Tra odio razziale e discriminazioni quotidiane: l`ottica biblica Io non

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Tra odio razziale e discriminazioni quotidiane: l’ottica biblica
Io non mi domando a che razza appartiene un uomo: basta che
sia un essere umano; nessuno può essere qualcosa di peggio.
(Mark Twain, L’uomo che corruppe Hadleyburg)
All’eco delle cronache drammatiche legate alle stragi dovute al fanatismo islamista –
colpisce tristemente quella di Nizza – si aggiungono i frequenti episodi di violenza
razziale verificatisi negli Stati Uniti. Ma quei fatti, che sembravano prerogativa
statunitense, in questa tormentata estate 2016 hanno scosso anche l’Italia con l’efferato
omicidio a sfondo razziale accaduto a Fermo, nelle Marche. Un brusco risveglio. Per
esorcizzare la brutale realtà, si dirà che tutto il mondo è paese…
La riflessione che vorrei fare, alla luce delle Sacre Scritture e tenuto conto delle
importanti influenze che la morale, gli schemi culturali e le innovazioni tecnologiche
hanno sulla vita quotidiana, è che nell’uomo di ogni tempo prevale un invariante
nucleo psichico. In questo nucleo, tra l’altro, c’è una primitiva avversione per ciò è
“diverso” per qualità fisica o psicologica o pigmentale o religiosa o comportamentale;
cioè tutto ciò che non è omologato, non conforme al modello sociale dominante. Si
generano così pericolose aspettative, puntualmente disattese, che saranno la base
dell’ostilità più bieca, cioè l’espressione antropologica dell’odio razziale.
Il rischio è che chi è percepito come “diverso” sia implicitamente un nemico,
“nutrimento” necessario ad alimentare la spinta xenofoba. Eppure non esistono razze
umane, né alcune sono di ordine superiore ad altre; esiste una sola umanità, con varie
etnie sparse nel mondo (Gen. 11,1ss.). Da un punto di vista biblico tutti gli uomini sono
immagine e somiglianza di Dio (Gen. 1,26 s.). Si potrà obiettare che Dio costituì un
“suo popolo”, differente da tutti gli altri. Dio stesso allora avrebbe discriminato fra gli
uomini? No! Gli Ebrei, privilegiati nel rapporto con l’Eterno, avrebbero dovuto
introdurre, preparare gli altri popoli alla Sua conoscenza, avrebbero dovuto illuminare
l’intera umanità, avrebbero dovuto divulgare, rendere familiare l’idea monoteista e,
soprattutto, rendere nota la Sua smisurata misericordia.
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Simbolo concreto del “pellegrino”, di colui che è sprovvisto del vincolo etniconazionalista e perciò sempre straniero in questo mondo, fu Abramo (Gen. 12,1 ss.), il
padre delle tre grandi religioni monoteiste (Gv. 8,39). Ma accadde che il popolo ebraico
(Bibbia ebraica) invece di assecondare gli insegnamenti di Dio, s’insuperbì, si gonfiò di
vano orgoglio per il solo fatto di essere l’unico popolo dell’unico vero Dio. Un onore
che divenne un onere non corrisposto. Ma, attenzione, allo stesso modo può avvenire
oggigiorno a noi cristiani se mostriamo la medesima alterigia nei confronti degli altri,
come successe a Diotrefe (3 Gv.1,9). Agli ebrei di quel tempo, oltre l’inosservanza della
legge divina, mancò la pratica dell’umiltà, antidoto necessario per neutralizzare la
superbia o la convinzione immotivata di essere a posto al cospetto di Dio (1 Cor.
13,1ss). Ma già millenni fa, Dio tuonò severamente contro il suo stesso popolo,
insensibile alla caritatevole profondità della Sua legge: “Voglio misericordia e non
sacrifici” (Osea 6,6).
L’opera di misericordia era richiesta agli ebrei nelle loro relazione umana, ma includeva
esplicitamente anche la sfera dei rapporti con gli stranieri (“impuri”, “senza Dio, “cani
infedeli”) come è sancito nella legge di Mosè: “Circoncidete dunque il vostro cuore
ostinato e non indurite più la vostra nuca perché il Signore vostro Dio è il Dio degli dèi,
il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta
regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e
vestito. Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto”
(Deut. 10,17 ss.).
