Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda 1770 - Berlino 1831) Opere principali Fenomenologia dello Spirito 1807 Scienza della logica 1812 (I parte), 1816 (II parte) Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio 1817 Lineamenti di filosofia del diritto 1821 Risoluzione del finito nell'Infinito La realtà è un organismo unitario: poiché al di fuori della realtà non c'è nulla che la limiti, essa è dunque assoluta e infinita, ma solo intesa come Tutto, come intero, come insieme realizzato delle sue singole parti. Le singole parti prese in se stesse sono invece finite perché esistono solo in connessione con il Tutto, con l'Infinito (che è l'unica vera realtà, di cui esse sono espressione parziale. Questa posizione può ricordare il pensiero di Spinoza; ma nel filosofo olandese l'Assoluto è sostanza statica coincidente con la natura, mentre per Hegel è un soggetto spirituale in movimento, in cui ogni cosa che esiste è solo una tappa del farsi del Tutto, in un processo di autoproduzione che solo alla fine, con l'uomo, si rivela completamente: «vero è l'intero». Identità di ragione e realtà La razionalità non è una pura astrazione ideale ma la forma di ciò che esiste: il reale non è un insieme caotico di eventi ma il dispiegarsi di una struttura razionale (l'Idea), intesa come un soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà stessa. Tale sviluppo si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo. Si badi che ciò che accade non solo può essere razionale, è necessariamente razionale. Il reale si configura allora come una totalità processuale necessaria, cioè come un processo necessario di natura essenzialmente spirituale, giunto a compiere tutte le sue fasi del suo sviluppo secondo un percorso ascendente di momenti, di tappe, in cui ciascuno è il risultato dei precedenti e il presupposto dei successivi. La funzione giustificatrice della filosofia Compito della filosofia è prendere atto della realtà e della struttura razionale da cui essa è costituita: «comprendere ciò che è è il compito della filosofia, perché ciò che è è la ragione». Ma come osserva Hegel, «la nottola di Minerva prende il volo sul far del crepuscolo»: la filosofia si dispiega solo quando il processo di sviluppo del pensiero è tutto compiuto, quando lo Spirito (il pensiero autoconsapevole) riconosce attraverso la filosofia la struttura razionale della realtà. Movimento dell'Assoluto e suddivisioni della filosofia Il farsi dinamico dell'Assoluto si realizza attraverso tre momenti l'idea in sé e per sé (l'IDEA): la struttura razionale della realtà è considerata in se stessa, indipendentemente dalla sua concreta realizzazione nel mondo, come pura impalcatura logica del reale; lo studio di questo aspetto costituisce l'oggetto della LOGICA, intesa come una struttura dinamica di concetti e categorie che - come per Aristotele - riflettono tuttavia le determinazioni reali della realtà. In questo senso, la logica coincide con la metafisica, che viene pertanto rivalutata. l'idea fuori di sé (la NATURA): estrinsecandosi, "incarnandosi" entro un reticolo di determinazioni spaziotemporali inconsapevoli, la struttura razionale della realtà si esteriorizza e si allontana da sé nel mondo oggettivo della natura fisica, si nega in quanto pura struttura razionale, decade in una forma che, in quanto esteriore, è inadeguata a se stessa. Rispetto all'idea in sé e per sé (la razionalità pura), essa è essenzialmente negazione, nonessere, nel senso che ciò che è finito, accidentale, contingente, legato al tempo e allo spazio, è apparenza. Ma nonostante ciò essa è pur sempre reale come parte del tutto. Lo studio di questi aspetti costituisce l'oggetto della FILOSOFIA DELLA NATURA. Si noti che la filosofia della natura è considerata dagli studiosi come la parte più debole del pensiero hegeliano, e che Hegel in fondo usa la natura come una sorta di "pattumiera" in cui collocare gli aspetti della realtà meno spirituali e pure necessari