Scompenso cardiaco e mortalità: gli acidi grassi polinsaturi e il peso

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Rassegna
Recenti Prog Med 2011; 102: 33-42
Scompenso cardiaco e mortalità:
gli acidi grassi polinsaturi e il peso delle evidenze
Giancarlo Bausano
Riassunto. Molti studi di tipo epidemiologico-osservazionale e sperimentale hanno dimostrato negli ultimi anni che gli
acidi grassi polinsaturi N-3 (N-3 PUFA) sono caratterizzati da
svariati effetti benefici. Fra questi, oltre al documentato effetto ipolipemizzante, particolare rilievo assumono gli effetti di prevenzione sulla cardiopatia ischemica e sulla morte
cardiaca improvvisa. Lo studio italiano denominato GISSI-Prevenzione ha dimostrato qualche anno fa che gli N-3 PUFA alla dose di 1 g/die sono in grado di ridurre significativamente
la mortalità totale di pazienti reduci da un infarto miocardico acuto, soprattutto attraverso la riduzione della morte improvvisa. Inoltre, come ha evidenziato il recente studio GISSIHF, nei pazienti con scompenso cardiaco cronico gli N-3 PUFA, in aggiunta alla terapia tradizionale, determinano una
modesta ma significativa riduzione della mortalità totale e
della necessità di nuovi ricoveri per motivi cardiovascolari ed
il loro profilo di sicurezza è eccellente in tutte le condizioni
cliniche. Ulteriori studi sono in corso per confermare l’efficacia degli N-3 PUFA nella prevenzione degli eventi aritmici in
pazienti sottoposti a cardioversione per fibrillazione atriale e
nei pazienti sottoposti ad interventi di cardiochirurgia, ma
anche nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari maggiori in soggetti ad alto rischio cardiovascolare.
Summary. Heart failure and mortality:
polyunsaturated fatty acids and the relevance of evidence.
Several observational and experimental studies have proved polyunsaturated fatty acids N-3 (N-3 PUFA) beneficial
effects. The first to be detected was the ipolipidic effect so
these drugs have been used for the treatment of dislipidemic disorders, while antinflammatory, antithrombotic
and antiarrhythmogenic effects have been found later.
GISSI-Prevenzione trial proved the efficacy and tolerability of N-3 PUFA in post-myocardial infarction patients. According to this evidence-based findings, today N-3 PUFA
are indicated for primary and secondary prevention of ischemic cardiopathy and sudden cardiac death (SCD).
Moreover, as recently demonstrated in GISSI-HF trial and
in other experimental studies, N-3 PUFA could be indicated in patients affected by chronic heart failure, in patients
with implantable cardioverter defibrillators at high risk of
SCD and, furthermore, for the prevention of atrial fibrillation after cardiac surgery. Large studies are in progress to
confirm these relevant findings in patients at high cardiovascular risk.
Parole chiave. N-3 PUFA, prevenzione delle malattie cardiovascolari, scompenso cardiaco, studio GISSI-Prevenzione.
Key words. Chronic heart failure, GISSI-Prevenzione trial, N3 PUFA, prevention of cardiovascular diseases.
Introduzione
penso cardiaco è il motivo più frequente di ricovero
dell’anziano e la patologia cardiovascolare più dispendiosa nei Paesi occidentali. I costi si aggirano
intorno al 2% della spesa complessiva dei sistemi sanitari nazionali e, considerando il progressivo invecchiamento della popolazione, si può prevedere un ulteriore aumento del carico di questa patologia sulla
società6.
Particolarmente rilevante appare la spesa per
l’assistenza ospedaliera, considerando il numero
elevatissimo di riospedalizzazioni: lo studio Temistocle ha evidenziato un tasso globale di riospedalizzazione a 6 mesi pari al 44,6%7. Anche se il numero di ricoveri per scompenso cardiaco ha mostrato negli ultimi anni un andamento stabile nella fascia di età <65 anni, esso è pressoché raddoppiato nei più anziani.
Esistono diverse definizioni di scompenso cardiaco, ma la diagnosi si basa sulla valutazione clinica eseguita attraverso l’anamnesi, l’esame obiettivo ed indagini strumentali appropriate.
La prevalenza delle malattie cardiovascolari
nei Paesi industrializzati è andata generalmente
diminuendo nel corso degli ultimi 30 anni, con
l’unica eccezione dello scompenso cardiaco che viene invece segnalato in progressivo aumento. Lo
scompenso cardiaco colpisce lo 0,4-2% circa della
popolazione adulta europea, ma aumenta in maniera esponenziale con l’avanzare dell’età, tanto è
vero che l’età media dei pazienti affetti da questa
patologia è di 74 anni1. In Italia, per esempio, la
prevalenza oscilla da 3 a 20 casi per 1000 abitanti, ma arriva al 10% nella fascia d’età >65 anni2,3.
Qualora i fattori sottostanti non siano corretti,
la prognosi è generalmente severa con una mortalità a 4 anni del 50% nei pazienti con scompenso
cardiaco accertato e del >50% ad 1 anno in quelli
con scompenso cardiaco grave4,5.
Attualmente, oltre ad essere la prima diagnosi di
dimissione per malattia cardiovascolare, lo scom-
Report dal 111° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, svoltosi a Roma dal 16 al 19 ottobre 2010.
Lettura a cura di Aldo Pietro Maggioni.
Elaborazione di Giancarlo Bausano, Medicina Preventiva, ASL RM B, Roma.
