Anno 7 - Numero 4 Cultura Ecomuseo del paesaggio Lomellino R i v i s t a d i C u l t u r a S t o r i a e Tr a d i z i o n i Ottobre - Dicembre 2011 Sommario In copertina Editoriale Fotografie di Luigi Pagetti La splendida emozione di cantare insieme di Santino Invernizzi 4 La realtà artistico-musicale nell’Ottocento di Giuseppina Morone 7 di Veronica Fasanelli 9 La Scuola civica musicale oggi 3 Salvati da una dolce melodia... di Pinuccia Morone 10 Scusi, vuol ballare con me... di Graziella Bazzan 12 C’era una volta il “Giuseppino canoro” Nei campi echeggia il canto delle mondine “Vice”, la voce delle piazze Musica, suoni e rumori L’armonia che tiene insieme il mondo 14 di Chiara Babilani 16 di Umberto De Agostino 18 di Gabriele Comeglio 20 di Alessandro Marangoni 22 Un applauso lungo quarantacinque anni di Poesia 24 Concorso di Fotografia, immagini da favola 26 Incanto Sogni stellati scivolano sull’Arbogna dove il fruscio dell’acqua cadenzato dallo sbuffare di una civetta rincorre se stesso svolgendo nastri argentati di luna. Lo zufolo della corrente fra il silenzio delle rive accorda spazi musicali alle foglie dei pioppi. Di onde color madreperla in onde arabescate di stelle la mia ombra inquieta si tufferà nell’incanto dell’Arbogna. da “Fuga di sole”, Giancarlo Costa (1990) EDITORIALE La cultura della musica, la musica come cultura Storie e pensieri disegnati sul pentagramma L di Marta Costa a musica è una faccenda così vasta, così ecumenica, così onnipervasiva che dedicarle un singolo numero del Vaglio sarebbe stato un delitto. Tale e tanta è la mole di argomenti connessi all’arte delle sette note che, a tre mesi di distanza dal precedente numero tematico, sulle pagine di questo periodico torna a vibrare un’articolata sinfonia di contributi ad essa dedicati. Era praticamente inevitabile. Perché i suoni sono elementi universali, presenti cioè in tutto ciò che è materia. Dalle onde del mare alle performance delle più quotate filarmoniche, dal rumore del bus che passa lungo la via alla delicatezza diffusa dalle corde di un’arpa, non esiste fenomeno “fisico” privo di un suo effetto acustico. Bello o brutto che sia. Quindi, dato il tema, gli orizzonti da esplorare non sono semplicemente “grandi”, bensì “massimi”. Gli autori dei servizi pubblicati su questa uscita del Vaglio, muovendo dai punti d’osservazione più svariati, quegli orizzonti li hanno scandagliati egregiamente. Si sono immersi in un fiume inarrestabile di tonalità, intensità, volume. Si sono arrampicati su alti rilievi montuosi, con la vetta persa nelle nebbie dello spirito, raccogliendo lungo il cammino i fiori di una magnifica e ben radicata pianta. Ed è particolare motivo di orgoglio annoverare tra le firme di questo trimestrale persone che hanno eletto la musica a spina dorsale della propria vita, come la giovane Veronica Fasanelli, il direttore della Corale Laurenziana Santino Invernizzi, gli affermati Alessandro Marangoni e Gabriele Comeglio. Rimarchevoli, poi, i due articoli di stampo storico confezionati da Giuseppina Morone, valente ricercatrice, scrupolosa indagatrice di quelle carte d’archivio snobbate dai più. Dentro a quei fogli ingialliti, a dispetto dell’indifferenza, c’è un mondo da scoprire, denso di curiosità e aneddoti che aiutano a capire meglio l’oggi. Senza dimenticare le immagini velate dalla patina del tempo che Graziella Bazzan dispensa nel suo amarcord sulle balere degli anni Cinquanta, simbolo di un’Italia alle prese con la ricostruzione della propria identità. E ancora, come non sentirsi partecipi delle fatiche delle mondine leggendo lo splendido excursus redatto da Chiara Babilani? Sembra quasi di sentirle cantare, le mondariso, incurvate nel campo a guadagnarsi la pagnotta sotto lo sguardo accigliato del “sciur padrùn”. Ma non meno evocativo di figure d’altri tempi è il contributo di Umberto De Agostino, appassionata e appassionante ricostruzione della parabola dell’ultima cantastorie lomellina. Bene, la partitura è completa. I fiati, gli archi, le percussioni e così via hanno disegnato nell’aria le loro linee, raccontando vicissitudini, esprimendo punti di vista, articolando complessi pensieri filosofici. L’ascoltatore, pardon, il lettore ha davvero l’imbarazzo della scelta. Anzi, perché scegliere? Meglio leggere quanto segue da capo a fondo. Ne vale la pena, non c’è che dire. Alla fine si avrà la sensazione di aver assistito a un grande concerto, in cui la vera protagonista, che si staglia sui pur bravissimi esecutori, si chiama musica. ottobre - dicembre 2011 3 & Cultura&& Polivocalità La splendida emozione di cantare insieme L’Esperienza della corale laurenziana di mortara “ Alla Messa di Mezzanotte dell’anno 1920, nella chiesa di San Lorenzo si celebrano due nascite: la Natività di Gesù e l’inizio di attività della nuova Schola cantorum 4 N Santino Invernizzi* ulla c’è più nobile del canto, virtù salvatrice di umanità. Per questo quando un popolo canta c’è da sperare ancora. Nulla fonde animi e caratteri quanto un coro, quando è vero coro: allora l’esserne componenti, l’incontrarsi all’appuntamento, il ritrovarsi e il sentirsi presenza necessaria a cantare, è come un convenire di innamorati. Allora il sacrificio diventa spontanea gioia e nuovo entusiasmo per vivere!” Parole intense e pregnanti queste di David Maria Turoldo, il quale, nel definire l’essenza del canto corale, sembra aver consapevolmente delineato l’affascinante esperienza della nostra “Corale Laurenziana” del San Lorenzo in Mortara. La bella realtà culturale mortarese ha ormai festeggiato i novant’anni di fondazione e dunque di attività. Scrive monsignor Paolo Rizzi, storico e studioso della figura e dell’opera pastorale del grande parroco di San Lorenzo, monsignor Luigi Dughera, nel suo volume “Monsignor Luigi Dughera, maestro e Padre del suo popolo” (Editrice Vaticana, 2003): “Al suo ingresso nella prepositurale di San Lorenzo, il 7 settembre 1919, festa della Madonna delle Grazie, don Luigi Dughera trova una Schola cantorum disgregata, precaria, composta di soli uomini, com’era consuetudine in quegli anni, e non più adatta ad assolvere le funzioni tipiche di un coro parrocchiale. Intuisce così da subito l’esigenza di trasformarla radicalmente nella sua composizione, nelle sue finalità, nell’approccio alle celebrazioni, come pure nella direzione artistica e musicale, secondo criteri più rispondenti alle esigenze liturgiche e alla propria sensibilità di pastore, una Schola cantorum che sia elemento nodale per dare impulso all’azione liturgica parrocchiale. Egli, infatti, precisa che la nuova realtà canora dovrà “porre I L VA G L I O costantemente alla portata del popolo cristiano i contenuti del patrimonio liturgico della Chiesa, mediante il canto sacro e la musica sacra”. Tale prospettiva, che rientra nell’ambito delle “iniziative di culto”, primo dei cinque punti del programma pastorale annunciato da monsignor Dughera nel giorno del suo ingresso, connota da sempre la specificità del Coro Laurenziano e ne costituisce la fondamentale e preminente finalità, come pure la ragione più vera della sua così lunga e prospera esistenza. Alla messa di mezzanotte dell’anno 1920, nella chiesa di San Lorenzo in Mortara, si celebrano due nascite: il mistero della Natività di Gesù e l’inizio di attività della nuova Schola cantorum, dono dello Spirito Santo e ideazione felice di un grande e indimenticabile parroco, monsignor Luigi Dughera. La prima esecuzione del nuovo coro, formato da venti elementi, è da sempre ritenuta la data di fondazione; al riguardo, nota il prevosto Dughera che da quel giorno “si ebbero funzioni brillantissime, con esecuzioni di canto liturgico e di quartetto d’archi, con consolante partecipazione di popolo”. Il sacerdote coadiutore, don Attilio Gatti, assunse il ruolo di direttore e il maestro Ettore Schinelli, insigne musicista mortarese, lo affiancò in quello di organista. Negli anni Quaranta ebbe poi inizio l’importante e storica collaborazione tra la Schola Cantorum di San Lorenzo e il noto musicista mortarese Mario Corti, il quale ricevette e mantenne la carica di organista fino alla metà degli anni Sessanta: egli contribuì in modo determinante alla crescita musicale del Coro, grazie alla sua sensibilità di esecutore, di compositore e di uomo di fede. Una storia, quella della “Laurenziana”, che si innesta nel mistero della vita pastorale della Chiesa, in particolare di quella porzione di “Chiesa locale” affidata al vescovo di Vigevano e al parroco della basilica di San Lorenzo in Mortara: raccogliere un’eredità tanto impegnativa sul piano della fede quanto pregevole su quello strettamente esecutivo e artistico non è stato facile per i due giovani laici che, nell’autunno del 1970, l’allora prevosto della basilica, don Mario Calvi, mite e perspicace “pastore”, scelse come nuove “guide” della Corale Laurenziana”: in loro, egli intravide persone idonee, nonostante la giovane età, a guidare il percorso del coro parrocchiale in una stagione complessa, segnata da contrastanti correnti e mode anche in ambito liturgico. Nel corso di quarant’anni, essi hanno cercato infatti di armonizzare adeguatamente l’imprescindibile fedeltà ai fini essenziali, stabiliti dal fondatore monsignor Dughera, come anche il mantenimento dei brani classici, con le diverse esigenze che sono via via emerse nel panorama ecclesiale. A Mauro Ziglioli e a chi sta scrivendo (questi i due giovani!), già voci bianche della Schola Cantorum e avviati agli studi musicali, il prevosto Calvi non chiese puntualmente e provvidenzialmente di cambiare rotta nel progetto canoro-musicale, ma di integrarlo e arricchirlo in conformità alle esigenze della sensibilità ecclesiale, maturata a seguito delle istanze innovatrici del Concilio Vaticano II. Così Mauro e io assumemmo la direzione artistica, Mauro come organista, io come