Lezione 29 del 1 Giugno 2006 - Università degli Studi di Parma

Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi
Carlo Marchini
Lezione 29 del 1 Giugno 2006
VI.3. L’opera geometrica di Legendre.
VI.3.1. Brevi cenni biografici su Legendre. Adrien-Marie Legendre (1752 – 1833) è stato un
personaggio chiave sviluppo della Matematica dai metodi euleriani a quelli di Cauchy.
Cronologicamente si situa tra Lagrange (1736-1813), da una parte Gauss (1777 – 1855) e Cauchy
(1789 – 1857), dall’altra e si può dire che la sua fama sia stata in parte oscurata dal più anziano e
dai due più giovani.
Si hanno pochi dettagli della sua vita, tanto che non è noto se sia nato a Parigi, oppure a Tolosa, di
cui era originaria la sua famiglia e poi sia stato portato a Parigi in giovane età. Sicuramente di
genitori benestanti, svolge i suoi studi al prestigioso Collegio Mazarino, dove presenta la sua tesi a
18 anni, ma in essa non appaiono risultati particolarmente interessanti. Nel
1775 diventa insegnante alla École Militare, dove incontra Laplace, e dove
resta fino al 1780. Presenta nel 1782 all’Accademia di Berlino, di cui in quel
momento era direttore Lagrange un saggio sul moto dei proiettili, che vince
un premio.
Pierre-Simon Laplace
(1749 – 1827)
Si occupa in seguito di problemi di meccanica celeste che gli valgono nel
1783 l’associazione alla Accademia delle Scienze, al posto di Laplace.
Proprio in questo filone di studi Legendre pubblica nel 1784 le Recherches sur
la figure des planètes, in cui compaiono i polinomi che costituiscono forse uno
dei suoi più importanti risultati. Si tratta di una successione di polinomi che
costituiscono una base ortonormale dello spazio delle funzioni C e quindi
possono essere utilizzati in alternativa al polinomi di Taylor per descrivere
(localmente) le funzioni.
Brook Taylor
(1685 – 1731)
Si interessò inoltre di analisi indeterminata precorrendo in campo aritmetico
alcuni dei risultati che poi furono riscoperti da Gauss ed altri da Dirichlet.
La posizione assunta nella Accademia delle Scienze lo portò ad interagire
con alcune iniziative dell’accademia stessa, come la misura della Terra,
mediante la triangolazione tra gli osservatori di Greenwich e di Parigi, lavoro
Johann Peter Gustav
Lejeune Dirichlet
(1805 – 1859)
che gli valse l’elezione alla Royal Society di Londra nel 1787 e che gli diede
modo di scoprire proprietà sui triangoli sferici.
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Poco dopo scoppia la Rivoluzione francese e Legendre riesce a conservare le sue cariche, tanto
che nel 1791 diviene membro della rinnovata Accademia delle Scienze che ha il compito di
fornire gli standard di pesi e misure. I risultati di questa commissione sono compresi nell’attuale
sistema metrico decimale, i cui campioni di riferimento, il kilogrammo e il metro campione sono
conservati a Parigi.
Nel 1793 però l’Accademia delle Scienze fu chiusa. Legendre non resta però inattivo e nel 1794
pubblica il testo Eléments de géométrie che fu apprezzato anche da
Condorcet.
La chiusura dell’Accademia e i problemi causatigli dalla rivoluzione
lo spinsero in ristrettezze e solo l’attività per stabilire il sistema
metrico (terminate nel 1801) gli diedero di che vivere.
Nel 1795 si riaprì l’Accademia delle Scienze come Istituto Nazionale
delle Scienze e delle Arti, ma solo nel 1803 Napoleone creò una
sezione di Geometria in tale Istituto e la carica fu
Marie Jean Antoine Nicolas
de Caritat Condorcet
(1743 – 1794)
affidata a Legendre.
Ci fu inoltre una polemica che fu molto seguita, in ambiente matematico, tra
Gauss e Legendre sulla priorità di alcune scoperte di teoria dei numeri.
Tra gli altri argomenti di cui si occupò Legendre vi furono gli studi sulle
Napoleone Bonaparte
(1769 – 1821)
funzioni ellittiche ed introdusse le funzioni ‘gamma’ e ‘beta’ che hanno così
importante ruolo nella teoria della probabilità.
Per tornare alla Geometria, Legendre tentò per circa 30 anni di provare il postulato delle parallele,
in questo modo mettendo anche in dubbio quanto Kant aveva proposto con la Critica della Ragion
pura (1781) sulla verità della Proposizione che la somma degli angoli di un triangolo è 180°, ma
la termine di questi tentativi 1832 scrisse
«E’, ciò non di meno, certo che il teorema della somma dei tre angoli del triangolo debba essere considerato
come una di quelle verità fondamentali che è impossibile contestare e che è una di quegli
esempi imperituri della certezza matematica,»
e i lavori di Bolyai sulle geometrie non-euclidee apparvero nel giugno del 1831.
Nel 1824 Legendre si rifiuta di votare il candidato del governo all’Istituto
Nazionale e per questo il governo gli toglie la pensione. Inizia per Legendre un
János Bolyai
(1802 – 1860)
periodo di povertà che lo porta a morire di stenti nel 1833.
VI.3.2. Gli Eléments de Géométrie. Nel 1794 apparve la prima edizione del testo
che, con le sue varie edizioni fu sicuramente uno dei libri di Geometria più diffusi per circa un
secolo, e non solo in Francia, ma, ad esempio, anche in Italia.
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L’estensione del testo originale era assai più ampia di un ‘normale’ manuale di Geometria,
comprendendo la Geometria vera e propria, poi un testo di Note alla Geometria, un trattato di
trigonometria piana ed uno di trigonometria sferica. In un certo senso si tratterebbe di una silloge
delle opere di Euclide e di Tolomeo, integrate da risultati di Archimede su cerchio e sfera.
Il testo consultato in un volume unico, nella stesura conforme alla dodicesima edizione 1, contiene
solo gli elementi di Geometria e solo si compone di otto Libri, alcuni con appendici abbastanza
ampie e note. Il testo è corredato di dodici (splendide) tavole poste in fondo al volume che
presentano le 271 figure citate nel testo.
Questa opera, per la sua importanza di contenuti, per la complessità della sua genesi, testimoniata
dalle numerose edizioni, e per la sua influenza didattica su tutta la Matematica del XIX secolo (e
oltre), merita un’analisi approfondita e attenta, sia in sé, sia rintracciandone l’influenza che ebbe
su altri testi, specificamente didattici. Ciò non è possibile nel presente corso e pertanto ci si
accontenta di metterne in evidenza le parti ritenute più importanti.
VI.3.2.1. L’Avvertimento dell’Autore. Nel testo consultato sono premessi, nell’ordine, due brevi
scritti che meritano attenzione, se non altro per la forma linguistica in cui sono scritti (I Promessi
sposi appariranno nel 1840!).
Il primo scritto è l’Avvertimento dell’autore per la duodecima edizione parigina:
«La dimostrazione della teoria delle parallele tale, come era stata presentata nella terza edizione di
quest’Opera, e nell’edizioni seguenti fino all’ottava inclusivamente, non essendo al coperto da ogni obiezione,
ci aveva determinati nella nona edizione a ristabilire questa teoria presso a poco sulla medesima base di
Euclide. Alcune riflessioni ulteriori fatte sul medesimo oggetto, delle quali daremo gli sviluppi nella nota II., ci
hanno fatto discoprire due nuove maniere di dimostrare il teorema sui tre angoli del triangolo, senza il soccorso
di alcun postulato. Abbiamo in conseguenza inserita una di tali dimostrazioni nel testo di questa edizione,
scegliendo la meno lontana dall’idee ordinarie, e che d’altronde non sembra più difficile da comprendersi di
quella che era stata data nell’edizioni precedenti, dalla terza fino all’ottava.
Un altro cangiamento che si farà osservare in questa edizione, è relativo alla solidità della piramide
triangolare. Si è ristabilita tal dimostrazione presso a poco nel modo come era stata data nella prima edizione di
questi elementi, ma profittando d’una idea felice dovuta al signor Querret capo d’istruzione a San Malò; dessa
consiste nel rendere uguali le altezze dei prismi eccedenti e deficienti, che si costruiscono nelle due piramidi
paragonate. Con questo mezzo la dimostrazione della solidità della piramide sembra ridotta all’ultimo grado di
semplicità di cui è suscettibile.
Finalmente, siccome le tavole trigonometriche costrutte secondo la divisione decimale del quadrante non
sono così generalmente sparse come quelle che si rapportano all’antica divisione della circonferenza, si è
1 In queste lezioni si utilizza la traduzione di Gaetano Cellai, pubblicata in un unico volume dalla Tipografia della Speranza,
Firenze, 1834. Si tratta della quinta edizione di Firenze (così è indicato), probabilmente perché mancando all’epoca il copyright
potrebbero essere state fatte altre traduzioni ed edizioni.
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creduto che non sarebbe inutile di unire gli esempii di calcolo dati nella trigonometria, i risultati che
somministrerebbero l’uso delle antiche tavole.
____________________
Il Lettore, che vorrà limitarsi, almeno in una prima lettura, ai semplici elementi, può trascurare senza niuno
inconveniente, le Note o Appendici, e generalmente tutto ciò ch’è impresso in caratteri piccoli, perché meno
utile, o tale ch’esige uno studio più profondo. Ritornerà in seguito su questi oggetti, se lo crederà a proposito,
scegliendone quelli, che più saranno per essergli convenevoli, dietro al consiglio d’un abile Professore.
N.B. I numeri posti in margine indicano le proposizioni, alle quali dovrassi ricorrere per l’intelligenza delle
dimostrazioni. Un solo numero, come 4, accenna la proposizione IV. del Libro corrente; due numeri 20,3, denotano la XX.
Proposizione del Libro III. »
Già da queste prime parole si colgono alcuni punti di interesse di questo testo: il tentativo di
dimostrare il quinto postulato di Euclide, nella forma identificata come intrinseca della natura del
triangolo da Aristotele e, più vicino a Legendre nel tempo, da Kant, della somma degli angoli
interni del triangolo.
Si palesano in questo Avvertimento le oscillazioni di posizione di Legendre a proposito del
Teorema della somma degli angoli del triangolo.
Un altro punto interessante è relativo al volume della piramide, che in Euclide viene presentato
mediante il metodo di esaustione, e qui pare sia in versione più semplice.
Di fatto Legendre pone attenzione ai due punti critici degli Elementi euclidei, per l’uso
dell’infinito, ma nell’Avvertimento non cita il problema delle proporzioni.
Il ruolo didattico della sua opera è affermato dall’accenno ad «un abile Professore» che dovrebbe
accompagnare lo studio dell’opera.
Si citano anche delle tavole trigonometriche relative ad angoli espressi in gradi decimali (in uso
anche oggi in varie applicazioni tecniche) che fanno parte dell’opera, ma non del volume.
