Anno 7 - Numero 4 Ottobre - Dicembre 2011

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Anno 7 - Numero 4
Cultura
Ecomuseo
del paesaggio Lomellino
R i v i s t a d i C u l t u r a S t o r i a e Tr a d i z i o n i
Ottobre - Dicembre 2011
Sommario
In copertina
Editoriale
Fotografie
di Luigi Pagetti
La splendida emozione di cantare insieme
di Santino Invernizzi
4
La realtà artistico-musicale nell’Ottocento
di Giuseppina Morone
7
di Veronica Fasanelli
9
La Scuola civica musicale oggi
3
Salvati da una dolce melodia...
di Pinuccia Morone 10
Scusi, vuol ballare con me...
di Graziella Bazzan 12
C’era una volta il “Giuseppino canoro”
Nei campi echeggia il canto delle mondine
“Vice”, la voce delle piazze
Musica, suoni e rumori
L’armonia che tiene insieme il mondo
14
di Chiara Babilani 16
di Umberto De Agostino 18
di Gabriele Comeglio 20
di Alessandro Marangoni 22
Un applauso lungo quarantacinque anni di Poesia
24
Concorso di Fotografia, immagini da favola
26
Incanto
Sogni stellati scivolano sull’Arbogna
dove il fruscio dell’acqua
cadenzato dallo sbuffare di una civetta
rincorre se stesso
svolgendo nastri argentati di luna.
Lo zufolo della corrente
fra il silenzio delle rive
accorda spazi musicali
alle foglie dei pioppi.
Di onde color madreperla
in onde arabescate di stelle
la mia ombra inquieta
si tufferà nell’incanto dell’Arbogna.
da “Fuga di sole”,
Giancarlo Costa (1990)
EDITORIALE
La cultura della musica, la musica come cultura
Storie e pensieri
disegnati
sul pentagramma
L
di
Marta Costa
a musica è una faccenda così vasta,
così ecumenica, così onnipervasiva
che dedicarle un singolo numero del
Vaglio sarebbe stato un delitto. Tale
e tanta è la mole di argomenti connessi all’arte delle sette note che, a tre mesi di
distanza dal precedente numero tematico, sulle
pagine di questo periodico torna a vibrare un’articolata sinfonia di contributi ad essa dedicati.
Era praticamente inevitabile. Perché i suoni sono
elementi universali, presenti cioè in tutto ciò che
è materia. Dalle onde del mare alle performance
delle più quotate filarmoniche, dal rumore del
bus che passa lungo la via alla delicatezza diffusa dalle corde di un’arpa, non esiste fenomeno
“fisico” privo di un suo effetto acustico. Bello o
brutto che sia. Quindi, dato il tema, gli orizzonti
da esplorare non sono semplicemente “grandi”,
bensì “massimi”. Gli autori dei servizi pubblicati
su questa uscita del Vaglio, muovendo dai punti
d’osservazione più svariati, quegli orizzonti li
hanno scandagliati egregiamente. Si sono immersi in un fiume inarrestabile di tonalità, intensità, volume. Si sono arrampicati su alti rilievi
montuosi, con la vetta persa nelle nebbie dello
spirito, raccogliendo lungo il cammino i fiori di
una magnifica e ben radicata pianta.
Ed è particolare motivo di orgoglio annoverare
tra le firme di questo trimestrale persone che
hanno eletto la musica a spina dorsale della propria vita, come la giovane Veronica Fasanelli,
il direttore della Corale Laurenziana Santino
Invernizzi, gli affermati Alessandro Marangoni
e Gabriele Comeglio. Rimarchevoli, poi, i due
articoli di stampo storico confezionati da Giuseppina Morone, valente ricercatrice, scrupolosa
indagatrice di quelle carte d’archivio snobbate
dai più. Dentro a quei fogli ingialliti, a dispetto dell’indifferenza, c’è un mondo da scoprire,
denso di curiosità e aneddoti che aiutano a capire
meglio l’oggi. Senza dimenticare le immagini velate dalla patina del tempo che Graziella Bazzan
dispensa nel suo amarcord sulle balere degli anni
Cinquanta, simbolo di un’Italia alle prese con la
ricostruzione della propria identità. E ancora, come non sentirsi partecipi delle fatiche delle mondine leggendo lo splendido excursus redatto da
Chiara Babilani? Sembra quasi di sentirle cantare, le mondariso, incurvate nel campo a guadagnarsi la pagnotta sotto lo sguardo accigliato
del “sciur padrùn”. Ma non meno evocativo di
figure d’altri tempi è il contributo di Umberto De
Agostino, appassionata e appassionante ricostruzione della parabola dell’ultima cantastorie lomellina. Bene, la partitura è completa. I fiati, gli
archi, le percussioni e così via hanno disegnato
nell’aria le loro linee, raccontando vicissitudini,
esprimendo punti di vista, articolando complessi
pensieri filosofici. L’ascoltatore, pardon, il lettore ha davvero l’imbarazzo della scelta. Anzi,
perché scegliere? Meglio leggere quanto segue
da capo a fondo. Ne vale la pena, non c’è che dire. Alla fine si avrà la sensazione di aver assistito
a un grande concerto, in cui la vera protagonista, che si staglia sui pur bravissimi esecutori, si
chiama musica.
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Cultura&&
Polivocalità
La splendida
emozione
di cantare insieme
L’Esperienza della corale laurenziana di mortara
“
Alla Messa
di Mezzanotte
dell’anno 1920,
nella chiesa
di San Lorenzo
si celebrano
due nascite:
la Natività di Gesù
e l’inizio di attività
della nuova
Schola cantorum
4
N
Santino Invernizzi*
ulla c’è più nobile del canto, virtù salvatrice di umanità. Per questo quando
un popolo canta c’è da sperare ancora.
Nulla fonde animi e caratteri quanto un
coro, quando è vero coro: allora l’esserne componenti, l’incontrarsi all’appuntamento, il ritrovarsi e il sentirsi presenza necessaria a cantare, è come
un convenire di innamorati. Allora il sacrificio diventa
spontanea gioia e nuovo entusiasmo per vivere!”
Parole intense e pregnanti queste di David Maria Turoldo, il quale, nel definire l’essenza del canto corale,
sembra aver consapevolmente delineato l’affascinante
esperienza della nostra “Corale Laurenziana” del San
Lorenzo in Mortara.
La bella realtà culturale mortarese ha ormai festeggiato
i novant’anni di fondazione e dunque di attività. Scrive
monsignor Paolo Rizzi, storico e studioso della figura e
dell’opera pastorale del grande parroco di San Lorenzo,
monsignor Luigi Dughera, nel suo volume “Monsignor
Luigi Dughera, maestro e Padre del suo popolo” (Editrice Vaticana, 2003): “Al suo ingresso nella prepositurale di San Lorenzo, il 7 settembre 1919, festa della
Madonna delle Grazie, don Luigi Dughera trova una
Schola cantorum disgregata, precaria, composta di soli
uomini, com’era consuetudine in quegli anni, e non più
adatta ad assolvere le funzioni tipiche di un coro parrocchiale. Intuisce così da subito l’esigenza di trasformarla
radicalmente nella sua composizione, nelle sue finalità,
nell’approccio alle celebrazioni, come pure nella direzione artistica e musicale, secondo criteri più rispondenti alle esigenze liturgiche e alla propria sensibilità di
pastore, una Schola cantorum che sia elemento nodale
per dare impulso all’azione liturgica parrocchiale. Egli,
infatti, precisa che la nuova realtà canora dovrà “porre
I L VA G L I O
costantemente alla portata del popolo cristiano i contenuti del patrimonio liturgico della Chiesa, mediante
il canto sacro e la musica sacra”. Tale prospettiva, che
rientra nell’ambito delle “iniziative di culto”, primo dei
cinque punti del programma pastorale annunciato da
monsignor Dughera nel giorno del suo ingresso, connota da sempre la specificità del Coro Laurenziano e ne
costituisce la fondamentale e preminente finalità, come
pure la ragione più vera della sua così lunga e prospera esistenza. Alla messa di mezzanotte dell’anno 1920,
nella chiesa di San Lorenzo in Mortara, si celebrano due
nascite: il mistero della Natività di Gesù e l’inizio di
attività della nuova Schola cantorum, dono dello Spirito Santo e ideazione felice di un grande e indimenticabile parroco, monsignor Luigi Dughera. La prima
esecuzione del nuovo coro, formato da venti elementi,
è da sempre ritenuta la data di fondazione; al riguardo,
nota il prevosto Dughera che da quel giorno “si ebbero
funzioni brillantissime, con esecuzioni di canto liturgico e di quartetto d’archi, con consolante partecipazione
di popolo”.
Il sacerdote coadiutore, don Attilio Gatti, assunse il
ruolo di direttore e il maestro Ettore Schinelli, insigne
musicista mortarese, lo affiancò in quello di organista.
Negli anni Quaranta ebbe poi inizio l’importante e storica collaborazione tra la Schola Cantorum di San Lorenzo e il noto musicista mortarese Mario Corti, il quale
ricevette e mantenne la carica di organista fino alla metà
degli anni Sessanta: egli contribuì in modo determinante alla crescita musicale del Coro, grazie alla sua sensibilità di esecutore, di compositore e di uomo di fede.
Una storia, quella della “Laurenziana”, che si innesta
nel mistero della vita pastorale della Chiesa, in particolare di quella porzione di “Chiesa locale” affidata al
vescovo di Vigevano e al parroco della basilica di San
Lorenzo in Mortara: raccogliere un’eredità tanto impegnativa sul piano della fede quanto pregevole su quello
strettamente esecutivo e artistico non è stato facile per
i due giovani laici che, nell’autunno del 1970, l’allora
prevosto della basilica, don Mario Calvi, mite e perspicace “pastore”, scelse come nuove “guide” della Corale
Laurenziana”: in loro, egli intravide persone idonee,
nonostante la giovane età, a guidare il percorso del coro parrocchiale in una stagione complessa, segnata da
contrastanti correnti e mode anche in ambito liturgico.
Nel corso di quarant’anni, essi hanno cercato infatti di
armonizzare adeguatamente l’imprescindibile fedeltà ai
fini essenziali, stabiliti dal fondatore monsignor Dughera, come anche il mantenimento dei brani classici, con
le diverse esigenze che sono via via emerse nel panorama ecclesiale. A Mauro Ziglioli e a chi sta scrivendo
(questi i due giovani!), già voci bianche della Schola
Cantorum e avviati agli studi musicali, il prevosto Calvi non chiese puntualmente e provvidenzialmente di
cambiare rotta nel progetto canoro-musicale, ma di integrarlo e arricchirlo in conformità alle esigenze della
sensibilità ecclesiale, maturata a seguito delle istanze
innovatrici del Concilio Vaticano II.