in quanto, nella sua visione sistematica della realtà, tutto deve essere giustificato; l'idea che ritorna a sé (lo SPIRITO): attraverso il pensiero razionale dell'uomo, la razionalità che è già tutta la realtà diventa consapevole di se stessa, di essere tutta quanta la realtà. Questi aspetti sono l'oggetto di studio della FILOSOFIA DELLO SPIRITO. La struttura dialettica della realtà L'Assoluto è movimento, è divenire. La legge che regola tale divenire è la dialettica, legge ontologica di sviluppo della realtà e legge logica di comprensione della stessa. Il ritmo dialettico della realtà è scandito in tre momenti ideali che infinitamente si riproducono: astratto-intellettuale il pensiero si limita a considerare le differenze reciproche secondo il principio di noncontraddizione, concependo l'esistente come una somma di determinazioni dialettiche e separate dialettico o negativo-razionale ogni determinazione sottintende una negazione (già Spinoza aveva osservato che «omnis deteminatio est negatio», dunque è indispensabile mettere in movimento reciproco le determinazioni, cioè 1 metterle in rapporto le une con le altre, anzi con le determinazioni opposte (ad esempio, l'uni richiama i molti, il particolare richiama l'universale, ecc.) speculativo o positivo-razionale il pensiero coglie l'unità delle determinazioni opposte e separate, ricollocandole in una realtà più alta e completa che le ricomprende e sintetizza (la realtà non è né unità astratta né molteplicità astratta, ma un'unità che vive attraverso la molteplicità). In altre parole, si potrebbe dire che i tre momenti ideali della dialettica consistono in una tesi, che pone e afferma un concetto astratto e limitato; una antitesi che nega tale concetto affermando un concetto opposto; una sintesi che unifica tesi e antitesi in una riaffermazione potenziata e arricchita dell'affermazione iniziale tramite la negazione della negazione precedente (il termine hegeliano è Aufhebung, parola che in tedesco significa sia togliere - l'opposizione fra tesi e antitesi - sia conservare - la verità della tesi, dell'antitesi e della loro lotta; in italiano, Aufhebung si traduce con superamento). Osservazioni: la dialettica non è riferita al solo momento della negazione, ma alla totalità dei tre momenti; la dialettica realizza la romantica risoluzione del finito nell'infinito: ogni finito, ogni spicchio di realtà non può esistere in se stesso, ma solo in una trama di relazioni coincidente con il Tutto infinito di cui esso è parte. E poiché il Tutto è un'entità dinamica, la dialettica esprime il processo con cui le varie parti della realtà perdono la loro rigidezza e separatezza e si fondono in un Tutto unico e infinito: «la dialettica è la crisi del finito». la dialettica esprime un chiaro ottimismo di fondo, in quanto essa concilia, unifica, risolve le opposizioni nello sviluppo del Tutto: nello scontro di negazioni il conflitto è reale, ma è solo un momento di passaggio, il negativo è solo un momento del farsi di un Tutto che è sostanzialmente positivo; si noti però che crociani e marxisti, sia pure da diversi punti di vista, più che sulla conciliazione delle opposizioni hanno preferito insistere sulla fecondità dell'opposizione e della contraddizione (il «travaglio del negativo»). la dialettica è un processo aperto ma, secondo molti interpreti di hegeliani, non infinito: un processo realmente infinito, spostando indefinitamente in avanti la meta da raggiungere, non consentirebbe mai allo Spirito di raggiungere e riconoscere se stesso, e realizzerebbe dunque quella «cattiva infinità» che Hegel rimprovera a Fichte. Il sistema hegeliano La filosofia hegeliana è sistematica in quanto intende collocare e spiegare tutta la realtà entro un quadro unitario e coerente, basato sul grandioso processo di sviluppo che la razionalità del reale compie calandosi nella storia e nella natura, attraverso lo scontro dialettico delle negazioni che le consentono ogni volta di riaffermarsi