La duodecima edizione, così viene definita, dovrebbe essere almeno del 1823, dato che esiste un
testo pubblicato dallo stesso editore parigino delle precedenti edizioni che specifica trattarsi della
dodicesima.
Per quanto riguarda la numerazione proposta da Legendre in questi appunti si seguirà quella solita,
ad esempio III.20 per indicare la Prop. 20 del Libro III.
VI.3.2.2. L’Avviso dell’editore. Ulteriori informazioni provengono dall’Avviso dell’editore:
«La Geometria di Legendre, le Note alla medesima, e la Trigonometria piana e sferica dello stesso Autore
escono per la quinta volta in lingua Italiana dai torchi Fiorentini. Si è giudicato espediente divider l’Opera in
due Tomi riservando al secondo le note e le due Trigonometrie. La versione è stata accuratamente confrontata
e resa concorde alla duodecima ed ultima edizione Parigina dell’Opera originale: e vi si è unita la Memoria
di Lagrange concernente la soluzione di alcuni probelmi relativi ai triangoli sferici recata essa pure in
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Italiano. Nulla si è omesso di diligenza perché la traduzione riuscisse letterale e fedele, quanto poteva
permetterlo il genio diverso delle due lingue; le tavole delle figure sono state incise con la massima precisione
possibile; e nessuna premura è stata tralasciata per ottenere la più esatta correzione tipografica. »
Si è conservato il corsivo del testo. Questo avverrà anche per il seguito, dato il rilievo assegnato
alla presentazione grafica del testo, pregevole.
Da questo Avviso si desume che purtroppo le
Note di Legendre non sono presenti nel volume
disponibile. Invece è interessante poter attingere
ad un’opera di Lagrange inserita, senza esplicita
menzione, nel testo.
VI.3.3. I Principj del Libro Primo. Il Libro I ha
un titolo, Principj, ed in esso si pongono le basi
dell’opera. In esso si presentano Definizioni,
Spiegazioni dei termini e dei simboli usati, Assiomi e 31 Proposizioni, il tutto in 29 pagine.
In una nota alle definizioni si afferma che nei primi quattro libri si trattano esclusivamente le
figure piane ed in questo Libro I in particolare di figure rettilinee (poligoni), angoli, parallelismo e
perpendicolarità di rette.
VI.3.3.1. Le definizioni del Libro I. Nel riportare il testo di Legendre si conserveranno le
indentazioni del testo, i corsivi, ma come detto, non il tipo di numerazione utilizzata. Anche i
nomi di punti (o rette) vengono indicati in corsivo, ciò che non accade nel testo.
« Definizione I.1. La Geometria è una scienza, che ha per oggetto la misura dell’estensione.
L’estensione ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza ed altezza.
Definizione I.2. La Linea è una lunghezza senza larghezza.
Le estremità d’una linea si chiamano punti: il punto non ha dunque alcuna estensione.
Definizione I.3. La Linea retta è il più corto cammino da un punto ad un altro.
Definizione I.4. Ogni linea, che non è retta, né composta di linee rette, è una linea
curva.
Così AB è una linea retta, ACDB una linea spezzata (fig. 1), o composta di linee rette, e
AEB è una linea curva.
Definizione I.5. Superficie è ciò che ha lunghezza, e larghezza, senza altezza, o grossezza.
Definizione I.6. Il Piano è una superficie, nella quale prendendo due punti a piacere, e unendo questi due
punti con una linea retta, questa linea stia tutta intera nella superficie.
Definizione I.7. Ogni superficie, che non è piana, né composta di superficie piane, è una Superficie curva.
Definizione I.8. Solido, o Corpo è ciò che riunisce le tre dimensioni dell’estensione.
Definizione I.9. Allorché due linee rette AB, AC (fig. 2) s’incontrano, la quantità più o meno
grande, per cui esse sono distanti l’una dall’altra rispetto alla lor posizione, si chiama angolo; il
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punto d’incontro, o d’intersezione A è il vertice dell’angolo, le linee AB, AC, ne sono i lati.
L’angolo s’indica talora colla sola lettera del vertice A, talora con tre lettere BAC, o CAB, avendo cura di
porre in mezzo la lettera del detto vertice.
Gli angoli sono, come tutte le quantità, suscettibili d’addizione, di sottrazione, di moltiplicazione, e di
divisione; così l’angolo DCE (fig. 20) è la somma dei due angoli DCB, BCE, e l’angolo
DCB è la differenza dei due angoli DCE, BCE.
Definizione I.10. Quando la linea retta AB incontra (fig. 3) un’altra retta CD talmente
che gli angoli adiacenti BAC, BAD siano uguali fra loro, ognuno di questi
angoli si chiama un angolo retto, e la linea AB vien detta perpendicolare
sopra CD.
Definizione I.11. Ogni angolo BAC (fig. 4) minore d’un angolo retto è
un angolo acuto; ogni angolo DEF maggiore del retto è un angolo ottuso.
Definizione I.12. Due linee si dicono parallele (fig. 5) allorché
essendo situate nel medesimo piano non possono incontrarsi, benché si prolunghino
ambedue sino a qualunque distanza.
Definizione I.13. Figura piana (fig. 6) è un piano terminato per ogni parte
da linee.
Se le linee sono rette, lo spazio che esse racchiudono si chiama Figura rettilinea, o Poligono,
e le linee stesse prese insieme formano il contorno o perimetro del poligono.
Definizione I.14. Il poligono di tre lati è il più semplice di tutti, e si chiama triangolo; quello
di quattro lati si chiama quadrilatero; quello di cinque pentagono; quello di sei
esagono, ecc.
Definizione I.15. Si chiama triangolo equilatero (fig. 7) quello, che ha i suoi tre lati
uguali; triangolo isoscele (fig. 8) quello, di cui due soli lati sono uguali; triangolo scaleno (fig. 9)
quello, che ha i suoi tre lati disuguali.
Definizione I.16. Il triangolo rettangolo è quello, che ha un angolo retto. Il
lato opposto all’angolo retto si chiama ipotenusa. Così ABC (fig. 10) è un
triangolo rettangolo in A, e il lato BC è la di lui ipotenusa.
Definizione I.17. Fra i quadrilateri si distinguono:
Il quadrato, che ha i suoi lati uguali (fig.11), e i suoi angoli retti (Vedete la Prop.
I.30.).
Il rettangolo (fig.12), che ha gli angoli retti senza avere i lati uguali (Vedete la
medesima Proposizione).
Il parallelogrammo, o rombo, che ha i lati opposti paralleli (fig. 13).
La losanga, i cui lati sono uguali senza che gli angoli siano retti (fig. 14).
Finalmente il trapezio, di cui due soli lati son paralleli (fig. 15).
Definizione I.18. Si chiama diagonale la linea retta, che unisce i vertici di due
angoli non adiacenti: tale è AC (fig. 42).
Definizione I.19. Poligono equilatero è quello, di cui tutti i lati sono uguali;
poligono equiangolo quello, di cui tutti gli angoli sono uguali.
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Definizione I.20. Due Poligoni sono equilateri tra di loro quando hanno i lati rispettivamente uguali, e
situati nel medesimo ordine, vale a dire, allorché seguitando i loro contorni in un medesimo senso, il primo lato
dell’uno è uguale al primo dell’altro, il secondo dell’uno al secondo dell’altro, il terzo al terzo, e così di
seguito. Nella stessa maniera si concepisce cosa s’intende per due Poligoni equiangoli tra di loro.
In ambedue i casi i lati uguali o gli angoli uguali si chiamano lati o angoli omologhi.
N.B. Ne’ quattro primi Libri non si tratterà che delle Figure piane, o disegnate sopra una superficie piana.»
Dalla Def. I.1. compare subito il concetto di misura (e di estensione). Legendre ha ragione dal
punto di vista filologico, ma si discosta immediatamente dall’immagine di Geometria proposta da
Euclide.
La seguente definizione, in realtà sono due definizioni, che poi definizioni non sono, sono invece
in sintonia con la proposta euclidea.
La Def. I.3. è in sintonia con quanto proposto da Clairaut e da Archimede. Fa riferimento ad una
misura che non è ancora stata precisata. Ora questo era ‘perdonabile’ a Clairaut data
l’impostazione intuitiva del suo trattato, lo è meno a Legendre, che si muove in un contesto più
formalizzato e precisato.
Nella Def. I.4. viene dato per ovvio cosa significhi che una linea è composta da altre linee; lo
stesso avverrà per la composizione di superficie nella Def. I.7, poi introduce il termine ‘spezzata’
senza usare il corsivo, e suggerisce il significato tramite la figura.
La Def. I.6. ripete parzialmente la definizione euclidea, ma individua il piano tra le superficie, con
una proprietà di convessità. In questo caso c’è bisogno di specificare cosa si intenda retta, se la
‘retta’ di Euclide, oppure quello che si intende oggi. Infatti se la linea retta è il più corto cammino
che congiunge due punti, allora sembra essere un segmento. Alla stessa conclusione si giunge con
la Def. I.4 e col disegno che chiarisce cosa intenda l’autore, ed anche nella Def. I.13 in cui si parla
di perimetro di un poligono, cioè le linee prese assieme. Ma in questo caso ogni figura piana
convessa sarebbe un piano, dato che ad esempio un triangolo è tale che «prendendo due punti a piacere,
e unendo questi due punti con una linea retta, questa linea stia tutta intera nella superficie».
Oppure l’aggettivo
intera si riferisce a quello che oggi definiremmo una retta, come insieme illimitato (ed
eventualmente infinito). Ma questo vorrebbe dire che di una retta se ne potrebbe considerare una
parte, ed in tal caso servirebbe un termine per indicare questa diversa situazione. In conclusione
sembra che la mancata accettazione dell’infinito, giochi brutti scherzi a Legendre. E poi non
sembra del tutto corretto parlare di una Definizione, la convessità è una proprietà e qui si sta di
fatto dando un postulato che illustra i rapporti tra piano e retta.
La Def. I.9. è complessa. Non si può dire che sia chiaro cosa sia l’angolo, visto come una quantità,
una distanza. A parte l’attenzione sul come denotarlo, è importante che all’angolo si attribuisca il
ruolo di grandezza, anche se il testo parla di quantità. Ancora meno chiaro è cosa si intenda per
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moltiplicazione (forse l’addizione ripetuta), quindi con un moltiplicatore naturale, ed ancora meno
la divisione, visti i problemi della Geometria classica a trisecare. L’esempio che fa è quello più
tranquillo, di addizione e sottrazione, che hanno un’evidenza grafica; il ruolo della figura è quindi
di fornire supporto all’evidenza. E’ evidente il sottinteso, chiaro al cultore smaliziato, su cosa
debba intendersi per moltiplicazione e divisione di quantità, nonché i limiti della sottrazione.
