Il Generale Ernesto Montecuccoli

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Cesare Campori
Il Generale Ernesto Montecuccoli
In Memorie patrie storiche e biografiche, Modena 1881, pp. 210-216; già pubblicato in “Atti e memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria”, VI (1872)
Le guerre che nel secolo XVII dilacerarono la Germania, alle quali più che altro dié moto uno
zelo spesso mal consigliato degli imperatori, che s’avvisavano d’imporre col ferro e col fuoco ai
popoli le norme del credere, sicché chiamarono questi a difesa loro i principi protestanti e persino i
turchi, porsero modo a taluni uomini di singolare ingegno di salire in fama di valenti condottieri di
eserciti. Fu tra questi il conte Ernesto Montecuccoli che, dopo aver militato 23 anni negli eserciti
imperiali, ora contro i turchi ed ora contro eserciti di Olanda, di Svezia, di principi tedeschi e di
Francia, morì generale di artiglieria e comandante le truppe imperiali nell’Alsazia.
Nasceva egli nel 1584 nel Frignano, e probabilmente in Montese, feudo allora del conte Girolamo Montecuccoli suo zio, dal conte Alfonso e da Sidonia di Golgin, che Isabella d’Austria, vedova di Carlo IX re di Francia gli aveva dato in isposa, allorché dimorava in Prava, come suo cavallerizzo maggiore, e confidente suo. Ernesto, tenuto da lei al sacro fonte, era stato preceduto di un anno alla vita da Girolamo, e ancora da un altro figlio, che morì in fascie. Nacque altresì da quei coniugi un’Isabella, che sposò poi un Castiglioni di Milano. Dicemmo già nella biografia del conte
Alfonso che, passato al servizio della Toscana, venne a morte nel 1607.
Già da 3 anni trovavasi a quel tempo Ernesto nelle milizie imperiali ad impararvi, come al duca Cesare d’Este scriveva suo padre, il modo di rendersi atto col tempo a servire il suo sovrano naturale: e aveva fatto le sue prime armi contro i turchi, che sino dal 1590 tenevano il campo contro
l’imperatore, da prima per le ruberie che gli uscocchi facevano sul territorio ottomano, e ch’ei non
impediva, e poscia per sostener essi le pretensioni di Giorgio Boscai fattosi re di Transilvania e
d’Ungheria, come campione che era de’ protestanti in quelle contrade. Militava Ernesto sotto la disciplina di Giorgio Basta d’origine albanese, ma nato in Italia, che fu uno de’ buoni generali del
tempo suo. Quetate poi, mercé accordi, le cose d’Ungheria, tornò Ernesto in Italia, in diverse cose
occupato, e in dar sesto agli affari della sua famiglia. Reduce di Germania nel 1609, combatté come
volontario, insieme ad altri italiani, nella guerra per la successione de’ ducati di Juliers e di Cleves,
che finirono col venire, contro il desiderio dell’imperatore, in podestà dell’elettore di Brandeburgo.
All’assedio di Juliers perdette Ernesto tre cavalli e il bagaglio, la prima questa di quelle contrarietà
della fortuna, che troppo spesse incontrò. Passato quindi in Ungheria contro Betlhen Gabor fattovisi
re, rimase egli prigioniero di guerra; né avrebbe acquistata sì tosto la libertà, se il duca di Modena
non avesse astretto i parenti suoi a porre insieme il denaro necessario al riscatto. Uscì di prigionia
con grado di colonnello. Venuto a Modena per qualche tempo, nel 1616 prese poi parte ad una guerricciola dell’arciduca del Tirolo coi veneti, nella quale riportò una ferita, e fu quindi adoperato per
più tempo in quella guerra detta dei 30 anni, che di sangue e di rovine empì l’Allemagna, e produsse
per opera singolarmente di Gustavo Adolfo, di Wallenstein, di Piccolomini, e di altri generali svedesi, tedeschi, francesi ed italiani, imprese militari che sono rimaste famose nelle storie.
Prese parte Ernesto primamente alla guerra della Boemia, la quale sollevatasi a difesa della religion protestante, s’era eletta a re Federico elettore del Palatinato, ed assisté ancora, come colonnello capitano della guardia imperiale, alla presa di Praga, avvenuta nel novembre del 1620, venendo tosto dopo promosso generale.
Fu al cominciare del secondo periodo della guerra dei trent’anni, cioè nel 1625, che accolse
Ernesto presso di sé, caldamente raccomandatogli dalla corte estense, il giovinetto suo cugino Raimondo, del quale ei fu maestro e guida nella carriera militare, preparando così alla casa d’Austria
uno de’ più famosi campioni suoi. Volle il saggio mentore che l’alunno suo, allora sedicenne, si addestrasse nelle diverse categorie delle milizie; semplice soldato ora tra fanti ed ora nella cavalleria,
finché dato buon saggio di sé, meritasse i gradi che passo passo lo condussero ai supremi. Seco lo
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trasse quindi a combattere in Fiandra e in Olanda, quando a lui fu dato il comando di un corpo ausiliare, che si congiunse agli spagnoli governati dal celebre Ambrogio Spinola. Come si diportasse in
quella intricatissima guerra il generale Ernesto, agevolmente si ritrae da queste gravissime parole di
Ugo Grozio: “Numquam res ordinum pejori loco visæ sunt quam cum Ernestus Montecucculus Bataviam premeret”. Se non che non erano secondati dall’aura popolare gli sforzi delle armi austroispane contro le libertà batave, le quali, dopo iterate tregue al combattere, finirono infatti coll’ottenere il sopravvento.
