0 - indice 16-11-2011 10:46 Pagina 7 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Vol. 59 Dicembre 2011 Suppl. 1 al N. 6 SIAPAV XXXIII Congresso Nazionale Padova, 23-26 Novembre 2011 INDICE 25 LETTURE 3 M.M. Di Salvo, G. Failla, F. Mugno, G. Ardita, P.L. Antignani Varici e infiammazione C. Allegra 6 Le angiodisplasie: oggi e domani 28 B.B. Lee 8 31 32 Screening dell’arteriopatia diabetica nei diabetici: quando, come, in quali pazienti? G.M. Andreozzi Il trattamento ottimale del paziente arteriopatico A. Pinto 20 34 R. Pepe 23 CCSVI evidenze della letteratura (Gruppo di Studio SIDV-GIUV) M. Amitrano, G. Arpaia, P.L. Antignani 36 Cosa dobbiamo trovare in un referto eco-color-Doppler di qualità Che ruolo ha l’eco-color-Doppler nel percorso diagnostico terapeutico della patologia cerebrovascolare? L‘Accreditamento di Eccellenza dell’UOD di Angiologia secondo il percorso SIAPAV R. Greco, B.L. Farina, V. Prisco Il tempo di circolo cer ebrale nei pazienti con sclerosi multipla: valutazione con ecografia con mezzo di contrasto M. Mancini L. Aluigi 21 L’Accreditamento di Eccellenza secondo il percorso SIAPAV di UOS Angiologia G. Arpaia SIMPOSI 19 Il modello Hub & Spoke in Angiologia/Medicina Vascolare G.M. Andreozzi, A. Visonà, R. Martini La terapia ipolipemizzante nella gestione del paziente a rischio aterosclerosi A. Corsini 15 Revisione ministeriale delle tabelle di invalidità 39 CCSVI: parallelismo diagnostico tra ecografia e flebografia G. Cacciaguerra 41 Divisione di Angiologia/Medicina Vascolare della UEMS (UEMS Division on Angiology/Vascular Medicine): risultati e applicazioni Correlazione tra CCSVI e SM: risultati di uno studio osservazionale su 560 pazienti studiati con due differenti strumenti eco-doppler e dati preliminari di follow-up post-angioplastica M. Catalano P. Bavera Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA V TORNA ALL'INDICE 0 - indice 16-11-2011 10:46 Pagina 8 INDICE 42 Epidemiologia della CCSVI nella sclerosi multipla utilizzando ECD-TCCS e flebografia 69 D. Alesso A. d’Alessandro 44 Terapia compressiva nelle ulcere degli arti inferiori: qualità novità 71 G. Mosti 46 Nuove prospettive nel trattamento locale G. Failla, G. Ardita, P. Finocchiaro, F. Mugno, L. Attanasio, M. Di Salvo 49 74 Correzione emodinamica del reflusso C’è una terapia medica per l’ulcera venosa? E. Arosio 53 SIAPAV-ILA: un sodalizio destinato a durare Il trattamento delle malformazioni vascolari: chi, come e dove 76 Telemedicina e angiodisplasie: la costituzione di un portale nazionale per i medici di medicina generale, per gli specialisti e per i pazienti S. Pillon 58 61 78 B. Cosmi, M. Sartori 81 84 Trombofilie e arteriopatie F. Conti 86 Il Medico Generalista, primo diagnosta e primo terapeuta: la misura di ABI e l’AOP asintomatica 89 C.F. Marulli 90 Management della claudicatio moderatasevera: obiettivi e strategie terapeutiche Il training fisico nei vari stadi dell’arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) Trombofilie e poliabortività Trombofilie: linee guida e grandi Trial C. Cimminiello, G. Arpaia, G. Spezzigu TVCE e neoplasie R. Greco, B. L. Farina, V. Prisco 92 La terapia anticoagulante nella TVCE W.M. Pacelli 94 La gestione della Trombosi Venosa Profonda in Medicina d’Urgenza E. Bernardi Gli interventi di rivascolarizzazione nella AOP B. Gossetti, F. Faccenna, A. Laurito, J. Jabbour, A. Alunno, A. Castiglione, M.M.G. Felli, A. Malaj, D. Stavri VI Classificazione e meccanismo patogenetico delle trombofilie congenite G. Pessina M. Prior 66 Nuovi anticoagulanti orali: caratteristiche e possibile impiego nella TVS P. Simioni, E. Campello M.M Di Salvo, F. Mugno, P.M. Finocchiaro, G. Ardita, G.Failla 64 Fattori di rischio e TVS S. De Marchi R. Mattassi 57 La TVS sentinella: programma di screening in Medicina Generale R. Laurora P. Alia 55 Clinica delle trombosi venose superficiali (TVS) e pr esentazione di un modello di percorso diagnostico-terapeutico (PDT) per le TVS G. Milio, D. La Rosa, e gruppo di lavoro per il PDT-TVS G. Guarnera 51 La misura di ABI in Medicina Generale: risultati di un’esperienza sul campo 96 I filtri cavali: quando e come A. Siani, F. Accrocca, R. Antonelli, G.A. Giordano, R. Gabrielli, F. Mounayergi, L.M. Siani, G. Marcucci MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 0 - indice 16-11-2011 10:46 Pagina 9 INDICE 98 La trombosi venosa superficiale della vena grande safena a livello della crosse safeno-femorale B. Gossetti, F. Faccenna, A. Laurito, J. Jabbour, A. Alunno, A. Castiglione, M.M.G. Felli, A. Malaj, D. Stavri 100 Indicazioni attuali dei nuovi farmaci anticoagulanti C. Cimminiello 119 Test di Pearson e lo studio “PESI-MILLERS”: analisi correlativa per variabili continue in 30 pazienti con tromboembolismo venoso: triennale esperienza (2008-2010) M.M. Ciammaichella, R. Maida, C. Patrizi, C. Maida, G. Cerqua, M.L. Mecca 121 Fattori di rischio e sintomatologia della trombosi venosa profonda distale 102 Il fondaparinux nel trattamento della tromboflebite superficiale: lo studio CALISTO P. Prandoni, I. Minotto, R. Pesavento COMUNICAZIONI ORALI 107 Tromboendarterectomia e stenting carotideo. Esperienza monocentrica G. La Barbera, M. Vallone, G. Ferro, F. Valentino, F. Fallea, L. Cassaro, D. M. Parsai, G. La Marca 109 Le complicanze infettive dopo evar: la nostra esperienza nell’interessamento dell’aorta sopra-renale L. Ukovich, K. Nikolakopoulos, C. Cera, F. Pozzi Mucelli, S. Chiarandini, R. Adovasio 110 Una complicanza rara post-stenting dell’arteria succlavia: la sindrome da iperafflusso cerebrale L. Ukovich, M. Naccarato, B. Ziani, K. Nikolakopoulos, C. Cera, G. Giacomel1, A. Calgaro, R. Adovasio 112 Complicanze iatrogene nel trattamento endovascolare J. Clerissi, C. Massa Saluzzo, A. Ragazzoni, A. La Rosa, C. Scotti, M. Dondi, S. Cirulli, R. Moia M. Sartori, B. Cosmi, L. Salomone, G. Guazzaloca, L. Valdrè, C. Legnani, G. Palareti 123 Chirurgia delle varici recidive A. Ragazzoni, A. La Rosa, M. Dondi, E. Moia, C. Scotti, A. Khamis, S. Cirulli, R. Moia 125 La valvuloplastica venosa con tecnica OSES: risultati di una serie clinica di 32 casi S. Camilli, D. Camilli 128 Correlazioni tra alterazioni della pompa suro-plantare, dell’apparato valvolare ed insorgenza di ulcera flebostatica: due casi clinici A. Sellitti, A. Di Filippo, R. Giordano, M. Apperti 130 Postura e circolazione nostra esperienza E. Bucherini, R. Rossetti, C. Brini, F. Ventura 132 Il varicocele pelvico e scrotale J. Clerissi, C. Massa Saluzzo, A. Ragazzoni, A. La Rosa, M. Dondi, C. Scotti, M. Martinotti, R. Moia 134 Come organizzare un Servizio di Angiologia a “isorisorse” S. Cuppini, M. Marzolo, G. Burattin, E. Di Giacomo, M. Chinaglia, P. Amistà, E. Ramazzina, S. Pierotti incrementale della valutazione 114 Embolia polmonare da trombosi veno- 135 Valore della performance sistolica mediante sa giugulare idiopatica D. Tonello, B. Zalunardo, S. Cesari, S. Irsara, L. Zotta, F. Busato, F. Baratto, C. Biasutti, A. Visonà 116 La profilassi del tromboemblismo venoso a domicilio e nel territorio G. Camporese 117 Strategie di prevenzione della recidiva di trombosi venosa profonda G. Camporese Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 strain/strain rate nel predire l’outcome di pazienti cardiopatici ischemici sottoposti ad interventi di chirurgia vascolare A. Laurito, A. Dagianti, A. Malaj, A. Alunno, M.M.G. Felli, A. Castiglione, J. Jabbour, F. Faccenna, B. Gossetti 137 Ruolo della ricostruzione venosa nei traumi complessi degli arti inferiori A. Siani, F. Accrocca, G.A. Giordano, R. Antonelli, R. Gabrielli, L. Irace, O. Martinelli, G. Marcucci MINERVA CARDIOANGIOLOGICA VII TORNA ALL'INDICE 0 - indice 16-11-2011 10:46 Pagina 10 INDICE 139 Pyoderma gangrenosum: caratterische cliniche e criteri diagnostici D. Tonello, B. Zalunardo, S. Irsara, L. Zotta, F. Busato, F. Baratto, A. Visonà 141 Miglioramento della funzione cardiaca e dello stretch di parete in pazienti claudicanti dopo ciclo riabilitativo aerobico S. Zecchetto, S. De Marchi, A. Rigoni, F. Rulfo, M. Prior, E. Arosio 144 Studio di fattibilità in one-day surgery di procedure endovascolari non complesse F. Accrocca, A. Siani, G.A. Giordano, R. Gabrielli, R. Antonelli, G. Marcucci 146 Ruolo degli interventi Ibridi nel salvataggio d’arto in pazienti con ischemia critica R. Antonelli, F. Accroca, G.A. Giordano, A. Siani, G. Marcucci 148 Utilità di un precoce riconoscimento di lesioni non occludenti, ma a rischio (failing graft), nei by-pass femorodistali M.M.G. Felli, A. Alunno, A. Castiglione, A. Malaj, J. Jabbour, F. Faccenna, A. Laurito 150 Trattamento endovascolare degli aneurismi periferici J. Clerissi, C. Massa Saluzzo, A. Ragazzoni, A. La Rosa, M. Dondi, C. Scotti, M. Martinotti, R. Moia 152 Trattamento endovascolare delle lesioni iliache: nostra esperienza J. Clerissi, C. Massa Saluzzo, A. La Rosa, A. Ragazzoni, C. Scotti, M. Dondi, V. Epicoco, R. Moia 155 Percorso diagnostico-terapeutico integrato del paziente con vasculopatia diabetica S. Cuppini, M. Marzolo, G. Lisato, F. Mollo, P. Cardaioli, L. Zattoni, A. Sacco, E. Di Giacomo, G. Burattin, P. Dal Santo, E. Ramazzina 156 La PTA + stent dell’ischemia cronica periferica nel paziente diabetico J. Clerissi, C. Massa Saluzzo, A. La Rosa, A. Ragazzoni, E. Moia, C. Scotti, M. Dondi, V. Epicoco, R. Moia VIII 158 Aneurisma dell’arteria mesenterica superiore: case report e revisione della letteratura F. Baratto, S. Irsara, D. Tonello, F. Busatto, B. Zalunardo, A. Visonà 161 Segni precoci di aterosclerosi in pazienti affetti da morbo celiaco S. De Marchi, S. Zecchetto, G. Chiarioni, A. Rigoni, M. Prior, F. Rulfo, E. Arosio CORSI DI AGGIORNAMENTI 165 Il trattamento endovascolare delle varici degli arti inferiori B. Gossetti, F. Faccenna, A. Laurito, J. Jabbour, A. Alunno, A. Castiglione, M.M.G. Felli, A. Malaj, D. Stavri 168 Il ruolo dell’EVLA nel trattamento endovascolare delle varici G.B. Agus 170 La legatura sottofasciale delle perforanti S. Venosi 173 La scleroterapia ecoguidata con schiuma nel trattamento delle varici degli arti inferiori: risultati dopo 5 anni di attività M. Gallucci 175 Trattamento con radiofrequenze: esperienza personale P. Bortolotti 178 Clinica delle ulcere vascolari P.E. Mollo, S. Cherubini, V. Venturelli 180 Approccio clinico con simulazione al paziente con ulcera agli arti inferiori A. Crespi 182 L’importanza della cute perilesionale O. Forma 184 La gestione infermieristica domiciliare della persona amputata A. Lombardi 185 L’uso delle medicazioni avanzate è giustificato? A. De Angelis 189 Indice degli Autori MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 1 LETTURE TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 2 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 3 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):3-5 Varici e infiammazione C. ALLEGRA Varice dal latino Varix, radice varus cioè tortuoso, opposto, contrario. La etimologia esprime in pieno tutta la patofisiologia della sindrome varicosa: vena tortuosa,parete, circolo di ritorno non più centripeto bensì centrifugo cioè opposto e contrario, emodinamica e reologia. Le varici secondo la classificazione CEAP appartengono alla classe C2 e a seconda se siano primitive o secondarie a un processo trombotico profondo, primitive o secondarie; la loro evoluzione è verso complicanze flogistiche, varicoflebiti, oggi rivalutate in senso prognostico, o verso alterazioni tessutali fino alla ulcerazione. Tutto questo va sotto il nome di malattia venosa cronica. È una malattia molto diffusa e sottostimata e la prevalenza nei diversi paesi è variabile a seconda che sotto la denominazione di varici si includano anche le micro varici e le telangectasie 1 o solo le varicosità nel territorio della safena cioè varici di medio e grosso calibro; si passa così da una prevalenza di circa l’80% nel sesso maschile e 85% in quello femminile a circa il 40% con una differenza tra i due sessi a volte di 1 a 2 uomo-donna, a volte di 1 a 1,5 a volte con prevalenza maschile 2,3. Date le notevoli discrepanze si ritengono opportuni ulteriori ricerche di epidemiologia e prevalenza con popolazioni più omogenee, caratteri di arruolamento sovrapponibili tenendo presente anche la razza, il clima e la alimentazione 4,5. Tra i fattori di rischio due sono attualmente i più rilevanti la familiarità che sembra essere secondo Scott 6 dell’80% e l’età che, secondo studi recenti, produce oltre i 65 anni, una triplicazione della malattia e delle complicanze quali l’ulcera venosa 7. Questo ultimo fenomeno, l’invecchiamento della popolazione mondiale, ci appare di estrema rilevanza se consideriamo che in Italia secondo i dati ISTAT del 2001 la popolazione di ultrasessantacinquenni, tocca il 20% della popolazione;dobbiamo dunque aspettarci nel prossimo decennio un aumento esponenziale di questa malattia e delle sue complicanze a meno che non si attui una meticolosa informazione e prevenzione sia primaria che secondaria riducendo così non solo le complicanze delle varici e la terapia invasiva che ne consegue in regime di ricovero con un miglioramento della qualità delle Vita, ma abbattendo anche i costi per una Sanità sempre più in crisi. Abbiamo calcolato che il costo della Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 U.O.C.D. di Angiologia, Azienda Ospedaliera “S. Giovanni-Addolorata”, Roma prevenzione attraverso l’informazione, l’educazione, la contenzione elastica (3 paia di calze per anno), la visita medico-specialistica con esame Doppler (2 per anno), la terapia farmacologica (i flavonoidi), è approssimativamente di 1 Euro al giorno, laddove in presenza di complicanze, il costo passa a 350-500 euro al giorno a seconda di ricovero ordinario o di day-surgery o day-hospital. In sintesi un anno di prevenzione costa meno di 1 giorno di ricovero senza tenere conto della qualità di vita del paziente e dei costi indiretti 8,9. La varici sia primitive che secondarie riconoscono nella incompetenza valvolare il primun movens della malattia venosa cronica sia che il mancato funzionamento dell’apparato valvolare sia legato alla distruzione del medesimo per ricanalizzazione postrombotica sia per non collabimento dei pizzi valvolari da dilatazione del lume venoso. La risultanza di questi eventi è il reflusso che guoca un ruolo fondamentale in tutta la patologia del sistema venoso innescando un processo automantentesi e progressivamente ingravescente con ripercussioni reologiche sia nelle grandi che nelle piccole vene. La Legge di Bernoulli domina la scena attraverso il rapporto inverso tra pressione di punta e pressione laterale; in presenza di una dilatazione la pressione di punta diminuisce, conseguentemente quella laterale-dilatativa aumenta; aumentando questa ultima si riduce ulteriormente quella di punta e così di seguito. Dunque Stasi, aumento della pressione laterale;per questo la malattia venosa viene definita cronica ed evolutiva. Il processo emodinamico suddescritto a sua volta innesca il processo reologico attraverso la stasi che provoca l’accollamento a parete degli elementi figurati che in condizioni normali hanno una traiettoria assialecentrale. L’insufficienza valvolare nelle vene di grosso e medio calibro provoca una inversione del flusso particolarmente attraverso le vene perforanti al terzo inferiore di gamba per motivi gravitazionali. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 3 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 4 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ALLEGRA VARICI E INFIAMMAZIONE Particolarmente interessate sono le perforanti di Cockett dove I due reflussi si incontrano il reflusso lungo l’asse safenico e quello attraverso la perforante verso la superfice; questo scontro di flussi viene esasperato durante la deambulazione se questa avviene senza una contenzione che aumentando la pressione intravenosa nell’asse safenico varicoso riporta il flusso dalla superfice in questo crea un caput mortuum con complicanze trofiche precoci e ingravescenti. Queste alterazioni emodinamiche dei grossi vasi venosi si ripercuotono in senso distale alla microcircolazione, punto di contatto tra flusso sanguigno e tessuti, attivando il sistema di regolazione dei flussi nei microvasi.che impedisce l’inondamento tessutale e di conseguenza l’edema e le alterazioni trofiche 10-14. Uno dei meccanismi di difesa è la variazione della vasomotion arteriolare con prevalenza dei periodi di vasocostrizione; questo riduce la ipertensione a livello capillare e aumenta l’ematocrito con emoconcentrazione e relativo aumento della pressione oncotica 15-18. Questo fenomeno di emoconcentrazione capillare riduce notevolmente l’inondamento tessutale da ipertensione prevenendo le alterazioni ipossiche tessutali e l’alterazione della barriera ematotessulare;per tale motivo nei primi gradi di malattia venosa cronica da varici non si osservano segni clinici particolari ad eccezione di un transitorio edema serotino e i parametri microcircolatori di laboratorio sono poco significativi ad eccezione di un lieve aumento dell’Hctrel capillare e una riduzione della RBCV 19. Importante ruolo giuocano i linfatici iniziali presenti nel tessuto interstiziale. Il microcircolo linfatico come tutte le unità micro circolatorie, è un circolo “a la demande“. A seconda della pressione interstiziale , le benderelle che ancorano i linfatici iniziali al tessuto, si tendono o detendono, aprendo o chiudendo così questo circolo di ritorno. Tradotto in termini clinici: edemi transitori, posturali che recedono immediatamente in clinostatismo. Al contrario nella malattia venosa cronica di media e severa intensità, la vasomotion della arteriola terminale si blocca per vasoparalisi e l’ipertensione venosa con reflusso si ripercuote direttamente al circolo capillare con inondamento dei tessuti interstiziale e sovraccarico della funzione di drenaggio dei microvasi linfatici: In termini di clinica, edema permanente con iniziali alterazioni trofiche tessutali. Nell’animale di laboratorio è stato visto che dopo 3 settimane di aumento provocato della pressione venosa, a livello delle valvole venose si nota una abnorme presenza di granulociti, macrofagi e linfociti con aumento dei livelli MMP-2 e MMP-9 e con esito in distruzione della valvola. Questo a dimostrare quanto male l’endotelio venoso e le valvole mal tollerino per troppo tempo una ipertensione. Le variazioni di flusso come la stasi, flusso zero, il flusso vorticoso che sempre esprime un rallentamento di flusso, il reflusso, sembra provochino per assenza o alterazione dello Shear Stress la liberazione di fenotipi infiammatori e trombotici con alterazioni di recettori endoteliali detti glicocalici che perdono la funzione di legare o intrappolare i leucociti e dunque favoriscono il processo infiammatorio. La diminuzione della pressione di perfusione con il rallentamento del circolo venoso, stasi venosa, favorisce il capillary plugging da parte dei globuli bianchi attivazione 4 dei medesimi e rilasciamento di enzimi proteolitici, metaboliti dell’ossigeno, lipasi,catecolamine e tutto il corredo della infiammazione per attivazione leucocitaria come la L-selectina, CD11b, ICAM-1 con grave danneggiamento endoteliale e aumento della sua permeabilità con passaggio del fibrinogeno e la formazione per depomelarizzazione di una membrana di fibrina al’esterno del capillare, fibrin cuff. Tale ultimo atto legato alla flogosi, rappresenta l’ultima difesa naturale per evitare un totale inondamento del tessuto interstiziale ma dall’altra parte ne impedisce la ossigenazione. Studi ormai cospicui e recenti stanno dimostrando come i pazienti affetti da malattia venosa cronica sia primitiva che secondaria, durante la prolungata stazione eretta, liberano sostanze ad azione infiammatoria prevalentemente di derivazione leucocitaria quali MMP e TIMP-2. L’aumento del fattore endoteliale di accrescimento (VEGF) sembra sia aumentato durante la stazione eretta in tali pazienti quando portatori di lipodermatosclerosi cioè in fase ormai avanzata. Quale messaggio percepiamo da queste ricerche che compongono il mosaico della sindrome varicosa? 1. Evitare la stazione prolungata anche se possessori di contenzione elastica. 2. La compressione rimane la pietra miliare della terapia della malattia venosa cronica. 3. L’infiammazione da stasi venosa e venulare è un processo aggravante la patologia ma non è la causa. 4. Stasi venosa e dilatazione della parete venosa con relativa insufficienza valvolare primaria o secondaria sono elementi inscindibili dello stesso problema. 5. Accettando la sindrome varicosa come malattia familiare, cronica ed evolutiva, qualsiasi atto chirurgico anche mininvasivo, quando dovuto, rappresenta solo un presidio momentaneo e obbliga il paziente e il Medico ad un attento e continuo monitoraggio. 6. Si ha il dovere di informare per evitare attraverso una attenta prevenzione a bassissimo costo, l’insorgenza della malattia e le sue complicanze. 7. I Flavonoidi si pongono a dosaggio corretto e con un timing ben definito come terapia fondamentale di sostegno alle norme comportamentali, alla compressione elastica e ad eventuali procedure invasive. Bibliografia 1. Evans CJ, Fowkes FGR, Ruckley CV, Lee AJ. Prevalence of varicose veins and chronic venous insufficiency in men and women in the general population: Edinburg Vein Study. J Epidemiol Community Health 1999;53:149-53. 2. Widmer LK, ed Peripheral Venous disorders. Basle Study III. Berne, Switzerland: Hans Huber, 1978. 3. Kurz X, Kahn SR, Abenhaim L. et al. Chronic venous disorders of the leg: epidemiology, outcomes, diagnosis and management: summary of an evidence-based report of the Veines task force. Int.Angiology 1999;18:83-102. 4. Lee AJ, Evans CJ, Allan PL, Ruckely CV, Fowkes FG. Lifestyle factors and the risk of varicose veins: Edinburg Vein Study. J.Clin. Epidemiol. 2003;56:171-9. 5. Criqui MH, Jamosmos M, Fronek A, et al. Chronic venous disease in an ethnically diverse population: the S.Diego Population Study. Am.J. Epidemiol. 2003;158;448-56. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 5 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) VARICI E INFIAMMAZIONE ALLEGRA 6. Laurikka JO, Sisto T, Tarkka MR, Auvinen O. et al. Risk indicators fo varicose veins in forthy to sixthy-year olds in the Tampere varicose vein study. World J.Surg. 2002; 26: 648-51. 7. Chiesa R, Marone EM, Limoni C, et al : Demographic factors and their relatiuonship with the presence of CVI signs in Italy; the 24 cities cohort study. Eur. J. Vasc. Endovasc. Surg. 2005;30:674-80. 8. De Castro Silva M. Chronic Venous Insufficiency of the lower limbs and its socio-economic significance. Int Ang 1991;10:152-7. 9. Allegra C. Chronic venous insufficiency: the effects of health-care reforms on the cost of treatment and hospitalisation: an Italian perspective. Current Medical Research and Opinion. 2003;19:761-769. 10. Allegra C, Carioti B. Diffusione endoteliale capillare in vivo. Min. Angio. 1993;18,1(suppl.1):245. 11. Curri SB. Correlazioni microvasculotessutali e stasi venosa: alterazioni dei microvasi e dei tessuti cutaneo, adiposo e muscolare. Proceedings IV Congr. It. Fleb., Naples 1987, p.265. Monduzzi Publ.1987. 12. Merlen JF. Les modalités réactionelles à l’étage du lit vasculaire. Congrès Anesthésiologie, Evian,1967. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 13. Merlen JF. Relations histo-angéiques en phlébologie. Phlébologie,1974,27,427. 14. Allegra C. The role of the microcirculation in venous ulcers.Phlebolymphology. Les Laboratoires Servier 1994;2:58. 15. Allegra C. Comparison of investigation techniques in chronic venous insufficiency. Phlebology ’92, 1, 292. J. Libbey Publ.1992. 16. Allegra C, Carlizza A. Rheoplethysmography and Laser-Doppler velocimetry in the study of microcirculatory flow variability. In: Vasomotion and Flowmotion: Progress in applied microcirculation. Vol.20. Karger Publ. 1991. 17. Intaglietta M, Allegra C. Vasomotion and flowmotion. Min. Med. 1992;17,2(suppl.2). 18. Intaglietta M. La vasomotion comme activité microvasculaire normale et comme réaction à une perturbation de l’homéostasie. Progr. Appl. Micr. 1989;15:1. 19. Allegra C, Bartolo M, Carioti B, Cassiani D. An original microhemorheological approach to the pharmacological effects of Daflon 500 mg in severe chronic venous insufficiency. Int. J. Microcirc. Exp. Suppl. 1995;15:50-54. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 5 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 6 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):6-7 Le angiodisplasie: oggi e domani B.B. LEE Angiodysplasia, newly named to ‘congenital vascular malformation (CVM)’ is the vascular disorder of extreme variety with a stigma of totally unpredictable behavior; “recurrence” has been the trademark of the CVMs. Indeed, CVM remains the most difficult and confusing diagnostic and therapeutic challenge through centuries due to; – Wide range of the clinical presentation – Unpredictable clinical course – Erratic response to the treatment with high recurrence – High morbidity of conventional treatment – Confusing terminology without proper information on etiology, anatomy, and pathophysiology Now we learned, the CVM is a ‘group of birth defects’ often affecting more than one vascular system; capillary, arterial, venous, and/or lymphatic system with different characteristics and behaviors. And the CVM represents various birth defects developed in peripheral vascular system during various stages of embryogenesis as the result of a developmental arrest. Among the new knowledge we learned through the last two decades, the most critical information would be; – CVM has TWO different faces as its unique and fundamental characteristics: “Embryonic face and Hemodynamic face”. – Embryonic characteristic is represented by the “evolutive potentials” to grow when the condition/milieu should meet, represented by the ‘extratruncular’ form*. – Hemodynamic characteristic reflects each involved vascular system to the CVM, more significant among the ‘truncular’ form*. Such new concept has been evolved by a new classification organized based on the consensus initiated through Hamburg Workshop in 1988. It has been proved for its superiority in the clinical applicability providing critical information to various developmental failure during the embryogenesis. * Modified Hamburg Classification 6 Professor of Surgery, George Washington University, Washington DC, USA ‘Extratruncular’ lesion as the result of the developmental arrest in the ‘earlier stage’ of embryogenesis so that it maintains unique embryonic characteristics of the mesenchymal cells to grow when provoked/stimulated by various conditions (e.g. trauma, pregnancy, surgery, or hormone). ‘Truncular’ lesion, on the contrary, as the result of the developmental arrest along the ‘later’ stage does no longer possess such critical evolutional power to grow/recur. Unpredictable behavior of the CVMs with high recurrence is generally due to its pathognomic/ embryological characteristics of the ‘extratruncular’ lesion as an embryonic tissue remnant. Its erratic response to the conventional treatment with high morbidity and high recurrence gave a notorious reputation as an enigma among many vascular disorders; “recurrence” became a trademark of CVM. Hence, contemporary concept on the CVMs was finally established based on this modified Hamburg classification with proper information on the etiology, anatomy, embryology, histopathophysiology of CVMs. This new classification has provided a right ground for contemporary diagnosis of various CVMs and subsequently advanced management based on a new technology. Contemporary diagnosis can be made with a proper combination of various non- to less-invasive tests for the majority of the CVMs; clinical assessment with non-invasive tests should be adequate in general enough to rule out immediate candidate for the treatment with “absolute” indication for the treatment; the confirmation of precise nature of the CVMs in the expense of invasive tests can be deferred until the decision for the treatment is made. And finally, a new concept of ‘multidisciplinary team approach’ emerged aiming at the prevention/control of ‘recurrence’ with minimally possible complications/morbidity as the ultimate goal of the management, as lonely surgeons dreamed for centuries. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 7 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LE ANGIODISPLASIE: OGGI E DOMANI LEE New multidisciplinary team1 approach has achieved full integration of traditional open surgical treatment and nonsurgical/endovascular treatments with various forms of embolo/sclerotherapy. Now, the treatment strategy can be organized based on newly established principles; – Not every CVM lesion should be considered for the treatment; the only lesion with justified indications should be assessed by the multidisciplinary team as a treatment candidate. – Only when the team consensus should expect the benefit by the treatment to exceed the risk of the complication and morbidity by the treatment, less risky therapy should be tried first. – Controlled aggressiveness is warranted for the CVM in general regardless its condition even for AVM. Traditional open surgical/excisional therapy and endovascular therapy are now fully integrated as a total care management of the CVM as the most effective means. (e.g. embolo/sclerotherapy for extratruncular lesion: angioplasty and stent for truncular lesion) Endovascular therapy is now the treatment of the choice to non to poor surgical candidate with extensive lesions beyond deep fascia with involvement of muscle, tendon and bone as diffuse infiltrating extratruncular CVM lesions as an independent therapy. The role of endovascular therapy is further expanded as adjunctive therapy to surgical candidate to improve the safety and effectiveness of surgical control with reduced morbidity. Active incorporation of the embolo/sclerotherapy preand/or post- operatively allows substantial expansion of the traditional role of surgical therapy alone especially for the infiltrating extratruncular form of CVM while maintaining acceptable range of surgical risk. For the future, we propose; – Correction of misunderstanding on the CVM. “The majority of the CVMs is not a congenital AV fistula but venous anomalies”. – Rethinking of the conservative attitude with improved knowledge in patho-physiology and anatomo-embryology, and diagnostic and therapeutic technology. – Multidisciplinary team approach with full integration of open surgical and endovascular therapy as the main strategy for the future CVM management. – A team approach with new treatment strategy to achieve more improved treatment results even to once tabooed lesion due to prohibitively high morbidity accompanied, and to deliver improved long term treatment results with a reduced morbidity and recurrence over the conventional approaches. 1 Vascular Surgery, Pediatric Surgery, Orthopedic Surgery, Plastic & Reconstructive Surgery, Oral-Maxillar-Head & Neck Surgery, Physical Medicine & Rehabilitation, Anesthesiology, Pathology, Vascular Medicine/Angiology, Cardiology, Pediatrics, Genetics, Dermatology, Psychiatry, Interventional Radiology, Diagnostic Radiology, Nuclear Medicine. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 7 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 8 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):8-11 La terapia ipolipemizzante nella gestione del paziente a rischio aterosclerosi A. CORSINI Numerosi studi clinici controllati con obiettivi quali mortalità e morbilità per cause cardiovascolari (CV) e mortalità per tutte le cause hanno documentato il beneficio della terapia ipolipemizzante. Dal punto di vista applicativo risulta evidente l’importanza di un corretto trattamento farmacologico delle dislipidemie. Inibitori della sintesi del colesterolo: statine Gli inibitori della 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) riduttasi, l’enzima chiave della via biosintetica del colesterolo, o statine, sono la classe di farmaci di elezione per il trattamento delle ipercolesterolemia e sono in grado di ridurre il rischio di morbilità e mortalità CV in pazienti con un rischio cardiovascolare, perfino in quelli con livelli normali di lipoproteine a bassa densità (LDL). Le statine esercitano il loro effetto principale, la riduzione dei livelli di colesterolo LDL (LDL-C), inibendo competitivamente la HMG-CoA riduttasi e, quindi, la sintesi endogena di colesterolo a livello epatico. La ridotta disponibilità di colesterolo cellulare determina un aumento dell’espressione dei recettori per le LDL sulla superficie degli epatociti con una aumentata rimozione delle LDL circolanti, riducendo così i livelli plasmatici del LDL-C. Effetti sui livelli di LDL-C Le statine sono in grado di abbassare i livelli di LDL-C dal 20 al 55% a seconda del dosaggio e della statina somministrata. L’analisi delle relazioni dose-risposta per tutte le statine dimostra che l’efficacia nel ridurre il LDL-C è lineare; i livelli di LDL-C si riducono del 6% ogni volta che la dose di statina viene raddoppiata. L’effetto massimo sui livelli plasmatici di colesterolo viene raggiunto dopo 15-30 giorni dall’inizio del trattamento. Le statine sono efficaci in tutti i pazienti con livelli elevati di LDL-C, e con pari efficacia, anche nei pazienti normocolesterolemici. Fanno eccezione i pazienti affetti da ipercolesterolemia famigliare omozigote che rispondono poco alle dosi abituali di statine poiché entrambi gli alleli del gene del recettore per le LDL codificano per recettori inattivi; la risposta par8 Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Milano ziale che si osserva (con una riduzione fino al 25% dei livelli di LDL-C) è dovuta a una riduzione della sintesi epatica di VLDL associata all’inibizione della sintesi del colesterolo mediata dalla HMG-CoA riduttasi. Studi clinici EFFETTI CRONICI DELLE STATINE Numerosi studi clinici controllati, sia di prevenzione primaria sia secondaria, hanno documentato l’efficacia delle statine nel ridurre gli eventi CV fatali e non fatali, l’ictus e la mortalità totale. Il trattamento con le statine ha determinato una riduzione media dei livelli plasmatici di LDLC del 30% associata ad una simile riduzione media dell’incidenza sia delle morti coronariche sia dei casi non fatali di infarto del miocardio. Come mostrato nella Figura 1, il beneficio clinico è in relazione diretta con l’abbassamento delle LDL 1, ad evidenziare che gli effetti pleiotropici delle statine, inclusi gli effetti antiinfiammatori (e.g. abbassamento delle PCR) sono da attribuirsi essenzialmente alla riduzione delle LDL che di per se sono infiammatorie. Inoltre questi studi clinici hanno documentato come il trattamento con statine possa determinare riduzioni significative del LDL-C fino ad un 50% dei suoi valori, a cui si associa una riduzione degli eventi cardiovascolari del 40-45%. Lo studio JUPITER ha evidenziato come il raggiungimento di livelli di LDL-C nell’intorno dei 50 mg/dl sia associato nei pazienti con rischio cardiovascolare moderato e caratterizzati da livelli normali di LDL-C ma da elevati livelli di proteina C reattiva, porti ad una riduzione significativa degli eventi CV. È importante ricordare che tutti gli studi di intervento condotti a tutt’oggi con statine, compreso lo studio JUPITER, hanno alla base della riduzione degli eventi clinici esclusivamente la riduzione del LDL-C 1. Ne consegue che abbassare il LDL-C in modo importante e MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 9 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE A RISCHIO ATEROSCLEROSI CORSINI colesterolo e favorendone l’escrezione per opera di altri trasportatori. L’inibizione a livello dell’orletto a spazzola evita tutte quelle interazioni che sono state documentate con l’impiego dei sequestranti degli acidi biliari (resine) che impediscono l’assorbimento non solo di acidi biliari, ma anche di una serie di molecole lipofile di notevole importanza biologica quali vitamine liposolubili e ormoni steroidei. Razionale dell’impiego della combinazione statine-ezetimibe per il raggiungimento degli obiettivi di LDL-C Figura 1. – Riduzione del colesterolo LDL (%) e della frequenza degli eventi cardiovascolari (infarto del miocardio non fatale + morte cardiaca) nei principali studi clinici con ipolipemizzanti. I dati degli studi SEAS, 4D e Aurora non sono stati utilizzati per calcolare la linea di regressione. significativo si associ effettivamente ad una riduzione del rischio cardiovascolare. Un recente studio di meta-analisi su più di 170000 pazienti ha dimostrato che le statine per ogni ulteriore riduzione di 1 mmole/L (~40 mg/dL) di LDL-C riducono di circa un quinto il rischio di infarto, rivascolarizzazione e ictus ischemico 2. Non è stata dimostrata l’esistenza di alcun valore soglia all’interno dell’intervallo dei livelli di colesterolo studiati, facendo ipotizzare che una riduzione del LDL-C di 2-3 mmoli/L porterebbe ad una riduzione del rischio di circa il 40-50%, senza un aumento del rischio di cancro o morti non cardiovascolari 2. Nonostante queste premesse, la monoterapia con statine non sempre raggiunge i livelli di colesterolo considerati ottimali dalle linee guida internazionali. Le motivazioni di questo fallimento terapeutico sono svariate, tra cui scarsa adesione al trattamento, interazioni con le terapie concomitanti, fattori genetici, ed effetti collaterali, Elevati dosaggi di statine sono associati ad aumentato rischio di miopatie, degli enzimi epatici ed anche della mortalità non CV. Queste ultime considerazioni suggeriscono come una terapia ipolipemizzante combinata sia potenzialmente più favorevole rispetto ad una terapia con dosaggi elevati di statine nel ridurre il LDL-C. Inibitori dell’assorbimento del colesterolo: ezetimibe L’assorbimento del colesterolo proveniente dalla dieta prevede un meccanismo specifico mediato da una proteina trasportatrice localizzata a livello dell’orletto a spazzola delle cellule intestinali, la proteina Niemann-Pick C1 Like 1 Protein (NPC1L1) fondamentale nel controllare l’omeostasi del colesterolo. In particolare, la sua espressione è modulata dal contenuto intracellulare di colesterolo nell’enterocita. È bene ricordare che il colesterolo presente nell’intestino deriva solo parzialmente dalla dieta e per la maggior parte ha origine endogena. L’ezetimibe inibisce in modo specifico l’attività della proteina trasportatrice NPC1L1 impedendo così il trasferimento dal lume intestinale all’interno della cellula del Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Il trattamento con statine, associata all’inibizione della sintesi di colesterolo, determina una risposta omeostatica dell’organismo alla necessità di colesterolo che si traduce in un aumento della quota di colesterolo assorbito. Per ottenere un controllo ottimale dei livelli plasmatici di colesterolo è necessario quindi un duplice effetto di inibizione dell’assorbimento e dell’aumentata sintesi endogena di colesterolo. Numerosi studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di ezetimibe 10 mg/die nell’aumentare l’effetto ipolipemizzante del 15-26% di qualsiasi statina. Questo approccio consente di portare e mantenere un maggior numero di pazienti a quei valori soglia LDL raccomandati per un controllo ottimale del rischio CVD soprattutto a livello ambulatoriale. Riassumendo, la duplice inibizione a livello dell’enterocita operata da ezetimibe e a livello dell’epatocita dalla statina, costituisce l’approccio terapeutico ottimale delle dislipidemie proprio per le diverse caratteristiche farmacodinamiche dei due agenti terapeutici e per la selettività della loro azione. Gli studi clinici attualmente in corso permetteranno di documentare come questo approccio ipolipidemizzante combinato sia vincente anche da un punto di vista clinico. Lo studio SHARP (Study of Heart and Renal Protection) che ha previsto il trattamento su 9,000 pazienti (di cui 3.000 dializzati) con ezetimibe/simvastatina 10/20 mg vs. placebo. Lo studio della durata di 4,9 anni ha mostrato che il trattamento con Eze/Simva 10/20 mg ha ridotto sia gli eventi vascolari maggiori del 16,1% (p=0,0010) sia gli eventi aterosclerotici maggiori del 16,5% (p= 0,0022). Il trattamento con l’associazione ezetimibe/simvastatina è quindi ad oggi l’unico trattamento che abbia dimostrato un così grande beneficio su questa categoria di pazienti. È importante notare (Figura 2) che la relazione tre riduzione delle LDL e riduzione degli eventi vascolari è assolutamente in accordo con i risultati di tutti gli altri studi clinici condotti con statine in diverse tipologie di pazienti (e.g. diabetici, ipertesi, coronaropatici,dislipidemici) a sottolineare che l’obiettivo della terapia ipolipidemizzante sia l’abbassamento del colesterolo LDL sia in monoterapia sia in combinazione. Effetti acuti delle statine Recenti dati sembrerebbero confermare che gli effetti pleiotropici (indipendenti dall’abbassamento del colesterolo) delle statine possono avere un ruolo rilevante dopo un trattamento precoce e con dosaggi importanti di statine quali atorvastatina 80 mg, nei pazienti con sindrome coronarica acuta: Studi recenti dimostrano una minor incidenza di infarto periprocedurale e un periodo prolungato MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 9 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 10 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CORSINI LA TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE A RISCHIO ATEROSCLEROSI senza eventi cardiaci dopo l’intervento di PCI a seguito della somministrazione entro le 48 ore di statine dall’evento 3. Una ipotesi recente postula il ruolo del fegato nel mediare gli effetti pleiotropici delle statine 4. In particolare, gli effetti pleiotropici delle statine possono manifestarsi a poche ore dopo la somministrazione delle statine grazie ad una azione inibitoria diretta delle statine sulla sintesi e secrezione di mevalonato e dei suoi deivati isoprenici a livello epatico (Fig. 3). Questi effetti inibitori sui livelli sierici di mevalonato e dei suoi isoprenoidi si manifestano poche ore dopo la somministrazione delle statine mentre l’abbassamento dei livelli di colesterolo LDL si inizia a manifestarsi 24-48 ore dopo la somministrazione. Questa finestra terapeutica (entro 24-48 ore) dopo la somministrazione della statina rappresenta un momento importante per esaltare gli effetti pleitropici nei pazienti con sindrome coronaria acuta indipendenti dall’abbassamento del colesterolo 5. Figura 2. Figura 3. – Effetti pleiotropici delle statine: ruolo del fegato. Riassumendo, le attuali conoscenze sulla terapia ipocolesterolemizzante evidenziano l’importante contributo clinico, in particolare delle statine, nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare ma sottolineano anche come la terapia di combinazione rappresenti un’importante opzione terapeutica. 10 Bibliografia 1. Poli A, Corsini A. Reversible and non-reversible cardiovascular risk in patients treated with lipid-lowering therapy: analysis of SEAS and JUPITER trials. Eur J Intern Med;21:372373. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 1 - letture 14-11-2011 13:43 Pagina 11 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA TERAPIA IPOLIPEMIZZANTE NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE A RISCHIO ATEROSCLEROSI 2. Cholesterol Treatment Trialists’ Ctt C. Efficacy and safety of more intensive lowering of LDL cholesterol: a meta-analysis of data from 170 000 participants in 26 randomised trials. Lancet. 2010;Published online, November 9. 3. Baigent C et al. Lancet Published online June 9, 2011 4. Patti G, Pasceri V, Colonna G, Miglionico M, Fischetti D, Sardella G, Montinaro A, Di Sciascio G. Atorvastatin pretreatment improves outcomes in patients with acute coronary Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CORSINI syndromes undergoing early percutaneous coronary intervention: results of the ARMYDA-ACS randomized trial. J Am Coll Cardiol. 2007;49:1272-1278. 5. Arnaboldi L, Corsini A Do structural differences in statins correlate with clinical efficacy? Current Opinion in Lipidology 2010, 21 in stampa. 6. Corsini A, Ferri N, Cortellaro M. Are pleiotropic effects of statins real? Vasc Health Risk Manag 2007; 3:611-613. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 11 TORNA ALL'INDICE 0 - indice 15-11-2011 18:10 Pagina 1 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 13 SIMPOSI TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 14 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 15 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):15-8 Screening dell’arteriopatia diabetica nei diabetici: quando, come, in quali pazienti? G.M. ANDREOZZI L’arteriopatia obliterante periferica (AOP) ha nella popolazione adulta una prevalenza del 12%, e raggiunge il 20% nella popolazione con più di 70 anni 1 con un rapporto uomo/donna di 3:1, e la claudicazione intermittente (CI), sintomo principale della AOP, è indicato da numerosi studi come fattore di rischio indipendente di mortalità cardiovascolare, raddoppiando il rischio relativo di morte e riducendo la spettanza di vita di circa 10 anni.2-4 La presenza di diabete mellito, la cui prevalenza è passata dal 3% degli anni ‘80-‘90 al 5,5% del 2005,5 soprattutto di tipo 2 (definito da una glicemia a digiuno >126 mg/dl, con un’incidenza di 7,6/1000/anno, 6,7 accelera la comparsa di AOP di circa un decennio, e riduce il rapporto uomo/donna a 2:1 (nella popolazione adulta giovane) e a 1:1 nella popolazione di età avanzata e, in almeno l’8% dei casi, l’arteriopatia è già documentabile al momento della diagnosi di diabete.8 Chi fa cosa L’elevata prevalenza di AOP nel diabetico impone una stretta sorveglianza di questi pazienti con l’obiettivo di una diagnosi precoce finalizzata al rallentamento della progressione della malattia e soprattutto alla comparsa di eventi cardiovascolari maggiori (infarto miocardio e stroke) fatali e non fatali. Sottoporre tutti i pazienti diabetici ad una valutazione vascolare come l’eco-color-Doppler (ECD) degli arti inferiori è tuttavia improponibile per il notevole dispendio di risorse umane ed economiche che comporterebbe. Questo empasse può essere superato stratificando opportunamente i ruoli dei vari livelli di assistenza, con procedure diagnostiche appropriate eseguite da personale adeguatamente formato. La valutazione di 1° livello, secondo le linee guida della Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare (SIAPAV®),9 va demandata al Medico di Medicina Generale (MMG) ed ai Diabetologi, che hanno un più stretto contatto con il paziente diabetico, mentre la valutazione di 2° e 3° livello sono di competenza dottrinaria ed assistenziale degli specialisti in Angiologia e Chirurgia Vascolare, che hanno ricevuto un’adeguata specifica formazione in questo campo. Tuttavia, per semplificare il management Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 UOC di Angiologia Azienda Ospedaliera-Universitaria, Università degli Studi di Padova, Padova dei pazienti e accelerare l’iter diagnostico riducendo le liste di attesa, le procedure diagnostiche di 2° livello possono essere eseguite anche dai Centri per la Prevenzione e la Cura del Piede Diabetico, purché opportunamente addestrati e accreditati (accreditamento di eccellenza della SIAPAV®).10 Soltanto una stretta collaborazione tra queste tre figure professionali potrà garantire un management adeguato del paziente diabetico e delle sue manifestazioni vascolari, con diversi livelli d’intervento, schematizzati nella figura 1. In base ai dati epidemiologici precedentemente citati tutti i diabetici la cui malattia dati da più di venti anni, i diabetici con IDDM di età superiore a 35 anni e i diabetici NIDDM con età superiore a 40 anni dovrebbero ricevere una adeguata valutazione vascolare. Inoltre, considerato il ruolo preventivo di molte delle azioni indicate nella figura 1, la valutazione vascolare dovrebbe essere estesa anche ai pazienti con sintomi e segni espressione di disfunzione endoteliale come un elevato indice di massa corporea (BMI) o di un alterato rapporto vita/fianchi, la presenza di microalbuminuria o di disfunzione erettile. Valutazione di 1° livello (sorveglianza clinica e misura di ABI) La sorveglianza generale della popolazione diabetica è dunque demandata al MMG e/o ai Centri per la Prevenzione e la Cura del Piede Diabetico che, nei soggetti prima indicati, dovranno controllare periodicamente la presenza dei polsi arteriosi e/o di soffi vascolari, la capacità deambulatoria e lo stato trofico della cute9, eseguendo personalmente la misura dell’ABI in caso di riduzione della pulsatilità arteriosa, di presenza di soffi arteriosi o di riduzione della capacità di marcia. La misura di ABI è un momento cruciale della sorveglianza vascolare del paziente diabetico, a causa della scarsa MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 15 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 16 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ANDREOZZI SCREENING DELL’ARTERIOPATIA DIABETICA NEI DIABETICI: QUANDO, COME, IN QUALI PAZIENTI? Figura 1. – Algoritmo per il management dell’arteriopatia periferica nel paziente diabetico. specificità del sintomo claudicazione in questi pazienti. Non si insisterà mai abbastanza sull’importanza di questa misura, semplice e di basso costo ed estremamente utile non solo nell’identificare i pazienti arteriopatici, ma anche nello screening del rischio cardio-vascolare 11 e sulla sua scarsa applicazione.12 A seconda del risultato di ABI il paziente dovrà essere avviato ai percorsi indicati nella figura 1 ed inserito nei programmi specifici di follow-up13-15. Nel soggetto normale ABI è compreso tra 0,95 e 1,30, e con un valore superiore a 0,90 la presenza di arteriopatia è ritenuta improbabile. Valori compresi tra 0,9 e 0,7 sono espressione di un’arteriopatia lieve. È opportuno ripetere la misura entro tre mesi. Se il dato è confermato il paziente deve iniziare un adeguato programma di prevenzione secondaria9. Un valore di ABI tra 0,7 e 0,5 è espressione di un’arteriopatia moderata, con lesioni segmentarie, stenotiche e/o ostruttive. È indicata una valutazione di secondo livello con esecuzione di un ECD degli arti inferiori e dei tronchi sopraortici, e l’adozione del programma di trattamento medico, compreso il training fisico (consigliato o controllato)16,17. Un ABI inferiore a 0,5 è espressione di un’arteriopatia severa, ed impone di avviare il paziente a centri specialistici di angiologia o chirurgia vascolare per una diagnosi di terzo livello. Un valore di ABI superiore a 1,30 è inaffidabile ed impone un ECD. Il riscontro di un ABI >1,30 è frequente nei pazienti diabetici a causa della incompressibilità delle arterie tibiali per la presenza di mediocalcinosi di Monckeberg. 16 Le linee guida internazionali in questa evenienza suggeriscono di eseguire la misura della pressione arteriosa all’alluce (Toe Systolic Blood Pressure, TSBP)18,19. In Italia la misura della pressione arteriosa all’alluce è storicamente poco utilizzata e, per alcuni versi non supera totalmente l’inaffidabilità della misura; nel caso di ABI >1,30 si preferisce eseguire un esame eco-color-Doppler.14 15 Valutazione di 2° livello Eco-color-Doppler degli arti inferiori La valutazione di 2° livello si basa sulla esecuzione di un ECD di tutto l’asse arterioso degli arti inferiori, che in laboratori accreditati ha una consolidata accuratezza20. È indicata nei pazienti con ABI compreso tra 0,7 e 0,5 e nei pazienti con arteriopatia severa (ABI <0,5). Nei pazienti con ABI compreso tra 0,9 e 0,7 non è strettamente indicato perchè la strategia terapeutica dell’arteriopatia lieve è di tipo conservativo anche nel paziente diabetico. Tuttavia l’esecuzione di un ECD può contribuire ad una precoce definizione del quadro anatomico ed emodinamico degli arti inferiori ed in questo senso lo studio può essere consigliato anche se non espressamente raccomandato15. La valutazione deve essere estesa a tutto l’asse arterioso dell’arto sino alle arterie metatarsali, con descrizione del numero e della sede delle stenosi o delle ostruzioni (blocchi singoli, sequenziali o multipli ed estesi), dei circoli collaterali compensatori e del run-off distale. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 17 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) SCREENING DELL’ARTERIOPATIA DIABETICA NEI DIABETICI: QUANDO, COME, IN QUALI PAZIENTI? ANDREOZZI Eco-color-Doppler dei tronchi sopra aortici (TSAo) Bibliografia È ampiamente dimostrato che l’AOP sia un fattore di rischio indipendente di morbilità e mortalità cardiovascolare, e che il rischio di avere uno stroke a cinque anni è nei claudicanti vari dal 5 al 10%, e pertanto è buona consuetudine eseguire uno studio dei TSAo nei pazienti con AOP diabetica. Va tuttavia ricordato che report specifici sull’argomento21,22 non hanno dimostrato una importante influenza del diabete nella patologia dei tronchi sopra aortici (TSAo). Uno studio epidemiologico condotto in Friuli-Venezia Giulia, su un campione randomizzato di 1.800 soggetti, ha evidenziato una correlazione statisticamente significativa della patologia carotidea con il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa ed i bassi livelli di colesterolo HDL, ma non con il diabete. Il diabete sembra invece influenzare la prevalenza di lesioni nelle grandi arterie intracraniche.23 Alla luce di queste considerazioni l’eco-color-Doppler dei TSA nei pazienti diabetici con AOP è raccomandato se esistono segni specifici come i soffi laterocervicali, sintomi suggestivi per TIA o fattori di rischio maggiori per la patologia carotidea. 1. Hiatt WR, Hoag S, Hamman RF. Effect of diagnostic criteria on the prevalence of peripheral arterial disease. The San Luis Valley Diabetes Study. Circulation 1995;91:1472-9. 2. Davey Smith G, Shipley MJ, Rose G. Intermittent claudication, heart disease risk factors and mortality. The Whitehall Study. Circulation, 1990;82:1925. 3. Jelnes R, Gaardsting O, Hougaard Jensen K, et al. Fate in intermittent claudication. Outcome and risk factors. BMJ 1986;293:1137-40. 4. O’Riordain DS, O’Donnell JA. Realistic expectations for the patient with intermittent claudication. Br J Surg 1991; 78: 861-3. 5. Deshpande AD, Harris-Hayes M, Schootman M. Epidemiology of diabetes and diabetes-related complications. Phys Ther 2008;88:1254-1264. 6. Bonora E, Kiechl S, Willeit J, et al. Bruneck study. Population-based incidence rates and risk factors for type 2 diabetes in white individuals: the Bruneck study. Diabetes 2004;53:1782. 7. Hirsch AT, Haskal ZJ, Hertzer NR, et al. ACC/AHA 2005 Practice Guidelines for the management of patients with peripheral arterial disease (lower extremity, renal, mesenteric, and abdominal aortic). Circulation. 2006;113:e463654. 8. Zimmerman BR, Palumbo PJ, O’Fallon WM, et al. A prospective study of peripheral occlusive arterial disease in diabetes. I. Clinical characteristics of the subjects. Mayo Clin Proc 1981;56:217-22. 9. Andreozzi GM, Arpaia G, Martini R: Procedure diagnostiche e terapeutiche per il management del paziente con arteriopatia diabetica. Riv. Soc. It. Med. Gen. 2010;2:39-70. 10. Andreozzi GM, Marchitelli E, Pepe R: Manuale per l’accreditamento professionale di eccellenza per le streutture sanitarie di Angiologia. Min Cardioangiol 2001;49:12(s2):1-34. 11. Salimistraro G, Camporese G, Martini R, Scomparin MA, Verlato F, Cordova R, Andreozzi GM: Utilità dello screening per l’arteriopatia obliterante periferica. Min Cardioang 2008; 56(s1):67-70. 12. Marzolo M, Verlato F, Zotta L, et al. Occult atherosclerosis and physical vascular examination: a simple strategy to avoid inadeguate cardiovascular prevention and under-use of diagnostic vascular guidelines in outpatients. A multicenter study by Angiology care Units in North-Eastern Italy. Int Angiol 2008;27:426-32. 13. Osmundson PJ, O’Fallon WM, Zimmerman BR, et al. Course of peripheral occlusive arterial disease in diabetes. Vascular laboratory assessment. Diabetes Care 1990;13:143-52. 14. Andreozzi GM, Visonà A, Parisi R, et al. (ANGIO-VENETO WORKING GROUP): Appropriateness of diagnostic and therapeutic pathways in patients with vascular disease. Minerva Cardioangiol 2007;55:397-424. 15. Andreozzi GM, Arosio E, Martini R, et al. Consensus Document on Intermittent Claudication from the Central European Vascular Forum (2nd revision september 2007). Int Angiol 2008;27:93-113. 16. Carlon R, Andreozzi GM, Leone A. L’esercizio Fisico nel paziente con Arteriopatia Obliterante Cronica Periferica. In La prescrizione dell’esercizio fisico in ambito cardiologico (Documento Cardiologico di Consenso della Task Force Multisocietaria) FMSI & SIC-sport Roma 9 maggio 2006. 17. Andreozzi GM, Leone A, Martini R, et al. Effectiveness and costs of short-course supervised training program in claudicants. Int Angiol 2008;27(s3):78-79. 18. Osmundson PJ, Chesebro JH, O’Fallon WM, et al. A prospective study of peripheral occlusive arterial disease in diabetes. II. Vascular laboratory assessment. Mayo Clin Proc 1981;56:223-32. Eco-color-Doppler dell’aorta addominale La valutazione ECD dell’aorta addominale (sensibilità rispetto all’angiografia e alla TC, molto vicina al 100%)24 deve completare tutte le valutazioni dell’asse arterioso degli arti inferiori con l’obiettivo specifico di ricercare dilatazioni aneurismatiche non apprezzabili clinicamente, lesioni parietali non emodinamiche con rischio di ateroembolia aortica (blue toe syndrome) e stenosi emodinamicamente significative con rischio di trombosi aortica ascendente. Eco-color-Doppler delle arterie renali Il 30-40% dei pazienti con AOP è portatore di stenosi delle arterie renali, indipendentemente dalla presenza di ipertensione renovascolare.25 La valutazione di questo distretto è pertanto da consigliare almeno una volta, nell’iter diagnostico dell’arteriopatia diabetica, e da raccomandare in caso di coesistenza di ipertensione arteriosa o di insufficienza renale.9 Eco-color-Doppler del tripode celiaco-mesenterico La prevalenza di alterazioni ats nel tripode celiaco mesenterico è clinicamente poco rilevante; l’esame di questo distretto va eseguito soltanto nel fondato sospetto clinico di angina abdominis. Lesioni cutanee Poiché il paziente diabetico può presentare lesioni cutanee agli arti inferiori di origine ischemica o non ischemica (neuropatica o traumatica), con scarsa tendenza alla guarigione a causa della glicazione proteica, della carenza dei fattori di crescita, e/o della presenza di infezione, tutti i diabetici con lesioni cutanee, come suggerito dalla flowchart della figura 1, devono essere sottoposti a misura della ossimetria transcutanea anche in assenza di dolori a riposo, per confermare o escludere la natura ischemica della lesione. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 17 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 18 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ANDREOZZI SCREENING DELL’ARTERIOPATIA DIABETICA NEI DIABETICI: QUANDO, COME, IN QUALI PAZIENTI? 19. Apelqvist J, Castenfors J, Larsson J, Stenstrom A, Agardh CD. Prognostic value of systolic ankle and toe blood pressure levels in outcome of diabetic foot ulcer. Diabetes Care 1989; 12:373-8. 