Pervenuto il 9 novembre 2010.
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Recenti Progressi in Medicina, 102 (1), gennaio 2011
Secondo le linee-guida della Società Europea di
Cardiologia8 i pazienti con scompenso cardiaco cronico presentano le seguenti caratteristiche: sintomi di scompenso, cioè dispnea e affaticabilità sia a
riposo che sotto sforzo oppure edema periferico, ed
evidenza oggettiva (strumentale) di disfunzione
cardiaca a riposo (tabella 1).
Una volta posta la diagnosi, i sintomi consentono di classificarne la gravità e di monitorare gli effetti del trattamento. La classificazione della New
York Heart Association (NYHA) è quella più largamente adottata (tabella 2). Per essere definiti affetti da scompenso cardiaco, i pazienti in classe NYHA I devono presentare evidenza oggettiva di disfunzione cardiaca, storia pregressa di sintomatologia tipica ed essere in trattamento per tale patologia.
Tabella 1. Definizione di scompenso cardiaco.
- Sintomi di scompenso cardiaco (a riposo o sotto sforzo) e
- Evidenza oggettiva (preferibilmente all’ecocardiografia) di
disfunzione cardiaca (sistolica e/o diastolica) (a riposo) e
(nei casi di diagnosi dubbia)
- Risposta alla terapia specifica
Modificato da Linee-guida8.
Tabella 2. Classificazione dello scompenso cardiaco secondo la
New York Heart Association.
Classe I
Nessuna limitazione dell’attività fisica: l’esercizio
fisico abituale non provoca affaticabilità, dispnea
né palpitazioni.
Classe II
Lieve limitazione dell’attività fisica: benessere a riposo ma l’attività fisica abituale provoca affaticabilità, palpitazioni o dispnea.
Classe III
Classe IV
Grave limitazione dell’attività fisica: benessere a riposo ma l’attività fisica minima provoca sintomi.
Incapacità a svolgere qualsiasi attività fisica senza
disturbi: i sintomi di scompenso cardiaco sono
presenti anche a riposo e peggiorano con qualsiasi attività fisica.
Modificato da Linee-guida8.
L’evoluzione della terapia
La diffusione di trattamenti evidence-based mirati alla riduzione della morbilità e mortalità ha
sicuramente modificato negli ultimi 20 anni lo scenario clinico dello scompenso cardiaco cronico.
Nella figura 1 sono riassunte le linee-guida della Società Europea di Cardiologia che riguardano il
trattamento dello scompenso cardiaco cronico nei
Classe NYHA
II/III
Classe NYHA
IV
Beta bloccante + ACE-inibitore
+
+
Candesartan 32 mg una volta al dì
o valsartan 160 mg due volte al dì
Spironolattone
25 mg/die
Figura 1. Linee-guida di trattamento della Società Europea di Cardiologia in base alla gravità (classificazione NYHA) dello scompenso cardiaco cronico con ridotta funzione sistolica.
S
pazienti con ridotta funzione sistolica poiché è in
questa categoria che – a differenza dei pazienti con
disfunzione diastolica – sono state ottenute evidenze sufficientemente sicure.
In questi pazienti viene raccomandato l’impiego
di un farmaco bloccante del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitore) indipendentemente dalla
gravità
0 dei sintomi, farmaco che potrà essere eventualmente associato ad un beta-bloccante. Se, malgrado l’uso combinato di questi due farmaci, i pazienti sono ancora sintomatici, il suggerimento è
quello di aggiungere un sartano nei pazienti in
classe NYHA II-III, oppure un bloccante dell’aldosterone (per es., lo spironolattone) se lo scompenso
R
è di gravità
maggiore8. Come già accennato, grazie
agli schemi di terapia suddetti, la mortalità ha subito un drastico ridimensionamento, specialmente
se il confronto viene effettuato con i risultati ottenuti dalla terapia tradizionale a base di digitale e
diuretici. Con l’introduzione in terapia degli ACEinibitori e, successivamente, dei beta-bloccanti è
stata infatti osservata inizialmente una riduzione
della mortalità del 30%, ma ulteriori progressi sono stati ottenuti con l’aggiunta di sartani, raggiungendo in alcuni trial una mortalità del 5% (figura 2 alla pagina successiva)9-11.
Questo dato, indubbiamente importante, è tuttavia il frutto di studi controllati la cui popolazione – si badi bene – differisce per svariate caratteristiche dai pazienti che giungono all’osservazione
clinica nel “mondo reale”, vale a dire nella comunità. Questi ultimi, per esempio, hanno un’età media superiore, sono più spesso di sesso femminile e
sono affetti da un maggior numero di comorbilità
(tabella 3 alla pagina seguente)12.
Tali fattori, combinati insieme, non solo finiscono per avere un impatto negativo sulla prognosi,
ma possono anche rappresentare un ostacolo alla
corretta applicazione delle raccomandazioni terapeutiche. Per esempio, il ruolo prognostico negativo svolto dalla presenza di comorbilità determina
nella popolazione di pazienti appartenenti alla comunità livelli di mortalità intraospedaliera significativamente superiori.
C
G. Bausano: Scompenso cardiaco e mortalità: gli acidi grassi polinsaturi e il peso delle evidenze
Lo confermano i numeri del registro Italian Network on Congestive Heart Failure (IN-CHF) istituito nel 1995 con la creazione di un software finalizzato alla raccolta di dati clinici ed epidemiologici nei pazienti con diagnosi clinica di scompenso
cardiaco cronico giunti all’osservazione in 142 centri cardiologici italiani13.
