K. Marx M.Horkheimer W.Benjamin R.Thom La necessità della storia

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"Una blUe pelL .e.a. v.u.a e un' a.U:!ta. pelL .e.a.
6uenzl1,que6to è 6enz'aLtJlO una menzogna".
K. Marx
"Ogg.{.g'w!LYlO À.. plLOtle660fLÀ.. c.a.pd:a.U6ti nega
YlO che nel lOfLO .e.a.vOfLO vÀ..
À..mp~o
6À..a
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umano pelLché YlOn 6À.. 6C0pfLl1 che. e6-
J.>À.. J.>À.. deelieano alla lOfLO J.>ue.nza pelL amOfL
eli
ca!L!LÀ..etLa".
M.Horkheimer
"La cOJ.>uenzl1 eli
6M
J.>ctUo.!te À..l continu.u.m
de.e..e.a. J.>tow è plLop!LÀ..a de.Ue ct'.lUJ.>À.. fLÀ..voluzÀ..oru:t!LÀ..e ne.U' a.-tU.mo de.e..e.a. lOfLO azÀ..one".
W.Benjamin
"CÀ..ò che .umLta.
À..l
VelLO YlOn è
À..l
6al6o,
è
l' À..1'I.6À..gnÀ..t\À..c.a.n-te." .
R.Thom
La necessità della storia.
I lavori di Paul Forman compaiono in Italia nel momento in cui il dibat
tito sulle scienze in generale e sulle metodologie della storia delle SClen
ze in particolare sembra nascondersi e disseccarsi nelle classiche ed ormal
inadeguate opposizioni filosofiche, del razionale verso l'irrazionale, della natura verso la storia, della logica verso la dialettica, del dato verso
l'ideologia, della forma verso il contenuto e l'elenco potrebbe continuare
fino a quel dilemma ancor più fuorviante tra positivismo e idealismo. E'
radossale fino al tragico, per i costi sociali che comporta, ma quanto
p~
più
queste scienze contemporanee divengono elementi ineliminabili delle società
capitalistiche iper-industriali e della loro immagine di progresso, quanto
più vengono poste al centro di dibattiti di massa da problemi di immensa ri-
- 2 levanza sociale - come l'automazione, il computer, l'inquinamento, le centrali termonucleari, i terremoti - tanto più almeno nell'ambito accademico
ita1 iano si tende a 1imitare il discorso alle" esse"nze".
Dopo Popper naturalmente l'essenza delle scienze non assomiglierà più
ad una sorta di calorico scientifico, che si comporterebbe come un fluido
esauribile, ma consisterà nel loro modo particolare di trasformarsi.
senza delle scienze quindi viene collocata in quel criterio di
ne
L'e~
demarcazi~
dalle non-scienze che consiste in un singolare ed iso1abi1e modello
storico, quello di progresso. Compito principale diventa allora quello di
spiegare come il progrésso, visto come l'accumulazione allargata di dati
scientifici e di teorie, sia possibile.
Questa riduzione del dibattito al problema del progresso è molto diffu
sa, anche se è doveroso distinguere tra le varie soluzioni date che naturalmente non sono tutte riconducibili al "falsificazionismo" popperlano.
Non ne è del tutto esente addirittura T.S.Kuhn che di Popper è considerato l'antagonista più autorevole e convincente. (1)
In Italia poi la questione della crescita della conoscenza scientifica na
sconde quasi tutto il panorama ed anche studiosi di matrice culturale e po
litica relativamente diversa come L. Geymonat, E. Agazzi, Paolo Rossi, L.