direttore del Coro; l’attività della “Corale Laurenziana”, fino a quel tempo esclusivamente liturgica, venne estesa anche alle esibizioni concertistiche e Mauro Ziglioli si mise in luce pure in qualità di sensibile compositore di musiche sacre. Nel corso di quarant’anni abbiamo “guidato” la Corale con intenso impegno e profondo spirito di servizio, accompagnati dalla sempre proficua collaborazione con i parroci che si sono alternati. Le conseguenze si rivelarono nel tempo positive e soddisfacenti: il rinvigorimento della tensione ministeriale della Schola cantorum, rinominata da noi “Corale Laurenziana”, e il suo costante progresso canoro-musicale, sempre in linea con l’insegnamento della Chiesa, i cui documenti prevedono che a volte il coro canti con l’assemblea, a volte canti dialogando con l’assemblea, altre volte canti per l’assemblea. L’improvvisa tragica scomparsa di Mauro Ziglioli ci ha lasciati distrutti nell’incredulità e nel dolore: ho visto spezzata senza un’umana spiegazione un’amicizia fraterna che mi aveva da sempre accompagnato e sostenuto, ho sentito disintegrarsi in un istante il “capolavoro” che, con l’aiuto di Dio, avevo con tanta passione “forgiato” insieme con Mauro; la volontà divina mi ha tuttavia messo immediatamente di fronte alla potenza con la quale il Signore ”solleva” sempre anche dopo la prova più dura. Proprio in quella condizione disperata, come quando si è costretti ad abbandonare ciò che si possiede di più caro, consapevoli di non ritrovarlo mai più, ho riaperto gli occhi gonfi di pianto e nostalgia e mi sono ritrovato nell’abbraccio di tutti i miei cantori, stretti con incomparabile affetto intorno a me nel ricordo intenso e sofferto dell’ indimenticabile Mauro. La loro presenza, discreta e al contempo viva e vibrante, mi ha permesso di dare ancora significato alle loro incessanti richieste e attestazioni: “Dobbiamo andare avanti, perseguire con forza e volontà gli obiettivi di passione, arte e fede che Mauro ci ha sempre attestato come fondamenti della nostra attività musicale e corale!”. L’ “arrivo” provvidenziale di Mattia Paganini, già tenore della Corale, appassionato musicista e organista ha infine contribuito a completare il “miracolo”: egli mi ha ottobre - dicembre 2011 5 Santino Invernizzi dirige la Corale Laurenziana La storia della Laurenziana si innesta nel mistero della vita pastorale di quella “Chiesa locale” affidata al vescovo di Vigevano Da sinistra: Santino Invernizzi, Mario Corti e Mauro Ziglioli affiancato nella piena disponibilità a condividere, nella fatica e nella gratificazione, il cammino e l’attività del coro, a gestirne insieme le prospettive artistico-musicali-culturali, ad essere “presente” nella responsabilità e nell’aiuto reciproci. Mi ritrovo spesso a riflettere su questa mia “lunga” esperienza in seno alla “Corale Laurenziana” e comprendo sempre più chiaramente che il Signore non avrebbe potuto riservarmi le gioie che mi ha donato, comprese quelle della famiglia, se non fossi rimasto così “legato” all’attività del canto corale, tanto che concludo frequentemente i miei pensieri nella convinzione che l’uomo non possa fare a meno di cantare: ancor più che per suonare e danzare, l’uomo è fisiologicamente strutturato per cantare. Il gesto del canto esige tuttavia un coinvolgimento del corpo molto più pieno che non l’esercizio del pensare e del parlare; cantando, per esempio, si dona con maggiore intensità, proprio come succede a chi, attraverso l’urgenza del canto, intende manifestare la pienezza del cuore per un obiettivo raggiunto o per una gioia vissuta, quasi un’esplosione che dall’intimo viene alla luce. L’impegno e la fatica delle prove settimanali per l’apprendimento dei brani, per la loro concertazione e il Il gesto del canto implica un coinvolgimento del corpo molto più pieno che non l’esercizio del pensare e del parlare. Cantando, si dona con più intensità 6 I L VA G L I O loro affinamento vengono perciò ampiamente ricompensati non solo dal risultato esecutivo, artisticamente appagante, ma pure dal piacere di stare insieme, uniti da un unico ideale, il canto, attraverso il quale vibrano nel cuore di ciascun corista i sentimenti più veri e le emozioni più profonde. I coristi, oltre ad essere ben consapevoli di tutto questo, sono davvero fieri di coinvolgere chi li ascolta trasmettendo emozioni non solo con la voce, ma anche con il cuore e con la mente. Cantare in un coro permette certamente di raggiungere importanti traguardi sia sul piano della tecnica vocale sia su quello dei valori umani e spirituali: oltre a seguire il tempo scandito dal direttore, a essere melodiosi e a respirare in modo armonico utilizzando consapevolmente il diaframma, si impara a non far prevalere mai la propria voce sulle altre... dunque a controllarla, uniformandola e assimilandola a quella dei colleghi coristi, a realizzare lo spirito di squadra, a coltivare l’amicizia, il rispetto reciproco, il desiderio di crescere e imparare Parrocchia di San Lorenzo insieme, in una parola... a vivere meglio con se stessi, con gli altri e con Dio. Per questo... cantare è davvero bello! Basta provarci! *Direttore della “Corale Laurenziana” La realtà artistico-musicale nell’Ottocento & Cultura&& Storia testimonianze dell’eccellenza mortarese nel xix secolo M Giuseppina Morone La Società Filarmonica di Mortara: prime testimonianze ortara, dopo la Restaurazione, in seguito alla caduta di Napoleone, rientra nel Regno di Sardegna, sotto il governo dei Savoia e diventa capoluogo della provincia di Lomellina. Questa posizione di prestigio le permette di esprimere e coltivare, anche in campo artistico e musicale, i propri talenti, testimoniati da numerosi documenti conservati nel suo Archivio storico e da una preziosa raccolta di spartiti, strumenti ed oggetti conservati nel Museo “Amico Amelio”. I primi documenti che testimoniano la presenza e l’attività di una Società Filarmonica e di una Società Filodrammatica nella città di Mortara risalgono al periodo che va dal 1844 a tutta la seconda metà dell’ Ottocento. La Società Filarmonica, denominata anche Accademia Filarmonica, ha un indirizzo più specificatamente musicale e comprende una banda ed un’orchestra, dirette dallo stesso Maestro, con incarico assegnato previa selezione fatta da un’apposita Commissione, incaricata dal Comune di Mortara. La Società Filarmonica precede di qualche anno l’inaugurazione del Teatro Vittorio Emanuele II, avvenuta nel 1846. Il Teatro Vittorio Emanuele II, fatto erigere dalla Associazione Agraria Piemontese, valorizza subito non solo la città, ma anche le iniziative artistico – musicali sostenute e caldeggiate dal Comune stesso. *** Nasce la Banda della Milizia Nazionale In una lettera datata 20 maggio 1850 e firmata dal Signor Ragazzone Vittorio, negoziante di stoffe a Morta- ra, si legge che il suddetto Signor Ragazzone “è comparso davanti all’amministrazione eletta per lo stabilimento di un’accademia filarmonica e banda militare di Mortara per offrirsi di fornire Kepy, daghe, cinturoni ed altri oggetti di cui si è deliberato di fornire ogni musicante componente la banda militare”. Si deduce che la Società Filarmonica, legata alla Banda Musicale, ne vedrà la trasformazione in un Corpo bandistico con l’intestazione: “Banda della Milizia Nazionale – Battaglione di Mortara”, infatti la Banda sarà inquadrata nella Guardia Nazionale, cioè nell’Esercito piemontese. Tale cambiamento comporta un adeguamento a livello organizzativo, attestato da due documenti di sottoscrizioni. Il primo documento, datato 1849, contiene le “Sottoscrizioni originali per la Banda musicale” e si apre con la seguente premessa: - Milizia Nazionale – Battaglione di Mortara. Li sottoscritti si obbligano spontaneamente di pagare nella Cassa dell’Esattore del Mandamento di Mortara od in quell’altra che verrà determinata l’annua somma infra notata ripartitamente di mese in mese affinchè venga eretto e stabilito un Corpo di Musica per la Milizia Nazionale di questa città… Il secondo documento, datato 1851, si apre invece come segue: Città di Mortara - Società Filarmonica e Banda Della Milizia Nazionale. La Società Filarmonica e della Banda della Milizia Nazionale secondo i suoi statuti si scioglie col fine dell’anno in corso 1851. Esigendosi dai gentili costumi dei tempi che si fecondi lo studio dell’arte musicale, la Società in sua adunanza generale del 21 aprile 1851 determinava che si apra una sottoscrizione duratura ed obbligatoria per un triennio che incomincerà col venturo 1852... ottobre - dicembre 2011 7 All’indomani della Restaurazione post-napoleonica, la posizione amministrativa di capoluogo della provincia di Lomellina permise a Mortara di coltivare i propri talenti Vi sono alcuni punti da chiarire e precisare. Nei due documenti citati si parla solo di Banda della Milizia Nazionale. Sorge un dubbio: in questi anni a Mortara convivono due Bande ed un’Orchestra o la Banda è unica con una doppia funzione: civica e militare? Il Comune di Mortara, in questo periodo, ha una Società Filarmonica che si scioglie alla fine del 1851, ma che prima apre una sottoscrizione della durata di un triennio. La suddetta Società sparirà o si ricostituirà cambiando nome? Come e perché è avvenuta tale trasformazione? La risposta a questa duplice domanda è data da un documento che ha un titolo particolare: “Pensieri per migliorare la condizione dell’Accademia filarmonica e di disporla a vantaggio della Milizia Comunale”. Il documento non è né datato né firmato; sembra una raccolta di appunti personali per una proposta da fare al Consiglio Comunale e potrebbe essere stato scritto indicativamente intorno al 1848 o al 1849. L’autore, facendo riferimento all’istituzione della Milizia Comunale decretata da “S. M. l’Immortale Nostro Re Carlo Alberto”, che chiedeva anche di “attivarla ne’ Regj