Così Mauro e io assumemmo la direzione artistica,
Mauro come organista, io come direttore del Coro;
l’attività della “Corale Laurenziana”, fino a quel tempo esclusivamente liturgica, venne estesa anche alle
esibizioni concertistiche e Mauro Ziglioli si mise in luce pure in qualità di sensibile compositore di musiche
sacre. Nel corso di quarant’anni abbiamo “guidato” la
Corale con intenso impegno e profondo spirito di servizio, accompagnati dalla sempre proficua collaborazione
con i parroci che si sono alternati. Le conseguenze si
rivelarono nel tempo positive e soddisfacenti: il rinvigorimento della tensione ministeriale della Schola
cantorum, rinominata da noi “Corale Laurenziana”, e
il suo costante progresso canoro-musicale, sempre in
linea con l’insegnamento della Chiesa, i cui documenti
prevedono che a volte il coro canti con l’assemblea, a
volte canti dialogando con l’assemblea, altre volte canti
per l’assemblea.
L’improvvisa tragica scomparsa di Mauro Ziglioli ci
ha lasciati distrutti nell’incredulità e nel dolore: ho visto spezzata senza un’umana spiegazione un’amicizia
fraterna che mi aveva da sempre accompagnato e sostenuto, ho sentito disintegrarsi in un istante il “capolavoro” che, con l’aiuto di Dio, avevo con tanta passione
“forgiato” insieme con Mauro; la volontà divina mi ha
tuttavia messo immediatamente di fronte alla potenza
con la quale il Signore ”solleva” sempre anche dopo la
prova più dura. Proprio in quella condizione disperata,
come quando si è costretti ad abbandonare ciò che si
possiede di più caro, consapevoli di non ritrovarlo mai
più, ho riaperto gli occhi gonfi di pianto e nostalgia e
mi sono ritrovato nell’abbraccio di tutti i miei cantori,
stretti con incomparabile affetto intorno a me nel ricordo intenso e sofferto dell’ indimenticabile Mauro. La
loro presenza, discreta e al contempo viva e vibrante, mi
ha permesso di dare ancora significato alle loro incessanti richieste e attestazioni: “Dobbiamo andare avanti,
perseguire con forza e volontà gli obiettivi di passione, arte e fede che Mauro ci ha sempre attestato come
fondamenti della nostra attività musicale e corale!”. L’
“arrivo” provvidenziale di Mattia Paganini, già tenore
della Corale, appassionato musicista e organista ha infine contribuito a completare il “miracolo”: egli mi ha
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Santino Invernizzi
dirige la Corale
Laurenziana
La storia
della Laurenziana
si innesta
nel mistero
della vita
pastorale
di quella
“Chiesa locale”
affidata
al vescovo
di Vigevano
Da sinistra:
Santino Invernizzi,
Mario Corti e Mauro Ziglioli
affiancato nella piena disponibilità a condividere, nella
fatica e nella gratificazione, il cammino e l’attività del
coro, a gestirne insieme le prospettive artistico-musicali-culturali, ad essere “presente” nella responsabilità e
nell’aiuto reciproci.
Mi ritrovo spesso a riflettere su questa mia “lunga” esperienza in seno alla “Corale Laurenziana” e comprendo sempre più chiaramente che il Signore non avrebbe
potuto riservarmi le gioie che mi ha donato, comprese
quelle della famiglia, se non fossi rimasto così “legato”
all’attività del canto corale, tanto che concludo frequentemente i miei pensieri nella convinzione che l’uomo
non possa fare a meno di
cantare: ancor più che per
suonare e danzare, l’uomo è fisiologicamente
strutturato per cantare.
Il gesto del canto esige
tuttavia un coinvolgimento del corpo molto più
pieno che non l’esercizio
del pensare e del parlare;
cantando, per esempio, si
dona con maggiore intensità, proprio come succede a chi, attraverso l’urgenza del canto, intende
manifestare la pienezza
del cuore per un obiettivo
raggiunto o per una gioia
vissuta, quasi un’esplosione che dall’intimo viene alla
luce.
L’impegno e la fatica delle prove settimanali per l’apprendimento dei brani, per la loro concertazione e il
Il gesto del canto
implica
un coinvolgimento
del corpo molto
più pieno
che non l’esercizio
del pensare
e del parlare.
Cantando,
si dona
con più intensità
6
I L VA G L I O
loro affinamento vengono perciò ampiamente ricompensati non solo dal risultato esecutivo, artisticamente
appagante, ma pure dal piacere di stare insieme, uniti
da un unico ideale, il canto, attraverso il quale vibrano
nel cuore di ciascun corista i sentimenti più veri e le
emozioni più profonde.
I coristi, oltre ad essere ben consapevoli di tutto questo,
sono davvero fieri di coinvolgere chi li ascolta trasmettendo emozioni non solo con la voce, ma anche con
il cuore e con la mente. Cantare in un coro permette
certamente di raggiungere importanti traguardi sia sul
piano della tecnica vocale sia su quello dei valori umani
e spirituali: oltre a seguire
il tempo scandito dal direttore, a essere melodiosi e
a respirare in modo armonico utilizzando consapevolmente il diaframma, si
impara a non far prevalere
mai la propria voce sulle
altre... dunque a controllarla, uniformandola e
assimilandola a quella dei
colleghi coristi, a realizzare lo spirito di squadra, a
coltivare l’amicizia, il rispetto reciproco, il desiderio di crescere e imparare
Parrocchia di San Lorenzo insieme, in una parola... a
vivere meglio con se stessi,
con gli altri e con Dio.
Per questo... cantare è davvero bello! Basta provarci!
*Direttore della “Corale Laurenziana”
La realtà
artistico-musicale
nell’Ottocento
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Cultura&&
Storia
testimonianze dell’eccellenza mortarese nel xix secolo
M
Giuseppina Morone
La Società Filarmonica di Mortara:
prime testimonianze
ortara, dopo la Restaurazione, in
seguito alla caduta di Napoleone, rientra nel Regno di Sardegna, sotto il
governo dei Savoia e diventa capoluogo della provincia di Lomellina.
Questa posizione di prestigio le permette di esprimere e
coltivare, anche in campo artistico e musicale, i propri
talenti, testimoniati da numerosi documenti conservati
nel suo Archivio storico e da una preziosa raccolta di
spartiti, strumenti ed oggetti conservati nel Museo “Amico Amelio”.
I primi documenti che testimoniano la presenza e l’attività di una Società Filarmonica e di una Società Filodrammatica nella città di Mortara risalgono al periodo
che va dal 1844 a tutta la seconda metà dell’ Ottocento.
La Società Filarmonica, denominata anche Accademia
Filarmonica, ha un indirizzo più specificatamente musicale e comprende una banda ed un’orchestra, dirette
dallo stesso Maestro, con incarico assegnato previa selezione fatta da un’apposita Commissione, incaricata
dal Comune di Mortara.
La Società Filarmonica precede di qualche anno l’inaugurazione del Teatro Vittorio Emanuele II, avvenuta nel
1846.
Il Teatro Vittorio Emanuele II, fatto erigere dalla Associazione Agraria Piemontese, valorizza subito non solo
la città, ma anche le iniziative artistico – musicali sostenute e caldeggiate dal Comune stesso.
***
Nasce la Banda della Milizia Nazionale
In una lettera datata 20 maggio 1850 e firmata dal Signor Ragazzone Vittorio, negoziante di stoffe a Morta-
ra, si legge che il suddetto Signor Ragazzone “è comparso davanti all’amministrazione eletta per lo stabilimento di un’accademia filarmonica e banda militare di
Mortara per offrirsi di fornire Kepy, daghe, cinturoni ed
altri oggetti di cui si è deliberato di fornire ogni musicante componente la banda militare”.
Si deduce che la Società Filarmonica, legata alla Banda Musicale, ne vedrà la trasformazione in un Corpo
bandistico con l’intestazione: “Banda della Milizia Nazionale – Battaglione di Mortara”, infatti la Banda sarà
inquadrata nella Guardia Nazionale, cioè nell’Esercito
piemontese.
Tale cambiamento comporta un adeguamento a livello organizzativo, attestato da due documenti di sottoscrizioni. Il primo documento, datato 1849, contiene
le “Sottoscrizioni originali per la Banda musicale” e
si apre con la seguente premessa: - Milizia Nazionale
– Battaglione di Mortara. Li sottoscritti si obbligano
spontaneamente di pagare nella Cassa dell’Esattore
del Mandamento di Mortara od in quell’altra che verrà
determinata l’annua somma infra notata ripartitamente di mese in mese affinchè venga eretto e stabilito un
Corpo di Musica per la Milizia Nazionale di questa città… Il secondo documento, datato 1851, si apre invece
come segue: Città di Mortara - Società Filarmonica e
Banda Della Milizia Nazionale. La Società Filarmonica e della Banda della Milizia Nazionale secondo i
suoi statuti si scioglie col fine dell’anno in corso 1851.
Esigendosi dai gentili costumi dei tempi che si fecondi
lo studio dell’arte musicale, la Società in sua adunanza
generale del 21 aprile 1851 determinava che si apra una sottoscrizione duratura ed obbligatoria per un triennio che incomincerà col venturo 1852...
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All’indomani
della Restaurazione
post-napoleonica,
la posizione
amministrativa
di capoluogo
della provincia
di Lomellina
permise a Mortara
di coltivare
i propri talenti
Vi sono alcuni punti da chiarire e precisare. Nei due
documenti citati si parla solo di Banda della Milizia Nazionale. Sorge un dubbio: in questi anni a Mortara convivono due Bande ed un’Orchestra o la Banda è unica
con una doppia funzione: civica e militare?
Il Comune di Mortara, in questo periodo, ha una Società
Filarmonica che si scioglie alla fine del 1851, ma che
prima apre una sottoscrizione della durata di un triennio. La suddetta Società sparirà o si ricostituirà cambiando nome? Come e perché è avvenuta tale trasformazione? La risposta a questa duplice domanda è data
da un documento che ha un titolo particolare: “Pensieri
per migliorare la condizione dell’Accademia filarmonica e di disporla a vantaggio della Milizia Comunale”.