Colletti ed i loro allievi su questo punto sono solidali in blocco.(2) Gli
stessi contributi italiani che vanno con forte polemica nella direzione 0E
posta alla precedente spesso si fanno confinare a questo piano del dibattl
to.E di loro si può ripetere l'osservazione fatta su Kuhn, anche perché in
tali testi si trovano spesso le argomentazioni di quest'ultimo - accanto ai
più frequenti luoghi marxiani pertinenti. (3)
Ora i limiti maggiori del confinarsi al problema del progresso nelle SClen
ze - che rendono Popper a mio avviso inutile ed insostenibile - consistono
da un lato nel1 'occuparsi poco o nulla del modo reale con cui la ricerca
scientifica viene fatta oggi (o veniva fatta ieri) e dall'altro nel dimenticarsi più o meno spesso (a seconda delle competenze accademico-professio
na1i) della evoluzione e degli svolazzi della storia reale. Sono ben noti
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al lettore italiano
perché valga la pena di soffermarcisi, sia il giudizio
negativo dato da Popper sulla Meccanica Quantistica - una teoria di cui difficilmente si potrebbe fare a meno nel formare i ricercatori attuali - sia
la sua separazione del contesto della scoperta da quello della
giustificazi~
ne, per creare un terzo mondo privo di attriti storici nel quale gli esperimenti sono finalmente cruciali. Di fronte a questi limiti non credo che basti
più alla cultura ed ai ricercatori italiani conoscere - insieme al famoso in
cipit della Struttura delle Rivoluzioni Scientifiche: "La storia, se fosse con
siderata come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia,
potrebbe produrre una trasformazione decisiva dell'immagine della scienza dalla quale
siamo dominati".(4) - il dibattito più internazionale e più artico-
lato del colloquio tenuto a Londra nel 1965 (5), anche se ci si solleverebbe
già dalla noiose accuse di irrazionalismo. Né basterebbe conoscere la meno no
ta parafrasi kantiana di Lakatos - "la storia della matematica, mancando la
guida della filosofia è divenuta cieca, mentre la filosofia della matematica
voltando la schiena ai fenomeni più intricati della storia della matematica,
é divenuta vuota". (6) Bisognerebbe se non altro praticarla, diversamente da
questo allievo di Popper che prosegue il suo lavoro - per altro di avvincente
lettura a causa del suo curioso impianto a dialogo galileiano - sulla topologia combinatoria prima di Poincaré, mettendo la storia reale nelle note a piè
di pagina e la "ricostruzione razionale " nel testo.
E' necessario invece cominciare a conoscere (ed a praticare) i lavori della
storia delle scienze, soprattutto quella recente perché più legati degli altri
alla organizzazione della ricerca attuale ed al problema del suo impatto (com
pleto di feed-back) con la società in generale. E' riduttivo e deformante pensare di spiegare nel caso italiano queste carenze sulla base di un retaggio
idealistico crociano, cui non può interessare fare storia di uno pseudo concet
to. In quanto é altrettanto vero
tro~arsi
che, se si ritiene nel caso delle scienze di
d+fronte ad un lineare progresso storico - come se fosse possibile sa
lire sulla montagna della conoscenza lungo i cavi d'acciaio di una teleferica,
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e secondo questa metafora le rotture rivoluzionarie sono sempre delle catastrofe sanguinose - coerentemente si deve dissolvere la storia nella cronol ogi a delle scoperte e delle pri orità. Sono convi nto però che pes ino di pi Ù
fattori materiali quali le baronie accademiche e la rigidità delle istituzioni, molto poco tenere in Italia nei confronti degli storici che non fanno
cronologie apologetiche. D'altra parte non è certo un caso che presso le uni
versità italiane esista una sola cattedra di storia delle matematiche e nessuna di storia della fisica. Anche in questo caso, le nebulose dei contrasti
tra La Storia e La Filosofia vanno ricondotte e spiegate sulla base degli ele
menti soc.iali e materia'ìi della produzione degli storici e dei filosofi; "so
no gl i uomini che fanno le cose"( 7)
,come sempre.
Per questo Forman ci propone dei testi di impianto molto originale sulla
storia della fisica recente, in un panorama che ne annovera pochi, in genere
(con poche eccezioni) di natura cronologica e limitati nazionalisticamente
a Galileo o, ben che vada, all '800. La prima lezione da imparare allora per
l'establishment accademico e culturale italiano è che, non sòlo si può a
lungo programmaticamente sostenere - come è già stato fatto in altre
sedi-~a
necessità di affrontare la questione delle scienze da un punto di vista tutto diverso dal modello "progressivo" ed astorico creduto e teorizzato di soli
to, ma addirittura se ne può esibire un esempio significativo.
Ma in cosa consiste l'originalità e l'interesse dell 'approccio alla Forman?
Da un lato sono nuovi i risultati che ottiene dall 'altro sono del tutto sorprendenti, forse unici, gli strumenti adoperati allo scopo.
Così nell'articolo sulla diffrazione dei raggi
X mediante i cristalli(8)
l'analisi del formarsi del mito della scoperta ci illustra con dovizia di
particolari le false ricostruzioni storiche, perché apologetiche e celebrati
ve, di una corporazione di ricercatori in via di formazione e di definizione
della loro disciplina. Il fisico Ewald, che la rappresenta, insiste nel far
derivare la scoperta dalla singolare credenza nel reticolo cristallino e nel
la natura ondulatoria dei raggi
X che c'era allora, a suo dire, solo a
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Monaco. Secondo tale visione gli ostacoli che Laue doveva superare erano
solo dal lato reperimento dati. La difficoltà cioè consisteva nell'avere
a disposizione gli elementi giusti, che allora pochi ricercatori potevano
possedere, ma poi il modo di combinarli ne11 'esperimento sarebbe risultato
quasi automatico e l'idea poteva venire a molti di quelli che erano nelle
stesse condizioni. La versione di Forman porta a concludere invece che que
gli elementi erano assai diffusi tra gli studiosi e che quindi Laue fu
spi~
to a metter in opera l'esperimento per il suo particolare modo di vedere.