20. Moneta GL et al. Non-invasive localization of arterial occlusive disease: a comparison of segmental Doppler pressures and arterial duplex mapping. J Vasc Surg, 1993;17:578582. 21. Kunitz S et al: The Pilot Stroke Data Bank: definitio, design and data. Stroke 1984;15:740-6. 18 22. Caplan LR: Diabetes and brain ischaemia. Diabetes 1996; 45(s):595-7. 23. Prati P, Vanuzzo D, Casaroli M, et al. Prevalence and determinants of carotid atherosclerosis in a general population. Stroke 1992;23(12):1705-11 24. LaRoy LL, et al. Imaging of abdominal aortic aneurysms. Am J Rad 1989;152:785-792. 25. Zierler RE, Bergelin RO, Isaacson JA, et al. Natural history of atherosclerotic renal artery stenosis: a prospective study with duplex ultrasonography. J Vasc Surg 1994;19:250-8. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 19 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):19 Il trattamento ottimale del paziente arteriopatico A. PINTO L’aterosclerosi è la causa più frequente dell’arteriopatia obliterante periferica (AOP) degli arti inferiori. Le sue manifestazioni cliniche, la cui intensità è direttamente proporzionale al grado di interessamento vasale e allo sviluppo di circoli collaterali possono andare dall’insufficienza arteriosa asintomatica o paucisintomatica al dolore in seguito a deambulazione (claudicatio intermittens) e a riposo. Inoltre, poiché l’AOP è quasi sempre espressione di un processo aterosclerotico grave e diffuso questo comporta che i soggetti affetti da arteriopatia periferica presentino un rischio elevato di complicazioni cardiache e cerebrovascolari, soprattutto se non adeguatamente indirizzati verso adeguati interventi di prevenzione (correzione dei principali fattori di rischio) e terapia. Il trattamento medico dell’AOP si pone complessivamente un triplice obiettivo: 1) ridurre della progressione della malattia aterosclerotica generalizzata e, di conseguenza, della morbilità e mortalità cardiovascolare; 2) trattare i sintomi specifici al fine di migliorare la capacità funzionale e la qualità di vita del paziente (ad esempio: aumentare la deambulazione massima prima che si manifesti dolore, assicurare una condizione di analgesia a pazienti con dolore persistente); Vol. 58, Suppl. 1 al N. 6 U.O.C di Medicina Vascolare, Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica, Università degli Studi di Palermo, Palermo 3) prevenire le lesioni trofiche degli arti inferiori (ulcere, gangrena, amputazioni). Un trattamento ottimale del paziente arteriopatico deve quindi tenere conto di questi tre aspetti e dei principali fattori di rischio utilizzando farmaci che oltre a rallentare la progressione della malattia aterosclerotica (statine, antiaggreganti) riducano la frequenza degli eventi cardiovascolari (ACE-inibitori, sartani, calcio antagonisti). Proprio alla gestione ottimale del paziente arteriopatico, intendendo con questo termine una gestione integrata della sintomatologia, della progressione di malattia e del rischio cardiovascolare, le linee guida (TASC, ACCH) più recenti offrono una notevole attenzione non trascurando però di affrontare in maniera critica l’eventuale utilità di farmaci indirizzati al trattamento della sintomatologia (emorreologici e vasodilatanti). MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 19 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 20 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):20 Cosa dobbiamo trovare in un referto eco-color-Doppler di qualità L. ALUIGI Il referto è un atto medico, solitamente stilato a conclusione di un’indagine strumentale, che ha valore giuridico e come tale, deve corrispondere in via formale ad uno standard che, quando possibile, deve essere corredato da elementi iconografici comprovanti quanto dichiarato. Le caratteristiche di un referto “ideale” devono necessariamente contenere elementi che possano farlo considerare comprensibile, sintetico, esaustivo, orientativo; inoltre deve essere immodificabile. La diagnostica vascolare con eco-color Doppler, si rivolge a numerosi distretti anatomici, ciascuno di essi con peculiarità anatomiche, fisiologiche e patologiche. La Società Italiana di Diagnostica Vascolare ha dettato le modalità esecutive di una corretta indagine strumentale con ecocolor-Doppler, enunciandole in linee guida che contengono i fondamenti metodologici per ogni distretto considerato unitamente a modelli di refertazione che hanno rappresentato e rappresentano orientamenti di posizionamento per chiunque esegua queste tipologie di indagine e che devono esprimere la traduzione di quanto deriva dalle informazioni ottenute dalle immagini che a loro volta devono essere considerate parte integrante del referto. Elementi distintivi di un referto eco-color-Doppler di qualità, oltre ai dati anagrafici, sono: – la specificazione del tipo di strumento utilizzato; – la specificazione del tipo di sonda utilizzata; – la specificazione dei parametri utilizzati per ottimizzare l’immagine e i rilievi flussimetrici; – la specificazione delle unità di misura utilizzate; – la specificazione di eventuali modalità utilizzate per 20 Centro di Ecografia Internistica Interventistica e Vascolare, Ospedale Maggiore, Bologna l’interpretazione dei dati morfologici e flussimetrici (eventualmente con riferimenti e/o citazioni bibliografiche) ; – la correttezza dell’enunciato; – la specificazione delle caratteristiche del refertante e la sua firma (autografa o digitale). È molto importante che un referto eco-color Doppler sia di qualità in quanto rappresenta la base per l’inquadramento clinico del paziente in oggetto: gli elementi interpretativi dell’indagine costituiscono infatti la fotografia del momento e dettano la tempistica per i controlli successivi oltre che orientare provvedimenti terapeutici e/o il ricorso a diagnostiche complementari e/o integrative. Non va comunque dimenticato che la qualità del referto si legge anche attraverso la sua comprensibilità; se è vero che gli elementi distintivi più tecnici devono essere espressi per una lettura ed un interscambio di informazioni tra “pari” cioè tra coloro che hanno il medesimo livello di conoscenza specifica è altrettanto vero che la maggior parte dei referti sono indirizzati ai Medici di Medicina Generale (non necessariamente specialisti vascolari) che devono quindi essere messi nelle condizioni di interpretare correttamente i messaggi derivanti da indagini correttamente eseguite per consentire il miglior trattamento clinico. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 21 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):21-2 Che ruolo ha l’eco-color-Doppler nel percorso diagnostico terapeutico della patologia cerebrovascolare? R. PEPE Secondo l’ultima revisione delle Linee Guida SPREAD l’ictus cerebrale rappresenta ancora una delle principali cause di morte a livello mondiale dopo le malattie cardiovascolari ed i tumori ed è inoltre la prima causa di disabilità nell’anziano. La prevalenza aumenta in relazione all’età, raggiungendo valori tra 4.6 e 7.3/ 100 abitanti nei soggetti di età superiore ai 65 anni Anche in Italia, pur con dati influenzati dal tipo di campione preso in considerazione e la variabilità dei livelli assistenziali, lo studio Italian Longitudinal Study on Aging (ILSA) ha dimostrano che la prevalenza e la mortalità aumentano con il crescere dell’età. La presenza di lesioni ateromasiche stenosanti (bilaterali nel 30% dei casi) od occlusive (nel 2%) delle carotidi extracraniche si osservano nel 70-80% dei pazienti con pregressa ischemia cerebrale, sono quasi sempre localizzate a livello della biforcazione con possibile interessamento dei ram di derivazione. Nel circolo vertebro-basilare la maggiore incidenza di lesioni ateromasiche interessa l’ostio (tratto V0) ed il tratto preforaminale (V1) dell’arteria vertebrale, rare le lesioni del tratto intertrasversario (V2) dove possono prevalere fenomeni compressivi su base spondilogena. Il tratto prossimale della succlavia ed il tronco anonimo possono presentare lesioni ateromasiche stenosanti nel 25% dei casi ma solo raramente assumono un significato emodinamico. La diagnosi strumentale della malattia cerebrovascolare su base aterosclerotica utilizza ormai da anni l’eco-colordoppler che con il progressivo incremento tecnologico è diventato totalmente affidabile non solo nella determinazione del grado di stenosi ma soprattutto nella valutazione della morfologia della placca La diagnostica neurosonologica consente uno studio completo e non invasivo del distretto arterioso extra ed intracranico con caratteristiche di affidabilità, riproducibilità, elevata risoluzione temporale, rapidità di esecuzione e bassi costi. Queste caratteristiche ne fanno la metodica diagnostica ideale non solo per uno studio di screening e di follow-up, ma anche uno strumento di valutazione “al letto” del paziente cerebro-vascolare acuto, con possibilità sia di monitoraggio continuativo sia di studi seriati a cadenza ravvicinata. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 U.O.S.D. Angiologia, Ospedale S. Eugenio, ASL RmC, Roma Stabilito che circa 1/3 degli ictus ischemici è correlato alla presenza di una stenosi aterosclerotica della carotide e che questa si beneficia di una diagnosi precoce per un eventuale intervento di rivascolarizzazione (NASCET ed ECST), tutti i soggetti con recente TIA o ictus vanno sottoposti precocemente ad uno studio eco-Doppler dei vasi epiaortici Esso permette inoltre di differenziare agevolmente fra le occlusioni di natura trombo-embolica e quelle attribuibili a dissecazione della parete vasale per le quali è ben documentata non solo la sua sensibilità diagnostica ma anche l’accuratezza e la possibilità di valutazioni seriate in grado di documentare l’eventuale ricanalizzazione del vaso. Le strategie terapeutiche possono essere inoltre modificate in maniera determinate dal rilievo precoce di tale patologia come fattore eziopatogenetico di un evento cerebro-vascolare ischemico. La restenosi carotidea post-intervento è variamente valutata nelle diverse casistiche, la maggior parte compare entro due anni dall’intervento, è attribuibile all’iperplasia fibromuscolare del tessuto neointimale ma sembra tuttavia rivestire una modesta importanza dal punto di vista clinico. Poiché tende a stabilirsi precocemente, il controllo ecoDoppler riveste un ruolo fondamentale ed andrà accuratamente pianificato, una prima volta, entro i primi tre mesi dall’intervento, successivamente a 9 mesi ed in seguito annualmente. Altra indicazione allo studio ultrasonografico dei vasi carotidei è il riscontro, in soggetti asintomatici, di un soffio a genesi non cardiaca per la possibilità di evidenziare stenosi >60% che, come evidenziato dallo studio ACAS, potrebbero beneficiare dell’endoarteriectomia. Ma se il NASCET ed ECST hanno avuto certamente il merito di definire l’importanza della correlazione entità MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 21 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 22 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) PEPE CHE RUOLO HA L’ECO-COLOR-DOPPLER NEL PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO DELLA PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE? della stenosi- manifestazione clinica ed hanno quindi consentito di porre un cut off per i pazienti sintomatici da sottoporre ad intervento, l’ACSRS ha recentemente sottolineato la necessità di focalizzare l’attenzione sulla morfologia della placca permettendo di identificare, particolarmente nei soggetti asintomatici, i sottogruppi a più elevato rischio di ictus. Diverse classificazioni sono state proposte per definire gli aspetti ultrasonografici della placca carotidea relativi alla sua composizione e morfologia: – omogenee - eterogenee; – ecolucenti (soft) - miste (medium) - ecogeniche (hard). Una classificazione successiva, ne ha considerato sia l’ecogenicità che la struttura permettendo di definire le placche soft o a bassa ecogenicità a prevalente contenuto lipidico con alta tendenza a sviluppare trombosi, ulcerazioni e embolizzazioni, da quelle eterogenee e soft-medium con il fenomeno dell’emorragia intraplacca con conseguente elevato rischio di trombosi ed ischemia cerebrale Giustificato appare l’utilizzo dell’ecoDoppler carotideo anche nello screening dei pazienti affetti da vasculopatia in altra sede poiché è stata ben dimostrata la coesistenza, in una significativa percentuale dei casi, con la stenosi carotidea (AOP associa con il 24,5% dei casi con stenosi >50% della carotide), negli anziani con età >65 anni con associati fattori di rischio vascolare, nei pazienti coronaropatici. Infine, significativo, anche se di difficile utilizzo applicativo, appare l’utilizzo degli US nello studio della parete arteriosa nella fase iniziale del processo aterosclerotico per la possibilità di correlare la sua evoluzione agli eventi clinici. In tal senso la valutazione dello spessore intima-media con la metodica ultrasonografica ha certamente fornito un nuovo potente strumento per identificare i pazienti a rischio cardiovascolare maggiore come già posto in evidenza da Lorenz in una metanalisi pubblicata nel 2007 che ha dimostrato come un incremento dell’IMT di 0,1 mm correli con un aumento del rischio di IMA del 1015% e del 13-18% di ictus. Tali dati sono stati recentemente confermati da circa 20 studi di coorte che hanno correlato l’aumento dell’IMT in pazienti con o senza pre- 22 cedenti eventi o fattori di rischio cardiovascolari con l’incremento del rischio di IMA/ictus. Lo studio del paziente con patologia cerebrovascolare si completa con la valutazione del circolo intracranico. Gli ultrasuoni hanno dimostrato a tale livello una sensibilità che va dal 91-92% per quanto riguarda il circolo anteriore e un po’ inferiore per il circolo posteriore, mentre la specificità ed il valore predittivo positivo e negativo per l’identificazione delle stenosi sono vicini al 100%. Particolare importanza oggi riveste il riconoscimento con il Doppler transcranico dei fenomeni microembolici. Una Consensus Conference del 1997 ha permesso di ben definire le caratteristiche specifiche dei segnali Doppler, indicativi di microembolia asintomatica che in caso di ictus ischemico hanno una ben definita frequenza e pattern a seconda del tipo di sorgente embolica, carotidea, cardiaca, ecc. Di più recente applicazione l’utilizzo di tale metodica per la selezione dei soggetti portatori di “placche a rischio” che si possono giovare del trattamento chirurgico. Bibliografia – – – – – – – – – De Bray JM, Baud JN, Dauzat M. Consensus concerning the morphology and the risk of carotid plaque. Cerebrovasc Dis 1997;7:289-96. European Carotid Surgery Trialists’ Collaborative Group. Lancet 1991;337:1235-43. Marini C, Baldassarre M, Carolei A. Burden of first-ever ischemic stroke in the oldest old. Evidence from a population-based study. Neurology 2004;62:77-81. Nicolaides A, Sabetai M, Kakkos SK, et al. The Asymptomatic Carotid Stenosis and Risk of Stroke (ACSRS) study. Aims and results of quality control. Int Angiol 2003;22:263-72. North American Symptomatic Carotid Endoarterectomy Trial Collaborators. N Engl J Med 1991;352:445-53. O’Leary DH, Bots ML. Imaging of atherosclerosis: carotid intima-media thickness. European Heart Journal 2010;31:1682-9. Ringelelstein EB, Droste DW, Babikian VL, et al. Consensus on microembolus detection by TCD. International Consensus Group on Microembolus Detection. Stroke 1998;29:725-9. Sarti C, Rastenyte D, Cepaitis Z, et al. International Trends in Mortality From Stroke, 1968 to 1994. Stroke. 2000;31:1588-601. The Italian Longitudinal Study on Aging (ILSA). Cerebrovasc Dis 2003;16:141-50. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 23 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):23-4 Divisione di Angiologia/Medicina Vascolare della UEMS (UEMS Division on Angiology/Vascular Medicine): risultati e applicazioni M. CATALANO La costruzione di una realtà europea per cittadini con diritti e doveri unici è una prospettiva complessa che si articola sia nello sviluppo di normative e direttive che attraverso un intenso lavoro di “armonizzazione” degli strumenti e di identificazione di percorsi comuni che coinvolge creatività e competenze in ogni ambito, sotto il coordinamento dei diversi European Union Bodies. Tali complessi sforzi sono vivacemente attivi anche in ambiti a noi vicini quali quello della formazione, della ricerca e dell’organizzazione sanitaria. Lo sforzo crescente è quello di creare strumenti di coordinamento forti, articolati e rappresentativi delle realtà nazionali ma capaci di definire percorsi europei su cui richiedere l’adesione ed il rispetto (pur non obbligato) da parte dei diversi Paesi. In una prospettiva di progettazione europea si è collocato il percorso collaborativo iniziato a Milano venti anno or sono nell’area dell’Angiologia/Medicina Vascolare. Materiali e metodi Nel 1991 nasce a Milano, a conclusione del simposio “International Symposium on the Future of Medical Angiology”, l’European Working Group on Medical Angiology (EWGMA) primo coordinamento europeo finalizzato al rafforzamento di tale area specialistica attraverso attività formative sovranazionali. Nascono in quel periodo le prime pubblicazioni sui criteri e l’identificazione dei Teaching Centres europei (oggi in revisione secondo i nuovi criteri) e la formalizzazione dell’European Fellowship on Merdical Angiology (oggi dell’European Fellowship on Angiology/Vascular Medicine) 1-5. L’EWGM.A viene riconosciuto dall’IUA attraverso la creazione di un Committe on Medical Angiology. Nel 1996 viene creato un comitato ad hoc per il sostegno scientifico della prima ricerca collaborativa europea (CLIPS Trial)6. Lo sviluppo dell’attività formativa, di ricerca e di coordinamento europeo rendono necessario un ulteriore passo e viene creata nel 1998 Vas-Vascular-Independent Research and Education-European Organization-, Asociazione scientifica europea no-profit nella quale convergono sciogliendosi i precedenti organismi e che amplierà gli obietVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Direttore Research Center on Vacular Diseases e UOSD Angiologia, Università degli Studi di Milano, Ospedale L. Sacco Presidente UEMS Division of Angiology/ Vascular Medicine tivi comprendendo formazione (European Master e Postgraduate Courses per medici e per nurses, continuazione dell’European Fellowship, definizione dell’European Teaching Panel e European Teaching Centres), ricerca europee (fra i maggiori Data Bank on PD, e la recente Eropean Biobank on Vascular Diseases), awareness (creazione quale prototipo d’interazione medici-pazienti in Italia AmaVas, Onlus, che a VAS fa riferimento)ed iniziative volte al riconoscimento europeo dell’area specialistica (http://www.vas-int.org). Vas rafforza la collaborazione istituzionale con Università (Master e Postgraduate courses sono Diplomi Universitari), Ospedali e Centri di Ricerca attraverso la stipulazione di contratti formativi o di ricerca e rafforza la propria interazione con le Società Scientifiche Internazionali e Nazionali. Nel 2001 una riunione delle Società Scientifiche che collaboravano con VAS (fra cui SIAPAV) sancisce la cancellazione del termine Medical Angiology e la sua sostituzione con Angiology/Vascular Medicine (sinonimi usati nei diversi Paesi europei), ribadendo un importante concetto che rimarrà nei futuri atti decisionali. Nel 2000 VAS avanza ufficiale richiesta al UEMS Council per la creazione di una Section/Division (la denominazione dipende da regole legate al numero di riconoscimenti della specialità esistente nei Paesi Europei) in Angiology/Vascular Medicine. VAS viene riconosciuta dalla UEMS idoneo rappresentante europeo della specialità ed inizia un lungo percorso all’interno di UEMS all’interno della Section IM come rappresentanza della disciplina A/VM. Risultati La UEMS Division on Angiology/Vascular Medicine viene finalmente riconosciuta dal UEMS Council alla fine del MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 23 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 24 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CATALANO DIVISIONE DI ANGIOLOGIA/MEDICINA VASCOLARE DELLA UEMS (UEMS DIVISION ON ANGIOLOGY/VASCULAR MEDICINE)... 2007 e viene attivata ufficialmente con la prima riunione del proprio Board a metà del 2008, con l’adesione dei rappresetnanti delle Società Scientifiche Vascolari Europee e di VAS. Un riconoscimento UEMS significa il riconoscimento della specialistica, della sua attribuzione d’area, degli Specialisti e delle relative competenze, significa il riconoscimento dei curricula formativi “europei” degli Specilaisti con conseguente annullamento dell’autoreferenzialità. Nel Board viene data la precedenza alla stesura sa del documento di definizione di obiettivi, criteri e regole generali inerenti la specialità (Chapter 6), in analogia a quanto percorso dalle altre Sezioni/Divisioni UEMS, che di un breve documento di presentazione e progettualità che sintetizza finalità, percorsi e ruoli per uniformare in un percorso unico europeo, sia pur diversamente articolato, le profonde diversità esistenti fra i diversi Paesi europei nell’ambito dell’Angiologia/Medicina Vascolare (Policy Statment). In tali documenti viene inclusa la definitiva definizione di Angiologia/Medicina Vascolare “L’Angiologia/Medicina Vascolare è la Specalità di area Medica che si prende cura delle Malattie Vascolari (arteriose, venose, linfatiche e del microcircolo) ed è finalizzata alla prevenzione, alla diagnosi, alla terapia ed alla riabilitazione così come alla ricerca ed alla formazione, a beneficio del paziente e della popolazione in generale. (Angiologia/Medicina Vascolare sono sinonimi nei differenti Paesi )”. A questa definizione va fatto riferimento. Con il coordinamento del CESMA nel quale la Division ha ufficialmente fatto ingresso lo scorso anno, si stanno, inoltre, definendo crtieri e validazioni per l’istituzione di un European Diploma on Angiology/Vascular Medicine. Secondo la normativa europea, al momento tali titoli non godono di un diretto riconoscimento nazionale, ma oltre a rappresentare un importante titolo “culturale” va considerato una base di contrattazione con gli organismi competenti dei singoli Paesi. Tale processo si presenta in modo univoco per tutte le Specialità. Parallelamente procede la definizione di un curriculum europeo per Angiologia/Medicina Vascolare (cui si fa cenno nel Chapter 6 http://www.vas-int.org)7 che ci si augura di poter completare nel corso del prossimo anno. Conclusioni Questi documenti sono lo strumento che permette un’ine- 24 quivocabile definizione dello specialista di Angiologia/Medicina Vascolare, unifica attività europee formative esistenti e, dando dignità istituzionale alla nostra area specialistica, autorizza a giungere ad un rispetto dei criteri, delle competenze d’area e dei percorsi formativi, determinando la fine di quel lungo periodo di autoreferenzialità che ha reso possibile nel nostro Paese l’uso inappropriato del termine “angiologo”. L’esistenza di un curriculum europeo facilita le prospettive di riconoscimento specialistico a livello nazionale, fornendo unicità di obbiettivi, percorsi, criteri di validazione. Oggi l’Angiologia/Medicina Vascolare grazie al riconoscimento europeo deve uscire dal ruolo di “eterna esclusa” alla ricerca di spazi di inserimento, per assumere il ruolo dovuto (e richiesto dalle esigenze dei pazienti e della popolazione) di specialità di area medica, forte di motivazioni scientifiche, assistenziali e sociali che ne richiedono l’esistenza. Il lungo percorso per l’ottenimento di tale riconoscimento europeo in sede UEMS insegna che motivazioni forti e tenaci, supportate dalle esigenze sopramenzionate, risultano vincenti su interessi, personalismi e politiche che vogliano ostacolare i risultati. Nel nostro Paese questi risultati europei andranno articolati, in modo tale che sia un’unica forte voce a giungere a livello istituzionale e che questa voce nasca da un coro di attori che si esprimano con ruoli e tonalità diverse su un unico, condiviso spartito. Bibliografia 1. The case for the specialty of Medical Angiology. European Working Group on Medical Angiology. International Angiology. 1991;10:199-201. 2. The case for the speciality of Medical Angiology. European Working Group on Medical Angiology. Vasa. 1992;21:3-5. 3. Proposed training requirements for Medical Angiology fellows. European Working Group on Medical Angiology. Int. Ang. 1993;12:323-5. 4. Introduction to the First European document on Medical Angiology; Minerva Angiol 1992;17:161-4. 5. Teaching and Educational Program of Medical Angiology/Vascular Medicine in Europe 1993, Elsevier Science Publ., Vascular Medicine) 6. CLIPS Group: Prevention of serious vascular events by aspirin amongst patients with peripheral arterial disease: randomized double-blind trial JIM 2007:261;276-284 Writing Group M.Catalano (I), G. Born (UK) and R. Peto (UK). 7. http://www.vas-int.org/ >Institutions-EU/UEMS/Documents MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 25 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):25-7 Revisione ministeriale delle tabelle di invalidità M.M. DI SALVO1, G. FAILLA1, F. MUGNO1, G. ARDITA1, P.L. ANTIGNANI2 La Legge N 118 del 30.03.1971, Legge 18/80. Del 30.03.1971 n 118 prevede un assegno di invalidità per i soggetti che presentano una riduzione di capacità lavorativa compresa tra il 74 e il 99%, una pensione di inabilità in caso di totale e permanente perdita della capacità lavorativa e un’indennità di accompagnamento per i soggetti riconosciuti inabili (autonomamente non deambulanti o non autosufficienti) al compimento degli atti della vita quotidiana. Il grado di invalidità civile viene determinata sulla base della Tabella vigente DM 552 del 5 febbraio 1992 (vedi Tab esemplificativa) che fa riferimento alla incidenza delle infermità invalidanti sulla capacità lavorativa La tabella elenca sia infermità individuate specificatamente, cui è attribuita una determinata percentuale “fissa”, sia infermità il cui danno funzionale permanente viene riferito a fasce percentuali di perdita della capacità lavorativa di dieci punti, utilizzate prevalentemente nei casi di più difficile codificazione Le malattie vascolari, insieme a molte altre infermità, non sono tabellate ma, in ragione della loro natura e gravità, è stato possibile valutarne il danno con criterio analogico rispetto a quelle tabellate. cod. Apparato cardiocircolatorio 6445 Coronaropatia lieve (I classe NYHA) Coronaropatia moderata (II classe NYHA) Coronaropatia grave (III classe NYHA) Coronaropatia gravissima (IV classe NYHA) Trapianto cardiaco in assenza di complicanze 6446 6447 6448 9328 min. max fisso 11 20 0 41 50 0 71 80 0 0 0 100 71 80 0 Il Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze: • VISTA le legge 3 agosto 2009, n. 102, articolo 20, attribuisce all’INPS competenze specifiche in materia di accertamento e valutazione dell’ invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, oltre Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1UOC di Angiologia Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania 2UOC di Angiologia, Ospedale S. Giovanni, Roma che di gestione e coordinamento delle procedure amministrative in tale ambito. • VISTO, in particolare, il comma 6, del citato articolo 20 della legge 3 agosto 2009, n. 102, che prevede la nomina da parte del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, di una Commissione con il compito di aggiornare le tabelle indicative delle percentuali dell’invalidità civile, già approvate con Decreto 5 febbraio 1992, e successive modificazioni, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica; • VISTA la legge 3 marzo 2009 , n. 18 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità; Decretava: la “Istituzione della Commissione per l’aggiornamento delle tabelle di invalidità civile, già approvate con decreto 5/02/92 e successive modificazioni, in applicazione dell’art. 20 comma 6 del D.L. n. 78/2009, convertito dalla Legge 3 agosto 2009, n. 102. La durata della Commissione inizialmente prevista per sei mesi, a decorrere dalla data del suo insediamento (24 Maggio 2010 - 24 Novembre 2010) è stata ulteriormente prorogata. La Commissione si è avvalsa della consulenza di specialisti nelle diverse branche della medicina e della collaborazione di altre direzioni generali del Ministero, e sono state effettuare audizioni delle Associazioni rappresentative delle persone con disabilità. Alle Società Scientifiche tra cui la SIAPAV e il SID-GIUV è stata chiesta collaborazione per un piano d’azione così strutturato: 1. Aggiornare (sostituendo o integrando) le voci nosografiche contenute nelle tabelle del 1992, utilizzando la classificazione OMS ICD9 CM o ICD10, se più appro- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 25 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 26 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) DI SALVO REVISIONE MINISTERIALE DELLE TABELLE DI INVALIDITÀ priato, in uso per le diagnosi delle schede di dimissione ospedaliera (SDO). 2. Aggiornare la fisiopatologia d’organo e d’apparato utilizzando le classificazioni funzionali validate dalla comunità scientifica. 3. Definire la documentazione clinica idonea a descrivere i quadri disfunzionali per ciascun organo e apparato (scale di valutazione standardizzata). 4. Successivamente, da parte dei medici legali della commissione (INPS e SSN) con la collaborazione delle società scientifiche verrà effettuato l’aggiornamento dei criteri di valutazione quali-quantitativa di pertinenza medico-legale, con chiarimenti concettuali (capacità lavorativa, danno biologico, menomazione ecc.), anche in rapporto alle specificità connesse alle differenti classi di età (minori, adulti in età lavorativa, anziani). La SIAPAV, sulla base delle richieste sopraesposte, dopo lavoro collegiale, ha presentato un documento nel quale si è avuto cura di descrivere i principali quadri disfunzionali delle principali affezioni vascolari declinandoli per livelli di gravità (lieve - medio - grave) ed indicando gli strumenti diagnostici e le scale di valutazione evidence based, idonei per la “misura” e la descrizione del livello di gravità. Per la Valutazione Diagnostica è stato ribadito che l’approfondimento diagnostico deve essere finalizzato all’accertamento del danno anatomico e biologico e del grado di disabilità reali del paziente e pertanto tale accertamento medico-legale non potrà prescindere da una valutazione anatomica e funzionale delle arterie degli arti inferiori e non può e non deve limitarsi solo a una mera valutazione strumentale di tipo morfologico effettuata solo in funzione dell’intervento terapeutico. È stato ribadito che la valutazione anatomo-funzionale necessario per l’accertamento medico legale richiesto debba essere espletato da specialisti vascolari secondo le principali linee Guida delle Società scientifiche (SIAPAV, SIDVE-GIUV, CIF). Per l’Arteriopatia Ostruttiva Cronica Periferica: è stata utilizzata la classificazione basata su quella di Fontaine(l) integrata, sulla base delle più recenti acquisizioni in tema di fisiopatologia, epidemiologia, clinica e possibilità terapeutiche, dalla classificazione di Rutherford, che permette chiaramente di descrivere le classi disfunzionali. Classificazione ICD 9 Proposta IC10 44020 arteriopatia ostruttiva periferica 44021 AOP con claudicatio 44021 AOP con claudicatio lieve o moderata lieve o moderata 44022 AOP con claudicazione severa (IML < l00 mt) confermata con il treadmill test, Walking Impairement Test. or 6 min walking test 44022 AOP con dolore a riposo 44023 Ischemia critica cronica (CU) 44023 AOP con lesioni trofiche 44025 CLI con lesioni trofiche 44024 AOP con gangrena 44026 CU con gangrena 26 L’accertamento medico legale richiesto deve trovare le sue basi su: – valutazione clinica; – misurazione dell’indi-ce pressorio caviglia braccio; – ECD periferico; – ECD dei TSA e AA; – treadmill test ed il test della marcia spontanea (6 minutes walking corridor test) per la misura della capacità di marcia, per la valutazione funzionale dell’arteriopatico e della conseguente disabilità al di là del danno anatomico. Flebopatie Per l’Insufficienza Venosa Cronica (IVC) condizione clinica assai rilevante sia dal punto di vista epidemiologico sia per le importanti ripercussioni socio-economiche che ne derivano è stato utilizzata la classificazione CEAP, nuova modalità standardizzata di valutazione delle flebopatie croniche che tiene conto della maggior parte dei segni e sintomi della patologia. Le due proposte basate sulla ICD 9 e sulla ICD 10 sono sotto riportate: Codifica ICD9 Codifica proposta ICD10 4540 Varici con ulcere Insufficienza venosa cronica primitive 4540 CEAP C-0: Flebopatie asintomatiche senza sintomi visibili o palpabili 4541 CEAP C-l: teleangectasie o varici reticolari 45412 CEAP C-2: varici tronculari senza edema 45423 CEAP C-3: varici tronculari con edema 45424 CEAP C-4: varici tronculari con discromie ciutanee 45425 CEAP C-5: varici tronculari con ulcera guarita 45426 CEAP C-6: varici tronculari con ulcere attive 45427: varici con trombosi venosa superficiale 4541 Varici con infiammazione 4542 Varici con ulcere ed infiammazione 4549 Varici senza ulcere ed infiammazione L’accertamento medico legale richiesto deve trovare le sue basi sulla valutazione clinica. L’eco-color-Doppler ECD) che rappresenta attualmente il mezzo più utile e affidabile per lo studio del sistema venoso degli arti inferiori. Il puro dato morfologico ecogra-fico, che con gli apparati più recenti presenta un potere di risoluzione di 0,3 mm, consente di evidenziare le più fini caratteristiche della parete vascolare e degli apparati valvolari. L’esame, per l’immediatezza con cui avviene l’integrazione tra i dati morfologici e quelli emodinamici, consente di ottenere informazioni non soltanto statiche, ma soprattutto dinamiche in tempi estremamente contenuti Codificazione ICD9 Proposta ICD 10 Insufficienza venosa cronica secondaria 4591 Sindrome Post-trombotica Insufficienza venosa cronica secondaria 4591 Sindrome Post-trombotica (SPT) senza classificazione CEAP MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 27 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) DI SALVO REVISIONE MINISTERIALE DELLE TABELLE DI INVALIDITÀ 45910 SPT senza sintomi 45913 SPT con edema (C-3) 45914 SPTS con discromie cutanee (C-4) 45915 SPTS con esiti di ulcere (C-5) 45916 SPT con ulcere attive (C-6) Malattie linfatiche Nell’inquadramento clinico del linfedema, la classificazione CEAP-L (clinica, eziologica, anatomica, fisiopatologica), in analogia con la classificazione CEAP sulle flebopatie, ha le caratteristiche peculiari per rispondere ai compiti affidatici. Purtroppo questa classificazione non facilmente si può integrare con la classificazione ICD9 o ICD 10. Tuttavia, abbiamo voluto inserire della suddetta classificazione quella sulla disabilità , fornendo un ulteriore contributo agli specialisti dell’INPS e del Ministero per lo sviluppo delle nuove tabelle sulle invalidità. Malattie linfatiche Codifica ICD9 4570 Linfedema post-mastectomia 4571 altri linfedemi 4572 Linfangiti 4578 Malattie linfatiche non infettive Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Codifica Proposta ICD10 Linfedema primitivo 4570 Linfedema congenito 4571 linfedema precoce (comparsa entro i 20 anni) 4572 Linfedema tardivo (comparsa dopo 20 anni) Linfedema Secondario 4573 Linfedema post-chirurgico 4574 Linfedema dopo trattamento radioterapico 4575 Linfedema post-flogistico 4576 Linfedema post-traumatico 4577 Linfedema indurato Per ogni codice aggiungere un quinto quadrante che indica lo stadio clinico: – 45711 = L. precoce I stadio che si reduce in posizione declive – 45712 = L. precoce al II stadio che non si riduce – 45713 = L. precoce al III stadio edema non riducibile – 45774 = linfedema indurato con elefantiasi 4578 Linfangite Acuta CEAP-L: Disabilità. D0 Assenza di disabilità (il malato svolge le sue attività senza restri-zioni delle sue scelte e/o delle sue funzioni anche se con ortesi) (punti 0) D1 Disabilità lieve (necessita di assistenza minima nell’esecuzione di alcune attività quali indossare tutori, usare alcuni utensili e/o attrezzi) (punti 1) D2 Disabilità moderata (necessita di assistenza esterna discontinua nell’esecuzione di alcune attività e di trattamento continuo) (punti 2) D3 Disabilità grave (necessita di assistenza completa e continua nell’esecuzione di alcune attività della vita quotidiana) (punti 3) Diagnostica strumentale da utilizzare:Ecodoppler venoso, Ecografia tessuti molli, Linfoscintigrafia, Microlinfoscintigrafia, Linfografia (casi selezionati), Biopsia tissutale (casi selezionati), Flebografia (casi selezionati), TC, RMN. Conclusioni La Società resta in attesa di ulteriore convocazione per la revisione finale delle nuove Tabelle sulla invalidità civile. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 27 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 28 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):28-30 Il modello Hub & Spoke in Angiologia/Medicina Vascolare G.M. ANDREOZZI1, A. VISONÀ2, R. MARTINI3 L’assistenza sanitaria al malato vascolare è in atto erogata in modo trasversale da specialisti di diversa formazione e da strutture alquanto eterogenee creando una grande disparità qualitativa e quantitativa dell’assistenza1. Nelle aree dove non sono presenti strutture angiologiche specifiche si registra un eccesso o un difetto di prestazioni, ovvero prestazioni erogate anche se non necessarie (inappropriate) e prestazioni prive di adeguato approfondimento clinico (diagnostico e terapeutico, prestazioni inadeguate). Al contrario, dove sono presenti strutture angiologiche di riferimento, il numero delle prestazioni erogate si colloca in un valore intermedio, più coerente con i dati epidemiologici. Inoltre, laddove le strutture presenti sono strettamente interconnesse con i pronto soccorso e i DEA si registra una tendenza alla riduzione dei ricoveri per malattie vascolari, grazie alla presa in carico del paziente, che ottimizza le cure e i controlli nel tempo. La riduzione dell’inappropriatezza e dell’inadeguatezza assistenziali è un obbligo organizzativo dei prossimi decenni. La morbilità e l’inabilità cardiovascolare, considerando il previsto aumento della popolazione con più di 65 anni nei prossimi venti anni, sono destinate ad aumentare ben oltre l’attuale 4 per mille (ISTAT 2010). Il piano sanitario nazionale ha proposto il modello hub&spoke per la riorganizzazione della sanità italiana2, partendo dal quale, SIAPAV ne ha elaborato e divulgato3 una versione squisitamente angiologica. Razionale per la costruzione di una “rete per le malattie vascolari” La patologia vascolare è un problema sanitario di grande impatto sulla popolazione e generatore di invalidità sociale e, poiché oltre il 70 % dei ricoveri di pazienti con malattia vascolare avviene in reparti non di malattie vascolari, è necessario migliorare e adeguare l’assistenza vascolare negli ospedali per acuti a nuovi standard di qualità. Anche se non tutta la patologia da vascolare richiede un’assistenza specialistica ospedaliera, è di fatto indispensabile disporre di una struttura specialistica in grado di erogare un’assistenza diagnostica e terapeutica di elevata 28 1Presidente SIAPAV Angiologia Azienda AUSL 8, Castelfranco Veneto (TV) 3UOC Angiologia Azienda Ospedaliera-Università, Padova 2UOC intensità e complessità (pronta diagnosi, trattamento specifico, presa in carico di patologia cronica con frequenti acuzie recidivanti; esempio paradigmatico è l’ischemia critica persistente). Obiettivi della rete per le malattie vascolari 1) Riorientare il processo assistenziale vascolare costruendo una rete basata sul modello della continuità assistenziale (ricovero per acuti, day-hospital/day service, week service, post-acuzie) con presa in carico del paziente, dimissione protetta, trattamento e assistenza domiciliare (in accordo con servizi di cure domiciliari). 2) Ottimizzare l’uso delle risorse assistenziali (personale medico e infermieristico, reparti, posti letto e loro distribuzione, tecnologie diagnostiche e professionalità). 3) Definire i collegamenti funzionali con altre strutture ospedaliere e territoriali (uu.oo. Chirurgia Vascolare, Cardiologia , Radiologia, Dipartimento di Emergenza, ecc.). 4) Valutare l’assistenza erogata in termini di appropriatezza, efficienza ed esito. 5) Predisporre e implementare percorsi clinico assistenziali e protocolli organizzativi condivisi. 6) Diffondere ed utilizzare modalità di identificazione dei pazienti a rischio (es. identificazione di pazienti affetti da arteriopatia periferica mediante misurazione indice caviglia/braccio, misurazione Rischio Cardiovascolare Globale, ecc.). Modello hub (alta complessità) & spoke (bassa e media complessità) Il modello hub&spoke vascolare prevede un hub (struttura complessa o dipartimentale di angiologia/medicina vascolare) per area vasta e un numero variabile di spoke, stret- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 29 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL MODELLO HUB & SPOKE IN ANGIOLOGIA/MEDICINA VASCOLARE ANDREOZZI tamente collegati tra loro, ove per area vasta si intende un territorio con circa 700.000 abitanti, che nell’ordinamento attuale identifica una provincia di media grandezza. Aree metropolitane più ampie necessitano ovviamente di un numero maggiore di hub e di spoke. Tra gli spoke vanno incluse le strutture semplici degli ospedali periferici e le strutture ambulatoriali territoriali che erogano assistenza angiologica. Il privato accreditato potrà adeguatamente e coerentemente inserirsi nel sistema, in base alle caratteristiche individuali, assimilabili alle tipologie strutturali sopra ricordate. In mancanza di uno specifico percorso formativo, a causa della inopportuna chiusura delle scuole di specializzazione, la qualità deve essere certificata dai programmi di accreditamento professionale di eccellenza delle strutture (programma accreditamento SIAPAV4) e degli operatori (programma accreditamento SIDV5). Un siffatto modello configura, anche per l’angiologia/ medicina vascolare, il cosiddetto dipartimento (provinciale) funzionale che, da un canto riduce la congestione, l’inappropriatezza e l’inadeguatezza, la dispersione in vari reparti e/o servizi, e dall’altro garantisce un’adeguata specializzazione, la massima efficienza tecnica con minima ridondanza, la totale concentrazione della casistica, e la tempestività dei trasferimenti periferia-centro e centro-periferia. È indispensabile che tutto il sistema adotti i medesimi percorsi diagnostico-terapeutici provvedendo, mediante la presa in carico del paziente, alla diagnosi al trattamento e alla riabilitazione del paziente vascolare. • definizione di protocolli operativi per l’integrazione con i servizi territoriali: ospedali di comunità, distretti, ospedalizzazione domiciliare e residenze socio sanitarie assistite, servizi di assistenza domiciliare; • organizzazione di incontri periodici con i medici di medicina generale ed altri operatori del territorio per migliorare appropriatezza prescrittiva e favorire il miglior utilizzo delle risorse. Requisiti di un centro spoke (bassa e media complessità) Il centro spoke di angiologia/medicina vascolare può essere collocato all’interno di un ospedale periferico (u.o. semplice) o far parte dei servizi sanitari territoriali (ambulatori specialistici del territorio). In entrambi i casi è necessaria la presenza di uno specialista angiologo, in costante collegamento con l’hub di riferimento. Il collegamento va formalizzato con specifiche convenzioni interaziendali che prevedano una pronta comunicazione (telefonica, informatica, telemedicina). Nella fase riorganizzativa sono indispensabili il mantenimento ed il potenziamento delle strutture esistenti. Attività garantite dai centri spoke: • diagnosi clinico-strumentale (anche in regime di urgenza per gli spoke intraospedalieri), con definizione dell’eziologia e della gravità della malattia; • utilizzo di procedure, percorsi clinico-assistenziali e protocolli di trasferimento condivisi e concordati con l’ hub di riferimento; • trasferimento all’hub di riferimento di pazienti – in condizioni di criticità, con patologie ad elevata complessità diagnostico-assistenziale, – ai quali non può essere garantito adeguato inquadramento diagnostico e adeguato trattamento; • riaccoglimento dei pazienti stabilizzati dimessi dall’hub, per il prosieguo del trattamento ed il follow-up; • attivazione di rapporti di collaborazione con i PS e i DEA per la corretta individuazione dei casi che necessitano di trasferimento al centro hub; Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Requisiti di un centro hub (alta complessità) Il centro hub è l’u.o. complessa di angiologia/medicina vascolare, dotato di posti letto all’interno di un ospedale ad alta specializzazione, con ampia possibilità di ricovero. È opportuno che l’ospedale abbia anche attività autonome di chirurgia vascolare ed emodinamica interventistica, in modo da poter organizzare un vero e proprio vascular centre. L’hub deve assistere pazienti vascolari ad elevata complessità e pertanto è necessario abbia un’adeguata dotazione organica di specialisti angiologi, in grado di garantire un’attività clinica e di accettazione 24ore (possibilità di ricovero immediato, guardia attiva continuativa 24 ore per tutta la settimana, eventualmente in collaborazione con altre UU.OO.). Attività garantite dai centri hub 1. Diagnosi clinico-strumentale, anche in regime di urgenza, attraverso la definizione dell’eziologia e della gravità della malattia. 2. Collaborazione attiva con i PS e DE per la corretta individuazione dei casi che necessitano di ricovero. 3. Attuazione dei provvedimenti terapeutici più adeguati per la gestione della fase acuta. 4. Accesso rapido e preferenziale, durante l’intero arco delle 24 ore, alla diagnostica di laboratorio secondo protocolli definiti. 5. Utilizzo di percorsi clinico assistenziali, condivisi con le altre UO dell’ospedale e i centri spoke. 6. supporto per la corretta gestione delle patologie vascolari a strutture in cui non sono presenti unità per le malattie vascolari. 7. Istruzione dei pazienti presi in carico e dei familiari sui principali sintomi e segni di peggioramento della malattia in atto. 8. Call service dedicato ai pazienti presi in carico e/o in follow-up. 9. Controllo telefonico quindicinale dei pazienti in follow-up. 10. Organizzazione di incontri periodici con i medici di medicina generale ed altri operatori del territorio per migliorare appropriatezza prescrittiva e favorire il miglior utilizzo delle risorse. 11. Consulenza sulla gestione dei pazienti e aggiornamento professionale per gli operatori sanitari degli spoke. 12. Risposta a richieste per particolari necessità diagnostiche e terapeutiche non soddisfatte dai centri spoke. 13. Presa in carico dei pazienti che afferiscono a forme di assistenza extra-ospedaliera, e gestione del follow-up. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 29 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 30 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ANDREOZZI IL MODELLO HUB & SPOKE IN ANGIOLOGIA/MEDICINA VASCOLARE Vantaggi del un modello hub & spoke in angiologia/medicina vascolare Bibliografia I vantaggi del modello proposto sono tutt’altro che trascurabili! Innanzi tutto il paziente sarebbe al centro del sistema. In secondo luogo, sotto il profilo dell’assistenza ambulatoriale, le prestazioni diminuirebbero di numero (percorsi diagnostico-terapeutici condivisi) sarebbero più appropriate, e le liste d’attesa avrebbero una salutare contrazione. Infine, per quanto concerne i casi a maggiore complessità si avrebbe una riduzione del numero totale dei ricoveri (diurni e ordinari) poiché molte delle prestazioni attualmente erogate con tali regimi assistenziali potrebbero passare al regime di Day Service senza compromettere la continuità assistenziale di cura (percorsi condivisi). Il costo sarebbe contenuto, in quanto si tratta prevalentemente di riorganizzare e ottimizzare quanto già esistente, con la necessità di istituire nuove strutture soltanto in determinate aree del Paese. 30 1. Analisi del fabbisogno assistenziale angiologico, modelli di appropriatezza e linee guida per l’accreditamento di eccellenza nella Regione Veneto: http://www.siapav.it/riservata_r/ triveneto/4.pdf 2. Documento prelimare informativo sui contenuti del nuovo piano Sanitario Nazionale 2010-2012. www.salute.gov.it/ imgs/C_17_pubblicazioni_1252_allegato.pdf - 2010-10-26. 3. Bucchi G. Una gestione aeroportuale per riorganizzare la sanità. Italia Oggi 27 aprile 2011. Andreozzi GM: Angiologia modello hub&spoke. Sole 24oreSanità 3-16 maggio 2011. Andreozzi GM: L’ANGIOLOGIA DEL FUTURO. Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino 27 giugno 2011. Zanetti V: C’è anche l’hub della sanità (dalla società di Angiologia la proposta di riorganizzazione del sistema; intervista con il Presidente SIAPAV GM Andreozzi) Il Sole 24 Ore NordEst 29.giugno.2011 pag. 13. 4. www.siapav.it 5. www.sidv.net/file_doc/GIUV%2027.pdf MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 31 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):31 L’Accreditamento di Eccellenza secondo il percorso SIAPAV di UOS Angiologia G. ARPAIA La decisione di effettuare il percorso di accreditamento SIAPAV è nata dalla consapevolezza di dover dare una organizzazione della UOS, istituita nel 2007, e di affermarne non solo l’esistenza ma anche la vitalità a livello aziendale. Sino al 2009 le attività della UOS erano state in un certo qual senso guidate dalla richiesta non essendovi nel Presidio ospedaliero dei Vimercate un servizio di diagnostica vascolare che garantisse prestazioni continuative sia per i ricoverati per per Pazienti esterni. Vi era poi l’esigenza di garantire una diagnostica e un percorso di follow-up organizzato per i pazienti affetti da TVS e TVP che hanno da sempre costituito interesse peculiare anche di tipo scientifico per il gruppo li costituitosi con l’arrivo di Claudio Cimminiello in qualità di Direttore di una delle due medicine e successivamente del sottoscritto. Il primo impegno fu di addestrare altri colleghi sia alla diagnostica che alla gestione delle malattie vascolari quindi di costruire percorsi per le varie patologie peraltro dettati dalle esigenze e disponibilità dei vari operatori. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 UOS di Angiologia, Az. Osp. Desio e Vimercate, Presidio di Vimercate (MB) Dal momenti in cui mi sono approcciato al manuale di accreditamenti, mi sono reso conto che molte delle caratteristiche e dei criteri richiesti erano già di fatto presenti nella nostra organizzazione ma non erano mai stati resi ufficiali sulla carta e condivisi tra tutti i componenti del gruppo di lavoro. Mentre altri costituivano da tempo base del nostro lavoro Il maggiore impegno è stato quindi di trasferire dall’abitudine norma in maniera organica le nostre procedure e di raccogliere tutte quelle documentazioni aziendali, di non sempre facile accesso, a completamento dei criteri richiesti. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 31 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 32 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):32-3 L‘Accreditamento di Eccellenza dell’UOD di Angiologia secondo il percorso SIAPAV R. GRECO, B.L. FARINA, V. PRISCO L’Accreditamento di Eccellenza si basa sull’adesione volontaria ad indicazioni e regole che definiscono i livelli di qualità di una struttura sanitaria, individuale o di equipe. L’accreditamento è un processo di valutazione da parte di Enti accreditanti che certificano l’organizzazione delle strutture sanitarie secondo principi ispirati al “miglioramento continuo della qualità”. Esistono due diversi tipi di accreditamento, l’accreditamento istituzionale, per il quale l’ente certificatore sono le Regioni, alle quali è demandata la organizzazione dell’assistenza sanitaria, e l’accreditamento di eccellenza, per il quale l’ente certificatore sono le Società Scientifiche, che emanano le linee guida per la diagnosi e la cura delle malattie di propria pertinenza. La SIAPAV ha elaborato e pubblicato un manuale (ultima revisione 2011) sul percorso da seguire per l’accreditamento di eccellenza, attraverso un sistema di autovalutazione, che è ispirato al raggiungimento del miglioramento della qualità (miglioramento continuo). L’adesione all’accreditamento è volontaria ed è finalizzata a: – fornire consulenze; – ottimizzare i risultati; – stimolare il coinvolgimento dei professionisti in programmi di miglioramento; – promuovere l’autovalutazione da comparare con la valutazione esterna; – analisi delle organizzazioni. Il rapporto fra medici valutatori e medici che aderiscono al percorso di Accreditamento è fra pari. Nel 2010 è stata inviata alla SIAPAV la richiesta di Accreditamento della struttura UOD di Angiologia dell’Ospedale di Curteri di Mercato S. Severino, all’epoca ASL Salerno. Il 19 maggio 2010 il GT si è riunito presso la stessa struttura per la visita di valutazione, per l’accertamento e la verifica dei singoli requisiti: – organizzativi; – strutturali; – attrezzature e dotazioni; – formazione e aggiornamento; – sistema informativo; – valutazione e miglioramento; – linee guida e procedure; 32 UOD di Angiologia, Azienda Ospedaliera-Universitaria Integrata, Salerno – soddisfazione e sicurezza del personale; – diritti e soddisfazione dell’utente. La visita di verifica si è conclusa con un giudizio finale positivo, anche se sono emerse delle aree di criticità specie di tipo organizzativo: è emersa una scarsa attenzione da parte della Direzione nei confronti della nostra UO, che è altamente impegnata nella diagnosi e cura delle malattie vascolari, in continuo aumento, e altamente produttiva. Ci è stato consigliato di discutere e di condividere la scheda di programmazione. – La definizione del tipo di formazione di base e continua per il personale in rapporto alle funzioni, è risultata parziale e ci siamo attivati a documentare un piano di formazione annuale dettagliato. – La definizione dei meccanismi di sostituzione in caso di assenza è risultata non precisa e l’abbiamo esattamente esplicitata e descritta nel nostro Manuale Operativo, dove è descritto il funzionigramma e l’organigramma della nostra UO. L’UOD di Angiologia dell’Ospedale di Curteri, a gennaio 2011, è stata trasferita dalla Azienda Sanitaria Locale alla Azienda Opedaliera Universitaria Integrata di Salerno e, a giugno 2011, è stata inserita nell’Atto Aziendale come U.O.C. di Angiologia e Piede Diabetico. Conclusioni A maggio 2010 l’UO di Angiologia di Salerno, ha ottenuto l’Accreditamento di Eccellenza, perché valutata essere in possesso dei requisiti necessari per la qualità delle prestazioni erogate. A gennaio 2011 la nostra UO è stata trasferita dalla Azienda Sanitaria Locale di Salerno alla Azienda Ospedaliera MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 33 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) L‘ACCREDITAMENTO DI ECCELLENZA DELL’UOD DI ANGIOLOGIA SECONDO IL PERCORSO SIAPAV Universitaria Integrata di Salerno. L’Accreditamento di Eccellenza ci ha permesso di migliorare alcuni aspetti organizzativi, di intensificare la collaborazione con la Direzione Generale, e ha migliorato il modo di operare della Direzione stessa. La Direzione Generale dell’AOUI di Salerno, ha inserito L’UO di Angiologia, ormai polo di Eccellenza, nell’Atto Aziendale, come UOC di Angiologia e Piede Diabetico. Bibliografia 1. Andreozzi GM, Marchitelli E, Pepe R, et al. Gruppo di Studio Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 GRECO Qualità ed Accreditamento Siapav-manuale per l’accreditamento professionale di eccellenza per le strutture sanitarie di angiologia. Minerva Cardoangiologica Vol. 49-Suppl. 2-N° 6Dicembre 2001 (Revisione gennaio 2011). 2. Nicoli MA, Calderone B, Palestini L, Ragazzi G. Risultati della ricerca sull’impatto dell’accreditamento nelle aziende Sanitarie Giornata annuale CEPAS “Accreditamento in sanità: novità e problemi emergenti” - 6 ottobre 2010;44. 3. Cinotti R, Nicoli MA. L’accreditamento istituzionale in EmiliaRomagna. Studio pilota sull’impatto del processo di accreditamento presso L’azienda USL di Ferrara dossier; 2008;165186. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 33 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 34 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):34-5 CCSVI evidenze della letteratura (Gruppo di Studio SIDV-GIUV) M. AMITRANO1, G. ARPAIA1, P.L. ANTIGNANI2 L’Insufficienza cerebro spinale cronica è una sindrome vascolare caratterizzata da stenosi delle vene Giugulari Interne, delle vene Vertebrali del sistema delle Azigos e del plesso venoso lombare con insufficiente drenaggio dimostrabile con Eco-Color-Doppler, flebografia selettiva e RMN perfusionale. Le Lesioni stenosanti della CCSVI sono state classificate come malformazioni venose tronculari in un Consensus Document dell’International Union of Phlebology 1. Queste lesioni sono il risultato dell’arresto dello sviluppo che si verifica tardivamente nella formazione del tronco vascolare dal 3° al 5° mese di sviluppo fetale. Le lesioni tronculari di natura ostruttiva possono avere differenti impatti emodinamici sul sistema vascolare dipendenti dalla loro localizzazione dall’estensione, dalla severità e dal naturale compenso attraverso collaterali. La scoperta di questa nuova sindrome (CCSVI) e la sua relazione con la Sclerosi Multipla 2 è nata da una intuizione del professor Zamboni direttore del Centro di Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara e dei suoi collaboratori. Egli ha dimostrato, dai dati della letteratura, come è possibile fare diagnosi di CCSVI con la tecnica degli Ultrasuoni 3. La proposta della nostra Società (SIDVGIUV) è lo studio del ritorno venoso cerebrale in soggetti sani ed in varie patologie vascolari, onde validare la metodica. Materiali e metodi Recentemente, grazie all’identificazione della CCSVI il mondo scientifico vascolare ha rivolto lo sguardo sul ritorno venoso cerebrale. Infatti per il passato l’attenzione è stata rivolta quasi esclusivamente allo studio della Trombosi venosa profonda del distretto brachiocefalico in rapporto alle sue problematiche eziopatogenetiche ed embolizzanti. Non esistono inoltre in letteratura studi sulla Sindrome post-trombotica da pregressa TVP giugulare, eccetto casi clinici sporadici. Eppure oggi il riscontro di questa patologia è frequente ed aumentata in rapporto alle diverse patologie neoplastiche ed all’uso di dispositivi endovascolari. Per quanto riguarda le vertebrali inoltre, nella pratica clinica le vene venivano studiate essenzialmente per stabilire la direzione del flusso in rapporto all’omologa arteria soprattutto nelle inversioni di flusso da 34 1UOS di Angiologia, AORN Moscati, Avellino 2UOC di Angiologia, Ospedale S. Giovanni, Roma Sindrome del Furto della Succlavia. In campo neurologico, invece, in letteratura sono presenti diversi studi che cercano di correlare le alterazioni del ritorno venoso con patologia cerebrale. Studi di Nedelmann 4 hanno evidenziato attraverso autopsie e metodiche ultrasonografiche la presenza tra l’84 ed il 97% della valvola giugulare, nella porzione distale di essa, come unica valvola tra atrio destro e cervello. Successivi studi 5 ipotizzano che l’insufficienza di questa valvola può giocare un ruolo importante in varie patologie neurologiche. In particolare tosse e cefalea 6, elevata pressione intracranica in rianimazione in pazienti sottoposti a pressione positiva espiratoria (CPAP) 7. Studi successivi hanno poi evidenziato la presenza di insufficienza della valvola giugulare nell’amnesia globale transitoria 8. Nedelmann sottolinea che più di ogni altro reperto con Eco-Color-Doppler, la durata del reflusso è l’elemento essenziale per la valutazione dell’insufficienza giugulare, anche se viene analizzata la struttura della valvola il suo movimento l’inserzione dei suoi lembi. Sempre Nedelmann ipotizza la partecipazione dell’insufficienza valvolare giugulare nella ipertensione intracranica idiopatica. Infatti la prevalenza di questa alterazione si associa con l’aumento del BMI il sesso femminile e l’età giovanile 5. Un altro dato importante è la valutazione del ritorno venoso nella diversa postura. Infatti è noto dalla letteratura 9 che durante la posizione supina prevale la via di scarico attraverso il sistema della giugulare esterna, durante la posizione seduta a 90° la via di scarico è rappresentata prevalentemente dal sistema vertebrale. Da questo si deduce l’assenza del segnale giugulare al colorDoppler nella stazione eretta e la netta riduzione della sua area. Gisolf 10 partendo da queste evidenze ha costruito un modello matematico che conferma questa teoria ed evidenzia inoltre che con il Valsalva in posizione eretta ricompare segnale sulle giugulari, segno che lo stato di ipertensione endocranica modifica questo ritorno. Inoltre MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 35 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CCSVI EVIDENZE DELLA LETTERATURA (GRUPPO DI STUDIO SIDV-GIUV) accanto alle principali vie di deflusso giugulare e vertebrale va ricordato che concorrono al drenaggio cerebrale le vene condilari ed il plesso petroso 11. Il protocollo Zamboni prevede inoltre lo studio delle vene intracraniche e la valutazione del reflusso attraverso inversione di colore. Naturalmente anche questo aspetto va approfondito ma sappiamo che come l’arterioso anche il circolo venoso è esplorabile con opportuno settaggio dell’apparecchiatura. Già Baumgartner nel 97 12 schematizzò la metodica stabilendo in rapporto al sesso e l’età la media delle velocità nelle vene cerebrali. Stolz 13 successivamente ha utilizzato tale metodica nella diagnostica e nel management della trombosi venosa intracranica. Sostanzialmente il drenaggio intracranico può essere diviso in due sistemi il superficiale ed il profondo. Il sistema profondo può essere investigato attraverso la vena di Galeno, la cerebrale interna e la vena basale di Rosenthal. La vena di Galeno drena nel seno retto quindi alla confluenza dei seni ed al seno trasverso, anche questo ben evidenziabile al ColorDoppler. Il sistema superficiale provvede al drenaggio corticale passa per i seni durali e si collega con il sistema profondo confluendo nel seno trasverso. Naturalmente questa metodica richiede apparecchiature ad elevata risoluzione de operatori esperti. La metodica ecografica descritta da Zamboni prevede pertanto una valutazione completa con Eco-ColorDoppler del circolo intra ed extra-cranico in clinostatismo ed a 90° come più volte descritta 14 onde valutare la sua stretta associazione con la sclerosi multipla e quindi l’efficacia e la sicurezza di interventi endovascolari che migliorerebbero la prognosi della malattia. Conclusioni Partendo dai dati della letteratura e dalla metodica messa a punto da Zamboni la Società Italiana di Diagnostica Vascolare è interessata ad approfondire le conoscenze sul ritorno venoso intracranico sulla funzione valvolare, sul significato del reflusso e quindi di validare la metodica onde renderla riproducibile. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 AMITRANO Bibliografia 1. Int. Angiology 2009 Consensus UIP. 2. Intracranial Venous Haemodynamics in Multiple Sclerosis. P. Zamboni, E. Menegatti, I. Bartolomei, R. Galeotti, A.M. Malagoni, G. Tacconi, F. Salvi. Current Neurovascular Research, 2007;4:252-258. 3. Zamboni P, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, Schirda C, Cox JL, Malagoni AM et al. The severity of chronic cerebrospinal venous insufficiencyin patients with multiple sclerosis is related to altered cerebrospinal fluid dynamics. Funct Neurol 2009;24:133-138. 4. Nedelmann M, Eicke BM, Dieterich M. Functional and morphological criteria of internal jugular valve insufficiency as assessed by ultrasound. J Neuroimaging 2005;15:70e5. 5. Nedelmann M, Kaps M, Mueller-Forell W. Venous obstruction and jugular valve insufficiency in idiopathic intracranial hypertension. J Neurol 2009;256:964e9. 6. Knappertz VA. Cough headache and the competency of jugular venous valves. Neurology 1996;45:149. 7. Effects of positive end-expiratory pressure on intracranial pressure and cerebral perfusion pressure.Videtta W, Villarejo F, Cohen M, Domeniconi G, Santa Cruz R, Pinillos O, Rios F, Maskin B.Acta Neurochir Suppl. 2002;81:93-7. 8. Schreiber SJ, Doepp F, Klingebiel R, Valdeuza JM. “.Internal jugular vein valve incompetence and intracranial venous anatomy in transient global amnesia”. J Neurosurg. Psychiatry 2005;76-509-513. 9. Valdueza JM, von Munster T, Hoffman O, Schreiber, S, Einhaupl KM. Postural dependency of the cerebral venous out- flow. Lancet 2000;355:200-201. 10. Gisolf J, van Lieshout JJ, van Heusden K, et al. Human cerebral venous out flow pathway depends on posture and central venous pressure. J Physiol 2004;560:317e27. 11. Schreiber SJ, Lurtzing F, Gotze R, et al. Extrajugular pathways of human cerebral venous blood drainage assessed by duplex ultrasound. J Appl Physiol 2003;94:1802e5. 12. Baumgartner, RW, Nirkko, AC, Muri, RM, Gonner, F. Transoccipitalpower-based color-coded duplex sonography of cerebral sinuses and veins, Stroke 1997;28:1319-1323. 13. Stolz E, Kaps M, Kern A, et al. Transcranial color-coded duplex sonography of intracranial veins and sinuses in adults. Reference data from 130 volunteers. Stroke 1999; 30:1070e5. 14. Zamboni et al J Neurol Sci 2009 15;28221-7. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 35 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 36 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):36-8 Il tempo di circolo cerebrale nei pazienti con sclerosi multipla: valutazione con ecografia con mezzo di contrasto M. MANCINI La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria cronica demielinizzante, a patogenesi autoimmune, che colpisce il sistema nervoso centrale, con aspetti neurodegenerativi e ad eziologia sconosciuta. Infatti, nonostante siano stati proposti come agenti patogeni fattori infiammatori, infettivi, e autoimmuni, il loro rapporto di causalità con la malattia rimane ancora da chiarire. Sulla base di studi neuropatologici in un sottogruppo di pazienti è stato rilevato un pattern di demielinizzazione che non è stato osservato in modelli sperimentali di encefalomielite acuta o cronica, e che è simile alle alterazioni tessutali rilevabili nella ischemia della sostanza bianca1,2. Il danno ipossico della sostanza bianca potrebbe essere un elemento secondario alla infiammazione e all’edema che nella fase acuta della malattia potrebbero coinvolgere il tessuto circostante la placca di demielinizzazione e determinare disturbi circolatori. Inoltre alterazioni infiammatorie nella parete del vaso con l’attivazione della cascata coagulativa, o con danno endoteliale diretto, potrebbero contribuire a determinare la lesione ischemica. Con la RMN cerebrale dinamica sono stati rilevati valori medi dei tempi di transito cerebrale significativamente prolungati nei pazienti con sclerosi multipla3,4, inoltre già molti anni fa sono state documentate alterazioni della parete venosa ed occlusioni vascolari con studi basati su tecniche istopatologiche5. Questi risultati indicano che un’anomalia emodinamica potrebbe essere una componente significativa della fisiopatologia delle lesioni della SM. L’ecografia con contrasto (CEUS) è un utile strumento di imaging non invasivo per la valutazione, in vivo, delle alterazioni microcircolatorie6. Il mezzo di contrasto utilizzato è un vero agente intravascolare, a differenza degli agenti diffusibile comunemente utilizzati in risonanza magnetica o con la tomografia computerizzata, esso rimane completamente all’interno dello spazio vascolare e possiede una reologia intravascolare simile a quella del globulo rosso. È costituito da microbolle contenenti gas inerte e aumenta la potenza dell’eco retrodiffuso dal sangue di 20-30 dB (1:1000). Lo scopo del nostro studio è stato di valutare la circolazione cerebrale in vivo con il CEUS, metodica fino ad ora mai utilizzata nella SM. 36 Istituto di Biostrutture e Bioimmagini, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) Materiali e metodi Sono entrati a far parte dello studio 80 pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) clinicamente definita, diagnosticata in base ai criteri di McDonald7 (48F/32M) e 37 soggetti di controllo (SC) comparabili per età e sesso (19F/18M), di diverse forme cliniche (33 RRMS, 18 PPMS, e 29 SMSP). La disabilità è stata classificata utilizzando la Kurtzke Expanded del Disability Status Scale (EDSS)8. L’esame ecografico è stato eseguito con paziente in posizione supina con ecografo iU22 (Philips), con trasduttore lineare 9-3 MHz. L’area di sezione (CSA) della vena giugulare interna (IJV) è stata misurata sul piano orizzontale. Per l’imaging contrastografico è stata utilizzata una scansione trasversale del collo a livello della ghiandola tiroide in cui erano contemporaneamente rappresentate la vena giugulare interna e la carotide. Dopo 10 minuti a riposo in posizione supina è stato iniettato manualmente un bolo di 2,4 ml di SonoVue (Bracco SpA, Milano, Italia), seguito immediatamente da 10 ml di soluzione salina ed è stato acquisito un cine-loop della durata di 1 minuto. Dopo dieci minuti a riposo, è stato effettuato un secondo bolo per la valutazione del vaso controlaterale. La curva di wash-in è stato analizzata off-line in cieco, utilizzando il programma QLab-Philips. Sono state definite manualmente tre diverse regioni di interesse (ROI): l’arteria carotide, il parenchima tiroideo senza arterie o vene e la vena giugulare interna (IJV). In ogni ROI sono stati misurati quattro parametri: Arrival Time (AT), Time To Peak (TTP), Incremental Time (IT) Absolute intensity Peak (AIP). È stato considerato come tempo di circolazione cerebrale (CCT) la differenza tra AT in arteria e AT in vena, e come tempo di transito Arteria/tessuto (A/Ttt) la differenza tra AT in arteria e AT in tessuto tiroideo. È stata definita incontinenza valvolare giugulare la comparsa MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 37 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL TEMPO DI CIRCOLO CEREBRALE NEI PAZIENTI CON SCLEROSI MULTIPLA: VALUTAZIONE CON ECOGRAFIA... di microbolle sull’immagine B-mode in IJV prima che in carotide. Per verificare la riproducibilità delle misure, due operatori hanno ripetuto in cieco le misurazioni in tutti i pazienti e nei soggetti di controllo. Per il confronto del tempo di circolo cerebrale artero/venoso tra SM e SC abbiamo usato i valori per ogni vaso (CCT), la media dei valori tra il vaso destro ed il sinistro (CCTM), e il tempo più lungo tra i due vasi (CCTL). I dati continui sono stati riportati come mediana e range, i dati categorici come percentuale. Per il confronto dei parametri ecografici tra pazienti e gruppi di controllo è stato utilizzato un test non parametrico (Mann-Withney U test). Un valore p <0,05 è stato considerato statisticamente significativo. MANCINI Gli 80 SM (età mediana 42 anni, range 20-62 anni) erano paragonabili ai 37 SC (età mediana 40 anni; range 23-65 anni) per età, sesso, pressione sistolica e diastolica e frequenza cardiaca. I pazienti con SM hanno presentato vene giugulari di dimensioni superiori ai SC (mediana CSA MS 0,74 cm2, range 0,03-4,23 cm2; controlli 0,50 cm2, 0,18-2,08 cm2; p = 0,037). Ventisette (33%) SM e sei (16%) SC hanno mostrato stenosi o ipoplasia della IJV (CSA <0,3 cm2). Il mezzo di contrasto è stato ben tollerato in tutti gli individui, senza significativi effetti collaterali. È stato rilevato reflusso di mezzo di contrasto in IJV con una frequenza maggiore negli SM [36/80 (45%) SM e 7/37 SC (19%); ˜2 = 3,84 p = 0,0498). Non è stata rilevata differenza significativa tra gli SM e SC nei tempi di arrivo, tempo di picco, ed intensità assoluta e tutti i parametri di wash- erano simili negli uomini e nelle donne, senza differenze tra destra e sinistra. CCT, CCTL e CCTM erano significativamente prolungati nei soggetti con SM comparati con SC (CCT mediana (range) MS 5.5s (2.0-29.2), SC 4.9 (2.2-7.6) p<0.001; CCTL MS 6.5s (3.3-29.2) SC 5.2s (2.6-7.6) p<0,0001;CCTM mediana (range) MS 5.9s (2.6-17.5) SC 4.8s (2.6-7.0) p=<0.0001). Escludendo dall’analisi statistica le vene giugulari con flusso retrogrado, il tempo di circolazione cerebrale rimaneva significativamente più lungo nel gruppo MS (CCT in 122 vene senza reflusso 6.3s (range 3.315.1s), vs. 66 vene senza reflusso 5.1s (range 2,6-7.6s) nel gruppo SC; p <0,0001). Assumendo per CCT un cut-off di 7.2s (media + 2SD SC) 29 (37%) SM hanno mostrato un prolungamento del CCT. Nessuna correlazione è stata rilevata con il grado di disabilità (EDSS). Il CCTL ha mostrato una correlazione significativa con l’età solo nei SM (coefficiente di Spearman SM rho = 0,256, p = 0,001; SC rho = 0,03, p = 0,81). Nessuna correlazione è stata trovata tra CCTL, durata della malattia (rho = 0,068, p = 0,41), e dimensioni della IJV (MS rho=0,087, p = 0,28; SC rho=0,152, p = 0,244). In condizioni fisiologiche la vena giugulare interna in posizione supina è la via principale di drenaggio del sangue cerebrale e in pazienti con SM il tempo che impiega il mezzo di contrasto per transitare dalle arterie alle vene cerebrali è circa 1 secondo più lungo di quello rilevato in soggetti di controllo. Il tempo di circolo carotide/giugulare può variare in rapporto alla gittata cardiaca, alle resistenze vascolari sistemiche e cerebrali, alle resistenze nella carotide esterna, alle resistenze retiniche, alla lunghezza del circuito vascolare, ed allo stato delle vene del collo. Nei nostri pazienti con SM gli esami clinici ed ematici escludevano la coesistenza di patologie cardiovascolari concomitanti. Inoltre, il tempo impiegato da mezzo di contrasto per comparire in arteria e nel distretto vascolare extracerebrale come il tessuto tiroideo non era differente nei due gruppi e ciò permette di escludere che le variazioni osservate siano dovute a fattori emodinamici sistemici o che il deflusso cerebrale più lento nei pazienti con SM sia secondario ad un ridotto afflusso arterioso. La maggior parte del tempo di transito è costituito dal tempo che impiega il mezzo di contrasto per passare attraverso arteriole, capillari e venule. Gli studi istopatologici e ultrastrutturali nella SM hanno mostrato che le placche cerebrali nella sclerosi multipla si localizzano in vicinanza di grandi vene epiventricolari e la flebografia con risonanza magnetica conferma in vivo lo stretto rapporto tra le vene e la localizzazione delle placche infiammatorie della sclerosi multipla. Nel contesto di marcata eterogeneità dei profili immunopatologici delle lesioni della sclerosi multipla, un modello di frequente osservato è caratterizzato da placche di demielinizzazione centrate su piccole vene, con una estensione radiale perivenosa. La perfusione cerebrale potrebbe essere modificata dalla stretta relazione topografica tra lesioni della SM e strutture vascolari. Inoltre gli studi di Zamboni et al.9 dimostrano che alterazioni venose sia del circolo venoso extracranico che intracranico definite CCSVI sono un reperto frequente nei pazienti con sclerosi multipla e ciò potrebbe modificare il gradiente di pressione idrostatica e prolungare il tempo di circolo cerebrale. Il flusso retrogrado nella vena giugulare interna è stato frequentemente osservato nei pazienti da noi esaminati. La rilevanza clinica di tale anomalia non è ancora chiara, è possibile che il reflusso dovuto ad incontinenza della valvola giugulare interna possa provocare stasi venosa cerebrale e prolungare il tempo di transito del mezzo di contrasto. I nostri risultati indicano un possibile ruolo della CEUS nella valutazione dei pazienti con SM. L’identificazione un sottogruppo di pazienti con un modello patogeneticamente distinto di malattia, caratterizzato da alterazioni microcircolatorie, potrebbe essere di aiuto nella valutazione clinica e nella scelta di una specifica strategia terapeutica. Discussione Bibliografia In questo studio per la prima volta in pazienti affetti da SM il circolo cerebrale è stato esplorato con CEUS ed il principale risultato è che il tempo di transito artero/venoso cerebrale è significativamente prolungato nei pazienti con SM in confronto con i SC. 1. Lucchinetti C, Brück W, Parisi J, et al. Heterogeneity of multiple sclerosis lesions: implications for the pathogenesis of demyelination. Annals of Neurology 2000;47:707-17. 2. Lassmann H. Hypoxia-like tissue injury as a component of multiple sclerosis lesions. Journal of Neurological Sciences 2003;206:187-91. Risultati Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 37 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 38 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MANCINI IL TEMPO DI CIRCOLO CEREBRALE NEI PAZIENTI CON SCLEROSI MULTIPLA: VALUTAZIONE CON ECOGRAFIA... 3. Ge Y, Law M, Johnson G, et al. Dynamic susceptibility contrast perfusion MR imaging of multiple sclerosis lesions: characterizing hemodynamic impairment and inflammatory activity. American Journal of Neuroradiology 2005;26:153947. 4. Law M, Saindane AM, Ge Y, et al. Microvascular abnormality in relapsing-remitting multiple sclerosis: perfusion MR imaging findings in normal-appearing white matter. Radiology 2004;231:645-52. 5. Putnam TJ. Evidences of vascular occlusion in multiple sclerosis and encephalomyelitis. Archives Neurology and Neuropsychology 1935;32:1298-321. 38 6. Delorme S, Krix M. Contrast-enhanced ultrasound for examining tumor biology. Cancer Imaging 2006;6:148-52. 7. Polman CH, Reingold SC, Edan G, et al. Diagnostic criteria for multiple sclerosis: 2005 revisions to the “McDonald criteria”. Annals of Neurology 2005;58:840-6. 8. Kurtzke JF. Rating neurologic impairment in multiple sclerosis: an expanded disability status scale (EDSS). Neurology 1983;33:1444-52. 9. Zamboni P, Galeotti R, Menegatti E, et al. Chronic cerebrospinal venous insufficiency in patients with multiple sclerosis. Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry 2009; 80:392-9. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 39 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):39-40 CCSVI: parallelismo diagnostico tra ecografia e flebografia G. CACCIAGUERRA L’insufficienza Venosa Cronica Cerebro-Spinale (CCSVI) si caratterizza per la presenza di un’ampia serie di malformazioni venose che ostacolano il ritorno venoso encefalico e spinale. La principale difficoltà diagnostica è la natura squisitamente strumentale della diagnosi, basata sulle anomalie anatomiche e sulle ripercussioni emodinamiche che ne conseguono, ma del tutto priva di un corrispettivo clinico che in qualche modo possa aiutare il diagnosta. I cardini diagnostici principali sono la presenza di un ostacolo al deflusso venoso e la sua ripercussione emodinamica. L’approccio strumentale di prima istanza è l’ecocolor-Doppler (ECD), che può generare false diagnosi a causa di un setting non corretto e/o di un non sufficiente periodo di apprendimento dell’operatore. Una non corretta valutazione ECD genera di fatto false informazioni che condizionano il successivo approccio angiografico. La flebografia, d’altro canto, presenta anch’essa dei punti critici, legati sostanzialmente alla quantità di mezzo di contrasto, alla pressione di iniezione ed alla proiezione utilizzata. Iniettando troppo contrasto a pressione elevata, infatti, il circolo venoso in studio sarà iniettato anche per via retrograda, generando un falso positivo, mentre una proiezione non adeguata potrà non evidenziare apparati valvolari anomali, creando un falso negativo. Infine, un ultimo aspetto di non secondaria importanza, soprattutto per l’ECD, riguarda la necessità di eseguire la valutazione ecografica non su fotografie statiche ma su cine-loop di adeguata durata. Infatti, il cardine diagnostico principale non è la dimostrazione di un apparato valvolare anomalo, ma la valutazione dell’alterazione emodinamica che ne deriva. Metodologia per la valutazione parallela delle due metodiche I criteri diagnostici utilizzati nello studio ECD finalizzabili al confronto flebografico, sono fondamentalmente tre: la presenza di anomalie valvolari o anatomiche, il blocco di flusso in due posizioni ed il reflusso in due posizioni. Il TCD non è stato considerato per mancanza del sistema doppler multi angle (QDP). Il calcolo del delta CSA, eseguito come da protocollo, non è considerato in questo Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 U.O. di Chirurgia Vascolare, Ospedale “Cannizzaro”, Azienda Ospedaliera per l’Emergenza, Catania rapporto perché non è di alcuna utilità nella valutazione del parallelismo tra le due metodiche. Anche la valutazione posturale ECD, benché eseguita, in questo rapporto è stata tralasciata perché non confrontabile con la flebografia che viene eseguita solo a paziente supino. I punti chiave su cui è stata eseguita la valutazione del parallelismo tra le due metodiche sono la stenosi, la stasi, il reflusso, che sono o non sono presenti. Le valutazioni ECD, giugulari e vertebrali, sono state eseguite realizzando dei cine-loop ed è stato utilizzato anche la visualizzazione in M-Mode degli apparati valvolari Il sospetto malformativo a carico del sistema azygos è stato valutato con ECD sulla base dei segni indiretti vertebrali (reflusso o assenza di flusso in due posizioni). Esperienza personale La nostra esperienza data dall’agosto 2010, e conta a tutt’oggi 400 pazienti con sclerosi multipla (SM) in tutti i sottogruppi clinici [riacutizzazioni–remissioni (RR), secondaria progressiva (SP), primaria-progressiva (PP)], tutti sottoposti a valutazione diagnostica ECD. Di questi pazienti solo 50 sono stati sottoposti a flebografia e contestuale PTA. I pazienti rimanenti sono tutt’ora in lista d’attesa. In tutti i casi flebografati la diagnosi di CCSVI è stata confermata; in dieci pazienti, tuttavia, la flebografia ha messo in evidenza alterazioni giugulari bilaterali che l’ECD non aveva visto (sottostima ecografica nel 20%). In nessun caso l’ECD ha segnalato dei falsi positivi. In due pazienti la flebografia non ha confermato le stenosi rilevate all’ECD. Durante il follow-up clinico, i pazienti hanno accusato frequenti ricadute della sintomatologia neurologica e l’ECD è stato ripetuto, confermando le stenosi prima rilevate. L’evidenza ECD e l’ingravescenza clinica hanno suggerito la ripetizione della flebografia che, MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 39 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 40 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CACCIAGUERRA CCSVI: PARALLELISMO DIAGNOSTICO TRA ECOGRAFIA E FLEBOGRAFIA eseguita in più proiezioni nell’ostinata ricerca di quanto descritto dall’ECD, ha confermato la presenza delle stenosi. La successiva correzione s’è accompagnata alla scomparsa dell’alterazione emodinamica. Conclusioni Una delle più frequenti domande che risuonano ancora nella comunità scientifica riguarda l’esistenza o meno della CCSVI. Credo che la domanda non abbia ragion d’essere. La CCSVI è diagnosticabile sia con ECD sia con flebografia, e non è dunque una diagnosi virtuale. Inoltre, la PTA cancella in un attimo non solo l’alterazione anatomica ma anche tutte le modificazioni emodinamiche che ne conseguono, ripristinando un deflusso venoso “normale”, e ciò è registrabile sia con ECD sia con flebografia. La CCSVI esiste e il suo riconoscimento richiede semplicemente un adeguato periodo di apprendimento (non solo per l’utilizzo dell’ECD ma anche per lo studio flebografico) ma non si può negarne l’esistenza soltanto perché non si è in grado di riconoscerla. L’inadeguato apprendimento è probabilmente la causa dell’elevata discordanza tra i risultati di vari studi. Infine, riguardo l’associazione clinica tra CCSVI e SM, è un dato oggettivo di epidemiologia clinica che esula dagli obiettivi di questo rapporto, che va misurato su grandi numeri, ma che certamente non può essere negato. 40 Bibliografia 1. Al Omari MH, Rousan LA. Internal jugular vein morphology and hemodynamics in patients with multiple sclerosis. Int Angiol 2010;29:115-20. 2. Hojnacki D, Zamboni P, Lopez-Soriano A, Galleotti R, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, et al. Use of neck magnetic resonance venography, Doppler sonography and selective venography for diagnosis of chronic cerebrospinal venous insufficiency: a pilot study in multiple sclerosis patients and healthy controls. Int Angiol 2010;29:127-39. 3. Simka M, Kostecki J, Zaniewski M, Majewski E, Hartel M. Extracranial Doppler sonographic criteria of chronic cerebrospinal venous insufficiency in the patients with multiple sclerosis. Int Angiol 2010;29:109-14. 4. Zamboni P, Galeotti R, Menegatti E, Malagoni AM, Gianesini S, Bartolomei I, et al. A prospective open-label study of endovascular treatment of chronic cerebrospinal venous insufficiency. J Vasc Surg 2009;50:1348-58. 5. Zamboni P, Galeotti R, Menegatti E, Malagoni AM, Tacconi G, Dall’Ara S, et al. Chronic cerebrospinal venous insufficiency in patients with multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2009;80:392-9. 6. Zamboni P, Menegatti E, Galeotti R, Malagoni AM, Tacconi G, Dall’Ara S, et al. The value of cerebral Doppler venous haemodynamics in the assessment of multiple sclerosis. J Neurol Sci 2009;282:21-7. 7. Zamboni P, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, Schirda C, Cox JL, Malagoni AM, et al. CSF dynamics and brain volume in multiple sclerosis are associated with extracranial venous flow anomalies: a pilot study. Int Angiol 2010;29:140-8. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 41 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):41 Correlazione tra CCSVI e SM: risultati di uno studio osservazionale su 560 pazienti studiati con due differenti strumenti eco-doppler e dati preliminari di follow-up post-angioplastica P. BAVERA Questo lavoro riassume, sotto forma di studio osservazionale, i risultati di 560 esami eco-Doppler eseguiti su altrettanti pazienti malati di Sclerosi Multipla. Gli esami sono stati eseguiti dallo stesso medico operatore utilizzando due apparecchi diversi ma con caratteristiche tecniche simili. Tutti gli esami sono stati effettuati seguendo le caratteristiche richieste dal “Protocollo Zamboni”, medico chirurgo vascolare che per primo ha osservato e classificato le specifiche tecniche di questo tipo di esame. Di fatto lo studio prevede la ricerca e quantificazione di anormalità morfologiche e flussimetriche del sistema venoso dei vasi del collo, più precisamente del sistema giugulare e vertebrale e, di riflesso, frequentemente anche dell’azygos. I risultati ottenuti, per numeri e tipologie di anomalie venose e valvolari, in una percentuale decisamente interessante fanno pensare che non vi siano delle semplici coincidenze bensì delle possibili correlazioni tra SM e l’insufficienza venosa cerebrospinale cronica, ormai nota come CCSVI. Questo studio ha lo scopo di dimostrare, con un numero di casi interessante, quanto questo esame abbia aperto nuove strade nella diagnostica strumentale pur essendo limitato ad operatori esperti. In ultimo, ma i numeri sono certamente più piccoli, iniziano ad arrivare i primi controlli post PTA, generalmente dopo tre mesi dalla procedura, che permettono una analisi sia soggettiva del paziente che di controllo diagnostico strumentale. I risultati, ancora una volta, sono interessanti e potrebbero aprire a diverse strade interpretative. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Milano Bibliografia 1. Zamboni P. The Big Idea: Iron-dependent inflammation in venous disease and proposed parallels in multiple sclerosis. J R Soc Med 2006;99:589-93. 2. Lee BB, Bergan J, Gloviczki P, Laredo J, Loose DA, Mattassi R, et al. Diagnosis and treatment of venous malformations. Consensus document of the International Union of Phlebology (UIP) – 2009. Int Angiol 2009;28:434-51. 3. Zamboni P, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, et al. The severity of chronic cerebrospinal venous insufficiency in patients with multiple sclerosis is related to altered cerebrospinal fluid dynamics. Functional Neurology 2009;24:133-38. 4. Zamboni P, Galeotti R, Menegatti E, et al. Chronic cerebrospinal venous insufficiency in patients with multiple sclerosis. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2009;80:392-9. 5. Simka M, Kostecki J, Zaniewski M, Majewski E, Hartel M. Extracranial Doppler sonographic criteria of chronic cerebrospinal venous insufficiency in the patients with multiple sclerosis. Int Angiol 2010;29:109-14. 6. Singh AV, Zamboni P. Anomalous venous blood flow and iron deposition in multiple sclerosis. J Cereb Blood Flow Metab 2009;29:1867-78. 7. Menegatti E, Genova V, Tessari M, et al. The reproducibility of colour Doppler in chronic cerebrospinal venous insufficiency associated with multiple sclerosis. Int Angiol 2010;29:121-6. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 41 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 42 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):42-3 Epidemiologia della CCSVI nella sclerosi multipla utilizzando ECD-TCCS e flebografia A. d’ALESSANDRO L’insufficienza venosa cerebrospinale cronica (CCSVI) è un quadro vascolare recentemente descritto, caratterizzato da stenosi multiple delle principali vie del drenaggio venoso extracraniale, specialmente nelle vene giugulari interne (IJV) e nella vena azigos (AZY), che causano ipertensione intracranica. L’attivazione di circoli collaterali, chiaramente dimostrati per mezzo di flebografia selettiva, tenta di compensare il ridotto ritorno venoso, tuttavia il tempo di ritorno venoso rimane aumentato rispetto ai soggetti di controllo. Le alterazioni emodinamiche descritte nella CCSVI, sembrano correlare in modo significativo con la sclerosi multipla (SM). In questo rapporto riferiamo l’esperienza del nostro gruppo sull’argomento. rosi Multipla Clinicamente Definita (CDMS), diagnosticata in base ai criteri di McDonald revisionati. Clinicamente 69 pazienti (63,31%) presentavano un decorso clinico a riacutizzazioni-remissioni (RR), 34 pazienti (31,19%) avevano una forma secondaria progressiva (SP), e 6 pazienti (5,5%) una forma primaria-progressiva (PP). Materiali e metodi Risultati Screening non invasivo: è stato eseguito mediante esame ECD-TCCS secondo il protocollo descritto da Zamboni, valutando la presenza/assenza di cinque criteri emodinamico ultrasonografici richiesti per la diagnosi di CCSVI: per avere una diagnosi di CCSVI, secondo il protocollo Zamboni, occorre che il paziente abbia almeno 2 dei seguenti 5 parametri: 1. reflusso nelle vene giugulari interne e/o vene vertebrali in posizione seduta e supina; 2. reflusso nelle DCVs (vena cerebrale interna, vena basale di Rosenthal, e grande vena cerebrale di Galeno); 3. presenza di stenosi nella vena giugulare interna all’indagine B-mode ad alta risoluzione; 4. flusso non rilevabile all’indagine Doppler nelle vene giugulari interne e/o nelle vene vertebrali; 5. controllo posturale inverso delle principali vie di deflusso venoso cerebrale. Diagnosi flebografica: 22 pazienti con diagnosi ultrasonografica di CCSVI, sono stati sottoposti a flebografia selettiva dei sistemi IJV e AZY preoperatoria. Dei 109 pazienti con SM ben 101 (92,08%) presentavano diagnosi di CCSVI mentre 8 pazienti (7,92%) non rispondevano ad almeno 2 criteri di Zamboni e quindi diagnosi negativa alla CCSVI. Nei 22 pazienti studiati con flebografia selettiva preoperatoria e positivi alla CCSVI, tutti presentavano anomalie venose alle vene giugulari interne (2 pz una sola IJV ed in 20 pz entrambe le IJV) e 13 pazienti (59%) presentavano contemporaneamente anomalie venose alla vena azygos. Popolazione Nel periodo gennaio-maggio 2011 sono stati studiati con US consecutivamente 109 pazienti (73 femmine, 66,97%, e 36 maschi, 33,03%), con età compresa tra 20 e 73 anni, afferenti da diversi centri neurologici tutti affetti da Scle42 Responsabile Servizio di Angiologia Ospedale S. Severo, Regione Puglia ASL Provincia di Foggia Discussione Le considerazioni che possiamo fare in questo lavoro sono: 1) l’esame ECD-TCCS è uno strumento indispensabile per la diagnosi di CCSVI in pazienti con SM; infatti l’esame ECD-TCCS, sebbene abbia bisogno di un nuovo approccio culturale e che ha quindi necessità di un lungo periodo di apprendimento. Non meraviglia pertanto che vi siano studi così discordanti tra loro nella percentuale di positività; 2) l’esame ECD-TCCS è sovrapponibile alla flebografia selettiva (100% dei pazienti) per ciò che riguarda la diagnosi di CCSVI mentre prese ne nta margini di errori, anche significativi nella individuazione dei vasi interessati. All’esame ECD-TCCS pertanto deve essere affidata la diagnosi di CCSVI senza precisare ulteriormente la natura delle anomalie venose ed i vasi interessati. D’altra parte MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 43 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) EPIDEMIOLOGIA DELLA CCSVI NELLA SCLEROSI MULTIPLA UTILIZZANDO ECD-TCCS E FLEBOGRAFIA una sensibilità del 100% dell’esame ECD-TCCS rispetto alla flebografia selettiva nella diagnosi di CCSVI indica come l’esame ultrasonografico sia estremamente affidabile nella diagnosi della CCSVI; 3) una percentuale del 92,08% di positività della diagnosi di CCSVI nei pazienti con SM dimostra che la CCSVI è il più importante fattore di rischio o concausa della SM. Bibliografia 1. Al-Omari MH, Rousan LA. Internal jugular vein morphology and hemodynamics in patients with multiple sclerosis. Int Angiol Apr 2010;29:115-20. 2. Avruscio G. Chronic Cerebrospinal Venous Insufficiency and Susceptibility to Multiple Sclerosis. Letter to the editor Ann Neurol. 14 Jun 2011 DOI: 10.1002/ana.22451. 3. Awad AM, Marder E, Milo R, Stuve O. Multiple sclerosis and chronic cerebrospinal venous insufficiency: a critical review. Ther Adv Neurol Disord May 2011. DOI:10.1177/ 1756285611405565. 4. Baiocchini A, Toscano R, von Lorch W, Del Nonno F. Anatomical stenosis of the internal jugular veins: supportive evidence of chronic cerebrospinal venous insufficiency? E-Letter http://jnnp.bmj.com/content/82/4/355/reply#jnnp_el_7244. 5. Bartolomei I, Salvi F, Galeotti R, Salviato E, Alcanterini M, Menegatti E, Mascalchi M, Zamboni P. Hemodynamic patterns of chronic cerebrospinal venous insufficiency in multiple sclerosis. Correlation with symptoms at onset and clinical course. Int Angiol Apr 2010;29:183-8. 6. Calleja Puerta S, Vega Villar J. La ultrasonografia del sistema venoso y sus perspectivas de futuro. Nº 8 Revista GEECVSEN settembre 2010. 7. Dake M. Endovascular treatments for CCSVI. V-AWARE Vol 2 Issue 3 November 2010: CCSVI and Multiple Sclerosis. 8. Doepp F, Valdueza JM, Schreiber SJ. Incompetence of internal jugular valve in patients with primary exertional headache: a risk factor? Cephalalgia ? Volume 28, Issue 2, pages 182-185, February 2008DOI: 10.1111/j.1468-2982.2007. 01484.x. 9. Hojnacki D, Zamboni P, Lopez-Soriano A, Galleotti R, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, Schirda C, Magnano C, Malagoni AM, Kennedy C, Bartolomei I, Salvi F, Zivadinov R. Use of neck magnetic resonance venography, Doppler sonography and selective venography for diagnosis of chronic cerebrospinal venous insufficiency: a pilot study in multiple sclerosis patients and healthy controls. Int Angiol 2010; 29:127-39. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 d’ALESSANDRO 10. Malagoni AM, Galeotti R, Menegatti E, Manfredini F, Basaglia N, Salvi F, Zamboni P. Is chronic fatigue the symptom of venous insufficiency associated with multiple sclerosis? A longitudinal pilot study. Int Angiol Apr 2010;29:176-82. 11. Menegatti E, Genova V, Tessari M, Malagoni AM, Bartolomei I, Zuolo M, Galeotti R, Salvi F, Zamboni P. The reproducibility of colour Doppler in chronic cerebrospinal venous insufficiency associated with multiple sclerosis. Int Angiol Apr 2010;29:121-6. 12. Menegatti E, Zamboni P. Doppler Haemodynamics of cerebral venous return. Current Neurovascular Research, 2008,5:260-5. 13. Menegatti E, Galeotti R, Gianesini S, Bartolomei I, Salvi F, Zamboni P. Echo-color-Doppler criteria for diagnosis of chronic cerebrospinal venous insufficiency. UIP 2009 Abstracts GE 2.6-18. 14. Simka M, Kostecki J, Zaniewski M, Majewski E, SzewczykUrgacz D. Preliminary report on pathologic flow patterns in the internal jugular and vertebral veins of patients with multiple sclerosis. Phlebological Review 2009;17:61-64. 15. Zamboni P, Carinci F. Face, brain, and veins: a new perspective for multiple sclerosis onset. J Craniofac Surg. 2011; 22:376. 16. Zamboni P, Galetti R, Menegatti E, Malagoni A.M, Tacconi G, Dall’Ara S, Bartolomei I, Salvi F. Chronic cerebrospinal venous insufficiency in patiens with multiple sclerosis. J Neurol. Neurosurg Psychiatry 2009;80:392-399. 17. Zamboni P, Galeotti R. The chronic cerebrospinal venous insufficiency syndrome. Phlebology Dec 2010;25:269-79. 18. Zamboni P, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, Schirda C, Cox JL, Malagoni AM, Hojnacki D, Kennedy C, Carl E, Dwyer MG, Bergsland N, Galeotti R, Hussein S, Bartolomei I, Salvi F, Ramanathan M, Zivadinov R. CSF dynamics and brain volume in multiple sclerosis are associated with extracranial venous flow anomalies: a pilot study. Int Angiol Apr 2010;29:140-8. 19. Zamboni P, Menegatti E, Weinstock-Guttman B, Schirda C, Cox JL, et al. The severity of chronic cerebrospinal venous insufficiency in patients with multiple sclerosis is related to altered cerebrospinal fluid dynamics. Funct Neurol; 24:133-8. 20. Zamboni P, Galeotti R, Menegatti E, Malagoni AM, Gianesini S, Bartolomei I, Mascoli F, Salvi F. A prospective open-label study of endovascular treatment of chronic cerebrospinal venous insufficiency. J Vasc Surg Dec 2009;50:1348-58.e1-3. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 43 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 44 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):44-5 Terapia compressiva nelle ulcere degli arti inferiori: qualità novità G. MOSTI Nella terapia compressiva che si attua nel trattamento delle ulcere degli arti inferiori vi sono, ormai, alcuni punti certi: – la compressione è meglio di nessuna compressione; – una compressione che eserciti un’ alta pressione è meglio di una compressione con bassa pressione (vanno considerate con molta attenzione le ulcere arteriopatiche e miste con importante compromissione arteriosa; l’I.W. deve essere >80; personale esperto può applicare il bendaggio anche con I.W. tra 60 e 80) – sistemi multistrato sono preferibili ai monostrato in quanto in grado di sviluppare una maggior pressione, conferire al bendaggio una maggior rigidità, assorbire meglio l’essudato con gli strati protettivi (cotone o schiuma di poliuretano). – l’efficacia del bendaggio nei pazienti con ulcere flebostatiche è definitivamente dimostrata con una evidenza di grado A – non vi è accordo sull’efficacia di diversi tipi di compressione: la mancanza di studi randomizzati e controllati richiede un approccio pragmatico e le raccomandazioni in questo campo si basano sull’opinione degli esperti. In definitiva quale compressione nella classe CEAP 6 resta controverso. Una revisione della letteratura evidenzia come il bendaggio anelastico o elastico siano preferiti più per questione di abitudine o cultura che per dati obiettivi. Vi sono anche studi randomizzati di confronto tra i due tipi di bendaggio che dimostrano la sostanziale parità di efficacia dei due bendaggi o la superiorità di quello elastico. Tali studi presentano alcuni deficit metodologici: – e ulcere considerate sono molto piccole (spesso <10 cm2) – non è indicata l’etiopatogenesi e la severità dell’insufficienza venosa – non sono indicati noti fattori di rischio per la guarigione quali dimensioni ed età delle ulcere e mobilità del paziente – non si sa con quale pressione è stato confezionato il 44 Lucca bendaggio e se il personale scelto era ugualmente esperto nell’applicazione dei due tipi di bendaggio, se la tecnica di bendaggio per i diversi tipi di bende era parimenti conosciuta e, quindi, se la compressione è stata sempre usata nel suo modo ottimale. – il bendaggio preso come riferimento come bendaggio elastico in tutti questi studi si è rivelato essere, in realtà, un bendaggio anelastico. Visto che il bendaggio anelastico esercita una pressione a riposo e di lavoro ed un effetto emodinamico maggiore di quello elastico (in termini di riduzione del reflusso venoso, volume venoso, calibro venoso, ipertensione venosa aumento della frazione d’eiezione etc.) in ulcere causate da severo danno emodinamico un bendaggio qualitativo dovrà necessariamente essere anelastico e deve essere applicato in modo tale da sviluppare un’alta pressione di riposo e di lavoro; poiché esso ha un effetto marcato sulla riduzione dell’edema, nelle prime fasi del trattamento va rimosso più spesso di quanto viene raccomandato (1 settimana; v sotto) in quanto la pressione esercitata cala drammaticamente con la riduzione dell’edema. Altri aspetti qualitativi dovrebbero essere: il mantenimento di una pressione efficace nel tempo (almeno 1 settimana), una pressione simile in tutti i pazienti (riproducibilità), facilità da applicazione e riusabilità dopo ripetuti lavaggi. La novità in terapia compressiva è rappresentata dalla possibilità di misurarne dosaggio (attraverso la misurazione della pressione esercitata) ed effetti (imaging ecografico, con TAC o RMN, pletismografia strain gauge, ad aria, volumetria). Specie la misura della pressione esercitata deve cominciare ad essere considerata uno standard qualitativo immancabile se si vuole parlare in misura seria e documentata dell’efficacia di questo trattamento. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 45 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TERAPIA COMPRESSIVA NELLE ULCERE DEGLI ARTI INFERIORI: QUALITÀ NOVITÀ Bibliografia 1. O’Meara S, Cullum NA, Nelson EA. Compression for venous leg ulcers (Review). The Cochrane Collaboration. JohnWiley & Sons, Ltd. 2009 2. Partsch et al. Evidence based compression therapy VASA 2004; 34:Suppl. 63 3. Partsch H. Compression therapy of venous ulcers. EWMA JOURNAL 2006; 2:16-20. 4. Partsch H, Mosti G. Narrowing of leg veins under compression demonstated by Magnetic Resonance Imaging (MRI). Int Ang, in press 5. Partsch B, Partsch H. Calf compression pressure required to achieve venous closure from supine to standing positions. J Vasc Surg:2005;42:734-38. 6. Partsch H, Clark M, Mosti G et al. Classification of Compression Bandages: Practical Aspects. Derm Surg 2008;34:600609. 7. Partsch H. The static stiffness index: a simple method to assess the elastic property of compression material in vivo. Dermatol. Surg.2005; 31 625-30 8. Partsch H. The use of pressure change on standing as a surrogate measure of the stiffness of a compression bandage. Eur. J. Vasc. Endovasc. Surg. 2005; 30: 415-421 9. Mosti G. La terapia compressiva nel paziente con lesioni trofiche degli arti inferiori immobile o con mobilità limitata. Acta Vulnol 2009;7:197-205 10. Partsch H. Quelle compression sur des patients immobiles: Allongement court ou allongement long? Geriatrie et Gerontologie 2009,155:278-283 Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MOSTI 11. Partsch H, Menzinger G, Mostbeck A. Inelastic leg compression is more effective to reduce deep venous refluxes than elastic bandages. Dermatol Surg. 1999;25:695-700. 12. Mosti G, Partsch H. Duplex scanning to evaluate the effect of compression on venous reflux. Int Angiol. 2010;29:416-20. 13. Mosti G, Mattaliano V, Partsch H. Inelastic compression increases venous ejection fraction more than elastic bandages in patients with superficial venous reflux. Phlebology 2008;23:287-294. 14. Mosti G, Partsch H. Is low compression pressure able to improve venous pumping function in patients with venous insufficiency? Phlebology. 2010;25:145-50 15. G. Mosti, H. Partsch. Inelastic bandages maintain their hemodynamic effectiveness over time despite significant pressure loss. J Vasc Surg. 2010;52:925-31. 16. Mosti G, Mattaliano V, Partsch H. Influence of different materials in multicomponent bandages on pressure and stiffness of the final bandage. Dermatol Surg 2008;34:631-639 17. Mosti G., Rossari S. L’importanza della misurazione della pressione sottobendaggio e presentazione di un nuovo strumento di misura. Acta Vulnol 2008; 6: 31-36. 18. Partsch H, Mosti G. Comparison of three portable instruments to measure compression pressure. Int Angiol. 2010;29:426-30 19. Mosti G, Mattaliano V, Polignano R, Masina M. la terapia compressiva nel trattamento delle ulcere cutanee. Acta Vulnol. 2009; 7: 113-135. 20. Mosti G, Iabichella ML, Partsch H.Compression therapy in mixed ulcers increases venous output and arterial perfusion. J Vasc Surg. 2011 Sep. 22. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 45 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 46 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):46-8 Nuove prospettive nel trattamento locale G. FAILLA, G. ARDITA, P. FINOCCHIARO, F. MUGNO, L. ATTANASIO, M. DI SALVO L’infiammazione cronica è considerata la causa principale della formazione dell’ulcera cutanea nel paziente con malattia venosa cronica; essa è caratterizzata dall’iperproduzione di alcune proteasi (in particolare MMP-9 e MMP2) che, prodotte in eccesso,determinano l’impossibilità nel corso del processo ripartivo, da parte dei tessuti, di costituire la neo matrice extracellulare necessaria per portare a compimento il processo di guarigione1. Alcuni dati in letteratura, ricavati dallo studio degli essudati e da biopsie, indicano che enzimi proteolitici e molecole dell’infiammazione sono abbondantemente rappresentati nei fluidi derivati dalla superficie delle ulcere croniche, ma anche negli strati profondi2. Un altro importante ostacolo alla guarigione può essere rappresentato dalla presenza di flora batterica polimicrobica che, già dalla concentrazione di 106 colonie per grammo di tessuto, rallenta significativamente o addirittura arresta il processo di guarigione: questa constatazione ha permesso ad alcuni autori di coniare il termine di colonizzazione critica, cioè una condizione in cui le difese immunitarie dell’ospite non sono in grado di impedire ai batteri di ostacolare il normale processo di riparazione tessutale3. L’importanza delle singole specie microbiche o densità riguardo alla guarigione non è chiara4. La carica batterica all’interno e sul fondo delle ulcere va controllata e gestita in modo da evitarne l’aumento del numero delle colonie responsabile, nel tempo, di veri e propri periodi di arresto del processo di riparazione tessutale, recentemente definiti come“recidive settiche”5. Ambedue questi processi biomolecolari determinano, come effetto clinico, l’aumento dell’essudato. A questi tre elementi, che già caratterizzano le ulcere, bisogna associarne un quarto: la distinzione tra tessuto non attivo, cioè tessuto non utile al processo di guarigione, come può essere lo slough o la necrosi, e tessuto attivo come può essere un tessuto di granulazione, finalizzato alla guarigione. Il tessuto non attivo, non utile alla guarigione va rimosso rapidamente 5. Da quanto premesso gli obiettivi che dobbiamo perseguire per ottenere la guarigione sono i seguenti: la rimozione del tessuto non attivo e non utile alla guarigione; la 46 U.O.C. Angiologia “Policlinico Vittorio Emanuele”, Catania riduzione dell’infiammazione locale (attraverso la diminuzione dell’attività proteasica); il controllo della carica batterica per evitare le recidive settiche; la gestione dell’essudato. Secondo le linee guida più recenti il corretto trattamento locale è obbligatoriamente mirato ai suddetti obiettivi, associando azioni combinate, rapide e selettive come ad esempio il debridement con tecnologie avanzate come Hydrosurgery e ultrasounds systems, seguito dall’uso di medicazioni ad azione combinata, altamente assorbenti e che rilascino antisettici. Per la gestione delle lesioni particolarmente essudanti è consigliato l’uso della pressione topica negativa. Inoltre particolare enfasi è data alla cura della cute perilesionale e alla gestione del sintomo dolore, aspetto quest’ultimo correlato alla qualità della vita dei pazienti5. Per il trattamento del dolore oltre alle medicazioni che rilasciano FANS, sembra essere promettente l’uso della FREMS (Frequency rhythmic electrical modulation system) nei pazienti con ulcere a forte componente infiammatoria6, ma anche nel dolore da neuropatia nel diabetico e da claudicatio nell’arteriopatico periferico. Nel trattamento locale nella pratica clinica, anche se non c’è supporto di validità clinica dalla revisione della letteratura, l’uso delle medicazioni avanzate è estremamente diffuso7. Le medicazioni avanzate consentono il mantenimento dell’ambiente umido necessario ad accelerare i processi di guarigione. L’evoluzione tecnologica ci consente oggi una scelta molto vasta e articolata di prodotti per medicazione. Tale ampia gamma è stata recentemente inclusa in una tabella riportata nel documento di posizionamento sull’essudato recentemente pubblicato a cura della World Union of Wound Healing Societies e prevede una diversificazione dell’utilizzo delle medicazioni avanzate in base alla quantità di essudato prodotto dalle lesioni trofiche croniche8. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 47 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) NUOVE PROSPETTIVE NEL TRATTAMENTO LOCALE FAILLA La gestione dell’essudato, il controllo della carica batterica, il contenimento del dolore sono le finalità d’uso di questi presidi. L’uso di medicazioni assorbenti e antibatteriche facilita il trattamento delle lesioni di origine flebostatica, consentendo anche di ottimizzare i tempi di permanenza dei bendaggi compressivi. Le medicazioni avanzate ad azione combinata, che contengono antisettici sono ormai entrate nell’uso comune. La loro reale utilità sta nella capacità di contenere la carica batterica per la prevenzione delle recidive settiche. Purtroppo anche per questo tipo di medicazioni non esistono prove di efficacia clinica9, se si escludono alcune deboli evidenze a favore dell’uso del cadexomero iodico nell’accorciare i ratei di guarigione delle lesioni trofiche degli arti inferiori10 . Nelle ulcere con componente ischemica e/o vasculitica il controllo della carica citochinaria ed il contenimento del dolore attraverso il rilascio di FANS possono essere utili nel migliorare la qualità di vita dei pazienti. Questo risulta da recenti dati di letteratura11, ma anche da nostre precedenti piccole esperienze cliniche già pubblicate sugli atti del Congresso Mondiale WUWHS del 200812. Nelle lesioni iperessudanti è possibile l’utilizzo della pressione topica negativa: oltre alla rimozione dell’essudato, determina una riduzione della carica batterica ed un incremento di flusso ematico a livello della zona perilesionale. Anche in questo caso l’esame della letteratura dà risultati sconfortanti13, forse per l’esiguità dei casi trattati nei lavori pubblicati, ma la pratica clinica dimostra l’utilità di tale tecnica. La tecnologia attuale ci consente addirittura di utilizzare apparecchiature di dimensioni estremamente ridotte da associare alla terapia compressiva, estremamente gradite ai pazienti. Infine alcuni lavori di farmaco-economia hanno dimostrato che l’utilizzo di questi sistemi di medicazione determina una diminuzione dei costi economici e sociali nella gestione dei pazienti affetti da ulcera cutanea14. Una piccola dimostrazione dell’utilità d’uso delle medicazioni avanzate e della terapia farmacologica associata, ci viene dall’esame dei ratei di guarigione espressi in cm2 per settimana in 4 gruppi di pazienti affetti da ulcera vascolare venosa trattati presso la nostra Unità operativa. Materiali e metodi I pazienti, trattati con terapia compressiva attraverso sistemi multistrato, multicomponente a elevata stiffness15, sono stati suddivisi in quattro gruppi di 10: il primo gruppo è stato trattato con Cadexomero iodico e sistema di bendaggio multistrato; il secondo gruppo con idrofibra con argento e, eparina a basso peso molecolare e sistema di bendaggio multistrato, il terzo gruppo con medicazione in idrofibra con argento e kit di calze elastiche doppio strato; il quarto, gruppo di controllo è stato trattato con medicazione tradizionale e bendaggio multistrato multicomponente. La misurazione delle aree delle ulcere è stata ottenuta attraverso un sistema di analisi digitale di fotografie eseguite al cambio della medicazione e attraverso la costruzione di grafici di contrazione delle lesioni croniche che mettono in rapporto l’area con il tempo. Se ne sono ricaVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 vati poi dei valori che esprimono la contrazione di ogni ulcera espressa in cm2 per settimana. Risultati Come riassunto in tabella I esiste un vantaggio, in termini di contrazione delle lesioni, espresso in cm2 per settimana, a favore dei gruppi nei quali sono state utilizzate le medicazioni avanzate, rispetto al gruppo di controllo. Tale vantaggio si accentua se si considera il gruppo dove è stata aggiunta la somministrazione dell’eparina a basso peso molecolare. I ratei di contrazione delle lesioni ottenuti, risultano essere ben al di sopra di quelli considerati ottimali per una buona guarigione delle ferite croniche16. Tabella I. – Risultati. Cadexomer iodine Multilayer bandage 2,09 0,58 0,65 0,49 0,85 2,6 0,12 1 0,63 0,66 Mean: 0,97 LMWE Silver containing Silver containing dressings and dressings Multilayer Multilayer bandage Stockings 3,00 0,30 1,90 0,40 2,10 0,90 1,13 0,57 0,36 1,65 1,23 2,09 1,09 0,56 0,76 1,03 0,76 0,54 1,34 0,88 0,13 0,92 Compression therapy only 0,20 1,09 0,3 1,19 0,58 0,66 0,32 1,25 0,98 0,25 0,68 Conclusioni Anche se in letteratura le evidenze a favore dell’uso delle medicazioni avanzate e delle moderne tecniche di trattamento nel diminuire i tempi di guarigione sono scarsissime, l’esperienza clinica, almeno per quanto riguarda l’Angiologia di Catania, dimostra che esse, associate alla terapia compressiva con sistemi ad elevata stiffness, possono permettere di accorciare la durata delle ulcere venose, soprattutto nei pazienti trattati anche con terapia farmacologica. La nostra modesta esperienza ci convince della necessità che ulteriori indagini , su larga scala, debbano essere fatte per la dimostrazione di tali ipotesi. Bibliografia 1. Mannello F, Raffetto JD. Matrix metalloproteinase actvity and glycosamminoglicans in chronic venous disease: the linkage, among cell biology, pathology and traslation research. AMJ Transl Res 2011;3:149-158 2. Moor AN, Vachon DJ, Gould LJ. Proteolytic activity in wound fluids and tissues derived from chronic venous leg ulcers. Wound Repair Regen. 2009;1:832. 3. Schultz GS, Sibbald RG, Falanga V, et al. Wound bed preparation: a systematic approach to wound management. Wound Rep Regen. 2003;11(suppl 1):S1-S28. 4. Somprakas Basu, MS; Tetraj Ramchuran Panray, MBBS; Tej Bali Singh, PhD; Anil K. Gulati, MD; and Vijay K. Shukla, MS, MCh(Wales), FA A Prospective, Descriptive Study to Identify the Microbiological Profile of Chronic Wounds in Outpatients: Journal of Clinical Microbiology, 2004;42:35493557. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 47 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 48 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) FAILLA NUOVE PROSPETTIVE NEL TRATTAMENTO LOCALE 5. TIMECare: un approccio dinamico e interattivo per affrontare le sfide del wound care. M. Carnali, M.D. D’Elia, G. Failla, C. Ligresti, F. Petrella, B. Paggi Acta Vulnologica, 2010;8. 6. Jankovic A, Binic I: Frequency Rhytmic Electrical Modulation System in the treatment of chronic painful leg ulcers Arch dermatol Res 2008;300:377-383. 7. Palfreyman SSJ, Nelson EA, Lochiel R, Michaels JA: Dressings for healing venous leg ulcers. Cochrane Database of Systematic Reviews 2006, Issue 3. Art. No.: CD001103. DOI: 0.1002/14651858.CD001103.pub2. 8. World Union of Wound Healing Societies (WUWHS). Principles of best practice: Wound exudate and the role of dressings. A consensus document. London: MEP Ltd, 2007. 9. Vermeulen H, van Hattem JM, Storm-Versloot MN, Ubbink DT, Westerbos SJ: Topical silver for treating infected wounds. Cochrane Database of Systematic Reviews 2007, Issue 1. Art. No.: CD005486. DOI: 10.1002/14651858. CD005486.pub2. 10. O’Meara S, Al-Kurdi D, Ologun Y, Ovington LG: Antibiotics and antiseptics for venous leg ulcers. Cochrane Database of Systematic Reviews 2010, Issue 1. Art. No.: CD003557. DOI: 0.1002/14651858.CD003557.pub3. 48 11. Arapoglou V, Katsenis K, Syrigos KN, Dimakakos EP, Zakopoulou N, Gjødsbøl K, Glynn C, Schäfer E, Petersen B, Tsoutos D.: Analgesic efficacy of an ibuprofen-releasing foam dressing compared with local best practice for painful exuding wounds. J Wound Care. 2011;20:319-20, 322-5. 12. Failla G, Campo S, Ardita G, Finocchairo P, Mugno F, Attanasio L, Di Salvo M, Use of ibuprophen-releasing foam in patients affected by progressive Systenic sclerosys Atti del III Congresso mondiale WUWHS Toronto Canada 4-8 Giugno 2008: OR 130. 13. Ubbink DT, Westerbos SJ, Evans D, Land L, Vermeulen H. Topical negative pressure for treating chronic wounds. Cochrane Database of Systematic Reviews 2008, Issue 3. Art. No.: CD001898. DOI: 10.1002/14651858.CD001898.pub2 14. Covell JC, Foreman MD, Trotter JPm A comparison of the efficacy and cost-effectiveness of two Methods of managing pressure ulcers. Adv SkinAnd Wound care 1993: vol. 6 , 4 15. Mosti G, Mattaliano V,Polignano R, Masina M. La terapia compressiva nel trattamento delle ulcere cutanee. Acta Vulnol 2009,7:113-35. 16. Falanga V, Sabolinski ML. Prognostic factors for healing of venous ulcers.WOUNDS. 2000;12(5 Suppl A):42A-46A. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 49 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):49-50 Correzione emodinamica del reflusso G. GUARNERA La comparsa di una ulcera venosa è correlata all’ipertensione venosa. È stato dimostrato che l’incidenza di ulcera in arti con pressione venosa deambulatoria superiore a 80 mmHg è di circa l’80% 1. Nella maggior parte dei casi, l’ipertensione venosa è causata dal reflusso attraverso valvole incontinenti, anche se in taluni casi l’eziopatogenesi può essere riconducibile ad ostruzione venosa o a deficit della pompa muscolare del polpaccio correlata ad obesità o a patologie neurologiche o articolari. Spesso un trauma, anche modesto, rappresenta la causa finale della comparsa dell’ulcera. I tre sistemi venosi (superficiale, profondo, perforanti) possono essere coinvolti dal reflusso a vari livelli e in differente combinazione. Studi con EcocolorDoppler su vaste casistiche di pazienti affetti da ulcera venosa documentano che il modello emodinamico più frequentemente riscontrato è rappresentato dal reflusso venoso superficiale 2. L’abolizione del reflusso venoso superficiale ha dimostrato in molti trials osservazionali di ottenere una rapida e duratura guarigione delle ulcere venose 3. Lo studio ESCHAR (Effect of Surgery and Compression on Healing and Recurrence) ha messo a confronto la chirurgia del circolo superficiale associata a compressione con la sola compressione in 500 pazienti consecutivi affetti da ulcera venosa cronica. Ad un follow-up di 24 settimane le percentuali di guarigione erano sovrapponibili nei due gruppi (65% vs 65% in caso di reflusso superficiale isolato, 56% vs 57% in caso di reflusso combinato superficiale e profondo segmentario), ma le percentuali di recidiva a 12 mesi erano significativamente ridotte nel gruppo trattato con compressione e chirurgia (12% vs 28%) 4. Negli stessi pazienti, esaminando le percentuali di recidiva con i due metodi a 12 mesi e a 3 anni 5 in tre differenti sottogruppi di pazienti, in relazioni ai differenti modelli emodinamici (reflusso superficiale isolato, reflusso superficiale e profondo segmentario, reflusso superficiale e profondo assiale) si osservano differenti risultati. In particolare non vi è una differenza significativa tra i due metodi nei pazienti che presentavano reflusso superficiale e profondo assiale. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 U.O. Chirurgia Vascolare delle Lesioni Ulcerative, IDI-IRCCS, Roma Tali dati confermano diverse osservazioni secondo cui in caso di reflusso segmentario nelle vene profonde la chirurgia del circolo superficiale può causare il ripristino della continenza nel circolo profondo in circa il 50% dei casi. Tale reperto viene spiegato dagli Autori che lo riportano ipotizzando che l’incontinenza venosa superficiale potrebbe determinare un sovraccarico nel circolo profondo attraverso le perforanti e causare di conseguenza dilatazione e incontinenza delle vene profonde (“overload theory”). Per contro, un reflusso venoso profondo assiale può essere corretto dalla chirurgia del sistema venoso superficiale solo nel 30% dei casi 6. Pertanto, in presenza di tale quadro emodinamico può avere un ruolo, in pazienti altamente selezionati, la chirurgia del circolo profondo. Le indicazioni a questo tipo di chirurgia sono rappresentate dalla presenza di un reflusso venoso profondo totale, fallimento della terapia conservativa, pazienti giovani con intolleranza alla terapia compressiva, cattiva qualità di vita dei pazienti . Gli obiettivi consistono essenzialmente nella guarigione dell’ulcera, nella prevenzione dell’ulcera e della recidiva, nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti. La chirurgia venosa profonda comprende metodiche dirette (ripristino della competenza valvolare) ed indirette (miglioramento dell’emodinamica dell’arto). La insufficienza venosa profonda primaria rappresenta una possibile indicazione alle metodiche ricostruttive dirette, in quanto le cuspidi valvolari sono allungate, stirate, ma comunque presenti e potenzialmente funzionali. All’opposto, l’agenesia o la completa distruzione valvolare, che caratterizza la sindrome posttrombotica, comportano l’utilizzo di tecniche indirette. In epoca recente, sono comparse in Letteratura casistiche relative all’impianto di valvola venosa artificiale, costruzione di neovalvola autologa, applicazione endovascolare di stent con ricanalizzazione di segmenti venosi ostruiti. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 49 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 50 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) GUARNERA CORREZIONE EMODINAMICA DEL REFLUSSO È difficile eseguire una analisi comparativa dei risultati della chirurgia del circolo profondo in quanto le diverse casistiche si riferiscono a differenti quadri clinici (IVPP o SPT), riportano l’utilizzo di più tecniche, in alcune con un concomitante intervento sul circolo superficiale. Si osserva talvolta che i reperti clinici non sono scorporati da quelli emodinamici e non sempre i dati relativi alla evoluzione dell’ulcera sono estrapolabili da segni e sintomi di insufficienza venosa cronica. Soprattutto non vi sono trials che includano esclusivamente pazienti con una storia presente o passata di ulcera venosa legata ad insufficienza venosa profonda 7. Tuttavia, estrapolando dalle serie di diversi Autori i casi con ulcera si può rilevare che si ottengono con differenti metodiche percentuali di guarigione in media del 70-80% ad un follow-up medio di circa 5 anni 8. Per quanto riguarda la chirurgia delle vene perforanti, uno studio recente ha documentato che non vi è alcun beneficio clinico a breve termine nella guarigione dell’ulcera aggiungendo la SEPS alla chirurgia della safena 9. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Bibliografia 1. Nicolaides AN. Noninvasive assessment of primary and secondary varicose veins. In: Bernstein EF ed: Noninvasive 50 2. diagnostic techniques in vascular disease 2nd ed St Louis, CV Mosby, 1982;575-86. Guarnera G. Ulcera venosa: modelli emodinamici e strategie terapeutiche. In: Guarnera G, Papi M: L’ulcera cutanea degli arti inferiori. Monti ed, Saronno 2000;189-209. Guarnera G. The venous ulcer and the superficial venous reflux. Int J Low Extrem Wounds 2004;3(4):198-200. Barwell JR, Deacon J, Harvey K et al. Comparison of surgery and compression with compression alone in chronic venous ulceration (ESCHAR study): randomised controlled trial. The Lancet 2004;363: 1854-59. Gohel MS, Barwell JR, Taylor M et al. Long term results of compression therapy alone versus compression plus surgery in chronic venous ulceration (ESCHAR): randomised controlled trial. BMJ 2007;335: 83-87. Guarnera G. Combined superficial and deep vein reflux in venous ulcers: operative strategy. EWMA Journal 2009;9:40-3. Guarnera G, Bonadeo P, Marchitelli E, Crespi A. La terapia farmacologica e chirurgica dell’ulcera venosa. Acta Vulnologica 2010;8(4): 205-250. Guarnera G. Le ulcere vascolari degli arti inferiori. Momento Medico 2011. Nelzen O, Fransson I. Early results from a randomized trial of saphenous surgery with or without subfascial endoscopic perforator surgery in patients with a venous ulcer. Br J Surg 2011;98:495-500. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 51 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):51-2 C’è una terapia medica per l’ulcera venosa? E. AROSIO La comparsa di un’ulcera venosa è l’atto finale di tutta una serie di eventi che trovano il loro primum movens in alterazioni strutturali o funzionali dei tronchi venosi degli arti inferiori, che costituiscono il quadro clinico che prende il nome di insufficienza venosa cronica. Tali alterazioni infatti, si ripercuotono sul sistema capillare cutaneo, principalmente attraverso i meccanismi dell’ipertensione venulare e della stasi, con conseguente danno microcircolatorio. Con il progredire della malattie venosa verso gli stadi più avanzati, il danno microcircolatorio si manifesta dapprima con iperpigmentazione cutanea, successivamente con edema e lipodermatosclerosi e infine con il formarsi di lesioni ulcerative. Alterazioni microcircolatorie da ipertensione venosa Le prime alterazioni evidenziabili a livello del microcircolo sono quelle a carico dei capillari che appaiono dilatati, allungati e tortuosi, con un aspetto di tipo glomerulare 1. Compaiono anche segni di danno dell’endotelio capillare quali irregolarità della superficie luminale e dilatazione degli spazi interendoteliali. Questi processi determinano una aumentata permeabilità vasale e il conseguente ampliamento degli spazi pericapillari che appare alla capillaroscopia con la formazione di aloni attorno ai capillari dilatati. Il microedema comporta la formazione di fibrina in sede perivascolare e il depositarsi di questi “cappucci” fibrinici può contribuire all’instaurarsi di condizioni di ipossia 2 nonostante in queste fasi il flusso microcircolatorio venga solitamente riscontrato elevato. Infatti, l’aumento del flusso microcircolatorio cutaneo che si osserva con la rilevazione mediante sonda laser Doppler, determinato sia da una maggior velocità che da una maggior concentrazione eritrocitaria intravasale, si verifica prevalentemente a carico della componente capillare profonda e non di quella nutrizionale. Quest’ultima invece, specie nelle fasi più avanzate, va incontro a fenomeni di microtrombosi che causano microinfarti e micronecrosi con una progressiva riduzione del capillari e quindi del flusso nutrizionale cutaneo 3. Il succedersi di questi fenomeni giustifica il severo quadro di ipossia cutanea che conduce all’instaurarsi dell’ulcera e che può essere messo in evidenza con l’analisi della diffusione transcutanea di O2 e CO2. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 D.A.I. Cardiovascolare e Toracico, U.O.C. di Riabilitazione Vascolare, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Altro meccanismo di danno, che si realizzerebbe attraverso un ridotto shear rate, è l’incrementato marginamento dei leucociti con conseguente plugging capillare e attivazione degli stessi, dalla quale deriva rilascio di enzimi, radicali liberi e sostanze chemiotattiche 4. Anche l’alterata regolazione microcircolatoria, sia miogenica che neurogenica, contribuisce alla genesi del danno tissutale e al suo perpetuarsi. In particolare la perdita di vasomotion e del riflesso veno-arteriolare costituiscono un elemento caratteristico della cute affetta da stasi venosa cronica e della cute con ulcerazione venosa 5. Terapia farmacologica La correzione del reflusso venoso e del quadro di ipertensione venosa devono essere gli obiettivi principali del trattamento dell’ulcera venosa cronica, al fine sia di favorirne la guarigione che di prevenirne la recidiva. A tal fine il provvedimento essenziale risulta essere una adeguata terapia compressiva, con l’eventuale ausilio di una correzione chirurgica dei difetti venosi. Considerato tuttavia il rilevante ruolo svolto dalle ricadute dell’ipertensione venosa a livello microcircolatorio appena descritte, si è cercato negli ultimi anni di verificare l’efficacia di diversi farmaci nel correggere tali alterazioni, in particolare agendo sulle interazioni tra leucociti attivati ed endotelio, al fine di accelerare la guarigione dell’ulcera. Uno dei farmaci più studiati per il trattamento delle ulcere venose è la pentossifillina che parrebbe in grado di diminuire l’adesione leucocitaria, la viscosità del sangue, l’aggregazione piastrinica e avere effetti pro-fibrinolitici. In una revisione sistematica di tutti gli studi randomizzati e controllati con pentossifillina per le ulcere venose, il farmaco ha dimostrato di offrire un beneficio aggiuntivo quando utilizzato in combinazione con la terapia compressiva e una efficacia anche in monoterapia 6. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 51 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 52 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) AROSIO C’È UNA TERAPIA MEDICA PER L’ULCERA VENOSA? Un altro gruppo di farmaci che ha destato notevole interesse è quello dei cosiddetti farmaci vasoattivi, costituiti prevalentemente da flavonoidi. In particolare la frazione flavonoica purificata micronizzata (FMPM) costituita dall’associazione di diosmina ed esperidina, si è dimostrata in grado, in alcuni studi, di accelerare la guarigione di ulcere venose 7, probabilmente grazie alla sua azione antinfiammatoria, legata all’inibizione dell’attivazione, adesione e migrazione leucocitaria a livello endoteliale, con conseguente prevenzione del danno endoteliale. Una simile azione sulle attività endotelio-mediate con inibizione dell’adesione leucocitaria e piastrinica è esercitata anche dai glucosaminoglicani (GAGs) quali il mesoglicano 8 e il sulodexide 9, che possiedono inoltre la capacità di potenziare la fibrinolisi endogena e il potere antitrombotico plasmatico, contrastando così i meccanismi microcircolatori di danno endoteliale. Entrambi questi farmaci hanno dimostrato in studi multicentrici randomizzati in doppio cieco di aumentare il tasso di guarigione delle ulcere venose. Altri farmaci che hanno dimostrato una qualche efficacia, anche se in studi non sempre di adeguata qualità metodologica, sono alcuni fibrinolitici come il prociclide e lo stanazololo, e antitrombotici quali ASA ed eparine. Anche gli analoghi delle prostaglandine hanno dimostrato in alcuni studi di essere in grado di ridurre i tempi di guarigione delle ulcere, anche se il loro impiego è reso problematico dalla necessità della somministrazione endovenosa e dagli effetti collaterali. Conclusioni Il trattamento principale dell’ulcera venosa cronica è rappresentato dalla correzione del reflusso venoso e del quadro di ipertensione venosa attraverso una adeguata terapia compressiva o l’eventuale ausilio di una correzione 52 chirurgica dei difetti venosi. Tuttavia, se si considera il rilevante ruolo svolto dalle alterazioni indotte a livello microcircolatorio dall’ipertensione venosa e in particolare dalle sfavorevoli modificazioni delle interazioni tra leucociti attivati ed endotelio, l’impiego di alcuni farmaci vasoattivi, quali in particolare flavonoidi e GAGs, può risultare di aiuto per accelerare la guarigione dell’ulcera. Bibliografia 1. Speiser DE, Bollinger A. Microangiopathy in mild chronic venous incompetence (CVI): morphological alterations and increased transcapillary diffusion detected by fluorescence videomicroscopy. Int J Microcirc 1991;10:55-66. 2. Browse NL, Burnand KG. The cause of venous ulceration. Lancet 1982;2:243-5. 3. Leu AJ, Leu HJ, Franzeck UK, Bollinger A. Microvascular changes in chronic venous insufficiency – a review. Cardiovasc Surg 1995;3:237-45 4. Coleridge Smith PD, Thomas P, Scurr JH, Dormandy JA. Causes of venous ulceration: a new hypothesis. BMJ 1988;296: 1726-7. 5. Chittenden SJ, Shami SK, Scurr JH, Coleridge Smith PD. Vasomotion in the leg skin of patients with chronic venous insufficiency. Vasa 1992; 21:138-42. 6. Jull A, Waters J, Arroll B. Pentoxifylline for treatment of venous leg ulcers: a systematic review. Lancet. 2002;359: 1550-1554. 7. Lyseng-Williamson KA, Perry CM. Micronized purified flavonoid fraction. Drugs. 2003;63:71-100. 8. Arosio E, Ferrari G, Santoro I et al. A placebo-controlled, double-blind study of mesoglycan in the treatment of chronic venous ulcers. Eur J Vasc Endovasc Surg 2001;22:365-72. 9. Coccheri S, Scondotto G, Agnelli G et al. Venous arm of the SUAVIS(Sulodexide Arterial Venous Italian Study)Group: Randomized, double-blind, multicentre, placebo-controlled study of Sulodexide in the treatment of venous leg ulcers. Thromb Haemost 2002;87:947-52. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 53 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):53-4 SIAPAV-ILA: un sodalizio destinato a durare P. ALIA Signor Presidente, illustri partecipanti, Signore e Signori, sono veramente lieto che l’associazione che rappresento, ILA Associazione Italiana di Angiodisplasia ed Emangiomi Infantili, abbia avuto l’opportunità di poter partecipare a questo simposio dedicato alla malattia rara di cui si occupa: le Malformazioni Vascolari Congenite. L’importanza e la peculiarità dell’evento derivano dalla circostanza che una associazione scientifica di prestigio e di rilevanza nazionale quale SIAPAV, che ha il proprio focus di competenza e attività nella angiologia e patologia vascolare, abbia avvertito la necessità di dedicare una attenzione particolare alle tematiche trattate dalla nostra associazione, all’interno del proprio XXXIII convegno nazionale dell’anno 2011. Si tratta di un evento importante e storico per ILA, il primo in undici anni di esistenza. L’importanza e la valenza che ILA attribuisce a questa iniziativa traspare chiaramente anche dal titolo di queste breve presentazione, con cui abbiamo voluto sintetizzare la speranza, il desiderio e la necessità della collaborazione tra ILA e SIAPAV, oltre che dalle seguenti considerazioni volte ad illustrare la peculiarità di ILA. Molte associazioni che si occupano di malattie rare nascono a seguito di un evento che drammaticamente irrompe nella quotidianità della vita di chi ne è colpito. Anche la nascita di ILA non è sfuggita a questo destino. Ilaria Cantarini, Ila,laureanda in biologia presso l’Università degli Studi di Milano, a 27 muore a seguito dell’aggravarsi di una rara e grave forma di angiodisplasia. Nel corso della malattia emergono in tutta la loro gravità ed immanenza le problematiche tipiche di una malattia rara: riconoscerla e diagnosticarla, curarla, cercare e contattare in Italia e/o all’estero centri e professionisti in grado di aiutare a combattere il male. Si prende coscienza della carenza di conoscenze e mezzi che consentano di mettere in campo gli strumenti e le risorse necessarie ed efficaci per affrontare la malattia. Si misura l’importanza decisiva della ricerca e della valenza di un approccio multidisciplinare. Si vive il bisogno irrinunciabile di non essere lasciati soli e la paura della solitudine che deriva dal non conoscere il male da combattere. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Presidente ILA Ilaria nel corso della sua malattia ha elaborato queste sensazioni ed emozioni che ha trasmesso a chi le stava vicino e che hanno rappresentato le fondamenta su cui si è costituita ILA. La cultura scientifica di cui disponeva le ha anche consentito di focalizzare il ruolo della scienza e della conoscenza indispensabili per combattere un male la cui rarità rende particolarmente impenetrabile. I nostri malati devono affrontare, fra le tante difficoltà, nel lungo e difficile tragitto da percorrere per combattere la malattia, due ostacoli in particolare: diagnosticare in tempi rapidi il male e la sua tipologia e essere messi in condizioni di trovare la struttura che possa offrire la migliore assistenza. Ostacoli che ancora oggi si presentano ostici e di difficile superamento. Si aggiunga poi che sono pochissime le strutture ospedaliere in grado di intervenire nella cura delle malformazioni vascolari congenite, che nel loro insieme costituiscono un ampio spettro di malattie rare, ancorché non ne sia stata ancora acquisita la qualifica ufficiale attraverso una adeguata ricerca epidemiologica. Non va dimenticato inoltre che la carenza di strutture specializzate, e soprattutto la non diffusa conoscenza dell’esistenza delle poche/pochissime realtà disponibili sul territorio nazionale, ancorché alcune di eccellenza e che hanno costituito, dalla fondazione di ILA, e costituiscono tuttora di fatto l’unica “ancora di salvezza” corrisponde drammaticamente ad una ancor più significativa carenza “numerica” di medici esperti in grado di diagnosticare e quindi intervenire soprattutto sui casi più gravi e/o complessi. In sintesi di cosa abbisogna ILA??? Di una adeguata ricerca epidemiologica che consenta di inquadrare in modo sistemico e rigoroso sul piano scientifico la multiformità delle forme in cui si presentano le Malformazioni Vascolari Congenite. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 53 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 54 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ALIA SIAPAV-ILA: UN SODALIZIO DESTINATO A DURARE Di una uniformità di classificazione e quindi di linguaggio che consenta a tutti i medici di dialogare fra loro considerando le Malformazioni Vascolari Congenite come un unico contesto di intervento medico scientifico, e ai pazienti di capire cosa devono combattere Di una capacità ed omogeneità di strumenti diagnostici che corrisponda, se mi è consentirà la banalizzazione, al concetto che “si trova quello che si conosce”. Non può e non deve capitare che lo specialista di queste patologie, e per fortuna ce ne sono, debba dire al paziente che visita per la prima volta e da cui spesso è stato individuato per caso, che le analisi che presenta debbano essere rifatte perché non adatte allo scopo. Di un incremento del numero delle strutture in grado, prima di tutto, di diagnosticare con sicurezza il male e quindi di indirizzare i pazienti ai centri adeguati, strutture e centri la cui carenza numerica è quanto meno drammatica. Della formazione di specialisti, sia diagnostici che chirurghi, che possano affiancare i pochi/pochissimi attualmente disponibili. Serve un programma di formazione che consenta di dare continuità d’azione nel combattere il male e quindi dare speranza di assistenza agli inevitabili malati di domani. Dare ai medici di base, che costituiscono i primi avamposti di intervento, strumenti adeguati di conoscenza per allertarsi con il massimo anticipo possibile. Dell’avvio, quanto meno, di un embrione di attività di ricerca che consenta di capire la natura di questa patologia. Come si vede il campo di interventi è vastissimo e quelli citati non sono certamente esaustivi. 54 Gli attori e gli interlocutori coinvolti sono tanti e diversificati per ruolo e funzione. Tuttavia il mondo medico/scientifico è uno dei tanti ma certamente il suo ruolo è decisivo. Un altro attore irrinunciabile è costituito dai pazienti, e quindi da ILA, che si sforza di rappresentarli il più degnamente e incisivamente possibile. Da queste considerazioni, ancorché sintetiche, elaborate da chi, come il sottoscritto, non appartiene al mondo medico, ma che vive il “punto di vista” dei pazienti e dei loro problemi, pazienti che misurano la qualità degli interventi in base ai risultati, non interferendo sulle metodiche medico/scientifiche adottate, rispetto alle quali sono, direi costituzionalmente, neutrali, emerge senza ombra di dubbio non solo l’opportunità, ma la necessità di una collaborazione organica tra SIAPAV e ILA. Un sodalizio, regolato da un accordo strutturato, che individui due linee fondamentali di intervento: l’una di impostazione metodologica l’altra che consenta di avviare azioni concrete secondo criteri di priorità, fattibilità, essenzialità, concetti su cui il ruolo e le competenze di SIAPAV sono determinanti per avviare un percorso che possa avere serie probabilità di successo, successo che è misurato solo dal soddisfacimento dei problemi e delle attese dei pazienti. È con questi auspici che sono certo potremo beneficiare delle competenze e delle potenzialità di SIAPAV per l’avvio di un proficuo e duraturo sodalizio, ILA e SIAPAV sono l’uno complementare all’altro. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 55 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):55-6 Il trattamento delle malformazioni vascolari: chi, come e dove R. MATTASSI Le malformazioni vascolari (o angiodisplasie) sono la conseguenza di errori nello sviluppo del sistema vascolare nel periodo embrionario. La angiogenesi comprende due fasi: una fase precoce, o reticolare, in cui si forma una rete di capillari primitivi in tutto l’embrione, e una fase tronculare, in cui si sviluppano i principali tronchi vascolari. La fase di formazione dei vasi principali è accompagnata da una involuzione fino alla scomparsa dei capillari primitivi 1. A seconda della fase angiogenetica in cui si manifesta l’effetto patogeno, si avranno differenti tipi di malformazioni. Un’azione patologica che si manifesta nella fase reticolare inibirà la regressione dei capillari primitivi per cui permarrà un’area di vasi displasici nel contesto dei tessuti. Un effetto anomalo sulla fase tardiva di formazione dei vasi principali produrrà una anomalia di un loro segmento, come aplasie, ipoplasie o dilatazioni anomale (aneurismi) congeniti. Il fenomeno può interessare ognuno dei tipi vascolari, siano essi arterie, vene o linfatici. Sono interessati in maniera nettamente più frequente i vasi venosi 2. È anche possibile una combinazione di malformazioni che interessano contemporaneamente più tipi vascolari (linfatico e venoso, artero-venoso e linfatico ecc) L’effetto patogeno può manifestarsi in qualsiasi distretto corporeo con una estensione molto differente; si va da piccole anomalie circoscritte a estese aree infiltrate da vasi anomali. Tutte queste differenti opzioni comportano una notevole possibilità di combinazioni che spiega la estrema variabilità delle malformazioni vascolari al punto da poter affermare che, a differenza dei normali quadri patologici, la patologia standard è la eccezione piuttosto che la regola. Diagnosi La diagnostica non può basarsi esclusivamente sull’esame clinico in quanto l’aspetto esteriore può nascondere difetti profondi non evidenziabili se non con indagini strumentali. L’ecodoppler è considerato il primo esame che consente di ottenere un iniziale quadro della malformazione in quanto fornisce dati sull’emodinamica, sulla sede e sulla estensione della malformazione 3. Ulteriori dati forVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Centro Multidisciplinare per le Malformazioni Vascolari “Stefan Belov”, Istituto Clinico Humanitas “Mater Domini”, Castellanza (VA) niscono altri esami come la RMN, la TAC, la flebografia, la radiografia semplice, la linfoscintigrafia ed altri. Il progresso nelle tecniche di imaging consente oggi di studiare il paziente con tecniche sempre meno invasive 4. Appare comunque fondamentale acquisire un quadro completo della sede, del tipo di malformazione, della sua emodinamica e del grado di coinvolgimento dei tessuti e organi prima di procedere al trattamento. Si deve in ogni modo evitare una frettolosa terapia basata solo su un esame clinico in quanto questo atteggiamento porta spesso a errori strategici e procedurali. Terapia Il trattamento delle malformazioni vascolari si basa su differenti tecniche: la terapia conservativa, la sclerosi nelle varie forme tecniche, la chirurgia, la embolizzazione mediante cateterismo e il laser . La terapia conservativa utilizza prevalentemente la elastocompressione mediante apposite calze a compressione graduata oppure bendaggi elasto-adesivi. Queste tecniche sono però utili solo in casi leggeri in quanto nella migliore delle prospettive possono mantenere lo status quo. In casi di patologia linfatica può essere indicata una fisioterapia drenante basata su una combinazione di tecniche drenanti ed elastocompressive. La sclerosi è una tecnica frequentemente utilizzata e si basa su tre diverse metodiche: la sclerosi classica, la sclerosi con schiuma e la sclerosi mediante etanolo. La sclerosi classica, basata su iniezione di sostanze sclerosanti, utlizzate generalmente per il trattamento delle varici, si è dimostrata poco efficace nella cura delle angiodisplasie. La sclerosi con schiuma dà risultati nettamente superiori ma la incidenza di recidive è elevata 5. La tecnica di alcolizzazione è nettamente superiore, in quanto l’alcol è uno dei più potenti agenti distruttori dell’endotelio vasale. La MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 55 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 56 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MATTASSI IL TRATTAMENTO DELLE MALFORMAZIONI VASCOLARI: CHI, COME E DOVE tecnica deve però essere correttamente applicata in quanto esiste un rischio elevato, in caso di procedura non corretta, di necrosi cutanea e danni nervosi. La corretta esecuzione, utilizzando il controllo flebografico e/o ecodoppler intraprocedurale, come pure un dosaggio adeguato permette di ottenere i migliori risultati 6. La embolizzazione mediante cateterismi selettivi é indicata in forme artero-venose che si prestino a questa procedura. Anche questa metodica richiede buona capacità tecnica e una adeguata conoscenza dei materiali da utilizzare, da scegliere in base al caso. Le tecniche chirurgiche hanno ancora oggi un importante ruolo nella cura delle angiodisplasie e non devono mai essere ignorate. Esistono tecniche ricostruttive, in caso di vasi aplastici o aneurismatici, tecniche ablative radicali e tecniche palliative 7-9. In casi complessi possono essere utili interventi multipli a tappe. Il laser ha pure un importante ruolo e può essere utilizzato per via cutanea, per via percutanea interstiziale oppure mediante cateterismo 10. Fondamentale è una corretta strategia terapeutica che comporti decisioni fondamentali come il timing e i tipi di tecniche da utilizzare. Caratteristica peculiare delle malformazioni vascolari è quella di evolvere in maniera spesso imprevedibile. Il trauma, fortuito oppure legato a una terapia, può favorire la evoluzione ma può anche non modificare la situazione. Evoluzioni anche rapide e importanti possono manifestarsi dopo una procedura terapeutica in un quadro non particolarmente grave. Questa constatazione ha portato a ritenere che è indicato un trattamento solo in pazienti sintomatici. Una strategia aggressiva volta a migliorare quadri angiografici o di RMN in pazienti asintomatici vanno evitati. Al contrario, una patologia in evoluzione, con complicanze (emorragie, flebiti recidivanti ed altro) oppure con tendenza alla dismetria degli arti in un bambino deve essere trattata con sollecitudine. 56 Decisiva è anche la scelta del tipo di tecnica da utilizzare. Per ogni caso vi sarà una metodica, o anche una combinazione di metodiche, che potrà offrire le migliori possibilità di successo. Appare quindi fondamentale che vi sia un approccio di un team multidisciplinare che possa offrire tutte le tecniche sopra descritte e non un trattamento eseguito da un singolo specialista, inevitabilmente condizionato nella scelta. Bibliografia 1. Woolar HH. The development of the pincipal arteries in the forelimb of the pig. Contr to Embryol Carnegie Inst 1922;4: 14-154. 2. Tasnadi G. Epidemiology and Etiology of congenital vascular malformations. Seminars in Vasc Surg 1993;6:200-203. 3. Vaghi M. Non invasive diagnostics of congenital vascular malformations. In: Mattassi R, Loose DA, Vaghi M. Hemangiomas and vascular malformations. Springer, Mailand, 2009;s. 115-120. 4. Lee BB, Choe YH, Ahn JM et al. The new role of magnetic resonance imaging in the contemporary diagnosis of venous malformation: can it replace angiography? J Am Coll Surg. 2004;198:549-58. 5. Cabrera J, Cabrera J Jr, Garcìa-Olmedo MA, Redondo P. Treatment of venous malformations with sclerosant in microfoam form. Arch Dermatol 139: 1409-1416. 6. Lee BB, Do YS, Byun HS. Advanced management of venous malformations with ethanol sclerotherapy. Mid term results. J Vasc Surg 2003;37:533. 7. Belov St. Surgical treatment of congenital vascular defects. Int Angiol 1990;9:175-182. 8. Mattassi R. Surgical treatment of congenital arteriovenous defects. Int Angiol 1990;9:196-202. 9. Loose DA. Surgical treatment of venous malformations. Phlebology 2007;22:276-82. 10. Berlien HP. Laser therapy of vascular malformations. In: Mattassi, R, Loose DA, Vaghi M: Hemangiomas and vascular malformations. An atlas of diagnosis and treatment. Springer, Milan, 2009, p. 181-193. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 57 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):57 Telemedicina e angiodisplasie: la costituzione di un portale nazionale per i medici di medicina generale, per gli specialisti e per i pazienti S. PILLON I termini “Sanità Elettronica”, “eHealth”, “Telelemedicina” sono ormai termini correnti e spesso abusati. La rete Internet costituisce in questo scenario un luogo di incontro e di scambio che avviene spesso su base “casuale” attraverso ricerche sui motori di ricerca che spesso non restituiscono informazioni corrette o validate. Descrizione sintetica del progetto Le MAV (Malformazioni Artero-Venose) sono patologie rare meglio ricomprese dal termine Angiodisplasie. Richiedono un approccio plurispecialistico per la diagnosi ed il trattamento ma per la difficoltà nella diagnosi e la relativa rarità della patologia i pazienti sono “persi” sulla rete Internet alla ricerca di centri di riferimento e di indirizzi clinico-terapeutici. In particolare in piccoli centri, al sud, in età pediatrica, questi pazienti sono spesso costretti a “viaggi della speranza” non sempre con risultati soddisfacenti. Anche i medici di medicina generale ma spesso anche gli specialisti, non esperti del “mezzo” sono mal consigliati o sperduti nel caso di malattie rare e poco definite sia clinicamente che semanticamente come le Angiodisplasie L’obiettivo del progetto è la realizzazione e la manutenzione continua di un portale Internet riservato agli operatori ed ai pazienti. Il portale verrà realizzato in collaborazione con l’Unità Operativa Dipartimentale di Telemedicina del Dipartimento Cardiovascolare dell’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma e con il sostegno dell’Associazione Italiana Angiodisplasie ed Emangiomi, denominata ILA in ricordo di Ilaria, una giovane paziente deceduta per le conseguenze di questa patologia che Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 UOD Telemedicina, Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini”, Roma aveva proposto l’idea dell’associazione di pazienti, genitori e medici coinvolti nella patologia. Finalità – Diffondere le conoscenze nazionali ed internazionali sulla patologia. – Diffondere presso medici di base e pazienti la conoscenza dei centri di eccellenza per la diagnosi e la terapia delle angiodisplasie. – Fornire un supporto per i medici del territorio per una second opinion e/o una consulenza specialistica di indirizzo diagnostico/terapeutico. – Realizzare percorsi di e-learning specifici. – Supportare e divulgare tutte le iniziative del settore. – Migliora conoscenza epidemiologica della patologia. Risultati Risultati attesi e benefici per la comunità di riferimento: – aumento dei pazienti che si rivolgono a centri qualificati per il percorso diagnostico-terapeutico; – aumento delle conoscenze sul tema per i medici del territorio; – riduzione delle complicanze (amputazioni maggiori e minori, decessi) della patologia. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 57 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 58 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):58-60 Il Medico Generalista, primo diagnosta e primo terapeuta: la misura di ABI e l’AOP asintomatica C.F. MARULLI Una caratteristica peculiare della Medicina Generale è rappresentata dalle modalità di presentazione dei nostri pazienti: essi giungono infatti alla nostra osservazione lamentando sintomi molto volte sfumati e spesso non catalogabili in classificazioni nosologiche precise; questo è particolarmente vero nel caso di Peripheral Arterial Disaese (PAD) che molte volte decorre in maniera asintomatica dal (25 al 50%). Dal punto di vista del Medico di Medicina Generale (MMG), le arteriopatie periferiche (Peripheral Arterial Disease, PAD) rappresentano sia un importante marker di rischio CV sia una patologia, che può causare sintomi interferenti con la qualità di vita e, solo molto più raramente, una patologia che può porre a rischio l’arto e la vita del paziente . Ravenna Tabella I. – Pazienti a rischio di PAD. Età inferiore a 50 anni con diabete e un altro fattore di rischio (fumo, dislipidemia, ipertensione o iperomocisteinemia). Età tra 50 e 69 anni con storia di diabete o fumo. Età maggiore di 70 anni. Sintomi suggestivi di claudicatio o di dolore ischemico a riposo. Alterazione dei polsi periferici. Aterosclerosi coronarica, carotidea o malattie renali. Compiti del MMG – Sospetto diagnostico e conferma diagnosi – Registrare diagnosi – Valutare presenza di patologia aterosclerotica in altri distretti – Informare ed educare il paziente e i “care givers” – Trattare il paziente sia per ridurre il rischio CV globale sia per ridurre il rischio ischemico a carico dell’arto – Diagnosticare tempestivamente le “urgenze ischemiche” – Consultare lo specialista quando opportuno Presentazione clinica La malattia all’esordio può presentarsi con diverse modalità: – pazienti asintomatici – pazienti con sintomi atipici – claudicatio – ischemia critica degli arti Solo un 1/5 dei casi con PAD diagnosticata obiettivamente è sintomatico, nella maggioranza dei casi la malattia è asintomatica; questi pazienti hanno un profilo di rischio sovrapponibile a quello dei pazienti sintomatici. Il gruppo di pazienti con sintomi atipici lamenta molto spesso senso di astenia durante sforzi, disturbi dell’equilibrio, alterazioni aspecifiche della camminata (passi brevi, ridotta velocità ecc.). 58 In questi due gruppi di pazienti, asintomatici e sintomatici, è utile eseguire un ABI (Ankle brachial Index); questa metodica ha una sensibilità dal 79 al 95% e una specificità dal 96 al 100%, ma non è comunque ubiquitariamente diffusa ed anche se rappresenta un test eseguibile nell’ambulatorio del MG è difficilmente proponibile per l’attuale livello di organizzazione delle cure primarie nel nostro paese; in aggiunta la sua esecuzione non è rimborsabile da parte del SSN per cui anche lo specialista vascolare tralascia di eseguirlo preferendo effettuare un esame Ecodoppler completo. Fanno alcune volte eccezione a questa regola i Centri antidiabetici presso i quali i pazienti vengono spesso sottoposti a questa procedura. Oltre alla tecnica classica che utilizza un minidoppler per la misura della pressione è stata proposta anche la misurazione mediante l’uso dello stetoscopio ed un recente studio 1 ha dimostrato una buona correlazione tra le due metodiche (ABI medio con doppler 1,03 ± 0,20 vs 1,01 ± 0,15, con stetoscopio P = 0.047) anche se il numero di pazienti era esiguo (88 pazienti). Un limite della metodica è l’assenza di standardizzazione e quindi di riproducibilità sono stati descritti ben 25 modi diversi di misurare ABI 2. Claudicatio La claudicatio è definita come una sensazione di fastidio, di affaticamento e di franco dolore agli arti, tutti sintomi MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 59 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL MEDICO GENERALISTA, PRIMO DIAGNOSTA E PRIMO TERAPEUTA: LA MISURA DI ABI E L’AOP ASINTOMATICA MARULLI Figura 1. – Algoritmo diagnostico ideale nei pazienti a rischio PAD (vedi tabella I). che insorgono durante lo sforzo e che scompaiono con il riposo. La sede del dolore spesso coincide con la sede dell’ostruzione: una stenosi delle arterie iliache può produrre dolore all’anca e al femore ma anche alla caviglia, un’ostruzione dell’arterie femorali o poplitee è associata a dolore al polpaccio, mentre un’occlusione delle tibiali a dolore al polpaccio o più di rado al piede. Esistono delle condizioni cliniche nelle quali è presente dolore in sedi diverse dell’arto inferiore e che possono simulare una claudicatio ma da questa vanno differenziate. Prognosi e storia naturale La storia naturale della malattia non giustifica atteggiamenti allarmistici, infatti, dopo 5-10 anni il 70-80% dei pazienti resta invariato mentre negli altri casi si ha una progressione; l’opportunità di una diagnosi precoce risiede, quindi, nell’alto rischio cardiovascolare aggiuntivo che presentano questi pazienti infatti: – il 60-80% presenta una coronaropatia; – il 12-25% presenta una stenosi carotidea significativa; – il rischio di infarto acuto del miocardio aumenta dal 20 al 60%; – il rischio di stroke aumenta del 40%; – la probabilità di morte per cause cardiovascolari aumenta da 2 a 6 volte. Quindi, la sorveglianza come la terapia dei fattori di rischio cardiovascolari deve essere particolarmente aggressiva ed intensa Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 I nostri dati Il database di Health Search raccoglie, alla data del 31/12/2010, i dati di 900 MMG appartenenti alla Simg (Società Italiana Medicina Generale) che assistono oltre 2.000.000 di pazienti e si articola in: – 29.417.628 diagnosi/problemi; – 285.101.656 accertamenti diagnostici; – 10.255.593 pressioni; – 183.412.379 ricette. Su questo archivio, che nel 2006 conteneva i dati di 550 MMG per un totale di 800.000 pazienti, sono stati selezionati 320 medici per un totale di 464.382 assistiti, e su questi è stata condotta una ricerca con l’obiettivo di valutare la prevalenza delle PAD nell’ambito delle cure primarie sulla base di un criterio clinico e di descrivere i comportamenti prescrittivi per queste patologie. Sono stati ricercati i seguenti codici ICDIX: 440.2; 440.20; 440.21; 440.22; 440.23; 440.24; 440.29; 443.9. La prevalenza totale era 0,7% e le patologie più rappresentate erano quelle cardio cerebrovascolari (IMA 5,72%, Angina 3,39%, Stroke 5,44%, Fibrillazione atriale 7,07%). Per quanto riguardo i dati prescrittivi è emersa una sotto prescrizione di quasi tutti i principi attivi ritenuti utili in queste patologie (ACE, ARBS, Ipolipemizzanti, Antiaggreganti, Anticoagulanti) sia nei pazienti a rischio lieve che in quelli ad alto rischio (es diabetici) dato peraltro già noto e presente anche in altri paesi europei (Germania). Lo studio pur con diversi limiti (criteri diagnostici non concordati, pato- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 59 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 60 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MARULLI IL MEDICO GENERALISTA, PRIMO DIAGNOSTA E PRIMO TERAPEUTA: LA MISURA DI ABI E L’AOP ASINTOMATICA Figura 2. – Diagnosi differenziale della claudicatio. logie non codificate) dimostra che i MMG diagnosticano pochi casi di PAD anche quando questa è l’unica patologia lamentata dai pazienti e che pertanto richiederebbe una diagnosi precoce allo scopo di abbattere l’elevato rischio cardiovascolare. Trattandosi di paziente ad alto rischio valgono le regole: uso di ASA a basse dosi, se non controindicato, riduzione dei livelli di colesterolo LDL con mezzi non farmacologici e, se necessario, farmacologici (target < 100 mg/dl, 70 mg/dl se diabete o altre localizzazioni della malattia aterosclerotica) controllo dell’ipertensione arteriosa (target PA £ 130/80 se insufficienza renale £ 120/80) e del diabete oltre che abolizione del fumo. L’esercizio fisico, quando possibile, è molto importante. Alla luce dei dati dello studio HOPE, può essere utile considerare l’uso di ACE inibitori anche in assenza d’ipertensione; questi farmaci sono sicuramente da considerarsi nel caso d’ipertensione e/o diabete. 60 Conclusioni L’importanza della PAD risiede oltre che nel danno a carico dell’arto e nella cattiva qualità di vita soprattutto nel rischio cardiovascolare aggiunto che questi pazienti presentano ed è quindi compito, in particolare del MMG, sospettare una diagnosi il più presto possibile in modo da affrontare e correggere in maniera aggressiva i fattori di rischio cardiovascolari presenti. Bibliografia 1. GAL Carmoa, A Mandilb, BR Nascimentoa, BD Arantesa, JC Bittencourtc, EB Falquetoa and AL Ribeiroa Can we measure the ankle–brachial index using only a stethoscope? A pilot study : Family Practice 2009;26:22-26. 2. Saskia PA Nicolaï, Lotte M Kruidenier, Ellen V Rouwet, Marie-Louise EL Bartelink, Martin H Prins and Joep AW Teijink Ankle brachial index measurement in primary care: are we doing it right Br. J. Gen. Parct. 2009;59:422-7. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 61 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):61-3 Management della claudicatio moderata-severa: obiettivi e strategie terapeutiche M.M DI SALVO, F. MUGNO, P.M. FINOCCHIARO, G. ARDITA, G.FAILLA L’arteriopatia ostruttiva cronica periferica (AOCP) è una patologia vascolare che si caratterizza per l’interessamento strutturale dei grossi e piccoli vasi arteriosi e che determina invalidità temporanea o permanente nelle sue diverse espressioni cliniche. La classificazione di Leriche-Fontaine più volte rivista e modificata, prevedeva la distinzione in quattro principali livelli di malattia progressivamente più gravi in cui il I stadio è silente e caratterizzato da una manifestazione clinica solo per sforzi massimali, mentre il II stadio presenta una sottoclassificazione basata prevalentemente sulla valutazione anamnestica, distinguendo lo scompenso macrocircolatorio stabile (stadio IIA) in cui il paziente lamenta un dolore crampiforme ai muscoli dell’arto inferiore dopo uno sforzo determinato e costante, quantificabile nell’IML (o intervallo di marcia libero dal dolore) >150-200 mt; e lo scompenso macrocircolatorio instabile (stadio IIB) in cui il paziente avverte il dolore dopo un IML <150-200 mt. Nel caso in cui il paziente avverta il dolore dopo un IML <100 mt (stadio II B severo) il quadro clinico si presenta più grave essendo il paziente esposto ad un rischio di peggioramento locale dell’arto del 40% a 16-18 mesi e ad un rischio cardiovascolare globale del 20% circa a 3 anni. Nel III e nel IV stadio le condizioni cliniche sono più gravi, essendo caratterizzate rispettivamente il primo dal dolore anche a riposo e il secondo dalle turbe trofiche. Questa classificazione ha presentato dei limiti, primo fra tutti la difficoltà a considerare l’intera popolazione dei pazienti con AOCP al II stadio B in un unico gruppo. Tale riflessione risulta evidente se si considera che non tutti i pazienti appartenenti a tale fascia sembrano presentare le medesime caratteristiche: il paziente che claudica in maniera stabile a 100-150 mt ha una prognosi ed una aspettativa di vita migliore di chi claudica dopo 20-30 mt. Successivamente con le modifiche apportate da Rutherford la classificazione ha previsto l’introduzione di sottogruppi o categorie distinguendo i pazienti che presentavano una claudicatio lieve (IML > 250 mt), moderata (IML tra 250-150 mt) e severa (<150 mt). Per tale motivazione, con l’introduzione in clinica del termine ischemia critica si è cominciato a considerare la posVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 UOC di Angiologia Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania sibilità di escludere quei pazienti che presentavano la caratteristiche cliniche della malattia stabile da sforzo da quelli che invece presentavano quadri evolutivi della malattia con evoluzione verso stadi più gravi dell’AOCP. Ai fini prognostici è pertanto utile distinguere tra i pazienti con ischemia severa degli arti inferiori due gruppi a basso e ad alto rischio. I criteri di selezione devono essere valutati dopo una corretta e precoce diagnosi della malattia. Le linee guida elaborate in questi anni dalle Società Scientifiche o gruppi di studio hanno cercato di tracciare in maniera più precisa possibile i diversi step da raggiungere per effettuare una corretta diagnosi, segnalando numerose raccomandazioni allo scopo di unificare le metodiche di approccio diagnostico al malato vascolare (SIAPAV, SICVE; GIUV; TASC). Lo scopo finale di tale approccio è quello di localizzare le lesioni responsabili, stimandone la severità, stabilire la richiesta emodinamica in previsione di un intervento di rivascolarizzazione, valutare il rischio operatorio per il paziente, valutare i fattori di rischio per l’aterosclerosi e valutare l’aterosclerosi in altri distretti. In questo contesto ampia importanza viene data al rapporto bidirezionale tra medici di medicina generale e medici specialisti vascolari: i primi hanno il compito di effettuare la valutazione clinica generale iniziale, educare il paziente alla correzione dei fattori di rischio e alla terapia medica di fondo, individuare i casi da avviare allo specialista vascolare, effettuare il follow-up a distanza; i secondi hanno il compito di effettuare una diagnosi specifica, impostare una terapia specialistica, gestire i casi complessi, effettuare il follow-up clinico-strumentale. Ambedue le figure professionali interagiscono tra loro allo scopo di gestire al meglio i diversi momenti clinici attraversati dai pazienti. Vengono univocamente ritenute prioritarie in tal senso la valutazione dell’ABI, l’ecocolor-Doppler degli arti inferiori MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 61 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 62 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) DI SALVO MANAGEMENT DELLA CLAUDICATIO MODERATA-SEVERA: OBIETTIVI E STRATEGIE TERAPEUTICHE Tabella I. Variabili angiografiche cliniche e strumentali, da valutare in pazienti con AOCP da sottoporre a rivascolarizzazione: Variabili Favorevoli • stenosi o ostruzioni isolati aorto-iliaci, iliaci, femoro poplitei, sia sopra che sottoarticolari, • arterie di buona qualità anatomo-chirurgica in sede di riabitazione Variabili Sfavorevoli con relativa possibilità di successo • lesioni steno-ostruttive molto estese con discreta riabitazione sino al 1/3 inferiore di gamba • arcate plantari pervie Indici predittivi sfavorevoli – tcpO2 inferiore a 10-20 mmHg – insufficiente incremento della tcpO2 nel passaggio alla posizione ortostatica e/o marcato allungamento del t/2 – elevati valori di tcpCO2 – aumentato livello di fibrinogeno – aumentata viscosità ematica – aumentato indice di rigidità eritrocitario – aumentata viscosità plasmatici – aumentata aggregazione eritrocitaria Variabili Molto sfavorevoli • lesioni steno-ostruttive molto estese senza riabitazione di un’arteria di gamba • arcate plantari poco irrorate (esteso anche ai tronchi sopraortici e all’aorta addominale), il test del cammino o sul tapis roulant, l’ossimetria transcutanea (solo nella claudicatio severa) e la valutazione cardiologica (LLGG SIAPAV 2011). Pertanto, una prima distinzione dei pazienti appartenenti al II stadio B potrebbe essere fatta in merito all’entità della claudicatio (150 o 20-30 mt) e sui dati strumentali (PO 2 30-40 mmhg o <30 mmhg e CO 2 40-50 e > 50 mmhg), osservando quindi, due gruppi rispettivamente a basso ed alto rischio clinico, con diversa evoluzione clinico-prognostica. Altro versante ancora in piena discussione è rappresentato dalla scelta terapeutica: come trattare i pazienti con claudicatio moderata-severa? terapia medica, chirurgica, endoinvasiva e/o in associazione? Il management complessivo dovrebbe essere sempre preso in considerazione ponendo come obiettivi principali il rallentamento della progressione della malattia, la prevenzione degli eventi cardiovascolari maggiori fatali e non fatali, il miglioramento della capacità di marcia. Sono pertanto ritenuti provvedimenti fondamentali l’adozione di un corretto stile di vita (abolizione del fumo di sigaretta, dieta equilibrata, regolare attività fisica), una terapia farmacologica basata sull’utilizzo di antipastrinici e statine da associare ad altri farmaci che migliorano la capacità deambulatoria (pentossifillina, naftidrofuril, il cilostazolo, la L-propionil carnitina). In generale la rivascolarizzazione chirurgica è preferita se la claudicatio è invalidante per il paziente e se esistano le condizioni anatomiche favorevoli. Se c’è un rischio simile tra la procedura di rivascolarizzazione per via per cutanea o per via chirurgica è da preferire la prima in quanto il paziente è meno esposto a stress, anestesia e minori complicanze generali. Inoltre la scelta su quale tipo di rivascolarizzazione sia più appropriata in tali pazienti dovrebbe derivare da una decisione multidisciplinare che coinvolga il chirurgo vascolare, l’angiologo, il radiologo interventista puntando soprattutto sulla valutazione della morfologia della lesio62 ne, il rischio chirurgico, le procedure interventistiche pregresse, l’aspettativa di vita del paziente, l’esperienza nelle procedure, le variabili favorevoli e quelle sfavorevoli e gli indici predittivi (Tab. 1). Il follow-up di questi pazienti deve essere effettuato ogni sei mesi ed in caso di evoluzione della patologia con peggioramento della claudicatio o comparsa del dolore a riposo la valutazione specialistica si impone entro pochi giorni. Sulle procedure interventistiche si dovranno fare le seguenti considerazioni: “La PTA (angioplastica percutanea) dovrebbe essere eseguita nei pazienti che per la sintomatologia sono candidati ad un intervento chirurgico, ma che per le condizioni anatomo-patologiche, per la sede e per le caratteristiche della lesione, sono suscettibili di un trattamento percutaneo”. La PTA viene eseguita con controllo angiografico o con ultrasonografia endovascolare; rari autori la eseguono sotto controllo ecodoppler. L’esecuzione dell’angioplastica deve essere eseguita dal chirurgo vascolare o dall’angioradiologo nei Centri dotati di una Unità Operativa di Chirurgia Vascolare, con la possibilità di uno stand-by chirurgico e con una valutazione collegiale del paziente”. “La terapia chirurgica è indicata in tutte le ischemie critiche, nelle arteriopatie invalidanti al 2° stadio e nelle ostruzioni aortiche in cui sia ipotizzabile una evoluzione trombotica ascendente o una ischemia pelvica”. Il trattamento farmacologico sembra essere indicato, secondo i criteri TASC, utilizzando farmaci ad elevato potere microcircolatorio disaggregante e vasodilatante come i prostanoidi (iloprost) in quei pazienti che hanno una periferia vitale in cui le procedure di rivascolarazzazione sono impossibili, o hanno una scarsa probabilità di successo o sono precedentemente falliti e in particolare quando l’alternativa è l’amputazione (Racc. 85-TASC 2000). A tali indicazioni ormai datate, sarebbe opportuno aggiungerne altre come per esempio la mancanza di un MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 63 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MANAGEMENT DELLA CLAUDICATIO MODERATA-SEVERA: OBIETTIVI E STRATEGIE TERAPEUTICHE “run off”, il rifiuto del paziente di sottoporsi ad altre tecniche, condizioni generali del paziente che non permettano altre tecniche, gravità delle lesioni e/o arto non funzionale, nelle prime fasi in attesa di procedimenti diagnostici, come supporto ed in attesa di altre tecniche terapeutiche, prima durante e dopo rivascolarizzazione o amputazione. La procrastinabilità del trattamento chirurgico può essere l’occasione per una scelta strategica dell’utilizzo dei prostanoidi che, grazie alla loro capacità di migliorare il run off, possono essere impiegati nel pre e post operatorio. I prostanoidi hanno dimostrato di possedere benefici effetti sulla maggior parte dei componenti della microcircolazione, impedendo l’attivazione delle piastrine, l’attivazione dei leucociti, e il danneggiamento dell’endotelio vascolare, migliorando l’omeostasi microvasculo-tissutale e la funzione endoteliale. L’estrema variabilità dei singoli centri nelle scelte terapeutiche e nella tempistica delle procedure impone che il paziente con claudicatio severa sia preso in carico da strutture specialistiche ospedaliere dedicate (UOC di Medicina Vascolare, Angiologia, Chirurgia Vascolare) in modo da poter mettere in atto i percorsi diagnostico-terapeutici validati e più idonei a migliorare il quadro clinico e a scongiurare un eventuale peggioramento. Conclusioni I pazienti affetti da claudicatio moderata-severa possono ottenere giovamento da un trattamento intensivo globale in cui opzione chirurgica e farmacologia possono e devono determinare un’azione sinergica nel raggiungimento di un obiettivo terapeutico comune. Il protocollo terapeutico combinato è in grado di migliorare non solo la performance di questi pazienti e la sintomatologia, ma anche la prognosi. Inoltre il trattamento con iloprost, migliorando il run off microcircolatorio migliora il terreno di accoglimento in previsione di una rivascolarizzazione chirurgica contribuendo ad una scelta terapeutica strategica nell’ottica del raggiungimento del miglior risultato. Infine, se consideriamo che la claudicatio non è una situazione clinica a se stante ma spesso costituisce un marker di patologia cardiovascolare sistemica, essendo la patologia aterosclerotica ad alto rischio globale, il miglio- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 DI SALVO ramento del trattamento intensivo determina una riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori (IMA, Ictus, morte). Sarà comunque prioritario per lo specialista educare il paziente alla cura della malattia attraverso una terapia combinata aggressiva che punti alla modificazione dei fattori di rischio e dello stile di vita, all’abitudine all’esercizio fisico tanto quanto al trattamento medico e/o chirurgico del caso. Bibliografia 1. SIAPAV percorsi diagnostico-terapeutici per AOP-2011 2. TASC Working Group. Management of peripheral arterial disease (PAD). Transatlantic inter society Consensus. Int. Angiology 2007. 3. Linee guida per la valutazione del circolo arterioso degli arti inferiori - Società italiana di diagnostica vascolare (GIUV) 2007. 4. Linee guida sul management della arteriopatia periferica della SICVE-2003. 5. Kannel WB et al. Intermittent claudication incidence in The Framingham study. Circulation 41, 875.883. 6. Dormandy JA, Mahir MS, Ascady G. Fate of the patient with chronic leg ischemia. Europen Consensus on critical limb Ischemia. Lancet 1989;I 737-738. 7. Dormandy JA and Stock G (eds). Critical Leg Ischaemia: Its Pathophysiology and Management. Springer, Berlin, 1990. 8. Rutherford RB, Flanigan DP, Gupta SK et al. Suggested standard for reports dealing with lower extremity ischaemia. J Vasc Surg 1986;4:80-94. 9. European working group on critical limb ischemia. Second european consensus document on chronic critical leg ischemia. Circulation 1991;84(supplement):1-26. 10. Dormandy J. Use of the prostacicline analogue iloprost in the treatment of patients with critical limb ischemia. Therapie 1991;46:319-322. 11. Bloor K. Natural hystory of arteriosclerosis of lower extremities. Ann Roy Coll. Surg Engl 1961;28:36-51. 12. Loosemore TM, Chalmers TC, Dormandy JA. A meta-analysis of randomized placebo control trials in Fontaine stages III and IV peripheral occlusive arterial disease. 13. Second European consensus document on chronic critical leg ischemia. Ed Dormandy JA circulation 1991;84(Supple 4): 1-IV 26. 14. Andreozzi GM. L’ischemia critica, La presse mèdical Ed. it. Anno X Suppl. al n. 3 – marzo 1993. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 63 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 64 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):64-5 Il training fisico nei vari stadi dell’arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) M. PRIOR Nell’impostazione del trattamento dell’arteriopatia ostruttiva periferica (AOP) va sempre considerato che, anche negli stadi iniziali, essa è una patologia solo apparentemente ad evoluzione benigna ma in realtà gravata da una prognosi particolarmente sfavorevole sia per la sopravvivenza dell’individuo sia per la sua autonomia nelle attività quotidiane. Pertanto, il programma di intervento dovrebbe essere di tipo integrato e multifattoriale, finalizzato cioè sia a rallentare la progressione della malattia e a ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari, sia a salvaguardare il più possibile le capacità funzionali e la qualità di vita del paziente. Il training fisico può rappresentare in tale contesto un efficace presidio, in grado di incrementare l’autonomia di marcia negli stadi iniziali, di favorire il recupero funzionale negli stadi avanzati e di contribuire comunque ad un miglioramento della qualità di vita, consentendo inoltre una favorevole modificazione del profilo di rischio cardiovascolare del paziente. Stadi iniziali Nella gestione della AOP negli stadi iniziali, il training fisico rappresenta il cardine del trattamento, purché sia condotto in modo controllato e nell’ambito di protocolli specifici, e può determinare incrementi della marcia libera da claudicatio sino al 200% nonché significativi miglioramenti della qualità di vita del paziente. Le principali linee guida, infatti, affermano che un programma di esercizio fisico (preferibilmente controllato) debba essere sempre considerato nel trattamento iniziale del paziente con claudicatio intermittens 1. Esso sembra agire attraverso diversi meccanismi quali l’incremento della rete capillare muscolare e il miglioramento del flusso ematico (o quantomeno da una sua ridistribuzione), verosimilmente mediati da un aumento del rilascio o dell’utilizzazione dell’ossido nitrico. Il training fisico inoltre determina modificazioni favorevoli dei parametri emoreologici ed emodinamici, nonché del metabolismo cellulare e, probabilmente, una riduzione della progressione dei fenomeni aterosclerotici. È stata anche descritta una riduzione della percezione del dolore indotta dall’attività fisica, verosimilmente mediata da un incremento del rilascio di endorfine 2. 