Il documento non è né datato né firmato; sembra una
raccolta di appunti personali per una proposta da fare
al Consiglio Comunale e potrebbe essere stato scritto
indicativamente intorno al 1848 o al 1849. L’autore,
facendo riferimento all’istituzione della Milizia Comunale decretata da “S. M. l’Immortale Nostro Re Carlo
Alberto”, che chiedeva anche di “attivarla ne’ Regj Suoi
Dominj dall’età di 21 anno fino al 55 inclusivamente”,
sottolinea che la Civica Amministrazione di Mortara si
è subito impegnata “di corrispondere alle Sovrane intenzioni, attivando un corpo di Militi in parte equipaggiato di tutto punto e capace di fare bella mostra di se
stesso in una militare rivista”. Subito dopo lo scrivente
dipana le sue considerazioni, alternando lodi a richieste di sovvenzioni da parte del Municipio o dall’Intendente di Lomellina o da generosi cittadini per fornire
le uniformi regolamentari a tutti “li cittadini che fanno
parte della Milizia Comunale”. Questa però è solo una
premessa, infatti il discorso è finalizzato a raggiungere
un obiettivo più importante: “Il progetto già formulato
da questa Civica Amm.e di formare un Battaglione a
cui concorrerebbero di buon grado li Militi dei Comuni
componenti questo Mandamento, se torna di Sommo
onore a questa città, egli è d’uopo che la città stessa
contribuisca con qualche sacrificio alla formazione di
una Banda Militare ad esempio di altre Città dello Stato
di cui farebbero parte gl’allievi dell’Accademia Filarmonica”… Successivamente è documentata l’esistenza
di un’unica Banda Nazionale, dipendente dalla Società
Musicale.
***
Il “Regolamento pel Corpo Musicale
della Città di Mortara” del 1880
Dopo l’unificazione d’Italia, il Corpo Musicale della
città di Mortara ha acquisito una sua fisionomia precisa,
ben definita nel “Regolamento pel Corpo Musicale della Città di Mortara, approvato dal Consiglio Comunale
in seduta 29 giugno 1880”.
***
Nascono le Scuole di Pianoforte,
Organo e Canto Corale
Nel 1881 alle Istituzioni musicali della città di Mortara
viene aggiunta una Scuola di Pianoforte, Organo e Canto Corale, diretta da un proprio Maestro e presieduta
dalla Commissione Municipale; la somma occorrente
per il mantenimento di questa Scuola e per il pagamen-
Nel 1881
alle istituzioni
musicali si aggiunge
una Scuola
di Pianoforte,
Organo e Canto
Corale, diretta
da un proprio
Maestro e presieduta
dalla Commissione
Municipale
8
I L VA G L I O
to dello stipendio del Maestro viene stanziata annualmente nel Bilancio Comunale. Questa nuova istituzione
ha un proprio Regolamento, che viene approvato il 29
gennaio 1882 e che sarà successivamente modificato in
adunanza del dicembre 1887. Si è scelto di sintetizzare
il tutto stralciando le informazioni principali, sottolineando le modifiche più significative e procedendo in modo schematico con domande e rispettive risposte.
Quanti alunni sono ammessi a frequentare questi corsi?
Nel Regolamento del 1882 al Maestro sono affidati 26
alunni gratuiti: 2 per lo studio del pianoforte, successivamente istruiti anche nel suono dell’Organo, e 24 per il
Canto Corale. Nel Regolamento modificato del 1887 si
riduce a non più di 17 il numero degli alunni, preferibilmente residenti a Mortara, con un limite di età: 17 anni
compiuti per i maschi e 15 anni per le femmine.
Come è organizzata l’istruzione?
L’istruzione viene impartita in quattro giorni alla settimana ed ogni lezione dura 2 ore; l’istruzione elementare prevede almeno 2 lezioni settimanali per sesso e
non viene impartita contemporaneamente a maschi e
femmine, a differenza delle esercitazioni e delle prove
di cori melodrammatici. Ogni settimana vi è un’esercitazione o prova complessiva.
Quali sono gli strumenti a disposizione?
La Scuola è fornita di un pianoforte e dei necessari metodi di insegnamento. Ha un proprio Archivio custodito
dal Maestro, con relativo inventario in duplice copia (una per il maestro ed una per la Commissione).
***
Componenti del Corpo Musicale,
strumenti e fornitori
Un documento del gennaio 1889 riporta un elenco dettagliato dei componenti del Corpo Musicale suddivisi
in 1ª- 2ª - 3ª classe per Banda ed Orchestra; 1ª- 2ª - 3ª
classe per Banda sola, per un totale di 25, ai quali si
aggiungono 8 Musicanti per sola Orchestra. Accanto a
ciascun nominativo sono indicate la quota di stipendio
e la quota di straordinario per veglione; le cifre variano
dalle 80 alle 15 lire, in base alla classe di appartenenza
e probabilmente all’impegno richiesto. Sugli strumenti musicali è bene ricordare che presso il Municipio di
Mortara vi era un Archivio Musicale in cui erano custoditi vari strumenti messi a disposizione degli allievi e
dei Componenti della Banda e dell’Orchestra; anche gli
spartiti musicali, suddivisi per strumento, erano conservati nel suddetto archivio e quindi erano di proprietà del
Comune. Il Segretario della Commissione registrava
puntualmente consegne e restituzioni, indicando anche
lo stato di conservazione ed eventuali danni.
Chi erano i fornitori?
Dalle fatture su carta intestata si scopre che i principali
fornitori di strumenti per il Corpo Musicale, negli anni
1883–84, erano due: “Giuseppe Pellitti – fabbricante
Strumenti Musicali – Milano” e “Ricordi & Finzi successori a Prestinari – Milano”.
***
Concorsi per Direttori di Banda e Orchestra
Nell’Archivio storico di Mortara sono conservati registri, lettere e domande di Concorso al posto di Maestro
Direttore della Banda e d’Orchestra di Mortara, tutti
con date comprese fra gli anni 1888 e 1890.
Sfogliando le varie domande ed i registri degli esami di
concorso, stupisce il fatto che i partecipanti presentano
titoli e diplomi di alto livello e provengono da tutt’Italia. Questa osservazione convalida l’importanza riconosciuta del Teatro e del Corpo Musicale di questa città.
***
Le Relazioni della Commissione Musicale-Teatrale
In quegli anni molti Comuni, come Mortara, coltivavano e favorivano lo studio e la passione per la musica nei
giovani e negli adulti, organizzando spettacoli teatrali
e concerti sia per la cittadinanza sia per gli spettatori
provenienti da paesi limitrofi.
La fama ed il successo attiravano un pubblico sempre
più numeroso ed alimentavano l’impegno serio e responsabile dei Musicanti e dei loro Maestri, ben evidenziato nelle Relazioni della Commissione Musicale.
Nella Relazione datata 3 novembre 1892, riguardo al
Corpo di Banda si sottolinea che, nonostante varie “peripezie” sopportate negli ultimi due anni, al momento si
è ristabilita, “sia per il numero sia per il valore artistico”, la situazione precedente il biennio di crisi. A conferma di questa ripresa viene citato il gradimento del
pubblico, dimostrato dai numerosi servizi a pagamento
richiesti in città e fuori, così numerosi “da superare la
media annuale dell’ultimo decennio scorso”. Questo
non esclude però la necessità di completare e perfezionare l’impegno per curare l’istruzione, la formazione e
soprattutto la disciplina dei Musicanti, dai più giovani
ed inesperti ai più anziani resi saggi dall’esperienza.
Nella Relazione della Commissione Teatrale e Musicale
sulla gestione 1894 la situazione del Corpo d’Orchestra
risulta positiva e soddisfacente, per il Corpo di Banda
si evidenziano alcuni problemi legati “alle condizioni
poco floride di commercio della nostra città, le quali
obbligando molti degli operai facenti parte del Corpo
di Banda a cercare un pane in paesi forestieri, porta un
continuo mutamento di persone nel Corpo, alterando
quell’affiatamento, così necessario per l’esecuzione,in
tutti i corpi musicali. Ciò nonostante però l’opera veramente encomiabile del Maestro Angelo Galimberti e
dei suoi coadiutori, riesce a mitigare di molto questo
inconveniente…”. Il riferimento alla situazione di crisi
di fine secolo è evidente e se ne deduce la sua ripercussione anche nel settore artistico- musicale della città
di Mortara, poiché la povertà e l’emigrazione incidono
negativamente sulle possibilità e sulla disponibilità di
tempo e di opera nei Corpi Musicale e Teatrale.
Infine la Relazione fa un accenno esplicito alla necessità di interventi di restauro nel Teatro Vittorio Emanuele,
per i quali erano già stati esaminati i preventivi di “persone competentissime” ripudiati però man mano perché
eccedenti di molto alla somma bilanciata dal Consiglio
Comunale. La Commissione quindi propone di limitare i riattamenti alle sole parti interne, ma subito dopo
esprime le proprie previsioni dubbiose e poco rassicuranti, essendo consapevole che le spese, per quanto contenute, supereranno certamente la somma bilanciata.
La Scuola
civica
musicale
oggi
UN RITORNO alle origini
nel teatro civico?
L
Veronica Fasanelli
a Scuola civica vive un ritorno alle origini. Proprio dal ridotto del
Teatro si era partiti col Maestro
Clemente Ferraris, e li, si spera a
breve, si tornerà sotto la direzione
di Alberto Bonacasa, pianista jazz di fama internazionale. Il nuovo direttore ha all'attivo molteplici progetti musicali in Italia e all'estero, tra cui
la collaborazione con la Big Band di quello che
fu il suo maestro nonché predecessore alla presidenza della Civica: Gabriele Comeglio, altro
grande della musica nata a New Orleans, sassofonista, arrangiatore nonché direttore d'orchestra.
Dal classico a due jazzisti, fino all'ultima quasi
ventennale direzione della clarinettista Nicoletta
Bertolotti. Si attraversa così mezzo secolo di storia della scuola, passata dal ridotto del Teatro con
Ferraris, alle ex-carceri e un'ala della scuola elementare, a Palazzo del Moro e l'attuale palazzo di
piazza Guida. Un cerchio destinato a chiudersi,
in era Bonacasa, al punto da cui si era partiti, con
l'augurio che il Teatro torni a rivivere gli antichi
splendori anche musicali.
ottobre - dicembre 2011
La fama
e il successo
attirarono
un pubblico
sempre
più numeroso,
aumentando
di conseguenza
l’impegno
dei Musicanti
e dei loro Maestri
9
&
Cultura&&
Testimonianze
Salvati
da una dolce
melodia...
quando gli strumenti musicali sono più forti delle armi
S
La musica ha la sua
importanza
anche
in una caserma
militare.