Vide un coniglio dove tutti vedevano una papera. (9) Il racconto di Forman
è più convincente per molti motivi, tra cui la ricostruzione storica del
successo e della diffusione del1 'ipotesi del reticolo cristallino, ma suo
na anche ironico e gustoso. Lo storico trova infatti addirittura un errore
nel calcolo dell'ampiezza del moto termico fatto dal fisico per valutare se
ciò avrebbe disturbato i-rrimediabilmente le regolarità del reticolo di diffrazione. Naturalmente la versione del cinquantenario della scoperta
ta la cifra (sbagliata) di Ewa1d che, sovraestimando il moto termico,
ripo~
imp~
disce la regolarità, mentre Forman calcola (giustamente) che non c'era af
fatto tale ostacolo. Insomma la corporazione dei cristallografi coniuga
l'idea degli ostacoli "oggettivi" alla scoperta fino al punto di sbagliare
un calcolo banale!
Ewa1d ammette l'errore, ma lo chiama uno "slip". Avrà mai sentito
parl~
re di Freud? Su questo dato dovrebbero cominciare a meditare coloro che
classificano gli storici in internisti ed esternisti e che non avranno mancato di collocare subito Forman tra i secondi, ma su ciò torneremo più avan
t
· (lO)
l .
In genere quando si pensa alla fisica atomica ed alla meccanica quantistl
ca si tende a ridurle a pochi personaggi, Planck, Heisenberg, Bohr, Fermi,
forse Einstein, ed a pochi fatti, il principio di indeterminazione, quello
di complementarietà, i quanti, le statistiche, la pila atomica e poco altro.
Ai grandi scienziati si fa raccontare la vita, i principi si staccano dalle
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tecniche matematiche ed intorno ad essi si apre 10 scontro tra i concetti
puri. Il 1et:ore italiano non specialista difficilmente sfuggirà a questa
impostazione, insomma egli non ha disponibile nessuna storia, per quanto
discutibile e 1acunosa, della meccanica quantistica. Ad esempio dello Jam
mer si sono tradotte tutte 1e possibil i "Stori e del concetto di ... ", ma
non "The Conceptua1 Deve10pment of Quantum Mechanics,,~ll) Questa situazione è il portato di quella criticata all'in.izio,ma si deve precisare ora che,
- se non si mutano gli scopi e gli strumenti storici, - ci si limiterebbe
nel migliore dei casi a ricostruire le "grandi vittorie" ed i "trionfi"
della fisica. Ma anche ciò non può bastare, anzi è del tutto deformante
rispetto a questo stesso obbiettivo, perché risulta invece più interessante
- e necessarlO - per 10 storico dare il più fedelmente possibile le alternative e ricostruire le ragioni delle scelte praticate dalla comunità degli
scienziati. In caso contrario sarebbe come ricostruire una battaglia dando
solo il nome del vincitore, ma senza dire contro chi combatteva, con quali
meZZl e su quale terreno, magari dimenticandosi anche dei soldati e della
loro classe di appartenenza.
Coloro che sono convinti di poter conceplre la ricerca in fisica come
una lotta condotta dall'Uomo per la conoscenza della Natura hanno da
impar~
re a 1eggersi attentamente le pagine dove Forman dà uno spaccato de11
'amma~
so di problemi vissuti dai fisici tedeschi subito prima della meccanica
qua~
tistica definitiva. Era il periodo in cui la crisi della vecchia teoria dei
quanti - modello di Bohr de11 'atomo, regole di quantizzazione di Sommerfe1d
... - era giunta ad un punto tale di maturazione che ogni problema teorico,
ogni effetto sperimentale particolare poteva celare la soluzione definitiva.
L'effetto Zeeman anomalo e l'enigma dei doppietti(12) erano due di tali
problemi, ma la soluzione non venne linearmente e logicamente da essi, nel
senso che non fu
poggiandosi sulle soluzioni di queste questioni che ci si
avvicinò ad essa. Viceversa il secondo fu dissolto e dimenticato come un "er
rore", postu1ando ad hoc
10 spin dell 'elettrone, mentre il primo pur produ-
cendo la formula col fattore
~
di Landé assunse un ruolo marginale.