Ci può essere un dubbio legato alla traduzione del termine francese quantité che starebbe sia per
quantità, ma anche per grandezza. Clairaut però usa anche grandeur per grandezza. Quindi forse
c’è una cattiva traduzione da parte di Cellai. Nel caso di grandezza, facendo riferimento alla
traduzione euclidea, non ci dovrebbero essere problemi sul significato delle operazioni tra
grandezze. Nella Def. I.11 viene poi richiamata la relazione d’ordine tra angoli, senza che essa
venga introdotta esplicitamente.
Nella Def. I.12. si parla genericamente di linee, omettendo rette; la
definizione senza questa specificazione non regge, dato che i due rami
di
un’iperbole
soddisferebbero
la
proprietà
richiesta,
ma,
normalmente, non si pensa ad esse come due linee parallele. Inoltre appare chiaro che il concetto
di linea, sia essa retta o no, si intende ‘terminata’, in quanto si parla di prolungarle. Una conferma
di ciò si ha anche con la successiva Def. I.13, dato che il perimetro di un poligono è costituito dai
lati e non dalle rette di cui i lati sono parte. Da notare che in quest’ultima definizione non dà il
termine ‘lato’, che poi usa nella successiva Def. I.14.
Con le Deff. I.15 e I.17 vengono presentate le classificazioni dei triangoli e dei quadrilateri, sotto
forma di classificazioni in parte esclusive, vale a dire un triangolo equilatero non è isoscele, come
un quadrato non è né un rettangolo, né un rombo (losanga), mentre un quadrato ed un rettangolo
sono parallelogrammi. Da notare che nella Def. I.17 rombo è sinonimo di parallelogrammo, il
nostro ‘rombo’ scolastico è per Legendre la losanga.
La Def. I.20 mostra come sia difficile essere chiari senza il concetto di quella particolare
corrispondenza biunivoca che si chiama omologia. Tra l’altro Legendre usa l’omologia
diversamente da Euclide, che la usa, definendola in generale come corrispondenza tra grandezze
in Eucl. Def. V.11 (cfr. III.5.2.7.) e poi la applica, ridefinendola, in ambito geometrico Eucl. Prop.
VI.4. (cfr. III.4. e III.6.3.2.), specificando che è una corrispondenza relativa alla similitudine dei
triangoli (da cui per estensione, relativa ai poligoni in Eucl. Prop. VI.20., (cfr. III.6.3.5.). Da
notare che Clairaut Art. I.44 (cfr. VI.1.3.5.) usa omologo in senso euclideo.
Il Nota Bene finale sembra voler tranquillizzare il lettore: anche se si sono introdotte definizioni
relative a concetti della Geometria dello spazio, i primi libri sono solo sulla geometria piana.
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VI.3.3.2. La Spiegazione. La natura didattica del testo di Legendre è rivelata chiaramente dal
brano che segue immediatamente, che non sarebbe affatto necessario se i destinatari dell’opera
fossero matematici esperti. Si tratta di una Spiegazione de’ termini, e de’ segni, scritta in corsivo,
mentre definizioni e assiomi sono scritti in maiuscolo. Non si tratta solo di precisare il ruolo delle
parole usate, ma quello di spiegare a chi li vede per la prima volta il significato con cui si usano
queste parole tecniche.
« Assioma è una proposizione evidente di per sé stessa.
Teorema è una verità, che diviene evidente per mezzo di un ragionamento chiamato dimostrazione.
Problema è una questione proposta, che esige una soluzione.
Lemma è una verità impiegata sussidiariamente per la dimostrazione di un Teorema, o la soluzione d’un
Problema.
Il nome comune di Proposizione si attribuisce indifferentemente ai Teoremi, Problemi, e Lemmi.
Corollario è la conseguenza che deriva da una o più Proposizioni.
Scolio è un’osservazione sopra una o più Proposizioni precedenti, che tende a far vedere il loro legame, la
loro utilità, la loro restrizione, o la loro più estesa applicazione.
Ipotesi è una supposizione fatta o nell’enunciato di una Proposizione, o nel corso d’una Dimostrazione.
Il segno = è il segno dell’uguaglianza; così l’espressione A = B significa che A è uguale a B.
Per esprimere che A è minore di B, si scrive A < B.
Per esprimere che A è maggiore di B, si scrive A > B.
Il segno + si pronuncia più, e indica l’addizione.
Il segno – si pronunzia meno, e indica la sottrazione: così A + B rappresenta la somma delle quantità A e B;
A – B rappresenta la loro differenza , o ciò che resta togliendo B da A; così A – B + C, o A + C – B significa che
A e C devono essere aggiunte assieme, e che B dev’esser tolta dal loro totale.
Il segno × indica la moltiplicazione; così A × B rappresenta il prodotto d’A moltiplicato per B. Invece del
segno × si adopera talora un punto; così A.B è lo stesso che A × B. S’indica il medesimo prodotto, senza alcun
segno intermedio, da AB; ma non bisogna impiegare questa espressione se non quando non si ha nel medesimo
tempo da impiegar quella della linea AB, distanza dei punti A e B.
L’espressione A × (B + C – D) indica il prodotto di A per la quantità B + C – D. Se bisognasse moltiplicare
A + B per A – B + C, s’indicherebbe il prodotto così (A + B) × (A – B + C). Tutto ciò, che è rinchiuso tra
parentesi, è considerato come una sola quantità.
Un numero posto innanzi a una linea, o ad una quantità, serve di moltiplicatore a questa linea o a questa
quantità; così, per esprimere che la linea AB è presa tre volte, si scrive 3AB; per indicare la metà dell’angolo A,
si scrive ½A.
2
3
Il quadrato della linea AB s’indica con AB , il suo cubo con AB . Spiegheremo a suo luogo ciò che
significa precisamente il quadrato, e il cubo d’una linea.
Il segno
indica una radice da estrarsi: così
2 è la radice quadrata di 2,
A × B, o la media proporzionale tra A e B.»
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A × B è la radice del prodotto
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Nella elencazione – spiegazione dei termini che userà è importante il riferimento semantico:
Assiomi e Teoremi sono verità che hanno però gradi di evidenza diversi: l’Assioma è evidente, il
Teorema ‘conquista’ l’evidenza mediante la dimostrazione. E’ però interessante ciò che afferma
poi a riguardo di ipotesi, cui dà il valore di supposizione, quindi una enunciazione di una qualche
proprietà, ma su cui non ci si impegna della verità. Data la specificazione che le ipotesi si presenta
nelle Proposizioni o nelle dimostrazioni, di fatto questo potrebbe minare la ‘verità’ dei teoremi.
Anche il termine Proposizione andrebbe spiegato. La parola francese ‘proposition’ ha infatti una
molteplice valenza, quella di Proposizione, affermazione ‘certa’ oppure termine linguistico per
indicare una frase, ma anche il corrispondente della parola italiana ‘proposta’.
Si osservi come uguaglianza non sia in corsivo, mentre lo siano, ad esempio, il modo di
pronunciare i simboli per le operazioni di addizione e sottrazione. A proposito di queste
operazioni, Legendre non introduce parentesi che sarebbero chiarificatrici, lo farà poco dopo.
Trattandosi di Geometria, la scrittura (A – B) + C, (A + C) – B, A + (C – B) hanno una valenza
diversa: con la prima si richiede, oggi implicitamente, che A ≥ B, mentre con la seconda che A + C
≥ B, ed infine con la terza, che C ≥ B.
Nel seguito invece di utilizzare la scrittura A.B proposta da Legendre si sostituirà il suo punto con
quello a metà della riga scrivendo A·B.
Per quanto riguarda la moltiplicazione, Legendre è assai poco chiaro. Sembra riferirsi ad una
operazione generale tra grandezze, simile a quanto ha proposto per la addizione, sottrazione e le
relazioni di uguaglianza e di ordine. Poi invece nell’inciso in cui mette in guardia sulla confusione
tra AB come prodotto e come linea (= segmento) sembra palesare la possibilità di considerare il
prodotto di punti. Importante anche è l’affermazione che la «linea AB, distanza dei punti A e B»
identificando l’ente geometrico ‘retta’ o meglio ‘segmento’ con la ‘distanza’, concetto cui oggi
siamo più propensi ad attribuire una valenza numerica, distinguendo tra segmento, lunghezza del
segmento e misura del(la lunghezza del) segmento (o distanza).
Nell’esempio in cui dovrebbe trattare della proprietà distributiva (o forse, più correttamente, della
pseudo-distributiva), di fatto sta dando una definizione delle parentesi e del loro uso, senza usare
la distributiva.
Le perplessità sulla moltiplicazione delle grandezze sono confermate indirettamente, dato che
Legendre sente la necessità di dedicare una considerazione a parte al prodotto di un numero
(razionale) per una grandezza e come grandezze fa gli esempi di segmento e angolo. Da notare che
scambia i ruoli. In 3AB, 3 è il moltiplicatore e AB il moltiplicando. Nella precedente definizione di
prodotto afferma « A × B rappresenta il prodotto d’A moltiplicato per B» in cui sembra assegnare ad A il
ruolo di moltiplicando e a B quello di moltiplicatore.
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VI.3.3.3. Gli Assiomi. Si completa l’esposizione dei Principj, ovvero dei punti di partenza,
mediante una lista di cinque assiomi, che, tranne il quarto e forse il quinto, sono assai più vicini
alle nozioni comuni che ai postulati. Anche il fatto di mescolarli, va a favore dell’attenzione
metateorica di Euclide.
« Assioma I.1. Due quantità uguali a una terza sono uguali tra loro.
Assioma I.2. Il tutto è maggiore della sua parte.
Assioma I.3. Il tutto è uguale alla somma delle parti, in cui è stato diviso.
Assioma I.4. Da un punto a un altro non si può condurre che una sola linea retta.
Assioma I.5. Due grandezze, linee, superficie, o solidi, sono uguali allorché, essendo situate l’una sull’altra,
coincidono in tutta la loro estensione.»
Un’analisi di questi assiomi rivela che si dànno per scontate la relazione analoga alla ‘inclusione’
tra enti geometrici ed un’operazione di suddivisione in parti. Sono le stesse richieste implicite che
fa Euclide. Più azzardata è la formulazione dell’ultimo Assioma. Sembra un assioma geometrico,
data che parla più esplicitamente di figure geometriche, però l’affermazione riguarda cosa debba
intendersi per uguaglianza, concetto che nella Spiegazione sembra assumere come ovvio e non
esclusivo della Geometria. Qui invece si pone il confronto tra l’uguaglianza e l’estensione.
Però Legendre non si accorge che forse sta introducendo la quarta dimensione. Infatti per
sovrapporre due solidi concreti, in modo che coincidano in tutta la loro estensione, non bastano tre
dimensioni, data l’impenetrabilità. Con Legendre non siamo quindi nella Geometria pratica di
Clairaut, ma siamo in un ambito strettamente teorico.