Basti pensare
all’emozione
che suscitano
i cori e le bande
dei corpi e delle armi
dell’Esercito
10
Pinuccia Morone
fogliando le carte dell’archivio comunale dere lo spirito di “corpo” che lega ciascun militare al
di Mortara mi sono capitati tra le mani due proprio reggimento ed ai propri compagni.
documenti particolari, due lettere scritte da Il secondo documento è una cartolina postale che, in
due ex allievi della Civica Scuola Musica- data 22 ottobre 1916, Giuseppe Orlandi, bersagliere del
le, al momento sotto
XV Reggimento, Prima Compale armi. Il primo, Pietro Caprino
gnia, XLIX Battaglione, impesoldato del XIX Reggimento di
gnato in “zona di guerra”, indiartiglieria, di stanza a Firenze,
rizza alla famiglia Pastormerlo,
in data 8 marzo 1915, scrive al
Trattoria Unione, Porta Novara,
sindaco di Mortara Egisto CaMortara. Ne trascrivo il testo:
gnoni, chiedendo la concessione
“ Carissimi tutti... Punf … punf
di un clarino Sib per entrare nella
… punf
“Musichetta”, cioè nella fanfara
Tàcc … tàcc punf … Queste sono
del suo reggimento, diretta dal
le quotidiane note dei nuovi e
maresciallo Edoardo Colloriali,
ben perfezionati istrumenti
professore di Musica. Purtroppo
che oggi giorno si sente suonare,
la risposta del sindaco sarà negae che musica
tiva per mancata disponibilità del
una mistura Italo Austriaca
suddetto strumento. Questa lettesempre musica nuova e nuovi
ra mi ha fatto riflettere sull’immaestri che dirigono questo gran
portanza che la musica può avere
concerto
anche in una caserma militare e
e anche a me è toccata la sforsulla positiva funzione di una
tuna di essere stato spettatore
fanfara, piccolo corpo bandistico
a diversi di questi concerti e vi
che aggrega un gruppo di soldati,
garantisco che non mi auguro
alimentando sentimenti patriottiaffatto di esserci presente un’al“Il lettore: autoritratto”, tra volta,
ci e permettendo di esprimere le
Silvio Santagostino (1951) e rammento ancora le belle alcompetenze musicali acquisite.
Basterebbe pensare, a questo proposito, all’emozione legrie passate in compagnia della mia indimenticabile
che suscitano i cori degli Alpini, le bande militari dei Carolina al suono della ghitarra
Carabinieri, le fanfare dei Bersaglieri, capaci ancor oggi quella sì era musica che mi garbava!
di far rivivere il ricordo del valore, dell’eroismo e delle Ma spero presto di ritornarvi e come prima passare le
sofferenze dei nostri soldati in guerra o di far compren- ore liete.
I L VA G L I O
Complesso Artistico
XVI Corpo d’Armata
Ricevete i più distinti saluti a tutta la famiglia, al Sig.
Giovanni e ai Colleghi.
Vostro indimenticabile Pipu
Il ricordo dei bei momenti passati con la propria ragazza
ed allietati “dal suono della ghitarra”, si carica di nostalgia e, allo stesso tempo, alimenta la speranza del ritorno
a casa, ai propri affetti. Leggendo questi scritti li ho collegati alla frase di mio padre “La tromba mi ha salvato,
quando ero a militare”. Solo più tardi ho capito il vero significato di queste parole. Papà Mario era un alunno della Civica Scuola Musicale di Mortara, negli anni Trenta,
quando, ancora ragazzo, pur abitando a Sant’Albino e
lavorando come fattorino presso la ditta Guglielmone,
frequentava regolarmente le lezioni di tromba in Sib o
cornetta. Chiamato alle armi nel 1941, era stato arruolato
nel XXIX Reggimento Fanteria, dove era stato nominato
trombettiere del suo Battaglione. Successivamente, nel
gennaio del 1942, era stato aggregato al quartiere generale del XVI Corpo d’Armata ed inviato in Sicilia. Qui
mio padre era stato inserito in un complesso artistico, che
organizzava spettacoli per le truppe. Fu così che, pur essendo in zona di guerra, papà Mario visitò diverse località dell’isola, come testimoniano alcune sue foto, scattate
a Piazza Armerina e nella valle dei Templi ad Agrigento.
Fu per lui un periodo bello, nonostante i rischi e i pericoli del momento, fu un periodo pieno di amicizia con i
suoi commilitoni, con i quali condivideva un’autentica
passione per la musica, fu un periodo ricco di esperienze
nuove che lo arricchirono, permettendogli di coltivare e
di esprimere il suo talento musicale. Tutto questo durò
circa un anno e mezzo, fino all’8 settembre, data che segnò lo sbandamento di molti soldati italiani “in seguito
agli avvenimenti sopravvenuti all’armistizio”, come si
legge sul foglio matricolare di mio padre. Solo diversi
anni dopo io capii il significato della frase che egli ripeteva spesso: un giorno, casualmente incontrai un signore
che mi disse di essere stato commilitone di mio papà nel
XXIX Reggimento Fanteria, si commosse ricordandolo
e mi confidò che la sua tromba l’aveva salvato, perché
il XXIX Fanteria era stato mandato a combattere in Albania, dove era stato decimato... Altri militari sono stati
salvati da uno strumento o dalla loro voce. Basterebbe
leggere “Diario clandestino” di Giovannino Guareschi
per capire la potenza salvifica dell’arte e della musica in
un luogo terribile come un campo di prigionia. A conferma di questo è sufficiente aprire un catalogo del grande
pittore mortarese, Silvio Santagostino e soffermarsi davanti alle riproduzioni dei suoi acquerelli su carta dipinti
o abbozzati nel 1918, durante la sua prigionia nel campo
ungherese di Dunaszerdahely, dove era stato deportato
nel 1917, dopo che fu fatto prigioniero durante l’assalto
del suo reparto alle Melette di Gallio in Trentino Alto Adige. Gian Rodolfo Ceva ricorda così la triste esperienza
di Santagostino: “Ed è qui, in questo campo di concentramento, lontano dalla propria terra, dai propri cari,
prigioniero e compagno di uomini sconosciuti che egli,
seppur con mezzi poveri, ma con la costanza e l’amore
dell’artista, creerà, giorno per giorno, mese per mese le
sue più mirabili ed incisive opere …”.
Tra le altre si distinguono gli acquerelli che raffigurano alcuni musicisti, componenti la Banda musicale del
campo. I tre dipinti che raffigurano un “Suonatore di
violoncello”, un “Suonatore di chitarra” e un “Suonatore di mandolino” rivelano le doti artistiche di un grande
pittore, ma soprattutto il suo profondo interesse umano
per i soggetti.
ottobre - dicembre 2011
Per molti soldati
le sette note
hanno costituito
un appiglio
di speranza,
un momento
di sospensione
della sofferenza
nel corso
di dure esperienze
come la prigionia
11
&
Cultura&&
Ricordi
Scusi,
vuol ballare
con me...
Le FAVOLOSE atmosfere danzanti degli anni Cinquanta
L
Nel Dopoguerra
le radio
veicolano
l’arrivo di nuove
melodie ruggenti,
colonna sonora
della voglia
di ripartire,
di ricostruire,
di cambiare in meglio
la propria vita
12
Graziella Bazzan
a guerra, da cui l’Italia è uscita alquanto
malconcia, lascia profonde ferite, ma gli
anni Cinquanta a cui per forza di luogo comune viene aggiunto l’aggettivo favolosi,
si dimostrano un buon cicatrizzante e in
parte le rimarginano. Nell’aria, intrisa di perbenismo,
con città e industrie a pezzi e il commercio ancora in
mano alla borsa nera, si respira quella gran voglia di
voltare pagina, di ricostruire, di cambiare in meglio la
propria vita perché dopo tanti anni bui, carichi di tristezza, c’è voglia di serenità, di libertà, di divertimento. Con
la radio arrivano melodie
nuove, ruggenti, che fanno sognare, nascono così
le balere la cui storia riassume una moda che non
ha età. Si va a ballare a
piedi, in vespa o in lambretta, qualcuno, più fortunato, con la topolino;
sbocciano i primi amori
del Dopoguerra in questa
Italia che vuole crescere
e diventare grande. Le
balere, definite luogo di
perdizione dove emozioni e sentimenti portano inevitabilmente al vizio e al peccato, sono ritrovi delle classi popolari e si diffondono ovunque; si balla il sabato,
serata di maggior affluenza dove chiunque esce nella
speranza di poter rimorchiare, e la domenica pomeriggio, con sottofondo di canzoni che per qualcuno diventeranno la colonna sonora della propria vita. Musica
rigorosamente dal vivo, a Mortara echeggiano le note
dell’orchestra di Vero Mambrini, “Ciliegi rosa” è il suo
I L VA G L I O
più conosciuto brano musicale, che fa sognare un’infinità di coppie. Ovunque si organizzano serate danzanti
all’aperto, e il signor Vittorio, titolare di un noto locale
cittadino ha il suo da fare nel richiedere permessi per
pubbliche feste da ballo rionali e licenze provvisorie
per la vendita e consumazione di bevande analcoliche
nei rispettivi chioschi. E’ il 1955 , in via Mariannini 16
presso la balera “la Lucciola “ si esibisce l’orchestra
Dream Jazz e allo Zignago si apre la stagione estiva
giugno-settembre con la veglia dell’inaugurazione della
“modernissima pista da ballo all’aperto” con l’intervento del maestro Pippo Starnazza e il suo complesso,
al microfono Alma Rella.
I ragazzi al primo stacco
musicale partono in quarta
alla ricerca della ballerina.
Generalmente i balli sono
3, a rotazione: il lento, un
ballo figurato come valzer
o polka e un terzo più movimentato come il bogiewogie, il rock’n’roll’ e il
twist. La pista da ballo è
Un invito dell’epoca circondata da sedie, tutti
vedono tutti e tutto, in modo particolare i familiari delle
ragazze che sorvegliano, per l’intera serata, movimenti
e balli in pista. Dopo anni di separazione dei sessi, onde
evitare la perdizione, le balere riavvicinano pericolosamente uomini e donne e proprio per questo la società,
che elegge il senso del pudore a propria identità, prende
le dovute cautele diffondendo un ferreo codice comportamentale.
Da una parte della pista ci sono le donne e dall’altra
gli uomini a cui spetta di dovere la richiesta di invito al
ballo presentandosi alla ragazza scelta e a chi l’accompagna perché, come si conviene, non ci si presenta al
ballo da sole, una donna per bene deve sempre essere
accompagnata.
Gli uomini devono rispettare i limiti della decenza evitando di abbracciare troppo le ragazze e di abbandonar-
si a lascivi toccamenti!