Suoi Dominj dall’età di 21 anno fino al 55 inclusivamente”, sottolinea che la Civica Amministrazione di Mortara si è subito impegnata “di corrispondere alle Sovrane intenzioni, attivando un corpo di Militi in parte equipaggiato di tutto punto e capace di fare bella mostra di se stesso in una militare rivista”. Subito dopo lo scrivente dipana le sue considerazioni, alternando lodi a richieste di sovvenzioni da parte del Municipio o dall’Intendente di Lomellina o da generosi cittadini per fornire le uniformi regolamentari a tutti “li cittadini che fanno parte della Milizia Comunale”. Questa però è solo una premessa, infatti il discorso è finalizzato a raggiungere un obiettivo più importante: “Il progetto già formulato da questa Civica Amm.e di formare un Battaglione a cui concorrerebbero di buon grado li Militi dei Comuni componenti questo Mandamento, se torna di Sommo onore a questa città, egli è d’uopo che la città stessa contribuisca con qualche sacrificio alla formazione di una Banda Militare ad esempio di altre Città dello Stato di cui farebbero parte gl’allievi dell’Accademia Filarmonica”… Successivamente è documentata l’esistenza di un’unica Banda Nazionale, dipendente dalla Società Musicale. *** Il “Regolamento pel Corpo Musicale della Città di Mortara” del 1880 Dopo l’unificazione d’Italia, il Corpo Musicale della città di Mortara ha acquisito una sua fisionomia precisa, ben definita nel “Regolamento pel Corpo Musicale della Città di Mortara, approvato dal Consiglio Comunale in seduta 29 giugno 1880”. *** Nascono le Scuole di Pianoforte, Organo e Canto Corale Nel 1881 alle Istituzioni musicali della città di Mortara viene aggiunta una Scuola di Pianoforte, Organo e Canto Corale, diretta da un proprio Maestro e presieduta dalla Commissione Municipale; la somma occorrente per il mantenimento di questa Scuola e per il pagamen- Nel 1881 alle istituzioni musicali si aggiunge una Scuola di Pianoforte, Organo e Canto Corale, diretta da un proprio Maestro e presieduta dalla Commissione Municipale 8 I L VA G L I O to dello stipendio del Maestro viene stanziata annualmente nel Bilancio Comunale. Questa nuova istituzione ha un proprio Regolamento, che viene approvato il 29 gennaio 1882 e che sarà successivamente modificato in adunanza del dicembre 1887. Si è scelto di sintetizzare il tutto stralciando le informazioni principali, sottolineando le modifiche più significative e procedendo in modo schematico con domande e rispettive risposte. Quanti alunni sono ammessi a frequentare questi corsi? Nel Regolamento del 1882 al Maestro sono affidati 26 alunni gratuiti: 2 per lo studio del pianoforte, successivamente istruiti anche nel suono dell’Organo, e 24 per il Canto Corale. Nel Regolamento modificato del 1887 si riduce a non più di 17 il numero degli alunni, preferibilmente residenti a Mortara, con un limite di età: 17 anni compiuti per i maschi e 15 anni per le femmine. Come è organizzata l’istruzione? L’istruzione viene impartita in quattro giorni alla settimana ed ogni lezione dura 2 ore; l’istruzione elementare prevede almeno 2 lezioni settimanali per sesso e non viene impartita contemporaneamente a maschi e femmine, a differenza delle esercitazioni e delle prove di cori melodrammatici. Ogni settimana vi è un’esercitazione o prova complessiva. Quali sono gli strumenti a disposizione? La Scuola è fornita di un pianoforte e dei necessari metodi di insegnamento. Ha un proprio Archivio custodito dal Maestro, con relativo inventario in duplice copia (una per il maestro ed una per la Commissione). *** Componenti del Corpo Musicale, strumenti e fornitori Un documento del gennaio 1889 riporta un elenco dettagliato dei componenti del Corpo Musicale suddivisi in 1ª- 2ª - 3ª classe per Banda ed Orchestra; 1ª- 2ª - 3ª classe per Banda sola, per un totale di 25, ai quali si aggiungono 8 Musicanti per sola Orchestra. Accanto a ciascun nominativo sono indicate la quota di stipendio e la quota di straordinario per veglione; le cifre variano dalle 80 alle 15 lire, in base alla classe di appartenenza e probabilmente all’impegno richiesto. Sugli strumenti musicali è bene ricordare che presso il Municipio di Mortara vi era un Archivio Musicale in cui erano custoditi vari strumenti messi a disposizione degli allievi e dei Componenti della Banda e dell’Orchestra; anche gli spartiti musicali, suddivisi per strumento, erano conservati nel suddetto archivio e quindi erano di proprietà del Comune. Il Segretario della Commissione registrava puntualmente consegne e restituzioni, indicando anche lo stato di conservazione ed eventuali danni. Chi erano i fornitori? Dalle fatture su carta intestata si scopre che i principali fornitori di strumenti per il Corpo Musicale, negli anni 1883–84, erano due: “Giuseppe Pellitti – fabbricante Strumenti Musicali – Milano” e “Ricordi & Finzi successori a Prestinari – Milano”. *** Concorsi per Direttori di Banda e Orchestra Nell’Archivio storico di Mortara sono conservati registri, lettere e domande di Concorso al posto di Maestro Direttore della Banda e d’Orchestra di Mortara, tutti con date comprese fra gli anni 1888 e 1890. Sfogliando le varie domande ed i registri degli esami di concorso, stupisce il fatto che i partecipanti presentano titoli e diplomi di alto livello e provengono da tutt’Italia. Questa osservazione convalida l’importanza riconosciuta del Teatro e del Corpo Musicale di questa città. *** Le Relazioni della Commissione Musicale-Teatrale In quegli anni molti Comuni, come Mortara, coltivavano e favorivano lo studio e la passione per la musica nei giovani e negli adulti, organizzando spettacoli teatrali e concerti sia per la cittadinanza sia per gli spettatori provenienti da paesi limitrofi. La fama ed il successo attiravano un pubblico sempre più numeroso ed alimentavano l’impegno serio e responsabile dei Musicanti e dei loro Maestri, ben evidenziato nelle Relazioni della Commissione Musicale. Nella Relazione datata 3 novembre 1892, riguardo al Corpo di Banda si sottolinea che, nonostante varie “peripezie” sopportate negli ultimi due anni, al momento si è ristabilita, “sia per il numero sia per il valore artistico”, la situazione precedente il biennio di crisi. A conferma di questa ripresa viene citato il gradimento del pubblico, dimostrato dai numerosi servizi a pagamento richiesti in città e fuori, così numerosi “da superare la media annuale dell’ultimo decennio scorso”. Questo non esclude però la necessità di completare e perfezionare l’impegno per curare l’istruzione, la formazione e soprattutto la disciplina dei Musicanti, dai più giovani ed inesperti ai più anziani resi saggi dall’esperienza. Nella Relazione della Commissione Teatrale e Musicale sulla gestione 1894 la situazione del Corpo d’Orchestra risulta positiva e soddisfacente, per il Corpo di Banda si evidenziano alcuni problemi legati “alle condizioni poco floride di commercio della nostra città, le quali obbligando molti degli operai facenti parte del Corpo di Banda a cercare un pane in paesi forestieri, porta un continuo mutamento di persone nel Corpo, alterando quell’affiatamento, così necessario per l’esecuzione,in tutti i corpi musicali. Ciò nonostante però l’opera veramente encomiabile del Maestro Angelo Galimberti e dei suoi coadiutori, riesce a mitigare di molto questo inconveniente…”. Il riferimento alla situazione di crisi di fine secolo è evidente e se ne deduce la sua ripercussione anche nel settore artistico- musicale della città di Mortara, poiché la povertà e l’emigrazione incidono negativamente sulle possibilità e sulla disponibilità di tempo e di opera nei Corpi Musicale e Teatrale. Infine la Relazione fa un accenno esplicito alla necessità di interventi di restauro nel Teatro Vittorio Emanuele, per i quali erano già stati esaminati i preventivi di “persone competentissime” ripudiati però man mano perché eccedenti di molto alla somma bilanciata dal Consiglio Comunale. La Commissione quindi propone di limitare i riattamenti alle sole parti interne, ma subito dopo esprime le proprie previsioni dubbiose e poco rassicuranti, essendo consapevole che le spese, per quanto contenute, supereranno certamente la somma bilanciata. La Scuola civica musicale oggi UN RITORNO alle origini nel teatro civico? L Veronica Fasanelli a Scuola civica vive un ritorno alle origini. Proprio dal ridotto del Teatro si era partiti col Maestro Clemente Ferraris, e li, si spera a breve, si tornerà sotto la direzione di Alberto Bonacasa, pianista jazz di fama internazionale. Il nuovo direttore ha all'attivo molteplici progetti musicali in Italia e all'estero, tra cui la collaborazione con la Big Band di quello che fu il suo maestro nonché predecessore alla presidenza della Civica: Gabriele Comeglio, altro grande della musica nata a New Orleans, sassofonista, arrangiatore nonché direttore d'orchestra. Dal classico a due jazzisti, fino all'ultima quasi ventennale direzione della clarinettista Nicoletta Bertolotti. Si attraversa così mezzo secolo di storia della scuola, passata dal ridotto del Teatro con Ferraris, alle ex-carceri e un'ala della scuola elementare, a Palazzo del Moro e l'attuale palazzo di piazza Guida. Un cerchio destinato a chiudersi, in era Bonacasa, al punto da cui si era partiti, con l'augurio che il Teatro torni a rivivere gli antichi splendori anche musicali. ottobre - dicembre 2011 La fama e il successo attirarono un pubblico sempre più numeroso, aumentando di conseguenza l’impegno dei Musicanti e dei loro Maestri 9 & Cultura&& Testimonianze Salvati da una dolce melodia... quando gli strumenti musicali sono più forti delle armi S La musica ha la sua importanza anche in una caserma militare. Basti pensare all’emozione che suscitano i cori e le bande dei corpi e delle armi dell’Esercito 10 Pinuccia Morone fogliando le carte dell’archivio comunale dere lo spirito di “corpo” che lega ciascun militare al di Mortara mi sono capitati tra le mani due proprio reggimento ed ai propri compagni. documenti particolari, due lettere scritte da Il secondo documento è una cartolina postale che, in due ex allievi della Civica Scuola Musica- data 22 ottobre 1916, Giuseppe Orlandi, bersagliere del le, al momento sotto XV Reggimento, Prima Compale armi. Il primo, Pietro Caprino gnia, XLIX Battaglione, impesoldato del XIX Reggimento di gnato in “zona di guerra”, indiartiglieria, di stanza a Firenze, rizza alla famiglia Pastormerlo, in data 8 marzo 1915, scrive al Trattoria Unione, Porta Novara, sindaco di Mortara Egisto CaMortara. Ne trascrivo il testo: gnoni, chiedendo la concessione “ Carissimi tutti... Punf … punf di un clarino Sib per entrare nella … punf “Musichetta”, cioè nella fanfara Tàcc … tàcc punf … Queste sono del suo reggimento, diretta dal le quotidiane note dei nuovi e maresciallo Edoardo Colloriali, ben perfezionati istrumenti professore di Musica. Purtroppo che oggi giorno si sente suonare, la risposta del sindaco sarà negae che musica tiva per mancata disponibilità del una mistura Italo Austriaca suddetto strumento. Questa lettesempre musica nuova e nuovi ra mi ha fatto riflettere sull’immaestri che dirigono questo gran portanza che la musica può avere concerto anche in una caserma militare e e anche a me è toccata la sforsulla positiva funzione di una tuna di essere stato spettatore fanfara, piccolo corpo bandistico a diversi di questi concerti e vi che aggrega un gruppo di soldati, garantisco che non mi auguro alimentando sentimenti patriottiaffatto di esserci presente un’al“Il lettore: autoritratto”, tra volta, ci e permettendo di esprimere le Silvio Santagostino (1951) e rammento ancora le belle alcompetenze musicali acquisite. Basterebbe pensare, a questo proposito, all’emozione legrie passate in compagnia della mia indimenticabile che suscitano i cori degli Alpini, le bande militari dei Carolina al suono della ghitarra Carabinieri, le fanfare dei Bersaglieri, capaci ancor oggi quella sì era musica che mi garbava! di far rivivere il ricordo del valore, dell’eroismo e delle Ma spero presto di ritornarvi e come prima passare le sofferenze dei nostri soldati in guerra o di far compren- ore liete. I L VA G L I O Complesso Artistico XVI Corpo d’Armata Ricevete i più distinti saluti a tutta la famiglia, al Sig. Giovanni e ai Colleghi. Vostro indimenticabile Pipu Il ricordo dei bei momenti passati con la propria ragazza ed allietati “dal suono della ghitarra”, si carica di nostalgia e, allo stesso tempo, alimenta la speranza del ritorno a casa, ai propri affetti. Leggendo questi scritti li ho collegati alla frase di mio padre “La tromba mi ha salvato, quando ero a militare”. Solo più tardi ho capito il vero significato di queste parole. Papà Mario era un alunno della Civica Scuola Musicale di Mortara, negli anni Trenta, quando, ancora ragazzo, pur abitando a Sant’Albino e lavorando come fattorino presso la ditta Guglielmone, frequentava regolarmente le lezioni di tromba in Sib o cornetta. Chiamato alle armi nel 1941, era stato arruolato nel XXIX Reggimento Fanteria, dove era stato nominato trombettiere del suo Battaglione. Successivamente, nel gennaio del 1942, era stato aggregato al quartiere generale del XVI Corpo d’Armata ed inviato in Sicilia. Qui mio padre era stato inserito in un complesso artistico, che organizzava spettacoli per le truppe. Fu così che, pur essendo in zona di guerra, papà Mario visitò diverse località dell’isola, come testimoniano alcune sue foto, scattate a Piazza Armerina e nella valle dei Templi ad Agrigento. Fu per lui un periodo bello, nonostante i rischi e i pericoli del momento, fu un periodo pieno di amicizia con i suoi commilitoni, con i quali condivideva un’autentica passione per la musica, fu un periodo ricco di esperienze nuove che lo arricchirono, permettendogli di coltivare e di esprimere il suo talento musicale. Tutto questo durò circa un anno e mezzo, fino all’8 settembre, data che segnò lo sbandamento di molti soldati italiani “in seguito agli avvenimenti sopravvenuti all’armistizio”, come si legge sul foglio matricolare di mio padre. Solo diversi anni dopo io capii il significato della frase che egli ripeteva spesso: un giorno, casualmente incontrai un signore che mi disse di essere stato commilitone di mio papà nel XXIX Reggimento Fanteria, si commosse ricordandolo e mi confidò che la sua tromba l’aveva salvato, perché il XXIX Fanteria era stato mandato a combattere in Albania, dove era stato decimato... Altri militari sono stati salvati da uno strumento o dalla loro voce. Basterebbe leggere “Diario clandestino” di Giovannino Guareschi per capire la potenza salvifica dell’arte e della musica in un luogo terribile come un campo di prigionia. A conferma di questo è sufficiente aprire un catalogo del grande pittore mortarese, Silvio Santagostino e soffermarsi davanti alle riproduzioni dei suoi acquerelli su carta dipinti o abbozzati nel 1918, durante la sua prigionia nel campo ungherese di Dunaszerdahely, dove era stato deportato nel 1917, dopo che fu fatto prigioniero durante l’assalto del suo reparto alle Melette di Gallio in Trentino Alto Adige. Gian Rodolfo Ceva ricorda così la triste esperienza di Santagostino: “Ed è qui, in questo campo di concentramento, lontano dalla propria terra, dai propri cari, prigioniero e compagno di uomini sconosciuti che egli, seppur con mezzi poveri, ma con la costanza e l’amore dell’artista, creerà, giorno per giorno, mese per mese le sue più mirabili ed incisive opere …”. Tra le altre si distinguono gli acquerelli che raffigurano alcuni musicisti, componenti la Banda musicale del campo. I tre dipinti che raffigurano un “Suonatore di violoncello”, un “Suonatore di chitarra” e un “Suonatore di mandolino” rivelano le doti artistiche di un grande pittore, ma soprattutto il suo profondo interesse umano per i soggetti. ottobre - dicembre 2011 Per molti soldati le sette note hanno costituito un appiglio di speranza, un momento di sospensione della sofferenza nel corso di dure esperienze come la prigionia 11 & Cultura&& Ricordi Scusi, vuol ballare con me... Le FAVOLOSE atmosfere danzanti degli anni Cinquanta L Nel Dopoguerra le radio veicolano l’arrivo di nuove melodie ruggenti, colonna sonora della voglia di ripartire, di ricostruire, di cambiare in meglio la propria vita 12 Graziella Bazzan a guerra, da cui l’Italia è uscita alquanto malconcia, lascia profonde ferite, ma gli anni Cinquanta a cui per forza di luogo comune viene aggiunto l’aggettivo favolosi, si dimostrano un buon cicatrizzante e in parte le rimarginano. Nell’aria, intrisa di perbenismo, con città e industrie a pezzi e il commercio ancora in mano alla borsa nera, si respira quella gran voglia di voltare pagina, di ricostruire, di cambiare in meglio la propria vita perché dopo tanti anni bui, carichi di tristezza, c’è voglia di serenità, di libertà, di divertimento. Con la radio arrivano melodie nuove, ruggenti, che fanno sognare, nascono così le balere la cui storia riassume una moda che non ha età. Si va a ballare a piedi, in vespa o in lambretta, qualcuno, più fortunato, con la topolino; sbocciano i primi amori del Dopoguerra in questa Italia che vuole crescere e diventare grande. Le balere, definite luogo di perdizione dove emozioni e sentimenti portano inevitabilmente al vizio e al peccato, sono ritrovi delle classi popolari e si diffondono ovunque; si balla il sabato, serata di maggior affluenza dove chiunque esce nella speranza di poter rimorchiare, e la domenica pomeriggio, con sottofondo di canzoni che per qualcuno diventeranno la colonna sonora della propria vita. Musica rigorosamente dal vivo, a Mortara echeggiano le note dell’orchestra di Vero Mambrini, “Ciliegi rosa” è il suo I L VA G L I O più conosciuto brano musicale, che fa sognare un’infinità di coppie. Ovunque si organizzano serate danzanti all’aperto, e il signor Vittorio, titolare di un noto locale cittadino ha il suo da fare nel richiedere permessi per pubbliche feste da ballo rionali e licenze provvisorie per la vendita e consumazione di bevande analcoliche nei rispettivi chioschi. E’ il 1955 , in via Mariannini 16 presso la balera “la Lucciola “ si esibisce l’orchestra Dream Jazz e allo Zignago si apre la stagione estiva giugno-settembre con la veglia dell’inaugurazione della “modernissima pista da ballo all’aperto” con l’intervento del maestro Pippo Starnazza e il suo complesso, al microfono Alma Rella. I ragazzi al primo stacco musicale partono in quarta alla ricerca della ballerina. Generalmente i balli sono 3, a rotazione: il lento, un ballo figurato come valzer o polka e un terzo più movimentato come il bogiewogie, il rock’n’roll’ e il twist. La pista da ballo è Un invito dell’epoca circondata da sedie, tutti vedono tutti e tutto, in modo particolare i familiari delle ragazze che sorvegliano, per l’intera serata, movimenti e balli in pista. Dopo anni di separazione dei sessi, onde evitare la perdizione, le balere riavvicinano pericolosamente uomini e donne e proprio per questo la società, che elegge il senso del pudore a propria identità, prende le dovute cautele diffondendo un ferreo codice comportamentale. Da una parte della pista ci sono le donne e dall’altra gli uomini a cui spetta di dovere la richiesta di invito al ballo presentandosi alla ragazza scelta e a chi l’accompagna perché, come si conviene, non ci si presenta al ballo da sole, una donna per bene deve sempre essere accompagnata. Gli uomini devono rispettare i limiti della decenza evitando di abbracciare troppo le ragazze e di abbandonar- si a lascivi toccamenti! A loro, vestiti a nuovo con capelli impomatati e brillantinati, non è concesso nessun tentativo di approccio durante il ballo, se non lo sfioramento lieve delle guance, il noto