Chiamato Ernesto a militare sotto il Tilly, sostituito al Wallenstein caduto in disfavore, nel
comando delle truppe imperiali che dovevano affrontare in Pomerania Gustavo Adolfo re di Svezia,
venuto allora in Germania, incolse un grave pericolo nel gennaio del 1631, quando trovossi preso in
mezzo da un corpo di svedesi. Scampato dal qual pericolo, incappò in un altro, essendo stato astretto, in circostanze sfavorevoli, a misurarsi cogli svedesi stessi; nel qual fatto 200 de’ suoi corazzieri
rimasero sul campo. Colto poi da infermità, si ridusse egli in Vienna, non potendo per ciò prender
parte a quella prima battaglia di Lipsia vinta da Gustavo Adolfo; nella quale il cugino suo, capitano
allora nel reggimento di corazzieri di esso Ernesto, rimase ferito e prigioniero, entrando poi sei mesi
appresso come sergente maggiore in un reggimento di fanti, che Ernesto stava allora ponendo insieme in Passau.
Le vittorie di Gustavo Adolfo posero in pericolo la stessa Vienna; e colà, benché mal fermo in
salute, accorreva co’ suoi soldati Ernesto: ma cresciutagli l’infermità (che era, secondo credo, la
gotta, della quale si sa ch’ei patì) presso al suo letto si raccolse, per volere dell’imperatore, il consiglio di guerra, che fermò i modi acconci a riordinare l’esercito di Tilly; mentre rimarrebbero i 18
mila uomini di Ernesto a difesa di Vienna. E poiché fu cessata quella procella, e si era il Montecuccoli rinfrancato in salute, fu egli inviato a sedare le discordie sorte nel campo di Tilly. Poscia con
grado di sergente generale di battaglia, che era l’ottavo tra quelli de’ generali, e corrispondeva per
avventura a quello di capo di stato maggiore di esercito, ebbe carico di star presso al duca di Lorena, che si era, col dichiararsi per l’imperatore, tratto sopra gli eserciti francesi, che fecero mal governo delle cose sue. A quel tempo il Wallenstein, nuovamente chiamato a sostenere le periclitanti
sorti dell’impero, voleva Ernesto presso di sé e gli conferì il grado di generale d’artiglieria; ma non
consentì l’imperatore che si levasse per allora dalla Lorena, e lo chiamò poscia a Vienna, ove a lungo con lui si consultò. Trasse quindi ad Alsazia ove per altro, ogni cosa andando a soqquadro, si
fermò breve tempo, passando invece a contrastare, con scarse forze, l’irrompente piena degli svedesi che, vinto Tilly, erano entrati in Baviera. E là una volta gli accadde di trarre in inganno con finte
mosse di soldati, che sempre erano i medesimi, un corpo di truppe di quella nazione: che lo stimò a
capo di troppi soldati perché fosse possibile il resistergli, a lui si arrese. Del qual fatto così si tenne
offeso il re Gustavo, che fece proposito di volere ad ogni costo avere Ernesto nelle mani: se non che
nella celebre battaglia di Lützen avvenuta poco di poi, cioè il 16 di novembre del 1632, quel famoso
guerriero trovò la morte. A codesta battaglia, che fu senza vittoria per entrambi gli eserciti, presero
parte bensì Raimondo, come tenente colonnello di un reggimento di cavalleria, e due principi estensi poco innanzi da Ernesto introdotti nell’armata cesarea, ma non forse egli stesso, che pur campeggiava non lungi di là.
La morte di Gustavo Adolfo potuto avrebbe troncare quella micidial guerra, se, seguitando i
consigli di Wallenstein, l’imperatore Ferdinando II con un’ampia amnistia avesse ricongiunti a sé i
sudditi, che da lui si erano alienati. Ma fermo nel desiderio di vendetta, e nell’odio suo ai protestanti, antepose egli di continuare la guerra con eserciti disfatti e mancanti di provvigioni, e con l’erario
smunto.
Fu allora che Wallenstein inviò pressanti inviti ad Ernesto, che dopo occupate, e talvolta perdute alcune fortezze bavaresi, s’era posto ai quartieri d’inverno ad Ingolstadt, acciò ritornasse in Alsazia per vedere di salvare all’imperatore Brissac, che era ormai la sola fortezza che in quelle parti
gli Svedesi non avessero potuta occupare. Quasi presago della sorte che colà lo attendeva, cercò egli
da prima di schermirsi da quell’impresa; ma insistendo Wallenstein, si mise a far leve a proprie spe-
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se di sbandati di varii corpi, e di quattro mila uomini licenziati dall’elettore di Baviera; e innanzi
ancora di aver riunite quelle truppe, con pochi si pose in cammino1.