SOLVD-T (1991)
RRR 21%
CIBIS-2 (1999)
RRR 33%
20
Registro IN-CHF
follow-up a 1 anno
(N = 8627)
Indagine su SC acuto
follow-up a 6 mesi
(N = 2806)
40,7%
CHARM-Added (2003)
(sottogruppo
con B-bloccanti)
RRR 30%
22,5%
24,5%
Ospedalizzazione
totale
-ORTALITÌ
totale*
11,2%
-ORTALITÌ
totale
15
Ospedalizzazione
totale*
*pazienti con SC ingravescente
% 10
Figura 3. Prognosi dei pazienti affetti da scompenso cardiaco nella pratica clinica. Dati ricavati dal registro IN-CHF (Italian Network
on Congestive Heart Failure) e da uno studio su pazienti riospedalizzati per scompenso cardiaco (SC) acuto.
5
0
Diuretici Diuretici
Digossina Digossina
ACE-I
Diuretici
Diuretici Diuretici
Diuretici
Digossina Digossina
Digossina Digossina
ACE-I
ACE-I
ACE-I
ACE-I
B-bloccante B-bloccante B-bloccante
Sartani
Se poi un paziente viene nuovamente ricoverato per un peggioramento dello scompenso, la mortalità tende ulteriormente ad elevarsi, come dimostrano i dati di un’indagine analoga condotta nel
2004 su pazienti ricoverati per scompenso acuto15,
che ha evidenziato nel follow-up successivo al ricovero una mortalità prossima al 25% ed una percentuale di riammissione in ospedale del 41% circa
a distanza di 6 mesi dal primo ricovero (figura 3).
Malgrado i brillanti risultati ottenuti negli studi farmacologici, molto resta ancora da fare in questo campo per migliorare la prognosi.
Figura 2. Miglioramento della sopravvivenza nello scompenso
cardiaco cronico con disfunzione sistolica: mortalità totale a 1 anno nei principali trial pubblicati9-11.
I risultati di questa esperienza, condotta su oltre 9000 individui, indicano che a distanza di 1 anno dal ricovero la mortalità totale è ancora elevata,
pari all’11,2%, e che la frequenza di riospedalizzazione raggiunge il 22,5% (un paziente su cinque!),
anche se sono state osservate differenze significative legate sia alla classe funzionale sia all’eziologia
dello scompenso. Inoltre, l’essere stati ricoverati
per scompenso nell’anno precedente la visita di ingresso nel database comporta un incremento
dell’80% del rischio di ospedalizzazione (figura 3)14.
Il ruolo degli acidi grassi polinsaturi N-3 (N-3 PUFA)
LA SToRIA
Tabella 3. Differenze fra pazienti con scompenso arruolati nei trial e quelli della comunità.
Variabile
Studi clinici randomizzati
Comunità
Età (anni)
57-64
70-75
Sesso
4/1
1/1
Frazione di eiezione >40
Criterio di esclusione
>40%
Fibrillazione atriale
20%
40%
Disfunzione renale
Criterio di esclusione
20-30%
Comorbilità
Criterio di esclusione
Frequenti
Dose farmaci
A target
Bassi
Compliance
Elevata
Scarsa
Durata terapia
1-3 anni
Per sempre
Mortalità a 1 anno
9-12%
25-30%
Modificata da Del Sindaco et al.12.
L’interesse nei confronti
degli acidi grassi polinsaturi (polyunsaturated fatty
acids, PUFA) è riconducibile a studi epidemiologici
condotti negli anni ’70, secondo i quali una popolazione di Eschimesi residente
nel luogo di origine mostrava un’incidenza di eventi
cardiovascolari e di cardiopatia ischemica quasi 10
volte inferiore rispetto ai
conterranei emigrati in
Paesi industrializzati. Tale
rilievo era presumibilmente correlato solo alle diverse abitudini alimentari e in
particolare alla maggiore
assunzione di pesce negli
Eschimesi residenti in Groenlandia16.
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Recenti Progressi in Medicina, 102 (1), gennaio 2011
EFFETTI BIoLoGICI
Analisi multivariata
6,87 (6,08-10,2)
5,63 (5,20-6,07)
4,76 (4,33-5,19)
3,58 (2,12-4,32)
P = 0,007
Aggiustata per età e fumo
6,87 (6,08-10,2)
5,63 (5,20-6,07)
4,76 (4,33-5,19)
3,58 (2,12-4,32)
P = 0,004
Vari studi su modelli sperimentali e clinici hanno dimostrato negli ultimi anni i numerosi effetti
favorevoli degli N-3 PUFA (tabella 4).
Tabella 4. Effetti favorevoli dimostrati in modelli cellulari e animali per gli N-3 PUFA.
Processi infiammatori (fra cui la attivazione endoteliale e la
produzione di citochine)
Aggregazione piastrinica
0
0,5
1
1,5
RR (95% IC)
2
Il forte consumo di pesce in questa popolazione
implica un apporto dietetico elevato di N-3 PUFA
(acido eicosapentaenoico-EPA e docosaesaenoicoDHA) presenti in alte concentrazioni in aringhe,
salmoni e tonno. Ulteriori studi osservazionali
hanno confermato una significativa correlazione
inversa fra l’assunzione e la concentrazione plasmatica di N-3 PUFA ed il rischio di eventi ischemici, nonché di morte improvvisa17,18 (figura 4).