cheek to cheek che fa avvampare le gote delle si- gnorine o l’appoggio furtivo della mano sui fianchi della ragazza (la classica mano morta che persiste tuttora), tentativo che va a vuoto perché la mano in questione è immediatamente rimossa. Le ragazze, al centro della pista, profumate di violetta o di lavanda, vestite come vuole la moda del momento, volteggiano come vele nell’azzurrità del mare, come nuvole nel vento, come esche all’amo e qualcuno che abbocca c’è sempre. Così la pista di cemento o formata da pannelli di assi di legno che si incastrano uno nell’altro, posta sotto un romantico barsò di glicine, o la classica topia di vite americana, tra gli alberi di un viale o nel cortile di una vecchia osteria e illuminata da una fila di lampadine colorate, combina più matrimoni di Giunone pronuba. Balera, discoteca di un tempo, luogo ideale per chi approfitta di un lento per stringere furtivamente a sé la persona desiderata, sotto un cielo trapunto di stelle. Balera, crocevia di cuori, dove forse durante un solo ballo, tra un tamarindo e un ginger, nasce un amore destinato a durare per tutta la vita o per un unico giro di pista. ottobre - dicembre 2011 Giovani lomelline alla balera “La Lucciola” In basso: L’Orchestra Vero Mambrini Dopo anni di separazione dei sessi, le balere riavvicinano uomini e donne e proprio per questo la società prende le dovute cautele diffondendo un ferreo codice comportamentale 13 & Cultura&& Bambini S Il progetto di un gioco musicale nacque nel novembre del 1979 , da un’idea di Giovanni Starone, Attilio Gervasoni e don Luciano Dall’O, dopo una riunione del consiglio pastorale 14 C’era una volta il “Giuseppino canoro” ascesa e declino di un vivaio di piccole ugole d’oro entir parlare oggi del Giuseppino Canoro è non ancora in attività concertistica (come accade oggi), qualcosa che lascia meravigliati perché a di- che si ritrovò catapultato a coordinare e a insegnare le stanza di quindici anni dall’ultima edizione, canzoni , ricoprendo il ruolo del maestro ai concorrenti si percepisce ancora l’emozione e il piacere che avevano quattro, cinque anni in meno di lui! con cui i protagonisti e il pubblico racconta- Dal 1980 al 1987 la manifestazione si svolse nella sano le avventure di questo spettacolo mortarese, divenu- letta dell’asilo Marzotto divenendo poi, col passare to un piccolo pezzo di storia degli eventi cittadini . del tempo, un evento di notevole interesse da parte del Eppure, navigando su internet, non vi è alcuna traccia pubblico e della stampa locale. Ma come tutti i bimbi del Giuseppino Canoro, ma tra coloro che furono i bam- che crescono ad un certo punto il vestitino cominciava bini mortaresi negli anni Ottanta, ad essere troppo stretto, fino a refino alla metà dei Novanta, ha un alizzare che non poteva più essere posto d’onore, un preciso angolo soltanto una manifestazione con un del cuore tra i ricordi più cari lepubblico strettamente parrocchiale, gati alla musica. fatto solo di gente del quartiere, fanIl progetto di un gioco musicale ciulle trepidanti, bravi ragazzini dai (attenzione, non l’abbiamo desanissimi principi che le mamme finito una gara canora, perché speravano un giorno sposi delle loro l’intento - perfettamente riuscito figliuole e suore emozionate. Quin- era quello di giocare con la mudi... si cambia location , apertura dei sica) nacque nel novembre 1979, cancelli ad un pubblico più vasto e da un’idea di Giovanni Starone, molti posti a sedere in più. Come Attilio Gervasoni ed il parroco per incanto, nel 1988, il Giuseppidon Luciano Dall’O, dopo una no venne ospitato nell’aula magna riunione del consiglio pastorale delle scuole Elementari, sede in cui dell’allora parrocchia di San Giurimase fino al 1993. Dal 1994 fino seppe, una piccola oasi felice che al 1996 , sempre per il crescente custodiva un’autentica città di successo della manifestazione, e ragazzi, ragazze, bimbi e bimbe. l’ottimo appoggio della stampa, il Da qui una manifestazione dediteatro divenne l’Angelicum. cata ai più piccini che dovevano Un giovanissimo Mauro Starone Lo scopo del Giuseppino Canoro cantare una canzone ciascuno, era di creare un appuntamento muper proclamare poi il vincitore o la vincitrice, con premi sicale annuale per i bambini in età dai 6 ai 10 anni di e caramelle per tutti. Mortara e paesi limitrofi, arrivando a far cantare, in tutte La parte organizzativa dell’evento e tutta la sezione mu- le diciassette edizioni circa duecento concorrenti. sicale venne presa a cuore ed in carico dalla prima sino Tra gli illustri collaboratori del Giuseppino Canoro all’ultima edizione da un Mauro Starone quindicenne, vi furono il professor Pierangelo Martinoli, coinvolto I L VA G L I O Pierangelo Martinoli e una premiata anche spesso come valletto di lusso, durante le varie edizioni, Massimo Ricci che impersonava “Carletto” scolaro eternamente ripetente col sogno di cantare al Giuseppino, Teresio Papetti e tutti gli attori della compagnia dialettale San Giuseppe, costola della rinomata Compagnia Dialettale Mortarese. Il Giuseppino Canoro fu anche molto generoso, sebbene avesse un ingresso ad offerta. Dagli archivi della manifestazione si ricordano nel 1994 un incasso di lire 1.200.000 devoluto ai bambini della ex Jugoslavia tramite la Caritas, nel 1995 lire 1.000.000 per i bimbi albanesi, nel 1996 lire 1.000.000 per i bambini bisognosi di Mortara. Scorrendo l’albo d’oro e l’elenco dei partecipanti ritroviamo nomi conosciuti, alcuni addirittura con una posizione importante in campo professionale: un esempio per tutti Chiara Perazzolo, oggi affermata voce lirica ed insegnante di canto anche alla Civica di Mortara. Il Giuseppino Canoro terminò con l’edizione del 1996. Questo racconto è uscito da una chiacchierata con Mauro Starone, l’organizzatore della manifestazione per tutti i suoi anni. Quando gli abbiamo chiesto il motivo per cui fosse terminata questa manifestazione, soprattutto nel pieno del suo splendore, lui ha tirato fuori l’archivio, lo ha sfogliato, sino ad arrivare alla pagina in allestimento del 1997. Leggendo, si trova la lista completa degli sponsor, le scenette, i nomi dei giurati, l’elenco dei concorrenti. Tutto era pronto ma c’era da fare i conti con due situazioni: l’aggravarsi della malattia del professor Martinoli (insostituibile collaboratore) ed il sempre maggior numero di serate musicali all’anno in Italia ed all’estero che da quei giorni in poi non potevano permettere più, a Mauro, per questione di tempo, di organizzare questa bella manifestazione. L’albo d’oro dei vincitori 1980 Daniela Moro 1981 Micaela Genovina 1982 Monica Stangherlin 1983 Simona Gatto 1984 Barbara Cordara 1985 Marco Pesce 1986 Simone Benini 1987 Monica Irrera 1988 Sara Nosotti 1989 Enrico Passarella 1990 Barbara Caneva 1991 Valeria Braghin 1992 Luca Caneva e Fabiana Eulalio Milesi 1993 Francesco Speranza 1994 Arianna Marangoni 1995 Chiara Perazzolo 1996 Chiara Perazzolo E i bimbi del Giuseppino che rapporto hanno mantenuto con Mauro? Oggi sono per la maggior parte papà e mamme, molti dei quali hanno chiamato il loro “antico maestro” Mauro Starone per cantare alla loro festa di matrimonio o alla festa del compleanno dei loro figli. Tanti di loro non perdono occasione per andare a sentirlo cantare in qualche sua serata e magari a provare ancora l’ebbrezza del live…cantando una canzone. Dopo il tour 2011 di Starone, verrà creato su Facebook un gruppo dedicato al Giuseppino Canoro. ottobre - dicembre 2011 Lo scopo era di creare un appuntamento musicale annuale per i bambini dai 6 ai 10 anni di Mortara e paesi limitrofi, ma questa felice esperienza terminò con l’edizione del 1996 15 & Cultura&& Lavoro Nei campi echeggia il canto delle mondine il cammino della libertà femminile ha fatto tappa nelle risaie S Affidarsi al canto era un modo per esorcizzare le fatiche del lavoro. La dura vita della risaia rendeva ordinari gli acciacchi: mal di piedi, reumatismi, mal di schiena... 16 Chiara Babilani ono lontani i tempi in cui nelle campagne riecheggiavano i canti delle mondine, ma ancora c’è chi li ricorda e li intona perché li ha cantati in gioventù, con i piedi a mollo nell’acqua e il capo chino. Ogni anno, durante il periodo di allagamento dei campi, fra la fine di aprile e gli inizi di giugno, centinaia di ragazze venivano impiegate nelle risaie per la monda del riso; alcune erano delle nostre parti, ma molte venivano da fuori, per la stagione, soprattutto dall’Emilia, dal Veneto e dalle altre zone lombarde, come il Mantovano o l’Oltrepò. Alcune erano giovanissime, anche 13 anni, e chiamavano “anziane” quelle che erano intorno alla trentina. Arrivavano con il treno e poi venivano portate nelle diverse tenute, dove avrebbero soggiornato per i successivi 45-50 giorni, alzandosi ogni mattina all’alba, per cominciare presto un lavoro durissimo che le faceva dolere come fossero incartapecorite vecchiette: mal di piedi, reumatismi e mal di schiena erano all’ordine del giorno. Il lavoro consisteva nell’estirpare le erbacce che infestavano la risaia disturbando la crescita del riso, un compito difficile, perché bisognava distinguere a colpo d’occhio piante molto simili tra di loro ed impegnativo, per tutte le ore passate scalze nella risaia, con l’acqua al polpaccio. Il trapianto era ancora più faticoso perché ci si muoveva all’indietro e con le mani si praticavano piccoli fori nel terreno allagato per infilarvi le piantine di riso. Si era in perenne movimento, senza i punti d’appoggio che si potevano avere durante la monda, per questo si cantava, per darsi un ritmo e accompagnare il lavoro, nel tentativo di renderlo più leggero o quantomeno di non pensare troppo al male alle gambe e alla schiena; un brano veloce poi, velocizzava anche il lavo- I L VA G L I O ro manuale, per questo era gradito dagli stessi padroni. Lo scorrere delle giornate