6 - Piccoli Passi Onlus

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Aprile 2014
6
Il pensiero della Città
LA GENTE DELLA LOCANDA - Rubrica di Carlo Petrella
UNA STORIA
Vita nascosta
N
on parlo dei
santi. Spesso si racconta della
loro vita eroica, ma
nascosta.
Io voglio avvertire: tutti quanti noi
abbiamo una doppia
vita.
Ognuno di noi ha
un'altra vita. Pochi l'ammettono.
Quasi tutti negano. Si vantano di
essere veri, trasparenti, puliti.
Da giovane ho studiato un libro nel
quale si diceva che viviamo con le
maschere. Al mattino ti alzi ed il primo
pensiero è :” Quale maschera devo
indossare?”
Da giovane e da uomo di fede mi
rivoltavo contro questa visione.
Credevo alla verità, alla trasparenza.
Quando costruimmo La Locanda,
l'architetto mi chiese:“Quale idea vuoi
incarnare nelle pietre?” Io risposi: “La
trasparenza”.
È un valore umano che amo, ma non
è scontato. Noi siamo tutti mascherati.
La verità dei rapporti è una meta
sempre lontana. Come l'orizzonte.
I rapporti puliti, la pulizia dei
rapporti è una utopia. È un percorso, è
una ricerca, è una fatica. Io vivo
quotidianamente tra persone nascoste.
E la vita con l'uomo nascosto è ansia,
paura, disagio.
Il drogato è un uomo nascosto.
E’ instintivo nascondere l'oggetto
della propria dipendenza. Il drogato
nasconde l'eroina e la cocaina. L'essere
nascosto è il segno della droga. Una
vita nascosta è anche un inverno.
Quotidianamente costretto a scavare
dove rifugiarsi, per nascondersi. Ed il
primo passo della liberazione è la
pulizia. Quando un uomo guarisce e
sta bene comincia a diminuire le sue
maschere. Ha la forza ed il coraggio di
essere vero. Ho incontrato una mamma. Disperata
chiedeva: “Dottore,
non capisco più mio
figlio. Non mi parla
più, vive di notte. Si
chiude nella sua
stanza. È diventato
un topo”.
Diventare topo, questo è il segno del
drogato. La voglia di apertura, di
“sole”, di luce, di dialogo è il segno di
una storia che ritorna.
Ho davanti agli occhi volti e persone
a me care. Le ho incontrate, conosciute, amate. Ora sono diventati topi.
Pensano che io non comprenda. Non
sappia.
È così evidente che sono diventati
topi.
UNA LETTERA
t
rascorro la notte in questo eremo,
meditando. Penso e ripenso alla
giornata vissuta, ai contatti, alle parole,
agli incontri.
Sei passato per la Locanda a prenderti il pane e la pizza di nonna Fausta.
Parliamo di quello che capita. Ti
racconto i miei tormenti, le mie
delusioni, le mie fatiche. Ti confido che
voglio andare via da questo inferno.
Ti dico: “Giuseppe, questa non è una
Locanda, è uno zoo di animali feroci”.
Tu mi rispondi: “Carlo, non ti ho mai
visto così arreso, così fragile. Dici
sempre si. Prima eri duro, autoritario
deciso. Ora sopporti tutto, permetti
tutto…”
Caro Giuseppe, le tue parole mi
colpiscono. Ma non mi cambiano.
Io non sono diventato debole. Sono
più forte. Sono più saggio. Ora capisco
di più. Ieri ero più cretino. Curavo le
apparenze. Mi illudevo.
UN VOLTO
Fruttivendolo per amore
D
on Peppino. Don Peppino
Gambardella.
Fruttivendolo per amore.
Ogni anno di questi tempi busso
alla porta dei molti sacerdoti.
Chiedo loro di darmi una mano per
diffondere i carciofi della Locanda, le
mammarelle del bosco di Acerra.
Alcuni sono entusiasti di partecipare e di far partecipare la loro comunità.
Altri mi dicono di no.
“La Chiesa non è un mercato”, mi
dicono, umiliandomi!