Rispetto alle Nozioni comuni di Euclide, non sono esplicitati tra gli Assiomi che la somma
(differenza) di cose uguali siano uguali, vale a dire le Nozioni comuni 2 e 3, dando per buono che
essendo tutto quantità debbano poi valere le consuete proprietà delle quantità. Legendre non
sembra rendersi conto che c’è bisogno di definire accuratamente l’addizione e la sottrazione di
grandezze, perché non basta indicare il simbolo perché tutte le
proprietà che tali operazioni hanno tra i numeri, siano ‘ereditate’
anche dalle operazioni denotate ugualmente tra le grandezze.
Quindi questo è un difetto di tipo definitorio, dato che poi nelle
sue dimostrazioni usa esplicitamente proprio gli asserti euclidei.
VI.3.4. La dimostrazione del postulato delle parallele. Una delle
caratteristiche più interessanti di questa edizione degli Eléments
de Géométrie di Legendre è il tentativo di dimostrazione del
postulato delle parallele, che si trova nella Prop. I.19. sotto forma della proprietà degli angoli
interni di un triangolo. Di esso parla nell’Avvertimento iniziale. Illustrando quanto propone
l’autore si riesce così anche a dare un esempio delle tecniche dimostrative che impiega.
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VI.3.4.1. Le Proposizioni precedenti alla Proposizione I.19. Data l’importanza dell’argomento è
bene avere, almeno, gli enunciati della Proposizioni che precedono la dimostrazione del postulato
delle parallele, anche per cogliere più da vicino come Legendre dipana il discorso geometrico. Le
Propp. I.1 – I.18 sono qualificate tutte come Teoremi. A differenza di Euclide, Archimede,
Apollonio ed anche Clairaut, vengono messi in evidenza sia la parola Proposizione, in maiuscolo e
in un carattere più grande di quello del testo, con l’indicazione numerale, sia la parola Teorema,
scritta in maiuscoletto, con carattere più piccolo di quello del testo.
«Proposizione I.1. Gli angoli retti son tutti uguali fra loro.
Proposizione I.2. Ogni linea retta CD, che ne incontra un’altra AB, fa con questa due
angoli adiacenti ACD, BCD, la cui somma è uguale a due retti (fig. 17)
Proposizione I.3. Due linee rette, che hanno due punti comuni, coincidono l’una con l’altra
in tutta la loro estensione, e non formano che una sola e medesima linea retta.
Proposizione I.4. Se due angoli adiacenti ACD, DCB equivalgono assieme a due angoli retti, i due lati esterni
AC, BC saranno in linea retta. (fig. 20)
Proposizione I.5. Tutte le volte che due linee AB, DE si tagliano, gli angoli opposti al vertice sono uguali.
Proposizione I.6. Due triangoli sono uguali quando hanno un angolo uguale compreso tra lati rispettivamente
uguali.
Proposizione I.7. Due triangoli sono uguali quando hanno un lato uguale adiacente a due angoli
rispettivamente uguali.
Proposizione I.8. In un triangolo un lato qualunque è minore della somma degli altri due.
Proposizione I.9. Se da un punto O preso dentro il triangolo ABC si conducono alle estremità d’un
lato BC le linee rette OB, OC, la somma di queste rette sarà minore di quella degli altri due lati.
(fig. 24).
Proposizione I.10. Se i due lati AB, AC del triangolo ABC sono uguali
rispettivamente ai due lati DE, DF del triangolo DEF, e se nel tempo stesso
l’angolo BAC compreso da’ primi è maggiore dell’angolo EDF compreso da’
secondi, dico che il terzo lato BC nel primo triangolo sarà maggiore del terzo EF del secondo (fig. 25).
Proposizione I.11. Due triangoli sono uguali allorché hanno i tre lati rispettivamente uguali.
Proposizione I.12. In un triangolo isoscele gli angoli opposti ai lati uguali sono uguali.
Proposizione I.13. Reciprocamente, se due angoli sono uguali, in un triangolo, i lati opposti saranno uguali, e
il triangolo sarà isoscele.
Proposizione I.14. Di due lati d’un triangolo il maggiore è quello che è opposto ad un angolo maggiore; e
reciprocamente di due angoli d’un triangolo il maggiore è quello, che è opposto ad un lato maggiore.
Proposizione I.15. Da un punto A fuori d’una retta DE non si può condurre che una sola retta perpendicolare
a questa retta.
Proposizione I.16. Se da un punto A situato fuori d’una retta DE si conducono la perpendicolare AB su questa
retta, e differenti oblique AE, AC, AD, ec. A differenti punti della medesima retta,
1.° La perpendicolare AB sarà più corta d’ogni obliqua.
2.° Le due oblique AC, AE, condotte da una parte e dall’altra della perpendicolare a distanze
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uguali BC, BE, saranno uguali.
3.° Di due oblique AC, e AD, o AE ed AD, condotte come si vorrà, quella, che si allontana di più dalla
perpendicolare, sarà la più lunga. (fig. 31).
Proposizione I.17. Se dal punto C, in mezzo alla retta AB, si alza la perpendicolare EF su questa retta,
1.° ogni punto della perpendicolare sarà ugualmente distante dalle due estremità della linea AB;
2.° ogni punto situato fuori della perpendicolare sarà disugualmente distante dalla medesime estremità A, e
B.
Proposizione I.18. Due triangoli rettangoli sono uguali quando hanno le ipotenuse uguali, e un lato uguale. »
Come si vede da questo elenco, sostanzialmente Legendre riprende il Libro I degli Elementi di
Euclide, e non integralmente e non seguendo lo stesso ordine. Tuttavia le proprietà provate da
Legendre fin qui sono dimostrate da Euclide senza fare uso del postulato delle parallele. Non così
per la Eucl. Prop. I.32 (cfr. III.1.3.) che riguarda la somma degli angoli interni di un triangolo.
VI.3.4.2. La Proposizione I.19. La tradizione geometrica post-euclidea, di cui Legendre è a
conoscenza, ha dimostrato che riuscire a provare che la somma degli angoli interni di un triangolo
è due angoli retti implica il postulato delle parallele. D’altra parte su questa forma che riguarda il
triangolo hanno posato i loro occhi ‘filosofici’ Aristotele e Kant, ritenendole verità di fatto. Si
comprende perché quindi su di essa ponga la sua attenzione anche Legendre.
«Proposizione I. 19. In un qualunque triangolo, la somma dei tre angoli è uguale a due angoli retti.
Sia ABC il triangolo proposto (fig. 35) nel quale supporremo 1 che AB è il maggior lato e BC il minore, e
che così ACB è il maggior angolo, e BAC il minore (Prop. I.14).
Per il punto A e per il punto I mezzo del lato opposto BC, conducete la retta AI, che prolungherete in C’ sino
che AC’ = AB; prolungate parimente AB in B’ fino che AB’ sia doppia di AI.
Se si denotino per A, B, C i tre angoli del triangolo ABC, e similmente per A’, B’, C’, i tre angoli del
triangolo AB’C’, io dico che avremo l’angolo C’ = B + C e l’angolo A = A’ + B’; d’onde resulta A + B + C = A’
+ B’ + C’, vale a dire la somma dei tre angoli è la medesima nei due triangoli.
Per dimostrarlo, fate AK = AI ed unite C’K, avrete il triangolo C’AK uguale al triangolo BAI. Perché in
questi due triangoli, l’angolo comune A [A’] è compreso tra lati rispettivamente uguali, cioè AC’ = AB, e AK =
AI. Dunque il terzo lato C’K è uguale al terzo BI, dunque anche l’angolo AC’K = ABC, e l’angolo AKC’ = AIB.
1 Il testo presenta la seguente nota a piede di pagina: «Questa supposizione non esclude il caso in cui il lato medio AC fosse uguale ad uno
degli estremi AB o BC» ma sembra invece escludere che il triangolo possa essere equilatero.
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Io dico adesso che il triangolo B’C’K è uguale al triangolo ACI, perché la somma de’ due angoli adiacenti
AKC’ + C’KB’ è uguale a due retti (Prop. I.2) come pure la somma de’ due angoli AIC + AIB; togliendo da
ambedue le parti gli angoli uguali AKC’, AIB, resterà l’angolo C’KB’ = AIC. Questi angoli uguali nei due
triangoli sono compresi tra lati rispettivamente uguali, cioè C’K = IB = IC, e KB’ = AK = AI, poiché abbiamo
supposto AB’ = 2AI = 2AK. Dunque i due triangoli B’C’K e ACI, sono uguali (Prop. I.6); dunque il lato C’B’ =
AC, l’angolo B’C’K = ACB, e l’angolo KB’C’ = CAI.
Segue da ciò: 1.° che l’angolo AC’B’, denotato per C’, è composto di due angoli uguali agli angoli B e C del
triangolo ABC, e che si ha perciò C’ = B + C; 2.° che l’angolo A del triangolo ABC è composto dell’angolo A’
ovvero C’AB’, che appartiene al triangolo AB’C’, e dell’angolo CAI uguale all’angolo B’ del medesimo
triangolo, il che somministra A = A + B’ [sic! invece di A = A’ + B’]: dunque A + B + C = A + B’ + C’ [sic!
invece di A’ + B’ + C’]. D’altronde poiché si ha per ipotesi AC < AB, ed in conseguenza C’B’ < AC’, si vede
che nel triangolo AC’B’ l’angolo A, denotato per A’, è minore di B’; e siccome la somma di questi due è uguale
all’angolo A del triangolo proposto, ne segue che si ha A’ < ½A.
Se si applica la medesima costruzione al triangolo AB’C’, per formare un terzo triangolo AC”B”, i cui
angoli saranno designati per A”, B”, C”, avremo similmente le due uguaglianze C” = C’ + B’, A’ = A” + B”,
d’onde resulta A’ + B’ + C’ = A” + B” + C”. Così la somma de’ tre angoli è la medesima in questi tre triangoli:
avremo nel tempo istesso l’angolo A” < ½A’, ed in conseguenza A” < ¼A. Continuando indefinitamente la
serie dei triangoli AC’B’, AC”B”, ec., perverremo ad un triangolo abc, nel quale la somma dei tre angoli sarà
sempre la medesima che nel triangolo proposto ABC, e che avrà l’angolo a minore di qualunque termine si
voglia nella progressione decrescente ½A, ¼A,
1
8
A, ec.
Possiamo dunque supporre questa serie di triangoli tanto prolungata fino a che l’angolo a sia minore di
qualunque angolo dato.
E se col mezzo del triangolo abc si costruisce il triangolo seguente a’b’c’, la somma degli angoli a’ + b’ di
quest’ultimo sarà uguale all’angolo a; e sarà in conseguenza minore di qualunque angolo dato: dal che si vede
che la somma dei tre angoli del triangolo a’b’c’ si riduce quasi al solo angolo c’.