64 U.O.C. di Riabilitazione Vascolare, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona Diversi sono i tipi di training proposti, dalla marcia libera o su treadmill, all’utilizzo di cyclette o di simulatori di scalini, associati o meno a esercizi a corpo libero o di potenziamento muscolare. Per quanto riguarda invece l’intensità dell’esercizio, i carichi di lavoro sono studiati per migliorare da un lato le capacità di utilizzo dell’ossigeno, dall’altro per sfruttare i meccanismi di precondizionamento ischemico. Alcuni studi hanno proposto allenamenti su treadmill con esercizi ripetuti, protratti fino al raggiungimento del massimo dolore sopportabile, intervallati da pause di riposo fino a completa scomparsa del dolore 3. Tali protocolli, a fronte di una non facilmente dimostrabile miglior efficacia, possono essere gravati dall’instaurarsi di eccessiva attivazione di processi infiammatori e rilascio di citochine, con produzione di radicali liberi, danno da ischemia-riperfusione e progressione dell’aterosclerosi. Essi vanno pertanto impiegati con cautela e possibilmente evitati nei pazienti con claudicatio severa (stadio IIb di Fontaine) nei quali è verosimile che i danni da ischemia-riperfusione siano già stati innescati dalla patologia stessa 1,2. Alla luce delle attuali conoscenze, si ritiene preferibile eseguire il training su treadmill (o eventualmente su cyclette) a carichi più moderati, cioè effettuando almeno 3 volte la settimana (preferibilmente quotidianamente) camminate fino al 60-70% della capacità di marcia precedentemente determinata con test al treadmill, ripetute dopo arresto per 1 minuto (o fino a scomparsa del dolore), fino ad una durata della marcia effettiva di almeno _ ora per seduta 4. La seduta è preceduta da 10 min di riscaldamento (stretching e cyclette a carico libero) e seguita da 5 min di recupero (stretching). A tale allenamento associamo 1/2 ora di ginnastica quotidiana, basata su esercizi per favorire la stabilità, la propriocezione, l’articolarità, il tono e il trofismo muscolari e la meccanica deambulatoria. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 65 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL TRAINING FISICO NEI VARI STADI DELL’ARTERIOPATIA OSTRUTTIVA PERIFERICA (AOP) Prima di inserire un paziente nel programma riabilitativo viene valutata la presenza di eventuali controindicazioni all’esercizio fisico quali ad esempio patologie ortopediche concomitanti che limitino le capacità deambulatorie. In tal caso può essere considerato un allenamento su cyclette che riduce il carico sulle articolazioni degli arti inferiori. Un problema a parte è la frequente presenza di una cardiopatia ischemica e quindi della sicurezza dell’esercizio fisico in tale condizione. Va a tal riguardo sottolineato che l’allenamento aerobico non solo non è controindicato nella cardiopatia ischemica, ma fa parte di tutti i programmi riabilitativi per pazienti post-infarto miocardico. te in palestra per l’allenamento dei vari gruppi muscolari in posizione sia supina che seduta, e viene iniziato un training aerobico su cyclette per intervalli di tempo inizialmente brevi (15 min), poi più prolungati (30 min) con carichi di lavoro ridotti e sotto controllo medico. Viene inoltre favorita la ripresa della deambulazione con protezione della sede lesionata eventualmente anche con ortesi da scarico, specie in caso di piede diabetico. Talora risulta possibile effettuare l’allenamento aerobico anche su treadmill per acquisire una maggior autonomia di marcia. Conclusioni Stadi avanzati Nell’affrontare il trattamento del paziente con arteriopatia periferica in stadio avanzato, devono essere prese in considerazioni tutte le opzioni terapeutiche, in particolare, quando possibile, gli interventi di rivascolarizzazione. Anche negli stadi avanzati, tuttavia, l’associare il training fisico agli altri provvedimenti terapeutici può favorire il recupero delle capacità funzionali e il miglioramento della qualità della vita del paziente. In tale contesto è particolarmente importante che il programma di attività fisica venga determinato in base delle condizioni cardiocircolatorie generali e del quadro ischemico locale. Inoltre, affinché il programma riabilitativo possa essere eseguito efficacemente è fondamentale riuscire ad ottenere un adeguato controllo del dolore a riposo, in modo da evitare che il paziente mantenga l’arto in posizione antalgica declive, posizione che provoca comparsa di edema e conseguente peggiore circolazione nella zona ischemica. Per i pazienti più impegnati si inizia con esercizi di mobilizzazione passiva e attiva al letto con l’ausilio del terapista della riabilitazione al fine di ottenere un miglioramento del trofismo muscolare, il ripristino di una corretta mobilità articolare, una riduzione dell’edema interstiziale e un incremento del flusso a livello microcircolatorio. Tale attività, eseguita talora anche con appositi presidi meccanici, consente talora di ottenere un discreto effetto antalgico, verosimilmente determinando allungamento e rilassamento della fibra muscolare 2. Con la mobilizzazione, inoltre, è possibile recuperare l’articolarità dell’arto che, causa il dolore, assume posture viziate, oltre a ridurre o rallentare il deterioramento della validità muscolare determinato dalla inattività del paziente 6. Nei pazienti in condizioni meno compromesse, o in fasi successive non appena possibile, vengono eseguite sedu- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 PRIOR Il training fisico rappresenta un provvedimento fondamentale per i pazienti con arteriopatia periferica negli stadi iniziali essendo in grado da un lato di incrementare l’autonomia di marcia, dall’altro di migliorare la qualità della vita. A tal fine può essere utile associare al training deambulatorio esercizi individualizzati rivolti al miglioramento dell’articolarità e della propriocezione che favoriscano il raggiungimento di una ottimale meccanica della marcia, in considerazione del fatto che tali pazienti sono spesso anziani e maggiormente compromessi anche dalla presenza di altre comorbidità. Negli stadi più avanzati, un approccio che preveda anche l’impiego di programmi di training fisico individualizzati può essere considerato per conservare o facilitare il recupero delle capacità funzionali e della qualità della vita del paziente. Bibliografia 1. TASC II Working Group, J. Vasc. Surg 2007;45:S5-S67. 2. Stewart KJ, Hiatt WR, Regensteiner JG, Hirsh AT. Exercise training for claudication. NEJM 2002;347:1941-1951. 3. Gardner AW, Poehlman ET. Exercise rehabilitation programs for the treatment of claudication pain. A meta-analysis. JAMA 1995;274:975-80. 4. Andreozzi GM, Arosio E, Martini R, Verlato F, Visonà A. Consensus document on intermittent claudication from the Central European Vascular Forum. Int. Angiol 2008;27:93-113. 5. Walsh NE, Dumitru D, Ramamurthy S, Schoenfeld LS. Treatment of the patient with chronic pain. In: Rehabilitation medicine: principles and practice. DeLisa JA ed. J.B. Lippincott Co, Philadelphia, 1993;1993:973-66. 6. Hammond MC, Merli GJ, Zieler RE. Rehabilitation of the patient with peripheral vascular disease of the lower extremity. In: Rehabilitation medicine: principles and practice. DeLisa JA ed. J.B. Lippincott Co, Philadelphia, 1993;1082-98. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 65 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 66 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):66-8 Gli interventi di rivascolarizzazione nella AOP B. GOSSETTI, F. FACCENNA, A. LAURITO, J. JABBOUR, A. ALUNNO, A. CASTIGLIONE, M.M.G. FELLI, A. MALAJ, D. STAVRI Gli interventi di rivascolarizzazione degli arti inferiori nei pazienti con AOP dovrebbero trovare una loro corretta indicazione sulla base del quadro clinico del paziente stesso e sulle caratteristiche delle lesioni ostruttive (lesioni singole o multiple; sede, entità ed estensione della lesione; presenza ed efficacia dei circoli collaterali). Attualmente si hanno a disposizione indagini strumentali estremamente attendibili per inquadrare tali lesioni sia dal punto di vista morfologico (angioTC, angioRM o angiografia), che funzionale (ultrasuoni e TpCO2). Dal punto di vista clinico, secondo le classificazioni di Fontaine o di Rutherford, un intervento di rivascolarizzazione dovrebbe essere riservato a tutti i pazienti con ischemia critica degli arti ed ai claudicanti con stretta autonomia funzionale di marcia (>100 metri, con tempo di recupero superiore ai 2 minuti) 1-2. Assai discutibile è l’indicazione, posta da alcuni, nei claudicanti con autonomia di marcia non adeguata alle loro aspettative, soprattutto senza un preventivo ed adeguato trattamento fisioterapico e farmacologico. Per quanto attiene le rivascolarizzazioni del distretto aortoiliaco, i bypass aorto-iliaci o aorto-femorali, un tempo estremamente utilizzati, trovano indicazioni estremamente limitate per lesioni ostruttive estese e bilaterali delle arterie iliache, associate a lesioni aortiche fortemente ed estesamente calcifiche o con trombosi parietali diffuse (shaggy aorta) 3. Anche i bypass extra-anatomici trovano un loro residuo impiego solo in associazione con procedure endovascolari 4. In questi distretti la rivascolarizzazione endovascolare prevede l’uso in prima istanza di stent (ricoperti o a celle chiuse) a ricoprire tutti i tratti ricanalizzati e l’uso eventuale di una trombolisi loco regionale. Anche per le procedure sottoinguinali, la scelta fra procedure endovascolari e chirurgia “open” deve privilegiare in prima istanza il trattamento endovascolare, soprattutto se si tratta di stenosi, lesioni isolate e brevi, e non coinvolgenti vasi in corrispondenza di sedi articolari. Il trattamento endovascolare eseguito da un operatore esperto consente un minore stress sistemico e complicanze generali del paziente, evita incisioni cutanee e complicanze di guarigione delle ferite chirurgiche in gambe ischemiche, comporta un ricovero breve ed una ripresa rapida della 66 Cattedra di Chirurgia Vascolare, “Università di Sapienza”, Roma UOC di Chirurgia Vascolare A, Policlinico Umberto I di Roma deambulazione, consente un eventuale reintervento endovascolare. Deve, però, essere sempre portato a termine in pazienti con condizioni anatomiche favorevoli, senza compromettere l’integrità del letto arterioso residuo, allo scopo di non ridurre il circolo collaterale preesistente e di preservare il letto arterioso a monte ed a valle delle lesioni trattate, consentendo così il ricorso ad un successivo intervento di chirurgia “open”, nei casi di insuccesso endovascolare. Nell’ambito del trattamento endovascolare, possono essere utilizzati palloni semplici o medicati 5; stent metallici “nudi” o ricoperti 6, a rilascio di farmaci o biodegradabili 7; sistemi di ricanalizzazione meccanici (aterotomi) 8 o laser assistiti; crioplastiche e brachiterapia 9. L’uso di uno stenting “primario” (utilizzo dello stent indipendentemente dall’ angioplastica con pallone) è da preferirsi per procedure su vasi al di sopra del legamento inguinale, mentre, a tutt’oggi, si preferisce la sola dilatazione con pallone nei vasi al di sotto del legamento inguinale, aggiungendo il posizionamento di uno stent, semplice o ricoperto, solo in quei casi in cui la ricanalizzazione del vaso trattato presenti stenosi residue rilevanti o dissecazioni parietali. In caso di lesioni isolate, è opportuno ancor oggi attenersi alle linee guida della TASC II, divise per sede aorto-iliaca, femoro-poplitea sopragenicolata, e sottopoplitea 10. Per quanto attiene la chirurgia “open”, la vena safena autologa risulta il materiale di scelta per tutti i by-pass con anastomosi distali al di sotto della rima articolare del ginocchio, per le sue elevate percentuali di pervietà a distanza e la ridotta incidenza di infezioni 11. L’impossibilità di utilizzare tale materiale (valutabile mediamente attorno al 40-50% dei casi) comporta al ricorso di materiali biologici o sintetici alternativi (primo fra tutti il politetrafluortilene espanso - ePTFE) 12, usati singolarmente o in bypass “compositi” 13, ma con risultati di pervietà meno soddisfacenti, soprattutto a distanza. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 67 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) GLI INTERVENTI DI RIVASCOLARIZZAZIONE NELLA AOP GOSSETTI soprattutto se le lesioni sono in sedi non contigue e con estensione diversa, se il patrimonio venoso autologo è assente o inadeguato a bypassare l’intera lunghezza delle lesioni e se il paziente presenta estese lesioni trofiche 14. In questi casi si cerca di ottenere un contemporaneo incremento del flusso ematico prossimale ed un ampliamento del letto arterioso a valle (Fig. 1). Il ricorso a ricanalizzazioni endovascolari ed a by-pass di lunghezza contenuta, effettuati prossimalmente o distalmente all’angioplastica e/o all’impianto di stent, è reso possibile dal fatto che oggi esistono specialisti vascolari in grado di effettuare in sale operatorie attrezzate (angiosuite) entrambe le procedure, ricorrendo ad una sola via di accesso chirurgica, e minimizzando così tempi di ospedalizzazione e costi, ed ottenendo un più rapido recupero delle capacità deambulatorie del paziente. Interventi di denervazione simpatica (gangliectomie e/o simpaticectomie) non sono più considerati validamente attendibili fra le procedure chirurgiche atte al recupero della vitalità di un arto, in cui una procedura di rivascolarizzazione diretta non sia più possibile 15. La profundoplastica (chirurgica o endovascolare) è un intervento che attualmente trova una sua esclusiva utilizzazione nei casi di ostruzione di tutta l’arteria femorale superficiale, con presenza di ricco circolo collaterale a partenza di un’arteria femorale profonda, gravemente stenotica nel suo tratto iniziale16. Il trattamento farmacologico intraoperatorio prevede l’uso per via endovenosa dell’eparina, che, nel corso delle procedure endovascolari, è preceduto anche da un carico di farmaci antiaggreganti. La terapia antiaggregante piastrinica andrebbe effettuata, comunque, nell’immediato periodo postoperatorio e protratta, se non vi sono controindicazioni, a tempo indeterminato. Per interventi ibridi e dopo by-pass periferici può essere effettuata anche una terapia con eparina a basso peso molecolare, anche se l’impiego a lungo termine non sembra influenzare in maniera significativa i risultati a distanza 17. Bibliografia Figura 1. – Controllo angioRM di un intervento ibrido (bypass femoro-popliteo + PTA dell’arteria tibiale anteriore sn). Per lesioni a più livelli dell’albero arterioso va prendendo sempre più piede il ricorso a trattamenti “ibridi” (endovascolari e chirurgici in corso della stessa procedura), Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1. Fontaine R, Kim M, Kieny R. Surgical treatment of peripheral circulation disorders. Helv Chir Acta 1954;21:499-533. 2. Rutherford RB, Baker JD, Ernst C, et al. Recommended standards for reports dealing with lower limb extremity ischemia: revised version. J Vasc Surg 1997;26(Suppl. 3):51738. 3. Kazmier FJ, Hollier LH. The “Shaggy” aorta. Heart Dis Stroke. 1993;2:131-5. 4. Biancari F, Lepäntalo M. Extra-anatomic bypass surgery for critical leg ischemia. A review. J Cardiovasc Surg (Torino). 1998;39:295-301. 5. Ansel GM, Lumsden AB. Evolving modalities for femoropopliteal interventions. J Endovasc Ther. 2009;16(2 Suppl 2):II82-97 6. Lenti M, Cieri E, De Rango P, Pozzilli P, Coscarella C, Bertoglio C, Troiani R, Cao P. Endovascular treatment of long lesions of the superficial femoral artery: results from a multicenter registry of a spiral, covered polytetrafluoroethylene stent. J Vasc Surg. 2007;45:32-9. 7. Pierson D, Edick J, Tauscher A, Pokorney E, Bowen P, Gelbaugh J, Stinson J, Getty H, Lee CH, Drelich J, Goldman J. A simplified in vivo approach for evaluating the bioabsorbable behavior of candidate stent materials. J Biomed Mater Res B Appl Biomater. 2011 Sep 8 in stampa. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 67 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 68 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) GOSSETTI GLI INTERVENTI DI RIVASCOLARIZZAZIONE NELLA AOP 8. Minko P, Katoh M, Jaeger S, Buecker A. Atherectomy of heavily calcified femoropopliteal stenotic lesions. J Vasc Interv Radiol. 2011;22:995-1000. 9. Pokrajac B, Kirisits C, Schmid R, Schillinger M, Berger D, Peer K, Tripuraneni P, Pötter R, Minar E. Beta endovascular brachytherapy using CO2-filled centering catheter for treatment of recurrent superficial femoropopliteal artery disease. Cardiovasc Revasc Med. 2009;10:162-5. 10. Norgren L, Hiatt WR, Dormandy JA, Nehler MR, Harris KA, Fowkes FG on behalf of the TASC II Working Group: InterSociety Consensus for the Management of Peripheral Arterial Disease (TASC II). Eur J Vasc Endovasc Surg 2007;1:1-75. 11. Sterpetti AV, Sapienza P, Cavallaro A. Distal runoff and the development of degenerative changes in autologous reversed saphenous vein femoropopliteal bypass. Ann Vasc Surg. 2011;25:766-9. 12. Takagi H, Goto SN, Matsui M, Manabe H, Umemoto T. A contemporary meta-analysis of Dacron versus polytetrafluoroethylene grafts for femoropopliteal bypass grafting. J Vasc Surg. 2010;52:232-6. 68 13. Benedetti-Valentini F, Gossetti B, Irace I, Martinelli O, Gattuso R. Composite grafts for critical ischaemia. Cardiovasc Surg. 1996;4:372-6. 14. Dosluoglu HH, Lall P, Cherr GS, Harris LM, Dryjski ML. Role of simple and complex hybrid revascularization procedures for symptomatic lower extremity occlusive disease. J Vasc Surg. 2010;51:1425-1435. 15. Ruiz-Aragón J, Márquez Calderón S. Effectiveness of lumbar sympathectomy in the treatment of occlusive peripheral vascular disease in lower limbs: systematic review. Med Clin (Barc). 2010;134:477-82. 16. Witz M, Shnacker A, Lehmann JM. Isolated femoral profundoplasty using endarterectomised superficial femoral artery for limb salvage in the elderly. Minerva Cardioangiol. 2000; 48:451-4. 17. Brown J, Lethaby A, Maxwell H, Wawrzyniak AJ, Prins MH. Antiplatelet agents for preventing thrombosis after peripheral arterial bypass surgery. Cochrane Database Syst Rev. 2008 Oct 8;(4):CD000535. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 69 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):69-70 La misura di ABI in Medicina Generale: risultati di un’esperienza sul campo D. ALESSO L’arteriopatia obliterante periferica degli arti inferiori (PAD) è una sindrome aterosclerotica spesso asintomatica e poco diagnosticata, ma associata ad elevato rischio cardiovascolare. La presenza di PAD, diagnosticata tramite la misurazione dell’Ankle-Brachial Index (ABI), in individui indenni da patologie cardiovascolari (CVD), è associata ad un rischio di Infarto Miocardico, Ictus ischemico, e morte per cause vascolari del 30% a 5 anni. La maggioranza degli individui con PAD agli arti inferiori non presenta sintomi riconoscibili di ischemia agli arti e la malattia è quindi considerata “asintomatica”. Tuttavia la loro prognosi non è favorevole poiché in gran parte di essi è presente un’aterosclerosi sistemica ed il loro profilo di rischio cardiovascolare è comparabile a quello dei pazienti con PAD sintomatica o coronaropatia. La misurazione ambulatoriale dell’ABI è lo strumento con il miglior rapporto costo- efficacia per la diagnosi di PAD e può fornire importanti dati sia per stima della prevalenza della patologia sia per il monitoraggio dell‘efficacia degli interventi terapeutici. È uno strumento tuttavia poco utilizzato in medicina generale. Inoltre sono disponibili pochi studi sulla prevalenza di valori di ABI<0,90 in pazienti con moderato RCV. Alessandria stati arruolati 10.287 soggetti totali, in Italia lo studio è stato condotto nell’ambito di 30 A.S.L., nel territorio di 13 Regioni, con la partecipazione di 289 Medici di Medicina Generale, appartenenti a METIS-FIMMG, preliminarmente formati, che hanno arruolato allo studio 5.298 soggetti, di cui 5112 valutabili, 51% di sesso maschile e 49% di sesso femminile. Non vi erano differenza significative riguardo le caratteristiche cliniche e demografiche, lo stato civile e le abitudini di vita e voluttuarie dei soggetti ammessi allo studio. Numerosità del campione e analisi statistica Lo Studio PANDORA (Prevalence of peripheral Arterial disease in subjects with a moderate CVD risk , with No overt vascular Disease nOR diAbete mellitus) si proponeva di valutare la prevalenza di PAD attraverso la misurazione dell’ABI in soggetti a rischio cardiovascolare moderato (presenza di almeno due fattori di rischio CVD, secondo le linee guida NCEP ATP III, senza patologie cardiovascolari conclamate, nè diabete mellito). Obiettivi secondari: prevalenza e trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari, analisi delle caratteristiche dei pazienti e dei medici, quali possibili determinanti per la diagnosi sottostimata di PAD. Basandosi su una frequenza attesa del 15% di ABI patologica nella popolazione selezionata, un campione minimo di 8.454 soggetti valutabili era sufficiente per raggiungere gli obiettivi dello studio e quindi fu pianificata una popolazione totale di 9.000 soggetti. I gruppi sono stati comparati usando il test “chi quadro” . Per esaminare la correlazione tra ABI anormale e stili di vita o fattori di RCV, sono stati calcolati OR (Odds ratio) e 95% CI (intervallo di confidenza) di frequenza di fattori di rischio e abitudini di vita in soggetti con ABI ≤0.90 e ABI>0.90 e le differenze tra i gruppi sono state testate con il Cochran-Mantel-Haenszel test. La correlazione tra la presenza di PAD e le caratteristiche dei pazienti e 3 dei medici partecipanti sono state valutate attraverso la regressione logistica multivariata con selezione retrograde delle covarianti, con il calcolo dell’OR e del 95% CI. Una valutazione di p<0,05 è stata considerate statisticamente significativa. Materiali e metodi Risultati Il progetto PANDORA è uno studio osservazionale, multicentrico, internazionale realizzato in 594 centri in 6 Paesi (Italia, Belgio, Francia, Grecia, Olanda e Svizzera). Sono I risultati dello Studio nella popolazione italiana evidenziano che il 22,9% dei soggetti asintomatici, ammessi allo studio, ha una arteriopatia obliterante cronica in fase pre- Obiettivi Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 69 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 70 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ALESSO LA MISURA DI ABI IN MEDICINA GENERALE: RISULTATI DI UN’ESPERIENZA SUL CAMPO clinica ed è a rischio per un evento cardiovascolare o cerebrovascolare maggiore (Ictus,IMA). L’età, la familiarità per Malattia cardiovascolare precoce, il fumo di tabacco, l’ipertensione arteriosa, bassi livelli sierici di HDL, il consumo di alcool sono significativamente associati all’insorgenza della PAD. Pertanto lo studio mette in risalto una popolazione di individui, totalmente asintomatici, a rischio concreto di sviluppare una PAD negli anni successivi, che, se opportunamente monitorati e curati, potrebbero evitare le maggiori complicanze della PAD. Lo studio dimostra inoltre come un metodo clinico non invasivo e facilmente ripetibile, gestito dal Medico di Medicina Generale, come la misurazione dell’ABI, consenta di individuare e monitorare una popolazione a rischio CV elevato, evitando le complicazioni e i costi relativi alle loro cure. Bibliografia 1. Heald CL, Fowkes FG, Murray GD, Price JF; Ankle Brachial Index Collaboration: Risk of mortality and cardiovascular disease associated with the ankle-brachial index: Systematic review. Atherosclerosis 2006;189:61-69. 2. Perlstein TS, Creager MA. The ankle-brachial index as a biomarker of cardiovascular risk: it’s not just about the legs. Circulation 2009;120:2033-2035. 3. Norgren L, Hiatt WR, Dormandy JA, Nehler MR, Harris KA, Fowkes FG, Rutherford RB. TASC II Working Group: Intersociety consensus for the management of peripheral arterial disease. Int Angiol 2007;26:81-157. 4. Blacher J, Cacoub P, Luizy F, Mourad JJ, Levesque H, Benelbaz J, Michon P, Herrmann MA, Priollet P. Peripheral arterial disease versus other localizations of vascular disease: the ATTEST study. J Vasc Surg 2006;44:314-318. 5. Grundy SM, Cleeman JI, Merz CN, Brewer HB Jr, Clark LT, Hunninghake DB, Pasternak RC, Smith SC Jr, Stone NJ. National Heart, Lung, and Blood Institute; American College of Cardiology Foundation; American Heart Association: Implications of recent clinical trials for the National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III guidelines. Circulation 2004;110:227-239. 6. Beckman JA, Jaff MR, Creager MA. The United States Preventive Services Task Force Recommendation Statement on screening for peripheral arterial disease: More harm than benefit? Circulation 2006;114:861-866. 7. Hirsch AT, Criqui MH, Treat-Jacobson D, Regensteiner JG, Creager MA, Olin JW, Krook SH, Hunninghake DB, Comerota AJ, Walsh ME, McDermott MM, Hiatt WR. Peripheral arterial disease detection, awareness, and treatment in primary care. JAMA 2001;286:1317-1324. 8. Brevetti G, Oliva G, Silvestro A, Scopacasa F, Chiariello M. Peripheral Arteriopathy and Cardiovascular Events (PACE) Study Group: Prevalence, risk factors and cardiovascular comorbidity of symptomatic peripheral arterial disease in Italy. Atherosclerosis 2004;175:131-138. 9. Cacoub P, Cambou JP, Kownator S, Belliard JP, Beregi JP, Branchereau A, Carpentier P, Léger P, Luizy F, Maïza D, Mihci E, Herrmann MA, Priollet P. Prevalence of peripheral arterial disease in high-risk patients using ankle-brachial index in general practice: a cross-sectional study. Int J Clin Pract 2009;63:63-70. 10. Bozkurt AK, Tasci I, Tabak O, Gumus M, Kaplan Y. Peripheral artery disease assessed by ankle-brachial index in patients with established cardiovascular disease or at least one risk factor for atherothrombosis - CAREFUL Study: A national, multi-center, cross-sectional observational study. BMC Cardiovasc Disord 2011;11:4. 70 11. Olin JW, Allie DE, Belkin M, Bonow RO, Casey DE Jr, Creager MA, Gerber TC, Hirsch AT, Jaff MR, Kaufman JA, Lewis CA, Martin ET, Martin LG, Sheehan P, Stewart KJ, TreatJacobson D, White CJ, Zheng ZJ, Masoudi FA. ACCF/ AHA/ACR/SCAI/SIR/SVM/SVN/SVS 2010 performance measures for adults with peripheral artery disease: a report of the American College of Cardiology Foundation/American Heart Association Task Force on performance measures, the American College of Radiology, the Society for Cardiac Angiography and Interventions, the Society for Interventional Radiology, the Society for Vascular Medicine, the Society for Vascular Nursing, and the Society for Vascular Surgery (Writing Committee to Develop Clinical Performance Measures for Peripheral Artery Disease). Circulation 2010, 122:2583-2618. 12. Cimminiello C, Borghi C, Kownator S, Wautrecht JC, Carvounis CP, Kranendonk SE, Kindler B, Mangrella M. PANDORA Study Investigators: Prevalence of peripheral arterial disease in patients at non-high cardiovascular risk. Rationale and design of the PANDORA study. BMC Cardiovasc Disord 2010;10:35. 13. Cimminiello C, Kownator S, Wautrecht JC, Carvounis CP, Kranendonk SE, Kindler B, Mangrella M, Borghi C. For the PANDORA Study Investigators: The PANDORA study: peripheral arterial disease in patients with non-high cardiovascular risk. Intern Emerg Med 2011 (DOI: 10.1007/s11739011-0511-0). 14. Stoffers HEJH, Kester ADM, Kaiser V, Rinkens PELM, Kitslaar PJEHM, Knottnerus AJ. The diagnostic value of the measurement of the ankle–brachial systolic pressure index in primary health care. J Clin Epidemiol 1996;49:1401–1405. 15. Fowkes FGR, Low LP, Tuta S, Kozak J, on behalf of the AGATHA Investigators. Ankle-brachial index and extent of atherothrombosis in 8891 subjects with or at risk of vascular disease: results of the international AGATHA study. Eur Heart J 2006;27:1861-1867. 16. Collins TC, Suarez-Almazor M, Bush RL, Petersen NJ: Gender and peripheral arterial disease. J Am Board Fam Med 2006, 19:132-140. 17. Heart Protection Study Collaborative Group. Randomized trial of the effects of cholesterol-lowering with simvastatin on peripheral vascular and other major vascular outcomes in 20,536 people with peripheral arterial disease and other high-risk conditions. J Vasc Surg 2007;45:645-654. 18. Giri J, McDermott MM, Greenland P, Guralnik JM, Criqui MH, Liu K, Ferrucci L, Green D, Schneider JR, Tian L. Statin use and functional decline in patients with and without peripheral arterial disease. J Am Coll Cardiol 2006;47:9981004. 19. Oka RK, Szuba A, Giacomini JC, Cooke JP. Predictors of physical function in patients with peripherial arterial disease and claudication. Prog Cardiovasc Nurs 2004;19:89-94. 20. Aboyans V, Lacroix P, Doucet S, Preux P-M, Criqui MH, Laskar M. Diagnosis of peripheral arterial disease in general practice: can the ankle–brachial index be measured either by pulse palpation or an automatic blood pressure device? Int J Clin Pract 2008;62:1001-1007. 21. Boccalon H, Lehert P, Mosnier M. Assessment of the prevalence of atherosclerotic lower limb arteriopathy in France as a systolic index in a vascular risk population. J Mal Vasc 2000;25:38-46. 22. Coni N, Tennison B, Troup M. Prevalence of lower extremity arterial disease among elderly people in the community. Br J Gen Pract 1992;42:149-152. 23. Diehm C, Lange S, Darius H, Pittrow D, von Stritzky B, Tepohl G, Haberl RL, Allenberg JR, Dasch B, Trampisch HJ. Association of low ankle brachial index with high mortality in primary care. Eur Heart J 2006;27:1743-1749. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 71 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):71-3 Clinica delle trombosi venose superficiali (TVS) e presentazione di un modello di percorso diagnostico-terapeutico (PDT) per le TVS G. MILIO1, D. LA ROSA1, e gruppo di lavoro per il PDT-TVS2 La Trombosi Venosa Superficiale (TVS) è una delle patologie flebologiche più frequenti (costituisce il 15% di tutte le patologie ostruttive venose acute), ma nello stesso tempo rappresenta un’entità nosologica spesso trascurata o scarsamente considerata. Il termine ha ormai sostituito quello di tromboflebite superficiale, utilizzato storicamente per indicare uno stato morboso a carico delle vene del sistema superficiale, specie degli arti inferiori, in cui si manifestano i segni ed i sintomi di una “condizione infiammatoria” e di uno “stato trombotico” all’interno della vena. Infatti, le migliori conoscenze dei meccanismi che controllano la trombogenesi, la permeabilità e la funzione endoteliale hanno ridimensionato il criterio classificativo fisiopatologico, privilegiando quello basato sulla localizzazione del processo occlusivo, che vede da una parte le trombosi venose superficiali (TVS) e dall’altra le trombosi venose profonde (TVP). Inquadramento clinico e classificazione Per anni le TVS sono state considerate forme patologiche di scarsa rilevanza clinica, ancorché di elevata frequenza, a rapida evoluzione e prognosi favorevole; tale orientamento riguardava soprattutto le varicoflebiti, mentre maggiore importanza veniva attribuita alle TVS su vena sana, poiché in alcuni casi potevano indurre al sospetto di una neoplasia (tromboflebiti paraneoplastiche) o essere “rivelatrici” di altre patologie. Come è noto, infatti, le TVS su vena sana, che rappresentano un quarto di tutte le TVS, sono il gruppo più eterogeneo, come dimostra la classificazione clinico-patogenetica (Tabella I) che distingue le TVS da anomalie della bilancia coagulativa e fibrinolitica e/o correlate a trombofilie congenite (TVS gravidiche, da contraccettivi, paraneoplastiche) e in TVS da anomalie strutturali e microstrutturali dell’endotelio (Buerger, Beçhet, Mondor). L’elemento che tutte le accomuna, differenziandole dalle varicoflebiti, è la normalità del quadro emodinamico e la prevalenza in senso etiopatogenetico delle alterazioni emocoagulative e di quelle strutturali. Un terzo gruppo di TVS, che possono impiantarsi su vena sana o su vena varicosa, sono quelle da causa esogena (post-traumatiche, da ustioni, iatrogene, settiche). Nel complesso, comunque, tutte le TVS erano ritenute del Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1Dipartimento Biomedico di Medicina Interna e Specialistica (Di.Bi.M.I.S.), U.O. di Medicina Vascolare, Università degli Studi di Palermo 2I componenti del Gruppo sono riportati alla fine del documento, consultabile sul sito www.siapav.it tutto benigne e ben distinte in tal senso dalle TVP, essendo tale distinzione supportata non solo dall’osservazione clinica ed istologica e dal quadro emodinamico, ma anche dalla diversa prognosi e dal diverso approccio terapeutico. In realtà, la TVS presenta una rilevanza clinica che eccede spesso la semplice localizzazione, tanto da dover essere considerata in molti casi come una TVP. Una puntuale valutazione del ruolo della TVS comporta infatti un approfondimento dei vari aspetti, constatando come, a fronte di un’apparente banalità e/o benignità, si individuino problematiche prognostiche talora abbastanza complesse. La diagnosi di Trombosi Venosa Superficiale è generalmente stabilita sulla base dei segni clinici (rubor, calor, tumor, dolor) lungo il decorso anatomico delle vene superficiali e/o dalla presenza di un cordone sottocutaneo palpabile, duro, caldo e dolente. Tuttavia l’impiego dell’eco-color-Doppler è fortemente raccomandato, data la possibile estensione prossimale ed il possibile coinvolgimento delle vene profonde, ed anche in considerazione della opportunità di definire le caratteristiche della malattia in rapporto alle condizioni della vena interessata, localizzazione e patogenesi. Proposta di modello di percorso diagnostico e terapeutico per la TVS Partendo da tali considerazioni e dalla necessità di un approccio clinico-diagnostico e terapeutico differenziato per le varie forme di TVS, il Consiglio Direttivo Nazionale della SIAPAV in carica ha stabilito di elaborare un documento, denominato Modello di Percorso Diagnostico e Terapeutico per la Trombosi Venosa Superficiale, che si propone di fornire ai Medici di Medicina Generale (MMG) e agli Specialisti Vascolari (SV) un indirizzo comu- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 71 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 72 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MILIO CLINICA DELLE TROMBOSI VENOSE SUPERFICIALI (TVS) E PRESENTAZIONE DI UN MODELLO DI PERCORSO... Tabella I. – Classificazione clinica delle TVS. ne finalizzato a realizzare un trattamento medico di qualità nei pazienti con TVS, in ottemperanza agli standard segnalati da Linee Guida (LLGG) nazionali ed internazionali. Nel redigere il documento, il Gruppo di Lavoro (GdL) ha seguito le direttive nazionali ed internazionali per la definizione di un PDT, nell’auspicio che esso possa rappresentare il riferimento per la redazione di specifici documenti locali, al fine di offrire strategie e tattiche assistenziali comuni ed equivalenti su tutto il territorio nazionale. La metodologia seguita ha in primo luogo verificato la priorità delle TVS in relazione all’esigenza di definire un PDT ad hoc. Successivamente sono stati definiti i criteri per l’identificazione del GdL, delle LLGG di riferimento con relativa valutazione di qualità, della banca dati di riferimento per la ricerca degli aggiornamenti, della inte72 grazione e contestualizzazione dei contenuti, ponendo altresì attenzione all’aggiornamento, alla diffusione ed implementazione e, infine, alla valutazione dell’impatto. Le priorità della TVS, al fine di redigere un Modello di PDT ad hoc, sono state valutate secondo criteri oggettivi di prevalenza (3-11%), urgenza (estensione ed embolizzazione 0-33%), gravità (TVP contigua e/o concomitante 636%) e possibilità di intervento (framacologico, fisico, chirurgico). La strategia di trattamento di questi pazienti è in molti casi analoga a quella prevista per tutte le forme di TEV ma deve tener conto di 3 elementi: condizioni della vena interessata (sana o varicosa), localizzazione della trombosi (coinvolgimento della grande safena fino a 2-3 centimetri dalla confluenza o meno), presenza di fattori di rischio circostanziali, concausali e stati trombofilici. Il Consiglio Direttivo in carica nel 2011 e il Direttore del- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 73 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CLINICA DELLE TROMBOSI VENOSE SUPERFICIALI (TVS) E PRESENTAZIONE DI UN MODELLO DI PERCORSO... l’Ufficio Ricerche della SIAPAV sono il gruppo promotore, ed hanno provveduto a redigere la prima bozza del Modello di Percorso Diagnostico e Terapeutico per la TVS, alla cui stesura finale hanno partecipato, fra gli altri, i referenti della Società Italiana di Diagnostica Vascolare (SIDV), di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE), per lo Studio dell’Emostasi e Trombosi (SISET), e delle due principali Società di Medicina Generale (FIMMG e SIMG) Le Linee Guida identificate come riferimento iniziale per la redazione del documento sono quelle dell’ ACCP, del CIF, della SIAPAV, SISET, SIDV-GIUV, dell’AAFP, dell’ICSI ed altre riportate nel documento. Poichè esse adottano differenti criteri per indicare il peso delle evidenze e la forza delle raccomandazioni, è stata operata una sintesi, per cui la gradazione indicata accanto ai principali suggerimenti decisionali è la seguente: GRADO A: suggerimento supportato da studi clinici controllati e randomizzati, coinvolgenti un ampio numero di pazienti; GRADO B: suggerimento che deriva da un numero limitato di studi, condotti su campioni relativamente ridotti, o da corrette metanalisi di studi non randomizzati o da registri osservazionali; GRADO C: suggerimento basato su documenti di consenso tra esperti. La banca dati prescelta per la ricerca degli aggiornamenti rispetto alle Linee Guida citate è stata Medline Pub-Med. Il processo di integrazione e contestualizzazione dei contenuti delle LLGG all’interno del PDT ha tenuto conto dell’attuale organizzazione assistenziale italiana e anche dei progetti di rimodulazione indicati dalle autorità regolatorie. Il MMG e lo SV sono i principali riferimenti perché il paziente con TVS riceva un trattamento medico di qualità (best medical treatment). Il loro rapporto collaborativo, la loro integrazione e condivisione rafforzerà, in ultimo, il patto a favore del malato, consentendo l’attuazione delle migliori pratiche nei confronti di esso. Il gruppo di lavoro prevede un aggiornamento del PDT- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 MILIO TVS almeno triennale, in linea con la durata in carica del Consiglio Direttivo della Società. L’aggiornamento sarà realizzato secondo le direttive del Consiglio Direttivo in carica. La diffusione del PDT-TVS avverrà mediante pubblicazione nei siti web della SIAPAV e delle Società Partecipanti. Infine, l’Ufficio Ricerche della SIAPAV elaborerà degli indicatori misurabili e monitorabili per valutare l’impatto del Modello di PDT-TVS nella pratica clinica italiana. Bibliografia 1. American College of Chest Physicians. Antithrombotic Therapy for venous thromboembolic disease: ACCP-BCPG (8th Edition). Chest 2008;133(suppl 6):454S-545S. 2. Collegio Italiano di Flebologia (C.I.F.). Linee Guida sulla diagnosi, prevenzione e terapia della Malattia Tromboembolica. Acta Phlebologica 2003;4:53-75. 3. Décousus H, Bertoletti L, Frappé P, Becker F, Jaouhari AE, Mismetti P, et al. Recent findings in the epidemiology, diagnosis and treatment of superficial-vein thrombosis. Thromb Res 2011;127(s3):S81-S85. 4. Decousus H, Prandoni P, Mismetti P, Bauersachs RM, Boda Z, Brenner B, et al. CALISTO Study Group. Fondaparinux for the tretment of Superficial-Vein Thrombosis in the Legs. N Engl J Med 2010;363:1222-32. 5. Leon L, Giannoukas AD, Dodd D, Chan P, Labropoulos N. Clinical significance of superficial vein thrombosis. Eur J Vasc Endovasc Surg 2005;29:10-7. 6. Litzendorf ME, Satiani B. Superficial venous thrombosis: disease progression and evolving treatment approaches. Vasc Health and Risk Managem 2011;7:569-75. 7. Milio G. Moderno approccio alla trombosi venosa superficiale. Min Cardioangiol 2010;58(6 s1):73-5. 8. Milio G, Siragusa S, Minà C, Amato C, Corrado E, Grimaudo S, et al. Superficial venous thrombosis: prevalence of common genetic risk factors and their role on spreading to deep veins. Thromb Res 2008;123:194-9. 9. SIAPAV, SISET, SIDV-GIUV, CIF. Linee-guida per la diagnosi e il trattamento della Trombosi Venosa Profonda. Min Cardioangiol 2000;48:201-75. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 73 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 74 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):74-5 La TVS sentinella: programma di screening in Medicina Generale R. LAURORA La proposta di uno screening in Medicina Generale sulle flebiti di vena sana (dette “sentinella”) è assolutamente innovativa e prevede una valutazione multidisciplinare per poter essere considerata nella sua fattibilità. Materiali e metodi L’incidenza della TVS è poco nota, perché finora il ruolo di questa patologia è stato trascurato e sottovalutato. Si stima che la sua prevalenza sia nel sesso maschile come nel femminile sia almeno il doppio rispetto alla TVP e l’incidenza sia >1 caso per 1000 persone/anno ma la difficoltà a fare uno studio epidemiologico corretto e la necessità di fare un lungo follow up dopo l’episodio di TVS non facilitano le cose. La TVS è tradizionalmente considerata “malattia benigna” nonostante sia riportata in percentuali variabili ma comunque significative, a seconda dei lavori, l’associazione con TEV: è infatti riportata l’associazione con TVP nel 6-44% dei casi, con EP asintomatica nel 20-33% e con EP sintomatica nel 2-13% con il maggiore rischio per TEV se la trombosi è della vena grande safena. La possibilità di portare avanti questo progetto parte dalle poche esperienze già presenti in letteratura, sia sull’opportunità di effettuare uno screening nelle TVP sia sulla valutazione farmaco economica delle stesse; inoltre, per avere informazioni sulle conoscenze attualmente in possesso dei MMG, è stato somministrato loro un breve questionario, in modo che sia possibile valutare i bisogni formativi su questo tema. Conclusioni Le tromboflebiti insorgenti su vena sana sono una piccola quota delle TVS ma la possibilità, per altro non ancora dimostrata, di poter sospettare patologie ben più gravi, come quelle tumorali, reumatiche, da alterazione della bilancia coagulative e fibrinolitica o alterazioni dell’endotelio “rivelate” dal loro precoce riconoscimento, porta ad avere maggior attenzione e considerazione per tale patologia che finalmente viene riconosciuta meno “benigna” di quanto sia finora apparsa. Bibliografia 1. Agnelli G, Gussoni G, Bianchini C, et al. Nadroparin for the prevention of thromboembolic events in ambulatory patients 74 Venezia 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. with metastatic or locally advanced solid cancer receiving chemotherapy: a randomised, placebo-controlled, doubleblind study. Lancet Oncol epub 2009. American Academy of Family Phisicians, American College of Physicians. Management of Venous Thromboembolism: a systematic revue for a Practice Guideline. Annals of Internal Medicine 2007;146:211-22. American College of Chest Physicians. Antithrombotic Therapy for venous thromboembolic disease: ACCP-BCPG (8th Edition). Chest 2008;133(suppl 6):454S-545S. Bauersachs R., Décousus H., Prandoni P., Leizorovicz A., For the CALISTO Investigators. Fondaparinux 2.5 mg for the treatment of superficial vein thrombosis (SVT): the randomized double-blind placebo-controlled CALISTO trial in 3002 patients. Blom JW. Malignancies, prothrombotic mutations, and the risk of venous thrombosis. JAMA. 2005;293:715-22. Blondon M, Righini M, Bounameaux H, Veenstra DL. Fondaparinux for isolated superficial-vein thrombosis of the legs: a cost-effectiveness analysis Chest (impact factor: 6.36). 07/2011; DOI: 10.1378/CHEST.11-0625. Collegio Italiano di Flebologia (C.I.F.). Linee Guida sulla diagnosi, prevenzione e terapia della Malattia Tromboembolica. Acta Phlebologica 2003;4:53-75. De Moerlose P, Wutschert R, Heinzmann M, Perneger T, Reber G, Bounameaux H. Sis of lower limbs: influence of Factor V Leiden, Factor G20210A and overweight. Thromb Haemost 1998;80:239-41. Décousus H, Bertoletti L, Frappé P, Becker F, Jaouhari AE, Mismetti P, et al. Recent findings in the epidemiology, diagnosis and treatment of superficial-vein thrombosis. Thromb Res 2011;127(s3):S81-S85. Decousus H, Prandoni P, Mismetti P, Bauersachs RM, Boda Z, Brenner B, et al. CALISTO Study Group. Fondaparinux for the treatment of Superficial-Vein Thrombosis in the Legs. N Engl J Med 2010;363:1222-32. Decousus H, Quere I, Presles E, Becker F, Barrellier MT, Chanut M, et al. POST (Prospective Observational Superficial Thrombophlebitis) Study Group. Superficial vein thrombosis and venous thromboembolism: a large prospective epidemiological study. Ann Intern Med 2010;152:218-24. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 75 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA TVS SENTINELLA: PROGRAMMA DI SCREENING IN MEDICINA GENERALE 12. Di Minno G, Mannucci PM, Tufano A, Palareti G, Moia M, Baccaglini U, et al. First Ambulatori Screening on Thromboembolism ((FAST) Study Group. The first ambulatori screening on thromboembolism: a multicentre, cross-sectional, observational study on risk factors for venous thromboembolism. J Thromb Haemost 2005;3:1459-66. 13. Galanaud JP, Genty C, Sevestre MA, Brisot D, Lausecker M, Gillet LJ, et al. The OPTIMEV SFMV investigators. Predictive factors for concurrent deep-vein thrombosis and symptomatic venous thromboembolic recurrence in case of superficial venous thrombosis. The OPTIMEV Study. Thromb Haemost 2010;152:218-24. 14. Haas SK, Kakkar ak, Kemkes-Matthes B, et al. Prevention of venous thromboembolism with low molecular weight heparin in patients with metastatic breast or lung cancer- results of the TOPIC studies. J Thromb Haemost 2005; 3 (Suppl 1: abstract OR059. 15. Institute for Clinical Systems Improvement (ICSI). Health Care Guidelines: VTE Thromboembolism (8th Edition). 2007 www.icsi.org. 16. Khorana AA. Development and validation of a predictive model for chemotherapy-associated thrombosis. Blood. 2008 May 15;111(10):4902-7. 17. Kuderer NM. A meta-analysis and systematic review of the efficacy and safety of anticoagulants as cancer treatment: impact on survival and bleeding complications. Cancer. 2007;110:1149-61. 18. Legnani C, Cini M, Pili C, Lo Manto G, Frascaro M, Boggian O, Palareti G. Inherited or acquired thrombophilic alterations (TAs) in patients with for superficial vein thrombosis (SVT). Journal of Thrombosis and Haemostasis 2009; Volume 7, Supplement 2: Abstract PP-TH-282 19. Leon L, Giannoukas AD, Dodd D, Chan P, Labropoulos N. Clinical significance of superficial vein thrombosis. Eur J Vasc Endovasc Surg 2005;29:10-7. 20. Linee Guida AIOM 2009. 21. Linee Guida ASCO. J Clin Oncol. 20071;25:5490-505. 22. Linee Guida ESMO 2009 11. 23. Litzendorf ME, Satiani B. Superficial venous thrombosis: disease progression and evolving treatment approaches. Vasc Health and Risk Management 2011;7:569-75. 24. Marchiori A, Mosana L., Prandoni P., Superficial Vein Thrombosis: risk factors, diagnosis and treatment. Seminars in thrombosis and hemostasis/vol.32, number 7 2006. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 LAURORA 25. Milio G, Amato C, Ferrara F, Cospite V, Genova C, Cospite M. Trombosi venose superficiali ed estensione al circolo profondo: ruolo dei fattori di rischio genetico per la trombosi. Min Cardioangiol 2003;51(6 s 1):213-5. 26. Milio G, Siragusa S, Malato A, Grimaudo S, Pinto A. Superficial venous thrombosis: role of inherited deficiency of natural anticoagulants in extension to deep veins. Int Angiol 2009;28:298-302. 27. Milio G, Siragusa S, Minà C, Amato C, Corrado E, Grimaudo S, et al. Superficial venous thrombosis: prevalence of common genetic risk factors and their role on spreading to deep veins. Thromb Res 2008;123:194-9. 28. Milio G. Moderno approccio alla trombosi venosa superficiale. Min Cardioangiol 2010;58(6 s1):73-5. 29. Milio G; Siragusa S; Minà C; Amato C; Corrado E; Grimaudo S; Novo S. Superficial venous thrombosis: prevalence of common genetic risk factors and their role on spreading to deep veins.Thrombosis research 2008;123:194-9. 30. Piccioli A. Prandoni P. Studio SOMIT II: screening per neoplasie maligne in pazienti con trombosi venosa profonda idiopatica 2011 31. Piccioli A; SOMIT Investigators Group. Extensive screening for occult malignant disease in idiopathic venous thromboembolism: a prospective randomized clinical trial. J Thromb Haemost. 2004;2:884-9. 32. Prandoni P. Trombosi venosa e cancro Rivista: RIMeL IJLaM, Vol. 5, N. 2, 2009 (MAF Servizi srl ed.) Pagina/e:113118. 33. SIAPAV, SISET, SIDV-GIUV, CIF. Linee-guida per la diagnosi e il trattamento della Trombosi Venosa Profonda. Minerva Cardioangiologica 2000;48:201-75. 34. The STENOX Study Group. A randomized double-blind comparison of low-molecular-weight-heparin, a non-steroidal anti-inflammatory agent, and placebo in the treatment of superficial-vein thrombosis. Arch Intern Med 2003;163:165763. 35. The VESALIO Investigators Group. High vs low doses of low-molecular-weight-heparin for the treatment of superficial vein thrombosis of the legs: a double-blind, randomized trial. J Thromb Haemost 2005;3:1152-7. 36. Verlato F, Zucchetta P, Prandoni P, Camporese G, Mazzola MC, Salmistraro G, et al. An unexpectedly high rate of pulmonary embolism in patients with superficial thrombophlebitis of the thigh. J Vasc Surg 1999;30:1113-5. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 75 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 76 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):76-7 Fattori di rischio e TVS S. DE MARCHI L’incidenza della trombosi venosa superficiale (TVS) è di 125.000 casi per anno negli stati uniti, ma tale stima risulta largamente sottodimensionata per l’elevato numero di casi non diagnosticati o non riportati. Molti studi evidenziano una maggior prevalenza nel sesso femminle e una crscente prevalenza con l’aumento dell’età 1-5. La causa più frequente di trombosi venosa superficiale (TVS) agli arti inferiori è la presenza di varicosità dei segmenti venosi interessati. Le varici sono infatti presenti nel 60-70% dei casi. I restanti casi possono trovare una genesi in condizioni patologiche che per vari motivi introducono un rischio trombofilico, tali condizioni patologiche sono considerate: obesità, immobilità, traumatismi, le malattie autoimmuni, malattie di Bechet e Buerger, le neoplasie, l’uso di catetere venoso e le forme di trombofilia congenita 2-5. Sebbene la TVS idiopatica possa svilupparsi lungo le vene degli arti superiori o del tronco, gli arti inferiori sono la regione decisamente più interessata; in particolare i territori safenici e le comunicanti. L’interessamento monolaterale è decisamente più frequente, mentre nel 510% dei casi è bilaterale o migrante. Molti dei fattori di rischio per TVS sono gli stessi che possiamo ritrovare per il tromboembolismo in generale. La presentazione di TVS su vena sana e su vena varicosa può indirizzare a diverse ipotesi patogenetiche. La TVS su vena sana, apparentemente senza alcuna causa e particolarmente se migranti e multiple, deve far porre il sospetto della presenza di una neoplasia sottostante (forma paraneoplastica) oppure di altra patologia non neoplastica: in queste condizioni l’episodio tromboflebitico può precedere, talvolta di mesi, l’aperta manifestazione clinica della malattia; in questi casi è evidente il vantaggio di inquadrare con chiarezza e tempestività la patologia di base con trattamente più precoce della patologia. L’obesità costituisce un fattore di rischio generale che determina una condizione di stasi facilitante la formazione di trombosi a carico delle vene superficiali. Anche le aterazioni ormonali e particolari condizioni possono determinare un rischio aggiuntivo di TVS: fra queste ricordiamo la gravidanza e l’uso di contraccettivi orali. IL traumatismo vasale è una condizione che si ritrova in particolare durante il cateterismo venoso, in aggiunta vi 76 DAI Cardiovascolare e Toracico, Unità Operativa Complessa di Riabilitazione Vascolare, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona può essere un insulto chimico a livello endoteliale; tali condizioni sono predisponenti la formazione di trombosi. Le trombosi venose superficiali su catetere presentano facilmente evolutività e possibile complicanza infettiva. Una forma particolare è la TVS di Mondor che si configura come trombosi a carico di vene torco-epigastriche, in particolare nel sesso femminile si associa a neoplasie (mammaria). Di particolare interesse e frequenza è l’associazione con malattie infiammatorie croniche o forme di tipo autoimmune. Le connettiviti ed il m. di Bechet costituiscono una condizione facilitante in quanto si realizza un esteso e cronico danno endoteliale che può innescare la formazione di trombo a livello parietale. Importante è la presenza di anticorpi anti fosfolipidi che sostituisce un forte fattore di rischio per trombosi sia superficiale che profonda come per complicanze arteriose. Anche le eventuali forme vasculitiche associate sono frequentemente complicate da TVS. Le tromboangioiti come il m di Buerger presentano una associazione stretta con il presentarsi di TVS per flogosi vasale sia arteriosa che venosa 7. La presenza di policitemia può inoltre essere causa di TVS con una certa frequenza, in particolare se associata ad altri fattori di rischio. Infine, non va trascurata la ricerca di fattori trombofilici. Uno recente studio effettuato su un campione di 112 pazienti consecutivi affetti da TVS, ha dimostrato che il Fattore V Leiden era presente nel 14% dei pazienti con TVS e nel 6%. Anche la Mutazione G20210A della protrombina è significativamente incrementata nella popolazione di pazienti con TVS. Altre mutazioni possono ovviamente essere riscontate, come deficit Prot.C, Prot.S, deficit AT III, mutazione gene MTHFR; ovviamente l’associazione di più forme aumenta la possibilità di estensione del fenomeno con coinvolgimento del circolo venoso profondo. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 77 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) FATTORI DI RISCHIO E TVS DE MARCHI Milio et al hanno inoltre dimostrato come nella genesi della TVS siano importanti sia i fattori di rischio genetici per la trombosi, ma anche il deficit degli inibitori, analogamente a quanto ormai precedentemente dimostrato per le trombosi venose profonde. Ciò è particolarmente vero per le TVS su vena sana insorte senza una causa apparente dimostrabile; l’alterazione della struttura venosa in se’ costituisce infatti uno stimolo alla genesi della trombosi. Le alterazioni genetiche trombofiliche, in particolare il Fattore V Leiden e la mutazione dell’enzima MTHFR, ma anche i deficit degli inibitori naturali, sono causa importantissima di estensione del processo trombotico dal versante superficiale a quello profondo e ciò pare in modo indipendente dal fatto che la TVS si sia generata su vena sana o su vena malata. Bibliografia 1. Di Nisio M, Wichers IM, Middeldorp S. Treatment for super- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 2. 3. 4. 5. 6. 7. ficial thrombophlebitis of the leg. Cochrane Database Syst Rev. 2007. Coon WW, Willis PW 3rd, Keller JB. Venous thromboembolism and other venous disease in the Tecumseh community health study Circulation. 1973;48:839-846. .Marchiori A, Mosena L, Prandoni P. Superficial vein thrombosis: Risk factors, diagnosis, and treatment. Semin Thromb Hemost. 2006;32:737-743. Leon L, Giannoukas AD, Dodd D, et al. Clinical significance of superficial vein thrombosis. Eur J Vasc Endovasc Surg. 2005;29:10-17. Meissner MH, Wakefield TW, Ascher E, et al. Acute venous disease: Venous thrombosis and venous trauma. J Vasc Surg. 2007;46 Suppl. Milio G. Moderno approccio alla trombosi venosa superficiale. Min Cardioangiol 2010;58(6 s1):73-5. Litzendorf ME, Satiani B. Superficial venous thrombosis: disease progression and evolving treatment approaches. Vascular Health and Risk Management 2011;7:569-575. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 77 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 78 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):78-80 Nuovi anticoagulanti orali: caratteristiche e possibile impiego nella TVS B. COSMI, M. SARTORI Sebbene la TVS sia considerata tradizionalmente un disordine benigno ed auto-limitantesi e sebbene la sindrome varicosa sia il fattore predisponente più frequente, la TVS può essere manifestazione di trombofilie congenite od acquisite e neoplasie , specie in caso di TVS recidivanti o migranti. Inoltre la TVS riconosce gli stessi fattori di rischio della TVP quali età avanzata, immobilità, gravidanza, puerperio ed uso di terapia estroprogestinica. L’Eco-Doppler venoso è indagine necessaria nella diagnosi iniziale per escludere la complicanza più temuta della TVS di vena grande safena alla coscia o della v. piccola safena a ovvero l’estensione in profondità con TVP e/o embolia polmonare quando la TVS si estende alle cross (safeno femorale per la v. safena e v. poplitea per la piccola safena) (Bounameaux 1997; Quenet 2003; Unno 2002; Verlato 1999). Uno studio osservazionale più recente (POST: Observational Superficial Thrombophlebitis, 2010) è stato condotto per valutare la prevalenza di tromboembolismo venoso in pazienti con TVS isolata al reclutamento e per valutare l’incidenza di complicanze tromboemboliche nel corso di un periodo di osservazione di tre mesi. Dei 600 pazienti idonei, senza TVP o EP all’inclusione, 58 hanno sviluppato complicanze tromboemboliche al follow up di tre mesi (EP 0.5%, TVP 2.8%, estensione della TVS 3.3% e recidiva di TVS 1.9%). Fattori di rischio per le complicanze erano il sesso maschile, storia di TVP o EP, pregressa neoplasia e assenza di vene varicose. La variabilità delle stima delle complicanze associate alle TVS dipende non solo dalla diversità delle popolazioni, ma anche dal diverso follow-up della TVS e dalla completezza delle indagini impiegate per esplorare il sistema venoso profondo e il circolo polmonare. Nonostante queste potenziali rilevanti complicanze non è stato ancora stabilito il trattamento ottimale della TVS, specie degli arti inferiori. Le opzioni terapeutiche finora proposte comprendono calze elastiche, antinfiammatori, eparina ed anticoagulanti orali. Altre possibilità sono la trombectomia locale, la legatura della cross safeno-femorale e lo 78 UO Angiologia e Malattie della Coagulazione M. Golinelli, Dipartimento Cardio-Vascolare Azienda Universitario-Ospedaliero S. Orsola-Malpighi, Bologna stripping venoso. Gli scopi del trattamento della TVS sono oltre alla riduzione dei sintomi locali anche la prevenzione della ricorrenza e della estensione locale e la prevenzione dell’estensione in profondità in TVP attraverso le cross o le vene perforanti. Pochi sono gli studi clinici randomizzati condotti nel trattamento della TVS rispetto alla mole di studi condotti nel trattamento delle TVP finora, verosimilmente per la difficoltà di definire la terapia ottimale in relazione alla diverse localizzazioni. Infatti mentre la varicoflebite di collaterali e di limitata estensione potrebbe giovarsi di un trattamento conservativo per la minor possibilità di complicarsi in TVP, la TVS di vena safena alla coscia o di vena piccola safena alla gamba è potenzialmente a rischio di estensione in profondità e anche di embolia polmonare e dunque potrebbe richiedere un trattamento più aggressivo. L’ eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare e gli anticoagulanti orali sono il trattamento di riferimento nella prevenzione e trattamento del tromboembolismo venoso. Se la TVS si avvicina a più di 3 cm alla cross (safeno-femorale o safeno-poplitea) si ritiene che la TVS sia praticamente diventata una TVP e pertanto meriti il trattamento della TVP con eparina seguita da anticoagulanti orali per almeno 3 mesi. Una revisione sistematica (peraltro di case-series) ha indicato che l’anticoagulazione con eparina seguita da anticoagulanti orali è più efficace del trattamento chirurgico (legatura della cross safenofemorale da sola o con stripping venoso associato o meno a legatura delle perforanti) nella prevenzione di TVP ed EP nella TVS di v. grande safena di coscia (Sullivan et al. 2001). Le TVS che non coinvolgono il circolo profondo in particolare le TVS che sono a più di 3 cm dalla cross safeno femorale o safeno poplitea sono ritenu- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 79 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) NUOVI ANTICOAGULANTI ORALI: CARATTERISTICHE E POSSIBILE IMPIEGO NELLA TVS te a più basso rischio di complicanze quali EP e pertanto si ritiene che esse meritino un trattamento più breve. Gli studi clinici condotti finora per le TVS non coinvolgenti le cross safeno-femorali o safeno-poplitee hanno utilizzato eparina non frazionata ed eparine a basso peso molecolare per periodi brevi (da 10 giorni a 4 settimane) e più di recente è stato valutato un derivato sintetico dell’eparina a basso peso molecolare ovvero il pentasaccaride Fondaparinux per un periodo di 6 settimane. Gli studi copn eparina non frazionata ed eparina a basso peso molecolare non hanno fornito risultatai significativi ciorca al dose e la durata del trattamento. Lo studio CALISTO (Comparison of Arixtra in Lower Limb Superficial Vein Thrombosis with Placebo, Decousus et al, 2010) è stato lo studio internazionale più ampio condotto finora su TVS svoltosi in 171 centri in 17 paesi. Si tratta di uno studio randomizzato in doppio cieco su 3002 pazienti che hanno ricevuto Fondaparinux 2.5 mg/die s.c. o Placebo. I pazienti erano affetti da TVS isolata senza concomitante TVP o EP, trattati per 45 giorni e seguiti fino al giorno 77. L’end-point primario di efficacia era il composito di: morte per qualsiasi causa, embolia polmonare sintomatica, TVP sintomatica, estensione sintomatica della TVS alla giunzione safeno-femorale, recidiva sintomatica di TVS al giorno 47. il principale end-point di sicurezza era l’emorragia maggiore. L’end-point primario di efficacia è stato osservato in 13 pazienti su 1502 (0.9%) nel gruppo Fondaparinux e 88 pazienti (5.9%) nel gruppo Placebo (riduzione del rischio relativo con Fondaparinux del 85%, intervallo di confidenza – IC – 74-92 = 95%, p < 0.01). L’incidenza dei singoli componenti dell’end-point di efficacia è stata significativamente ridotta nel gruppo Fondaparinux ad eccezione dell’outcome di morte (0.1% in entrambi i gruppi). Il tasso di EP o TVP è stato del 85% inferiore nel gruppo Fondaparinux rispetto al gruppo Placebo (0.2% vs 1.3%, IC 74-95 = 93%, p < 0.001). Simile riduzione si è ottenuta al giorno 77. L’emorragia maggiore si è verificata in 1 paziente per ciascun gruppo. L’incidenza di eventi avversi è stata di 0.7% con Fondaparinux, 1.1% con Placebo. I risultati dello studio CALISTO indicano che è necessario trattare 88 pazienti con TVS per prevenire 1 caso di EP o TVP. Lo studio CALISTO ha dimostrato come la TVS meriti un trattamento anti-trombotico prolungato e che in caso di Fondaparinux può essere utliizzata la dose utilizzata nella profilassi del tromboembolismo venoso. Non ci sono studi che riguiardini l’uso dei nuovi anticoagulanti che sono inibitori diretti del fattore IIa ( dabigatran) o del fattore Xa (rivaroxaban o apixaban). Peraltro l’uso del fondaparinux che è un inibitore indiretto del FXa potrebbe prospettare l’utilità dei nuovi anticoagulanti nelle TVS. Inoltre i nuovi anticoagulanti orali potrebbe essere più maneggevoli dell’eparina e del fondaparinux che invece richiedono la somministrazione sottocutanea. Rimane peraltro ancora incerta la dose e la durata ottimale del trattamento della TVS con eparina a basso peso Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 COSMI molecolare. Gli studi finora pubblicati nel trattamento della TVS con EBPM non hanno dimostrato con certezza se nel caso del trattamento con EBPM sia sufficiente una dose profilattica o sia necessaria una dose terapeutica e quale sia la durata ottimale del trattamento (10 gg vs. 30 gg) , pur essendoci la dimostrazione dell’efficacia del Fondaparinux a dose profilattica per 6 settimane rispetto al placebo. La Parnaparina ( Fluxum) è un’eparina a basso peso molecolare che è disponibile in Italia ed altri paesi europei. Si tratta di un sale sodico ottenuto per depolimerizzazione con perossido di idrogeno e sale cuprico dell’eparina non frazionata derivata dall’intestino di maiale. La Parnaparina ha un peso molecolare tra 4.000 e 6.000 D con rapporto tra attività anti-Xa e anti-II a pari a 1.5-3.0. La Parnaparina è stata valutata in studi clinici randomizzati per la prevenzione ed il trattamento del tromboembolismo venoso (Camporese, 2009). Lo studio prospettico, randomizzato in doppio cieco, policentrico nazionale (STEFLUX : Superficial Thrombophlebitis and Fluxum, in via di pubblicazione) si è prefisso di chiarire se la trombosi venosa superficiale, da molti considerata una affezione benigna, meriti un trattamento più aggressivo e prolungato con l’associato maggior rischio di complicanze emorragiche rispetto ad un trattamento meno aggressivo, con dosi ridotte e di minor durata con minori rischi emorragici e minor disagio al paziente.Lo scopo dello studio è stato valutare non solo se una dose intermedia della EBPM Parnaparina rispetto a quella terapeutica sia più efficace di una dose profilattica ma anche di valutare se siano sufficienti 10 giorni di trattamento rispetto a 30 giorni. Pazienti ambulatoriali con trombosi venosa superficiale degli arti inferiori diagnosticata con Eco-(Color)Doppler venoso in fase acuta di almeno 4 cm della v.grande o piccola safena o collaterali sono stati randomizzati in doppio cieco a ricevere (siringhe di uguale aspetto), in scatole con numerazione consecutiva: A. Parnaparin alla dose di 8.500 UI aXa una volta al giorno sottocute per 10 gg; B. Parnaparin alla dose di 8.500 UIaXa al dì per 10 giorni seguito da Parnaparin 6.400 UIaXa al dì per le successive tre settimane; C. Parnaparin alla dose di 4.250 UIaXa al dì per 30 gg. La dose più alta di parnaparina ( gruppo B) si è dimostrata più efficace degli altri due regimi ( A e C) nel ridurre in maniera significativa l’end-point combinato di TVP sintomatica ed asintomatica, recidiva e/o estensione locale della TVS, o embolia polmonare sintomatica. Bibliografia 1. Bounameaux H, Reber-Wasem MA. Superficial thrombophlebitis and deep venous thrombosis. A controversial association. Archives of Internal Medicine 1997; 157:1822-4 2. Quenet S, Laporte S, Decousus H, Leizorovicz A, Epinat M, Mismetti P. STENOX Group. Factors predictive of venous thrombotic complications in patients with isolated superficial vein thrombosis. Journal of Vascular Surgery 2003;38:944-9 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 79 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 80 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MANNARINO LA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE OGGI 3. Verlato F, Zucchetta P, Prandoni P, Camporese G, Marzola MC, Salmistraro G, et al. An expectedly high rate of pulmonary embolism in patients with superficial thrombophlebitis of the thigh. Journal of Vascular Surgery 1999; 30:1113-5 4. POST (Prospective Observational Superficial Thrombophlebitis) Study Group. Superficial venous thrombosis and 80 venous thromboembolism: a large, prospective epidemiologic study. Ann Intern Med. 2010 Feb 16;152:218-24. 5. Camporese G, Bernardi E, Noventa F. Update on the clinical use of the low-molecular-weight heparin, parnaparin. Vasc Health Risk Manag. 2009;5:819-31. 6. Fondaparinux for the treatment of superficial-vein thrombosis in the legs. N Engl J Med. 2010 23;363: 1222-32. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 81 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):81-3 Classificazione e meccanismo patogenetico delle trombofilie congenite G. PESSINA Viene definita trombofilia la tendenza, determinata da cause congenite o acquisite, al tromboembolismo venoso e/o arterioso, che tipicamente è caratterizzata e dalla comparsa di manifestazioni cliniche anche in età giovanile (prima di 40-45 anni), senza cause apparenti e con la tendenza a recidivare. Va sottolineato che l’esistenza di uno stato trombofilico non esprime necessariamente la presenza continua di manifestazioni cliniche trombotiche. Anche se il concetto di trombofilia implica l’alterazione dell’equilibrio del sistema emostatico verso la trombogenesi, vi sono numerosi meccanismi compensatori che rendono episodica la trombosi. Affinché questi meccanismi si alterino e si sviluppi quindi la trombosi, è in genere necessario che più di un fattore trombofilico coesista. I fattori trombofilici congeniti sono frequenti nella popolazione generale, e vi è quindi un’elevata possibilità che coesistano fra di loro o con i fattori trombofilici acquisiti, rompendo così l’equilibrio emostatico e portando alle manifestazioni cliniche. La Tabella I elenca le principali cause di trombofilia. Esse sono state divise in congenite e acquisite, anche se questa distinzione è semplicistica, nella misura in cui le manifestazioni trombotiche sono spesso il risultato dell’interazione di fattori trombofilici appartenenti ad ambedue le categorie. Questa rassegna si limiterà a trattare gli stati trombofilici legati a cause congenite Viterbo Tabella I. – Principali stati trombofilici congeniti e acquisiti. Stati trombofilici congeniti – Carenza di antitrombina III – Carenza di proteina C – Carenza di proteina S – Resistenza alla proteina C attivata legata alla mutazione del gene del fattore V Arg506Gln (Fattore V Leiden) – Mutazione G20210A del gene della protrombina – Iperomocisteinemia Stati trombofilici acquisititimoli fisiologici o farmacologici: gravidanza (in particolare il periodo post-parto, stati post-operatori, immobilizzazione, traumi, età avanzata, uso di estrogeni ed estroprogestinici – Sindrome da anticorpi antifosfolipidi – In associazione con altre condizioni cliniche: tumori e chemioterapia antitumorale, infusione di concentrati del complesso protrombinico, sindrome nefrosica, piastrinopenia indotta da eparina, porpora trombotica trombocitopenia, malattie mieloproliferative, emoglobinuria parossistica notturna, iperlipidemia, diabete, iperviscosità, insufficienza cardiaca, talassemia – Iperomocisteinemia Materiali metodi e risultati La frequenza della carenza di antitrombina III nella popolazione generale è stimata intorno a 1:2,000-1:5,000. La trasmissione del difetto è autosomica dominante. La maggiore parte dei soggetti sono eterozigoti, con livelli plasmatici di antitrombina fra 40% e 70% del normale. Quasi cento diverse mutazioni sono state identificate come basi genetiche della carenza. In genere, le mutazioni sono tali da impedire la sintesi della proteina da parte dell’allele mutato, come delezioni, inserzioni e mutazioni nonsense. Vi sono anche mutazioni missense che non arrestano la sintesi della proteina ma producono alterazioni nella sua conformazione e stabilità. La frequenza della carenza di proteina C nella popolazione generale è di 1:500-1:700. Circa 200 mutazioni sono Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 state finora identificate. Sono frequenti le mutazioni che arrestano la sintesi della proteina (frameshift, nonsense, delezioni), ma vi sono anche singole sostituzioni aminoacidiche che evidentemente alterano il corretto dimensionamento della proteina e la rendono più instabile. Non vi sono dati sulla frequenza della carenza di proteina S nella popolazione generale. Finora, le mutazioni identificate non raggiungono il numero di cento (singole sostituzioni aminoacidiche, inserzioni, delezioni). La maggior parte dei casi di resistenza alla proteina C attivata è associata a una sostituzione nucleotidica del gene del fattore V sito nel cromosoma 1 (G1691A), che porta MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 81 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 82 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) PESSINA CLASSIFICAZIONE E MECCANISMO PATOGENETICO DELLE TROMBOFILIE CONGENITE alla sostituzione di arginina in posizione 506 con glutammina. Questa mutazione diversamente dalle carenze degli anticoagulanti naturali determina un eccesso di funzione coagulante del fattore V. È assai frequente nella popolazione generale Europea e Nord Americana di origine Caucasica, con un gradiente. dal Nord al Sud fra 10-15% in alcune regioni della Svezia, 2-3% nell’Italia Settentrionale, fino a 1% nell’Italia Meridionale. La trasmissione della mutazione è autosomica dominante. La sostituzione nucleotidica di guanina con adenosina nella posizione 20210 della regione 3’ non codificante del gene della protrombina ha una frequenza nella popolazione generale assai alta e tipica di un polimorfismo (0,34%), con un gradiente di frequenza geografica che appare inverso a quello del fattore V Leiden (più frequente nel Sud Europa che nel Nord). Anch’essa determina un eccesso di funzione della protrombina, con aumento dei livelli plasmatici. I portatori della mutazione hanno un aumento del rischio di tromboembolismo venoso che varia da 2 a 7 volte quello dei controlli senza la mutazione, rischio simile o leggermente inferiore a quello riscontrato per il fattore V mutato. L’omocisteina è un aminoacido sulforato presente nel plasma dell’individuo normale in concentrazioni variabili fra 5 e 15 Ïmol/L. Nel metabolismo dell’omocisteina sono coinvolti tre enzimi: la metilenetetraidrofolato reduttasi, enzima chiave nel ciclo dell’acido folico, la metionina sintetasi il cui coenzima è la vitamina B12 e la cistationina-‚sintetasi, che utilizza come cofattore enzimatico la vitamina B6. La carenza o anormalità funzionale di questi enzimi e/o la carenza acquisita di cofattori vitaminici determina un difettoso metabolismo dell’aminoacido e quindi il suo accumulo nel plasma in elevate concentrazioni. I possibili meccanismi patogenetici con cui l’omocisteina è in grado di favorire eventi aterotrombotici sono molteplici (Thambyrajah e Towned, 2000). Uno dei più noti riguarda il danno endoteliale promosso dallo stress ossidativo (Marshall e Bargert, 1997). L’omocisteina può andare incontro ad autossidazione con formazione di dimeri disulfidici di omocisteina, di omocisteina-cistina, di omocisteina-proteine. L’ossidazione comporta rilascio di due protoni e due elettroni promuovendo così la formazione di Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS). Variazioni dell’equilibrio esistente tra livelli di ROS prodotti e livelli di antiossidanti endogeni determina lo stress ossidativo che sta alla base del processo di aterosclerosi. I ROS sono in grado di reagire con le proteine delle LDL, con il lipidi contenuti nelle lipoproteine e nella membrana plasmatica disgregandola e/o alterandone la permeabilità. Inoltre possono danneggiare gli acidi nucleici provocando rotture a singolo e doppio filamento e causare modifiche delle basi azotate. È stata inoltre indagata l’interazione dell’omocisteina coi fattori della coagulazione da una parte e coi componenti della parete vasale dall’altra. Numerose evidenze sperimentali mostrano come aumentate concentrazioni di omocisteina ostacolino i sistemi anticoagulanti naturali (proteina C attivata e trombomodulina) (Lentz e Sadler, 1991; Hayashi et al., 1992). L’omocistinuria determina riduzione dell’attività del fattore VII e dell’antitrombina III 82 ed un’aumentata attività del fattore V (Rodgers e Kane, 1986; Giannini e Coleman, 1975). È noto come l’endotelio abbia un’importante funzione omeostatica sulla reattività e sulla fisiologia vasale stessa, rappresentando il primo bersaglio dei fattori aterogenici, che sono in grado di alterare la funzione endoteliale attraverso un meccanismo ossidativo, stimolando la flogosi e la proliferazione delle cellule muscolari liscia alterando in maniera patologica la reattività vascolare (Ross R, 1993). L’omocisteina aumenta l’attività proliferativa dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce attraverso la produzione di ROS (Chambers e altri, 1999). In una metanalisi effettuata nel 1995 da Boushey e colleghi (Boushey e altri, 1995), gli autori conclusero che incrementi di 5 micromoli/l nei livelli plasmatici di omocisteina conferivano un rischio paragonabile ad un aumento di circa 20 mg/dl dei livelli di colesterolo totale (Chambers e altri, 1999). Il rischio vascolare associato all’iperomocisteinemia è graduale e progressivo e come per altri fattori di rischio non esiste un valore soglia (Malinow e altri, 1993; Selhub e altri, 1995). Inoltre va considerato che è importante valutare il rischio quando all’iperomocisteinemia si associano altri fattori di rischio vascolare. Numero studi hanno inoltre dimostrato che l’omocisteina riduce i livelli di Ossido nitrico (NO), una sostanza con azione vasodilatatrice, inibendo indirettamente l’enzima che lo produce a livello endoteliale (eNOS: endothelial nitric oxide synthase) aumentando i livelli di ADMA (asymmetric dimethylarginine). Inoltre l’omocisteina è in grado di aumentare la sintesi del colesterolo inducendo l’enzima chiave della via biosintetica ( HMG-CoA) (Gulliams (2004). È stato inoltre ipotizzato che uno dei meccanismi attraverso i quali l’iperomocisteinemia può favorire lo sviluppo di una serie di patologie associate all’invecchiamento potrebbe essere lo stabilirsi di una ridotta capacità genomico-riparativa collegata ad un deficit di donatori di metili con conseguente danno al DNA particolarmente lesivo in cellule perenni quali i neuroni. La condizione di iperomocisteinemia può essere corretta mediante integrazione nutrizionale con acido folico, vitamina B6, vitamina B12, Betaina (trimetilglicina). Lo stress ossidativo indotto dall’iperomocisteina può essere contrastato con terapia nutrizionale antiossidante. Considerazioni conclusive Dal momento che le alterazioni trombofiliche congeniti sono frequenti nella popolazione generale esiste un’elevata possibilità che coesistano fra di loro o con i fattori trombofilici acquisiti. Per questo motivo risulta di fondamentale importanza riconoscere le condizioni in cui sospettare un aumentato “rischio genetico” (eventi vascolari < 50 anni d’età, storia familiare, aborti ripetuti, ecc.) al fine di realizzare la ricerca di eventuali alterazioni genetiche all’insegna dell’appropriatezza clinica e prevenire con opportune misure terapeutiche e comportamentali l’avvento di eventi vascolari venosi e/o arteriosi. Bibliografia 1. Boushey CJ, Baresford SAA, Omenn GS, Motulsky AG. JAMA 1995;274:1049-1057. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 83 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CLASSIFICAZIONE E MECCANISMO PATOGENETICO DELLE TROMBOFILIE CONGENITE 2. Chambers J, McGregor A, Jean-Marie J, Obeid , Kooner J. Circulation 1999;99,1156-1160. 3. Hayashi T, Honda G, Suzuki LA. Blood 1992;19:2930-2936. 4. Giannini MJ, Coleman M, Innerfield I (1975). (letter) Lancet 1994;1. 5. Gulliams TG. Homocysteine – a risk factor for vascular disease: guidelines for the clinical practice. 2004,7:11-24. 6. Lentz S, Sadler J. J Clin Invest 1991,88:1906-1914. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 PESSINA 7. Malinow MR, Zikle M, Chambless LE, Nieto FJ, Bond G. Circulation 1993;87:1107-1113. 8. Marshall W, Bargert S. Biochimica in Medicina Clinica. Ed McGrow-Hill 1997;42:718-719. 9. Rodgers G, Kane W. J Clin invest 1986;77:1909-1916. 10. Selhub J, Jacques PF, Bostom AG e altri (1995) N Engl J Med 1995;332:286-291. 11. Thambyrajah J, Towned J. Eur Heart J 2000;21:967-974. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 83 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 84 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):84-5 Trombofilie e arteriopatie F. CONTI Il termine trombofilia definisce condizioni ereditarie o acquisite del sistema emostatico che predispongono in varia misura alla trombosi. Entrambe le condizioni possono coesistere nel medesimo soggetto. Questi difetti di uno o più fattori della coagulazione del sangue sono stati prevalentemente studiati nel’ambito della patologia venosa e hanno trovato una evidenza fisiopatologica e un riscontro positivo nell’individuare i soggetti a rischio e nel predisporre la profilassi e/o la terapia più adeguata. Nel contesto della patologia arteriosa del cuore e dei vasi sanguigni finora le cause o i fattori di rischio più frequenti sono raccolti in quella che oggi viene comunemente indicata come “sindrome metabolica” e che comprende una serie di fattori di rischio e sintomi che si manifestano contemporaneamente nell’individuo (peso eccessivo, iperdislipidemia, ipertensione arteriosa, diabete mellito ecc.). All’inizio del XX secolo le malattie cardiovascolari sono considerate come la causa di circa il 10% delle mortalità totale in tutto il mondo. Sul finire del secolo la percentuale è salita al 50% nei paesi industrializzati e secondo alcune stime si prevede che nel 2020 un terzo delle cause di morte nel mondo, includendo i paesi emergenti, sarà dovuto alle malattie cardiovascolari. Ogni anno in Italia muoiono circa 243 mila persone per malattie cardiovascolari. Oggi è possibile identificare i soggetti più a rischio ma i fattori conosciuti non sono sufficienti a spiegare tutti i casi di infarto, ictus e arteriopatie che si manifestano in individui non a rischio; per questo motivo la ricerca e gli studi clinici si sono indirizzati verso l’identificazione di nuovi marcatori, sia legati a cicli metabolici (tra cui i processi emocoagulativi o infiammatori) che a livello genico per ricercare la predisposizione genetica a tali patologie. Per tale motivo si è oggi consolidata una nuova dimensione molecolare della medicina , in particolare di un settore definito come “Medicina Predittiva”. L’interesse per la componente genetica della suscettibilità a malattie complesse sta assumendo sempre più importanza in quanto si sta mettendo in evidenza il ruolo di alcuni polimorfismi genetici relativamente comuni che se associati e combinati tra loro possono elevare di molto il rischio di tale patologie. Dall’analisi di tutti il lavori pubblicati nell’ambito della patologia arteriosa alcuni disturbi trombofilici hanno un 84 Centro per lo studio e il trattamento delle trombofilie familiari e acquisite, Azienda Ospedaliera S. Camillo Forlanini, Roma preciso ruolo fisiopatologico. I difetti più comunemente riscontrati sono: – mutazione per Fattore V di Leiden (G1691A); – mutazione per la Protrombina (G20210A); – deficit di Proteina C; – deficit di Proteina S; – deficit di Antitrombina III; – sindrome da anticorpi antifosolipidi; – iperomocisteinemia. Tra questi quelli che sembrano possedere un ruolo più significativo come fattore di rischio indipendente per aterosclerosi-trombosi sono l’iperomocisteinemia congenita o acquisita e la sindrome da anticorpi antifosfolipidi; questi due fattori si riscontrano più frequentemente nei soggetti di giovane età (< 50 anni) e senza altri particolari indici di rischio aterogeno conosciuto. L’iperomocisteinemia si associa spesso ad una variante termolabile dell’enzima MTHFR (C677T) oltre che a fattori esogeni legati a carenze polivitaminiche (acido folico, Vit. B6, Vit. B 12). Il suo meccanismo d’azione è polivalente: lesione endoteliale dovuta ai gruppi sulfidrilici, proliferazione di cellule muscolari lisce, ossidazione del colesterolo LDL. Recentemente è stata rilevata una seconda mutazione dell’MTHFR (A1298C) anch’essa associata ad una ridotta attività enzimatica e se in combinazione con lla mutazione C677T determina un ulteriore aumento dei livelli ematici di Omocisteina. La sindrome da anticorpi anticardiolipine e il LES (lupus eritematoso sistemico) è una malattia autoimmune fortemente associata con la malattia vascolare aterogena. e la trombosi arteriosa. Nei pazienti con LES la percentuale di anticorpi antifosfolipidi arriva al 30%. Vari studi prospettici hanno dimostrato la presenza di anticorpi antifosfolipidi in corso di malattia coronarica e di ateromasia carotidea. Gli anticorpi antifosfolipidi sono diretti contro protei- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 85 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TROMBOFILIE E ARTERIOPATIE CONTI ne come la Beta 2 glicoproteina I, la protrombina e più raramente la proteina C e S.Nella patogenesi dell’ateromasia associata alla sindrome a parte le proprietà protrombotiche tipiche di questi anticorpi è stata evidenziata una ridotta attività dell’enzima paraoxonasi (PON1) la cui funzione è di prevenire l’ossidazione delle LDL. Per quanto attiene ai polimorfismi genetici oltre alle tre classiche e ben note varianti (Fattore V di Leiden, Protrombina, MTHFR) gli studi recenti hanno evidenziato in ambito arterioso altre mutazioni che possono aumentare il rischio aterogeno in assenza di altri fattori. 1. La mutazione 4G/4G dell’inibitore dell’attivatore del Plaminogeno (PAI-1) è spesso associata a livelli plasmatici elevati di PAI-1 con ridotta attività fibrinolitica e conseguente rischio di malattia coronarica. 2. Il polimorfismo del gene del Fattore XIII (V34L) è stato invece associato ad un aumento elevato dell’attività per cui in omozigosi rappresenterebbe un fattore protettivo contro le trombosi prevalentemente venose. 3. Il polimorfismo del Beta-Fibrinogeno con mutazione 455G-A è associata a livelli plasmatici elevati di Fibrinogeno. 4. Per quanto attiene al ruolo della risposta infiammatoria della parete vasale nell’evoluzione della placca aterosclerotica l’attività pro infiammatoria svolta dell’Interleuchina 6 è già da tempo nota, ma recentemente sono stati individuati due varianti genetiche (G-174-C e G-634-C) che comportano una aumentata attività e un più elevato livello plasmatico dell’Interleuchina 6 con conseguente maggior rischio di malattia arteriosa. Di contro la mutazione G-1082-A dell’Interleuchina 10 che è una molecola antinfiammatoria comporta una ridotta produzione di questa citochina con relativo maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. Una attenzione particolare merita la Lipoproteina (a) il cui aumento nel sangue è predittivo per le malattie arteriose. Si può considerare come un terzo tipo di Colesterolo che si affianca ai più conosciuti LDL e HDL. Lo studio PROCARDIS ha analizzato il genotipo Lpa in circa 16.000 soggetti europei e ha dimostrato che tra le diverse varianti del gene due in particolare sono associate all’aumento del livello plasmatico di Lpa e svolgono un ruolo causale Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 nello sviluppo della malattia coronarica. Una persona su 6 è portatrice di queste due varianti nel suo DNA e ha di conseguenza livelli più elevati di Lpa con un rischio aumentato di 4 volte. Quindi la Lpa si è dimostrata fattore di rischio cardiovascolare alla stregua di quelli già noti nella cosidetta sindrome metabolica anzi i suoi effetti si sommano e si amplificano. Comunque poco si conosce sul suo meccanismo d’azione (forse aumenta l’attività del PAI 1), la dieta, l’esercizio fisico e le statine sono poco efficaci nell’abbassare i livelli plasmatici, alcuni farmaci esistenti come la niacina sembrano funzionare ma si rimane in attesa di altri sostanza che possano abbassare selettivamente la Lpa. Tutti questi esami di laboratorio comportano certamente un costo abbastanza elevato pertanto sorge spontanea la domanda “quando è giustificato eseguire lo screening trombofilico in caso di trombosi arteriosa?”. Noi crediamo che sia indicato nelle seguenti situazioni: – eventi trombotici ricorrenti; – eventi precoci (in eta <50 anni); – assenza di stenosi significative da placche aterosclerotiche all’ecodoppler e/o all’angiografia; – in pazienti con età <50 anni con importante storia familiare e affetti da patologia arteriosa senza evidenti fattori di rischio tradizionali. Altra domanda frequente “quando eseguire lo screening?“. Almeno 2 settimane dopo la sospensione del trattamento anticoagulante al fine di evitare una possibile interferenza con questi farmaci sui dosaggi ad esempio dell’Antitrombina III, della Proteina C e S e del LAC mentre la ricerca dei polimorfismi genetici può essere effettuata in qualsiasi momento. Conclusioni Nella ricerca di elementi genetici che possono influenzare l’insorgenza di una patologia arteriosa sono stati identificati numerosi polimorfismi dei fattori emostatici ma la loro relazione con tali malattie è tuttora controversa. A differenza della trombosi venosa dove il pannello di ricerca dei marcatori trombofilici è ormai accertato e stabilito, nella trombosi arteriosa questa relazione è allo stato attuale meno evidente. Pertanto lo studio delle trombofilie va eseguito solo in pazienti selezionati. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 85 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 86 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):86-8 Trombofilie e poliabortività P. SIMIONI, E. CAMPELLO L’aborto è la più comune complicanza della gravidanza. Il termine include tutte le interruzioni spontanee della gravidanza dal concepimento fino alla 24° settimana gestazionale. Fino al 5% delle donne va incontro a 2 o più aborti precoci e l’1-2% delle gravide ha 3 più aborti precoci. Per aborto ricorrente si intende la presenza di 3 o più aborti spontanei consecutivi, indipendentemente da precedenti parti espletati. Le cause riconosciute essere più importanti sono: l’età materna avanzata, difetti anatomici materni, disfunzioni endocrine, alterazioni cromosomiche, problemi immunologici, fattori ambientali, e la sindrome da anticorpi antifosfolipidi. In circa il 50% dei casi non viene riconosciuta alcuna causa. La trombofilia si definisce come un disordine associato ad un’aumentata tendenza a sviluppare trombosi. I principali disordini trombofilici che possono promuovere la trombosi, sono congeniti, il Fattore V Leiden, la mutazione della Protrombina G20210A, le metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) e la mancanza degli anticoagulanti naturali (Antitrombina, Proteina C, Proteina S), o acquisiti, la Sindrome da Anticorpi Anti-fosfolipidi. La diagnosi di trombofilia si basa su caratteristiche cliniche, le più comuni sono eventi trombotici ricorrenti, familiarità per trombosi, trombosi idiopatica e in sedi inusuali, trombosi in giovane età, o durante la gravidanza e il puerperio. I difetti trombofilici sono associati ad un aumentato rischio di avventi avversi in gravidanza, come per esempio aborti spontanei, abruptio placentae, preeclampsia e sindrome HELLP. Abbiamo condotto una ricerca bibliografica tramite Medline di tutti gli articoli pubblicati recentemente in letteratura, e della relativa bibliografia, usando come parole chiave “poliabortività e disordini trombofilici”. Nella nostra analisi sono stati inclusi studi caso-controllo, di coorte e longitudinali, nonché meta-analisi e review. La trombofilia è il più importante fattore di rischio per trombosi nel corso della gravidanza; circa il 50% di eventi trombotici durante la gravidanza e il post-partum sono associati con la trombofilia congenita. Molti studi hanno esaminato l’associazione tra trombofilia ereditaria e poliabortività, spesso con differenti risultati, stante l’eterogeneità degli studi, le dimensioni del cam86 Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari. Clinica Medica 2, Università degli Studi di Padova, Padova pione, il tipo di studio, come pure la definizione di poliabortività non sempre univoca e il tipo di trombofilia indagato. In una review sistematica che ha esaminato 25 studi per un totale di 7167 donne, il Fattore V Leiden e la variante Protrombinica sono associati con una poliabortività precoce (nel primo trimestre di gravidanza). Altre metanalisi hanno riportato simili associazioni tra trombofilia e aborti ricorrenti, in particolare quella pubblicata su Lancet nel 2003 che ha preso in considerazione 31 studi. Ha dimostrato che il FVL è associato con poliabortività precoce (OR 2,01, 95% CI 1,13-3,58) e tardiva (7,83, 2,83-21,67) ed aborti tardivi non ricorrenti (3,26, 1,82-5,83); la resistenza alla Proteina C attivata è associata con poliabortività precoce (3,48, 1,58-7,69). La Variante Protrombinica è associata a poliabortività precoce (2,56, 1,04-,29) ed aborti tardivi non ricorrenti (2,30, 1,09-4,87); il deficit di proteina S è associato con poliabortività (14,72, 0,99-218,01) e aborti tardivi non ricorrenti (7,39, 1,28-42,63). Infine MTHFR, deficit di Proteina C e di Antitrombina non sarebbere significativamente associate a poliabortività. Lo studio NOHA (Nimes Obstetricians and Haematologists), un vasto studio caso-controllo che ha arruolato una coorte di 32700 donne, il 18% delle quali aveva avuto uno o più aborti nel corso della loro prima gravidanza, ha evidenziato nell’analisi multivariata una chiara associazione tra aborti da causa non spiegata tra la 10° e la 39° settimana di gestazione e il Fattore V Leiden eterozigote (OR 3,46; 95%CI, 2,53-4,72) e la mutazione della Protrombina (OR 2,60; 95%CI, 1,86-3,64); nessuna associazione è stata trovata tra trombofilia e aborti prima della 10° settimana gestazionale. Tuttavia altri studi presenti in letteratura non hanno confermato un aumento del rischio di aborti nei portatori di Fattore V Leiden o variante protrombinica. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 87 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TROMBOFILIE E POLIABORTIVITÀ SIMIONI Tabella I. Tipo di trombofilia Abortività precoce (I trimestre) OR (95% CI) Poliabortività precoce (I trimestre) OR (95% CI) Abortività tardiva OR (95% CI) FVL omozigote FVL eterozigote Variante Protrombinica Deficit Antitrombina Deficit Proteina C Deficit Proteina S 2,71 (1,32-5,58) 1,68 (1,09-2,58) 2,49 (1,24-5,0) 0,88 (0,17-4,48) 2,29 (0,60-26,43) 3,55 (0,35-35,7) 1,91 (1,01-3,61) – 2,70 (1,37-5,34) – – – 1,98 (0,40-9,69) 2,06 (1,1-3,86) 2,66 (1,28-5,53) 7,63 (0,30-196,3) 3,05 (0,24-38,5) 20,09 (3,7-109,15) Sebbene l’OR per l’aborto in donne FVL fosse più alto rispetto alle non trombofiliche (OR 1,52; 95%CI, 1,062,19) in una recente review di studi di coorte prospettici, tuttavia il rischio assoluto di avere aborti in donne trombofiliche si è dimostrato essere di modesta entità (4,2% vs 3,2% nelle non trombofiliche). Inoltre non è stata dimostrata alcuna associazione tra mutazione della Protrombina e l’aborto spontaneo (rischi assoluto 4,8% nelle carriers vs 3,6% nelle non carriers; OR 1,13; 95%CI,0,642,01). Pertanto, anche se questi studi prospettici dimostrano che la trombofilia potrebbe aumentare il rischio di andare incontro ad aborti spontanei, essi confermano anche che la probabilità di avere una gravidanza normale in queste paziente è comunque elevata. Sembra plausibile che lo stato di ipercoagulabilità che caratterizza le pazienti trombofiliche possa contribuire alla patogenesi multifattoriale degli aborti. Un discorso a parte merita la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) che è data dall’associazione di trombosi vascolare e/o disturbi gravidici on anticorpi anticardiolipina (aCL) e/o anticorpi antibeta2glicoproteina 1 (b2GP1), e/o lupus anticoagulant (LA). La sindrome è presente se c’è almeno uno dei criteri clinici e uno dei criteri di laboratorio. In una review sistematica di 25 studi caso-controllo mirata a valutare la consistenza del rischio di poliabortività in donne con APS ma senza malattie autoimmunitarie associate, si evidenzia un’associazione statisticamente significativa tra poliabortività e positività del LA [OR 7,79 (2,3026,45)] e con la presenza di aCL sia IgG [OR 3,57 (2,265,65)] che IgM [OR 5,61 (1,26-25,03)] ad alto e medio titolo; l’associazione più forte si ha tra LA e aborti ricorrenti tardivi (<24° SG). La terapia antitrombotica per prevenire gli aborti ricorrenti include: 1) dosi profilattiche di UFH o LMWH e/o 2) aspirina. Per quanto riguarda le pazienti affette da APS, i dati in letteratura sono favorevoli nel riconoscere l’efficacia e la sicurezza della combinazione tra UFH o LMWH e basse dosi di aspirina nel prevenire nuovi aborti in pazienti che hanno già un’anamnesi positiva per poliabortività. In una recente meta-analisi di studi controllati randomizzati in pazienti con APS e storia di poliabortività, si evidenzia una proporzione superiore di nati vivi nel pazienti sottoposte a terapia in associazione rispetto alla sola aspirina (74,3% vs 58,8% rispettivamente; RR 1,30; 95%CI, 1,04-1,43). Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Infine per quanto riguarda la profilassi antitrombotica nelle paziente con trombofilia congenita e poliabortività, i dati disponibili sono meno consistenti e convincenti. In uno dei pochi trials, Gris et al. Riportano una proporzione di nati vivi superiore in donne trombofiliche e con un pregresso aborto dopo la 10° SG, trattate con enoxaparina 40 mg/die rispetto a pazienti trattate con aspirina (85% vs 29% rispettivamente). Tuttavia lo studio presenta un campione molto esiguo. Nel LIV-ENOX trial 166 donne trombofiliche con storia di poliabortività, sono state randomizzate a ricevere 2 dosi di enoxaparina (40 mg/die o 80 mg/die), senza differenza di out come tra i due gruppi. Donne con poliabortività dovrebbero essere sottoposte a screening per la presenza di APS; c’è ormai il convincimento generale che queste donne debbano essere trattate con UFH o LMWH a dosaggio profilattico in combinazione con aspirina fino al parto. Allo stato attuale non vi è indicazione a trattare con terapia antitrombotica pazienti con episodi di aborti ricorrenti sine materia, ma gli studi disponibili non escludono la possibilità che tale terapia possa essere efficace qualora ci sia una trombofilia ereditaria sottostante. Bibliografia 1. Rai R, Regan L. Recurrent miscarriage. Lancet 2006;368:601611. 2. Stirrat GM. Recurrent miscarriage: definition and epidemiology. Lancet 1990;336:3008-3011. 3. Bates SM. Consultative Hematology: the pregnant patient pregnancy loss. Hematology 2010;166-172. 4. Benedetto C, Marozio L, Tavella AM et al. Coagulation disorders in pregnancy: aquired and inherited thrombophilias. Ann NY Acad Sci 2010;106-117. 5. Robertson L, Wu O, Langhorne P et al. Thrombophilia in pregnancy: a systemayic review. Br J Haematol 2006;132: 171-196. 6. Rey E, Khan SR, David Met al. Thrombophilic disorders and fetal loss: a meta-analyses. Lancet 2003;361:901-908. 7. Lissalde-Lavigne G, Fabbro-Peray P, Cochery-Nouvellon E et al. Factor V Leiden and prothrombin G20210A polymorphisms as risk factors for miscarriage during a first intended pregnancy: the matched case-control ‘NOHA first’ study. J Thromb Haemost. 2005;3:2178-2184. 8. Silver RM, Zhao Y, Spong CY, et al. Prothrombin gene G20210A mutation and obstetric complications. Obstet Gynecol. 2010;115:14-20. 9. Rodger MA, Betancourt MT, Clark P, et al. The association of factor V Leiden and prothrombin gene mutation and placen- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 87 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 88 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) SIMIONI TROMBOFILIE E POLIABORTIVITÀ tamediated pregnancy complications: a systematic review and meta-analysis of prospective cohort studies. PLoS Med. 2010;7: e1000292.doi:10.1371/journal.pmed.100202. 10. Miyakis S, Lockshin MD, Atsumi T, et al. International consensus statement on an update of the classification criteria for definite antiphospholipid syndrome (APS). J. Thromb. Haemost 2006;4:295-306. 11. Opatrny L, David M, Kahn SR, Rey E. Association between antiphospholipid antibodies and recurrent fetal loss in women without autoimmune disease: a meta-analysis. J Rheumatol 2006;33:2214-2221. 12. Mak A, Cheung MW-L, Cheak AA, Ho RC. Combination of heparin and aspirin is superior to aspirin alone in enhancing live births in patients with recurrent pregnancy loss and positive anti-phospholipid antibodies: a meta-analysis of ran- 88 domized controlled trials and meta-regression. Rheumatology. 2010;49:281-288. 13. Gris JC, Mercier E, Quere I, et al. Low-molecular-weight heparin versus low-dose aspirin in women with one fetal loss and a constitutional thrombophilic disorder. Blood. 2004;103:3695-3699. 14. Brenner B, Hoffman R, Carp H, Dulitsky M, Younis J. Efficacy and safety of two doses of enoxaparin in women with thrombophilia and recurrent pregnancy loss: the LIVE-ENOX study. J Thromb Haemost. 2005;3:227-229. 15. Bates SM, Greer AI, Pabinger I, Sofaer S, Hirsh J. Venous thromboembolism, thrombophilia, antithrombotic therapy, and pregnancy: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th edition). Chest. 2008;133:844S-886S. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 89 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):89 Trombofilie: linee guida e grandi Trial C. CIMMINIELLO, G. ARPAIA, G. SPEZZIGU Negli ultimi 15 anni sono stati condotti numerosi studi che hanno valutato il ruolo della trombofilia, congenita o acquisita, nello sviluppo del tromboembolismo venoso (TEV) e nelle patologie gravidiche o nella poliabortività; aspetti, questi ultimi, che non saranno considerati in questa trattazione. La trombofilia contribuisce alla patogenesi di circa il 40% degli episodi TEV. Per converso il 50% dei portatori di una trombofilia svilupperanno un TEV anche se l’impatto delle differenti anomalie può comportare ricadute cliniche diverse a seconda del tipo di trombofilia. Dalla letteratura si potrebbe infatti desumere che alcuni fenotipi non comuni, come il deficit di antitrombina, di proteina C o di proteina S o l’eterozigosi per il Fattore V Leiden o la combinazione di più deficit in eterozigosi, si associno ad un rischio più elevato di TEV rispetto ad altre anomalie più comuni. I fenotipi menzionati comporterebbero anche una più precoce comparsa del TEV nel corso della vita e più frequenti recidive ma non è possibile escludere che tali evidenze siano state condizionate, almeno in alcuni studi, da bias quali la rarità dei fenotipi a presunto più elevato rischio o l’inclusione di pazienti con marcata familiarità di TEV. Un recente ampio studio olandese ha fornito dati solidi sul rischio assoluto di primo TEV e di recidiva nei portatori di trombofilia. I risultati di tale studio hanno confermato l’esistenza di trombofilie ad elevato rischio e di trombofilie a rischio più basso, con alcune di queste ultime anomalie che non sarebbero fattori di rischio indipendenti di TEV. In realtà il valore predittivo di recidiva di TEV attribuito ai tipi più comuni di trombofilia quali il fattore V Leiden e la mutazione G20210A della protrombina, è limitato. Tali anomalie si associano ad un aumentato rischio di recidiva ma l’entità di tale aumento è così modesta da non giustificare alcun provvedimento aggiuntivo oltre a quelli che di norma vengono assunti nei pazienti con i diversi tipi di TEV, idiopatico o secondario. In aggiunta a tali premesse va sottolineato che non esistono al presente studi randomizzati e prospettici che abbiano valutato in maniera sistematica il vantaggio di uno screening della trombofilia nel ridurre il rischio di recidiva di TEV. L’unica esperienza Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 UOC di Medicina e UOS di Angiologia, Az. Osp di Desio e Vimercate, Presidio di Vimercate (MB) in proposito è un sottostudio del più grande trial MEGA che coinvolgeva 197 casi di recidiva di trombosi venosa testati per trombofilia prima di una recidiva e 324 controlli non testati. La frequenza di recidiva di TEV tra testati e non testati non era significativamente differente. Inoltre, la presenza di trombofilia ereditaria non è mai stata impiegata come elemento per orientare la durata della profilassi secondaria del TEV. I sottogruppi con trombofilia dello studio ELATE non avevano una frequenza di recidive in corso di trattamento anticoagulante diversa dai non affetti mentre nello studio WODIT i soggetti portatori di trombofilia erano più a rischio se trattati con soli tre mesi di terapia anticoagulante. Risultati, come si vede, contraddittori e derivanti da analisi si sottogruppi che hanno spinto le più accreditate linee guida a non riconoscere a questa condizione un ruolo determinante nella decisione di protrarre o meno il trattamento anticoagulante dopo un episodio TEV. La Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi merita considerazioni a parte. Si tratta della più frequente trombofilia acquisita, i cui criteri diagnostici sono stati definiti (Sapporo criteria) e di recente rivisitati al workshop di Sydney. Sulla base di evidenze datanti la metà degli anni 90 era invalso il concetto che questi pazienti dovessero essere trattati a lungo con terapia anticoagulante condotta con intensità maggiore di quella comunemente usata per i pazienti con TEV. Due studi più recenti, di cui uno italiano (WAPS), hanno smentito tale evidenza, concludendo che l’intensità convenzionale della terapia anticoagulante orale (INR tra 2 e 3) è sufficiente e che più elevate intensità producono solo un aumentato rischio di bleeding. Per i pazienti con stroke ischemico da Sindrome Antifosfolipidi è ammessa, in alternativa al trattamento con anticoagulanti orali, la terapia con ASA. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 89 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 90 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):90-1 TVCE e neoplasie R. GRECO, B. L. FARINA, V. PRISCO Le trombosi venose cerebrali e cervicali non sono così frequenti rispetto alle trombosi in altre sedi (arti inferiori). Per tale motivo, la diagnosi richiede un alto sospetto clinico e, confermata la diagnosi, va sempre cercata la causa di tali eventi. Da non trascurare la possibile presenza di neoplasie occulte, nelle TVCE idiopatiche. La trombosi venosa cerebrale (TVC) è una malattia cerebrovascolare causata da trombosi di uno o più seni durali e/o delle vene cerebrali. L’incidenza è di 5 casi/1 milione. È causa dello 0,5% degli stroke. La causa della TVC è identificata nell’85% dei casi (15% idiopatica). La causa più frequente è la presenza di uno stato trombofilico congenito o acquisito (21-34%). A seguire le neoplasie (7%). Le trombosi dello stretto superiore rappresentano l’1-2% di tutte le trombosi. In particolare la trombosi venosa della giugulare interna (TVGI) era frequente in era preantibiotica quando era associata a gravi infezioni della testa e del collo. Attualmente cause più frequenti di TVGI sono i cateteri venosi, in pazienti neoplastici e non, l’iperstimolazione ovarica in corso di fecondazione in vitro, le manipolazioni chirurgiche locali, le compressioni e/o infiltrazioni neoplastiche (primitive e secondarie). Non mancano in letteratura casi clinici di TVGI idiopatiche, che hanno rappresentato il primo segno di una neoplasia occulta. I pazienti con cancro hanno aumentato rischio di trombosi e i pazienti con una diagnosi di trombosi venosa spontanea senza cause apparenti hanno un rischio aumentato di sviluppare un cancro entro un anno, e l’incidenza varia a seconda degli studi dal 2% al 25%. La relazione fra fenomeni di coagulazione spontanea e neoplasie fu descritta per la prima volta da Trosseau nel 1865. Oggi sono stati identificati i meccanismi attraverso i quali le cellule neoplastiche interferiscono con la coagulazione: – le cellule tumorali esprimono in modo aberrante fattori procoagulanti (TF); – interferiscono con il normale processo fibrinolitico, attraverso attivatori e inibitori della fibrinolisi; – rilasciano citochine proinfiammatorie e proangiogeniche; – producono microparticelle plasmatiche. 90 UOD Angiologia, Azienda Ospedaliera-Universitaria Integrata, Salerno Materiali e metodi Dal 2000 ad oggi, abbiamo diagnosticato, occasionalmente, tre trombosi di vena giugulare interna, idiopatiche, in pazienti di sesso femminile : due insorte in donne risultate trombofiliche (mutazione Fattore V Leiden in omozigosi e mutazione 20210 G della protrombina in eterozigosi in soggetto in terapia estroprogestinica) e la terza, 60 anni, recentemente giunta alla nostra osservazione dopo reperto occasionale di trombosi della giugulare, riscontrata durante una ecografia della tiroide. Confermata la trombosi, la paziente è stata sottoposta, da noi, ad esami per la ricerca della causa. Oltre allo screening trombofilico (negativo), sono stati anche chiesti esami per la ricerca di neoplasia occulta: – ecografia addome e pelvi; – Rx torace; – sangue occulto feci; – esami di laboratorio, compresi i marcatori, risultati tutti negativi. Visto che i pazienti con trombosi idiopatica hanno un rischio maggiore di diagnosi di patologia neoplastica entro il primo anno dall’evento, la paziente sarà ricontrollata a distanza. Conclusioni Considerato che la trombosi della giugulare interna è spesso reperto occasionale, è opportuno eseguire lo studio delle giugulari, durante l’esecuzione dell’ecocolordoppler TSA. La neoplasia occulta deve essere sospettata in tutti i casi di trombosi venosa idiopatica, specie se in sede inusuale (come il territorio cerebrale e cervicale) e interessante soggetti giovani, e può essere svelata da indagini precocemente eseguite. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 91 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TVCE E NEOPLASIE GRECO Bibliografia 1. Falanga A, Marchetti M, Vignoli A. Trombosi e Coagulazione. Coagulum maggio-luglio 2011. 2. 39-43. 3. Prandoni P. Trombosi venosa e cancro.RIMeL/IJLaM. 2009;5. 4. Bacciu PP, Marongiu GM, Canu GL. Trombosi di vena giugulare apparentemente sine causa (caso clinico). -Giornale Italiano di Chirurgia Vascolare 2000;7: 135-46. 5. Agnelli G, Bolis G, Capussotti L, Scarpa RM, Tonelli F, Boniz- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 zoni E et al. A clinical outcome-based prospective study on venous thromboembolism after cancer surgery: the @RISTOS Project.Ann Surg 2006;243:89-95. 6. Prandoni P, Falanga A, Piccioli A. Lancet Cancer and venous thromboembolism. Oncology 2005;6-401-10. 7. Ascher E, Salles-Cunha S, Hingorani A. La morbilità e la mortalità associata a trombosi della vena giugulare interna. Vasc. Surg endovascolare.Lug-ago 2005;39:335-9. 8. White RH. VTE Epidemiology.Circulation 2003;107:1-4-1-8. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 91 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 92 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):92-3 La terapia anticoagulante nella TVCE W.M. PACELLI Sia la diagnosi che la gestione delle trombosi delle vene cervico encefaliche (TVCE) possono essere difficili, a causa dei diversi fattori di rischio sottostanti e all’assenza di un approccio uniforme di trattamento. Tale patologia presenta approcci diversi in quanto i distretti anatomici interessati sono “differenti”, il cervicale e l’encefalico, con ripercussioni cliniche, sintomatologiche, diagnostiche e di trattamento, diverse. La trombosi delle vene cerebrali è una forma rara di ictus che di solito colpisce individui giovani. La trombosi delle vene cervicali colpisce di solito i portatori di cateteri venosi (giugulare interna, giugulare esterna, succlavia) o coloro che presentano sindrome TOS (succlavia). Le strategie terapeutiche vanno dalla limitazione del processo trombotico (evitare la crescita del trombo, facilitare la ricanalizzazione e prevenire TVP o EP, per entrambe ) alla terapia della ipertensione endocranica, delle crisi comiziali, nelle Trombosi venose cerebrali, alla eventuale terapia antibiotica, che a volte viene praticata nelle trombosi cervicali (infezione del catetere venoso centale – Port a cath) e nelle trombosi cerebrali. Terapia delle TVCE La terapia antitrombotica della fase acuta prevede un bolo e.v. di eparina NF di 3000 U seguita da infusione continua in pompa di 1000-2000 U/h aPTT 1,5-2. Può essere usata la EBPM 100 U/kg due volte al giorno. Il trattamento è indicato per tutte le forme di TVCE, comprese quelle con reperto TC/RMN di emorragia o infarcimento emorragico Proseguire la terapia eparinica fino a che non ci siano segnali di miglioramento e remissione della fase acuta; imbricare con AO in quarta – quinta giornata nelle trombosi venose encefaliche, valutando la clinica e in seconda giornata nelle trombosi venose cervicali ( INR tra 2-3 ). La durata della terapia con AO è personalizzata e basata sui fattori eziologici. La trombolisi locale e sistemica non presenta evidenza sulla efficacia e sulla sicurezza e prevede l’utilizzo di rtPA o UK ( bolo di 1-5 mg seguita da 1-2 mg/h per 24/h per rtPA, bolo 100.000-600.000 U seguita da 100.000 U/h 24/h per UK). 92 ASL, Caserta Tale terapia viene utilizzata come trattamento di seconda linea ed è riservata nelle trombosi venose cerebrali, ai pazienti più gravi , con peggioramento clinico, nonostante terapia eparinica, o qualora si renda necessaria una immediata ricanalizzazione, se vi è trombosi massiva con circolo molto lento all’angiografia e si rischia di perdere il paziente nei primi tre giorni. Nelle trombosi venose cerebrali il trattamento dell’ipertensione endocranica, prevede la testa alzata dal letto a 30°, diuretici osmotici come il Mannitolo al 20%, 1g/kg (30-60 min.) per 2-3 giorni, l’acetazolamide 500-1000 mg/die, la restrizione idrica e la iperventilazione, tenendo la CO2 a 30-35 mmhg. Il trattamento per l’ipertensione endocranica è necessario solo nel 20% dei casi. Può essere prevista la rachicentesi evacuativa, nel caso che la TVC si manifesti con “pseudotumor crebri” o la emicraniectomia decompressiva nei casi di erniazioni transtentoriali. Per le crisi epilettiche è preferibile impiegare la Fenitoina o il Valproato, data la non interazione con TAO e la possibilità di somministrazione e.v. La profilassi secondaria con AO dipende, come già detto, dai fattori di rischio, che se transitori prevede durata di tre mesi, se TVCE idiopatica o TVCE con mutazione geniche (eteroz. fattore II e fattore V) durata di 6-12 mesi, se deficit ATIII, mutazioni geniche in omozigosi, APL o anamnesi positiva di trombosi venose in altri distretti recidivanti, durata indefinita. Bibliografia Einhäupl K et al. Eur J Neurol. 2006;13:553-9. Stam J et Al. Cochrane Database of Systematic Reviews 2002, Issue 4. Art. No.: CD002005. DOI: 10.1002/14651858.CD002005. Ferro JM, Canhão P. Curr Treat Options Neurol 2008;10:126 Ciccone A, Canhão P, Falcão F, Ferro JM, Sterzi R. Cochrane Database of Systematic Reviews 2004, Issue 1. Art. No.: CD003693. Ferro JM, Canhão P. Curr Treat Options Neurol 2008;10:126 Canhão P et al. Stroke 2008;39:10. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 93 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA TERAPIA ANTICOAGULANTE NELLE TVCE PACELLI Einhaupl KM et al. Heparin Treatment in sinus venous thrombosis [published correction appears in Lancet 1991; 338:958]. Lancet . 1991;338:597-600. De Bruijin SF, Stam J Randomized, placebo controlled trial of anticoagulant treatment with low-molecular – weight heparin for cerebral sinus thrombosis. Stroke.1999;30:484-488. Brucker AB et al. Heparin treatment in acute cerebral sinus venous thrombosis: a retrospective clinical and MR analysis of 42 cases. Cerebrovasc Dis. 1998;8:331-337. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Van Dongen et al. Fixed dose subcutaneous low molecular weight heparins versus adjusted dose unfractionated heparin for venous thromboembolism. Cochrane database Syst rev. 2004 oct 18; (4): Cd001100. Saposnik G. et al. Diagnosis and management of cerebral venous thrombosis : a statement for healthcare professionals from the american Health Association. Stroke, february 3, 2011. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 93 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 94 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):94-5 La gestione della Trombosi Venosa Profonda in Medicina d’Urgenza E. BERNARDI L’incidenza della trombosi venosa profonda (TVP) negli outpatients sintomatici continua a declinare nel tempo, essendo passata dal 30-40% negli anni ’90 all’attuale 1015%. Questo rilievo è spiegato, da un lato, dall’aumento significativo dell’indice di sospetto di TVP al livello della popolazione, derivante da una campagna di (in)formazione capillare sui vari media (televisione, stampa, internet); dall’altro è collegato alla progressiva e aspecifica riduzione della soglia di accesso (overcrowding) alle strutture d’emergenza che, nel corso degli ultimi 15 anni, ha rappresentato il motore principale di rinnovamento e sviluppo della medicina d’urgenza (MdU). Tra le più significative novità collegate all’evoluzione della MdU vi è la liberalizzazione e standardizzazione dell’uso dell’ecografia (critical US), intesa come strumento di semeiotica avanzata e (quasi) imprescindibile elemento del triage medico avanzato, potendo essere utilmente impiegata sia come ausilio diagnostico non-invasivo (rapido, focalizzato e bed-side), sia come strumento di monitoraggio dell’andamento clinico del paziente ovvero dell’efficacia della strategia terapeutica adottata. La critical US viene ormai massicciamente impiegata nei vari campi d’azione della MdU, dalla gestione del paziente critico con problematiche cardio-respiratorie o traumatiche alla valutazione dei pazienti senza priorità di rischio; in quest’ultimo contesto, i pazienti con sospetta TVP rappresentano una popolazione numerosa. Inquadramento iniziale Di norma, l’approccio standard alla sospetta TVP in MdU comprende in primo luogo una valutazione generale mirata a stabilire se, insieme ai rilievi locali (dolore, edema, discromia) sussistano sintomi sistemici d’allarme (dispnea, dolore toracico, cardiopalmo, sincope), che talvolta possono essere sottovalutati dai pazienti, specie se anziani. Parte essenziale della suddetta è la rilevazione dei parametri vitali, l’applicazione di uno score clinico per la TVP (ad esempio quello di Wells) e l’esecuzione di esami bioumorali, tra cui la valutazione dei livelli di DDimero. Il riscontro di un livello di probabilità basso / TVP “improbabile” in associazione a livelli di D-Dimero infe94 Pronto Soccorso ULSS n. 7, Padova riori al cut-off decisionale permette, in base alla letteratura, di escludere con sicurezza ed affidabilità la diagnosi di TVP; tuttavia, pur essendo evidence-based, questa strategia combinata viene raramente impiegata nella realtà italiana, nella quale si preferisce sempre ricorrere ad metodiche di imaging per escludere / confermare i casi di sospetto tromboembolismo venoso. Diversamente, il riscontro di un livello di probabilità intermedio - alto / TVP “probabile” o di livelli di D-Dimero superiori al cutoff decisionale, impone l’utilizzo di metodiche di imaging; in particolare: l’ecografia con compressione (metodiche alternative sono la veno-TC e la veno-RM). Ecografia Per la valutazione ecografica, in relazione alla collocazione della struttura di MdU (Presidio Ospedaliero di 1° / 2° livello) e alla tempistica dell’accesso, sono possibili due scelte alternative. 