In silenzio e con dolore tolgo il
disturbo. Stamattina ho telefonato a
don Peppino.
“Carlo sono pronto. Ho deciso di
aprire una bottega nella mia parrocchia.
“Vendo” frutti buoni, come un bravo
contadino”. Che bello! Quest'uomo,
questo sacerdote ha lo stile e la pelle di
papa Francesco.
Io non posso fare discorsi su don
Peppino. Vorrei fare il suo cantastorie,
ma non sono bravo.
Cerco favole, raccolgo scritti.
Ho trovato una lunga frase di J. Luis
Caro Giuseppe,
Mi sciupavo inutilmente. Oggi so che
sono circondato da mostri. Da persone
scassate, incapaci di amare.
Oggi so che puoi portare i cammelli
alla fonte, ma non puoi obbligarli a
bere. Oggi non amo fare il domatore.
Il mio compito è liberare, non addomesticare. Oggi so che la caratteristica
di un drogato è la bugia.
Vivo tra persone nascoste. Uomini
nascosti. I drogati sono come i topi, si
nascondono. E quando un uomo
comincia a nascondersi, a vivere di
bugie, non c'è terapia. Non c'è rapporto.
È la più grave malattia.
Sono meravigliato che anche tu
chiedi la forza. La forza non libera, non
cambia, forse addomestica.
Ma l'addomesticamento dei drogati
dura poco. Presto o tardi tornano belve.
Giuseppe, io lo so che vivi in un
mondo che non può condividere le mie
idee. Presenza, trasparenza, amore, non
sono le parole del tuo mondo.
Ma io sono fuggito. Io sono andato in
un altro mondo. Non ti chiedo di
condividere.
Capirai anche tu, quando dovrai
essere presente nella vita di Salvatore e
di Domenico, i tuoi figli.
Capirai l'inutilità, delle parole, delle
punizioni. Capirai la sola efficacia del
tuo esempio, del tuo impegno, della tua
presenza. Ora cerco di dormire un po'.
È l'alba. Un'altra notte faticosa, ma
senza ladri.
Niente ferisce, avvelena, ammala
quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore
che deriva sempre da una speranza
svanita, una sconfitta che nasce
sempre da una fiducia tradita,
cioè dal voltafaccia di qualcuno o
qualcosa in cui credevamo.
Oriana Fallaci
Borges:
Se potessi vivere di nuovo la mia
vita, nella prossima cercherei di
commettere più errori.
Non cercherei di essere perfetto, mi
rilasserei di più.
sarei più stupido di quello cghe
sono stato, in effetti prenderei assai
poche cose con serietà, sarei meno
igienico.
Correrei più rischi, farei più viaggi,
contemplerei più aurore, scalerei più
montagne, nuoterei più fiumi.
andrei in posti dove non sono mai
andato, mangerei più gelati e meno
fave, avrei più problemi reali che
immaginari.
Io sono stato uno di quelle persone
che hanno vissuto sensatamente e
prolificamente ogni minuto della
propria vita.
Certamente ho avuto momenti
gioia, ma se potessi tornare indietro
cercherei di avere solo buoni momenti. Se non lo sapete di questi è fatta la
vita, solo di buoni momenti.
Io ero uno di quelli che non andava
da nessuna parte senza un termometro, una borsa d'acqua calda, un
ombrello ...un paracadute.
Se potessi tornare a vivere viaggerei
più leggero.
Se potessi tornare a vivere comincerei a camminare scalzo all'inizio della
primavera e continuerei così fino
all'autunno.
Farei più giri nella giostra,
contemplerei più aurore e giocherei
con più bambini ...se avessi un'altra
vita davanti.
Ma vedete, ho 85 anni e so che sto
morendo.
........
Sono contento quando sento don
Peppino raccontare la sua voglia di
fare il fruttivendolo.
Il fruttivendolo per amore.
Grazie, don Peppino.
RUBRICA RELIGIOSA a cura di Don Giorgio Capelli
Antropologia adeguata: «ma chi è l’uomo?»
D
al cammino della Chiesa, corpo
vivo di Cristo nella storia, riceviamo un tesoro ricco di insegnamenti.