È noto d’altra parte come nei Paesi occidentali
le abitudini si siano modificate progressivamente,
con una aumentata assunzione di acidi grassi saturi a scapito di quelli insaturi ed un alterato rapporto fra apporto dietetico di N-6 PUFA (acido linoleico e acido arachidonico) contenuti in oli vegetali e nella carne e di N-3 PUFA a favore dei primi
(rapporto attualmente di 40/1 anziché di 5/1, considerato ideale).
A tale squilibrio ha fatto riscontro in un arco di
tempo sostanzialmente sovrapponibile un aumento esponenziale della prevalenza e dell’incidenza
di cardiopatia ischemica (figura 5).
50
40
Pressione arteriosa a frequenza cardiaca
Funzione ventricolare
Figura 4. Analisi del rischio relativo di morte cardiaca improvvisa
in rapporto ai livelli ematici basali degli N-3 PUFA, suddivisi per
quartili. Modificata da Albert et al.17.
IC= intervallo di confidenza.
% calorie di grassi
36
Grassi totali
CHD
Tono autonomico
Assetto lipidico
Aritmogenesi
È stato evidenziato per esempio come, a differenza degli N-6 PUFA, gli N-3 PUFA liberano eicosanoidi (trombossano, leucotrieni) inattivi o comunque dotati di effetto proaggregante, proinfiammatorio e vasocostrittore assai più modesto,
circa 10 volte inferiore, rispetto agli analoghi derivati dall’acido arachidonico. Tale proprietà inciderebbe favorevolmente sulla formazione della placca ateromasica e quindi in senso preventivo rispetto allo sviluppo dell’aterosclerosi19.
Inoltre, la diversa interazione piastrine/piastrine e piastrine/parete vascolare determinata dagli
N-3 PUFA si traduce in una riduzione dell’aggregazione piastrinica e in una promozione della vasodilatazione endotelio-dipendente, legata all’interazione più favorevole fra trombossano e prostaciclina, ma anche all’aumento dei livelli di nitrossido
(NO) prodotto dalle cellule endoteliali. A ciò si aggiungono gli effetti favorevoli su alcuni fattori di rischio coronarico, quali la pressione arteriosa che
subisce una riduzione20, e sull’assetto lipidico, con
un aumento della frazione HDL del colesterolo ed
una riduzione dei trigliceridi del 25-30%21.
Per questo motivo, per i pazienti in cui è necessario ridurre i livelli di trigliceridemia, già da diversi anni la American Heart Association (AHA) ha
emesso la raccomandazione di assumere 2-4 grammi al dì di N-3 PUFA, in capsule, sotto controllo
medico22.
30
20
Grassi saturi
10
PUFA N-6
PUFA N-3
0
4.000.000 10.000
1800
1900
2000
A.C.
Figura 5. Correlazione fra variazione nel tempo dell’apporto alimentare di acidi grassi totali, saturi e polinsaturi, e incremento
dell’incidenza di eventi coronarici.
Lo STUDIo GISSI-PREVENzIoNE
Sulla base delle evidenze ricavate dagli studi osservazionali sopracitati17,18, ma anche da successivi
trial clinici di prevenzione secondaria23-25, il gruppo
di ricercatori italiani del GISSI (Gruppo Italiano per
lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico) ha condotto uno studio clinico prospettico (denominato GISSI-Prevenzione) nel quale sono stati arruolati oltre 11.000 pazienti sopravvissuti alla fase
ospedaliera dell’infarto miocardico acuto, randomiz-
G. Bausano: Scompenso cardiaco e mortalità: gli acidi grassi polinsaturi e il peso delle evidenze
zati in quattro gruppi a ricevere in aggiunta alla terapia tradizionale: 1 g/die di N-3 PUFA (EPA + DHA
850 mg), 300 mg di vitamina E, entrambi i trattamenti o nessun trattamento (gruppo di controllo). I
pazienti che presentavano livelli di colesterolo elevati venivano randomizzati a ricevere un trattamento con pravastatina sei mesi dopo l’evento.
I risultati hanno evidenziato che il trattamento
con N-3 PUFA per 3 anni è in grado di ridurre significativamente (21%) la mortalità totale di pazienti
reduci da un infarto miocardico acuto in cui il trattamento era iniziato entro 3 mesi dall’inizio dei sintomi. Un’analisi a posteriori ha poi chiarito che la
causa di decesso che veniva maggiormente ridotta
era la morte improvvisa (−45%) (figura 6) convalidando, in accordo con precedenti studi, l’ipotesi di un
effetto protettivo diretto dei PUFA sul miocardio26.
Peraltro, la precocità della comparsa di tale effetto, espressa dalla divergenza delle curve di mortalità dopo solo 3 mesi di trattamento (figura 7),
0%
Morte CV
Morte
IMA non fatale IMA non fatale
Ictus non fatale Ictus non fatale
-ORTALITÌ
totale
Morte CV
Morte
improvvisa
-5%
-4%
-10%
-15%
-20%
-25%
Eventi
non fatali
n.s.
-15%
P
-30%
-20%
-21%
P
P
-30%
-35%
P
-40%
-45%
44%
P
Figura 6. Studio GISSI-Prevenzione: effetti sulla sopravvivenza indotti dal trattamento con N-3 PUFA in pazienti infartuati26.
IMA= infarto miocardico acuto; CV= cardiovascolare.
ha suggerito l’ipotesi che la riduzione della mortalità, ed in particolare della morte cardiaca improvvisa, fosse imputabile più che ad un effetto antiaterogeno e/o antitrombotico, ad un effetto antiaritmogeno (vedi oltre)27.
