strumenti di misura delle forze ii

Filippo Ubertini, Marco Breccolotti
Controllo e Collaudo delle Costruzioni
CONTROLLO, COLLAUDO E RIABILITAZIONE DELLE COSTRUZIONI. MODULO:
CONTROLLO E COLLAUDO
Lezione 12
5/11/2010
STRUMENTI DI MISURA DELLE FORZE II
Portate superiori a quelle della bilancia analitica, fino a decine di tonnellate, possono essere
raggiunte utilizzando bilance amplificate (vedi Fig. 1) realizzate mediante
amplificatori
meccanici (leve). Con riferimento allo schema di Fig. 1, quando la bilancia è in equilibrio (asta
1 orizzontale), per l’equilibrio dei momenti dell’asta 2 rispetto ad O, si ha:
W '⋅ d
f + W '' ⋅ g = T ⋅ c
e
(5)
Le dimensioni dello strumento vengono definite imponendo che:
g=
f ⋅d
e
⇒
g f
=
d e
(6)
Risulta allora:
(W ' + W '' ) ⋅ g = T ⋅ c
T = Ws
b
a
⇒ W=
⇒ W = Ws
c ⋅T
g
c ⋅b
g ⋅a
(7)
(8)
In pratica, il peso incognito W si misura equilibrando il peso standard Ws. Risulta chiaro
dunque che l’amplificazione vale:
c ⋅b
g ⋅a
(9)
Lo strumento presenta inoltre le seguenti caratteristiche:
- Sensibilità:
costante
- Indipendenza dalla posizione del carico
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- Portate fino a 104 kg
- Banda passante ristretta (masse in movimento)
- Linea d’azione della forza verticale
1
2
Fig. 1: Schema di bilancia amplificata.
I metodi del secondo gruppo prevedono l’impiego di accelerometri e sono limitati nella loro
applicazione dal fatto che la forza calcolata è quella risultante applicata alla massa (in
presenza di più forze queste non possono essere separate fra di loro).
La bilancia elettromagnetica (terzo gruppo) ha un funzionamento analogo a quello della
bilancia a piatti (o bilancia analitica) con la differenza che l’equilibrio tra la forza incognita F e
la forza di gravità agente su di una massa standard è ottenuta mediante una forza di origine
elettromagnetica. Tale bilancia è basata sulla Legge di Laplace secondo cui la forza d F che
agisce su un conduttore di lunghezza dL (vettore orientato d L ) attraversato da una corrente
di intensità i e posto all’interno di un campo magnetico B è pari a:
dF = i⋅dL× B
(10)
Nella bilancia elettromagnetica, un elettromangnete (una bobina o in generale un conduttore)
attraversato da corrente esercita una forza su un magnete permanente. La tensione all’interno
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del circuito viene fatta variare fino a quando la forza esercitata sul magnete permanente non
equilibra la differenza tra la forza incognita F e la forza di gravità su di una massa nota.
Spesso, la variazione di tensione nel conduttore viene effettuata automaticamente mediante
un servomeccanismo (sistema di controllo automatico) che, in base all’indicazione di una
fotocellula (o di un qualsiasi altro indicatore di posizione), che fornisce la misura dell’errore
(squilibrio della bilancia), regola la tensione fino a raggiungere la posizione di equilibrio (Figg.
3 e 4). Questo strumento è competitivo con la bilancia analitica e presenta numerosi vantaggi
pratici tra cui una maggior rapidità di risposta, una minore sensibilità ai disturbi ambientali ed
una uscita di tipo elettrico.
I metodi del gruppo 4 prevedono l’uso di celle di carico idrauliche o pneumatiche. Le celle
idrauliche sono riempite di olio ed usualmente hanno un precarico dell’ordine di 2 kg/cm2.
L’applicazione del carico incrementa la pressione che viene letta con un manometro. La
capacità standard di queste celle di carico è di circa 40 t. Apparecchi speciali possono arrivare
anche a 4000 t. La precisione è dell’ordine dello 0.1% del fondo scala. La risoluzione è circa lo
0.02%.
Mentre tutti i dispositivi precedentemente visti sono utilizzati soprattutto per carichi statici o
quasi-statici, i trasduttori basati sulla deformazione elastica (gruppo 5) sono ampiamente usati
tanto per misure statiche che per carichi dinamici con frequenza fino a molti kHz.
Essenzialmente sono tutti sistemi dinamici del 2° ordine, composti di massa, molla e
smorzatore. Si differenziano tra di loro per il tipo di molla impiegata e per il trasduttore di
spostamento utilizzato per ottenere in uscita un segnale elettrico.
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Fig. 2: Schema di bilancia elettromagnetica.
Fig. 3: Principio di funzionamento di bilancia elettromagnetica.
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Fig. 4: Schemi di bilancia con celle di carico idraulica e pneumatica.
Celle di carico con estensimetri elettrici
L’elemento sensibile al carico è sufficientemente corto da impedire rotture per carico di punta.