Affine d’avere la misura precisa di questa somma, prolunghiamo il lato a’c’ verso d’, e chiamiamo x’
l’angolo esterno b’c’d’; quest’angolo x’ unito all’angolo c’ del triangolo a’b’c’ fa una somma uguale a due retti
(Prop. I.2); così denotando l’angolo retto per D, avremo c’ = 2D – x’; dunque la somma degli angoli del
triangolo a’b’c’ sarà
2D + a’ + b’ – x’.
Ma si può concepire che il triangolo a’c’b’ cangi ne’ suoi angoli e ne’ suoi lati, in modo da rappresentare i
triangoli successivi, che si producono ulteriormente dalla medesima costruzione, e si approssimano di più in
più al limite, ove gli angoli a’ e b’ fossero nulli. In questo limite la retta a’c’d’ confondendosi con a’b’, i tre
punti a’, c’, b’ finiscono per essere esattamente in linea retta, allora gli angoli b’ e x’ divengono nulli nel
medesimo tempo che a’, e la quantità 2D + a’ + b’ – x’, la quale misura la somma de’ tre angoli del triangolo
a’b’c’, si riduce a 2D, dunque in qualunque triangolo la somma de’ tre angoli è uguale a due angoli retti.
Corollario I. Due angoli di un triangolo qualunque essendo dati , o solamente la loro somma, si conoscerà il
terzo togliendo la somma di quei due angoli da due angoli retti.
II. Se due angoli di un triangolo sono uguali rispettivamente a due angoli d’un altro triangolo, il terzo
angolo dell’uno sarà uguale al terzo angolo dell’altro, e i due triangoli saranno equiangoli tra loro.
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III. In un triangolo non può esservi che un solo angolo retto; poiché, se ve ne fossero due, il terzo diverrebbe
nullo: a più forte ragione un triangolo non può avere che un solo angolo ottuso.
IV. In un triangolo rettangolo la somma dei due angoli acuti è uguale ad un retto.
V. In un triangolo equilatero ciascuno dei suoi angoli è il terzo di due angoli retti, o i due terzi d’un retto.
Dunque se l’angolo retto è espresso da 1, l’angolo del triangolo equilatero sarà espresso da
2
3
.
VI. In un qualunque triangolo ABC se si prolunga il lato AB verso D, l’angolo esterno CBD sarà uguale alla
somma dei due interni opposti A e C; poiché aggiungendo da ambe le parti ABC, le due somme sono uguali a
due angoli retti.»
Qui Legendre applica le Eucl. Nozz. comm. 3 e 2 (cfr. II.4.5.), che non sono esplicitate tra gli
Assiomi, come osservato in precedenza.
Per poter utilizzare la disuguaglianza A’ < ½ A, ci vuole la diversità dei lati. Se si avesse un
triangolo equilatero, essendo equiangolo, si avrebbe banalmente che i tre angoli sono uguali e che
l’altezza relativa ad un lato è bisettrice dell’angolo opposto. Considerando ora un triangolo
rettangolo ottenuto da un vertice conducendo l’altezza (bisettrice), in tale triangolo la somma dei
due angoli non retti per il Corollario V è un angolo retto, quindi, considerando i due triangoli
rettangoli, si ottiene il risultato del Corollario VI relativo ai triangoli equilateri. Anche per essi la
somma degli angoli interni è uguale a due retti e quindi ciascuno è i due terzi dell’angolo retto.
Legendre riesce quindi, mediante l’analisi, vale a dire la nozione di limite, a supplire al postulato
delle parallele. La sua dimostrazione è un’effettiva costruzione di limite in quanto riesce a provare
che con l’iterazione l’angolo a’ diviene più piccolo di ogni angolo, vale a dire tende a 0 e così
pure la somma a’ + b’ ed anche l’angolo esterno x’.
La parte puramente geometrica, vale a dire la dimostrazione che i triangoli ABC e AB’C’ hanno
uguali la somma degli angoli interni è pura Geometria in senso euclideo, e non utilizza il postulato
delle parallele. La visione della (semi)retta come triangolo limite, fa giungere al risultato,
attraverso procedimenti analitici la considerazione del limite (di una successione strettamente
decrescente) in contesto geometrico. Non
C
viene però messo in luce se i punti
C'
corrispondenti a C e a B sono la finito
C"
I
oppure no.
I'
A
K B
B'
B"
D
Allo stesso risultato si poteva giungere
anche nel caso del triangolo equilatero, visto che comunque si otteneva una successione
strettamente monotona, pertanto la sua esclusione dalla dimostrazione sembra del tutto
ingiustificata.
Si osservi inoltre che il concetto di limite, introdotto da D’Alembert, aveva ricoperto grande
importanza perché messo al centro di tutta l’Analisi da Cauchy nel suo Cours d’Analyse del 1821,
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dunque pochissimi anni prima della dodicesima edizione degli Eléments de Géométrie.
VI.3.4.3. La Proposizione I.23. Legendre prova il postulato delle parallele nella versione originale
euclidea che nel suo testo diviene la seguente
«Proposizione I.23. Se due linee rette AB, CD, fanno con una terza EF due angoli interni da una medesima
parte, la cui somma sia minore o maggiore di due angoli retti, le linee AB, CD, prolungate sufficientemente,
dovranno incontrarsi. (fig. 37)
Sia 1.° la somma BEF + EFD minore di due angoli retti; conducete FG in modo che sia l’angolo EFG =
AEF, avrete la somma BEF + EFG uguale alla somma BEF + AEF, e per conseguenza uguale a due angoli
retti; e poiché BEF + EFD è minore di due angoli retti, la retta DF sarà compresa nell’angolo EFG.
Per il punto F tirate un’obliqua FM, la quale incontri AB in M; l’angolo AMF sarà uguale a GFM, poiché
aggiungendo da una parte e dall’altra una medesima quantità EMF + FEM, le due somme sono uguali ciascuna
a due angoli retti. Prendete in seguito MN = FM ed unite FN; l’angolo AMF, esterno al triangolo FMN è uguale
alla somma dei due interni opposti MFN, MNF (Cor. 6 della Prop. I.19); questi ultimi sono uguali tra loro,
poiché dessi sono opposti a de’ lati uguali MN, FM: dunque l’angolo AMF, o il suo eguale MFG, è doppio di
MFN; dunque la retta FN divide in due parti uguali l’angolo GFM ed incontra la linea AB in un punto N situato
alla distanza MN = FM.
Segue dalla medesima dimostrazione che se si prende NP = FN, determineremo sulla linea AB il punto P
ove termina la retta FP, la quale fa l’angolo GFP uguale alla metà dell’angolo GFN, ovvero al quarto
dell’angolo GFM.
Si può dunque prendere così successivamente la metà, il quarto, l’ottavo, ec. Dell’angolo GFM e le linee
che operano queste divisioni, incontreranno AB in dei punti di più in più lontani, ma facili da determinare
poiché MN = FM, NP = FN, PQ = PF, ec. Possiamo ancora osservare che ciascuna distanza di questi punti
d’intersezione dal punto fisso F, non è affatto doppia della distanza dal punto d’intersezione precedente, poiché
FN, per esempio, è minore di FM + MN ovvero 2FM; si ha parimenti FP < 2FN, FQ < 2FP, ecc.
Ma continuando a suddividere l’angolo GFM in ragion dupla, arriveremo ben presto ad un angolo GFZ
minore dell’angolo dato GFD, e sarà vero ancora che FZ prolungato incontra AB in un punto determinato:
dunque a più forte ragione la retta FD compresa nell’angolo EFZ, incontrerà AB.
Supponiamo 2.° che la somma due angoli interni AEF + CFE sia maggiore di due angoli retti; se si prolunga
AE verso B e CF verso D, la somma de’ quattro angoli AEF, BEF, CFE, EFD sarà uguale a quattro angoli retti:
dunque se da questa somma si toglie AEF + CFE maggiore di due angoli retti, resterà la somma BEF + EFD
minore di due angoli retti. Dunque, dietro al primo caso, le linee EB, FD, prolungate sufficientemente,
debbono incontrarsi.
Corollario. Per un punto dato F non si può condurre che una sola parallela alla linea data AB; poiché avendo
tirata FE a piacere, non vi è che la linea FG, che faccia la somma dei due angoli BEF + EFG uguale a due
angoli retti; qualunque altra linea FD farebbe la somma dei due angoli BEF + EFD minore o maggiore di due
retti; ed incontrerebbe per conseguenza la linea AB. »
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La scelta di Legendre è quindi di utilizzare il concetto di limite, invece che la dimostrazione per
assurdo. In questo caso si producono due successioni di punti, quella dei doppi: 2FM, 2FN, 2FP,
…, che serve da confronto per l’altra FM, FN, FP,… e il limite, il punto di intersezione delle due
rette date, lo si ottiene (evidentemente non in modo costruttivo).
Il Corollario mostra poi come riottenere il postulato delle parallele nella forma dell’unicità della
parallela ad una retta per un punto esterno.
Si può quindi affermare che nell’opera di Legendre vengono ‘incorporati’ i risultati a lui
contemporanei per trattare problemi ed argomenti classici di Geometria.
VI.3.5. Il Libro II. Il Libro II ha per titolo Il circolo e la misura degli angoli. A tale argomento
sono dedicate 24 pagine.
VI.3.5.1. Le definizioni del Libro II. Il Libro si apre con 10 definizioni, che qui non si presentano
perché abbastanza analoghe a quelle euclidee ed espresse in un linguaggio simile a quello usato
sui manuali odierni. Tali definizioni trattano del cerchio e della circonferenza, delle parti del
cerchio e dei poligoni inscritti e circoscritti.
Al termine della Definizione II.1. c’è una precisazione
«
N.B. Talora nel discorso si confonde il circolo colla sua circonferenza; ma sarà sempre facile ristabilire l’esattezza delle
espressioni ricordandosi che il circolo è una superficie, che ha lunghezza e larghezza, mentre la circonferenza non è che
una linea.»
Come si vede anche ai tempi di Legendre c’era questa confusione, verificabile anche ai giorni
nostri. Da notare che il traduttore evita la parola ‘cerchio’ preferendo ad essa ‘circolo’.
VI.3.5.2. I contenuti del Libro II. Il Libro II presenta 19 Proposizioni (tutti individuate come
Teoremi) e di alcuni di essi anche corollari, presentati al termine della dimostrazione così come si
è visto nella precedente Prop. I.19.
I contenuti di tali Proposizioni sono assai vicini a quelli euclidei, ed anche le tecniche di
dimostrazione sono ‘classiche’.
E’ interessante osservare però che la
«Proposizione II.16. Nel medesimo circolo, o in circoli uguali, se due angoli al centro ABC, DCE stanno tra
loro come due numeri interi, gli archi intercetti AB, DE staranno fra loro come i medesimi numeri, e si avrà
questa proporzione.