su di un piano più ricco e complesso, come in un andamento a spirale, finché l'emergere del pensiero umano (lo Spirito), via via sempre più alto e consapevole di sé, arriva con la filosofia a riconoscersi come l'essenza stessa della realtà. Logica Idea Soggettivo Oggettivo Assoluto Schema generale del sistema hegeliano Filosofia della Natura Filosofia dello Spirito Natura Spirito Schema della Filosofia dello Spirito Antropologia Fenomenologia Psicologia Diritto astratto Moralità Eticità Famiglia Società civile Stato Arte Religione Filosofia La dottrina dello Stato Nell'ambito di questa specifica impostazione, Hegel sviluppa la sua nota concezione dello Stato, destinata a esercitare profonda influenza sulla successiva storia del pensiero politico. Hegel sviluppa il discorso sullo Stato nell'ambito della dottrina dello Spirito oggettivo, in cui l'affermazione della libertà e della razionalità dello Spirito si esprime attraverso istituzioni sociali concrete ed è distinta in tre momenti: - diritto astratto, in cui la norma è puro vincolo esteriore, legalistico; 2 - moralità, in cui l'esteriorità della norma si nega nel suo opposto, nella pura interiorizzazione individuale e soggettiva; - eticità, in cui l'attuazione concreta del Bene avviene attraverso istituzioni sociali capaci di risolvere il conflitto tra esteriorità e interiorità, fra legalismo astratto e volontà soggettiva. Perché la volontà della morale diventi eticità, essa deve agire concretamente nelle relazioni con gli altri e farsi oggettiva. I valori morali dell'individuo sono concretamente e oggettivamente condivisi dagli altri. A sua volta, l'eticità si articola in tre momenti: - famiglia; - società civile; - Stato. Se la famiglia è un organismo chiuso in se stesso e caratterizzato dall'unità e dalla coesione di vincoli sentimentali finché l'unità non viene negata dai figli che formano nuove famigli al di fuori di essa -, la società civile costituisce la sua antitesi dialettica, in quanto l'unità si frantuma (si nega) nel rapporto atomistico e conflittuale degli individui messi in competizione dallo scontro dei loro interessi particolari. Lo Stato rappresenta la sintesi dialettica di questi due momenti, in quanto riafferma a un livello più alto l'unità della famiglia al di sopra della dispersione della società civile, i cui particolarismi vengono ora indirizzati a vantaggio del bene collettivo. Lo Stato hegeliano respinge però il modello statale - liberale (fondato sulla difesa dei diritti individuali), considerato semplice strumento al servizio di interessi di parte, dei particolarismi egoistici della società civile; - democratico (fondato sulla sovranità popolare), in quanto la sovranità dello Stato deriva dallo Stato stesso; nella concezione hegeliana infatti, contraria tanto al giusnaturalismo quanto al contrattualismo, non sono gli individui a fondare lo Stato, ma è piuttosto lo Stato a fondare gli individui sul piano - giuridico (gli individui non hanno diritti anteriori a quelli che lo Stato concede loro) - storico-temporale (in quanto lo Stato è la realtà preesistente in cui gli individui si collocano) - ideale (lo Stato è superiore agli individui come il Tutto rispetto alle parti) La Costituzione, in quanto somma dei princìpi giuridici fondamentali che regolano la vita associata di un popolo nell'ambito dello Stato, per quanto tecnicamente perfetta non può essere una creazione artificiale e astratta, imposta al popolo, ma scaturire naturalmente dalla storia, dall'indole, dai costumi e dallo Spirito di quest'ultimo. Non esistono diritti naturali anteriori al diritto dello Stato, il diritto è interamente affidato alla legge positiva dello Stato: ciò che è reale (le leggi prodotte dalle istituzioni statali) è razionale (è giusto che sia): lo Stato ha sempre ragione. Per ciò che riguarda la forma di governo, Hegel propende per la monarchia costituzionale, in cui i poteri (legislativo, governativo, principesco) sono distinti ma non