era così scandito al ritmo di: canzoni d’amore, marcette militari, filastrocche, stornelli ed anche brani di lotta sindacale, come il “Bella ciao della mondina” o il “24 maggio” . La scelta dei brani dipendeva un po’ dallo stato d’animo di chi li intonava o dall’orario. Al mattino spesso si recitava il rosario, cosa che assumeva un significato particolare nei periodi di guerra, quando si pregava per i propri uomini al fronte. La recita del rosario poco si conciliava con il ritmo del lavoro, anzi, c’era probabilmente qualcuna che, un po’meno fervente delle altre, rischiava di appisolarsi e capitombolare nell’acqua, recitando la lenta litania. E poi si cantavano brani malinconici, dedicati ad amori lontani o sfortunati. Tante storie nascevano durante la stagione, qualcuna germogliava nell’inverno, altre appassivano, lasciando qualche bel ricordo da cantare l’anno successivo: Addio morettin, ti lascio, finita è la mondada, tengo un altro amante a casa, tengo un altro amante, a casa; addio morettin ti lascio, finita è la mondada tengo un altro amante a casa più bellino assai di te. Oppure: Amore mio non piangere, se me ne vado via io lascio la risaia, ritorno a casa mia vedo laggiù tra gli alberi la bianca mia casetta vedo laggiù sull’uscio la mamma che mi aspetta E poi c’erano i canti che schernivano i padroni, quasi sempre mal visti dalle mondariso perché autoritari e onnipresenti: Saluteremo il signor padrone per il male che ci ha fatto che ci ha sempre maltrattato fino all’ultimo momen’ Saluteremo il signor padrone con la so’ risera neta pochi soldi in la cassetta e i debit da pagar... Oppure perché erano sempre pronti a “rubare” qualche minuto sull’orario concordato: gh’è pasà ‘na squadra d’uslon i gan purtà via, i gan purtà via l’urlog al padròn (è passata una squadra di uccelli grossi, hanno portato via, hanno portato via l’orologio al padrone) O ancora erano in ritardo con la paga: Sciur padrun da li béli braghi bianchi fora li palanchi fora li palanchi sciur padrun da li béli braghi bianchi fora li palanchi ch’anduma a cà *** Le mondariso costituivano un elemento di grande novità rispetto alla condizione media delle donne dell’epoca perché, erano dei soggetti autonomi che percepivano un salario individuale ed erano parzialmente svincolate dal controllo familiare. Il duro lavoro fianco a fianco e le lotte condotte per ottenere migliori condizioni professionali, uscendo da un assoggettamento al padrone che impediva loro anche solo di alzare la testa durante la monda, hanno fatto sì che si instaurasse un sodalizio forte e duraturo e che acquisissero la consapevolezza della propria alterità rispetto al mondo maschile. L’allontanamento familiare durante la stagione, l’avere un vissuto collettivo così intenso, la partecipazione attiva alle lotte sindacali, sociali, alle battaglie di inizio secolo per conquistare le otto ore di lavoro in risaia (da ricordare che il primo sciopero delle mondine ha avuto luogo a Molinella nel 1883 allo scopo di ottenere un piccolo aumento salariale), l’opposizione al fascismo a partire dagli anni Quaranta, si trasformano in un elemento di crescita e di emancipazione. Questa partecipazione attiva ai fermenti sociali del tempo, porta le donne fuori dal focolare domestico, aprendo la via ai grandi movimenti di liberazione femminile che si sarebbero innescati alcuni decenni più tardi. Ogni passo, ogni azione, ogni rivendicazione è scandita e ricordata da un canto, che si trasforma in qualcosa di più di una semplice melodia diventando cultura, testimonianza, patrimonio orale che rappresenta una delle espressioni più vibranti della cultura popolare del nostro territorio. Le mondine nelle risaie non si vedono più, qualche volta però capita di confondersi, intravedendo qualcuno che lavora nei campi, con il cappello a tesa larga a ripararsi dal sole. Succede che siano gruppi di ragazzi stranieri che provengono da quell’Africa ormai dietro l’angolo e che alla sera, un po’ come le mondine di allora, ritornano a casa in bicicletta. Chissà se anche loro cantano melodie legate alla loro terra ed alla loro storia o se invece canticchiano quelle ascoltate alla radio. ottobre - dicembre 2011 Un gruppo di mondine in bicicletta nel 1954. Sotto, al lavoro nei campi La partecipazione attiva ai fermenti sociali portò le donne fuori dal focolare domestico, aprendo la via ai grandi movimenti di liberazione femminile di qualche decennio più tardi 17 & Cultura&& Folclore “Vice”, la voce delle piazze vincenzina cavallini, l’ultima cantastorie della lomellina « Nata nel 1929 da madre piacentina e padre friulano, nel 1946 abbandona il paese per lavorare come domestica a Tromello. Poi un giorno conosce Angelo, cantastorie, che sposerà nel 1951 18 L Umberto De Agostino a piazza è qualcosa che ti entra nelle vene, nel sangue e dentro al cuore. Una volta che hai cominciato, è difficile starne lontano». Così gli ultimi cantastorie pavesi e lomellini potrebbero riassumere il loro senso della vita. Per quasi tutto il Novecento Adriano Callegari, Antonio Ferrari e Antonio Cavallini, con il figlio Angelo e la nuora Vincenzina Mellina, hanno reso immortale il “treppo”, il coinvolgente e spesso strappalacrime spettacolo di piazza. L’attività popolare sarà riconosciuta anche a livello istituzionale: nel 2002 il Comune di Milano assegnerà ai coniugi Cavallini l’Ambrogino d’oro, ritirato da Vincenzina. Emblematica la vicenda personale di Vincenza “Vice” Mellina, moglie del tromellese Angelo Cavallini, scomparso nel 2005 dopo una lunga malattia. La cantastorie nasce nel 1929 da madre piacentina e padre friulano. Allo scoppio della guerra ha undici anni e, nonostante gli ottimi risultati scolastici, interrompe gli studi per aiutare la famiglia. Nel 1946, come tante ragazze, abbandona il paese per andare “a servizio”: lavora come domestica in una famiglia benestante di Tromello. Tutto lo stipendio è destinato al sostentamento della famiglia rimasta in Friuli. Inoltre in Lomellina, per 40 giorni l’anno, Vincenzina fa la mondina riuscendo a comprarsi il corredo, come usavano le ragazze nel dopoguerra. Il lavoro era duro e c’era la nostalgia di casa. Poi un giorno conosce Angelo Cavallini, di professione cantastorie. Il corteggiamento dura due anni «sotto la finestra e davanti al portone», ma le nozze arrivano, nel 1951. Nei primi anni “Vice” accudisce il figlio Danilo, nato nel 1954 e affetto da una grave malattia. Prima di sposarsi, in risaia tutti sostenevano che Vincenzina a- I L VA G L I O vesse un buon talento musicale: così Angelo la incoraggia invitandola a suonare la batteria. Inoltre, la sua bella voce avrebbe sicuramente attirato maggior pubblico. Così Vincenzina si esibisce prima nel sodalizio familiare a fianco del marito Angelo e del suocero Antonio, insuperato cantastorie della tradizione. In seguito, negli anni Sessanta, “Vice”, il marito Angelo e il grande cantastorie pavese Adriano Callegari formano il trio “Cantastorie lombardi”. I testi sono scritti dal maestro Raffaele Burchi, anch’egli di Tromello: leggeva il giornale e scriveva la storia giusta, neanche un errore, tutte le strofe a posto. Vincenzina, con la sua batteria, ha dato un tocco nuovo e accattivante al gruppo facendosi conoscere nelle più importanti sagre e mercati del Nord Italia. La prima piazza è stata Casale Monferrato, poi Asti. Un tempo Vice alla batteria nel 2003 Vice tra il marito Angelo e il suocero Antonio Cavallini i cantastorie si esibivano quotidianamente. Mercati e fiere erano il palcoscenico e il pubblico dimostrava il proprio favore facendo “treppo” intorno a loro, cioè accalcandosi in cerchio per ascoltarli, omaggiandoli con un piccolo contributo in denaro. Come in teatro, le esibizioni nella piazza avvengono seguendo un rituale ben preciso, che si conclude con la vendita di oggetti: lucido da scarpe, cofanetti, immagini sacre o catenine insieme ai “fogli volanti”, “canzonieri” o lunari con i testi dei brani più in voga. Il momento culminante della rappresentazione è costituito dalla vendita denominata la “rottura”, quando il Il Municipio di Tromello pubblico è chiamato all’offerta in denaro. In questa fase delicata la bella voce di Vincenzina ha un’importanza determinante. Il repertorio è molto vasto e in una mattinata capita di cantare più di venti canzoni, fra cui “Miniera”, “La tragedia di Mattmark”, “Chitarra romana”, “Vola colomba” e altri brani di successo del repertorio melodico di Luciano Tajoli. Uno dei cavalli di battaglia è “Mamma perché non torni?”, composto da Adriano Callegari e stampata su cartolina, sul cui retro è riportata una fotografia dei Cantastorie lombardi: Vincenzina alla batteria, Angelo alla fisarmonica e Adriano al sax. I Cantastorie Lombardi sono presenti in diverse edizioni della Sagra nazionale dei Cantastorie. Le loro ballate e la voce di lei sono state per più di quarant’anni la colonna sonora delle piazze di tutto il Nord Italia. Nella prima metà degli anni Settanta sono una presenza costante anche sul piccolo schermo, dove collaborano con Mario Soldati e Cesare Zavattini. Nel 1975 Angelo e Vincenzina ottengono il premio “Trovatore d’Italia”. Grandi affabulatori, questi cantastorie sono riusciti a trasformare l’arte dell’imbonimento in appassionato teatro popolare. I loro nomi appaiono in numerosi testi universitari accanto a grandi personalità della musica italiana del secolo scorso. L’attività del gruppo cessa nei primi anni Ottanta. Nel 1992 muore Adriano Callegari. Angelo, già molto malato, scomparirà nel 2005. Oggi “Vice” conserva i suoi amorevoli ricordi nella casa di Tromello. ottobre - dicembre 2011 Le loro ballate sono state per più di quarant’anni la colonna sonora delle piazze di tutto il Nord Italia. Negli anni Settanta hanno anche collaborato con Mario Soldati e Cesare Zavattini 19 & Cultura&& Riflessioni Musica, suoni e