Angolo ACB:Angolo DCB :: arcoAB:arcoDE. »
Si ripresenta quindi la stessa situazione già verificata in Eucl. Def. III.11 (cfr. III.3.1.) e nella
Eucl. Prop. III.24 (cfr. II.4.6), in cui si cita la similitudine, con riferimento a parti di cerchi, ben
prima che la similitudine sia introdotta ‘ufficialmente’ come conseguenza della proporzionalità,
nel Libro VI degli Elementi.
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Si può osservare che nell’enunciato della Prop. II.16 di Legendre non si parla di similitudine, ma
solo di rapporti, ma si tratta solo di modi diversi per esprimere lo stesso concetto. Anche per
l’autore francese la proporzione non è ancora stata introdotta, ma nella sua opera, come si vedrà in
seguito manca l’analogo del Libro V degli Elementi. Da notare che in luogo dell’uguale nella
scrittura della proporzione vengono usati i ‘doppi’ due punti. Si potrebbe ritenere che qui si senta
autorizzato a farlo visto che nell’enunciato della Prop. II.16 usa rapporti razionali: «stanno tra loro
come due numeri interi»,
ma nella successiva
«Proposizione II.17. Qualunque sia il rapporto de’ due angoli ACB, ACD, questi due angoli staranno sempre
fra loro come gli archi AB, AD intercetti tra i loro lati, e descritti dai loro vertici come centri con raggi
uguali. »,
abbandona la limitazione della commensurabilità. Da questo momento Legendre utilizza
liberamente le proporzioni.
VI.3.5.3. I problemi del Libro II. Terminata da dimostrazione della Prop, II.19, Legendre presenta
19 «Problemi relativi ai due primi libri», di cui
- i problemi 1 – 12 relativi al Libro I;
- i problemi 13 – 16 relativi al Libro II;
- i problemi 17 e 18 relativi al M.C.D. geometrico.
Per la ‘novità’ del concetto, vale la pena di soffermarsi su questi due problemi.
«Problema II.17. Trovare il rapporto numerico di due linee rette date AB, CD, seppure queste due linee hanno
tra loro una misura comune. (fig. 90).
A
C
Portate la minore CD sulla maggiore AB tante volte, quante può esservi contenuto; per
esempio, due volte, col resto BE.
D
F
D
Portate il resto BE sulla linea CD tante volte quante può esservi contenuto; una volta, per
esempio, col resto DF.
Portate il secondo resto DF sul primo BE tante volte, quante può esservi contenuto; una
E
G Fig. 90
B
volta, per esempio, col resto BG.
Portate il terzo resto BG sul secondo DF tante volte, quante può esservi contenuto.
Continuate così finché abbiate un resto, che sia già contenuto un numero esatto di volte
nel resto precedente.
Allora quell’ultimo resto sarà la comune misura delle linee proposte; e riguardandolo come l’unità, si
troveranno facilmente i valori dei resti precedenti, e finalmente quelli delle due linee proposte, donde si
conchiuderà il loro rapporto in numeri.
Per esempio, se si trova che GB è contenuto due volte appunto in FD, GB sarà la comune misura delle due
linee proposte. Sia BG = 1, si avrà FD = 2; ma EB contiene una volta FD più GB; dunque EB = 3; CD contiene
una volta EB più FD; dunque CD = 5; finalmente AB contiene due volte CD più EB; dunque AB = 13; dunque
il rapporto delle due linee AB, CD è quello di 13 a 5. Se la linea CD fosse presa per unità, la linea AB sarebbe
13
5
; e se la linea AB fosse presa per unità, la linea CD sarebbe
- 345 -
5
13
.
Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi
Carlo Marchini
Scolio. Il metodo, che si è spiegato, è quello medesimo che prescrive l’Aritmetica per trovare il comun
divisore di due numeri; laonde non ha bisogno d’altra dimostrazione.
Può accadere che, per quanto si continui lungamente l’operazione, non si trovi mai un resto, che sia
contenuto un numero preciso di volte nel precedente. Allora le due linee non hanno alcuna misura comune, e
son quelle che si chiamano incommensurabili: se ne vedrà in seguito un esempio nel rapporto, che vi è tra la
diagonale, ed il lato del quadrato. Non si può dunque allora trovare il rapporto esatto in numeri; ma
trascurando l’ultimo resto, si troverà un rapporto più o meno approssimativo, secondo più o meno sarà stata
spinta avanti l’operazione.
Problema II.18. Essendo dati due angoli A, e B, trovare la loro misura comune, se
l’abbiano, e quindi il loro rapporto in numeri.(fig. 91).
Descrivete con raggi uguali gli archi CD, EF, che servono di misura a questi angoli;
procedete in seguito, alla comparazione degli archi CD, EF come nel Problema
precedente, poiché un arco può portarsi sopra un arco dello stesso raggio come una linea retta sopra una linea
retta. Giungerete così alla misura comune degli archi CD, EF, se l’abbiano, ed al loro rapporto in numeri.
Questo rapporto sarà lo stesso di quello degli angoli dati (Prop. II.17); e se DO è la misura comune degli archi,
DAO sarà quella degli angoli.
Scolio. Si può trovare il valore assoluto d’un angolo paragonando l’arco, che gli serve di misura, a tutta la
circonferenza: per esempio, se l’arco CD sta alla circonferenza come 3 a 25, l’angolo A sarà i
angoli retti, ovvero i
12
25
3
25
di quattro
d’un angolo retto.
Potrà pure accadere che gli archi paragonati non abbiano alcuna misura in comune; allora non si avranno per
gli angoli che dei rapporti in numeri più, o meno approssimativi, secondo che l’operazione sarà stata spinta più
o meno lungi. »
Questi problemi finali hanno una valenza molteplice: da una parte mostrare un procedimento per
trovare il massimo comun divisore, mostrando come sia possibile applicare l’algoritmo euclideo
anche in questioni geometriche. Inoltre affrontano il problema dell’incommensurabilità e, in
congiunzione ad esso, quello dell’approssimazione. Quando dice «in numeri più, o meno approssimativi,
secondo che l’operazione sarà stata spinta più o meno lungi»,
da un lato propone la prosecuzione ideale di
approssimazioni sempre maggiori, dall’altra la possibilità di fermarsi comunque ad un rapporto
dato da un numero razionale.
VI.3.6. Il Libro III. Il tema dei rapporti e proporzioni è centrale nel Libro III, dal titolo: Le
proporzioni delle figure.
VI.3.6.1. Le definizioni e le proporzioni. Il Libro si apre con 7 definizioni ed un’osservazione
centrale per comprendere lo sviluppo del testo, ed anche il gusto matematico dell’epoca.
Di queste si presentano qui le prime due definizioni e l’osservazione.
« Definizione III.1. Chiamerò Figure equivalenti quelle, le di cui superficie sono uguali.
Due Figure possono essere equivalenti quantunque siano affatto dissimili; per esempio, un circolo può
essere equivalente a un quadrato, un triangolo ad un rettangolo, ec.
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La denominazione di Figure uguali sarà conservata a quelle, che essendo applicate l’una sull’altra
coincidono i tutti i lor punti: tali sono due circoli, di cui i raggi siano uguali, due triangoli, di cui i tre lati siano
rispettivamente uguali, ec.
Definizione III.2. Due Figure son simili quando hanno gli angoli rispettivamente uguali, ed i lati omologhi
proporzionali. Per i lati omologhi s’intendono quelli che hanno la medesima posizione nelle due Figure, o che
sono adiacenti a degli angoli uguali. Questi angoli stessi si chiamano angoli omologhi.
Due Figure uguali son sempre simili, ma due Figure simili possono essere molto disuguali.»
Come si vede Legendre supera la ambigua posizione di Euclide sull’uguaglianza, posizione un po’
di tutta la Geometria classica. Però per lui l’uguaglianza è la stretta congruenza data dalla
sovrapponibilità. L’equivalenza è allora la nuova relazione che, anche se non lo prova, è una
relazione di equivalenza anche nel senso odierno della parola.
Per quanto riguarda la omologia, che ha già usato nella Def. I.20, ora l’estende alla similitudine.
L’uso del corsivo è poco coerente. Non usare il corsivo nella definizione di lati omologhi sembra
voglia riferirsi alla nozione introdotta precedentemente, nella Def. I.20, appunto, mentre usa il
corsivo per gli angoli omologhi, ma l’accenno che ne dà: «Per i lati omologhi s’intendono quelli che
hanno la medesima posizione nelle due Figure»
è sicuramente poco esplicito, per uno che non abbia già
dimestichezza con la Geometria. Ad esempio nella fig. 35, nei triangoli AC’K e AIB, può essere
non banale trovare il lati omologhi, ammesso che ci siano.
La seconda definizione sembra escludere dalla considerazione figure simili con contorni mistilinei
o curvilinei, tenendo conto solo degli angoli che sono inclinazioni di rette.
A queste due seguono le definizioni di archi simili, settori simili, segmenti (circolari) simili, dati
mediante l’uguaglianza degli angoli al centro. Seguono le altezze di parallelogrammi, triangoli e
trapezi e poi, abbastanza fuori tema, quella di area o superficie di una figura, che viene detta una
«quantità superficiale.».
Segue un’osservazione sotto forma di un Nota bene:
«
N.B. Per l’intelligenza di questo Libro, e dei seguenti bisogna aver presente la Teoria delle proporzioni, per la quale
rimandiamo ai Trattati ordinarii di Aritmetica e d’Algebra. Faremo solamente un’osservazione, che è importantissima per
stabilire il vero senso delle proposizioni, e per dissipare ogni oscurità sì nel loro enunciato, che nelle loro dimostrazioni.
Se si abbia la proporzione A:B :: C:D, si ha che il prodotto degli estremi A × D è uguale al prodotto dei medi B × C.
Questa verità è incontrastabile quanto ai numeri; dessa lo è pure circa le grandezze di qualunque specie, purché si
esprimono, o s’immaginano espresse in numeri; il che si può sempre supporre: per esempio, se A, B, C, D sono linee, si può
immaginare che una di queste quattro linee, ovvero una quinta, se si voglia, serva di misura comune a tutte, e se presa per
unità; allora A, B, C, D rappresentano ciascuna un certo numero d’unità intero, o fratto, commensurabile, o
incommensurabile, e la proporzione fra le linee A, B, C, D diventa una proporzione di numeri.
Il prodotto delle linee A, e D, che si chiama ancora il loro rettangolo, non è dunque altro che il numero d’unità lineari
contenute in A moltiplicato pel numero di unità lineari contenute in D; e si concepisce facilmente che questo prodotto può,
e dev’essere uguale a quello, che risulta similmente dalle linee B, e C.
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Le grandezze A, e B possono essere d’una specie, per esempio, linee, e le grandezze C e D d’altra specie, per esempio,
superficie; allora bisogna riguardar sempre queste grandezze come numeri A, e B si esprimeranno in unità lineari, C, e D in
unità superficiali, ed il prodotto A × D sarà un numero, come il prodotto B × C.