Si tratta di un autentico patrimonio di
sapienza che ci consente anche di percepire e riconoscere gli elementi fondamentali di ciò che è proprio dell'uomo.
Tuttavia, per l'esposizione di una adeguata antropologia (discorso sull'uomo), la riflessione cristiana ha dovuto, soprattutto nella cosiddetta epoca
moderna, confrontarsi, combattere e
sconfiggere pericolose riduzioni, causate dal principio moderno della separazione tra fede e ragione, che finivano
nella negazione e impossibilità di un
approccio unitario attorno al discorso
sulla verità dell'uomo.
- Per la perdita di una visione unitaria
sull'uomo, la riflessione dell'antropologia, sia filosofica che teologica,
è colpita dal male della parzialità. Il pregiudizio filosofico moderno infatti proclama la fede estrinseca alla ragione e
pretende che quest'ultima sappia da
sola dire la verità sull'uomo: non c'è
altra luce, per conoscere la verità
sull'uomo, e la verità di tutta la realtà, se
non la ragione umana.
Nella visione filosofica moderna,
dunque, il fattore che specifica in modo
univoco la peculiarità dell'uomo è la
sua ragione, dove la ragione è intesa
come assoluta, in un duplice senso:
come separata, ovvero come estrinseca
dall'atto con cui la coscienza umana si
rapporta alla realtà (esperienza), e
come totalizzante, vale a dire come orizzonte e misura esauriente del sapere.
Possiamo così capire che l'estrinsecismo, cioè la separazione tra fede e
ragione, porta con sé una radicale riduzione dell'uomo alle proprie capacità
intellettive.
- Per la perdita della visione unitaria
della conoscenza della verità, garantita
– per così dire – dal nesso tra fede e
ragione, la stessa riflessione
dell'antropologia teologica corre
dei pericoli. Un primo grave pericolo quando, succube della separazione moderna tra fede e ragione, in essa si genera l'equivoco,
nonchè la riduzione, che tutto ciò
che riguarda l'esperienza contingente della libertà umana debba
essere considerato solamente
come la mera applicazione pratica
dell'universale verità rivelata,
conosciuta unicamente per via concettuale.
La libertà è così vista in modo puramente strumentale, applicativo, esecutivo, insomma esclusivamente pratico,
e, come vedremo di seguito, la rivelazione risulta essere subordinata e determinata dalla sola ragione.
Un secondo pericolo per la riflessione dell'antropologia teologica è procurato dall'istanza filosofica moderna,
ove la ragione – ricordiamolo ancora - è
concepita come sapere assoluto della
verità, cioè ad un tempo separato e totalizzante, che non solo opera la separazione, ma tenta di annullare la fede. La
filosofia moderna cerca questa cancellazione della fede ponendo la rivelazione, che suscita ed esige la fede, addirittura fuori dall'ambito razionale: la rivelazione fa leva sull'irrazionale; essa è
emozionale, sentimentale, dunque puramente soggettiva.
La rivelazione non esprime alcuna
verità oggettiva. Di conseguenza la
fede risulta essere un fenomeno puramente intimistico e privato, senza alcuna assolutezza e neppure valore universale.
La teologia, anche qui purtroppo,
recependo acriticamente questo pregiudizio della filosofia moderna, si è
sforzata di dimostrare razionalmente la
sovrarazionalità della rivelazione. In
questo modo però la fede si colloca da
se stessa non solo equivocamente in
modo subalterno alla ragione, ma
soprattutto in un binario parallelo ed
estraneo al percorso della ragione che
afferma la propria autonomia.
In ultima analisi, il problema da risolvere è questo: va sciolto il nodo metodologico fondamentale che è la relazione tra fede e ragione. Solo la giusta
visione di tale relazione è, infatti, determinante per avere idee corrette riguardo la ragione, la libertà e la fede, e salvaguardare il rapporto tra la rivelazione
di Dio e l'uomo.
Stando così le cose possiamo affermare che l'elaborazione, da parte della
teologia, di una antropologia che sia
adeguata esige di discutere lo statuto
metodologico – detto più semplicemente, quale percorso intende intraprendere -, sul quale intende fondarsi.