A loro, vestiti a nuovo con capelli impomatati e brillantinati, non è concesso nessun tentativo di approccio durante il ballo, se non lo sfioramento lieve delle guance,
il noto cheek to cheek che fa avvampare le gote delle si-
gnorine o l’appoggio furtivo della mano sui fianchi della ragazza (la classica mano morta che persiste tuttora),
tentativo che va a vuoto perché la mano in questione
è immediatamente rimossa. Le ragazze, al centro della
pista, profumate di violetta o di lavanda, vestite come
vuole la moda del momento, volteggiano come vele
nell’azzurrità del mare, come nuvole nel vento, come
esche all’amo e qualcuno che abbocca c’è
sempre. Così la pista
di cemento o formata da pannelli di assi
di legno che si incastrano uno nell’altro, posta sotto un
romantico barsò di
glicine, o la classica
topia di vite americana, tra gli alberi di un
viale o nel cortile di
una vecchia osteria e
illuminata da una fila
di lampadine colorate, combina più matrimoni di Giunone
pronuba. Balera, discoteca di un tempo,
luogo ideale per chi
approfitta di un lento
per stringere furtivamente a sé la persona desiderata,
sotto un cielo trapunto di stelle. Balera, crocevia di cuori, dove forse durante un solo ballo, tra un tamarindo e
un ginger, nasce un amore destinato a durare per tutta la
vita o per un unico giro di pista. ottobre - dicembre 2011
Giovani lomelline
alla balera
“La Lucciola”
In basso:
L’Orchestra Vero Mambrini
Dopo anni
di separazione
dei sessi, le balere
riavvicinano
uomini e donne
e proprio per questo
la società prende
le dovute cautele
diffondendo
un ferreo codice
comportamentale
13
&
Cultura&&
Bambini
S
Il progetto
di un gioco musicale
nacque nel novembre
del 1979 , da un’idea
di Giovanni Starone,
Attilio Gervasoni
e don Luciano
Dall’O, dopo
una riunione
del consiglio
pastorale
14
C’era una volta
il “Giuseppino
canoro”
ascesa e declino di un vivaio di piccole ugole d’oro
entir parlare oggi del Giuseppino Canoro è non ancora in attività concertistica (come accade oggi),
qualcosa che lascia meravigliati perché a di- che si ritrovò catapultato a coordinare e a insegnare le
stanza di quindici anni dall’ultima edizione, canzoni , ricoprendo il ruolo del maestro ai concorrenti
si percepisce ancora l’emozione e il piacere che avevano quattro, cinque anni in meno di lui!
con cui i protagonisti e il pubblico racconta- Dal 1980 al 1987 la manifestazione si svolse nella sano le avventure di questo spettacolo mortarese, divenu- letta dell’asilo Marzotto divenendo poi, col passare
to un piccolo pezzo di storia degli eventi cittadini .
del tempo, un evento di notevole interesse da parte del
Eppure, navigando su internet, non vi è alcuna traccia pubblico e della stampa locale. Ma come tutti i bimbi
del Giuseppino Canoro, ma tra coloro che furono i bam- che crescono ad un certo punto il vestitino cominciava
bini mortaresi negli anni Ottanta,
ad essere troppo stretto, fino a refino alla metà dei Novanta, ha un
alizzare che non poteva più essere
posto d’onore, un preciso angolo
soltanto una manifestazione con un
del cuore tra i ricordi più cari lepubblico strettamente parrocchiale,
gati alla musica.
fatto solo di gente del quartiere, fanIl progetto di un gioco musicale
ciulle trepidanti, bravi ragazzini dai
(attenzione, non l’abbiamo desanissimi principi che le mamme
finito una gara canora, perché
speravano un giorno sposi delle loro
l’intento - perfettamente riuscito
figliuole e suore emozionate. Quin- era quello di giocare con la mudi... si cambia location , apertura dei
sica) nacque nel novembre 1979,
cancelli ad un pubblico più vasto e
da un’idea di Giovanni Starone,
molti posti a sedere in più. Come
Attilio Gervasoni ed il parroco
per incanto, nel 1988, il Giuseppidon Luciano Dall’O, dopo una
no venne ospitato nell’aula magna
riunione del consiglio pastorale
delle scuole Elementari, sede in cui
dell’allora parrocchia di San Giurimase fino al 1993. Dal 1994 fino
seppe, una piccola oasi felice che
al 1996 , sempre per il crescente
custodiva un’autentica città di
successo della manifestazione, e
ragazzi, ragazze, bimbi e bimbe.
l’ottimo appoggio della stampa, il
Da qui una manifestazione dediteatro divenne l’Angelicum.
cata ai più piccini che dovevano
Un giovanissimo Mauro Starone Lo scopo del Giuseppino Canoro
cantare una canzone ciascuno,
era di creare un appuntamento muper proclamare poi il vincitore o la vincitrice, con premi sicale annuale per i bambini in età dai 6 ai 10 anni di
e caramelle per tutti.
Mortara e paesi limitrofi, arrivando a far cantare, in tutte
La parte organizzativa dell’evento e tutta la sezione mu- le diciassette edizioni circa duecento concorrenti.
sicale venne presa a cuore ed in carico dalla prima sino Tra gli illustri collaboratori del Giuseppino Canoro
all’ultima edizione da un Mauro Starone quindicenne, vi furono il professor Pierangelo Martinoli, coinvolto
I L VA G L I O
Pierangelo Martinoli
e una premiata
anche spesso come valletto di lusso, durante le varie
edizioni, Massimo Ricci che impersonava “Carletto”
scolaro eternamente ripetente col sogno di cantare al
Giuseppino, Teresio Papetti e tutti gli attori della compagnia dialettale San Giuseppe, costola della rinomata
Compagnia Dialettale Mortarese.
Il Giuseppino Canoro fu anche molto generoso, sebbene avesse un ingresso ad offerta. Dagli archivi della
manifestazione si ricordano nel 1994 un incasso di lire
1.200.000 devoluto ai bambini della ex Jugoslavia tramite la Caritas, nel 1995 lire 1.000.000 per i bimbi albanesi, nel 1996 lire 1.000.000 per i bambini bisognosi
di Mortara.
Scorrendo l’albo d’oro e l’elenco dei partecipanti ritroviamo nomi conosciuti, alcuni addirittura con una posizione importante in campo professionale: un esempio
per tutti Chiara Perazzolo, oggi affermata voce lirica ed
insegnante di canto anche alla Civica di Mortara.
Il Giuseppino Canoro terminò con l’edizione del 1996.
Questo racconto è uscito da una chiacchierata con Mauro Starone, l’organizzatore della manifestazione per tutti
i suoi anni. Quando gli abbiamo chiesto il motivo per
cui fosse terminata questa manifestazione, soprattutto
nel pieno del suo splendore, lui ha tirato fuori l’archivio, lo ha sfogliato, sino ad arrivare alla pagina in allestimento del 1997. Leggendo, si trova la lista completa
degli sponsor, le scenette, i nomi dei giurati, l’elenco dei
concorrenti. Tutto era pronto ma c’era da fare i conti con
due situazioni: l’aggravarsi della malattia del professor Martinoli (insostituibile collaboratore) ed il sempre
maggior numero di serate musicali all’anno in Italia ed
all’estero che da quei giorni in poi non potevano permettere più, a Mauro, per questione di tempo, di organizzare
questa bella manifestazione.
L’albo d’oro
dei vincitori
1980 Daniela Moro
1981 Micaela Genovina
1982 Monica Stangherlin
1983 Simona Gatto
1984 Barbara Cordara
1985 Marco Pesce
1986 Simone Benini
1987 Monica Irrera
1988 Sara Nosotti
1989 Enrico Passarella
1990 Barbara Caneva
1991 Valeria Braghin
1992 Luca Caneva e Fabiana Eulalio Milesi
1993 Francesco Speranza
1994 Arianna Marangoni
1995 Chiara Perazzolo
1996 Chiara Perazzolo
E i bimbi del Giuseppino che rapporto hanno mantenuto con Mauro? Oggi sono per la maggior parte papà e
mamme, molti dei quali hanno chiamato il loro “antico
maestro” Mauro Starone per cantare alla loro festa di
matrimonio o alla festa del compleanno dei loro figli.
Tanti di loro non perdono occasione per andare a sentirlo cantare in qualche sua serata e magari a provare
ancora l’ebbrezza del live…cantando una canzone.
Dopo il tour 2011 di Starone, verrà creato su Facebook
un gruppo dedicato al Giuseppino Canoro.
ottobre - dicembre 2011
Lo scopo era
di creare
un appuntamento
musicale annuale
per i bambini
dai 6 ai 10 anni
di Mortara
e paesi limitrofi,
ma questa felice
esperienza terminò
con l’edizione
del 1996
15
&
Cultura&&
Lavoro
Nei campi
echeggia il canto
delle mondine
il cammino della libertà femminile ha fatto tappa nelle risaie
S
Affidarsi al canto
era un modo
per esorcizzare
le fatiche del lavoro.
La dura vita
della risaia
rendeva ordinari
gli acciacchi:
mal di piedi,
reumatismi,
mal di schiena...
16
Chiara Babilani
ono lontani i tempi in cui nelle campagne
riecheggiavano i canti delle mondine, ma
ancora c’è chi li ricorda e li intona perché
li ha cantati in gioventù, con i piedi a mollo
nell’acqua e il capo chino.
Ogni anno, durante il periodo di allagamento dei campi,
fra la fine di aprile e gli inizi di giugno, centinaia di ragazze venivano impiegate nelle risaie per la monda del
riso; alcune erano delle nostre parti, ma molte venivano
da fuori, per la stagione, soprattutto dall’Emilia, dal Veneto e dalle altre zone lombarde, come il Mantovano o
l’Oltrepò. Alcune erano giovanissime, anche 13 anni,
e chiamavano “anziane” quelle che erano intorno alla
trentina. Arrivavano con il treno e poi venivano portate
nelle diverse tenute, dove avrebbero soggiornato per i
successivi 45-50 giorni, alzandosi ogni mattina all’alba,
per cominciare presto un lavoro durissimo che le faceva
dolere come fossero incartapecorite vecchiette: mal di
piedi, reumatismi e mal di schiena erano all’ordine del
giorno.
Il lavoro consisteva nell’estirpare le erbacce che infestavano la risaia disturbando la crescita del riso, un
compito difficile, perché bisognava distinguere a colpo
d’occhio piante molto simili tra di loro ed impegnativo,
per tutte le ore passate scalze nella risaia, con l’acqua
al polpaccio. Il trapianto era ancora più faticoso perché
ci si muoveva all’indietro e con le mani si praticavano
piccoli fori nel terreno allagato per infilarvi le piantine di riso. Si era in perenne movimento, senza i punti
d’appoggio che si potevano avere durante la monda, per
questo si cantava, per darsi un ritmo e accompagnare il
lavoro, nel tentativo di renderlo più leggero o quantomeno di non pensare troppo al male alle gambe e alla
schiena; un brano veloce poi, velocizzava anche il lavo-
I L VA G L I O
ro manuale, per questo era gradito dagli stessi padroni.
Lo scorrere delle giornate era così scandito al ritmo di:
canzoni d’amore, marcette militari, filastrocche, stornelli ed anche brani di lotta sindacale, come il “Bella
ciao della mondina” o il “24 maggio” .
La scelta dei brani dipendeva un po’ dallo stato d’animo di chi li intonava o dall’orario. Al mattino spesso
si recitava il rosario, cosa che assumeva un significato
particolare nei periodi di guerra, quando si pregava per
i propri uomini al fronte. La recita del rosario poco si
conciliava con il ritmo del lavoro, anzi, c’era probabilmente qualcuna che, un po’meno fervente delle altre, rischiava di appisolarsi e capitombolare nell’acqua, recitando la lenta litania. E poi si cantavano brani malinconici, dedicati ad amori lontani o sfortunati. Tante storie
nascevano durante la stagione, qualcuna germogliava
nell’inverno, altre appassivano, lasciando qualche bel
ricordo da cantare l’anno successivo:
Addio morettin, ti lascio, finita è la mondada,
tengo un altro amante a casa, tengo un altro amante,
a casa;
addio morettin ti lascio, finita è la mondada
tengo un altro amante a casa più bellino assai di te.