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La corporazione dei fisici nitteleL 'opei considerò conclusive per i suoi
problemi le soluzioni della meccanica delle matrici e della meccanica on
dulatoria del '25-26, che riguardavano essenzialmente un sistema ad un elet
trone (l'atomo di idrogeno). accantonando e "dimenticandosi" delle indistri
cabili complicazioni dei sistemi multielettronici.
Nel lavoro su Landé, l'analisi al microscopio di un periodo sufficientemente breve (19l9-21)e dell 'ambiente relativamente ristretto (la Germania
e Copenhagen) coinvolto attorno all 'effetto Zeeman anomalo, permette di
co~
siderare molti dei fattori che solitamente sono sottovalutati dagli storici
delle scienze, includendo anche personaggi relativamente minori. Così, non
solo il cammino verso la formula di Landé fu tutt'altro che lineare, pieno
di svolte e ritorni com'era, ma risulta anche impossibile - e dannoso se si
vuole arrivare alle motivazioni ed alle scale di valore della corporazione
che portarono alla scoperta - separare un presunto livello di verità natura
le da attingere dall 'operare concreto dei ricercatori nell 'ambiente accademico tedesco con le sue regole codificate e con le sue usanze non scritte.
Più precisamente, dopo questo lavoro di Forman, tra le cause che portarono
al fattore
g di Landé ed alla regola per la somma di due momenti angolari
quantizzati non è più possibile omettere il meccanismo che seguivano i giova
ni per conseguire la habilitation.
L'idea astratta ed aprioristica - come stiamo vedendo - di progresso scien
tifico non permette di trovare i conflitti tra le alternative e di illuminare
il meccanismo di formazione delle scelte; fa di più, appiattisce anche le dif
ferenze tra impostazioni e teorie diverse. Nei manuali l'equazione di Schrodinger ci viene descritta come lo strumento matematico più agile per calcolare
gli autovalori e le autofunzioni di un sistema quantistico. Presentata quindi come un elemento della meccanica quantistica ortodossa è considerata organica a tutto il resto: principio di indeterminazione di Heisenberg, interpretazione probabilistica dell'autofunzione di Born. Lo storico ci dice che nulla
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c'è di più falso e che invece e possibile, per non dire inevitabile, classifi-care i pe' sonaggi ed i "atti
atto~no
alla fisica quantistica degl i annl
'20 (e successivi) in due schieramEnti. Uno simboleggiabile con Bohr e l'in
terpretazione di Copenhagen, l'altro con Einstein e l'insoddisfazione rispe!
to alla meccanica quantistica cosiddetta definitiva.A- tutt'oggi,anni '70,c'è
ancora una minoranza eretica che non si è arresa di fronte all 'affermazione
perentoria dell 'impossibilità in linea di princip29 di una descrizione deter
ministica dei sistemi atomici. (13)
Ma è ancora più interessante sapere - e anche questo viene fuori limpidamente dal lavoro di Forman e Raman (14) - che l) lo scontro tra i due schieramenti precedette la soluzione, 2) di fatto quindi le soluzioni furono due
ed entrambe legate alle diverse impostazioni precedenti, 3) tale scontro va
considerato tra le motivazioni che portarono Schrodinger alla sua equazione
che sviluppa le idee di de Broglie. Il fatto che Schrodinger si mettesse a
lavorare attorno alle "strane ed eccentriche" concezioni di de Broglie va
quindi spiegato sulla base tanto del progetto comune di un'ala dei fisici
..
mitteleuropei quanto del suo lavoro particolare -"Uber eine bemerkenswerte
eigenschaft. .. " che, derivando da Einstein e Weyl, in tale progetto si
lnsenva.
Fisici a Weimar.
Ben poco si capirebbe della complessa e turbinosa dinamica del mezzo continuo nei cui meandri si sedimentò la meccanica quantistica, se non si tenessero presenti questi "elementi di progettualità" come si vanno chiamando in
Italia da qualche anno. (15) Tali elementi - che rendono impossibile concepire
le scienze come l'immagine piatta di una realtà naturale esterna e separabile
dalla comunità dei ricercatori e dalla società in generale - assomigliano naturalmente a quelli che Kuhn chiamava i "paradigmi".(16) Assomigliano anche
ai "programmi di ricerca" di Lakatos (17), entro i qual i si deve sforzare
Popper - snaturandolo in direzione di Kuhn - per metterlo in accordo con i fat
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