A conferma del loro ruolo ormai evidence-based
nella prevenzione secondaria della malattia coronarica, le linee-guida dietetiche della AHA hanno
incluso fra le raccomandazioni per la prevenzione
del post-infarto l’assunzione di 1 grammo/die di N3 PUFA (in forma alimentare o di estratto alimentare purificato) anche nei soggetti senza documentata coronaropatia28.
Lo STUDIo GISSI-HF
Poiché circa la metà dei decessi dei pazienti con
insufficienza cardiaca (IC) viene classificata come
“morte improvvisa” e poiché un’analisi a posteriori del GISSI-Prevenzione ha rivelato che l’efficacia di N-3 PUFA su mortalità totale e improvvisa
in un sottogruppo di circa 2000 pazienti con disfunzione del ventricolo sinistro o insufficienza
cardiaca è simile a quella osservata nella popolazione senza disfunzione ventricolare (figura 8), è
diventato rilevante verificare con un trial se la
somministrazione di N-3 PUFA è in grado di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca di ogni eziologia, con o senza riduzione della frazione di eiezione.
Lo studio GISSI-HF (Heart Failure) è stato disegnato per valutare se gli N-3 PUFA potessero migliorare mortalità e morbilità in una popolazione
di pazienti con scompenso cardiaco cronico.
Si tratta di uno studio multicentrico, randomizzato, a doppio cieco e controllato con placebo,
condotto in 356 Centri cardiologici italiani, che ha
reclutato pazienti di età maggiore di 18 anni affetti da scompenso cardiaco cronico di qualsiasi
Mortalità totale
Effetti precoci
Sopravvivenza
1,00
N-3 PUFA 2,9%
Controllo 3,9%
0,99
Morte
improvvisa
.O ,6$ . p = 0,58
,6$ . P Tutti i pazienti (N = 9351) 0,51 (0,35-0,74);
p = 0,0005
.O ,6$ . P ,6$ . P Tutti i pazienti (N = 9351) 0,78 (0,64-0,94);
p = 0,01
0,98
0,97
P = 0,037
0,73 (0,55-0,97)
P = 0,031
Mortalità
totale
0,95
0
30 90 120 150 180 210 240 270 300 330 Giorni
Figura 7. Curve di mortalità nei soggetti trattati con N-3 PUFA o
placebo. La divergenza precoce delle due curve (significativa già
dopo 90 giorni) ha fatto ipotizzare un effetto antiaritmogeno della somministrazione di N-3 PUFA. La riduzione della mortalità totale compare precocemente e raggiunge la significatività dopo
circa 3 mesi di trattamento.
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
Figura 8. Studio GISSI-Prevenzione: rischio (HR, IC 95%) di morte
improvvisa e di mortalità totale in un sottogruppo di pazienti affetti da disfunzione del ventricolo sinistro (LVD) dopo trattamento con N-3 PUFA.
37
38
Recenti Progressi in Medicina, 102 (1), gennaio 2011
origine, in stadio NYHA II-IV. Tutti i pazienti venivano trattati al meglio delle terapie oggi raccomandate e, in particolare, ACE-inibitori (93,5%
dei casi), beta-bloccanti 65%), diuretici (89,5%),
digitale (37%), spironolattone (39%), ma era permesso anche il trattamento con amiodarone, aspirina e/o anticoagulanti orali, sulla base della decisione del medico curante.
I pazienti venivano quindi randomizzati (1:1) a
ricevere 1 g di N-3 PUFA o di placebo. Sono stati valutati oltre 7000 pazienti, con età media di 67 anni,
in stadio NYHA III-IV nel 36% dei casi, frazione
d’eiezione media del 33%, genesi ischemica nel 49%,
dilatativa idiopatica nel 30%, ipertensiva nel 14%.
End-point primari erano la riduzione della mortalità totale del 15% ed una riduzione della mortalità
combinata con episodi di ospedalizzazione successiva pari al 20% (figura 9).
I risultati indicano che nei pazienti trattati con N3 PUFA la riduzione della mortalità totale è stata del
9% (HR aggiustato 0,91). Tale valore è statisticamente significativo, anche se inferiore a quello preventivato, e corrisponde ad una riduzione del rischio
assoluto di morire pari all’1,8%. In termini generali,
è stato necessario trattare 56 pazienti per la durata
media del follow-up di 3,9 anni onde evitare una morte e 44 pazienti per evitare un evento (inteso come
morte o ricovero per motivi cardiovascolari).
La significativa riduzione del rischio, pur inferiore alle attese, è stata accompagnata da un’incidenza trascurabile di effetti collaterali, tanto che
la necessità di sospendere il trattamento è stata
molto bassa (meno del 3%) e sovrapponibile a quella osservata con il placebo (tabella 5).