divisi. Secondo Hegel, lo Stato costituisce «l'entrata concreta di Dio nel mondo»: il fine della storia è la realizzazione della libertà e della razionalità dello Spirito, che si realizzano sono nello Stato, momento culminante in cui si risolvono le vicende degli individui. Poiché non esistono organismi gerarchicamente superiori allo Stato, nessuna mediazione è possibile, e l'unico mezzo in grado di risolvere in ultima analisi le eventuali controversie fra gli Stati è la guerra, che non solo è inevitabile e necessaria, ma assume un vero e proprio valore morale (Hegel prende esplicitamente posizione contro il pacifismo kantiano). Lo Stato è il vero protagonista della storia del mondo, che non è altro che una successione di forme statali, classificate da Hegel secondo il consueto schema tripartito: - Stato orientale, in cui la libertà appartiene ad un solo individuo, il despota, che tuttavia è schiavo delle sue passioni; - Stato greco-romano, in cui solo una parte della popolazione è libera, i cittadini di pieno diritto, mentre altri sono schiavi; - Stato germanico, in cui tutti sono liberi nella totalità dello Stato (la monarchia pareggia diritti e doveri dei cittadini, e abolisce i privilegi), e tutti sanno altresì di essere liberi. Filosofia della storia Portando al massimo grado l'impostazione storicistica romantica, Hegel fa della storia il teatro del progressivo affermarsi della razionalità del reale: la storia è il processo con cui lo Spirito del mondo (Weltgeist), incarnandosi nello Spirito del popolo (Volkgeist) che di volta in volta è alla testa dello sviluppo storico e domina con il proprio genio quella singola epoca, si svolge e si autorealizza su livelli sempre più alti di libertà e razionalità, servendosi degli individui e delle loro passioni come di semplici mezzi inconsapevoli che l'astuzia della ragione piega ai propri fini immanenti; raggiunto il fine, l'individuo perisce. E poiché lo Spirito del mondo è sempre - di volta in volta - lo Spirito di un popolo determinato, l'azione degli individui sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo Spirito del popolo entro il quale essi si trovano ad agire. Il disegno "provvidenziale" si rivela nel risultato di civiltà che quel popolo avrà conseguito. E' possibile comprendere la storia, la sua logica. Infatti solo apparentemente la storia è un succedersi di eventi casuali, contingenti. In realtà essa è razionale, di una razionalità che non deve essere creduta, come potrebbe essere nel caso di una teologia della storia, ma può essere saputa, compresa dalla ragione. Dunque esiste una filosofia della storia. E questa coglie non solo delle linee generali, delle leggi universali, delle costanti, ma capisce esaurientemente ogni dettaglio concreto della storia. 3 Che cosa è allora la storia? In generale essa è attuazione e manifestazione progressiva della ragione, dell'Assoluto, dello Spirito. Infatti Dio diviene, si realizza, nella storia. L'Assoluto è quindi esaurientemente nella storia. Non esiste perciò niente di metastorico. Non esiste giustizia metastorica (lo si è già visto: non esiste un diritto naturale metastorico): piuttosto "la storia universale è in giudizio universale" (Weltgeschichte ist Weltgerich) Citazioni «Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si compie mediante il suo sviluppo. Bisogna dire dell'Assoluto che esso è essenzialmente risultato, che esso soltanto alla fine è ciò che è in verità; e proprio in questo consiste la sua natura, che è di essere realmente effettivo, soggetto o divenir-se-stesso. (Prefazione alla Fenomenologia dello spirito) «Lo Stato è l’unità della volontà soggettiva e di quella universale, è la totalità etica e, in quanto oggetto della volontà, non potrà mai essere considerato un mezzo, bensì un fine della razionalità umana che vuole la libertà. Lo Stato è la sintesi somma di un popolo libero: il carattere universale dello Stato è pur rispettando tutte le determinazioni particolari è