Oppure:
Amore mio non piangere, se me ne vado via
io lascio la risaia, ritorno a casa mia
vedo laggiù tra gli alberi la bianca mia casetta
vedo laggiù sull’uscio la mamma che mi aspetta
E poi c’erano i canti che schernivano i padroni, quasi sempre mal visti dalle mondariso perché autoritari e
onnipresenti:
Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto
che ci ha sempre maltrattato
fino all’ultimo momen’
Saluteremo il signor padrone
con la so’ risera neta
pochi soldi in la cassetta
e i debit da pagar... Oppure perché erano sempre pronti a “rubare” qualche
minuto sull’orario concordato:
gh’è pasà ‘na squadra d’uslon
i gan purtà via, i gan purtà via l’urlog al padròn
(è passata una squadra di uccelli grossi, hanno portato
via, hanno portato via l’orologio al padrone)
O ancora erano in ritardo con la paga:
Sciur padrun da li béli braghi bianchi
fora li palanchi fora li palanchi
sciur padrun da li béli braghi bianchi
fora li palanchi ch’anduma a cà
***
Le mondariso costituivano un elemento di grande novità rispetto alla condizione media delle donne dell’epoca
perché, erano dei soggetti autonomi che percepivano
un salario individuale ed erano parzialmente svincolate
dal controllo familiare. Il duro lavoro fianco a fianco e
le lotte condotte per ottenere migliori condizioni professionali, uscendo da un assoggettamento al padrone
che impediva loro anche solo di alzare la testa durante
la monda, hanno fatto sì che si instaurasse un sodalizio forte e duraturo e che acquisissero la consapevolezza della propria alterità rispetto al mondo maschile.
L’allontanamento familiare durante la stagione, l’avere un vissuto collettivo così intenso, la partecipazione
attiva alle lotte sindacali, sociali, alle battaglie di inizio
secolo per conquistare le otto ore di lavoro in risaia (da
ricordare che il primo sciopero delle mondine ha avuto
luogo a Molinella nel 1883 allo scopo di ottenere un
piccolo aumento salariale), l’opposizione al fascismo
a partire dagli anni Quaranta, si trasformano in un elemento di crescita e di emancipazione. Questa partecipazione attiva ai fermenti sociali del tempo, porta le
donne fuori dal focolare domestico, aprendo la via ai
grandi movimenti di liberazione femminile che si sarebbero innescati alcuni decenni più tardi. Ogni passo,
ogni azione, ogni rivendicazione è scandita e ricordata
da un canto, che si trasforma in qualcosa di più di una
semplice melodia diventando cultura, testimonianza,
patrimonio orale che rappresenta una delle espressioni
più vibranti della cultura popolare del nostro territorio.
Le mondine nelle risaie non si vedono più, qualche
volta però capita di confondersi, intravedendo qualcuno che lavora nei campi, con il cappello a tesa larga a
ripararsi dal sole. Succede che siano gruppi di ragazzi
stranieri che provengono da quell’Africa ormai dietro
l’angolo e che alla sera, un po’ come le mondine di allora, ritornano a casa in bicicletta. Chissà se anche loro
cantano melodie legate alla loro terra ed alla loro storia
o se invece canticchiano quelle ascoltate alla radio.
ottobre - dicembre 2011
Un gruppo di mondine
in bicicletta nel 1954.
Sotto, al lavoro
nei campi
La partecipazione
attiva ai fermenti
sociali portò
le donne fuori
dal focolare
domestico,
aprendo la via
ai grandi movimenti
di liberazione
femminile di qualche
decennio più tardi
17
&
Cultura&&
Folclore
“Vice”,
la voce
delle piazze
vincenzina cavallini, l’ultima cantastorie della lomellina
«
Nata nel 1929
da madre piacentina
e padre friulano,
nel 1946 abbandona
il paese per lavorare
come domestica
a Tromello.
Poi un giorno
conosce Angelo,
cantastorie,
che sposerà nel 1951
18
L
Umberto De Agostino
a piazza è qualcosa che ti entra nelle vene, nel sangue e dentro al cuore. Una volta
che hai cominciato, è difficile starne lontano». Così gli ultimi cantastorie pavesi
e lomellini potrebbero riassumere il loro
senso della vita. Per quasi tutto il Novecento Adriano
Callegari, Antonio Ferrari e Antonio Cavallini, con il
figlio Angelo e la nuora Vincenzina Mellina, hanno reso
immortale il “treppo”, il coinvolgente e spesso strappalacrime spettacolo di piazza. L’attività popolare sarà riconosciuta anche a livello istituzionale: nel 2002
il Comune di Milano assegnerà ai coniugi Cavallini
l’Ambrogino d’oro, ritirato da Vincenzina.
Emblematica la vicenda personale di Vincenza “Vice”
Mellina, moglie del tromellese Angelo Cavallini, scomparso nel 2005 dopo una lunga malattia.
La cantastorie nasce nel 1929 da madre piacentina e padre friulano. Allo scoppio della guerra ha undici anni
e, nonostante gli ottimi risultati scolastici, interrompe
gli studi per aiutare la famiglia. Nel 1946, come tante ragazze, abbandona il paese per andare “a servizio”:
lavora come domestica in una famiglia benestante di
Tromello. Tutto lo stipendio è destinato al sostentamento della famiglia rimasta in Friuli. Inoltre in Lomellina,
per 40 giorni l’anno, Vincenzina fa la mondina riuscendo a comprarsi il corredo, come usavano le ragazze nel
dopoguerra. Il lavoro era duro e c’era la nostalgia di
casa.
Poi un giorno conosce Angelo Cavallini, di professione
cantastorie. Il corteggiamento dura due anni «sotto la
finestra e davanti al portone», ma le nozze arrivano, nel
1951. Nei primi anni “Vice” accudisce il figlio Danilo,
nato nel 1954 e affetto da una grave malattia. Prima di
sposarsi, in risaia tutti sostenevano che Vincenzina a-
I L VA G L I O
vesse un buon talento musicale: così Angelo la incoraggia invitandola a suonare la batteria. Inoltre, la sua bella
voce avrebbe sicuramente attirato maggior pubblico.
Così Vincenzina si esibisce prima nel sodalizio familiare a fianco del marito Angelo e del suocero Antonio,
insuperato cantastorie della tradizione. In seguito, negli anni Sessanta, “Vice”, il marito Angelo e il grande
cantastorie pavese Adriano Callegari formano il trio
“Cantastorie lombardi”. I testi sono scritti dal maestro
Raffaele Burchi, anch’egli di Tromello: leggeva il giornale e scriveva la storia giusta, neanche un errore, tutte
le strofe a posto.
Vincenzina, con la sua batteria, ha dato un tocco nuovo e accattivante al gruppo facendosi conoscere nelle
più importanti sagre e mercati del Nord Italia. La prima
piazza è stata Casale Monferrato, poi Asti. Un tempo
Vice alla batteria nel 2003
Vice tra il marito Angelo
e il suocero
Antonio Cavallini
i cantastorie si esibivano quotidianamente. Mercati e
fiere erano il palcoscenico e il pubblico dimostrava il
proprio favore facendo “treppo” intorno a loro, cioè accalcandosi in cerchio per ascoltarli, omaggiandoli con
un piccolo contributo in denaro.
Come in teatro, le esibizioni nella piazza avvengono
seguendo un rituale ben preciso, che si conclude con la
vendita di oggetti: lucido da scarpe, cofanetti, immagini sacre o catenine insieme ai “fogli volanti”, “canzonieri” o lunari con i testi dei brani più in voga.
Il momento culminante della rappresentazione è costituito dalla vendita denominata la “rottura”, quando il
Il Municipio di Tromello
pubblico è chiamato all’offerta in denaro. In questa fase
delicata la bella voce di Vincenzina ha un’importanza
determinante. Il repertorio è molto vasto e in una mattinata capita di cantare più di venti canzoni, fra cui “Miniera”, “La tragedia di Mattmark”, “Chitarra romana”,
“Vola colomba” e altri brani di successo del repertorio
melodico di Luciano Tajoli.
Uno dei cavalli di battaglia è “Mamma perché non torni?”, composto da Adriano Callegari e stampata su cartolina, sul cui retro è riportata una fotografia dei Cantastorie lombardi: Vincenzina alla batteria, Angelo alla
fisarmonica e Adriano al sax.
I Cantastorie Lombardi sono presenti in diverse edizioni della Sagra nazionale dei Cantastorie. Le loro ballate
e la voce di lei sono state per più di quarant’anni la
colonna sonora delle piazze di tutto il Nord Italia. Nella
prima metà degli anni Settanta sono una presenza costante anche sul piccolo schermo, dove collaborano con
Mario Soldati e Cesare Zavattini.
Nel 1975 Angelo e Vincenzina ottengono il premio
“Trovatore d’Italia”. Grandi affabulatori, questi cantastorie sono riusciti a trasformare l’arte dell’imbonimento in appassionato teatro popolare. I loro nomi
appaiono in numerosi testi universitari accanto a grandi
personalità della musica italiana del secolo scorso.
L’attività del gruppo cessa nei primi anni Ottanta. Nel
1992 muore Adriano Callegari. Angelo, già molto malato, scomparirà nel 2005. Oggi “Vice” conserva i suoi
amorevoli ricordi nella casa di Tromello.
ottobre - dicembre 2011
Le loro ballate
sono state per più
di quarant’anni
la colonna sonora
delle piazze di tutto
il Nord Italia.
Negli anni Settanta
hanno anche
collaborato
con Mario Soldati
e Cesare Zavattini
19
&
Cultura&&
Riflessioni
Musica,
suoni
e rumori
Nell’intrattenimento i confini si assottigliano
L
In Italia
imperversano
due categorie:
gli esperti di musica
e gli esperti
di calcio.
Eppure sono rari
gli sportivi
praticanti
e i musicisti
di professione
20
Gabriele Comeglio
’Italia è un Paese nel quale predominano due categorie di persone: gli esperti di
calcio e gli esperti di musica. Ma l’Italia
è anche il Paese nel quale non abbondano
due tipi di persone: gli sportivi praticanti e
i musicisti professionisti.
Non ci credete? Accendete la televisione e guardate le
innumerevoli trasmissioni sportive: risse a non finire per
argomenti puerili ed inutili. L’Inghilterra, che è la patria
del calcio, non ha una trasmissione come “Il processo
del lunedì” e nessuno sembra sentirne la mancanza.