GISSI - Heart Failure
Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico
Tutti trattamenti di provata efficacia per SC cronico
(e.g., ACE-inibitori, beta-bloccanti, diuretici, digitale, spironolattone)
venivano raccomandati
6975
pazienti
• 356 centri
in Italia
• SC, trattati
con terapia
ottimale
N-3 PUFA 1g
(3494)
Placebo
(3481)
Rosuvastatina 10 mg
(2285)
4574
pazienti
Placebo
(2289)
• 2401 pz non eleggibili
• 1576 trattati con statine
• 395 controindicazioni alle statine
• 430 decisione degli investigatori
3,9 anni di follow-up
1, 3, 6, 12 mesi e quindi ogni 6 mesi fino alla fine del trial
15% RRR di mortalità per tutte le cause, dal 25% al 21%
End point primari
• 15% riduzione della mortalità per tutte le cause (p<0,045)
• 20% riduzione della mortalità per tutte le cause o delle
ospedalizzazioni per cause CV (p<0,01)
Figura 9. Protocollo di trattamento dello studio GISSI-HF con
end point primari29:
SC= scompenso cardiaco; CV= cardiovascolare.
Tabella 5. Studio GISSI-HF: eventi avversi (EA) osservati nei pazienti trattati con N-3 PUFA.
N-3 PUFA Placebo
N= 3494 N= 3481
Pazienti che sospendevano
definitivamente il
trattamento per EA, N (%)
102 (2,9)
104 (3,0)
Disturbi gastrointestinali
96
92
Reazioni allergiche
3
9
Disfunzione epatica
1
1
Dislipidemia
–
1
Ittero epatocellulare
–
1
Ematoma subdurale
1
–
Sintomi muscolari
1
–
p
0,87
Non sono state osservate infine differenze nei diversi sottogruppi analizzati, poiché gli effetti benefici sono risultati indipendenti dall’età (> o < di 69 anni), dalla presenza di una frazione di eiezione ventricolare maggiore o minore del 40%, da una eziologia ischemica o meno, dalla classe NYHA, dalla presenza di diabete o di livelli elevati di colesterolo29.
In conclusione, il trattamento con N-3 PUFA,
ad un tempo semplice e sicuro, può essere vantaggioso sotto il profilo della mortalità e della frequenza di ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari nei pazienti affetti da scompenso cronico
trattati con le terapie usuali. Tale vantaggio, anche se piccolo, appare ancor più significativo se
confrontato con altri studi che hanno valutato la
riduzione della mortalità in pazienti ad alto rischio
cardiovascolare trattati, per esempio, con le statine (tabella 6 alla pagina seguente).
Per questo motivo, un autorevole editoriale
pubblicato su Lancet ha concluso che “una aggiunta di N-3 PUFA dovrebbe essere inclusa nella lista
breve ma rilevante dei trattamenti evidence based
che hanno come obiettivo il prolungamento della
sopravvivenza nei pazienti affetti da scompenso
cardiaco”30.
GLI N-3 PUFA HANNo UN EFFETTo ANTIFIBRILLAToRIo?
Come già accennato, tra i numerosi effetti potenzialmente favorevoli degli N-3 PUFA vi è quello della stabilizzazione elettrica delle cellule del
miocardio. Gli elementi a supporto sono numerosi: di ordine sperimentale, epidemiologico e clinico. Tanto nello studio DART quanto nel Lyon Diet
Heart Study era stata osservata un’importante riduzione della morte improvvisa. Del resto, anche
Albert et al.17 avevano chiaramente dimostrato
nel Physicians Health Study che il consumo di pesce in soggetti sani è associato ad una riduzione
G. Bausano: Scompenso cardiaco e mortalità: gli acidi grassi polinsaturi e il peso delle evidenze
corrono probabilmente anche altri effetti, per esempio
sui meccanismi legati al
Riduzione
peggioramento dello scomVite salvate
Studi
Terapia
Anni
assoluta
penso cardiaco di per sé (taper anno
di mortalità
bella 7).
Ulteriori studi sono per1000 pazienti a rischio CV elevato
tanto necessari ed un moGISSI-P
N-3 PUFA
2,0
3,5
5,7
dello sperimentale idoneo
potrebbe essere rappresen4S
Simvastatina
4,0
5,4
7,4
tato dallo studio dei portaCARE
Pravastatina
0,8
5,0
1,6
tori di defibrillatori impiantabili (ICD), dispositivi che
1000 pazienti a rischio CV intermedio
vengono utilizzati fra l’altro
in pazienti sintomatici afHPS
Simvastatina
1,8
5,0
3,6
fetti da scompenso cardiaco
1000 pazienti con SC
grave al fine di migliorarne
mortalità e morbilità8.
GISSI-HF
N-3 PUFA
1,8
3,9
4,6
Gli studi a tutt’oggi pubSTAT-CHF
Amiodarone
1,4
3,9
7,0
blicati non offrono ancora
risposte definitive. Nella fiEMIAT+ CAMIAT
Amiodarone
0,83
2,0
4,2
gura 10 (a pagina seguente)
A vs P = 1,9
5,0
3,8
sono riportati i dati di una
Terapia convenzionale vs
SCD-HeFT
ICD vs P = 7,2
5,0
14,5
metanalisi dei tre trial pubamiodarone vs ICD
ICD vs A = 5,1
5,0
12,0
blicati sugli effetti dei N-3
PUFA in pazienti con defiSC= scompenso cardiaco; ICD= defibrillatore impiantabile; A= Amiodarone; P= placebo.
brillatore impiantato.
