Figura 1.8 - Sezione e diagramma a bande di energia (energia in funzione della distanza) in
condizione di polarizzazione inversa di un fotorivelatore p-i-n.
Un indice dell'efficienza del rivelatore è dato dalla sua responsività, ossia dal
rapporto fra la densità di fotocorrente prodotta ed il flusso di fotoni incidente
R=
IL
= (1 − R )[1 − exp( −αW )]
AJph ( 0 )
(4.1.14)
da questa espressione si osserva come per avere elevate responsività occorra avere delle
riflettività R basse, che possono essere ottenute munendo la superficie di un rivestimento
antiriflettente, e larghezze W della regione di svuotamento elevate. Tuttavia, aumentare W
equivale ad aumentare il tempo di transito degli elettroni, e quindi a ridurre la velocità del
dispositivo. Pertanto si nota come vi sia un compromesso tra la velocità di risposta e la
responsività, compromesso che sarà risolto in base alla specifica applicazione del dispositivo
[3].
11.4.3 Fotodiodi ad effetto valanga
Un'altra classe importante di fotorivelatori è rappresentata dai fotorivelatori ad
effetto valanga (APD Avalanche Photodiode). A differenza dei fotodiodi p-i-n in cui il
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guadagno può, al più, essere unitario, i fotodiodi a valanga sfruttano il processo di
ionizzazione da impatto per ottenere elevati guadagni.
Nel processo di ionizzazione per impatto, un portatore all'interno del semiconduttore
prodotto dall'assorbimento di un fotone, viene accelerato dal forte campo elettrico presente
nella zona attiva, dovuto alla forte polarizzazione inversa applicata; tale portatore può
acquisire sufficiente energia cinetica per provocare la creazione di un'ulteriore coppia
elettrone-lacuna per ionizzazione di un atomo del reticolo invece che per assorbimento di un
fotone. In pratica, l'elettrone in accelerazione cede energia ad un secondo elettrone nella
banda di valenza che può passare nella banda di conduzione, e così via. Di fatto, un portatore
"primario" generato per assorbimento di un fotone può generare un certo numero di coppie
"secondarie" che contribuiscono alla fotoconduzione in uscita.
L'attitudine di un semiconduttore alla ionizzazione viene quantificata dai coefficienti di
ionizzazione αh (per le lacune) e αe (per gli elettroni), che rappresentano il numero medio di
ionizzazioni che si verificano nel materiale per unità di lunghezza (cm), per un fissato valore
del campo elettrico esterno che provoca l'accelerazione.
A partire da un diodo p-i-n, un fotorivelatore ad effetto valanga è realizzato
aggiungendo uno strato di semiconduttore p, detto regione di moltiplicazione, come mostrato
in figura 1.9.
Nella regione di moltiplicazione ha sede il processo valanga mentre lo strato intrinseco i ha
ancora la funzione di generazione degli elettroni primari.
L'espressione del fattore di moltiplicazione (guadagno) del dispositivo APD è data
da
M≅
Je (d )
1− kA
=
J e ( 0 ) exp[− (1 − k A )α e d ] − k A
, KA ≅
αh
αe
(4.1.15)
ove Je(d) e Je(0) sono rispettivamente la densità di corrente di elettroni per x=d e x=0, KA è il
rapporto di ionizzazione e d è la larghezza della regione di moltiplicazione. E' evidente che
per d=0 si ha M=1, in quanto il dispositivo non presenta nessuna zona di moltiplicazione
mentre per d=-ln(KA)/[(1-KA)αe]≅d0 si ha M→∞, cioè il dispositivo presenta un effetto di
breakdown distruttivo, ovvero rottura irreversibile della giunzione.
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Figura 1.9 - a) Sezione di un dispositivo APD con indicazione delle regioni di assorbimento e
moltiplicazione. b) Profilo del campo elettrico. Il forte campo in prossimità della giunzione n+p
determina il processo di moltiplicazione a valanga.
Dalla descrizione precedente, la relazione fenomenologica che lega la potenza ottica
incidente alla corrente prodotta si modifica come segue
I APD = M
ηQ Pop q
hν
(4.1.16)
e, quindi, si può pensare che la responsività del dispositivo APD sia pari a
R=
MηQ q
hν
(4.1.17)
Tuttavia il guadagno che si ottiene nei fotodiodi a valanga lo si paga in termini di
rumore, in quanto il processo di moltiplicazione dei portatori che contribuiscono alla
corrente di uscita è intrinsecamente "rumoroso". Ciò è dovuto al fatto che il coefficiente che
fornisce il numero di elettroni nella corrente di uscita provocati da un unico fotone assorbito
nella zona i non è una costante ma è una variabile aleatoria, per la natura quantistica dei
fenomeni stessi, che assume valori diversi nei diversi eventi di assorbimento e
moltiplicazione. Il guadagno M può considerarsi una costante solo facendo riferimento ad
opportune "medie" della corrente. Il valore istantaneo di I, in uscita al dispositivo APD, è
inevitabilmente accompagnato da una componente aleatoria di disturbo in eccesso che non è
presente nella corrente generata nei diodi p-i-n. Analizzando il fenomeno si trova che, al fine
di minimizzare il rumore intrinseco di moltiplicazione, per minimizzare la varianza di M il
fotodiodo a valanga deve avere KA<<1 oppure KA>>1, cioè il meccanismo di moltiplicazione
deve essere affidato ad un solo tipo di portatori di carica.