Se poi volete ascoltare la radio e vi trovate a Roma, provate a girare il pomello della sintonia. Il primo canale in
cui sentite gente che si insulta non è dedicato a questioni
religiose, politiche o di rilevanza sociale, ma è un canale di calcio. La musica non fa differenza. E la cosa più
buffa è che (a parte gli incompetenti) ci sono principalmente due categorie (di competenti o presunti tali): i fan
sfegatati e quelli che sanno tutto a prescindere.
I fan sfegatati conoscono vita, morte e miracoli (?) del
loro cantante preferito, anzi a volte ne sanno più di lui.
Mi è capitato, anni fa, durante una tourneè con un personaggio molto importante, che costui venisse avvicinato da un ammiratore che gli attaccò seduta stante un
interminabile bottone su un brano da lui registrato più di
vent’anni prima, con una dovizia di particolari incredibile. Il bello è che il cantante non si ricordava nulla, e per
verificare è dovuto ricorrere all’archivio della sua casa
discografica ove giaceva , sepolto da mille incartamenti,
proprio quel quarantacinque giri che lui stesso aveva dimenticato. Per non parlare poi dei fan “militanti”, quelli
che, se osi dire che Vasco è stonato, ti inseguono per
crocefiggerti. Salvo poi leggere in un’intervista che lui
I L VA G L I O
stesso non si considera un “cantante”… Ma i suoi fan ne
sono dogmaticamente convinti per cui, attenti a quello
che dite! In un Paese simile diventa quindi difficile spiegare all’uomo della strada che sei un musicista. Non sei
una rockstar, non sei un guru della new-age, non timbri
un cartellino, non tieni in mano otto ore al giorno una
chiave inglese: che lavoro è? Appunto, è quello che mi
chiedo io da un po’ di tempo a questa parte: eh sì, per-
chè , oltre all’attività concertistica svolgo da più di dieci
anni quella di consulente musicale, principalmente per
Raisport e per Raidue. In questi anni ho avuto grandi
soddisfazioni, come quella di realizzare sigle che un po’
tutti hanno sentito (compresi gli esperti di calcio e di musica): dagli Europei di calcio in Svizzera ai Mondiali di
atletica, dalle sigle delle rubriche del Giro d’Italia 2011
a trasmissioni come Domenica Sportiva e Sabato Sprint.
Tuttavia capita a volte di collaborare con trasmissioni
d’intrattenimento per le quali vengono richiesti contributi musicali, principalmente per sonorizzare i filmati.
La musica in genere viene messa da imberbi collaboratori di redazione che sparano a tutto volume i Muse mentre
sotto si percepisce appena la voce dello speaker (vagli
a spiegare che sotto un servizio essenzialmente parlato
ci vorrebbe una musica strumentale piuttosto scarna...)
oppure che, indipendentemente dall’argomento, infilano
l’ultimo pezzo di Bob Sinclar o del primo dj analfabeta
(musicalmente parlando) in classifica, col risultato che
altri due redattori fanno la stessa cosa e il pezzo in questione va in onda tre volte nel giro di pochi minuti!
Per cui è triste ammettere che ormai, in certi tipi di produzione, al consulente musicale vengono fatte richieste
del tipo: “ho bisogno del rumore del suono di una porta
che cigola” oppure “portami un suono di vetri infranti” e
via così in un crescendo rossiniano di idiozie. Desolante.
Per quanto riguarda quelli che sanno tutto di musica “a
prescindere” (come direbbe Totò) basterà citare un solo
episodio (si tratta sempre di una richiesta a un consulente
musicale): “come sottofondo, quando esco nel giardino,
voglio che mandiate in onda “La primavera” di Botticelli! Mi raccomando!”. Gelo nella stanza e occhiate di
disperazione perchè il personaggio fa ascolti e non si
Acquerelli
di Andrea Panzarasa
può contraddire. Per cui, vi prego, non fatemi questa domanda: “che differenza c’è tra musica, suoni, rumori?”
perchè non saprei cosa rispondervi se non invitarvi ad
ascoltare l’ultimo disco di Picasso, quello in cui canta
con Caravaggio.
ottobre - dicembre 2011
In certi tipi
di produzione,
capita che al
consulente musicale
vengono fatte
le richieste
più strampalate,
del tipo: “ho bisogno
del rumore
di una porta
che cigola”
21
&
Cultura&&
Universo
L’armonia
che tiene
insieme il mondo
filosofia, scienza e religione in rapporto al suono
Alessandro Marangoni
Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a sé mi fece atteso,
Con l’armonia che temperi e discerni,
Parvemi tanto, allor, del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
Dante: Paradiso I, 76-81
Nel canto e nell’accordo lirico di tutta la gamma dei
sentimenti si riversano
la volontà e la pura intuizione, mirabilmente l’una
all’altra miste.
Di tutta questa disposizione d’animo, così mista e divisa, l’espressione è il canto puro.
Arthur Schopenhauer
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
La musica
universalis sottesa
al grande moto
delle sfere celesti
era stata
uno dei grandi nodi
teorici del pensiero
di Pitagora,
a metà tra la mistica
e la matematica
dei numeri
22
G
li scienziati hanno fatto una scoperta sensazionale: nell’indagare per secoli l’origine dell’universo, il formarsi e l’intrecciarsi delle energie cosmiche che hanno
dato inizio al tempo dall’eterno, hanno
capito con il linguaggio scientifico ciò che migliaia di
anni prima Platone aveva già intuito con la filosofia, la
quale spesso precorre i tempi e i popoli. Andando ad
ingrandire milioni di volte la realtà fenomenica che noi
vediamo e tocchiamo quotidianamente, attraverso una
sofisticata tecnologia supportata da complesse teorie
matematiche, i fisici nucleari ci dicono con certezza che
la materia è composta da atomi, che a loro volta sono
suddivisibili in quarks. La volontà di trovare una teoria
unificata dell’universo ha poi portato all’ultima importante scoperta, ossia che anche i quarks sono a loro volta
I L VA G L I O
formati da elementi più piccoli: l’universo come noi lo
conosciamo – forse uno dei tanti universi possibili – è
fatto di stringhe vibranti, invisibili a ogni approccio sperimentale ma rese vive da una matematica evolutissima;
insomma l’universo intero è costituito da vibrazioni, le
stesse che a livello macroscopico producono il suono di
un violino o di un flauto.
Tutto l’universo è tenuto insieme da quest’armonia, che
dunque è supportata anche dalla scienza, oltre ad essere
teorizzata dalla filosofia (la cosiddetta harmonia mundi). L’uomo è il “punto omega” di questa armonia, il
centro irradiato da questo telos cosmico, lo scopo supremo di tutto questo infinito e complesso meccanismo
plurimillenario. La musica universalis sottesa al grande moto delle sfere celesti era stata uno dei grandi nodi
teorici del pensiero di Pitagora, a metà tra la mistica e
la matematica dei numeri, in cui convogliavamo geometria, astronomia, astrologia, filosofia e musica: tutto
ciò è valido ancora al giorno d’oggi, anzi è avvalorato
dalle ricerche scientifiche sempre più evolute e precise
in questo campo. Le distanze e le relazioni tra i pianeti,
insondabili all’epoca di Pitagora o Platone, erano paragonate in un modello più semplice alle distanze e lunghezze riscontrabili in una corda musicale: per fare un
esempio, la distanza tra la Terra e il Sole ha lo stesso
rapporto che intercorre tra un sol e un la (e tra qualsiasi
tono nella scala musicale); i tre anelli maggiori di Saturno producono tra loro un accordo eccedente, il cosiddetto “accordo di Dio”, formato da due triadi maggiori
(il simbolismo della triade e in generale del numero tre
è sempre stato associato alle ipostasi divine, pertanto al
modello cristiano della Trinità) e così via. Anche la radiazione di fondo, udibile attraverso una strumentazione
molto all’avanguardia e presente ancora nell’universo è
l’eco di quell’inizio originario, quanto mai misterioso,
che ha dato avvio al tempo e allo spazio in un possibile
disegno o volontà creativa di un grande Demiurgo, o di
un Dio preesistente da sempre. La
letteratura nei secoli si è espressa
su queste affascinanti tematiche e
in vista di questa continua ricerca dell’uomo: pensiamo a Dante,
Marsenne, Calvino, solo per fare
qualche esempio; ma al contrario
di essa, che pone spesso le sue
basi creative nell’immaginazione, nella fantasia, nel sogno, nella
mistica, la fisica e la matematica
indagano le stesse cose con la
precisione del rigore scientifico,
arrivando agli stessi risultati: il
mondo così come lo percepiamo e
viviamo è fatto di musica. Potremmo dire che esso è musica vissuta.
Noi viviamo nel mondo la musica
del mondo: per questo così terribile sarà la mezz’ora di silenzio cosmico che precederà la fine dei tempi (così come ce ne
parla il linguaggio escatologico dell’ Apocalisse). Il suono ha origine dal movimento, così come lo descriveva
Severino Boezio – grande filosofo e scienziato, sepolto
a Pavia in San Pietro in Ciel d’Oro – e avvalorato dalla
più recente teoria delle “superstringhe”. Maometto vide
i cherubini che lodavano Dio al settimo cielo, così come
gli angeli cantavano Gloria quando nacque Gesù a Betlemme: anche le religioni convergono tra di loro, così
come la scienza sembra far convergere tutto in un’unica
grande super-teoria unificante le forze dell’universo. La
musica attrae gli spiriti umani, come l’interazione forte
attrae le particelle degli atomi:
“la Musica trae a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che
quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando
l’ode, e la virtù di tutti quasi corre
allo spirito sensibile che riceve lo
suono” (Dante, Convivio).
Alla fine di questi modesti e incompleti ragionamenti vorrei dire: noi siamo canto! Noi siamo
la musica vivente che si intreccia
con la musica sempiterna dell’universo ma spesso siamo così
orgogliosi da sentirci centro e
padroni del mondo, senza renderci conto che esso si ricrea e vive
anche indipendentemente da noi e
forse ancor meglio senza il nostro
distruttivo e infernale apporto. Un racconto ebraico narra che quando il re David ebbe finito di scrivere il libro
dei Salmi, si sentì molto orgoglioso per il lavoro fatto.
Egli si rivolse a Dio e disse: “padrone del mondo, chi
fra tutti gli esseri che hai creato canta più di me la tua
gloria?”. In quel momento sopraggiunse una rana che
gli disse: “David, non inorgoglirti! Io canto più di te in
onore di Dio”. Guardiamo dunque gli astri: siamo noi la
coscienza del loro splendere!
ottobre - dicembre 2011
Sopra: “Scenographia
systematis mundani
ptolemaici”,
Andreas Cellarius, 1660.
A centro pagina
Davide che suona uno
strumento a corde:
manoscritto del XVI sec.
La scienza sembra
far convergere tutto
in un’unica teoria
unificante le forze
dell’universo.