trasforma una molteplicità di individui in “popolo”. Il popolo è un individuo spirituale e ha un suo proprio spirito.» G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, II, 3 «Ma la volontà soggettiva ha pure, come si è mostrato, una vita sostanziale, una realtà nell’àmbito della quale essa si muove nell’essenziale, ed ha questo stesso come scopo della sua esistenza. Ora, questo essenziale, l’unità della volontà soggettiva con quella universale, è la totalità etica e, nella sua forma concreta, lo Stato. Quest’ultimo è la realtà in cui l’individuo ha e gode la sua libertà, in quanto però esso individuo è scienza, fede e volontà dell’universale. Cosí lo Stato è il centro degli altri aspetti concreti della vita, cioè del diritto, dell’arte, dei costumi, delle comodità. Nello stato la libertà è realizzata oggettivamente e positivamente. Ciò però non è da intendere nel senso che la volontà soggettiva del singolo si attui e soddisfi mercé la volontà universale, e che quindi quest’ultima sia per essa un mezzo. Lo stato non è neppure una convivenza degli uomini, in cui debba esser limitata la libertà di ogni singolo. La libertà è concepita solo negativamente, quando la s’immagina come se il soggetto limitasse rispetto agli altri la sua libertà, in modo che questa limitazione collettiva, il vicendevole impacciarsi di tutti, lasciasse a ciascuno il piccolo posto in cui potersi muovere. Sono piuttosto il diritto, la morale, lo Stato, e solo essi, la positiva realtà e soddisfazione della libertà. L’arbitrio del singolo non è, infatti, libertà. La libertà che vien limitata è l’arbitrio, concernente il momento particolare dei bisogni. Solo nello Stato l’uomo ha esistenza razionale. Lo Stato non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fine, e quelli sono i suoi strumenti. Peraltro tale rapporto generale di fine a mezzo non è, in questo caso, rispondente. Lo Stato non è infatti una realtà astratta, che si contrapponga ai cittadini: bensí essi sono momenti come nella vita organica, in cui nessun membro è fine e nessuno è mezzo. L’elemento divino dello Stato è l’Idea, com’è presente sulla Terra [...]. Nella storia del mondo non si può trattare che di popoli i quali costituiscano uno Stato [...] L’Idea universale appare, si manifesta, nello Stato [...]. Noi concepiamo dunque un popolo come un individuo spirituale, e in esso mettiamo anzitutto in rilievo non il lato esteriore, ma ciò che è anche stato chiamato lo spirito del popolo, cioè la sua autocoscienza circa la propria verità e il proprio essere, circa ciò che, in generale, ha per esso valore di verità: le forze spirituali, che vivono in un popolo e lo governano. L’universale, che si manifesta e viene a coscienza nello Stato, la forma sotto cui vien ridotto tutto ciò che è, è ciò che costituisce in generale la cultura di una nazione [...]. Lo Stato è con ciò l’oggetto piú specificamente determinato della universale storia del mondo, quello in cui la libertà acquista la sua oggettività e vive nel godimento di essa. Giacché la legge è l’oggettività dello spirito e la volontà nella sua verità; e solo la volontà che ubbidisce alla legge è libera: ubbidisce infatti a sé stessa, è presso sé stessa, e dunque è libera. In quanto lo Stato, la patria, costituisce una comunità di esistenza, in quanto la volontà soggettiva degli uomini si sottomette alle leggi, il contrasto fra libertà e necessità vien meno. Ciò che è razionale è necessario in quanto è ciò che è sostanziale, e noi siamo liberi riconoscendolo come legge e seguendolo come la sostanza della nostra propria natura: ed ecco che volontà oggettiva e volontà soggettiva sono conciliate, e formano un unico complesso senza turbamento.» (G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1961, vol. I, pagg. 104-110) 4 Appendice: Hegel e la guerra Il discorso di Hegel sul fenomeno della guerra si inserisce nell’ambito delle sue riflessioni sullo Stato e le caratteristiche che esso dovrebbe avere. Lo Stato è