Considerando i risultati
relativi all’insorgenza di tachicardia/fibrillazione ventricolare (ma anche alla
del rischio di morte improvvisa da cause cardiomortalità totale) si può notare come manchi una
vascolari, ma anche, in una successiva analisi,
risposta univoca, anche se l’effetto osservato tenche elevati livelli ematici di N-3 PUFA riscontrade ad essere spostato verso una “protezione”. Octi in questi soggetti risultano strettamente correcorre peraltro rilevare che i tre studi hanno reclulati ad una diminuzione del rischio di morte imtato popolazioni diverse (per eziologia dello scomprovvisa.
penso o per tipo di aritmia di base) ed hanno utiQuesti dati sono stati poi confermati clinicalizzato dosi e prodotti farmacologici diversi, con
mente nello studio GISSI-Prevenzione che, come
possibili effetti negativi, per esempio, sulla comgià ricordato, ha dimostrato una riduzione signifipliance dei pazienti32-34.
cativa e soprattutto precoce (già a 3 mesi di distanza dalla randomizzazione) della mortalità improvvisa, laddove la riduzione delle altre cause di
Tabella 7. Studio GISSI-HF: cause di morte nei due gruppi di tratmorte raggiungeva più tardivamente la significatamento.
tività.
N-3 PUFA
Palacebo
Sul fronte puramente sperimentale, è degno di
N= 3494
N= 3481
nota lo studio del gruppo di Billman et al.31 sul caN (%)
N (%)
ne, nel quale la somministrazione in infusione di
preparati purificati a base di N-3 PUFA è in grado
Mortalità totale
955 (27,3) 1014 (29,1)
di prevenire la comparsa di una fibrillazione venPeggioramento SC
319 (9,1)
332 (9,5)
tricolare, provocata sottoponendo gli animali ad
una prova da sforzo dopo aver indotto una ischePresunta aritmia
274 (7,8)
304 (8,7)
mia miocardica mediante legatura della coronaria
anteriore sinistra.
Ictus
50 (1,4)
44 (1,3)
Lo studio GISSI-HF ha ulteriormente supportato tale ipotesi, poiché nei pazienti del gruppo
IMA
20 (0,6)
25 (0,7)
trattato con PUFA è stata osservata, rispetto al
Neoplasia
107 (3,1)
112 (3,2)
gruppo placebo, una riduzione significativa sia della percentuale di decessi per aritmia (dello 0,9%)
Altre cause cardiovascolari
49 (1,4)
60 (1,7)
sia della percentuale di ricoveri ospedalieri per
eventi aritmici, confermando che almeno per il
Altre cause non cardiovascolari
97 (2,8)
102 (2,9)
50% la riduzione della mortalità osservata nello
Sconosciuta
39 (1,1)
35 (1,0)
studio appare imputabile ad un effetto antiaritmico. Senza peraltro trascurare il fatto che alla riduIMA= infarto miocardico acuto.
zione della mortalità osservata nello studio conTabella 6. Riduzione assoluta del rischio di morte in diversi studi farmacologici su pazienti a rischio cardiovascolare.
39
Recenti Progressi in Medicina, 102 (1), gennaio 2011
OR
(95% IC)
P
0/24,!.$
65/100 59/100
1,29
0,382
(0,73-2,29)
SOFA
75/273 81/273
0,570
0,90
(0,62-1,30)
&!!4
58/200 81/202
0,61
0,020
(0,40-0,92)
0,84
0,161
(0,65-1,07)
Overall random effect
Heterogeneity test
X2=4,56, df=2, P=0,102
0
0,5
1,0
1,5
5+/sett.
1-4/sett.
1-3 mese
<1/mese
0,90
0,80
0,70
0,60
0
2,0
Olio Placebo
di pesce n/N
n/N
0/24,!.$
1,00
Sopravvivenza libera da FA
Tachicardia/Fibrillazione
ventricolare
Olio Placebo
di pesce n/N
n/N
4/100 10/100
OR
(95% IC)
P
0,38
0,108
2
4
6
Mesi
8
10
12
Figura 11. Studio epidemiologico sugli effetti di una alimentazione ricca di pesce sul rischio di fibrillazione atriale (FA) in 4815 soggetti anziani seguiti per 12 mesi.
(0,11-1,24)
SOFA
Morte
40
8/273 14/273
0,56
0,197
(0,23-1,35)
&!!4
13/200 12/202
1,10
0,816
(0,49-2,48)
Overall fixed effect
0,69
0,179
(0,41-1,18)
Heterogeneity test
X2=2,50, df=2, P=0,287
0
0,5
1,0
1,5
2,0
Figura 10. Metanalisi di tre trial sugli effetti degli N-3 PUFA nei
pazienti con defibrillatore impiantato33-35.
IC= intervallo di confidenza.
Per confermare questo dato sono in corso attualmente due studi clinici di tipo prospettico. Nel primo,
denominato FORωARD, pazienti appena sottoposti
a cardioversione per fibrillazione atriale o che hanno
avuto almeno 2 episodi negli ultimi 6 mesi vengono
randomizzati a ricevere 1 g di N-3 PUFA o placebo
per valutare l’incidenza di nuovi episodi di fibrillazione atriale nell’arco di 12 mesi (figura 12).
FORωARD Trial
La pianificazione di un trial di adeguate dimensioni in pazienti portatori di ICD potrà con
ogni probabilità fornire risposte più esaurienti a
questo cruciale quesito.
Pregressa fibrillazione atriale
Cardioversione
con esito positivo
14-90 gg prima
della randomizzazione
Novità e prospettive di studio
Un’ulteriore conferma dei potenziali benefici
antiaritmici degli N-3 PUFA proviene da uno studio epidemiologico americano che ha valutato
l’impatto di una dieta ricca di pesce sull’incidenza della fibrillazione atriale in una popolazione
sana costituita da quasi 5000 soggetti anziani. Si
noti che la fibrillazione atriale è oggi l’aritmia cardiaca più frequente e colpisce il 6% della popolazione sopra i 65 anni. Secondo un report dell’EuroHeart Failure Survey I, quasi un paziente su 4
con scompenso cardiaco è affetto da fibrillazione
atriale35.