Questo compito implica un ripensamento radicale anche dei contenuti
delle categorie di ragione e di fede.
Tale ripensamento è particolarmente
importante nella vita della chiesa perché, come si è visto, il grave condizionamento dell'estrinsecismo tra fede e
ragione - che dipende da un concetto
assoluto di ragione (separato e totalizzante) -, quando è stato erroneamente
assunto come presupposto acritico
dalla stessa teologia, ha portato la
riflessione teologica a giustificare la
fede e a pensare la verità della rivelazione in modo puramente razionale,
facendo diventare la verità rivelata e
la fede delle realtà del tutto astratte e
sovrastoriche.
Ora, il superamento delle anguste
restrizioni e delle iperboliche assolutizzazioni del pensiero moderno
esige che il pensiero critico cristiano
sappia da una parte mettere a nudo la
falsa coincidenza tra verità e razionalità concettualistica (astrattismo),
e dall'altra smascherare come falsa la
separazione tra il pensiero della verità e la storia (annullamento della verità
rivelata come 'fatto storico' e svuotamento della fede come vicenda ininfluente per il mondo, ovvero incapace di
incidere nella storia ).
Una visione teologica adeguata
dell'antropologia impone, dunque, non
solo il superamento di una formulazione dottrinale astratta della verità
dell'uomo, ma anche di pensare insieme verità e storia: solo così il problema
della verità dell'uomo si radica nella
riflessione teologica, e solo così si offre
la soluzione del modo di concepire la
verità. In tal modo, poi, si mostrerà che
proprio il pensiero della verità non separato dalla storia, è lo strumento appropriato per giustificare la fede.
La presa di distanza metodologica
dagli influssi della modernità non esaurisce dunque tutto il compito per una
visione adeguata dell'antropologia teologica. Ciò che deve essere ripensata,
alla luce di un pensiero unitario, è una
comprensione della rivelazione che,
come abbiamo precedentemente rilevato, da una parte supera definitivamente l'alternativa fra verità e storia, e
dall'altra consente una comprensione
dell'idea di verità non più concettualistica, ma nella persona e nella storia di
Gesù di Nazareth.
E' stato il Concilio Vaticano II a libe-
rare la nozione di verità da una comprensione astorica restituendola alla
sua identità propria di evento storico.
La verità è un evento e un evento storico, reale e concreto, con un volto e
con un nome: Gesù Cristo. Muovendo
dalla prospettiva di una esplicita concentrazione cristologia, il Concilio –
riconoscendo la verità come evento in
Gesù Cristo - afferma la profonda unità
tra assolutezza e storicità, tra necessità
e libertà, implicata nella nozione di verità in persona.
Si tratta di parlare della verità senza
ridurre la portata dell'evento della rivelazione, né dal punto di vista veritativo
(riassorbendolo nel flusso irrecuperabile degli avvenimenti contingenti privi
di assolutezza), né dal punto di vista
della sua storicità (per cui l'assoluto si
darebbe all'uomo solo astrattamente, a
partire dall'indagine di una ragione intesa come assoluta, e non dentro la storia
mutabile).
Si ha così la possibilità di riconsiderare il rapporto, attualmente inscindibile per l'uomo, tra verità e storia, con la
consapevolezza che quando si dice che
la verità è un evento si afferma che essa
accade, ossia si fa, si esprime e vive di
fatto qui e ora, includendo intrinsecamente il libero riconoscimento dell'uomo nella concretezza della circostanza, situata nel “qui e ora” del tempo
e dello spazio.
Allo stesso tempo si comprende che
essa si propone come rivelazione, ovvero si dà sempre come avvenimento di
per sé indeducibile sia concettualmente
che trascendentalmente.
Né la logica, né la dialettica sono la
fonte della rivelazione, in quanto essa
trae la sua origine non dalla ragione
umana, ma solo dalla grazia divina: Dio
ne è la fonte e l'uomo è da Dio che la
riceve in dono proprio nella (sua personale) storia.
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