Testimonianza preziosa comunione tra le Chiese

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Una testimonianza preziosa della comunione tra le Chiese
Intervento del Vescovo mons. Luciano Monari
Carissimi,
il Signore mi ha donato di poter visitare in questa estate alcuni sacerdoti bresciani che sono in missione:
i preti Fidei Donum in America Latina, i missionari per gli italiani emigrati in Germania e in Svizzera. Coi
Fidei Donum ci siamo incontrati in Venezuela, nella diocesi di Ciudad Guayana, dove abbiamo passato
insieme una settimana di preghiera, di riflessione e di fraternità. Come sapete, abbiamo sacerdoti in
Venezuela, in Brasile, in Ecuador e in Argentina; da quest’anno torniamo anche in Uruguay. Ho avuto la
percezione chiarissima della preziosità del servizio che i nostri preti stanno svolgendo. L’America Latina
è ormai il continente più ‘cattolico’ del mondo; grandi sono dunque le speranze che la Chiesa mette su
questa parte della terra. Ma grandi sono anche i problemi. Anzitutto le democrazie sudamericane sono
recenti, non ancora consolidate e le tensioni sociali e politiche sono profonde; dal punto di vista
religioso, poi, i problemi sono numerosi.
Anzitutto quello di una grande carenza di sacerdoti alla quale solo lentamente le Chiese riescono a
rispondere; poi la presenza, in alcune zone, di una cultura laicista di origine europea che ha reso difficile
il radicarsi della fede nelle classi culturalmente più vivaci; si aggiunga il pullulare di confessioni religiose
di vario tipo che nascono come funghi e, rispondendo a bisogni psicologici e sociali, ottengono successi
immediati. Insomma, il continente sudamericano è, dal punto di vista ecclesiale, una grande sfida che
non siamo sicurissimi di ‘vincere’.
D’altra parte l’esperienza ecclesiale di questo mondo ci offre stimoli ed esempi preziosi. Il
coinvolgimento di laici nella guida delle comunità cristiane è diffusissimo e, per noi, esemplare. Ci sono
uomini e donne che guidano con dedizione comunità sparse nel paese dove il prete può andare solo
poche volte l’anno. Gli effetti del loro servizio sono sorprendenti: riescono a fare vivere autentiche
comunità di persone che pregano insieme, ascoltano e commentano la Parola di Dio, vivono legami di
responsabilità e di aiuto reciproco; insomma, formano autentiche comunità sull’esempio di quelle degli
Atti degli Apostoli. Penso anche alle comunità ecclesiali di base che hanno avuto un’ampia diffusione
nei decenni passati e continuano a fiorire, anche se con minore vigore. Queste comunità, che hanno
avuto un peso politico non trascurabile negli anni delle dittature, stanno passando un processo di
trasformazione. La loro funzione politica è drasticamente ridotta in un contesto di regimi democratici,
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ma la funzione ecclesiale diventa più evidente e feconda: sono luoghi nei quali la fede si unisce a legami
di conoscenza e di fraternità concreti. In questo, sono convinto che la nostra Chiesa ha molto da
imparare. In futuro, infatti, avremo bisogno di comunità di questo genere nelle quali le persone si
sentono accolte col loro patrimonio di esperienze, coi loro bisogni e necessità.