Non furono scarsi i pericoli da lui corsi in quel viaggio, avendo anche dovuto una volta travestirsi da contadino per passare di mezzo agli alloggiamenti svedesi, ond’è poi il Bolognesi ministro
estense a Vienna scrivendone al suo sovrano, prorompeva in queste concitate parole: “Questi sono i
buoni bocconi che si danno alla nazione italiana! Mandare un cavaliere che ha servizio così lungo a
rischio manifesto e di vita e di riputazione, perché dove va non vi sono provvigioni se non da disperato”. Giunto Ernesto in Alsazia, raggranellò quanti uomini, atti alle armi gli fu dato trovare; ma furono poi questi tagliati a pezzi dagli Svedesi. Colla gente nondimeno che gli tenne dietro trovò egli
modo di entrare in Brissac, e di rifornirlo di viveri per sei mesi; e là con frequenti sortite, in una delle quali fece prigioniero l’intero presidio di Bossingen, si dié a molestare gli assedianti. L’audacia
di quel generoso capitano fe’ scorto il conte del Reno, il quale era lor capo, che la fortuna, già così
prospera, potuto avrebbe farglisi d’un tratto contraria; e pensò un’astuzia per impodestarsi del troppo azzardoso suo avversario. Commise pertanto ad un tenente colonnello Colombac di tendergli, allorché di nuovo uscisse da Brissac, un agguato; e perché non tardò guari Ernesto a tentare nuova
impresa, gli accadde di trovarsi a fronte poche compagnie di svedesi, le quali dandosi alla fuga lui,
che le inseguiva, trassero in mezzo all’esercito assediante. Con disperato valore si difesero esso ed i
suoi; se non che il cavallo di lui imbizzarritosi lo trasse fuor di strada, impacciandosi in un prato paludoso; e là, impotente a difendersi, venne ferito Ernesto da due colpi di spada a da tre archibugiate.
Cadde egli allora, pressoché esanime, in mano degli svedesi, che generosamente deplorarono poi la
sventura di lui. Cento de’ suoi erano parimente rimasti sul campo.
L’imperator Ferdinando, che molto lo amava, affrettavasi a procacciargli il riscatto, ma così
gravi erano le ferite ricevute, che in breve lo trassero a morte in Colmar, ov’era stato condotto,
nell’età ancor vegeta di 49 anni, 23 de’ quali passati militando per l’impero.
Di lui lo storico Gualdo Priorato commilitone suo lasciò scritto: “Era di placidissimo aspetto,
di dolci costumi, di maniere amabili... né vi sarebbe stato in Germania capitano che l’avesse avvanzato d’intelligenza, quando la fortuna avesse voluto esser condottiera delle sue vittorie”. E noi alla
fortuna aggiungeremo la previdenza de’ ministri di Vienna; perché la mancanza di questa lo lasciò
talora senza viveri, e senza o munizioni o soldati; onde con poco seguito più volte ei si trovò a fronte di eserciti grossi e ben provveduti d’ogni cosa. Nondimeno quanto umanamente era possibile di
fare per lui fu fatto in ogni occasione, e la vittoria coronò non di rado le imprese di lui.
Generoso largitore del proprio, sovveniva alle necessità de’ soldati, e degli amici. Non è pertanto da meravigliarsi se al fratello Girolamo, erede suo, non lasciasse altro che debiti, compensati
per altro da crediti, talora vistosi; uno de’ quali di 1880 talleri che, senza carico di frutti, aveva prestato a Cornelio Bentivoglio, il quale, dopo militato in Fiandra, fu generale di Francesco I d’Este.
Dell’affetto di Ernesto alla patria fanno dimostrazione più lettere di lui nelle quali proferiva
l’opera sua ad ogni bisogno; e la cura ch’ei si prese di favorire i molti modenesi, che, a lui raccomandati, andarono a quel tempo alle guerre di Germania. Crebbe egli altresì un vanto all’Italia,
quando dischiuse cogli esempi e cogli ammaestramenti suoi il sentiero della gloria a Raimondo
Montecuccoli; il quale sentì cotanta reverenza per lui che, quasi non osando chiamarlo cugino, ad
usar titolo di sommessione lo disse, anche in documenti officiali, suo zio; onde più storici furono
tratti in inganno, reputando che tale ei gli fosse, non ponendo mente che cugino era detto da Raimondo stesso, Girolamo fratello del generale Ernesto.
I Montecuccoli di Montese - Percorso storico
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A queste leve allude forse Raimondo nel Memoriale indirizzato all’imperatore nel 1680, dicendosi creditore tuttavia di
gran parte dei 270 mila fiorini spesi da Ernesto e da Girolamo (de’ quali fu erede) nell’assoldare tre reggimenti in servigio dell’impero.
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