per Hegel fondamentalmente uno Stato etico inteso come incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune; da questo punto di vista egli rifiuta il modello liberale ovvero uno Stato volto a garantire la sicurezza e i diritti degli individui, cosa che comporterebbe una funzione con i compiti della società civile di mediatrice degli interessi particolari degli individui. Egli rifiuta anche il modello democratico che attribuisce la sovranità al popolo, in realtà la sovranità dello Stato deriva dallo Stato medesimo che ha in se stesso la sua ragion d’essere. Per Hegel lo Stato è organicistico ovvero un’unione, un organismo vivente un tutto superiore alle sue singole parti e quindi egli ritiene che non sia l’individuo a fondare lo Stato ma lo Stato a fondare l’individuo. La migliore forma di governo diventa per Hegel la monarchia costituzionale che risolve organicamente in se stessa anche le altre forme classiche di governo: monarchia (perché il monarca è uno), aristocrazia (al potere governativo intervengono alcuni) e democrazia (con il potere legislativo si manifesta la pluralità in genere). Lo Stato viene da Hegel sostanzialmente divinizzato, esso è volontà divina. Secondo Hegel inoltre non esiste un organismo superiore agli stati che sia in grado di regolare i rapporti internazionali e risolvere i loro conflitti. In questo ambito si inserisce la riflessione hegeliana sulla guerra. Hegel prende esplicitamente le distanze dal cosmopolitismo illuminista e pacifista di Kant. Secondo Hegel i cittadini sono possessori di una individualità sostanziale ovvero quell’individualità che permette loro di proseguire fini universali e che quindi nel momento estremo della guerra si sottomette a quella norma necessaria e universale secondo cui lo Stato deve essere difeso. In realtà però, sottolinea Hegel il sacrificio di conservare l’indipendenza e la sovranità dello Stato esula dagli interessi particolari del singolo individuo che quindi si dispone a rinunciare anche alla propria vita e alle sue proprietà pur di salvaguardare la collettività statale, e proprio in questo Hegel ritrova il momento etico della guerra che non va considerata come male assoluto e tanto meno come semplice accidentalità. La guerra infatti non è qualcosa che ha a che fare solo con momenti esteriori, accidentali (quali le passioni dei detentori del potere o dei popoli, o le iniquità); se così fosse si avrebbe un atteggiamento troppo superficiale nei confronti di essa. Diventa pertanto compito della filosofia trovare qualcosa nella catena di accidentalità di necessario; la partecipazione ad una guerra nobilità l’uomo. Una fine qualsiasi per l’uomo rappresenta qualcosa di normale e necessario, morire per la guerra invece simboleggia una vera e proprià nobilitazione della guerra stessa. Hegel pertanto giustifica la guerra sia per il suo carattere di necessità (la guerra si attua nel momento in cui vengono meno le condizioni per accordi pacifici tra Stati) sia per la sua inevitabilità (la guerra ha infatti un alto valore morale). Dice il filosofo tedesco: come " il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole" così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole e perpetua. Inoltre secondo Hegel vi è un legame stretto tra la capacità di uno Stato di costruirsi e la possibilità di vincere una guerra; durante il conflitto la sovranità statale si costruisce per questo non sono solo gli Stati a farsi la guerra ma anche le guerre creano gli Stati o li rafforzano prova ne è che guerre provvidenziali hanno nel corso della storia impedito guerre civili interne e rafforzato la sovranità di uno Stato. Lo Stato proprio perché secondo Hegel rappresenta "la sostanza etica consapevole di se, la riunione del principio della famiglia e della società civile" allora non esistono altri giudici al di sopra di essi pertanto il solo unico arbitro è rappresentato dalla Storia che può esaminare le pretese degli Stati e le loro azioni di guerra. 5