La musica attrae
gli spiriti umani,
come l’interazione
forte attrae
le particelle
degli atomi
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&
Cultura&&
Le liriche
Un applauso lungo
quarantacinque
anni di Poesia
N
Dai componimenti
in lingua
a quelli che pescano
nell’universo
dialettale,
gli ingredienti
dell’evento
si sono dimostrati
all’altezza
di una tradizione
ormai consolidata
24
ANCORA UN SUCCESSO PER L’INIZIATIVA DEL CIRCOLO
on poteva esserci miglior regalo, per i
quarantacinque anni dell’evento, degli
applausi del pubblico. Organizzato negli
storici locali del Teatro Angelicum, il Premio Nazionale di Poesia “Città di Mortara” (promosso con il patricinio della Regione Lombardia
e della Provincia di Pavia, nonché con il contributo del
Comune di Mortara, del Comitato Organizzatore Sagra
del Salame d’oca e della Ditta El.Mo di Mortara) ha incassato lusinghieri apprezzamente dai tanti appassionati
che hanno assistito alla cerimonia finale di venerdì 23
settembre.
Quale presentatore e raffinato lettore delle poesie dialettali in concorso era come sempre sul palco dell’Angelicum Marco Fleba, mentre al leggio profondeva sapienza
declamatoria la brava Lorella Carisio. La giuria che ha
visionato le centinaia di opere liriche pervenute alla sua
attenzione era composta da Mirella Bersini, Antonella
Ferrara, Maria Forni, Marco Leva e Giuseppina Morone.
Premiati per la sezione nazionale sono stati Maria Rosa
Dell’Angelo, con la poesia “Nostalgia”, Daniela Raimondi con “Mattino”, Paolo Sangiovanni con “Elogio
dei decimali”. Per la sezione Lomellina il primo premio
è andato a Umberto Druschovic con “La Buona Terra”, il
secondo ad Anna Perucca con “Il paese del cuore”, il terzo a Maria Rosa Marsilio con “Risaie”. Per la sezione in
vernacolo il primo premio è andato a Giorgio Bottigella
con “La resuresion”, il secondo premio a Giovanni Moda con “’Na volta l’er nò mè ‘l didinco”, il terzo premio
a Sandro Passi con “Spasacà”.
Primo premio VERNACOLO
LA RESÙRESION
La donä un dì mä dij:
-”Ghè mort äl Giuänin”!
‘m s’ha fërmà äl cüciar in män
intänt chë rujava äl pügnatin.
-”L’hö vist lä smänä päsà,
mï smijavä chë stavä ben”.
-”L’hän dij in cità,
jän dij c’lerä mälà”.
Pasä un quai dì...
ä lä vëdi äl märcà;
d’lä surpresä l’hö nänchë pudü pärlà.
Lü lä gnü rentä e m’ha ciämà:
-”Mä të stè no ben?”
-”Un pò ‘dmal dä schenä...ì’hö traj là”
-”L’è gnentë,
ä unä età
gvà no fag caš.
T’è ‘ncurä furtüna!”
Gavä vöjä dä rispondäg:
se chi ghè jün furtünà
cullì tè ti
chë duivi es mort giamò dä un quaj dì.
Giorgio Bottigella
Piatto dipinto
da Graziella Bazzan
I L VA G L I O
La cerimonia
di premiazione
del XLV
premio nazionale
di poesia,
che si è tenuta
venerdì 23 settembre
al teatro Angelicum
Da sinistra:
Graziella Bazzan,
Fabio Rubini,
Marco Fleba,
Milena D’Imperio,
Marta Costa,
Lorella Carisio,
Battista Corsico
e i “duchi”
Roberto Frigerio
e Beatrice Bacchella
Primo premio NAZIONALE
NOSTALGIA
Aveva un pergolato d’uva bianca,
la mia casa,
abbarbicato a un muro scalcinato
che l’ombra della corda del bucato
tagliava in due,
al sorgere del sole;
aveva vasi di oleandri sul balcone,
gerani, rose,
e piante di limone.
Una biciclettina abbandonata
per un balocco nuovo, alla sua vita,
faceva ragnatele e ruggine
in un canto,
insieme a roba vecchia da buttare,
che si lasciava lì, ad invecchiare.
Avevo sette anni, e la certezza
che avrei vissuto lì
tutta la vita...
ma giunta ad otto, ero già partita.
Cosa mi resta ormai, solo un ricordo
un po’ sbiadito, come un ombrellone
che ha preso sole e pioggia un anno intero;
aveva un cuore, la mia casa,
un cuore vero,
ed occhi alle finestre,
come i disegni che fanno i più piccini...
Ci torno nei miei sogni, e l’indomani
ricordo solo il rosso dei gerani.
Maria Rosa Dell’Angelo
Primo premio LOMELLINA
LA BUONA TERRA
Entravi nel cortile
la sera all’imbrunire
la bicicletta per mano.
Era la buona terra
quella che portavi a casa
ogni sera, incrostata alle tue mani,
quella che impastavi di sudore
ad ogni passo, nel solco dietro ai buoi
a tracciare file di granoturco
sotto il volo dei corvi
a strappare gramigna di tristezza
dalle zolle del cuore.
Era odore di terra
che impregnava la tua giacca,
il tuo solito cappello
e i pantaloni di fustagno
che scacciavi la sera
le gambe accavallate sulla sedia di paglia
un ceppo nella stufa e un sigaro in mano.
I tuoi occhi, sempre lucidi e chiari
come biglie di vetro,
il fuoco ascoltavi crepitare
per oggi basta, dicevi, domani sarà dura.
Eri uomo di terra
ma tenevi nella tasca
il biglietto sdrucito di un treno perduto
e nascosti in fondo al cuore
gli occhi di una donna
e un sogno di mare.
Umberto Druschovic
ottobre - dicembre 2011
25
&
Cultura&&
Le foto
Concorso
di Fotografia,
immagini da favola
S
QUEST’anno la mostra degli scatti si è tenuta al civico.17
Marta Costa,
Luigi Pagetti,
Marco Facchinotti
e Fabio Rubini
plendide immagini. Quelle in gara, e quelle
che ritraggono il pubblico intervenuto alla
premiazione. Ancora un altro testimone di
merito per il Concorso Nazionale di Fotografia Città di Mortara, organizzato dal Gruppo
Fotoamatori del Circolo Culturale Lomellino. Nella mattinata della domenica centrale della Sagra, alle ore 11
Angelo Baldi,
primo premio nella sezione Motori
L’appuntamento
è uno dei pilastri
portanti
del fermento
culturale che anima
i giorni della Sagra
del Salame d’Oca:
sempre abbondante
la partecipazione
di concorrenti
e pubblico
26
dello scorso 25 settembre, nell’ampia sala adibita a mostre del Civico.17, in via Vittorio Veneto, un centinaio di
appassionati dello scatto fotografico hanno partecipato
alla premiazione officiata da Luigi Pagetti, organizzatore della mostra fotografica e dallo storico presidente dei
fotoamatori mortaresi Emilio Gallino. L’appuntamento,
occorre ripeterlo, è tra gli eventi clou che connotano i
frenetici giorni della Sagra del Salame d’Oca. Un appuntamento, che negli anni si è attestato nel gota dei concorsi fotografici. Anche quest’anno sono stati più di duecento i partecipanti che, da tutta Italia, hanno inviato i loro
lavori-capolavori cui ha offerto competente attenzione
la giuria composta da Augusto De Bernardi, Dario De
Salvador, Antonio Mangiarotti, Mirella Vecchi, Andrea
I L VA G L I O
Del Frate, Giampiero Signorelli, Paolo Testori e Roberto
Testori. A presenziare il concorso fotografico sono intervenuti l’assessore alla Cultura Fabio Rubini e l’ex vicepresidente e assessore alla Cultura della Provincia Marco
Facchinotti. Entrambi hanno sottolineato l’importanza
del concorso in atto, ribadendo la volontà di aver sempre
un occhio di riguardo nei confronti suoi e di quanti gli
offrono l’indispensabile linfa vitale. Quattro le sezioni
in cui il concorso fotografico si suddivide: Tema Libero, Ritratto, Motori, Lomellina. Per il Tema Libero ha
vinto Giulio Montini con “Berlino”. Per il Ritratto Pier
Giuseppe Grolla con “I segni del Tempo”. Per i Motori,
Angelo Baldi con “A tutto gas”. Per La Nostra Lomellina, Claudio Mancin con “Soffusa Atmosfera”.
TRIMESTRALE
DEL CIRCOLO CULTURALE LOMELLINO
GIANCARLO COSTA
RIVISTA DI CULTURA, STORIA E TRADIZIONI
SEZIONE TEMA LIBERO, PRIMO PREMIO, “Berlino” di Giulio Montini
SEZIONE
RITRATTO
PRIMO
PREMIO
“I segni
del tempo”
di Pier
Giuseppe
Grolla
Anno 7 - Numero 4
Ottobre - Dicembre 2011
Reg. Trib. di Vigevano
n. 158/05 Reg. Vol. - n. 1/05 Reg. Periodici
Direttore responsabile
Marta Costa
Elenco speciale
Albo professionale dei Giornalisti di Milano
Coordinamento
Sandro Passi
Hanno collaborato a questo numero
SEZIONE
LA NOSTRA
LOMELLINA
PRIMO
PREMIO
“Soffusa
atmosfera”
di Claudio
Mancin
SEZIONE
MOTORI
PRIMO
PREMIO
“A tutto gas”
di Angelo Baldi
Le iniziative del Circolo
Gli amici
per un amico
Concerto per Stefano
Chiara Babilani
Graziella Bazzan
Gabriele Comeglio
Umberto De Agostino
Veronica Fasanelli
Santino Invernizzi
Alessandro Marangoni
Giuseppina Morone
(La collaborazione è a titolo gratuito)
In copertina
Fotografie
di Luigi Pagetti
Editore
Circolo Culturale Lomellino Giancarlo Costa
via XX Settembre, 70 - 27036 Mortara (PV)
Coordinamento editoriale
Alberto Paglino
GRANDI CLASSICI LIVE
Lunedì 26 Dicembre 2011
Il calendario 201
ore 17
dodici mesi di rico 2:
rdi
•
Auditorium Città di Mortara
Ingresso libero
Viale Dante
Comune di Mortara
Assessorato alla Cultura
Dodici mesi ch
e ripercorrono
la “vecchia”
Mortara con
suoi scorci, le
i
su
e viali, protag e vie, piazze
on
vissimo calend isti del nuoario 2012 de
Circolo Cul
turale Lomel l
lino, disponibile
,
presso l’Agenz da dicembre,
ia
XX Settembr Costa di via
e.
dell’almanacco Ogni pagina
è corredata
da immagini
d’epoca.
Realizzazione grafica
& Impaginazione
Info: 0382.800765 - [email protected]
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La Terra Promessa
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