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11.5 Fotodiodi metallo-semiconduttore-metallo (MSM)
Un fotodiodo metallo-semiconduttore-metallo è ottenuto realizzando due contatti
Schottky su uno strato di semiconduttore intrinseco. La tipica geometria del dispositivo
utilizza contatti interdigitati (fig. 1.10(a)) con una spaziatura tra gli elettrodi L compresa
circa tra 1 e 5 ∓m che definisce l’area fotosensibile del dispositivo. La spaziatura tra gli
elettrodi L è uno dei parametri fondamentali per la
determinazione della tensione di
polarizzazione ai contatti che comporta il completo svuotamento della regione L ed ha come
conseguenza un potenziamento della velocità di risposta, e quindi della banda di frequenza, e
della responsività del dispositivo.
Figura 1.10 - (a) Illustrazione schematica di un fotodiodo MSM interdigitato. (b) Diagramma a bande
per un fotodiodo MSM in condizioni di polarizzazione applicata in cui φbn e φbp rappresentano
rispettivamente l'altezza della barriera Schottky per gli elettroni e le lacune.
Dal diagramma a bande di energia, nel caso in cui una tensione di polarizzazione V venga
applicata ai contatti del fotodiodo, mostrato in figura 1.10(b) si nota come una giunzione
metallo-semiconduttore risulti polarizzata inversamente mentre l'altra risulta polarizzata
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direttamente. In questo particolare tipo di fotorivelatori la corrente di buio del dispositivo è
dominata da fenomeni di emissione termoionica oltre la barriera. In particolare, il
meccanismo di conduzione dominante passa dall'iniezione di elettroni al contatto polarizzato
inversamente, per bassi valori di tensione applicati, all'iniezione di lacune al contatto
polarizzato direttamente per tensioni di polarizzazione superiori alla condizione per cui i due
bordi delle regioni di svuotamento coincidono. La somma dei due contributi per elevate
tensioni applicate è
J = A ∗n T 2 e[−q (Φ bn −ΔΦbn )/ kT] + A ∗p T 2 e
[−q (Φ bp −ΔΦbp )/ kT]
(1.5.1)
dove A *n e A *p sono le costanti di Richardson efficaci per gli elettroni e le lacune e
Δφ bn e Δφ bp rappresentano gli abbassamenti della barriera, rispettivamente per gli elettroni
e le lacune, dovuti ad effetti di forza immagine derivanti dalla dipendenza dell'altezza della
barriera dalla tensione applicata.
In condizioni ideali, la corrente di buio nei fotorivelatori MSM è dell'ordine di 1 nA o più
bassa, valori comparabili con quelli dei fotodiodi p-i-n.
La capacità ideale del dispositivo per una configurazione source-drain con i contatti
lunghi l ed interspaziati L è data da
C = C0 l
(1.5.2)
con C0 capacità della gap dei contatti per unità di lunghezza. Se, come in figura 1.10, il
dispositivo è realizzato nella configurazione interdigitata con N elettrodi di larghezza W ed
interspaziati L l'espressione della capacità diviene
C = ( N − 1)C0l
(1.5.3)
Mentre la capacità di gap per unità di area è
CA =
C0
(L + W )
(1.5.4)
In figura 1.11, è riportata la caratteristica capacità-tensione nel caso di un fotodiodo MSM,
basato su GaAs, con interspaziatura tra i contatti pari a 3 ∓m [5].
Si nota come per entrambe le polarità la capacità diminuisca all'aumentare della tensione
sino a raggiungere un valore costante che viene ottenuto quando la tensione applicata è tale
che i due bordi delle regioni di svuotamento coincidono.
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Figura 1.11 - Caratteristica capacità di buio-tensione di un fotodiodo
MSM in GaAs e contatti Schottky in siliciuro di tungsteno.
Una caratteristica molto importante dei fotodiodi MSM è quella di presentare delle capacità
più piccole di un fattore quattro rispetto ai fotodiodi p-i-n, per eguale area di illuminazione.
Ciò permette di far raggiungere al dispositivo delle elevate velocità di risposta.
L'efficienza quantica esterna del dispositivo, molto simile a quella di un dispositivo
p-i-n, è data da
ηext = η i (1 − R )
L
(1 − e −αd )
L+W
(1.5.5)
in cui d rappresenta lo spessore della regione di assorbimento. La responsività del dispositivo
è data da qηext/hν.
L'ampiezza di banda Δf è tipicamente inversamente proporzionale all'interspazio L tra i
contatti. Infatti, i dati in letteratura ottenuti per dispositivi basati su GaAs ed InGaAs
possono essere interpolati dalla relazione
L( Δf ) =
14.17
Δf − 0.314
(1.5.6)
in cui L è compreso tra 2 e 4 µm e Δf è in gigahertz [6].
Per quanto riguarda la caratteristica di fotorisposta del diodo si nota come la
responsività aumenti all'aumentare della polarizzazione applicata. Ciò prova l'esistenza di un
meccanismo di guadagno interno anche per valori di tensione così piccoli da escludere il
fenomeni di ionizzazione da impatto. Il fotodiodo MSM è dunque un dispositivo versatile
che presenta tutte le caratteristiche desiderabili di un fotorivelatore pratico ed è suscettibile
di schemi semplici ed integrazione planare. Inoltre, questo unisce ad un elevato guadagno
una bassa corrente di buio ed una banda di frequenza piuttosto larga.
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