Ebbene, lo studio epidemiologico ha dimostrato che il consumo di tonno ed altri tipi di pesce
(ma non quello fritto!) è direttamente correlato
ad una ridotta incidenza di fibrillazione atriale
valutata nell’arco di 12 mesi e raggiunge il massimo dell’effetto tra coloro che lo consumano almeno 5 volte alla settimana (−31% di rischio) (figura 11)36.
Almeno 2 episodi
documentati di FA
sintomatica con ripristino
del ritmo sinusale,
l’ultimo dei quali
entro 14-90 gg
s 0AZIENTE CON RITMO SINUSALE
s 4UTTI I CRITERI DI INCLUSIONE
s .ESSUN CRITERIO DI ESCLUSIONE
RANDOMIZZAZIONE
Giorno N-3 PUFA
da
1
a
365
Migliori terapie raccomandate
e terapia medica usuale
compresi anticoagulanti orali
e agenti antiaritmici
Placebo
Follow-up a
2 mesi
4 mesi
8 mesi
12 mesi
Sopravivenza libera da FA al follow-up
Figura 12. Protocollo dello studio denominato FoRωARD sull’effetto degli N-3 PUFA sulla recidiva di fibrillazione atriale (FA).
G. Bausano: Scompenso cardiaco e mortalità: gli acidi grassi polinsaturi e il peso delle evidenze
Il secondo studio riguarda pazienti sottoposti ad
interventi di cardiochirurgia che sono notoriamente
ad alto rischio di fibrillazione atriale nell’immediato
decorso post-operatorio. Lo studio, denominato OPERA e condotto in Italia, Argentina e Stati Uniti su un
target di oltre 1500 pazienti, intende valutare se la
somministrazione di 2 g di olio di pesce immediatamente prima e dopo l’intervento ha effetti preventivi
sulla comparsa dell’aritmia.
Per quanto riguarda la prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari maggiori in soggetti ad alto rischio cardiovascolare, è stato di recente intrapreso un grande studio italiano (denominato Rischio
e Prevenzione) che coinvolge 860 medici di medicina
generale (MMG) con l’obiettivo di valutare gli effetti della assunzione di 1 g/die di N-3 PUFA in una popolazione di oltre 12 mila pazienti ad alto rischio cardiovascolare (figura 13), ma senza storia pregressa
di infarto del miocardio. I pazienti verranno seguiti
dal proprio MMG per 5 anni.
End point principali sono:
– l’insieme della mortalità totale e dei maggiori
eventi cardiovascolari (infarti e ictus non fatali);
– gli eventi cardiovascolari maggiori (mortalità
cardiovascolare, ictus e infarti non fatali);
– la mortalità per cause coronariche;
– la morte improvvisa.
Merita infine di essere segnalato uno studio
autorevole pubblicato di recente, secondo il quale
l’assunzione di una dieta ricca di N-3 PUFA può
influire positivamente sulla lunghezza del telomero del DNA, il cui progressivo accorciamento è
un fattore notoriamente associato all’invecchiamento dell’organismo. Se confermati, i dati di
questo studio, ottenuti su una popolazione di pazienti ambulatoriali affetti da coronaropatia, potrebbero gettare nuova luce sui meccanismi biologici primari che sono alla base dell’effetto di prevenzione degli N-3 PUFA sulle malattie cardiovascolari37.
Popolazione
Obiettivi
soggetti ad alto rischio cardiovascolare
1.
ottimizzazione delle strategie preventive
di provata efficacia
2.
valutazione dell’efficacia aggiuntiva
di un trattamento con N-3 PUFA
randomizzazione
N-3 PUFA
placebo
FOLLOW-UP A LUNGO TERMINE
Risultati attesi 1.
2.
praticabilità/resa
degli interventi preventivi adottati
efficacia/sicurezza
del trattamento con N-3 PUFA
Figura 13. Studio R&P: popolazione, obiettivi e risultati attesi.
Conclusioni
– Gli N-3 PUFA hanno un ruolo ormai ben definito
nella prevenzione secondaria della cardiopatia
ischemica e nel trattamento della ipertrigliceridemia.
– Nei pazienti con scompenso cardiaco cronico, gli
N-3 PUFA determinano una modesta ma significativa riduzione della mortalità totale e della necessità di nuovi ricoveri per motivi cardiovascolari.
– Il loro profilo di sicurezza è eccellente in tutte le
condizioni cliniche.
– Nello scompenso cardiaco cronico, la terapia farmacologica ha determinato riduzioni significative
della mortalità, ma l’aggiunta di N-3 PUFA può produrre ulteriori benefici in assenza di serie reazioni
avverse.
– Un utilizzo specifico degli N-3 PUFA come farmaco antiaritmico/antifibrillatorio rimane da definire
sia per i pazienti con fibrillazione atriale sia per
quelli con elevato rischio di aritmie maggiori ventricolari, anche se non mancano già alcune importanti evidenze in tal senso.
– L’applicazione su larga scala dei trattamenti farmacologici/non farmacologici a disposizione deve
diventare l’obiettivo principale della ricerca futura.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Giancarlo Bausano
ASL RM B
Via Filippo Meda, 35
00157 Roma
E-mail: [email protected]
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