Generalmente in tutte le operazioni, che si faranno sulle proporzioni, bisogna sempre riguardare i termini di queste
proporzioni come altrettanti numeri, ciascuno della specie, che gli conviene, e non si durerà alcuna fatica a concepire
queste operazioni, e le conseguenze, che ne derivano.
Dobbiamo pure avvertire che parecchie delle nostre dimostrazioni sono fondate sopra alcune delle regole più semplici
dell’Algebra, le quali sono fondate esse stesse sugli Assiomi cogniti così, se si ha A = B + C, e si moltiplichi ogni membro
per una medesima quantità M, se ne conchiude A × M = B × M + C × M. Parimente, se si abbia A = B + C, e D = E – C, e si
sommino le quantità respettivamente uguali, scancellando + C, e – C, che si distruggono, se ne conchiuderà A + D = B + E;
e così d’altri casi. Tutto ciò è assai chiaro di per sé stesso: ma in caso di difficoltà sarà bene consultare i Libri d’Algebra, e
frammischiare così lo studio delle due Scienze.»
E’ evidente che nella definizione di proporzione Legendre fa uso dei numeri e questo è al di fuori
della tradizione geometrica classica. Euclide usa una nozione di proporzione molto più raffinata,
che non usa i numeri, per scelta, anche se questo complica la definizione, come visto in Eucl.
Libro V. Quindi c’è una grande differenza con quanto proposto negli Elementi e nel testo di
Legendre. Ma sono anche passati diversi secoli, c’è stato uno sviluppo sostanziale e sostanzioso
dell’Aritmetica e dell’Algebra ed anche della Geometria che tra la prima edizione, e le successive
è stata definita col nome di Géométrie Analytique da Sylvestre François Lacroix (1765 - 1843) nel
1798.
Non c’era però ancora una chiara nozione di numero reale, anche se qualcosa era già apparso nel
Cours d’Analyse di Cauchy, mentre l’uguaglianza dei rapporti vista nella Eucl. Def. V.5. (cfr.
III.5.2.), è molto vicina alla definizione di sezione di Dedekind.
VI.3.6.2. I contenuti del Libro III. Il Libro II occupa 43 pagine e presenta, oltre alle Definizioni di
cui si è detto sopra, 34 Proposizioni e 19 Problemi.
In esso si trovano le formule per le aree dei triangoli e dei
quadrilateri ‘scolastici’, compreso il trapezio, alcuni risultati
della cosiddetta Algebra geometrica, ma stavolta col corredo
delle scritture algebriche che in Euclide restavano ‘sottintese’.
E’ presente anche il Teorema di Pitagora (Prop. III.11.) e le sue
Lazare Nicolas Marguérite Carnot
(1753 – 1823)
generalizzazioni ai triangoli qualunque, che solitamente vanno
sotto il nome di Teorema di Carnot,
«Proposizione III.12. In un triangolo ABC, se l’angolo C è acuto, il quadrato del lato opposto sarà minore
della somma dei quadrati dei lati, che comprendono l’angolo C; e se si abbassi AD perpendicolare a BC, la
differenza
2
sarà
2
uguale
al
doppio
del
rettangolo
2
AB = AC + BC − 2 BC × CD »
- 348 -
BC
×
CD;
talmente
che
si
avrà
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« Proposizione III.13. In un triangolo ABC, se l’angolo C è ottuso, il quadrato del lato opposto sarà maggiore
della somma dei quadrati dei lati, che comprendono l’angolo C; e se si abbassi AD perpendicolare a BC, la
differenza
2
sarà
2
uguale
al
doppio
del
rettangolo
BC
×
CD;
talmente
che
si
avrà
2
AB = AC + BC + 2 BC × CD »
qui raddoppiate per distinguere il caso del triangolo acutangolo o ottusangolo.
Seguono poi risultati sulla similitudine di triangoli, tra cui anche la Prop. III.23, la cosiddetta
dimostrazione di Bouligand del Teorema di Pitagora, Eucl. Propp. VI.8. e VI.31 (cfr. III.6.3.4.).
Si presentano anche i Criteri di similitudine dei triangoli, poi i risultati di similitudine dei poligoni,
quelli relative a corde del cerchio.
I Problemi, che sono indicati come essere relativi al Libro III, pongono sotto forma di quesito le
costruzioni di suddivisione in proporzione, di costruzione di quarte proporzionali, di medie
proporzionali e poi costruzioni di figure simili a figure date sotto opportune condizioni.
Interessante il trattamento della irrazionalità del rapporto tra lato e diagonale del quadrato che
viene trattato nel Problema III.19. La conclusione dello svolgimento dice:
« Si fa manifesto da ciò che l’operazione non avrà mai fine, e che non v’è alcuna misura comune fra la
diagonale, ed il lato del quadrato, verità, ch’era già cognita per mezzo dell’Aritmetica (giacché queste due
linee stanno fra loro come 2 : 1 (Prop. III.11)), ma che acquista un maggior grado di chiarezza mediante la
risoluzione Geometrica.
Scolio. Non è dunque possibile di trovare in numeri il rapporto esatto della diagonale al lato del quadrato;
ma possiamo approssimarvisi tanto quanto si vorrà col mezzo della frazione continua, che è uguale a questo
rapporto. La prima operazione ha dato per quoziente 1; la seconda, e tutte le altre all’infinito danno 2; onde la
frazione di cui si tratta è 1 +
1
2+
all’infinito.
1
2+
1
2+
1
2 + ...
Per esempio, se si calcola questa frazione fino al quarto termine inclusivamente, si trova che il suo valore è
1+
12 41
=
; talmente che il rapporto approssimativo della diagonale al lato del quadrato è :: 41:29. Si
29 29
troverebbe un rapporto più approssimativo calcolando un maggior numero di divisioni.»
Come si vede gli strumenti aritmetici e analitici che Legendre adopera sono molto più raffinati di
quelli che aveva proposto pochi anni prima Clairaut.
Come Clairaut però Legendre non disdegna i numeri, anche se le sue dimostrazioni sono in
ispirito più euclidee, ma di un Euclide rivisitato ed aggiornato alla matematica XIX secolo.
VI.3.7. Il Libro IV. Il titolo del Libro IV è I poligoni regolari e la misura del circolo. Si tratta di
un Libro che dà l’impressione di una stesura ancora non sufficientemente meditata, nonostante la
dodicesima edizione. Questa impressione si ricava dal fatto che a differenza dei Libri precedenti,
- 349 -
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non c’è la netta separazione tra Proposizioni come Teoremi o analoghi e come Problemi. Inoltre al
Libro IV è allegata una corposa appendice. In tutto sono 30 pagine (22+8), presenta un’unica
definizione, quella di poligono regolare. Poi vi sono 16 + 10 Proposizioni, ma tra queste, nel
corpus del Libro vero e proprio, sono inframmezzati, sempre come Proposizioni, 6 problemi e 2
Lemmi.
Questi risultati trattano dei poligoni regolari, del fatto che possano inscriversi e circoscriversi a
cerchi. Punto centrale è la
«Proposizione IV.11. Le circonferenze de’ circoli sono tra loro come i raggi, e le loro superficie come i
quadrati dei medesimi raggi.»
che è classificata come Teorema, e nella cui dimostrazione si ha l’uso del metodo di esaustione
che ricalca molto da vicino la dimostrazione della Eucl. Prop. XII.2 (cfr. III.10.1.).
Al termine del Teorema che appare come
«Proposizione IV.12. La superficie del circolo è uguale al prodotto della sua circonferenza per la metà del
raggio. »
è indicato uno Scolio di interesse anche storico:
« Scolio. Abbiamo già detto che il Problema della quadratura del circolo consiste nel trovare un quadrato
uguale in superficie ad un circolo, il cui raggio sia cognito; ora si è adesso provato che il circolo è equivalente
al rettangolo fatto sulla circonferenza, e la metà del raggio, e questo rettangolo si cangia in un quadrato
prendendo una media proporzionale fra le due sue dimensioni; quindi è che il Problema della quadratura del
circolo si riduce a trovare la circonferenza quando si conosce il raggio, e per questo, basta conoscere il
rapporto della circonferenza al raggio, o al diametro.
Finora non si è potuto determinare questo rapporto se non che in una maniera prossima al vero, ma
l’approssimazione è stata portata sì lunge che la cognizione del rapporto esatto non avrebbe alcun vantaggio
reale al di sopra di quella del rapporto approssimativo. Perciò questa ricerca, che ha molto occupato i Geometri
allorché i metodi di approssimazione erano meno conosciuti, è adesso relegata tra le ricerche oziose, di cui non
è permesso occuparsi se non a coloro, che hanno appena le prime nozioni di Geometria.
Archimede ha provato che il rapporto della circonferenza al diametro è compreso tra 3
10 10
e 3 ; laonde
70
71
1
22
3 , ovvero
è un valore già molto prossimo al numero, che abbiamo già rappresentato con π; e questa
7
7
prima approssimazione è molto in uso a cagione della sua semplicità. Mezio ha trovato pel medesimo numero
il valore molto più approssimato
355
113
1.
Finalmente il valore di π, sviluppato fino a un cert’ordine di
decimali, è stato trovato da altri Calcolatori 3,1415926535897932 ec., e si è avuta la pazienza di continuare
queste decimali fino alla centoventisettesima, e parimenti sino alla centoquarantesima. E’ chiaro che una tale
approssimazione quasi equivale alla verità, e che non si conoscono meglio le radici delle potenze imperfette. Si
1 I valori proposti (con 10 cifre decimali) sono: Archimede - 3,1428571428; Mezio - 3,141592920. Legendre non è stato un buon
profeta: per motivi di calcolo delle probabilità, oggi si conoscono 29 milioni di cifre decimali di π.
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spiegheranno nei problemi seguenti due dei metodi elementari più semplici per ottenere queste
approssimazioni. »
Ed infatti la questione viene affrontata nella
«Proposizione IV.14. Trovare il rapporto approssimativo della circonferenza al diametro.»
qualificata come Problema. Essa si basa sulla precedente
«Proposizione IV.13. Essendo data la superficie d’un poligono regolare iscritto e d’un poligono simile
circoscritto ad un circolo, trovare la superficie dei poligoni regolari iscritto, e circoscritto d’un doppio
numero di lati. »
Questo risultato, indicato come teorema, fornisce lo strumento numerico per eseguire
approssimazioni sufficientemente elevate per trattare il Problema visto nella Prop. IV.14. I risultati
trovati forniscono che se
è l’area del poligono inscritto,
quella del poligono simile circoscritto,
’ quella del poligono inscritto con il numero doppio di lati e
simile a ’ si ha '=
× ; '=
2 ×
=
+ '
2 ×
+
×
’ quello del poligono circoscritto
.