rumori Nell’intrattenimento i confini si assottigliano L In Italia imperversano due categorie: gli esperti di musica e gli esperti di calcio. Eppure sono rari gli sportivi praticanti e i musicisti di professione 20 Gabriele Comeglio ’Italia è un Paese nel quale predominano due categorie di persone: gli esperti di calcio e gli esperti di musica. Ma l’Italia è anche il Paese nel quale non abbondano due tipi di persone: gli sportivi praticanti e i musicisti professionisti. Non ci credete? Accendete la televisione e guardate le innumerevoli trasmissioni sportive: risse a non finire per argomenti puerili ed inutili. L’Inghilterra, che è la patria del calcio, non ha una trasmissione come “Il processo del lunedì” e nessuno sembra sentirne la mancanza. Se poi volete ascoltare la radio e vi trovate a Roma, provate a girare il pomello della sintonia. Il primo canale in cui sentite gente che si insulta non è dedicato a questioni religiose, politiche o di rilevanza sociale, ma è un canale di calcio. La musica non fa differenza. E la cosa più buffa è che (a parte gli incompetenti) ci sono principalmente due categorie (di competenti o presunti tali): i fan sfegatati e quelli che sanno tutto a prescindere. I fan sfegatati conoscono vita, morte e miracoli (?) del loro cantante preferito, anzi a volte ne sanno più di lui. Mi è capitato, anni fa, durante una tourneè con un personaggio molto importante, che costui venisse avvicinato da un ammiratore che gli attaccò seduta stante un interminabile bottone su un brano da lui registrato più di vent’anni prima, con una dovizia di particolari incredibile. Il bello è che il cantante non si ricordava nulla, e per verificare è dovuto ricorrere all’archivio della sua casa discografica ove giaceva , sepolto da mille incartamenti, proprio quel quarantacinque giri che lui stesso aveva dimenticato. Per non parlare poi dei fan “militanti”, quelli che, se osi dire che Vasco è stonato, ti inseguono per crocefiggerti. Salvo poi leggere in un’intervista che lui I L VA G L I O stesso non si considera un “cantante”… Ma i suoi fan ne sono dogmaticamente convinti per cui, attenti a quello che dite! In un Paese simile diventa quindi difficile spiegare all’uomo della strada che sei un musicista. Non sei una rockstar, non sei un guru della new-age, non timbri un cartellino, non tieni in mano otto ore al giorno una chiave inglese: che lavoro è? Appunto, è quello che mi chiedo io da un po’ di tempo a questa parte: eh sì, per- chè , oltre all’attività concertistica svolgo da più di dieci anni quella di consulente musicale, principalmente per Raisport e per Raidue. In questi anni ho avuto grandi soddisfazioni, come quella di realizzare sigle che un po’ tutti hanno sentito (compresi gli esperti di calcio e di musica): dagli Europei di calcio in Svizzera ai Mondiali di atletica, dalle sigle delle rubriche del Giro d’Italia 2011 a trasmissioni come Domenica Sportiva e Sabato Sprint. Tuttavia capita a volte di collaborare con trasmissioni d’intrattenimento per le quali vengono richiesti contributi musicali, principalmente per sonorizzare i filmati. La musica in genere viene messa da imberbi collaboratori di redazione che sparano a tutto volume i Muse mentre sotto si percepisce appena la voce dello speaker (vagli a spiegare che sotto un servizio essenzialmente parlato ci vorrebbe una musica strumentale piuttosto scarna...) oppure che, indipendentemente dall’argomento, infilano l’ultimo pezzo di Bob Sinclar o del primo dj analfabeta (musicalmente parlando) in classifica, col risultato che altri due redattori fanno la stessa cosa e il pezzo in questione va in onda tre volte nel giro di pochi minuti! Per cui è triste ammettere che ormai, in certi tipi di produzione, al consulente musicale vengono fatte richieste del tipo: “ho bisogno del rumore del suono di una porta che cigola” oppure “portami un suono di vetri infranti” e via così in un crescendo rossiniano di idiozie. Desolante. Per quanto riguarda quelli che sanno tutto di musica “a prescindere” (come direbbe Totò) basterà citare un solo episodio (si tratta sempre di una richiesta a un consulente musicale): “come sottofondo, quando esco nel giardino, voglio che mandiate in onda “La primavera” di Botticelli! Mi raccomando!”. Gelo nella stanza e occhiate di disperazione perchè il personaggio fa ascolti e non si Acquerelli di Andrea Panzarasa può contraddire. Per cui, vi prego, non fatemi questa domanda: “che differenza c’è tra musica, suoni, rumori?” perchè non saprei cosa rispondervi se non invitarvi ad ascoltare l’ultimo disco di Picasso, quello in cui canta con Caravaggio. ottobre - dicembre 2011 In certi tipi di produzione, capita che al consulente musicale vengono fatte le richieste più strampalate, del tipo: “ho bisogno del rumore di una porta che cigola” 21 & Cultura&& Universo L’armonia che tiene insieme il mondo filosofia, scienza e religione in rapporto al suono Alessandro Marangoni Quando la rota, che tu sempiterni Desiderato, a sé mi fece atteso, Con l’armonia che temperi e discerni, Parvemi tanto, allor, del cielo acceso De la fiamma del sol, che pioggia o fiume Lago non fece mai tanto disteso. Dante: Paradiso I, 76-81 Nel canto e nell’accordo lirico di tutta la gamma dei sentimenti si riversano la volontà e la pura intuizione, mirabilmente l’una all’altra miste. Di tutta questa disposizione d’animo, così mista e divisa, l’espressione è il canto puro. Arthur Schopenhauer (Il mondo come volontà e rappresentazione) La musica universalis sottesa al grande moto delle sfere celesti era stata uno dei grandi nodi teorici del pensiero di Pitagora, a metà tra la mistica e la matematica dei numeri 22 G li scienziati hanno fatto una scoperta sensazionale: nell’indagare per secoli l’origine dell’universo, il formarsi e l’intrecciarsi delle energie cosmiche che hanno dato inizio al tempo dall’eterno, hanno capito con il linguaggio scientifico ciò che migliaia di anni prima Platone aveva già intuito con la filosofia, la quale spesso precorre i tempi e i popoli. Andando ad ingrandire milioni di volte la realtà fenomenica che noi vediamo e tocchiamo quotidianamente, attraverso una sofisticata tecnologia supportata da complesse teorie matematiche, i fisici nucleari ci dicono con certezza che la materia è composta da atomi, che a loro volta sono suddivisibili in quarks. La volontà di trovare una teoria unificata dell’universo ha poi portato all’ultima importante scoperta, ossia che anche i quarks sono a loro volta I L VA G L I O formati da elementi più piccoli: l’universo come noi lo conosciamo – forse uno dei tanti universi possibili – è fatto di stringhe vibranti, invisibili a ogni approccio sperimentale ma rese vive da una matematica evolutissima; insomma l’universo intero è costituito da vibrazioni, le stesse che a livello macroscopico producono il suono di un violino o di un flauto. Tutto l’universo è tenuto insieme da quest’armonia, che dunque è supportata anche dalla scienza, oltre ad essere teorizzata dalla filosofia (la cosiddetta harmonia mundi). L’uomo è il “punto omega” di questa armonia, il centro irradiato da questo telos cosmico, lo scopo supremo di tutto questo infinito e complesso meccanismo plurimillenario. La musica universalis sottesa al grande moto delle sfere celesti era stata uno dei grandi nodi teorici del pensiero di Pitagora, a metà tra la mistica e la matematica dei numeri, in cui convogliavamo geometria, astronomia, astrologia, filosofia e musica: tutto ciò è valido ancora al giorno d’oggi, anzi è avvalorato dalle ricerche scientifiche sempre più evolute e precise in questo campo. Le distanze e le relazioni tra i pianeti, insondabili all’epoca di Pitagora o Platone, erano paragonate in un modello più semplice alle distanze e lunghezze riscontrabili in una corda musicale: per fare un esempio, la distanza tra la Terra e il Sole ha lo stesso rapporto che intercorre tra un sol e un la (e tra qualsiasi tono nella scala musicale); i tre anelli maggiori di Saturno producono tra loro un accordo eccedente, il cosiddetto “accordo di Dio”, formato da due triadi maggiori (il simbolismo della triade e in generale del numero tre è sempre stato associato alle ipostasi divine, pertanto al modello cristiano della Trinità) e così via. Anche la radiazione di fondo, udibile attraverso una strumentazione molto all’avanguardia e presente ancora nell’universo è l’eco di quell’inizio originario, quanto mai misterioso, che ha dato avvio al tempo e allo spazio in un possibile disegno o volontà creativa di un grande Demiurgo, o di un Dio preesistente da sempre. La letteratura nei secoli si è espressa su queste affascinanti tematiche e in vista di questa continua ricerca dell’uomo: pensiamo a Dante, Marsenne, Calvino, solo per fare qualche esempio; ma al contrario di essa, che pone spesso le sue basi creative nell’immaginazione, nella fantasia, nel sogno, nella mistica, la fisica e la matematica indagano le stesse cose con la precisione del rigore scientifico, arrivando agli stessi risultati: il mondo così come lo percepiamo e viviamo è fatto di musica. Potremmo dire che esso è musica vissuta. Noi viviamo nel mondo la musica del mondo: per questo così terribile sarà la mezz’ora di silenzio cosmico che precederà la fine dei tempi (così come ce ne parla il linguaggio escatologico dell’ Apocalisse). Il suono ha origine dal movimento, così come lo descriveva Severino Boezio – grande filosofo e scienziato, sepolto a Pavia in San Pietro in Ciel d’Oro – e avvalorato dalla più recente teoria delle “superstringhe”. Maometto vide i cherubini che lodavano Dio al settimo cielo, così come gli angeli cantavano Gloria quando nacque Gesù a Betlemme: anche le religioni convergono tra di loro, così come la scienza sembra far convergere tutto in un’unica grande super-teoria unificante le forze dell’universo. La musica attrae gli spiriti umani, come l’interazione forte attrae le particelle degli atomi: “la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve lo suono” (Dante, Convivio). Alla fine di questi modesti e incompleti ragionamenti vorrei dire: noi siamo canto! Noi siamo la musica vivente che si intreccia con la musica sempiterna dell’universo ma spesso siamo così orgogliosi da sentirci centro e padroni del mondo, senza renderci conto che esso si ricrea e vive anche indipendentemente da noi e forse ancor meglio senza il nostro distruttivo e infernale apporto. Un racconto ebraico narra che quando il re David ebbe finito di scrivere il libro dei Salmi, si sentì molto orgoglioso per il lavoro fatto. Egli si rivolse a Dio e disse: “padrone del mondo, chi fra tutti gli esseri che hai creato canta più di me la tua gloria?”