Quattro estensimetri elettrici a resistenza sono incollati uno per ogni faccia verticale (vedi Fig.
5).
Gli estensimetri n. 1 e 3 rilevano l’accorciamento verticale e il n. 2 e 4 quello laterale dovuto
all’effetto Poisson. Con questo artificio il sistema non risente di eventuali inflessioni e di
variazioni di temperatura e presenta, inoltre, una maggiore sensibilità. Per la lettura si usa il
ponte di Wheatstone. Celle di questo tipo possono avere portata fino a 100 t, uscita di 35 mV e
sensibilità di 2 mV/V. Una cella da 600 kN è un cilindro di 10 cm di diametro e altezza 10 cm
(peso pari a circa 1 kg).
Altra configurazione molto usata è quella del trasduttore ad anello la cui ovalizzazione è
rilevata da appositi estensimetri (vedi Fig. 7).
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Fig. 5: Schema di cella di carico con estensimetri.
Fig. 6: Schema di cella di carico con trasduttore ad anello.
Fig. 7: Schemi di cella di carico con estensimetri.
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Fig. 8: Schema di cella di carico con trasduttore ad anello.
Fig. 9: Esempi di dinamometri.
Fig. 10: Schema di cella di carico con trasduttore ad anello.
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Trasduttori di forza piezoelettrici
Essi hanno lo stesso comportamento e la stessa risposta degli accelerometri piezoelettrici. I
dispositivi commerciali sono previsti essenzialmente per forze di compressione e sono
estremamente rigidi (da 900 a 6300 t/cm).
La frequenza naturale del trasduttore è di solito pari a 60 kHz.
I trasduttori di forza piezoelettrici hanno la tendenza ad essere sensibili ai carichi eccentrici e
pertanto speciali cautele sono richieste durante il loro funzionamento.
Fig. 11: Esempio di trasduttore di forza piezoelettrico (www.pcb.com).
Fig. 12: Modalità di carico di trasduttori di forza piezoelettrici (www.pcb.com).
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SPERIMENTAZIONE SU MODELLI E LEGGI DI SIMILITUDINE I
Introduzione alla sperimentazione su modelli
Citazione: I più benedetti denari che si spendono a chi vuol fabbricare sono i modegli
(Michelangelo)
La giustificazione delle prime basilari proposizioni della teoria dei modelli relative alla
similitudine meccanica, ristretta a sistemi elastici pesanti in equilibrio, risale a Galilei:
è impossibil cosa costruire due fabbriche dell’istessa materia simili, e diseguali, e tra loro con
egual proporzioni resistenti.
Inoltre, riferendosi al caso di un’asta incastrata orizzontalmente in un muro, lo stesso Galilei
rilevava che si poteva giungere a proporzionarne una unica capace di sorreggere esattamente
il proprio peso …e nulla di più: ma tutte le maggiori si fiaccheranno, e le minori saranno potenti
a sostenere oltre al proprio peso qualche altro appresso.
Per modelli intendiamo riproduzioni in scala ridotta di strutture, contrapposti ai prototipi che
sono invece in vera grandezza.
Può apparire strano, considerato lo sviluppo raggiunto dal calcolo automatico delle strutture,
che si faccia ricorso oggi alla sperimentazione su modelli. Non è però così in quanto il calcolo
automatico non fa altro che esplicitare le conseguenze delle informazioni che noi abbiamo
inserito nel modello di calcolo. Non aggiunge, per così dire, nulla di suo.
Esistono pertanto delle situazioni nelle quali trova valida applicazione l’analisi sperimentale
condotta su modelli:
a) Formulazione di leggi empiriche nei casi in cui non esiste una teoria adeguata del
fenomeno. È questo, ad esempio, il caso dell’analisi sismica di edifici: il legame sforzodeformazione che descrive il comportamento di elementi strutturali semplici, quali
giunti, pannelli, solai, ecc. è ottenuto necessariamente per via sperimentale in
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mancanza della possibilità di una ragionevole previsione teorica;
b) Determinazione di dati di partenza da introdurre nei calcoli, quali ad esempio le
proprietà fisico-meccaniche dei terreni di fondazione o le caratteristiche dei sismi;
c) Studio del comportamento di strutture di tipologia innovativa o di dimensioni superiori a
quelle ricorrenti;
d) Verifica della validità di programmi di calcolo;
e) Studio diretto su modello di strutture che per la loro complessità non possono essere
trattate con programmi esistenti.
L’esecuzione di uno studio sperimentale su di un modello comporta le seguenti fasi:
a.
definizione dell’oggetto della ricerca: in questa fase viene definita la struttura
ed impostata la similitudine meccanica del modello. Viene poi costruito il modello
stesso. Contemporaneamente vengono fissate, in funzione degli scopi della ricerca, le
condizioni ed i tipi di carico e le grandezze da rilevare. È da questa fase che dipende la
scelta dei mezzi di indagine e della strumentazione di prova e di analisi.
b.
eccitazione della struttura: alla struttura vengono applicate, con eccitatori,
tavole vibranti o ventole, azioni esterne di caratteristiche tali da mettere in evidenza
quei parametri del comportamento della struttura che sono oggetto di indagine.
c.
rilevazione delle grandezze fisiche di interesse: la determinazione del valore
assunto dalle grandezze di interesse (accelerazioni, spostamenti, forze, pressioni, ecc.)