I nostri preti stanno facendo un lavoro prezioso: possono comunicare il patrimonio straordinario di fede
e di cultura delle nostre Chiese e lo fanno con umiltà, senza pretesa alcuna, disponibili a servire in
sintonia con le linee pastorali delle Chiese locali. Abbiamo potuto visitare alcune parrocchie servite dai
nostri preti ed è stata un’esperienza bella: comunità vive, con una partecipazione attiva all’eucaristia,
la possibilità di esprimere la propria identità nei gesti simbolici, nei canti. Particolarmente suggestiva è
stata la visita a un villaggio indigeno e a una parrocchia di cercatori d’oro. Il contrasto non potrebbe
essere più profondo: da una parte una comunità radicata nelle antiche tradizioni che cerca di custodire
uno stile di vita sobrio, sereno, inserito in modo armonico (ma non ‘primitivo’) nella natura; dall’altra
la vita esagitata e moderna, fatta di grandi speranze e profonde delusioni, di ricchezza e povertà messe
spudoratamente una accanto all’altra. Immagini così diverse e contraddittorie del medesimo uomo
fanno riflettere. E ci costringono a interrogarci sul posto di Gesù Cristo e del Vangelo, sull’importanza
della Parola di Dio per garantire a ogni persona umana il fondamento della sua dignità, per dare
speranza e aprire la piccolezza e la fragilità della nostra esistenza all’infinito dell’amore di Dio.
In modi straordinariamente vari, l’uomo è chiamato a umanizzare se stesso, ad assumere sempre più
pienamente una forma ‘umana’ fatta di intelligenza, responsabilità e amore. E in questo cammino niente è più prezioso che l’uomo Gesù di Nazaret e il suo vangelo nel quale è inserito e rivelato il mistero
dell’amore di Dio. Sono riconoscente a tutti i nostri preti che hanno portato la testimonianza della fede
della nostra Chiesa in America Latina: il Signore li ricompensi per la loro fatica e renda fecondi i loro
sforzi.
In Germania ho passato alcuni giorni visitando i nostri missionari ad Hannover, Berlino, Ulm e Augsburg
(Augusta). In Svizzera, poi, avevo visitato la missione italiana a St. Moritz in occasione del quarantesimo
anniversario di apertura della missione stessa. Anche qui ho vissuto coi missionari alcuni momenti
molto belli di fraternità. Mi sono sentito a mio agio, accolto con calore e affetto. Il problema di queste
missioni non è semplice. La prima corrente di emigrazione, legata a lavori umili, è praticamente
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terminata; adesso gli italiani che vanno in Germania sono persone con qualifiche medio-alte che permettono loro un inserimento lavorativo ambito. Ma ci sono ancora gli emigrati della prima ondata, che
hanno lavorato nella costruzione di ponti, strade, case.
Molti di questi non si sono mai integrati del tutto e la presenza della missione italiana dona loro di
potersi trovare in un ambiente amico. Per questo ho trovato un grande affetto verso i missionari e il
desiderio che la loro presenza possa continuare.
Temo che questo non sarà possibile per sempre: i figli degli emigrati vanno a scuola in Germania e, poco
alla volta, creano legami sempre più intensi col Paese che li ospita; d’altra parte, anche noi cominciamo
a sentire la scarsità di vocazioni e non sarà sempre possibile sostituire i sacerdoti in missione che
vengono meno. L’intenzione è quella di lasciare che i missionari attualmente in Germania e Svizzera
continuino, fino a che lo desiderano, il loro servizio. E per il futuro vorremmo assicurare due missioni:
una a Berlino e l’altra ad Augsburg (o forse Hannover?). Per questo bisogna preparare qualche prete
perché sia in grado di sostituire i missionari attualmente in Germania. Anche questo impegno entra, mi
sembra, nella linea della comunione tra le Chiese. E spero proprio che la nostra comunità bresciana
possa ricavarne frutto. Germania e Svizzera sono Paesi più secolarizzati di noi e quindi ci mettono a
confronto con sfide difficili ma preziose: il confronto che avviene in quei Paesi tra il Vangelo e la cultura
diffusa aiuterà anche noi a capire e affrontare meglio le nostre stesse sfide.
Con gioia saluto, attraverso questa lettera, tutti i preti che ho incontrato. Li ringrazio dell’affetto e della
stima; mi hanno fatto bene e mi aiutano a essere vescovo gioioso di questa straordinaria Chiesa che è
in Brescia. A tutti loro assicuro il mio affetto e la mia vicinanza. A motivo di loro e del loro servizio
benedico il Signore e lo prego perché li sostenga tutti e porti a compimento in loro il suo disegno di
salvezza.
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