Qui l’autore sacro conferisce alla circoncisione un significato spirituale che va oltre la
sacralità del rito di fratellanza etnico-religiosa, anticipando di circa quattordici secoli il
concetto espresso dall’apostolo Paolo, il quale riteneva che
il vero segno di
appartenenza spirituale al popolo di Dio fosse quello inciso nell’anima, nella mente, nel
cuore del fedele e non in un atto puramente esteriore! “Infatti, Giudeo non è chi appare
tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui
che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito e non nella
lettera; la sua gloria non viene dagli uomini ma da Dio” (Rom. 2,28 s.).
Il “non indurite più la vostra nuca” indica la testardaggine del popolo di ieri, ma anche
quello di oggi, se ripropone il medesimo atteggiamento superbo verso i propri simili e di
opposizione al Signore (cfr. 1 Cor. 10). Perciò Dio, a causa del profondo pregiudizio
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degli ebrei di allora verso i forestieri, fu costretto a enfatizzare certi suoi “titoli”: Dio
degli dèi, Signore dei signori; come a ricordare loro che non esistono altri dèi né altri
signori all’infuori di Lui.
Né alcun umano può essere imparziale e praticare la giustizia con assoluta equità – il
che non deve impedire di provarci con determinazione e coraggio! Dio ha dovuto
ricordare che i forestieri erano degni del suo amore, perché anche gli stessi ebrei erano
stati stranieri durante il periodo della cattività egiziana, quando avevano subito inumane
vessazioni.
Avrebbero dovuto sapere pure che Dio mai avrebbe accettato “regali” senza una sincera
disposizione di cuore, cioè senza fede ubbidiente (Ger. 4,4-8; Is. 8,1 ss.). I discepoli di
Gesù ricordino l’episodio di Anania e Saffira (At 5,1ss) che mentirono per cercare di
risparmiare la metà del ricavato di una certa vendita. Mentirono alla chiesa, mentirono
di fatto allo Spirito. Il cosiddetto “Dio buono” del Nuovo Testamento punì la coppia in
modo esemplare. Quante coppie e quanti individui oggi mentono alle chiese senza
dimostrare purtroppo alcun timore di Dio! E quante chiese, in una situazione analoga,
preferiscono menzogna e ipocrisia invece di accertare la verità delle cose! Scrive Luca
che “gran timore si diffuse allora su tutta la chiesa e su quanti venivano a conoscenza di
queste cose” (Atti 5,11). È proprio il timore che oggi manca, purtroppo, in molti che
credono di farla franca solo perché riescono a gabbare il prossimo.
Dio non ha riguardo alle persone, come conferma Pietro: “In verità io comprendo che
Dio non usa alcuna parzialità; ma in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente
gli è gradito” (Atti 10,34 s.; Rom. 2,11). Le sfumature discriminatorie quotidiane, che
possono rivelare il germe di un’imparzialità di fondo, sono spesso sottovalutate anche
dai cristiani, tanto che Giacomo li ammonisce con una domanda forte: “Se nella vostra
assemblea, infatti, entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, ed entra
anche un povero con un vestito sporco, e voi avete un particolare riguardo a colui che
porta la veste splendida e gli dite: ‘Tu siediti qui in un bel posto’, e al povero dite: ‘Tu
stattene là in piedi’, oppure: ‘Siediti qui sotto, vicino allo sgabello dei miei piedi’, non
avete fatto una discriminazione fra voi stessi, divenendo così giudici dai ragionamenti
malvagi?” (Gc 2,2 ss.).
Certo, ciò non significa affermare l’esistenza di un legame diretto fra queste forme di
discriminazioni e l’odio razziale. L’intenzione, infatti, è quella di sottolineare come sia
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molto arduo, quasi impossibile per l’essere umano, cristiani compresi, essere imparziale
nei rapporti di tutti i giorni (Rom. 3,10).
Quanto al rapporto fra identità etnico-culturale e appartenenza religiosa, quest’ultima
viene usata come propellente motivazionale per compiere atti disumani, esasperando il
gradiente di diversità con “l’altro”. Così si amplifica l’odio per “il nemico” che
minaccia la propria appartenenza e, quindi, si giustifica qualsiasi strage in nome di Dio.
Dio è poi impropriamente utilizzato come “arma di massa”; una cosa che altrimenti
sarebbe impossibile da concepire per qualsiasi persona ordinaria. Qualcosa che rafforza
l’idea dell’esistenza di “un nucleo psichico invariante” nel tempo, era stata prevista oltre
duemila anni fa dall’evangelo di Giovanni: “Vi ho detto queste cose affinché non siate
scandalizzati. Vi espelleranno dalla sinagoghe; anzi l’ora viene che chiunque vi
ucciderà penserà di rendere un servizio a Dio” (Gv. 16,1 s.).
© Riproduzione riservata
M. Santopietro – 08 2016
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