Sulla base di questo risultato partendo da un cerchio di raggio 1, costruisce il quadrato inscritto e
circoscritto ponendo quindi
=2e
= 4. Raddoppiando il numero dei lati giunge fino ai poligoni
inscritti e circoscritti con 32.768 (= 216) lati. Avverte che ha svolto i conti considerando almeno
otto cifre decimali, ma che ne scrive solo 7, per essere sicuro della settima cifra decimale.
Costruisce la seguente tabella relativa ai numero di lati ed alle aree dei poligoni inscritti e
circoscritti. Dice al termine di questa argomentazione:
- 351 -
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«Da ciò conchiudo che la superficie del
Numero lati
Poligoni inscritti
Poligoni circoscritti
4
2,0000000
4,00000000
8
2,8284271
4,3137085
16
3,0614674
3,1825979
raggio = 1, la mezza circonferenza è
32
3,1214451
3,1517249
3,1415926;
64
3,1365485
3,1441184
128
3,1403311
3,1422236
256
3,1412772
3,1417504
512
3,1415138
3,1416321
1.024
3,1415877
3,1415951
4.096
3,1415914
3,1415933
8.192
3,1415923
3,1415928
Risolvendo questo problema propone,
16.384
3,1415925
3,1415927
dato un poligono regolare, di indicare
32.768
3,1415926
3,1415926
con a il raggio del circolo inscritto nel
circolo = 3,1415926. […]
Poiché la superficie del circolo è uguale alla
mezza circonferenza moltiplicata per il
dunque
il
rapporto
della
circonferenza al diametro, designato di sopra
con π, è = 3,1415926 : 1.»
Il secondo metodo è presentato nel
problema indicato come
«Proposizione IV.16. Trovare un circolo che
differisca tanto poco quanto si voglia da un
poligono regolare dato. »
poligono ( = apotema del poligono regolare), con b il raggio del cerchio circoscritto al poligono;
con a’ il raggio inscritto nel poligono con il numero doppio di lati (= apotema) e con b’ il raggio
del cerchi circoscritto. Parte da un quadrato di lato 2, per cui a = 1 e b = 2 e poi costruisce una
tabella che porta ad un poligono di 16.384 lati e a trovare il valore di a’ = 1,1283792 che è il
raggio di un cerchio di area 4. Per trovare π bisogna dividere 4 per il quadrato di a’, trovando così
il valore approssimato 3,14159247.
L’Appendice al Libro IV contiene risultati di massimo e minimo relativi ai poligoni
isoperimetrici.
VI.3.8. I restanti quattro Libri. Si forniscono brevemente alcuni cenni sui restanti quattro libri del
testo di Legendre.
VI.3.8.1.Il Libro V. E’ intitolato I piani e gli angoli solidi, presenta 6 definizioni, 25 Proposizioni
che sono Teoremi in 22 pagine. Tra le definizioni è da segnalare la
«Definizione V.4. Si dimostrerà (Prop. V.3.) che l’intersezione comune di due piani, che s’incontrino, è una
linea retta: posto ciò, l’angolo, o l’inclinazione, scambievole di due piani è la quantità più, o meno grande, per
cui sono distanti l’uno dall’altro; questa quantità si misura (Prop. V.17) dall’angolo, che fanno fra loro le due
perpendicolari condotte in ciascuno di questi piani da un medesimo punto di intersezione comune.
Quest’angolo può essere acuto, retto, od ottuso. »
Finalmente Legendre ha il coraggio di seguire Clairaut e definire l’angolo come inclinazione (o
forse l’inclinazione come angolo); ma solo se si tratta di due piani: per le rette si dice che l’angolo
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è una quantità (Def. I.9). Si tratta di una definizione di dubbia consistenza logica, in quanto
richiama Proposizioni ancora da provare e, a priori, potrebbe essere utilizzata proprio questa
definizione come punto chiave della dimostrazione.
In particolare in essa si cita una proprietà di cui anche Euclide tenta di dare una dimostrazione,
Eucl. Prop. XI.3. (cfr. III.9.2.2.) con assai poco successo. Ma Legendre non fa meglio:
«Proposizione V.3. Se due piani si tagliano, la loro comune intersezione sarà una linea retta.
Poiché, se tra i punti comuni a due piani se ne trovassero tre, che non fossero in linea retta, i due piani di cui
si tratta, passando ciascuno per questi tre punti, non farebbero che un solo e medesimo piano (Prop. V.2.), il che è
contro la supposizione. »
Di fatto usa che tre punti non allineati individuano un unico piano, ma questo risultato non è la
Prop. V.2, che afferma:
«Proposizione V.2. Due linee rette che si tagliano, sono in un medesimo piano, e ne determinano la
posizione.»
bensì il Corollario I di tale Prop. V.2. ;
«Un triangolo ABC, o tre punti A, B, C non in linea retta, determinano un piano.»
La dimostrazione della Prop. V.2 è logicamente debole perché il suo nucleo centrale è il seguente
ragionamento in cui forse c’è un’intuizione geometrica basata sulla continuità:
«[…] si può concepire un piano dove si trovi la linea retta AB: se in seguito si fa girar questo piano intorno ad
AB finché passi per C, allora la linea AC, che ha due suoi punti A, e C in questo piano, ci starà tutta intera
[…]»
E’ vero che a differenza di Euclide ora Legendre ha una definizione (postulato), la Def. I.6. che
chiede la convessità del piano, ma non basta. Il seguito si occupa della geometria delle rette e dei
piani nello spazio.
VI.3.8.2. Il Libro VI. Il titolo di tale Libro VI è I Poliedri. Inizia con 19 definizioni, poi si rende
conto che potrebbero essere compresi tra gli enti così definiti, oggetti che è meglio evitare e nel
Nota bene al termine della serie di definizioni avverte che si studieranno solo i poliedri convessi.
In 36 pagine presenta 27 Proposizioni che, con l’eccezione della Prop. VI.3, che è un Problema,
sono Teoremi.
L’argomento principale sono i volumi di prismi e piramidi, nonché la similitudine dei poliedri.
Il risultato più delicato di questo libro è dato dal Teorema presentato
nella
«Proposizione VI.17. Due piramidi triangolari, che hanno basi equivalenti ed
altezze uguali, sono equivalenti.»
che Legendre prova con un metodo diverso da quello euclideo, più
vicino a quanto proposto da Cavalieri (e forse anche da Democrito), con un po’ di esaustione
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Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi
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basata su un ‘affettamento’ delle piramidi, mostrato nella fig. 215.
VI.3.8.3. Il Libro VII. Ha per titolo La sfera. Si estende per 31 pagine. Inizia con una serie di 15
Definizioni relative alla sfera ed alle sue parti. Interessante la parte sui triangoli sferici i risultati
sui quali dovrebbero essere di Lagrange, ma del fatto non vi è traccia, se non nell’Avviso
dell’Editore. Si tratta di proprietà dei triangoli sferici, alcune
delle quali entreranno poi a fare parte della Geometria ellittica
di Riemann (non euclidea). In tutto sono presenti 27
Proposizioni. Segue poi una Appendice ai libri VI e VII, dal
titolo I Poliedri regolari, in cui si forniscono le costruzioni dei
poliedri regolari inscritti in usa sfera, risultati simili a quelli
Georg Friedrich Bernhard Riemann
(1826 – 1866)
presentati da Euclide nel Libro XIII degli Elementi. Questa
Appendice di 8 pagine contiene Proposizioni di cui solo la
prima un Teorema, le altre Problemi e delle costruzioni.
VI.3.8.3. Il Libro VIII. Il Libro VII non contiene risultati sulla superficie e sulla ‘solidità’ (=
volume) della sfera. Questi argomenti sono presentati nell’ultimo Libro, dal titolo I tre corpi
rotondi.
Il Libro si estende su 33 pagine ed inizia con 10 definizioni relative a cilindro e cono. Poi, prima
di iniziare le Proposizioni sull’argomento, presenta due «Lemmi preliminari sulle superficie» che
ricordano risultati analoghi di Archimede:
«Lemma VIII.1. Una superficie piana OABCD è minore di ogni superficie PABCD terminata dal medesimo
contorno ABCD. »
«Lemma VIII.2. Ogni superficie convessa OABCD è minore di un’altra superficie qualunque, che circondasse
la prima appoggiandosi sul medesimo contorno ABCD.
»
Seguono 18 Proposizioni (di cui 2 Problemi) che trattano superficie e volumi dei solidi di
rotazione detti (ed anche del tronco di cono).
La Prop. VIII.5, relativa al volume del cono viene dimostrata per esaustione, con poche varianti
rispetto alla Eucl. Prop. XII.10 (cfr. III.10.3.). Lo stesso risultato viene ripresentato da Legendre
nella Prop. VIII.12. in cui considera il cilindro e il cono come solidi di rotazione. Questi risultati
sono poi generalizzati in un problema sulle proprietà del solido ottenuto facendo ruotare un
triangolo qualunque attorno ad un asse (complanare) qualunque.
VI.3.9. E poi… Si è ampiamente discusso l’approccio di Legendre che, pur rimanendo in ambito
strettamente geometrico, applica procedimenti tipici dell’Analisi matematica, senza con questo
spostarsi verso la Geometria analitica, vale a dire il modello algebrico costruito sui numeri reali,
della Geometria, in cui i problemi e i risultati hanno talvolta un’origine più algebrica che
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi
Carlo Marchini
geometrica. Il fatto che Legendre stesso abbia seguito dal 1794 in poi, con le numerose edizioni
del suo testo, anche lo svolgimento di altri studi, incorporandone i ‘rumori’ degli argomenti che
erano allora più moderni e su cui la ricerca era più vivace, fa sì che la sua opera geometrica
testimoni dei mutamenti tra la mentalità matematica del XVIII secolo e del secolo successivo.
Come detto in altre parti, la ricerca in geometria continua, ma prende le strade, da una parte della
Geometria non-euclidea, nata dall’insoddisfazione, millenaria, della teoria delle parallele, e tale
Geometria nasce esclusivamente sintattica. La scoperta di modelli costruiti all’interno della
Geometria euclidea, per le Geometrie non euclidee è la causa scatenante di un profondo
ripensamento sui concetti di verità, dimostrabilità, validità che iniziati nel XIX secolo giungono a
maturazione nella prima metà del XX secolo.
Da un altro lato, le orme di Pappo, Desargues, Pascal, degli artisti del Rinascimento (ed anche
prima), portano naturalmente alla nascita della Geometria proiettiva e con essa ad una molteplicità
di Geometrie. Nella seconda metà del XIX secolo si pone il problema dell’individuazione dello
specifico della Geometria, aspetto che viene trovato, rovesciando i termini tradizionali, nel
concetto di trasformazione.
Il XIX secolo si chiude col trattato sui Fondamenti della Geometria di Hilbert (1899) in cui,
proprio di fronte alle varietà di interpretazione dei termini, si cerca di dare un impianto teorico di
tipo sintattico, saldo ed organizzato, anche alla luce dei risultati della nascente Logica matematica.
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