è fatta applicando alla struttura opportuni strumenti di misura in grado di generare un
segnale elettrico proporzionale al valore assunto dalla grandezza sotto misura.
d.
analisi dei dati: i dati disponibili sottoforma di tensione elettrica debbono essere
tradotti in numeri di diretto interesse per il progettista o visualizzati in diagrammi dopo
opportune elaborazioni.
Le scelte effettuate in ciascuna di queste fasi sono naturalmente strettamente dipendenti l’una
dall’altra.
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I modelli: Teorema di Buckingham
La teoria dei modelli si fonda, come noto, sul principio di similitudine, per cui due sistemi si
dicono fisicamente simili quando, esistendo la corrispondenza geometrica dei punti dei due
sistemi, le grandezze della stessa natura fisica abbiano nei punti corrispondenti rapporto
costante. In particolare essa è una diretta applicazione della analisi dimensionale ed in
particolare del cosiddetto Teorema di Buckingham, o π-theorem. Vediamone l’enunciato:
Un problema fisico sia descritto da un certo numero di equazioni in cui siano presenti n
grandezze fisiche gk, se le grandezze fondamentali dimensionalmente indipendenti sono q (nel
caso dei problemi meccanici le grandezze fondamentali sono: massa, tempo e lunghezza, cioè
q=3) allora il problema può essere completamente descritto da n-q=m rapporti adimensionali
πk. Inoltre, ciascuno di questi rapporti adimensionali è funzione dei restanti m - 1 rapporti
adimensionali.
In sintesi si ha:
g 1 = f1 ( g 2 , g 3 ,… , g n )
sistema fisico
g 2 = f 2 ( g 1 , g 3 ,… , g n )
…
⇓
Teorema diBuckingham
⇓
π 1 = φ1 (π 2 , π 3 ,… , π m ) con m = n - q
(1)
π 2 = φ2 (π 1 , π 3 ,… , π m )
π m = φ3 (π 1 , π 2 ,… , π m −1 )
Tale teorema si può applicare tanto al prototipo che al modello ed avremo ad esempio per il
primo rapporto adimensionale:
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π 1 p = φ1 (π 2 p ,π 3 p ,...,π mp ) ⇐
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prototipo
π 1M = φ1 (π 2M ,π 3M ,...,π mM ) ⇐ mod ello
(2)
Sia ad esempio π1 il termine che si vuole misurare, affinché risulti π 1 p = π 1M (scopo della
progettazione del modello, criterio di similitudine soddisfatto) occorre che siano uguali i
secondi membri e quindi che si abbia:
π 2 p = π 2M ⎫
⎪
π 3 p = π 3M ⎪
⎪
⎬ m − 1 relazioni
⎪
...
⎪
= π mM ⎪
⎭
...
π mp
(3)
Queste relazioni costituiscono le equazioni di progetto del modello: l’operatore è libero, nella
costruzione di un modello, di scegliere a piacere i rapporti fra le grandezze fondamentali,
mentre dovrà rispettare, per le grandezze derivate, le equazioni di progetto.
Se tutte le condizioni di progetto sono soddisfatte, il modello viene detto completo, in caso
contrario si hanno modelli distorti; la similitudine è allora soltanto parziale e la equazione di
predizione ( π 1 p = π 1M ) può essere notevolmente alterata.
È importante sottolineare che nello studio su modello non è affatto necessario conoscere le
effettive funzioni φk ( .) (nel qual caso il modello sarebbe superfluo), tutto ciò che serve è
saper individuare le variabili in gioco. Comunque, la eventuale inclusione di variabili
supplementari rispetto a quelle strettamente necessarie a caratterizzare il fenomeno, rende più
difficile la realizzazione del modello ma non invalida i risultati.
Esempio:
Sulla base del Teorema di Buckingham è possibile studiare un fenomeno, come il flusso di una
corrente d’aria che incide su un cilindro fisso di lunghezza indefinita, con un solo grafico
avente in ascissa il numero di Reynolds e in ordinata il coefficiente di pressione o coefficiente
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di Drag. Studiando invece il problema in forma non adimensionale si sarebbero dovuti
realizzare numerosi grafici, ad esempio, uno per ogni diametro del cilindro.
Inoltre, volendo realizzare un modello in scala con l’obiettivo di misurare il la forza
aerodinamica esercitata sul cilindro, cioè il coefficiente di Drag (π1), si può garantire la
similitudine completa del modello (coefficiente di Drag misurato π1M uguale a quello del
prototipo π1p) assicurando che il numero di Reynolds di prototipo (π2p) e modello (π2M) siano
gli stessi.
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