. In quel momento sopraggiunse una rana che gli disse: “David, non inorgoglirti! Io canto più di te in onore di Dio”. Guardiamo dunque gli astri: siamo noi la coscienza del loro splendere! ottobre - dicembre 2011 Sopra: “Scenographia systematis mundani ptolemaici”, Andreas Cellarius, 1660. A centro pagina Davide che suona uno strumento a corde: manoscritto del XVI sec. La scienza sembra far convergere tutto in un’unica teoria unificante le forze dell’universo. La musica attrae gli spiriti umani, come l’interazione forte attrae le particelle degli atomi 23 & Cultura&& Le liriche Un applauso lungo quarantacinque anni di Poesia N Dai componimenti in lingua a quelli che pescano nell’universo dialettale, gli ingredienti dell’evento si sono dimostrati all’altezza di una tradizione ormai consolidata 24 ANCORA UN SUCCESSO PER L’INIZIATIVA DEL CIRCOLO on poteva esserci miglior regalo, per i quarantacinque anni dell’evento, degli applausi del pubblico. Organizzato negli storici locali del Teatro Angelicum, il Premio Nazionale di Poesia “Città di Mortara” (promosso con il patricinio della Regione Lombardia e della Provincia di Pavia, nonché con il contributo del Comune di Mortara, del Comitato Organizzatore Sagra del Salame d’oca e della Ditta El.Mo di Mortara) ha incassato lusinghieri apprezzamente dai tanti appassionati che hanno assistito alla cerimonia finale di venerdì 23 settembre. Quale presentatore e raffinato lettore delle poesie dialettali in concorso era come sempre sul palco dell’Angelicum Marco Fleba, mentre al leggio profondeva sapienza declamatoria la brava Lorella Carisio. La giuria che ha visionato le centinaia di opere liriche pervenute alla sua attenzione era composta da Mirella Bersini, Antonella Ferrara, Maria Forni, Marco Leva e Giuseppina Morone. Premiati per la sezione nazionale sono stati Maria Rosa Dell’Angelo, con la poesia “Nostalgia”, Daniela Raimondi con “Mattino”, Paolo Sangiovanni con “Elogio dei decimali”. Per la sezione Lomellina il primo premio è andato a Umberto Druschovic con “La Buona Terra”, il secondo ad Anna Perucca con “Il paese del cuore”, il terzo a Maria Rosa Marsilio con “Risaie”. Per la sezione in vernacolo il primo premio è andato a Giorgio Bottigella con “La resuresion”, il secondo premio a Giovanni Moda con “’Na volta l’er nò mè ‘l didinco”, il terzo premio a Sandro Passi con “Spasacà”. Primo premio VERNACOLO LA RESÙRESION La donä un dì mä dij: -”Ghè mort äl Giuänin”! ‘m s’ha fërmà äl cüciar in män intänt chë rujava äl pügnatin. -”L’hö vist lä smänä päsà, mï smijavä chë stavä ben”. -”L’hän dij in cità, jän dij c’lerä mälà”. Pasä un quai dì... ä lä vëdi äl märcà; d’lä surpresä l’hö nänchë pudü pärlà. Lü lä gnü rentä e m’ha ciämà: -”Mä të stè no ben?” -”Un pò ‘dmal dä schenä...ì’hö traj là” -”L’è gnentë, ä unä età gvà no fag caš. T’è ‘ncurä furtüna!” Gavä vöjä dä rispondäg: se chi ghè jün furtünà cullì tè ti chë duivi es mort giamò dä un quaj dì. Giorgio Bottigella Piatto dipinto da Graziella Bazzan I L VA G L I O La cerimonia di premiazione del XLV premio nazionale di poesia, che si è tenuta venerdì 23 settembre al teatro Angelicum Da sinistra: Graziella Bazzan, Fabio Rubini, Marco Fleba, Milena D’Imperio, Marta Costa, Lorella Carisio, Battista Corsico e i “duchi” Roberto Frigerio e Beatrice Bacchella Primo premio NAZIONALE NOSTALGIA Aveva un pergolato d’uva bianca, la mia casa, abbarbicato a un muro scalcinato che l’ombra della corda del bucato tagliava in due, al sorgere del sole; aveva vasi di oleandri sul balcone, gerani, rose, e piante di limone. Una biciclettina abbandonata per un balocco nuovo, alla sua vita, faceva ragnatele e ruggine in un canto, insieme a roba vecchia da buttare, che si lasciava lì, ad invecchiare. Avevo sette anni, e la certezza che avrei vissuto lì tutta la vita... ma giunta ad otto, ero già partita. Cosa mi resta ormai, solo un ricordo un po’ sbiadito, come un ombrellone che ha preso sole e pioggia un anno intero; aveva un cuore, la mia casa, un cuore vero, ed occhi alle finestre, come i disegni che fanno i più piccini... Ci torno nei miei sogni, e l’indomani ricordo solo il rosso dei gerani. Maria Rosa Dell’Angelo Primo premio LOMELLINA LA BUONA TERRA Entravi nel cortile la sera all’imbrunire la bicicletta per mano. Era la buona terra quella che portavi a casa ogni sera, incrostata alle tue mani, quella che impastavi di sudore ad ogni passo, nel solco dietro ai buoi a tracciare file di granoturco sotto il volo dei corvi a strappare gramigna di tristezza dalle zolle del cuore. Era odore di terra che impregnava la tua giacca, il tuo solito cappello e i pantaloni di fustagno che scacciavi la sera le gambe accavallate sulla sedia di paglia un ceppo nella stufa e un sigaro in mano. I tuoi occhi, sempre lucidi e chiari come biglie di vetro, il fuoco ascoltavi crepitare per oggi basta, dicevi, domani sarà dura. Eri uomo di terra ma tenevi nella tasca il biglietto sdrucito di un treno perduto e nascosti in fondo al cuore gli occhi di una donna e un sogno di mare. Umberto Druschovic ottobre - dicembre 2011 25 & Cultura&& Le foto Concorso di Fotografia, immagini da favola S QUEST’anno la mostra degli scatti si è tenuta al civico.17 Marta Costa, Luigi Pagetti, Marco Facchinotti e Fabio Rubini plendide immagini. Quelle in gara, e quelle che ritraggono il pubblico intervenuto alla premiazione. Ancora un altro testimone di merito per il Concorso Nazionale di Fotografia Città di Mortara, organizzato dal Gruppo Fotoamatori del Circolo Culturale Lomellino. Nella mattinata della domenica centrale della Sagra, alle ore 11 Angelo Baldi, primo premio nella sezione Motori L’appuntamento è uno dei pilastri portanti del fermento culturale che anima i giorni della Sagra del Salame d’Oca: sempre abbondante la partecipazione di concorrenti e pubblico 26 dello scorso 25 settembre, nell’ampia sala adibita a mostre del Civico.17, in via Vittorio Veneto, un centinaio di appassionati dello scatto fotografico hanno partecipato alla premiazione officiata da Luigi Pagetti, organizzatore della mostra fotografica e dallo storico presidente dei fotoamatori mortaresi Emilio Gallino. L’appuntamento, occorre ripeterlo, è tra gli eventi clou che connotano i frenetici giorni della Sagra del Salame d’Oca. Un appuntamento, che negli anni si è attestato nel gota dei concorsi fotografici. Anche quest’anno sono stati più di duecento i partecipanti che, da tutta Italia, hanno inviato i loro lavori-capolavori cui ha offerto competente attenzione la giuria composta da Augusto De Bernardi, Dario De Salvador, Antonio Mangiarotti, Mirella Vecchi, Andrea I L VA G L I O Del Frate, Giampiero Signorelli, Paolo Testori e Roberto Testori. A presenziare il concorso fotografico sono intervenuti l’assessore alla Cultura Fabio Rubini e l’ex vicepresidente e assessore alla Cultura della Provincia Marco Facchinotti. Entrambi hanno sottolineato l’importanza del concorso in atto, ribadendo la volontà di aver sempre un occhio di riguardo nei confronti suoi e di quanti gli offrono l’indispensabile linfa vitale. Quattro le sezioni in cui il concorso fotografico si suddivide: Tema Libero, Ritratto, Motori, Lomellina. Per il Tema Libero ha vinto Giulio Montini con “Berlino”. Per il Ritratto Pier Giuseppe Grolla con “I segni del Tempo”. Per i Motori, Angelo Baldi con “A tutto gas”. Per La Nostra Lomellina, Claudio Mancin con “Soffusa Atmosfera”. TRIMESTRALE DEL CIRCOLO CULTURALE LOMELLINO GIANCARLO COSTA RIVISTA DI CULTURA, STORIA E TRADIZIONI SEZIONE TEMA LIBERO, PRIMO PREMIO, “Berlino” di Giulio Montini SEZIONE RITRATTO PRIMO PREMIO “I segni del tempo” di Pier Giuseppe Grolla Anno 7 - Numero 4 Ottobre - Dicembre 2011 Reg. Trib. di Vigevano n. 158/05 Reg. Vol. - n. 1/05 Reg. Periodici Direttore responsabile Marta Costa Elenco speciale Albo professionale dei Giornalisti di Milano Coordinamento Sandro Passi Hanno collaborato a questo numero SEZIONE LA NOSTRA LOMELLINA PRIMO PREMIO “Soffusa atmosfera” di Claudio Mancin SEZIONE MOTORI PRIMO PREMIO “A tutto gas” di Angelo Baldi Le iniziative del Circolo Gli amici per un amico Concerto per Stefano Chiara Babilani Graziella Bazzan Gabriele Comeglio Umberto De Agostino Veronica Fasanelli Santino Invernizzi Alessandro Marangoni Giuseppina Morone (La collaborazione è a titolo gratuito) In copertina Fotografie di Luigi Pagetti Editore Circolo Culturale Lomellino Giancarlo Costa via XX Settembre, 70 - 27036 Mortara (PV) Coordinamento editoriale Alberto Paglino GRANDI CLASSICI LIVE Lunedì 26 Dicembre 2011 Il calendario 201 ore 17 dodici mesi di rico 2: rdi • Auditorium Città di Mortara Ingresso libero Viale Dante Comune di Mortara Assessorato alla Cultura Dodici mesi ch e ripercorrono la “vecchia” Mortara con suoi scorci, le i su e viali, protag e vie, piazze on vissimo calend isti del nuoario 2012 de Circolo Cul turale Lomel l lino, disponibile , presso l’Agenz da dicembre, ia XX Settembr Costa di via e. dell’almanacco Ogni pagina è corredata da immagini d’epoca. 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