1) Dove sia presente e operativo un servizio di angiologia la scelta è, ovviamente, obbligata; infatti, la metodica eco-color-Doppler (ECD) consente di escludere o confermare rapidamente la presenza di una TVP distale isolata, concludendo definitivamente l’iter diagnostico per la sospetta trombosi; inoltre, l’ECD potenzialmente permette valutare in modo obiettivo un più ampio range di ipotesi diagnostiche differenziali, tra cui: patologia arteriosa, edemi infettivi (dermo-epidermiti) o linfatici, versamenti articolari, cisti del cavo popliteo, lesioni (traumatiche e non) muscolo-tendinee. NB: dove/se attiva la modalità di triage infermieristico avanzato ”Fast-track” è anche ipotizzabile l’invio diretto dei pazienti ai servizi di angiologia, una volta esclusa la presenza di sintomi pericolosi e – se previsto – calcolato la probabilità clinica standardizzata e/o invia- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 95 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA GESTIONE DELLA TROMBOSI VENOSA PROFONDA IN MEDICINA D’URGENZA to un campione ematico per la determinazione dei livelli di D-Dimero. 2) Dove non sia disponibile un servizio di angiologia, o quando il paziente acceda alla struttura d’Urgenza al di fuori delle ore di ufficio (sera/notte e week-end), si aprono almeno due scenari: – esecuzione differita (temporalmente e/o spazialmente) di un ECD, potendo nel frattempo rinviare a domicilio i pazienti con probabilità clinica intermedia - bassa e/o D-Dimero elevato e trattenere in osservazione in pazienti ad alto rischio (probabilità clinica elevata / TVP “probabile” e/o D-Dimero elevato), avendo cura di iniziare la somministrazione a dosi terapeutiche di EBPM, salvo nei pazienti nei pazienti a più basso rischio; – esecuzione immediata dell’ecografia venosa a due punti (CUS) da parte del medico di Pronto Soccorso, integrata in un algoritmo decisionale che incorpori anche la probabilità clinica e i valori di DDimero, e seguita dall’esecuzione differita di un ECD oppure di una CUS “seriata”. Diagnostica differenziale In tutti i pazienti con work-up della sospetta TVP “normale” dovrà essere successivamente proposto / programma- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 BERNARDI to / applicato un processo diagnostico differenziale per stabilire a quali patologie (es. infettiva, traumatica, degenerativa) siano da riferirsi i sintomi locali. Disposizione/Terapia In tutti i pazienti nei quali sia stata confermata la presenza di una TVP va immediatamente iniziata una terapia antitrombotica, previa esecuzione di un pannello di laboratorio minimo comprendente tempi di coagulazione, funzione renale e conta piastrinica. La gestione va poi conclusa con le seguenti modalità: – dimissione (terapia domiciliare) ‡ pazienti autosufficienti, con TVP non associata a sintomi di embolia polmonare e senza significative comorbidità (NB: solo in presenza di una idonea rete assistenziale territoriale); – ricovero breve / osservazione breve intensiva ‡ pazienti parzialmente autosufficienti, con TVP non associata a sintomi di embolia polmonare ma con comorbidità (NB: solo in presenza di una idonea rete assistenziale territoriale); – ricovero ordinario ‡ pazienti non autosufficienti e/o con TVP associata a sintomi di embolia polmonare e/o con significative comorbidità. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 93 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 96 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):96-7 I filtri cavali: quando e come A. SIANI, F. ACCROCCA, R. ANTONELLI, G.A. GIORDANO, R. GABRIELLI, F. MOUNAYERGI, L.M. SIANI, G. MARCUCCI Il filtro cavale è un efficace metodo di prevenzione dell’embolia polmonare ed anche se non esistono studi randomizzati che evidenzino una chiara prevalenza circa l’efficacia del filtro rispetto ad altri metodi di prevenzione dell’embolia polmonare stessa, il suo impiego è andato intensificandosi nel corso degli anni in relazione agli ottimi risultati riportati in letteratura . Attualmente assistiamo oggi ad un reclutamento sempre più crescente di pazienti che possono giovarsi di tale presidio, spesso a carattere temporaneo. Indicazioni Sono distinte in assolute e relative. Le indicazioni assolute sono rappresentate da pazienti con evidenza di EP o TVP cavale, iliaco-femorale o poplitea con: – controindicazione all’anticoagulazione – complicanze dell’anticoagulazione – fallimento dell’anticoagulazione Le indicazioni relative (in pazienti selezionati) sono: – grave insufficienza respiratoria e/o cardiaca per-esistente o successiva a diversi episodi di EP in paziente con TVP in atto – trauma midollo spinale o cranico chiuso – pazienti ad alto rischio per TVP (pz immobilizzati, in terapia intensiva, posizionamento preoperatorio profilattico, in chirurgia bariatrica, per rischi multipli di malattia tromboembolica venosa, in caso di stroke) – dopo tromboembolectomia iliaco femorale chirurgica o mediante fibrinolisi o embolectomia polmonare – TVP prossimale con trombosi flottante È necessario considerare invece come le coagulopatie severe a carattere trombofilico e la sepsi né controindichino l’utilizzo. Discussione Il filtro cavale è in grado di ridurre l’incidenza di EP e delle sue recidive allo 0-5% 1. Diversi aspetti sono tuttavia oggetto di dibattito come la sua reale capacità di preven96 UOC Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Ospedale “S. Paolo”, ASLRMF Civitavecchia, Roma zione a lungo termine, il suo impatto sul’emodinamica cavale e lo sviluppo di complicanze legate alla suo posizionamento. Le complicanze legate a fenomeni di malfunzionamento del filtro come la perforazione cavale, la dislocazione in sede prossimale associata o meno a perforazione o trombosi, la rottura del filtro stesso sono effettivamente rare specie se il filtro appare ben posizionato e selezionato sulla base della sezione trasversale della vena cava inferiore i. In letteratura tali complicanze vengono riportate nello 0,4-1,8% dei casi 2. Attualmente l’impiego di filtri autocentranti ha ridotto significativamente il rischio di angolazione superiore ai 15% gradi riducendo la dislocazione, la perforazione e la perdita della capacità filtrante . Inoltre difficilmente il filtro condiziona alterazioni dell’emodinamica cavale con ripercussioni a carico delle pressioni venose in sede iliaco-femorale o distale . Sicuramente l’impiego dei filtri autocentranti adattabili a vene cave con diametri inferiori ai 3 cm è essenziale al pari del suo corretto rilascio .Tuttavia è necessario considerare come i filtri cavali siano associati in modo significativo a TVP ricorrente rispetto alla sola anticoagulazione a 2 anni e come nell’8% dei casi si possa sviluppare anche una trombosi cavale associata. Il rischio di trombosi della vena cava varia in rapporto al tipo di filtro ed oscilla tra il 5 ed il 12%. Tuttavia con i filtri di moderna concezione tale incidenza si è ridotta significativamente al 1-3% 3. In relazione a tutti questi dati quindi si evidenzia come tale procedura non sia scevra da potenziali rischi e come soprattutto non esistano evidenze di una sua superiorità rispetto alla sola terapia anticoagulante. Pertanto mentre in caso di indicazione assoluta il posizionamento del filtro appare supportato da molte evidenze scientifiche, in caso di indicazione relativa appare necessaria una selezione del paziente valutando attentamente il rischio -beneficio anche sulla base dell’ eziologia trombotica e della spettanza di vita. L’introdu- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 97 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) I FILTRI CAVALI: QUANDO E COME SIANI zione dei filtri cavali temporanei ha condizionato una reale cambiamento delle indicazioni, permettendo di ampliare l’impiego dei filtri stessi anche in pazienti più complessi e discutibili permettendo di utilizzare il filtro come una effettiva metodica di prevenzione anche in assenza di una EP. Attualmente i filtri temporanei si differenziano dai filtri di prima generazione poiché sono potenzialmente permanenti ma al contempo rimovibili poiché hanno scarsa endotelizzazione dei pattini d’appoggio nei primi 30 giorni, tendenza all’autocentramento con scarsa incidenza di angolazione o dislocazione e non richiedono connessione con l’esterno presentando quindi anche una bassa incidenza di infezione. Per quanto riguarda l’aspetto puramente tecnico la metodica è facilmente eseguibile per via percutanea femorale o giugulare indipendentemente dalla sede di posizionamento del filtro (sopra o sottorenale).Normalmente il filtro viene posizionato in sede sottorenale con l’apice a livello della confluenza delle vene renali ( L2). In caso di trombosi delle vene renali, di gravidanza, di trombosi cavale completa estesa prossimalmente, di trombosi della vena gonadica o di anomalie della cava inferiore il filtro viene posizionato in sede soprarenale. Nonostante i diversi sistemi attualmente in commercio siano tutti validi, il filtro tipo Gunther Tullip (sistema coassiale 7FR su guida 0.035 COOK medical) presenta diversi vantaggi come la possibilità di essere usato per via giugulare o femorale, l’autocentramento, l’ottima compatibilità con RNM e la possibilità di un suo recupero legato alla bassa incorporazione dei punti di ancoraggio a fronte di un ottima capacità di filtrazione e bassa percentuale di dislocazione. Nel plan- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 ning preoperatorio l’angioTC appare essenziale per una corretta definizione dell’anatomia e dei diamteri cavali poiché, specie nei pazienti con scompenso cardiaco destro, il rischio di trovare delle vene cave con diametro superiore ai 3 cm è possibile con compromissione dell’autocentramento tilting e possibile migrazione/dislocazione. Conclusioni Il filtro cavale rappresenta un ottimo presidio nel trattamento della malattia tromboembolica evidenziando una provata efficacia ed affidabilità. Tuttavia è necessario considerare la possibilità di complicanze anche severe, specie nel lungo termine . Un allargamento delle indicazioni è possibile mediante l’introduzione dei nuovi sistemi temporanei che presentano scarsa endotelizzazione e facile irremovibilità con bassa percentuale di dislocazione ed infezione sistemica. Una sua utilizzazione indiscriminata a scopo profilattico o alternativo all’anticoagulante non appare giustificabile sulla base dei dati attualmente presenti in letteratura Bibliografia 1. Young T, Tang H, Hughes R. Vena caval filters for the prevention of pulmonary embolism. Cochrane Database Syst Rev. 2010 Feb 17. 2. Martin MJ, Blair KS, Curry TK, Singh N.Vena cava filters: current concepts and controversies for the surgeon Curr Probl Surg. 2010;47:524-618. 3. Kinney TB.Update on inferior vena cava filters.J Vasc Interv Radiol. 2003;14:425-40. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 97 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 98 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):98-9 La trombosi venosa superficiale della vena grande safena a livello della crosse safeno-femorale B. GOSSETTI, F. FACCENNA, A. LAURITO, J. JABBOUR, A. ALUNNO, A. CASTIGLIONE, M.M.G. FELLI, A. MALAJ, D. STAVRI La trombosi delle vene superficiali (TVS) degli arti viene generalmente considerata una affezione relativamente benigna, soprattutto se insorta in pazienti con evidente patologia varicosa. In questi casi, susseguente ad un trauma minore, essa è caratterizzata da dolore locale, infiammazione ed indurimento dei vasi posti nel tessuto sottocutaneo, ipertemia della cute sovrastante, che mostra un arrossamento lungo la vena interessata, tensione ed, a volte, edema dell’arto. In alcuni casi la TVS insorge anche in pazienti senza evidenti vene varicose: in questi pazienti vengono chiamati in causa traumi meccanici o chimici, come quelli indotti da infusioni endovenose, introduzione di cateteri, soprattutto per quanto attiene gli arti superiori, radiazioni, infezioni batteriche o fungine, alterazioni ematiche e della coagulazione, anomala attività immunitaria. Più raramente, infine, si osservano TVS, per lo più migranti, indotte da neoplasie, coinvolgenti il corpo o la coda del pancreas, lo stomaco, il polmone, il torace ed il colon, oppure malattie del collageno o mieloproliferative. Il più delle volte questa TVS viene trattata con un bendaggio elastico o calze a compressione graduata, sollevamento dell’arto interessato, terapia con impacchi caldoumidi locali, analgesici contro il dolore e farmaci non steroidei o anti-infiammatori. Dal punto di vista clinico e, soprattutto, terapeutico, il problema cambia radicalmente con il coinvolgimento delle vene safene, ed in particolare della vena grande safena (VGS), dal momento che il trombo, aderendo solo parzialmente e tenacemente ad un segmento della parete venosa, può propagarsi distalmente e prossimalmente. Questa evenienza può portare al coinvolgimento del circolo venoso profondo ,sia attraverso lo sbocco safenofemorale o safeno-popliteo, sia attraverso le vene perforanti incompetenti, con il possibile distacco dell’estremità flottante del trombo, che aggetta nelle vene profonde, ad opera del flusso ematico e conseguente embolia polmonare (EP). Questo è il motivo per il quale una TVS, coinvolgente la VGS alla coscia, soprattutto se in sede periinguinale (si parla di 3 cm circa al di sotto dello sbocco safenico in femorale comune), vene considerata alla stregua di una trombosi venosa profonda (TVP). E sempre per le suddette motivazioni in letteratura sono riportati 98 Cattedra di Chirurgia Vascolare, UOC di Chirurgia Vascolare A, Policlinico Umberto I, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma casi di TVS con eventi trombo-embolici con percentuali molto variabili: si parla infatti di 6-44% di TVS associate a TVP; eventi di EP asintomatica nel 20-33% dei casi; episodi di EP sintomatica nel 2-13% 1-7. Purtroppo tale e tanta variabilità di incidenza percentuale di complicanze ha portato spesso a sottovalutare il trattamento di tale patologia, senza che, peraltro, i numerosi trials internazionali in questo campo abbiano fatto chiarezza su come affrontare e cercare di risolvere il problema 8-12, e senza che le linee guida societarie abbiano fornito dati su cui basare un comportamento terapeutico certo ed uniforme 13. Un tentativo per cercare di inquadrare e risolvere il problema potrebbe basarsi sulle seguenti osservazioni: – oggi abbiamo a disposizione indagini ad ultrasuoni estremamente attendibili (ecocolorDoppler) per una diagnosi precisa e circostanziata della localizzazione (sede ed estensione) dell’evento flebitico da trattare, tenendo presente che in un gran numero dei casi (7080%) il quadro clinico, pur eclatante, sottovaluta l’estensione della trombosi nel circolo superficiale 14; – la terapia locale va sempre attuata e si basa su bendaggi o calze elastiche, e mobilizzazione precoce; – la terapia farmacologica sistemica può essere attuata con anti-infiammatori non steroidei e/o eparina a basso peso molecolare; – il trattamento chirurgico dovrebbe essere effettuato in urgenza solo in pazienti con trombosi recente e trombi freschi nelle vene safene; – il trattamento chirurgico, effettuato in anestesia locale o loco-regionale, dovrebbe prevedere l’eventuale trombectomia del circolo profondo, se coinvolto, la legatura e la deconnessione della vena safena dal circolo profondo, la legatura dei collaterali safenici, la varicectomia con l’asportazione dei gozzi varicosi trombizzati. Solo così si ottiene una più rapida guari- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 15-11-2011 17:41 Pagina 99 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA TROMBOSI VENOSA SUPERFICIALE DELLA VENA GRANDE SAFENA A LIVELLO DELLA CROSSE SAFENO-FEMORALE gione, la riduzione dell’infiammazione e del dolore del paziente. La scelta fra trattamento farmacologico ed intervento chirurgico dovrebbe essere basata sulla base della classificazione in quattro stadi, suggerita da Verrel nel 2001 15. Lo stadio I include varicoflebiti senza coinvolgimento delle valvole giunzionali, all’inguine o al ginocchio, e le vene profonde; lo stadio II comprende quelle trombosi che arrivano sino alle valvole giunzionali delle vene safene; nello stadio III il trombo è penetrato nelle vene profonde; nel IV stadio la trombosi si estende nel circolo profondo solo attraverso le vene perforanti. Negli stadi I e IV il trattamento dovrebbe essere conservativo nelle prime fasi della TVS e la rimozione delle vene varicose dovrebbe essere effettuata solo dopo la regressione del quadro clinico acuto. Gli stadi II e III, dovrebbero, viceversa, essere considerati come un’urgenza chirurgica. Va tenuto presente, altresì, che la chirurgia è a costi contenuti, rappresenta una procedura “definitiva” del trattamento della TVS e comporta una risoluzione rapida del quadro sintomatologico del paziente, anche se sono stati descritti rari episodi di EP, comunque non mortali, conseguenti all’atto operatorio e che quest’ultimo ha una morbilità attorno all’8% dei casi, rappresentata dalle infezioni della ferita, seromi inguinali o ematomi 16. Forse per questo motivo, la terapia farmacologica a base di eparina a basso peso molecolare, a dosi profilattiche, dovrebbe avere un ruolo ancillare per le prime 4 settimane postoperatorie. Bibliografia 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 1. Bergquist D, Jaroszewski H. Deep vein thrombosis in patients with superficial thrombophlebitis of the leg. Br Med J 1986;292:658-9. 2. Blumenberg RM, Barton E, Gelfand ML, Skudder P, Brennan J. Occult deep venous thrombosis complicating superficial thrombophlebitis. J Vasc Surg 1998;27:338-343. 3. Chengelis DL, Bendick PJ, Glover JL, Brown OW, Ranval TJ. Progression of superficial venous thrombosis to deep vein thrombosis. J Vasc Surg 1996;24:745-9. 4. Jorgensen JO, Hanel KC, Morgan AM, Hunt JM. The incidence of deep venous thrombosis in patients with superficial thrombophlebitis of the lower limbs. J Vasc Surg 1993;18:703. 5. Verlato F, Zucchetta P, Prandoni P, Camporese G, Marzola Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 6. 14. 15. 16. GOSSETTI MC, Salmistraro G. et al. An unexpectedly high rate of pulmunary embolism in patients with superficial thrombophlebitis of the thigh. J Vasc Surg 1999;30:1113-5. Krunes U, Teubner K, Knipp H, Holzapfel R. Thrombosis of the muscular calf veins-reference to a syndrome which receives little attention. Vasa 1998;27:172-5. Unno N, Mitsuoka H, Uchiyama T, Yamamoto N, Saito T, Ishimaru K, et al. Superficial thrombophlebitis of the lower limbs in patients with varicose veins. Surg today 2002; 32:397-401. Titon JP, Auger T, Grange P, Hecquet JP, Remond A, Ulliac P et al. Therapeutic management of superficial venous thrombosis with calcium nadroparin. Dosage testing and comparison with non steroidal anti-inflammatory agent. Ann Cardiol Angeiol (Paris) 1994;43:160-6. Belcaro G, Nicolaides AN, Errichi BM, Cesarone MR, De Sanctis MT, Incandela L et al. Superficial thrombophlebitis of the legs:a randomized, controlled, follow-up study. Angiology 1999;50:523-9. Marchiori A, Verlato F, Sabbion P, Camporese G, Rosso F, Mosena L et al. High versus low doses of unfractionated heparin for the treatment of superficial thrombophlebitis of the leg. A prospective, controlled, randomized study. Haematologica 2002;87:523-7. Superficial thrombophlebitis treated by enoxaparin group. A pilot randomized double-blind comparison of a low-molecular-weith heparin, a non steroidal anti-inflammatory agent, and placebo in the treatment of superficial vein thrombosis. Arch Intern Med 2003;163:1657-63. Lozano FS, Almazan A. Low-molecular-weith-heparin versus saphenofemoral disconnection for the treatment of aboveknee greater saphenous thrombophlebitis: a prospective study. Vasc Endovascular Surg 2003;37:415-20. Buller HR, Agnelli G, Hull RD, Hyers TM, Prins MH, Raskob GE. Antithrombotic therapy for venous thromboembolic disease: the seventh ACCP Conference on antithrombotic and thrombolytic therapy. Chest 2004;126:401S-28S. Markovic MD, Lotina SI, Davidovic LB, Vojnovic BR, Kostic DM, Cinara IS, Svetkovic SD. Acute superficial thrombophlebitis – modern diagnosis and therapy. Srp Arh Celok Lek 1997;125:261-6. Verrel F, Ruppert V, Spengel FA, Steckmeier B. Stage-adapted therapy concept in ascending thrombophlebitis. Zentralbl Chir 2001;126(7):531-6. Krause U, Kock HJ, Kroger K, Albrecht K, Rudofsky G. Prevention of deep venous thrombosis associated with superficial thrombophlebitis of the leg by early saphenous vein ligation. Vasa 1998;27(1):34-8. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 99 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 16-11-2011 10:57 Pagina 100 MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):100-1 Indicazioni attuali dei nuovi farmaci anticoagulanti C. CIMMINIELLO I nuovi farmaci anticoagulanti orali comprendono l’inibitore diretto della trombina, dabigatran etexilato, e l’inibitore diretto del fattore X attivato (Xa), rivaroxaban. Questi due farmaci sono attualmente in commercio in Italia con l’unica indicazione codificata per la profilassi del Tromboembolismo Venoso (TEV) in soggetti sottoposti a protesica elettiva d’anca o di ginocchio. In particolare, i due farmaci menzionati non possono essere impiegati nella terza indicazione della Chirurgia Ortopedica Maggiore, la profilassi del TEV in soggetti con frattura d’anca. Del tutto recentemente ai due farmaci citati, si è aggiunto un nuovo inibitore diretto del Xa, apixaban, che è in commercio con le medesime indicazioni di dabigatran e rivaroxaban. I tre farmaci menzionati sono caratterizzati da profili farmacocinetici assai differenti e che possono essere importanti nell’orientare le scelte cliniche. La biodisponibilità dei tre composti varia dal 6% di dabigatran (che è un pro-farmaco) all’80% di rivaroxaban passando dal 60% di apixaban. L’emività è simile ma con differenze significative: 7-11 ore per rivaroxaban, 12 ore per apixaban e 12-17 ore per dabigatran. Dabigatran e rivaroxaban devono essere somministrati una sola volta al giorno, mentre apixaban richiede doppia somministrazione. L’eliminazione è renale per l’80% nel caso di dabigatran, per il 66% di rivaroxaban e per il 25% di apixaban. Se si considerano gli studi eseguiti nel modello clinico della protesica d’anca e di ginocchio, si rileva che dabigatran - utilizzato alla dose di 150 o 220 mg/die con avvio post-operatorio - si avvale di 4 studi di fase III: RE-NOVATE I, RE-MODEL e RE-MOBILIZE cui si è aggiunto più di recente il RENOVATE II. I risultati dei primi tre studi hanno mostrato che dabigatran è efficace quanto enoxaparina impiegata secondo lo schema europeo (4000 U/die avviata prima dell’intervento) nel prevenire TEV e mortalità generale ed è meno efficace di enoxaparina se impiegata secondo lo schema nordamericano (3000 U due volte al giorno con inizio post-operatorio) in protesica di ginocchio. La sicurezza sul versante delle emorragie maggiori è risultata pari a quella di enoxaparina. Va sottolineato che il programma di sviluppo di dabigatran prevedeva che i protocolli includessero la registrazione delle complicanze emorragiche in sede di intervento tra gli end-point mag100 Dipartimento Internistico P.O. Vimercate, AO di Desio e Vimercate (MB) giori di sicurezza. Come per tutti gli altri nuovi anticoagulanti, la durata della profilassi in protesica di ginocchio si limitava a 2 settimane che è una durata ridotta rispetto alle 5 settimane oggi consigliate dalle linee guida. Il più recente RE-NOVATE II, condotto con dabigatran alla sola dose di 220 mg in confronto ad enoxaparina secondo schema europeo in protesica d’anca, ha confermato la pari efficacia e sicurezza dei due farmaci a confronto. Rivaroxaban è stato sviluppato nell’ambito di un programma denominato RECORD che prevedeva 4 studi, il RECORD 1 ed il RECORD 2 in protesica d’anca ed il RECORD 3 e 4 in protesica di ginocchio, Rivaroxaban, che era utilizzato costantemente alla dose di 10 mg con avvio post-operatorio, si mostrava più efficace di enoxaparina, sia impiegata con lo schema nordamericano che con quello europeo. Non si registrava un aumento significativo delle emorragie maggiori nel braccio rivaroxaban, ma le emorragie in sede di intervento non venivano incluse nella valutazione di sicurezza di questi studi. Apixaban è stato sviluppato nel corso di 3 studi ADVANCE 1, 2 e 3 che hanno valutato questo inibitore diretto del fattore Xa, somministrato nel post-operatorio alla dose di 2.5 mg due volte al giorno, con enoxaparina impiegata sia con lo schema nordamericano sia con quello europeo. Gli studi ADVANCE 1 e 2 hanno valutato il nuovo farmaco nel modello della protesica elettiva di ginocchio non riuscendo - nell’ADVANCE 1 - a dimostrare la non inferiorità di apixaban rispetto ad enoxparina alla dose di 3000 U due volte al giorno. Peraltro la frequenza di emorragie maggiori risultava, sempre nell’ADVANCE 1, significativamente più elevato nei trattati con enoxaparina rispetto a quelli trattati con apixaban. Nello studio ADVANCE 2 il confronto di apixaban con enoxaparina impiegata secondo lo schema europeo ha mostrato la non inferiore efficacia di apixaban e la pari sicurezza nei confronti delle complicanze emorragiche. Nello studio ADVANCE 3 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 16-11-2011 10:57 Pagina 101 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) INDICAZIONI ATTUALI DEI NUOVI FARMACI ANTICOAGULANTI apixaban è stato confrontato con enoxaparina impiegata secondo lo schema europeo nei pazienti sottoposti a protesica d’anca. L’end point composto dall’insieme di TEV, sintomatico e non, e mortalità generale, risultava significativamente meno frequente nei trattati con apixaban mentre le complicanze emorragiche non risultavano differenti nei due gruppi a confronto. Non esistono studi testa a testa di confronto tra i nuovi anticoagulanti Una recente metanalisi degli studi citati relativi a dabigatran e rivaroxaban (con esclusione del RE-NOVATE II) ha concluso per una pari efficacia di enoxaparina e dabigatran Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CIMMINIELLO per quanto riguarda l’end point TEV sintomatico e mortalità generale. Altrettanto sovrapponibili le complicanze emorragiche maggiori e quelle clinicamente rilevanti (quindi comprese le emorragie in sede operatoria). Per converso rivaroxaban risultava più efficace di enoxaparina nel ridurre TEV sintomatico e morte ma anche le complicanze emorragiche risultavano significativamente più frequenti nei trattati con rivaroxaban rispetto ad enoxaparina se si considerava l’end-point composito costituito dalle emorragie maggiori e da quelle clinicamente rilevanti. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 101 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 16-11-2011 10:57 Pagina 102 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):102-3 Il fondaparinux nel trattamento della tromboflebite superficiale: lo studio CALISTO P. PRANDONI, I. MINOTTO, R. PESAVENTO La trombosi venosa superficiale (TVS) è stata considerata per molto tempo una condizione morbosa di scarso valore clinico e trattabile in modo sostanzialmente discrezionale, dall’antibioticoterapia all’uso di FANS fino alla somministrazione di anticoagulanti alle dosi più diverse o ricorrendo alla chirurgia. In realtà la TVS, probabilmente con la sola esclusione della flebite indotta da sostanze chimiche, rappresenta una forma di tromboembolismo venoso (TEV) a prognosi generalmente benigna e si associa con una certa frequenza alla trombosi venosa profonda (TVP), può essere complicata da una embolia polmonare (EP) e talora è la prima manifestazione di patologie pro-trombotiche maggiori. Il recente interesse manifestato nel campo della ricerca clinica per la cura della TVS è sostanzialmente dovuto allo sviluppo di tale consapevolezza. Risalgono al periodo 1999-2003 i primi studi dedicati al trattamento della TVS, i cui risultati non riescono a mostrare la superiorità di una specifica terapia rispetto ad un’altra, fra quelle valutate 1-3. Studi recenti Nel 2003 furono pubblicati i risultati dello studio Stenox 4, uno studio randomizzato, di confronto fra 4 schemi di trattamento (enoxaparina a dosaggi diversi o trattamento antiinfiammatorio non steroideo per via orale per 10 giorni vs. nessun trattamento) in pazienti con TVS con o senza varicoflebite, successivamente seguiti per 3 mesi. Sfortunatamente il mancato raggiungimento del campione statistico prefissato (furono reclutati 436 pazienti sui 1200 previsti) ha fortemente limitato la possibilità di identificare differenze statisticamente significative e clinicamente rilevanti tra i gruppi di trattamento. In ogni caso il trattamento farmacologico è risultato più efficace rispetto all’assenza di trattamento nel ridurre l’estensione prossimale della TVS e ha mostrato una tendenza statisticamente non significativa alla riduzione di eventi tromboembolici maggiori; tale tendenza si manifestava d’altra parte solo inizialmente ed il potenziale vantaggio della terapia farmacologica si annullava dopo la sospensione del trattamento. Nel 2005 furono pubblicati i risultati dello studio Vesalio 5, uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco di 102 Dipartimento di Scienze Cardiologiche, Toraciche e Vascolari, Clinica Medica II, Università degli Studi di Padova trattamento della TVS della grande safena con nadroparina a dosi terapeutiche vs dosi profilattiche somministrate per 30 gg, un periodo di tempo volutamente maggiore di quello adottato nello studio Stenox, nell’ipotesi di una maggiore efficacia del trattamento anche dopo la sospensione del farmaco. Anche il Vesalio fu prematuramente interrotto per difficoltà di arruolamento, con i conseguenti limiti interpretativi già visti nello Stenox ed ottenendo risultati simili: l’iniziale evidente beneficio nel gruppo di trattamento con nadroparina ad alte dosi veniva perso nei due mesi successivi alla sospensione del trattamento. In entrambi gli studi il trattamento farmacologico mostrava un buon profilo di sicurezza. I risultati interlocutori di questi studi e la conferma della presenza di un significativo tasso di complicanze tromboemboliche sintomatiche presentato dai pazienti arruolati nello Stenox (14/427, 3,3%) e nello studio Vesalio (5/164, 3,1%) durante il follow-up di tre mesi, indipendentemente dal trattamento assegnato, certamente mostravano la necessità di ulteriori studi clinici, opportunamente disegnati in modo tale da consentire un ampio reclutamento di pazienti con TVS, il confronto di un farmaco antitrombotico vs placebo ed una adeguata durata di trattamento. Lo studio CALISTO Con tali premesse veniva avviato nel 2007 uno studio multicentrico internazionale randomizzato in doppio cieco di ampie proporzioni, lo studio CALISTO i cui risultati sono stati pubblicati in questi giorni sul prestigioso New England Journal of Medicine 6. Lo studio ha arruolato 3002 pazienti con TVS acuta isolata degli arti inferiori, successivamente randomizzati a ricevere una dose giornaliera di fondaparinux o placebo per 45 giorni, un periodo di tempo ritenuto idoneo ad evitare il fenomeno di “catch-up” osservato negli studi precedenti. Di particolare MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 2 - simposi 16-11-2011 10:57 Pagina 103 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL FONDAPARINUX NEL TRATTAMENTO DELLA TROMBOFLEBITE SUPERFICIALE: LO STUDIO CALISTO interesse è stata la scelta di un dosaggio giornaliero di fondaparinux generalmente ritenuto profilattico, pari a 2,5 mg. L’end-point primario di efficacia era rappresentato da un composito di morte per ogni causa, EP sintomatica, TVP sintomatica, estensione sintomatica della TVS alla giunzione safeno-femorale, e recidiva di TVS entro i primi 47 giorni. Gli end-point secondari di efficacia erano rappresentati dall’ endpoint primario a 77 giorni , da ogni singolo componente dell’endpoint primario e da un composito di EP sintomatica, TVP sintomatica e chirurgia della TVS L’endopoint primario di sicurezza era rappresentato dall’incidenza di emorragia maggiore. Il follow up è stato di 77 giorni. L’incidenza dell’endpoint primario di efficacia al termine del trattamento è stata pari a 0,9% (13/1502 pazienti) nel gruppo trattato con fondaparinux e 5,9% (88/1500 pazienti) nel gruppo trattato con placebo, pari ad un rischio relativo nel gruppo trattato di 0,15 (95% CI: 0.080.26; P<0,001) ed un numero di pazienti da trattare per prevenire un evento (NNT) di 20. A differenza di quanto osservato negli studi precedenti, il beneficio del trattamento farmacologico è rimasto significativo anche dopo la sospensione del trattamento, con un’incidenza di eventi a 77 giorni di 1,2% (18/1502) nel gruppo di trattamento e di 6,3% (94/1500) nel gruppo placebo (RR 0.19;95% CI: 0,12-0,32; P<0,001). Nel gruppo trattato con fondaparinux il rischio relativo del composito di EP e TVP è risultato ridotto dell’ 85% (0,2% vs 1.3%; 95%IC:50-95%; P<0,001; NNT 88). Anche in questo caso il beneficio si è mantenuto dopo la sospensione del trattamento. Globalmente vi sono state 6 EP nel gruppo placebo e nessuna nel gruppo di trattamento. In 54 pazienti appartenenti al gruppo placebo ed in 5 appartenenti al gruppo di trattamento la TVS si è estesa alla giunzione safeno-femorale (RR 0.09; 95%CI:0.04-0.23; P< 0,001). Una significativa riduzione del rischio relativo durante il trattamento è stata inoltre dimostrata nei confronti dell’estensione della TVS alla giunzione safeno-femorale, della recidiva di TVS e della legatura chirurgica safenica. Nonostante il confronto verso placebo, non sono state registrate differenze significative nel tasso di emorragie, con una emorragia maggiore presente in ogni gruppo. L’incidenza di eventi avversi seri non fatali è risultata leggermente maggiore nel gruppo trattato con placebo (1,1%) rispetto a quello trattato con fondaparinux (0,7%). Non sono state osservate, infine, differenze nella mortalità per ogni causa fra i due gruppi, risultata pari allo 0,1%. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 PRANDONI Dunque, il trattamento della TVS acuta con 2,5 mg di fondaparinux sc 1 volta al dì per 6 settimane, è risultato efficace, sicuro, ben tollerato, ampiamente applicabile ed in grado di offrire una protezione prolungata ai pazienti affetti. Una certa prudenza nel traslare i risultati dello studio CALISTO nella pratica medica potrebbe insorgere dalla constatazione che le complicanze clinicamente significative sono state relativamente rare anche nel gruppo di pazienti trattato con il placebo (NNT per TEV sintomatico di 88) ma non si può non rammentare che un numero piuttosto elevato di pazienti ha interrotto il trattamento sperimentale in cecità ed è stato successivamente e prevalentemente trattato con anticoagulanti in forza del raggiungimento di uno degli end-point predefiniti, l’ estensione prossimale della trombosi alla giunzione safeno-femorale. È pertanto del tutto probabile che in assenza di un trattamento anticoagulante una frazione significativa di questi pazienti avrebbe sviluppato delle complicanze tromboemboliche maggiori. I risultati dello studio CALISTO sono, a nostro parere rilevanti perché consentono di avere finalmente a disposizione una terapia della TVS semplice, efficace e soprattutto verificata sperimentalmente. Bibliografia 1. Belcaro G, Nicolaides AN, Errichi BM et al. Superficial Thrombophlebitis of the legs: a randomized, controlled, follow-up study. Angiology 1999;50:523-9. 2. Marchiori A, Verlato F, Sabbion P et al. High versus low doses of unfractionated heparin for the treatment of superficial thrombophlebitis of the leg. A prospective, controlled, randomized study. Haematologica 2002;87:523-7. 3. Lozano F, Almazan A. Low-molecular-weight heparin versus saphenofemoral disconnection for the treatment of aboveknee greater saphenous thrombophlebitis: a prospective study. Vasc Endovsc Surg 2003;37:515-20. 4. The STENOX Study Group. A randomized double-blind comparison of low molecular weight heparin, non steroidal anti-inflammatory agent and placebo in the treatment of superficial vein thrombosis, Arch Intern Med 2003;163: 165763. 5. The Vesalio Investigators Group. High vs. low doses of lowmolecular-weight heparin for the treatment of superficial vein thrombosis of the legs: a double-blind, randomised trial. J Thromb Haemost 2005;3:1149-51. 6. The CALISTO Study Group. Fondaparinux for the treatment of superficial-vein thrombosis in the legs. N. Engl. J. Med 2010;363:1222-32 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 103 TORNA ALL'INDICE 0 - indice 15-11-2011 18:10 Pagina 1 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 105 COMUNICAZIONI ORALI TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 106 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 107 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):107-8 Tromboendarterectomia e stenting carotideo. Esperienza monocentrica G. LA BARBERA1, M. VALLONE2, G. FERRO1, F. VALENTINO1, F. FALLEA1, L. CASSARO1, D. M. PARSAI1, G. LA MARCA1 Negli ultimi anni la rivascolarizzazione endovascolare con stent (CAS) delle stenosi carotidee si è proposta come alternativa alla rivascolarizzazione chirurgica (TEA). I risultati del CAS, con protezione neurologica, in paz con elevato rischio chirurgico, sono apparsi sovrapponibili alla TEA1. Di contro diversi trials, su pazienti sintomatici, hanno mostrato l’incidenza di maggiore rischio periprocedurale nel CAS2-4. Ad oggi la rivascolarizzazione carotidea tramite PTA + stent è indicata in casi selezionati e presso centri ad alto volume di procedure. Lo stent carotideo e la TEA sono tutt’ora oggetto di confronto nei trials internazionali. Riportiamo i nostri risultati immediati e a distanza. Materiali e metodi Da gennaio 2006 a Dicembre 2010, 325 pz (225 uomini – 100 donne), età media 71,5 aa, sono stati sottoposti a rivascolarizzazione carotidea. Abbiamo confrontato il Gruppo 1 (PTA + Stent): 100 pz, e il Gruppo 2 (TEA): 225 pz. Abbiamo valutato gli “end points” postoperatori a 30 gg (tasso di mortalità e deficits neurologici) confrontandoli con le variabili preoperatorie. Inoltre abbiamo valutato la comparsa di IMA a 30 gg nei 2 gruppi. Nel FU abbiamo valutato il tasso di sopravvivenza, di restenosi e di libertà da stroke Risultati L’età media del Gruppo 1 era maggiore (74.7 vs 69.6 aa; p<,005). Nel postoperatorio 1 pz è deceduto nel gruppo 1 mentre nessun pz nel Gruppo 2, (tasso di mortalità 1,2% vs 0%). Un maggior tasso di complicanze postoperatorie è stato rilevato nel: – Gruppo 1, pz =>75 aa (10% vs 0%) p<.05 rispetto il Gruppo 2 (3% vs 4%) p=ns, – Gruppo 1, >2 malattie associate (12% vs 2%) p<.05 rispetto il Gruppo 2 (2% vs 5%) p=ns, – Gruppo 1, BAC (33% vs 4%) p<.005 rispetto il Gruppo 2 (14% vs 4%) p.05, per quanto riguarda gli IMA a 30 gg abbiamo riportato nel gruppo 1, un tasso di 1,1% vs nel Gruppo 2 di 0,4% (p=ns). Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1U.O.C. di Chirurgia Vascolare, Ospedale Civico Benfratelli, Palermo 2Sezione di Radiologia Interventistica, Ospedale Civico Benfratelli, Palermo Nel FU a 6 aa (medio di 40 m) abbiamo ottenuto un tasso attuariale di sopravvivenza, di restenosi, e di libertà da stroke, rispettivamente del 92%, 90% e 91% nel gruppo 1, e del 93%, 93% e 93% nel gruppo 2. Conclusioni Ad oggi diversi trials clinici, conclusi ed in corso, suggeriscono un atteggiamento più selettivo nell’indicazione al CAS. Nella nostra esperienza abbiamo registrato un maggior tasso di complicanze postoperatorie, in termini di mortalità e stroke, nei paz anziani (>75 aa) trattati con CAS (10% vs 3%; p<05). Allo stesso risultato pervengono gli Autori dello studio CSTC5, nella loro metanalisi sui paz sintomatici, nella valutazione ITT, ove registrano una tasso cumulato di stroke e/o exitus, nei 120 gg successivi al CAS vs TEA, che risulta essere sovrapponibile nei 2 gruppi se i paz hanno un’età <a 70 aa (5,8% vs 5,7%) mentre risulta statisticamente maggiore nel gruppo CAS se i paz hanno un’età >a 70 aa (12% vs 5,9%), p <.005, con un incremento,a 120 gg, del Rischio Relativo del 50% e del Rischio Assoluto 6,1%. I risultati sono pressoché analoghi se consideriamo gli Autori dello studio CREST6, che nei 1321 paz sintomatici, hanno evidenziato un tasso combinato di mortalità e stroke a 30 gg, dopo la randomizzazione del 6% nei paz CAS e 3,2% nei paz TEA (p<,02). Nello studio CSTC (5) gli IMA sono stati pressochè sovrapponibili nei 2 gruppi (CAS 0,3% vs TEA 0,4%; p=ns). Nel ns studio riportiamo un tasso di 1,1% nel gruppo 1 e 0,4% nel gruppo 2, in assenza di significatività statistica. Mentre nel suddetto studio non viene evidenziato alcun altro sottogruppo di paz che evidenzi relazione significati- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 107 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 108 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA BARBERA TROMBOENDARTERECTOMIA E STENTING CAROTIDEO. ESPERIENZA MONOCENTRICA va con i risultati, nella ns esperienza anche la presenza di malattie associate e di pregressi BAC sono gravati da un tasso di mortalità e deficits neurologici significativamente maggiori nel gruppo 1 in confronto al Gruppo 2, rispettivamente 12% vs 2% (p<.05) e 33% vs 14% (p,05). Ma a questo riguardo dobbiamo osservare che l’incidenza di malattie associate e di coronaropatie che richiedono un BAC si incrementa parallelamente all’età. Lo studio CREST6 nel FU medio a 2.5 aa, sul totale dei paz, ha registrato tassi sovrapponibili nel CAS vs TEA, del tasso combinato di stroke periprocedurali, IMA, Exitus o stroke ipsilaterale. Analogamente nel ns FU medio a 40 mm abbiamo riportato un tasso attuariale di sopravvivenza, di restenosi, e di libertà da stroke, rispettivamente del 92%, 90% e 91% nel gruppo 1, e del 93%, 93% e 93% nel gruppo 2. In conclusione, ad oggi, nel trattamento con CAS, l’età superiore a 70 aa, nei paz con stenosi carotidee sintomatiche, deve essere considerato un fattore di rischio per risultati peggiori, quindi la TEA carotidea in questi paz deve essere considerata come “first option treatment”. 108 Bibliografia 1. Yadav JS, Wholey MH, Kuntz RE, et al. Protecetd carotidartery stentung versus endarterectomy in High risk patients. N Engl J med 2004;351:1493-501. 2. Mas JL, Chatellier G, Beyssen B, et al. Endarterectomy versus stenting in patients with symptomatic severe carotid stenosis. N Engl J med 2006;355:1660-71. 3. The SPACE Collaborative Group. 30 day results from the SPACE trial of stent-protected angioplasty versus carotid endarterectomy in symptomatic patients: a randomised noninferiority trial. Lancet 2006;368:1239-47. 4. International Carotid Stent Study investogators. Carotid artery stenting compared with endarterectomy in patients with symptomatic carotid stenosis (International Carotid Stenting Study: an interim analysis of a randomised controlled trial. Lancet 2010;375:985-97. 5. Carotid Stenting Trialists’ Collaboration. Short term outcome after stenting versus endarterectomy for symptomatic carotid stenosis: a preplanned metanalysis of individual patients. www.thelancet.com Published on line September10, 2010 DOI:10.1016/S0140-6736(10)61009-4 6. Brott TG, Hobson RW, Howard G et al. Stentinf versus endarterectomy for treatment fo carotid-artery stenosis. N Engl J med 2010;363:11-23. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 109 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):109 Le complicanze infettive dopo evar: la nostra esperienza nell’interessamento dell’aorta sopra-renale L. UKOVICH1, K. NIKOLAKOPOULOS1, C. CERA1, F. POZZI MUCELLI2, S. CHIARANDINI1, R. ADOVASIO1 L’infezione dell’endoprotesi aortica rappresenta un problema aperto di difficile risoluzione in quanto i pazienti candidati a trattamento endovascolare presentano condizioni generali che spesso non permettono trattamenti aggressivi. Obiettivo Presentare la nostra esperienza nel trattamento delle infezioni endoprotesiche dell’aorta addominale. Scarsa è la letteratura, l’incidenza risulta essere <1%1,2. Il trattamento è complesso sia per le condizioni generali del paziente sia per la sede anatomica che può essere coinvolta. Materiali e metodi Nel periodo Gennaio 2000- Aprile 2011 sono stati eseguiti 350 interventi di EVAR. Le endoprotesi prevalentemente impiantate sono state: Talent 57%, Endurant 19%, Excluder 14%, Anaconda 4% e Aneurix 3%. La diagnosi è stata fatta su base clinica, esami ematochimici, emocolture e AngioCT. Risultati Sono stati riscontrati 3 casi (0,7%) di infezione protesica. Tutti maschi, di età media di 77±4 anni. Il periodo di tempo medio intercorso tra l’intervento e la diagnosi di infezione è stato di 32 mesi (range 34-60). In un paziente l’infezione è conseguita a 2 trattamenti endovascolari di embolizzazione di arterie lombari, causa di endoleak di II tipo. Tutti i pazienti sono stati trattati inizialmente con antibiotico-terapia mirata. I microrganismi isolati all’emocoltura sono stati: Salmonella Typhi, Escherichia Coli, Staphilococcus Aureus Coagulasi Negativa, Acinectobacter Baumanii. Due pazienti hanno avuto un interessamento dell’aorta sopra-renale (ambedue protatori di protesi Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1U.C.O. Chirurgia Vascolare, Ospedale di Cattinara, Trieste 2U.C.O. Radiologia, Ospedale di Cattinara, Trieste Talent) e sono stati trattati con cuffia prossimale. In un caso associata a bypass spleno-mesenterico, nell’altro a embolizzazione della sacca dello pseudoaneurisma. Entrambi operati i pazienti sono deceduti rispettivamente in prima giornata post-operatoria per peritonite da salmonella e il secondo in XI giornata per MOF. Il terzo paziente è deceduto per rottura posteriore di aneurisma da suppurazione della parete poche ore dopo il ricovero. Conclusioni In letteratura ci sono riferimenti solo ad infezioni dell’aorta sottorenale. La singolarità dei casi giunti alla nostra osservazione sta nel fatto che in due pazienti, trattati con free-flow soprarenale e probabilmente per questo motivo, l’infezione si è propagata all’aorta soprarenale rendendo complesso il trattamento. Bibliografia 1. Cernohorsky P, Reijnen MM, Tielliu IF, Sterkenburg SM, van den Dungen JJ, Zeebregts CJ. The relevance of aortic endograft prosthetic infection. J Vasc Surg. 2011 Mar 10 (Epub ahead of print). 2. Hobbs SD, Kumar S, Gilling-Smith GL. Epidemiology and diagnosis of endograft infection. J Cardiovasc Surg (Torino), 2010 Feb; 51(1): 5-14. 3. Laser A, Baker N, Rectenwald J, Eliason JL, Criado-Pallares E, Upchurch GR Jr. Graft infection after endovascular abdominal aortic aneurysm repair. J Vasc Surg 2011 Feb 1 (Epub ahead of print). MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 109 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 110 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):110-1 Una complicanza rara post-stenting dell’arteria succlavia: la sindrome da iperafflusso cerebrale L. UKOVICH1, M. NACCARATO2, B. ZIANI1, K. NIKOLAKOPOULOS1, C. CERA1, G. GIACOMEL1, A. CALGARO3, R. ADOVASIO1 Revisionando la letteratura abbiamo trovato rari casi di sindromi da iperafflusso cerebrale dopo procedura endovascolare di ricanalizzazione dell’arteria succlavia complicati con emorragia intracerebrale e subaracnoidea. Sundt fu il primo a descrivere la sindrome da iperperfusione cerebrale nel 1975 in 5 pazienti sottoposti a endoarterectomia carotidea che nel post-operatorio avevano manifestato emicrania, segni neurologici di lateralità focale transitori e emorragia intracranica3. Oggi questa sindrome colpisce il 0,3-1% dei pazienti sottoposti a endoarterecotmia carotidea; nulla si sa sulla reale incidenza nei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione endovascolare di arterie afferenti al cervello. 1U.C.O. Chirurgia Vascolare, Ospedale di Cattinara, Trieste 2U.C.O. Neurologia, Ospedale di Cattinara, Trieste 3U.C.O. Radiologia, Ospedale di Cattinara, Trieste Materiali e metodi Una donna di 64 anni con esiti di emiparesi destra in recente ICTUS cerebri, sottoposta a endoarterectomia carotidea sinistra un mese prima si presenta alla nostra attenzione per occlusione cronica dell’arteria succlavia sinistra. La sintomatologia riferita dalla paziente è di clau- Figura 1. – Angiografia e angioplastica con stenting dell’arteria succlavia sinistra: ostruzione dell’arteria dell’arteria succlavia sinistra all’origine, estesa per circa 3,5 cm. Inserimento di stent Smart-Cordis 7 x 40 mm e sua dilatazione. Il controllo finale documenta rivascolarizzazione dell’arteria succlavia sinistra. 110 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 111 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) UNA COMPLICANZA RARA POST-STENTING DELL’ARTERIA SUCCLAVIA: LA SINDROME DA IPERAFFLUSSO CEREBRALE UKOVICH Figura 2. – Tc diretto capo post-procedura: presenza di emorragia in sede tipica con interessamento dei nuclei talamici, con maggior coinvolgimento di quello sinistro. Versamento emorragico endoventricolare soprattutto del ventricolo laterale sinistro. Si associano inoltre micro-petecchie emorragiche sia a livello cerebellare bilateralmente, sia in sede occipitale bilateralmente. dicatio dell’arto superiore sinistro durante le normali attività quotidiane. La paziente è affetta da diabete mellito, ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico e fuma 20 sigarette al giorno. Viene ricoverata presso la nostra struttura per essere sottoposta a procedura endovascolare di rivascolarizzazione dell’arteria succlavia. La pressione arteriosa misurata a livello dell’arto superiore destro prima della procedura è di 130/80 mmHg. Durante la procedura endovascolare la pressione arteriosa viene monitorizzata e si notano dei picchi ipertensivi che raggiungono 190/90 mmHg. La procedura viene portata a termine senza difficoltà tecniche, riuscendo a ricanalizzare l’arteria succlavia sinistra e rilasciando a questo livello uno stent Smart Cordis 7 x 40 mm. Risultati Nell’immediato post-operatorio la paziente riferisce forte emicrania, non controllabile con paracetamolo (1 g) e.v. Dopo 15 minuti la paziente presenta vomito a getto, perdita di coscienza e segni neurologici di focalità transitoria. Viene quindi eseguita una TC cerebrale senza m.d.c. che evidenzia vasta emorragia endoventricolare con micro-petecchie emorragiche sia a livello cerebellare, sia a livello occipitale bilateralmente. La TC ripetuta a distanza di 24h evidenzia una stabilità del quadro radiologico. La sintomatologia lentamente regredisce, la paziente riprende coscienza, deambula, permane lieve afasia e la paziente viene trasferita in riabilitazione a distanza di 45 giorni dall’evento emorragico. Discussione La sindrome da iperafflusso cerebrale è una seria complicanza della rivascolarizzazione cerebrale. Sono stati identificati due meccanismi sinergici che possono portare allo sviluppo di questa sindrome: la mancata autoregolazione del flusso cerebrale e l’ipertensione arteriosa post-operatoria. È stato dimostrato che in pazienti con graduale diminuzione della pressione di perfusione cerebrale dovuta a stenosi croniche, le arteriole cerebrali sono dilatate e perdono la capacità di vasocostrizione nel caso in cui venga ristabilita una pressione di perfusione normale. Questo può portare a iperemia del tessuto cerebrale con Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 incremento della pressione intracranica e alla rottura delle arteriole con emorragia cerebrale multi-focale4-5. Nel caso da noi riportato, la paziente, precedentemente sottoposta a endoarterectomia carotidea, veniva sottoposta a disostruzione della succlavia, aumentando quindi la pressione di perfusione cerebrale evidentemente non auto-regolata dalle arteriole cerebrali. Inoltre il picco ipertensivo registrato durante la procedura ha aumentato ulteriormente la pressione cerebrale. I pazienti a rischio per la sindrome da iperafflusso cerebrale non sono facilmente identificabili2. Si è suggerito che i probabili fattori di rischio possano includere l’ipertensione arteriosa, la stenosi serrata o la occlusione del segmento da rivascolarizzare e i segni di ischemia cronica cerebrale. Fino ad ora questi fattori di rischio non sono stati associati in letteratura alla rivascolarizzazione dell’arteria succlavia, essendo una procedura poco comune. I criteri di selezione dei pazienti per questa procedura non sono universalmente noti. Sono necessari studi con maggior casistica per poter identificare i pazienti a rischio per questa seria complicanza e per poterla evitare. Inoltre uno stretto monitoraggio intra- e post-operatorio permettono una tempestiva diagnosi e un rapido trattamento della sindrome da iperafflusso cerebrale, cercando di limitare i danni cerebrali. Bibliografia 1. Meyers P, Higashida R, Phatouros C, Malek A, Lempert T, Dowd C, Halbach V. Cerebral Hyperperfusion Syndrome after Percutaneous Transluminal Stenting of the Craniocervical Arteries. Neurosurgery 47(2): 335-345; August 2000 2. Salerno J, Vitek J. Fatal cerebral hemorrhage early after sublcavian artery endovascular therapy. Am J Neuroradiol 26: 183-185, January 2005 3. Sundt TM, Sandok BA, Whisnant JP. Carotid endarterectomy. Complications and preoperative assessment of risk. Mayo Clin Proc 1975; 50:301-6. 4. Morrish W, Grahovac S, Douen A et al. Intracranial hemorrhage after stenting and angioplasty of extracranial carotid stenosis. AJNR Am J Neuroradiol 2000; 21: 1911-1916 5. Pucillo A, Choragudi N, Mateo R, et al. Cerebral hyperperfusion after angioplasty and stenting of a totally occluded left subclavian artery: a case report. Heart Dis 2003; 5: 15-17 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 111 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 112 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):112-3 Complicanze iatrogene nel trattamento endovascolare J. CLERISSI, C. MASSA SALUZZO, A. RAGAZZONI, A. LA ROSA, C. SCOTTI, M. DONDI, S. CIRULLI, R. MOIA L’approccio endovascolare è entrato ormai nella routine diagnostico-terapeutico di malattie vascolari quali ad esempio la coronaropatia, la patologia aneurismatica e l’arteriopatia obliterante cronica periferica, per le quali la procedura mini-invasiva può rappresentare, in casi selezionati, la tecnica di prima scelta oppure un’eccellente alternativa alla chirurgia invasiva. La prospettiva di un ottimale rapporto costo-beneficio, soprattutto per quei pazienti che presentano numerose comorbidità di notevole impatto clinico, rende il trattamento endovascolare di largo impiego nella pratica diagnostico-terapautica. Tuttavia tale approccio non è esente da rischi, connessi sia alla procedura in sé che al corollario di eventi fisiopatologici che si possono verificare in alcuni pazienti a seguito di manovre strumentali anche poco invasive, quale appunto l’angiografia. Considerando in particolare le procedure di rivascolarizzazione del distretto arterioso periferico, le complicanze significativamente associate possono essere distinte in locali e sistemiche. Le prime a loro volta comprendono le complicanze del sito d’accesso, per le quali in letteratura è riportata un’incidenza del 4%, e quelle al sito di intervento (angioplatica ed eventuale stenting), con un’incidenza pari al 3,5%. In seguito a puntura arteriosa, nello specifico, l’evenienza più frequente è rappresentata da formazione di pseudoaneurisma (0,5%) seguito da fistola artero-venosa (0,1%). Per quanto riguarda invece le problematiche a distanza dal sito d’accesso si tratta di complicanze connesse alla dilatazione del device: in particolare formazione di trombi (3,2%) e rottura del vaso (0,3%). A carico del tratto distale del vaso dilatato si possono inoltre verificare embolizzazioni (2,3%) e dissezioni (0,4%). Più raro ma estremamente importante dal punto di visto prognostico è il secondo gruppo di complicanze, che prevede un interessamento di tipo sistemico: i principali coinvolgimenti sono quello cardiaco (0,2%), renale (0,2%) e cerebrovascolare (0,55%). In generale si può affermare che le complicanze dipendono essenzialmente da fattori connessi da una parte alla selezione del paziente (e talvolta alla non accurata valuta112 Pavia zione del rischio globale che la procedura comporta), dall’altra all’abilità dell’operatore e alla sua capacità di discernere correttamente l’accesso più indicato per quel tipo di procedura e il calibro della strumentazione utilizzata. Casistica Nella nostra esperienza abbiamo analizzato i casi di complicanze peri e post-procedurali in corso di angiografie per rivascolarizzazioni di distretti periferici (1095 casi, 87,1%) e carotidei (119 casi, 9,5%), per embolizzazioni di fibromi uterini (4 casi, 0,3%) e di varicoceli scrotali (13 casi, 1,1%) e per il trattamento di formazioni e malformazioni aneurismatiche viscerali e periferiche (26 casi, 2%), relativamente al periodo gennaio 2001 - aprile 2011. Sul totale dei casi trattati (1257) abbiamo riscontrato 16 complicanze. Tali complicanze sono state: formazione di pseudoaneurisma (7 casi 0,5%), trombosi a livello del device (5 casi, 0,4%), rottura dell’arteria in sede di dilatazione del palloncino (2 casi, %), emorragia retroperitoneale (1 caso, 0,08%), embolia cerebrovascolare (1 caso, 0,08%). Abbiamo escluso dalla nostra casistica la semplice ecchimosi in sede di accesso angiografico, per la quale si è provveduto ad applicazione di borsa del ghiaccio per 2 ore, manovra sufficiente a ridimensionare la perdita ematica. La distinzione tra soffusione ecchimotica e raccolta ematica vera e propria è stata effettuata sulla base del dato obiettivo derivante dalla palpazione dell’inguine (presenza di tumefazione discreta in caso di ematoma) e, nei casi dubbi, basandoci sul dato ecografico. Per gli ematomi si è provveduto ad effettuare immediatamente un’incisione inguinale, previa anestesia locale, ricostituendo la continuità del vaso leso con punti di sutura 2-0. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 113 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) COMPLICANZE IATROGENE NEL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE Nel caso degli pseudoaneurismi si è invece proceduto con una nuova seduta angiografica, durante la quale si è embolizzata la lesione attraverso iniezione intrasacca di trombina. Per i casi di rottura dell’arteria si è provveduto in urgenza alla sutura della soluzione di continuo in chirurgia open. Nel casi di emorragia retroperitoneale, previo accertamento mediante TC addome, si è resa necessaria la trasfusione di 2 sacche di globuli rossi concentrati, oltre alla sutura diretta della lesione. Risultati e discussione Dopo il trattamento specifico in tutti i casi di ematomi e pseudoaneurismi non si sono verificate ulteriori lesioni. Il follow-up ha previsto un controllo obiettivo e, quando necessario, strumentale mediante indagine ecografica a 7 giorni e a 30 giorni dalla procedura. In tutti i casi non si sono resi necessari ulteriori provvedimenti specifici. Nei pazienti con trombosi si è verificato un nuovo episodio trombotico in un caso, a distanza di 2 mesi dal trattamento, in sede poplitea. Per i pazienti andati incontro ad emorragia retroperitoneale e a rottura arteriosa non ci sono state ulteriori complicanze. I pazienti che hanno riportato complicanze presentavano tali fattori di rischio: ipertensione arteriosa (59 casi, 69,4%), fibrillazione atriale cronica condizionante una TAO precedente al trattamento (12 casi, 14,1%), iperomocisteinemia (6 casi, 7%). Dalla nostra esperienza emerge che la complicanza in assoluto più frequente è la formazione di pseudoaneurismi in sede di accesso angiografico. Nella valutazione dei possibili meccanismi che hanno portato a tale complicanza, l’ipotesi più probabile è la mobilizzazione della medicazione compressiva, dovuta alla scarsa compliance di questi pazienti, i quali hanno avuto difficoltà a mantenersi allettati durante le 24 ore post-procedurali. In ogni caso tale complicanza può essere prontamente trattata con una Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CLERISSI percentuale di successo del 100%. All’estremo opposto si è verificata una complicanza mortale, sebbene non sia certa la correlazione con la procedura, potendosi trattare di un episodio embolico indipendente. Conclusioni Il trattamento endovascolare è una tecnica diagnosticoterapeutica caratterizzata da una bassa incidenza di complicanze e da una bassa mortalità peri e post-procedurale. L’incidenza complessiva di complicanze, nella nostra esperienza, è risultata del 6,7%, in linea con i dati riportati in letteratura. La procedura angiografica è pertanto da considerarsi di prima scelta in tutti i pazienti in cui l’intervento chirurgico è sconsigliato per gravi comorbidità e rimane una valida alternativa alla chirurgia tradizionale per la bassa invasività e per la ripetibilità in caso di restenosi. Bibliografia 1. Borioni R, Garofalo M, De Paulis R, Albano P, Chiariello L. Pseudoaneurismi iatrogeni delle arterie periferiche. Chirurgia Italiana 2008 – vol. 60 n.1 pp 103-111. 2. Kang SS, Labropuolos N, Mansour AM, Michelini M, Filliung D, Baubly MP, Baker WH. Expanded indications for ultrasound guided thrombin injection of pseudoaneurysms. J Vasc Surg 2000; 31:289-98. 3. Mills JL, Wiedeman JE, Robinson JG, Hallett JW Jr. Minimazing mortality and morbidity from iatrogenic arterial injuries: the need for early recongnition and prompt repair. J Vasc Surg 1986; 4: 22-7. 4. Sprouse RL, Botta DM, Hamilton IN Jr. The management of peripheral vascular complications associated with the use of percutaneous suture-mediated closure devices. J Vasc Surg 2001; 33: 688-93. 5. Altkin RS, Flicker S, Naidech HJ. Pseudoaneurysms and arteriovenous fistula after femoral artery catheterisation: association with low femoral punctures. Am J Roent 1989; 152:629-31. 6. Mastering endovascular tecniques: A guide to excellence, Peter Lanzer. Lippincott Williams & Wilkins. Agosto 2006. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 113 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 114 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):114-5 Embolia polmonare da trombosi venosa giugulare idiopatica D. TONELLO1, B. ZALUNARDO1, S. CESARI2, S. IRSARA3, L. ZOTTA1, F. BUSATO1, F. BARATTO3, C. BIASUTTI2, A. VISONÀ1 La trombosi venosa giugulare (TVG) è frequentemente secondaria a cateterismo venoso, estensione del processo trombotico da vasi contigui o compressione esterna in corso di patologia infettiva o neoplastica. L’evento idiopatico è molto raro e la sua storia naturale è sconosciuta. 1U.O.D. Angiologia, Ospedale S. Giacomo, Castelfranco Veneto (TV) 2U.O.C. Radiologia, Ospedale S. Giacomo, Castelfranco Veneto (TV) 3U.O.D. Chirurgia Vascolare, Ospedale S. Giacomo, Castelfranco Veneto (TV) Caso clinico Una donna di 87 anni, affetta da ipertensione arteriosa senza precedenti di salute rilevanti, si presentava in Pronto Soccorso per tumefazione dolente in sede laterocervicale sinistra comparsa da una settimana. L’ecografia eseguita in urgenza evidenziava una trombosi venosa occludente limitata alla vena giugulare interna sinistra. La paziente era ricoverata in Angiologia. All’ingresso in reparto l’esame obiettivo cardiaco, polmonare e addominale era sostanzialmente nella norma. In particolare non si rilevavano segni di flogosi a carico del rinofaringe o dell’orecchio medio, né masse o linfoadenopatie laterocervicali. La paziente era sottoposta ad esami ematochimici, risultati sostanzialmente nella norma, con l’eccezione di un livello elevato di D-dimero (1749 ng/ml, v.n. <500) e di una modesta alterazione degli indici di flogosi (VES 34 mm/h, PCR 1,31 mg/dl). L’ECG era nei limiti di norma. L’ecocardiogramma evidenziava lieve ipertensione polmonare. La TC del collo, del torace e dell’addome superiore (Fig. 1) escludeva neoplasie occulte, raccolte ascessuali cervico-polmonari o patologie realizzanti compressioni ab estrinseco. Era segnalata embolia coinvolgente le diramazioni principali delle arterie polmonari bilateralmente. Erano presenti altre anomalie anatomiche come l’origine anomala della carotide comune destra (direttamente dall’arco aortico) e un’arteria succlavia destra lusoria a decorso retrotracheale. Tali anomalie non realizzavano compressione della vena anonima sinistra. Il successivo studio con angio-RNM escludeva l’estensione del processo trombotico nei seni venosi intracranici. I marcatori neoplastici e la ricerca di trombofilia genetica (fattore V Leiden, variante G20210A della protrombina) erano negativi. L’eco-color-Doppler venoso escludeva una concomitante trombosi venosa profonda (TVP) degli arti inferiori. L’ecografia dell’addome e della pelvi non era significativa. La paziente era trattata con eparina a basso 114 peso molecolare embricata con warfarina fino al raggiungimento dell’INR terapeutico, quindi con warfarina nei successivi sei mesi. La sintomatologia dolorosa regrediva spontaneamente in terza giornata. Discussione La TVG è comunemente legata alla presenza di cateteri venosi centrali (CVC). In era pre-antibiotica era una complicanza nota di infezioni otorinolaringoiatriche come la sindrome di Lemierre o gravi otiti medie complicate da trombosi del seno sigmoideo 1. Altre cause frequenti di TVG sono le compressioni e/o infiltrazioni neoplastiche (primitive o secondarie) e le manipolazioni chirurgiche locali. Sono segnalati casi di TVG associata ad abuso di droghe endovenose 2 e ad iperstimolazione ormonale ovarica 3. Le forme idiopatiche sono spesso associate a neoplasia non necessariamente in continuità con la vena giugulare 4. La diagnosi di cancro può essere posta anche a distanza di mesi dall’esordio di TVG e va sospettata fortemente nei casi di TVG bilaterale. L’incidenza di trombosi degli arti superiori è frequentemente associata a CVC (87%) e la vena giugulare interna rappresenta il sito maggiormente colpito dal processo trombotico (44%), con incidenza di embolia polmonare (EP) variabile tra 5 e 9% 5. L’incidenza di EP dovuta a trombosi non correlata a CVC non è nota. La propagazione del trombo verso i seni venosi cerebrali è possibile, ma infrequente. La sintomatologia, assai variabile, consiste nella presenza di una tumefazione palpabile al collo, dolente e dolorabile alla pressione, di consistenza duroelastica, solitamente senza segni d’infiammazione e adenopatie. La TVG può essere asintomatica ed essere riscontrata casualmente durante un’indagine ecografica. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 115 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) EMBOLIA POLMONARE DA TROMBOSI VENOSA GIUGULARE IDIOPATICA TONELLO vena giugulare interna dovrebbe essere riservata ai pazienti con progressione di trombosi o recidiva di EP in corso di terapia anticoagulante ben condotta. Conclusioni L’approccio ad un paziente con trombosi venosa giugulare idiopatica deve prevedere principalmente l’esclusione di una neoplasia sottostante concomitante o a distanza dall’evento tromboembolico. Il trattamento non si discosta da quello consigliato per le trombosi venose profonde in altre sedi anatomiche. Bibliografia Figura 1. – Angio-TC dei vasi del collo e degli arti superiori. Trombosi venosa giugulare interna sinistra. Sintomi legati ad EP sono rari e spesso la diagnosi di EP viene posta con le indagini eseguite per escludere patologie neoplastiche o compressione ab estrinseco 6. La mortalità dei pazienti con TVG appare sovrapponibile a quella dei pazienti con TVP in altre sedi 7. La terapia anticoagulante resta la prima scelta di trattamento. Il ricorso ad interventi di trombolisi, tromboaspirazione o posizionamento di filtri in vena cava superiore 8 non appare aggiungere benefici alla terapia medica. La legatura della Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1. Naganuma T, Dote K, Kato M, Sasaki S, Ueda K, Kono Y, Watanabe Y, Kajikawa M, Yokoyama H. Pulmonary embolism due to internal jugular vein thrombosis without an indwelling catheter. Intern Med 2009;48(6):433-6. 2. Lin D, Reeck JB, Murr AH. Internal jugular vein thrombosis and deep neck infection from intravenous drug use: management strategy. Laryngoscope 2004;114(1):56-60. 3. Belaen B, Geerinckx K, Vergauwe P, Thys J.Internal jugular vein thrombosis after ovarian stimulation. Hum Reprod 2001;16(3):510-2. 4. Gbaguidi X, Janvresse A, Benichou J, Cailleux N, Levesque H, Marie I. Internal jugular vein thrombosis: outcome and risk factors. QJM 2011;104:209-19. 5. Major KM, Bulic S, Rowe VL, Patel K, Weaver FA. Internal jugular, subclavian, and axillary deep venous thrombosis and the risk of pulmonary embolism. Vascular 2008;16:73-9. 6. Sheikh MA, Topoulos AP, Deitcher SR. Isolated internal jugular vein thrombosis: risk factors and natural history. Vasc Med 2002;7:177-9. 7. Ascher E, Salles-Cunha S, Hingorani A. Morbidity and mortality associated with internal jugular vein thromboses. Vasc Endovascular Surg 2005;39:335-9. 8. Tajima H, Murata S, Kumazaki T, Ichikawa K, Tajiri T, Yamamoto Y. Successful interventional treatment of acute internal jugular vein thrombosis. AJR Am J Roentgenol 2004;182:4679. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 115 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 116 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):116 La profilassi del tromboemblismo venoso a domicilio e nel territorio G. CAMPORESE Il tromboembolismo venoso rappresenta una complicazione potenzialmente pericolosa nei pazienti medici e chirurgici. La crescente adozione di strategie farmacologiche di tromboprofilassi ha contribuito a ridurre significativamente l’incidenza di eventi tromboembolici venosi. L’utilizzo di alcuni farmaci quali le eparine a basso peso molecolare ha consentito di allargare progressivamente le indicazioni profilattiche di questi farmaci, ma contemporaneamente numero studi su nuovi farmaci, quali il fondaparinux prima ed i nuovi farmaci antitrombotici orali (anti Xa ed anti trombinici) dopo, hanno posto progressivamente l’indicazione a modificare il panorama di agenti profilattici a disposizione dei clinici con il probabile obbiettivo di modificare le prossime Linee Guida Internazionali ormai di imminente prossima pubblicazione. Materiali e metodi La presentazione mette in evidenza i punti salienti dei trial sulla tromboprofilassi pubblicati successivamente all’uscita dell’ultima edizione delle Linee Guida Internazionali (8th ACCP Guidelines on Antithrombotic and Thrombolytic Therapy, Chest 2008), proponendo una sorta di aggiornamento in tempo reale delle novità nel campo della profilassi farmacologica, mirata soprattutto alla gestione del paziente che ritorna sul territorio dopo la dimissione. Conclusioni Alla luce dei dati presentati dagli studio più recenti si può concludere che l’era dei nuovi anticoagulanti orali è iniziata ma la rivoluzione sarà lenta. Bisogna evitare scelte sbagliate che rallentino lo loro introduzione nella pratica clinica e, proprio per questo motivo, gli anticoagulanti tradizionali resteranno nel prontuario ancora per molti anni, così come i pazienti che traggono il massimo beneficio dalla terapia classica non dovrebbero sospenderla per i nuovi farmaci. I costi andranno valutati da rigorose analisi farmacoeconomiche ma senza demonizzazioni strumentali e dovranno anche tenere conto dei costi del 116 Unità Operativa Complessa di Angiologia, Azienda Ospedaliera, Padova monitoraggio della terapia attuale e della qualità di vita dei pazienti. Infine, anche e soprattutto i servizi sanitari dovranno adeguarsi alla nuova realtà e fornire adeguata competenza e supporto. Bibliografia 1. Bottaro FJ, Elizondo MC, Doti C, et al. Efficacy of extended thromboprophylaxis in major abdominal surgery: what does the evidence show? Thromb Haemost 2008; 99:1104–1111. 2. Rasmussen MS, Jørgensen LN, Wille-Jørgensen P. Prolonged thromboprophylaxis with low molecular weight heparin for abdominal or pelvic surgery. Cochrane Database Syst Rev 2009:CD004318 3. Eriksson BI, Borris LC, Friedman RJ, et al., for the RECORD1 Study Group. Rivaroxaban versus enoxaparin for thromboprophylaxis after hip arthroplasty. N Engl J Med 2008; 358:2765–2775. 4. Kakkar AK, Brenner B, Dahl OE, et al., for the RECORD2 Investigators. Extended duration rivaroxaban versus shortterm enoxaparin for the prevention of venous thromboembolism after total hip arthroplasty: a double-blind, randomized controlled trial. Lancet 2008; 372:31–39 5. Lassen MR, Ageno W, Borris LC, et al., for the RECORD3 Investigators. Rivaroxaban for thromboprophylaxis after total knee arthroplasty. N Engl J Med 2008; 358:2776–2785. 6. Turpie AGG, Lassen MR, Davidson BL, et al., for the RECORD4 Investigators. Rivaroxaban versus enoxaparin for thromboprophylaxis after total knee arthroplasty. Lancet 2009; 373:1673–1680. 7. Lassen MR, Davidson BL, Gallus A, et al. The efficacy and safety of apixaban, an oral, direct factor Xa inhibitor, as thromboprophylaxis in patients following total knee replacement. J Thromb Haemost 2007; 5:2368–2375. 8. Lassen MR, Gallus A, Pineo G, et al., for the ADVANCE-1 Investigators. Randomized double blind comparison of apixaban with enoxaparin for thromboprophylaxis after knee replacement: the ADVANCE-1 trial [abstract#31]. Blood (ASH Annual Meeting Abstracts) 2008; 112. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 117 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):117-8 Strategie di prevenzione della recidiva di trombosi venosa profonda G. CAMPORESE L’incidenza di un primo episodio di TVP sintomatica è di circa 71-117 casi/100.000 abitanti negli USA, il 26-47% delle quali non riconosce un’eziologia nota e sicura (idiopathic or unprovoked DVT). L’incidenza di TVP recidiva varia nel tempo in base alle modalità di presentazione del primo episodio di TVP, con una percentuale variabile dal 4.2% (dopo 6 mesi dal primo evento) al 22.5% (dopo 10 anni dall’evento) nella TVP secondaria, e dal 10% al 52.6% rispettivamente nella TVP idiopatica. Il problema insorge non tanto sulla tipologia di farmaci da utilizzare e sullo schema terapeutico da eseguire nella fase acuta della TVP, che ormai appare validato e standardizzato dalle Linee Guida Internazionali più recenti (es. 8th ACCP Guidelines, Chest 2008), ma piuttosto sul quanto questa terapia debba durare e, soprattutto, su quale sia la strategia migliore da seguire in regime di prevenzione secondaria a lungo termine per prevenire le recidive di TVP al momento della sospensione della terapia anticoagulante. Vi sono molteplici fattori che possono influenzare il rischio di una recidiva di TVP: 1) fattori pre-trattamento (sesso, trombofilia, cancro, fattori di rischio temporanei oppure la presentazione idiopatica, la sede della TVP, prossimale o distale, oppure se la TVP è isolata o vi è concomitante presenza di embolia polmonare); 2) fattori post-trattamento (persistenza di un valore di D-Dimero elevato, persistenza di un residuo trombotico, preferenze del paziente). Materiali e metodi Al momento attuale le strategie di prevenzione secondaria a nostra disposizione sono molteplici, e tutte prendono spunto da alcuni studi della letteratura: 1) anticoagulare i pazienti mantenendo un valore di INR più basso rispetto al range terapeutico ottimale; 2) identificare sottogruppi di pazienti ad alto/basso rischio che abbiano l’indicazione a prolungare o interrompere la terapia anticoagulante; 3) somministrare nuovi farmaci antitrombotici per via orale che abbiano un profilo di sicurezza simile a quello degli antagonisti della vitamina K; 4) somministrare farmaci con un profilo di sicurezza migliore (meno sanguinamenti) di quello degli antagonisti della vitamina K, ma con un’efficacia ancora scientificamente da dimostrare o validare. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Unità Operativa Complessa di Angiologia, Azienda Ospedaliera, Padova Conclusioni Al momento attuale non è ancora stata individuata e validata con certezza la strategia farmacologica di prevenzione secondaria che sia in grado, al momento della sospensione della terapia anticoagulante orale, di garantire con efficacia e sicurezza una significativa e duratura riduzione degli eventi tromboembolici venosi recidivi. Alcuni studi sono ancora in corso, ed altri in via di pubblicazione, che potranno apportare nuovi dati utili a contribuire in maniera significativa al miglioramento della gestione di questi pazienti nel lungo termine. Bibliografia 1. Agnelli G, Becattini C. Treatment of DVT: how long is enough and how do you predict recurrence. J Thromb Thrombolysis. 2008 Feb;25(1):37-44 2. Prandoni P, Noventa F, Ghirarduzzi A, Pengo V, Bernardi E, Pesavento R, Iotti M, Tormene D, Simioni P, Pagnan A. The risk of recurrent venous thromboembolism after discontinuing anticoagulation in patients with acute proximal deep vein thrombosis or pulmonary embolism. A prospective cohort study in 1,626 patients. Haematologica. 2007 Feb;92(2):199-205. 3. Iorio A, Kearon C, Filippucci E, Marcucci M, Macura A, Pengo V, Siragusa S, Palareti G. Risk of recurrence after a first episode of symptomatic venous thromboembolism provoked by a transient risk factor: a systematic review. Arch Intern Med. 2010 Oct 25;170(19):1710-6 4. Prandoni P, Prins MH, Lensing AW, Ghirarduzzi A, Ageno W, Imberti D, Scannapieco G, Ambrosio GB, Pesavento R, Cuppini S, Quintavalla R, Agnelli G; AESOPUS Investigators Residual thrombosis on ultrasonography to guide the duration of anticoagulation in patients with deep venous thrombosis: a randomized trial. Ann Intern Med. 2009 May 5;150(9):577-85. 5. Cosmi B, Legnani C, Iorio A, Pengo V, Ghirarduzzi A, Testa S, Poli D, Tripodi A, Palareti G; PROLONG Investigators (on behalf of FCSA, Italian Federation of Anticoagulation Clinics). Residual venous obstruction, alone and in combination with D-dimer, as a risk factor for recurrence after anti- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 117 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 118 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CAMPORESE STRATEGIE DI PREVENZIONE DELLA RECIDIVA DI TROMBOSI VENOSA PROFONDA coagulation withdrawal following a first idiopathic deep vein thrombosis in the prolong study. Eur J Vasc Endovasc Surg. 2010 Mar;39(3):356-65. 6. EINSTEIN Investigators, Bauersachs R, Berkowitz SD, Brenner B, Buller HR, Decousus H, Gallus AS, Lensing AW, Mis- 118 selwitz F, Prins MH, Raskob GE, Segers A, Verhamme P, Wells P, Agnelli G, Bounameaux H, Cohen A, Davidson BL, Piovella F, Schellong S. Oral rivaroxaban for symptomatic venous thromboembolism. N Engl J Med. 2010 Dec 23;363(26):2499-510. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 119 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):119-20 Test di Pearson e lo studio “PESI-MILLERS”: analisi correlativa per variabili continue in 30 pazienti con tromboembolismo venoso: triennale esperienza (2008-2010) M.M. CIAMMAICHELLA1, R. MAIDA2, C. PATRIZI3, C. MAIDA4, G. CERQUA5, M.L. MECCA6 Lo studio “PESI-MILLERS”, acrostico derivante da “PULMONARY EMBOLISM SEVERITY INDEX and MILLER SCORE”, ha arruolato 30 pazienti, di età compresa tra 48 e 82 anni, con tromboembolismo venoso (embolia polmonare centrale) ricoverati nella Struttura Semplice “Breve Osservazione” e “Sub-Intensiva C” della Struttura Complessa “Medicina Interna per l’Urgenza” nel triennio gennaio 2008-dicembre 2010. Il quadro clinico di esordio era caratterizzato in tutti i pazienti da grave insufficienza respiratoria (valore emogasanalitico arterioso di pO2<60 mmHg) eventualmente associata a dolore toracico, stato confusionale, instabilità emodinamica (PAS<90 mmHg) secondo le American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th Edition). Tutti i pazienti sono stati sottoposti a: TC toraco-addomino-pelvica con mdc; angiografia polmonare con fibrinolisi loco-regionale secondo il protocollo previsto dall’UKEP Study (2000 UI/kg/h per 24 ore + eparina sodica) modificato da noi a 1000 UI/kg/h per 48-72 ore fino a dimostrazione angiografica della risoluzione del trombo previi controlli angiografici seriati ogni 24 ore e previi controlli seriati del fibrinogeno ogni 6 ore, in associazione ad eparina sodica, in vena periferica, inizialmente alla dose di 18 U/kg/h o 1300 U/h, aggiustando poi la velocità infusionale in base ai valori di PTT seriati ogni 6 ore, come previsto dalle American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th Edition) del 2008; ecocardiografia pre-dimissione con misurazione della pressione arteriosa polmonare (PAP); ecocolordoppler venoso arti inferiori ed eventuale bendaggio elastocompressivo; ricerca markers trombofilici e neoplastici. In tutti i pazienti è stato calcolato il PESI1-7 ed il Miller Score8 i cui valori pre-lisi (T0) e post-lisi (T1) sono stati messi a confronto nei 30 pazienti arruolati. Pertanto, è stato creato un database con Microsoft Access© denominato “PESI-MILLERS”. Il database conteneva i seguenti campi: 1) numero del paziente, 2) punteggio PESI1-7 all’ingresso, 3) Miller Score pre-lisi8, 4) Miller Score post-lisi8. Tutti i pazienti sono stati analizzati, durante il reclutamento, secondo i suddetti 4 campi, raccolti di volta in volta in maschere create in modalità “visualizzazione struttura” e Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1UAS “Gestione della Trombosi Venosa Profonda ed Embolia Polmonare nell’Area dell’Emergenza”, SC Medicina Interna per l’Urgenza, ACO S. Giovanni-Addolorata-Britannico, Roma 2Dirigente Medico, Responsabile SS “Breve Osservazione”, SC Medicina Interna per l’Urgenza, ACO S. Giovanni-Addolorata-Britannico, Roma 3Dirigente Medico, Responsabile SS “Sub-Intensiva C”, SC Medicina Interna per l’Urgenza, ACO S. Giovanni-Addolorata-Britannico, Roma 4Dirigente Medico, SC Patologia Clinica, ACO S. Giovanni-Addolorata-Britannico, Roma 5Direttore SC Medicina Interna per l’Urgenza, ACO S. Giovanni-Addolorata-Britannico, Roma 6Dirigente Medico Radiologo, SC Radiologia per il DEA “visualizzazione foglio dati” come consentito dal programma database. È stata eseguita un’analisi correlativa per variabili continue con test parametrico di Pearson per verificare se esiste una relazione significativa tra i valori del PESI1-7 all’ingresso (variabile A indipendente) ed i valori del Miller Score8 all’ingresso (variabile E dipendente). Lo studio “PESI-MILLERS” si propone i seguenti obiettivi: 1) verificare eventuali relazioni esistenti tra i valori del PESI1,2,3,4,5,6,7 all’ingresso ed i valori del Miller Score all’ingresso (T0) prelisi8 nei 30 pazienti arruolati nello studio “PESI-MILLERS” durante il triennio gennaio 2008 – dicembre 2010; 2) verificarne la significatività statistica riscontrata applicando come test di analisi correlativa per variabili continue il test parametrico di Pearson per stabilire se le relazioni delle variabili considerate siano dovute al caso. Materiali e metodi I 30 pazienti arruolati con embolia polmonare centrale sono stati esaminati secondo i campi del database creato con Microsoft Access© denominato “PESI-MILLERS”. Il test di correlazione parametrica di Pearson correla la variabile A indipendente (PESI all’ingresso) con la variabile E dipendente (Miller Score all’ingresso) nei 30 pazienti MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 119 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 120 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CIAMMAICHELLA TEST DI PEARSON E LO STUDIO “PESI-MILLERS”: ANALISI CORRELATIVA PER VARIABILI CONTINUE IN 30 PAZIENTI ... arruolati nello studio “PESI-MILLERS”. Nella colonna “Variabile A (PESI)” sono espressi i valori di PESI per ogni paziente all’ingresso. Nella colonna “A-A-” il risultato ottenuto dalla differenza del valore della variabile A in ogni paziente e la media dei valori di A. Nella colonna “(A-A-)2” il valore ottenuto nella colonna “A-A-” in ogni paziente elevato al quadrato. Nella colonna “Variabile E (MILLER SCORE)” sono espressi i valori di MILLER SCORE all’ingresso per ogni paziente. Nella colonna “E-E-” è riportato il risultato ottenuto dalla differenza del valore della variabile E in ogni paziente e la media dei valori di E. Nella colonna “(E-E-)2” il valore ottenuto nella colonna “E-E-” in ogni paziente elevato al quadrato. Nella colonna “(A-A-) (E-E-)” il risultato ottenuto dal prodotto della differenza del valore della variabile A in ogni paziente con la media dei valori di A per la differenza del valore della variabile E in ogni paziente con la media dei valori di E. Con la sigla Σ si intende la sommatoria dei valori ottenuti in ciascuna delle colonne considerate. Con la sigla M la media dei valori ottenuti in ciascuna delle colonne considerate. Per il calcolo del test si applica la formula del coefficiente “r” (che indica la forza dell’associazione e viene calcolato come prodotto del momento rispetto alla media) di correlazione di Pearson: “(A-A-) (E-E-) / √ “(A-A-)2 ” (E-E-)2. Pertanto, il valore di “r” ottenuto con Gradi di Liberta (GL)=29 è di 0,008. Essendo il Valore Critico (VC) di “r” <0,652 con GL=29 per p=0,001, il Valore Relativo (VR) di “r” pari a 0,0008 esprime una concordanza positiva assoluta della covariazione tra i valori delle due variabili considerate (A ed E) che è altamente significativa con p<0,001. Analisi dei risultati Il test di Pearson applicato ai 30 pazienti mostra una correlazione altamente significative (p<0,001) delle due variabili esaminate (valori di PESI all’ingresso e valori di Miller Score all’ingresso) e, quindi, non attribuibile al caso. Infatti, il valore di “r” ottenuto è di 0,008 ed il VC (valore critico) di “r” per p=0,001 è <0,652 con GL=29. Discussione I dati conseguiti suggeriscono che l’aumento dei valori del PESI all’ingresso nei 30 pazienti arruolati nello studio “PESI-MILLERS” correli con l’aumento dei valori del Miller Score all’ingresso prelisi osservati in tutti i pazienti. Ciò suggerisce che la gravità del quadro clinico, misurata dal PESI1-7, sia correlata con il punteggio del Miller Score8 ottenuto con il riscontro angiografico, come si evince dai valori del PESI1-7 e del Miller Score8 all’ingresso. Dalla disamina della letteratura emergono le seguenti esperienze che, seguito, proponiamo. Qanadli1 impiega il PEI per qantificare il grado di ostruzione arteriosa in pazienti con embolia polmonare e porre a confronto il PEI stesso con gli indici angiografici ed ecocardiografici. Nordenholz2 considera come indicatori predittivi, nella stratificazione del rischio per embolia polmonare, il PESI e la pulsossimetria. Nural3 afferma che i parametri impiegati per distinguere l’embolia polmonare emodinamicamente stabile da quella instabile, inclusi il PEI, diametro del ventricolo destro, 120 dilatazione del ventricoilo destro, RV/LV short axis ratio, reflusso in vena cava inferiore possono essere predittori significativi di mortalità. Ghanima4 mostra una correlazione tra il grado di estensione prossimale del trombo ed il PEI con la severità del quadro clinico polmonare. Choi5 correla la classe PESI con la mortalità a 30 giorni e la mortalità intra-ospedaliera e considera il PESI come predittore prognostico. Pech6 correla il PEI con la sopravvivenza dei pazienti con embolia polmonare. Aujesky7 calcola il PESI assegnando un punteggio per variabili e suddividendo i pazienti classi di gravità clinica. Miller8 elabora uno score di gravità basato sul numero di segmenti vascolari occlusi riscontrati durante angiografia polmonare. Conclusioni Lo studio “PESI-MILLERS” ha dimostrato come nel gruppo di 30 pazienti con tromboembolismo venoso (embolia polmonare centrale) vi sia correlazione tra le due variabile considerate: PESI1-7 e MILLER SCORE8. Tale correlazione mostra una concordanza positiva assoluta secondo il coefficiente “r” di correlazione di Pearson ed è espressione non di una associazione casuale ma di una stretta correlazione tra aumento dei valori del PESI1-7 ed aumento del valore del MILLER SCORE8 nei 30 pazienti con embolia polmonare centrale. Confrontando le esperienze in letteratura, lo studio “PESIMILLERS” propone dei dati che integrano quelli forniti dagli studi di Qanadli1, Nordenholz2, Nural3, Ghanima4, Choi5, Pech6, Aujesky7, Miller8. Bibliografia 1. Qanadli SD: New CT index to quantify arterial obstruction in pulmonary embolism: comparison with angiographic index and echocardiography. AJR 2001; 176: 1415-1420 2. Nordenholz K: Pulmanoray embolism risk startification: pulse oximetry and pulmonary embolism severity index. J. Emerg. Med. 2009 Sept. 16 3. Nural MS: Computed tomography pulmonary angiography in the assessment of severity of acute pulmonary embolism and right ventricular dysfunction. Acta Radiol. 2009 Jul;50(6):62937 4. Ghanima W: The association between the proximal extensionof the clot and the severity of pulmonary embolism (PE): a proposal for a new radiological score for PE. J. Intern. Med. 2007 Jan; 261(1): 74-81 5. Choi W: The pulmonary embolism severity index in predicting the prognosis of patients with pulmonary embolism. Korean J. Intern. Med. 2009 Jun; 24 (2): 123-7 6. Pech M: Computed tomography pulmonary embolism index for the assessment of survival in patients with pulmonary embolism. Eur. Radiol. 2007 Aug: 17(8): 1954-9 7. Aujesky D: Validation of a clinical prognostic model to identify low-risk patients with pulmonary embolism. J Intern Med. 2007 Jun;261(6):597-604. 8. Miller GA: Intravenous and intrapulmonary recombinant tissue-type plasminogen activator in the treatment of acute massive pulmonary embolism. Circulation 1988; 77:353-60. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 121 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):121-2 Fattori di rischio e sintomatologia della trombosi venosa profonda distale M. SARTORI, B. COSMI, L. SALOMONE, G. GUAZZALOCA, L. VALDRÈ, C. LEGNANI, G. PALARETI Nei pazianti sintomatici che si recano presso un ambulatorio vascolare con sospetto di trombosi venosa profonda (TVP), se esaminati con studio ultrasonografico completo dell’arto inferiore, la prevalenza della trombosi a carico delle vene del polpaccio è circa il 10-20% 1. Fattori di rischio accertati per la TVP prossimale sono l’immobilizzazione dell’arto, un’intervento chirurgico recente, la presenza di neoplasia, l’assunzione di estro-progestinici, un pregresso evento trombo-embolico. Non è noto se tali fattori siano associati anche ad un incremento del rischio di sviluppare una TVP distale. Parimenti l’edema, il dolore, il reticolo venoso superficiale sono le note caratteristiche della TVP prossimale, ma non è noto se siano anche le caratteristiche cliniche della trombosi a carico delle vene del polpaccio. Scopo del nostro studio è stato, pertanto, valutare quali fattori di rischio siano associate alla diagnosi di TVP distale isolata e quali siano le caratteristiche cliniche della TVP distale isolata. Materiali e metodi Nel presente studio sono stati arruolati 726 pazienti (femmine 59,9%), di età media 63±17 anni (IQR 26,5) presentatisi all’ambulatorio urgenze vascolari della nostra UO per sospetto di trombosi venosa profonda. I criteri d’inclusione erano: primi tre pazienti della giornata inviati dal medico di medicina generale o dal pronto soccorso per sospetta TVP, aspettativa di vita maggiore di tre mesi, possibilità di raccogliere un’adeguata anamnesi e di poter eseguire un’indagine ultrasonografica degli arti inferiori. Sono stati esclusi i pazienti in cui è stata posta diagnosi di trombosi venosa profonda prossimale. I fattori di rischio studiati sono stati: l’anamnesi personale positiva per un pregresso evento trombo-embolico, una neoplasia maligna in atto, la terapia con estrogeni, l’obesità, l’immobilizzazione (non poter deambulare autonomamente), la paralisi dell’arto sintomatico, un’intervento chirurgico recente (entro 45 giorni). L’esame ultrasonografico è stato eseguito con un apparecchio Philips ENVISOR secondo la procedura di Schellong [2]: prima è stato analizzato l’asse iliaco-femorale, quindi la vena poplitea, se non evidenza di trombosi a tale livelVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 U.O. Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli”, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna lo sono state analizzate le vene del polpaccio: vene tibiali posteriori, peroniere e quindi le vene muscolari. La diagnosi di trombosi delle vene del poplaccio è stata posta secondo i criteri di Schellong 2. L’analisi statistica è stata eseguita con il software SPSS© (version 15.0; SPSS Inc. Chicago, Illinois, USA). Per il confronto tra variabili continue è stato utilizzato il test di T di Student, per le variabili categoriche il test di Fischer, l’analisi logistica per evidenziare l’associazione tra le variabili analizzate e la diagnosi di TVP distale isolata. Il livello di significatività statistica è stato posto per ·=0.05. Risultati In 91 pazienti è stata posta diagnosi di trombosi TVP distale isolata (prevalenza 12.5%). L’età (60,7+18,3 vs. 63,8+16,9 anni, p=ns) ed il body mass index (26,94+5,59 vs. 26,96+4,68 kg m-2, p=ns) erano simili nei pazienti in cui era stata posta la diagnosi TVP distale e coloro in cui la TVP era stata esclusa. Per quanto attiene ai fattori di rischio, un pregresso evento trombotico, la presenza di neoplasia e la chirurgia per neoplasia non erano associtati alla diagnosi di TVP distale, mentre la paralisi dell’arto sintomatico (34% vs. 10%; p<0,01), l’immobilizzazione (12% vs. 4%, p<0,01), la chirurgia (15% vs. 9%, p<0,05) erano più frequenti nei pazienti con TVP distale rispetto ai pazienti in cui la TVP era stata esclusa. Una terapia a base di estrogeni era più frquenti nei pazienti con TVP distale rispetto ai pazienti in cui la TVP era stata esclusa (9% vs. 3%, p<0,05). Per quanto attiene alle caratteristiche cliniche, nei pazienti con TVP distale, il dolore era di più frequente riscontro (87% vs 77% p=0,03) mentre l’edema era meno frequente (62% vs 74% p=0,023). Rubor, tumor, calor e reticoli venosi superficiali erano presenti con la stessa frequenza nei due gruppi. L’analisi multivariata ha dimostrato che la MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 121 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 122 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) SARTORI FATTORI DI RISCHIO E SINTOMATOLOGIA DELLA TROMBOSI VENOSA PROFONDA DISTALE paralisi e/o l’immobilizzazione dell’arto sintomatico (OR 4,04; CI: 2,07-7,88 p=0,001), l’assunzione di estro-progestinici (OR 4,41; CI: 1,71-11,3 p=0,002) erano le variabili associate alla diagnosi di TVP distale, gli altri fattori di rischio come la chirurgia, la presenza di neoplasia, il trauma, non erano associati alla presenza di TVP distale. L’unico sintomo associato alla presenza di TVP distale era il dolore (OR 2,22 CI: 1,10-4,49 p= 0,03). tomi cardine della diagnosi di TVP prossimale non è tipico della TVP distale. Parimenti, solo alcuni tra i fattori di rischio per la TVP prossimale sembrano essere rilevanti per lo sviluppo di TVP distale. In particolare, i nostri dati indicano che solo l’immobilizzazione di un arto e l’assunzione di una terapia a base di estrogeni costituiscono fattori di rischio per la TVP distale. Conclusioni 1. Galanaud JP, Sevestre-Pietri MA, Bosson JL, Laroche JP, Righini M, Brisot D, Boge G, van Kien AK, Gattolliat O, Bettarel-Binon C, Gris JC, Genty C, Quere I; OPTIMEV-SFMV Investigators. Comparative study on risk factors and early outcome of symptomatic distal versus proximal deep vein thrombosis: results from the OPTIMEV study. Thromb Haemost. 2009;102:493-500 2. Schellong SM. Distal DVT: worth diagnosing? Yes. J Thromb Haemost. 2007;5 Suppl 1:51-4. Il nostro studio ha dimostrato che anche nella realtà italiana la prevalenza della trombosi a carico delle vene del polpaccio è superiore al 10% nei pazianti sintomatici che si recano presso un ambulatorio vascolare. Le caratteristiche della TVP distale non sono le stesse della TVP prossimale. L’unico sintomo peculiare della TVP distale è il dolore al polpaccio, l’edema che costituisce uno dei sin- 122 Bibliografia MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 123 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):123-4 Chirurgia delle varici recidive A. RAGAZZONI, A. LA ROSA, M. DONDI, E. MOIA, C. SCOTTI, A. KHAMIS, S. CIRULLI, R. MOIA Tra le complicanze a lungo termine del trattamento delle varici vi è la comparsa di recidive, la cui frequenza risulta variabile sulla base di alcuni fattori tra cui la predisposizione individuale alla patologia, la procedura scelta ed l’accuratezza con cui viene eseguita. Le recidive si manifestano dopo un periodo medio di latenza di 3-5 anni, da un precedente intervento chirurgico e rappresentano un problema complesso e costoso in chirurgia vascolare. Le cause di tale evenienza sono molteplici: mancata interruzione di un ramo afferente alla crosse, una safena duplice non riconosciuta, la mancata escissione di collaterali varicose o segmenti safenici, la riorganizzazione del circolo venoso superficiale grazie al fenomeno della neoangiogenesi. Dai dati pervenuti dalla letteratura emerge che la recidiva varicosa ha ancora oggi un’incidenza variabile tra il 10 e il 60%; tale percentuale è da considerarsi comunque elevata, considerate le nuove conoscenze sui meccanismi di formazione, sull’evoluzione della tecnica di valutazione preoperatoria e sull’intervento chirurgico. Scopo del lavoro è quello di valutare le cause e il trattamento di tale evenienza su un gruppo di pazienti precedentemente trattati per varici essenziali. Materiali e metodi Dal Marzo 2001 al giugno 2011 presso la nostra divisione di Chirurgia Vascolare Istituto di Cura Città di Pavia è stato eseguito uno studio retrospettivo su 698 pazienti, affetti da patologia varicosa recidiva, giunti alla nostra osservazione e ricoverati con indicazione chirurgica. Sul totale dei pazienti considerati 564 (80,8%) erano donne e 134 (19,2%) uomini, con un’età media di 55 anni, con range compreso tra 36 e 78 anni, affetti da varici degli arti inferiori già sottoposti in passato ad intervento per la medesima patologia. 529 (75%) erano stati sottoposti a trattamento di chirurgia tradizionale e 169 (25%) a trattamento CHIVA. Dei pazienti esaminati 642 (92%) presentavano un corredo sintomatologico caratterizzato da pesantezza (74%), affaticabilità (68%), tensione (62%), crampi (61%), parestesie (28%), algia (7%), con fattori di rischio associati nell’89% dei casi (55% abitudini di vita e di lavoro, 36% familiarità, 9% fattori ormonali). 45 casi (7%) erano comVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Polo Universitario Istituto di Cura Città di Pavia, U.O. di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Università degli Studi di Pavia, Pavia plicati da tromboflebite superficiale e 12 da ulcera varicosa (1,9%). L’8% dei pazienti non riferiva alcun sintomo. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad esame clinico e strumentale mediante EcocolorDoppler, al fine di precisare la sede del reflusso venoso. Il protocollo Duplex Scan è stato ottenuto esaminando in posizione eretta, dall’inguine alla caviglia, il circolo venoso superficiale (osti safeno-femorali, safeno-poplitei, vena grande safena, vena piccola safena, eventuali perforanti e varicosità extrasafeniche) e il circolo venoso profondo (femorale comune, femorale superficiale, vena poplitea) mediante manovra di Valsalva e con compressione manuale delle logge muscolari. L’esame obiettivo evidenziava, anche nei pazienti asintomatici, importanti ectasie venose all’arto inferiore ed all’esame ultrasonografico severo reflusso in ortostatismo con aumento dei diametri varicosi transparietali. L’intervento chirurgico primitivo era stato eseguito tra i 4 e i 48 mesi precedenti, con una media di 27 mesi. Nei pazienti trattati precedentemente al ricovero con chirurgia tradizionale in 492 (70,5%) casi era stato eseguito lo stripping della safena interna, per tutta la sua lunghezza, associato a crossectomia e flebectomia locale. Nei restanti 37 casi (29,5%): 29 varicectomie isolate, 6 crossectomie safeno-femorali non associate a stripping della safena interna e 2 legature della safena interna. Risultati In 225 casi (32,2%) la causa di recidiva era da ricercarsi nella progressione della malattia residua, mentre si è obiettivata neovascolarizzazione ex-novo in 122 casi (17.4%). L’evoluzione della patologia varicosa ricorrente era determinata nella totalità dei casi da vene perforanti e da varici extrasafeniche incontinenti e non presenti al momento della prima diagnosi. Diverso è il discorso MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 123 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 124 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) RAGAZZONI CHIRURGIA DELLE VARICI RECIDIVE riguardante la neovascolarizzazione per la cui definizione ci siamo avvalsi esclusivamente della metodica strumentale e dell’obiettività intraoperatoria. Infine erano stati obiettivati 174 (24,9%) casi di ricorrenza varicosa dovuta ad insuccesso tecnico in seguito ad intervento chirurgico di safenectmoia magna e 139 casi (19,9%) in seguito a cura CHIVA. Le recidive di CHIVA erano tutte determinate da una ricanalizzazione del tronco safenico e sua incontinenza da attribuirsi verosimilmente a un limite tecnico legato alla metodica e all’esperienza del chirurgo. Conclusioni La patologia varicosa recidivante è una problematica gravata da molteplici fattori individuali quali l’anamnesi lavorativa, la familiarità, il quadro ormonale e la sua soluzione è di pertinenza chirurgica. Nell’ambito della prevenzione risulta importante, nella nostra esperienza, un’accurata valutazione preoperatoria mediante ecocolor-Doppler, indagine volta ad effettuare una mappatura completa e dettagliata dell’albero venoso, descrivendo eventuali anomalie anatomiche e delle lesioni varicose. Il reintervento chirurgico rappresenta l’approccio d’elezione nel trattamento delle varici recidive, per quanto risulti spesso di difficile esecuzione, a causa delle presenza di abbondante tessuto fibrotico ed aderenziale. Abbiamo osservato che nel caso di procedure tradizionali la recidiva è spesso legata ad incompleta radicalità della tecnica mentre nel caso delle recidive post-CHIVA sono prevalenti fenomeni di neoangiogenesi e di collateralità che vanificano l’atto chirurgico. Risulta comunque fondamentale un follow-up accurato dei pazienti onde identificare e correggere il più presto possibile l’eventuale anomalia. Bibliografia 1. Spialtini C., Polledri B., Rona A., Derrico A., La Rosa A., Moia E., Moia R. 124 2. Odero A, Moia R, Salvini R. Flebologia clinica. Faenza: edizioni C.E.L.I. 1999 3. Varici recidive arti inferiori. ATTI XXXII congresso nazionale SIAPAV Padova 17-20 novembre 2010 Minerva Cardioangiologica vol. 58 suppl. 1 n. 6 dicembre 2010 4. Danieli A., Spialtini C., Grilli P., Polledri B., Yussuf M., Cugnasca M., Moia R., La radiofrequenza come trattamento d’elezione dell’insufficienza della vena grande safena. Minerva cardioangiologica 2008. 5. Spinella G., Danieli A., Buscarini E., La Rosa A., Yussuf M., Polledri B., Moia R., Varici recidive degli arti inferiori: errore diagnostico e/o terapeutico? Studio retrospettivo su 396 pazienti. Minerva cardioangiologica 2007. 6. AA,VV. Encyclopédie Médico-Chirurgicale. Elsevier. 7. Agus GB. Chirurgia delle varici-tendenze recenti. Torino. Edizioni Minerva medica. 1985. 8. Blomberg L, Johansson G, Dahlberg-Akeman A, Noren A, Brudin C, Nordstrom E et al. Recurrent varicose veins: incidence, risk factor and groin anatomy.Eur J Endovasc Surg 1998. 9. Darke Simon G. The morfology of recurrent varicose veins. Eur J Vasc Surg 1992. 10. Stucker M, Netz K Breukmann F, Altmeyer P, Mumme A. Histomorfologic classification of recurrent saphenophemoral reflux. J Vasc Surg 2004. 11. Kostas T, Ioannocu CV, Touloupakis E, Daskalaki E, Giannoukas AD, Tsetis D, et al. Recourrent varicose vein after surgery: a new appraisal of a common and complex problem in vascular surgery. Eur J Vasc Endovasc Surg 2004. 12. Perrin Michael R, Jerome Guex J, Vaughan Ruckley C, De Palma Raph G, Royle John P, Eklof B et al. Reccurent varices after surgery (REVAS), a consensus document. Cardiovas Surg 2000. 13. Bassi G. Compendio di terapia flebologica. Torino: Edizioni Minerva Medica 1985. 14. Robbins. Le basi patologiche delle malattie. Padova: Piccin editore 1999. 15. Romeo S. La malattia varicosa degli arti inferiori e le sue complicazioni. Padova: Piccin Editore 1980. 16. Darke SG, Penfold C. Venous ulceration and safenous ligation. Eur J Vasc Surg 1992. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 125 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):125-7 La valvuloplastica venosa con tecnica OSES: risultati di una serie clinica di 32 casi S. CAMILLI, D. CAMILLI Nella cura degli stadi medio-gravi della Insufficienza Venosa Cronica e nella malattia varicosa, vengono correntemente applicate varie tecniche ablative, ma sfortunatamente a distanza di tempo tutte dimostrano lo sviluppo di varici recidive in un numero elevato di casi, tra il 20 e il 60%. Questo dipende da molti fattori, ma un fattore fisiologico evidente è che la ablazione o distruzione della vena grande safena (VGS) elimina un condotto di drenaggio venoso; questo fatto “di per sé” stimola lo sviluppo di circolo collaterale venoso, che con l’andare del tempo può diventare a sua volta varicoso. La possibile efficacia di tecniche conservative, che minimizzano la perdita di patrimonio venoso (ad esempio con la strategia CHIVA 1), è stata dimostrata e alcuni studi recenti ne hanno messo in evidenza i buoni risultati a distanza con un dimezzamento della percentuale di varici recidive 2-3. Tuttavia la strategia CHIVA sta avendo difficoltà a diffondersi soprattutto a causa del maggiore tempo richiesto per lo studio pre-operatorio del paziente, il mappaggio venoso, l’approccio chirurgico non standardizzabile e quindi necessariamente personalizzato. È stata anche dimostrata la possibilità di tecniche riparative delle valvole venose (valvuloplastica), alcune più facilmente applicabili alle valvole del circolo profondoA 4-6, altre più adatte a quelle della VGSA 7-8. Tuttavia queste tecniche non si sono diffuse; i motivi sono molteplici, tra cui l’incertezza nei criteri di inclusione dei pazienti eligibili e la difficoltà di visualizzare le valvole venose, ma soprattutto per la mancanza di una tecnica veramente affidabile, capace di competere con le tecniche ablative anche nei risultati a breve termine. Attualmente, le apparecchiature eco-doppler sono nettamente migliorate rispetto al passato, con una migliore definizione dei dettagli e con l’introduzione della tecnica B-flow, e consentono una soddisfacente visualizzazione delle valvole. Inoltre recentemente è stato introdotto nella pratica clinica un concetto funzionale innovativo e nuova tecnica di valvuloplastica ad esso correlata, la valvuloplastica trazionaleA 9. Vengono qui di seguito esposti il concetto funzionale e la tecnica della valvuloplastica trazionale, e inoltre i risultati a breve e medio termine su 32 casi operati. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Chirurgia Vascolare, Osp. S. Andrea, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma Il concetto funzionale Il concetto funzionale è innovativo; ha l’obiettivo di applicare una forza di trazione sulle opposte pareti intercommissurali, parallela al bordo libero delle cuspidi valvolari. Il fine è quello di modificare la sessione trasversa del bulbo valvolare da circolare a ovale, aumentando il diametro intercommissurale e così riassorbire l’eccesso di lunghezza delle cuspidi allentate che, in tal modo, riacquistano la possibilità di contatto e quindi la funzione della continenza valvolare. Per applicare tale forza di trazione è disponibile il dispositivo medico OSES (Oval Shaped External Support) da impiantare chirurgicamente attorno alla valvola da riparare; suturando alla parete venosa un dispositivo moderatamente sovradimensionato rispetto al diametro della valvola da curare, questo esercita una trazione che aumenta il diametro intercommissurale fino alla misura voluta (circa il 30% maggiore del diametro nativo). La sutura del dispositivo alla parete venosa dovrà essere eseguita con precisione, in corrispondenza dell’apice delle opposte commissure. Il dispositivo OSES Il dispositivo OSES è un supporto reticolare in Nitinolo medicale, liscio flessibile e adattabile, con caratteristiche di superelasticità, disponibile attualmente in tre taglie (small, medium, large). Esso assomiglia ad uno stent vascolare, ma ha una sezione trasversa ovale ed è aperto su un lato per poterlo posizionare attorno alla valvola; può essere posizionato attorno alla valvola terminale e/o pre-terminale della VGS, ma teoricamente è applicabile attorno ad ogni valvola venosa, sia del circolo superficiale che profondo. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 125 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 126 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CAMILLI LA VALVULOPLASTICA VENOSA CON TECNICA OSES: RISULTATI DI UNA SERIE CLINICA DI 32 CASI Studi preliminari ed esperienza clinica Per saggiare la sicurezza e l’efficacia della Valvuloplastica trazionale con la tecnica OSES (V-OSES), sono stati eseguiti vari studi preliminari, sia sperimentali che preclinici, e tutti hanno dato risultati incoraggianti o francamente positiviA 10. È anche iniziata una esperienza clinica limitata e prudente che, al momento, comprende 32 casi operati e, tra questi, 14 casi con un follow-up superiore a 12 mesi. Tutti gli interventi furono associati alla legatura selettiva delle collaterali varicose o delle perforanti incontinenti o a varicectomie multiple o alla scleroterapia o altroA 11. Risultati Tutti gli interventi di V-OSES programmati hanno potuto essere completati, dimostrando in ogni caso la fattibilità della tecnica. Un paziente affetto da Insufficienza Venosa Profonda Primaria (IVPP) e varici polirecidive fu operato con la tecnica V-OSES a livello della vena femorale; dopo oltre 54 mesi di osservazione l’eco-doppler ha dimostrato ad ogni controllo il ripristino funzionale della valvola operata. I 31 casi operati a livello della crosse safenica furono tutti trattati in anestesia locale. La visualizzazione intra-operatoria della valvola terminale e/o pre-terminale fu possibile in circa il 60% dei casi, mentre negli altri casi fu impedita dallo spasmo venoso o dallo spessore e opacità della parete; in questi casi, per l’identificazione della valvola e dei suoi apici intercommissurali si fece riferimento alle misurazioni ecodoppler pre-operatorie. Ad 1 mese dall’intervento, la continenza valvolare risultò completa in 18 casi, migliorata in 9, invariata in 4 casi. Al controllo del 6° mese su 22 casi, una continenza perfetta fu rilevata in 16 casi, migliorata in 4, assolutamente insufficiente in 2. All’ultimo controllo dopo 12-60 mesi (media 16 mesi) mesi in 14 casi, l’eco-doppler confermò una continenza ottimale in 11 (79%), accettabile in 2 (14%), insufficiente in 1 (7%). Discussione Questa esperienza clinica iniziale sembra promettente, ma è necessario continuare l’osservazione più a lungo e comunque eseguire un trial allargato e multicentrico. I risultati ottenuti dimostrano una tendenza alla migrazione dei casi, col passare del tempo, verso le posizioni di migliore continenza; questo fatto è inusuale e di dubbia interpretazione al momento attuale, ma potrebbe essere riferito al miglioramento emodinamico complessivo derivante dalla operazione. In ogni caso, questa serie seppure limitata di casi indica la validità del concetto funzionale e la fattibilità e sicurezza della tecnica V-OSES. La visibilità e la mobilità delle cuspidi valvolari sono le uniche vere precondizioni per l’eligibiltà del paziente all’intervento, ma i criteri di inclusione comprendono uno studio accurato del sistema venoso sia superficiale che profondo. Inoltre, è obbligatoria la misurazione dei diametri delle valvole (in posizione eretta) e delle distanze relative tra loro o con punti di riferimento prestabiliti; questo per poter scegliere la taglia corretta dell’OSES e il suo corretto posizionamento. Il diametro intercommissurale ottimale per ottenere la continenza è stato definito dagli studi preliminari su banco di laboratorio ed è risultato essere circa 126 del 30% maggiore di quello nativo. Anche la posizione delle valvole e le distanze relative sono un dettaglio importante poiché il posizionamento del dispositivo e l’applicazione dei punti di sutura (giusto all’apice delle opposte commissure) sono cruciali ai fini del risultato. In caso di incerta visualizzazione intraoperatoria, alcuni trucchi pratici possono risultare utili per superare la difficoltà. Se l’efficacia della tecnica V-OSES fosse confermata da un largo trial clinico a medio/lungo termine, si può immaginare una indicazione molto ampia: (a) dovrebbe essere una scelta ottimale in tutti i pazienti con varici primarie e con valvole visibili e mobili agli ultrasuoni, soprattutto nei giovani o in caso di varici recenti; (b) dovrebbe essere raccomandata nei casi di varici secondarie a sindrome post-trombotica, in cui la causa della insufficienza valvolare safenica è non tanto la meiopragia di parete o altri fattori costituzionali ma l’iperafflusso venoso causato dalla insufficienza del sistema profondo; (c) può essere complementare in tutte le tecniche conservative della safena (CHIVA, ASVALA 12, etc.) in quanto ne favorisce la funzione drenante nei due sensi (non solo in senso retrogrado). Conclusioni La tecnica V-OSES sembra essere efficace, ma si devono attendere i risultati di una applicazione clinica più ampia. Il dispositivo OSES è facilmente applicabile attorno alla valvola terminale e/o pre-terminale della VGS e virtualmente attorno ad ogni valvola periferica da curare, sia del circolo superficiale che profondo. La diffusione clinica della tecnica può migliorare i risultati delle tecniche conservative e portare ad una più frequente conservazione della VGS soprattutto negli stadi iniziali della malattia varicosa, così riducendo le recidive a distanza e mantenendo in situ un patrimonio venoso potenzialmente utile e prezioso per le sostituzioni arteriose. Noi siamo d’accordo con i Medici, Chirurghi e Flebologi che hanno un approccio alle varici di tipo funzionale ed emodinamico; questo approccio favorisce le tecniche conservative, mentre la maggior parte ha una cultura prevalentemente clinica e anatomica e si comporta di conseguenza, applicando solo tecniche ablative, con il risultato di essere responsabili dell’ingiustificato sacrificio di un gran numero di vene safene. Bibliografia 1. Franceschi C. Théorie et pratique de la cure CHIVA. L’Armançon Ed. 21390 Précis sous Thil, 1988, France. 2. Carandina S, Mari C, De Palma M, Marcellino MG, Cisno C, Legnaro A, Liboni A, Zamboni PM. Varicose vein stripping Vs. hemodynamic correction (CHIVA): a long term randomised trial. Eur J Vasc Endovasc Surg 2008;35(2):230-237. 3. Parés JO, Juan J, Tellez R, Mata A, Moreno C,Quer FX, Suarez D, Codony I, Roca J. Varicose vein surgery: stripping versus CHIVA method: a randomised controlled trial. Ann Surg 2010;251(4):624-631. 4. Kistner RL. Surgical repair of a venous valve. Straub Clin Proc. 1968;24:41-43. 5. Sottiurai VS. Technique in direct venous valvuloplasty. J Vasc Surg 1988;8:646-648. 6. Tripathi R, Ktenedis KD. Trapdoor internal valvuloplasty – a new technique for primary deep vein valvular incompetence. Eur J Vasc Endovasc Surg 2001;22:86-89. 7. Jessup G, Lane RJ. Repair of incompetenr venous valves: a new technique. J Vasc Surg 1988;8:569-575. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 127 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA VALVULOPLASTICA VENOSA CON TECNICA OSES: RISULTATI DI UNA SERIE CLINICA DI 32 CASI 8. Incandela L, Belcaro G, Nicolaides AN, Agus G, Errichi BM, Cesarone MR, De Sanctis MT, Ricci A, Sabetai M, Mondani P, De Angelis R, Bavera P, Griffin M, Geroulakos G. Superficial vein valve repair with a new external valve support (EVS). The IMES (International Multicenter EVS Study). Angiology 2000 Aug;51(8 Pt 2):S39-52. 9. Camilli S, Camilli D. La valvuloplatica venosa per trazione: una nuova tecnica. It J Vasc Endovasc Surg 2008;15-Suppl 1 to No.4:104. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CAMILLI 10. Camilli S, Camilli D. The stretching valvuloplasty for venous valve repair: preliminary results of the new technique. La Medicina Estetica. Abstract Book. 2011;35(2):181-183 11. Camilli S. The Stretching Valvuloplasty and OSES device implant. 2011, sul web: http://www.youtube.com/results? search_query=stretching+valvuloplasty&aq=f. 12. Pittaluga P, Rea B, Barbe R. Méthode ASVAL (Ablation Sélective des Varices sous Anesthésie Locale): Principes et Résultats Préliminaires. Phlébologie 2005;58 (2):175-181. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 127 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 128 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2010;58(Suppl. 1 al N. 6):128-9 Correlazioni tra alterazioni della pompa suro-plantare, dell’apparato valvolare ed insorgenza di ulcera flebostatica: due casi clinici A. SELLITTI1, A. DI FILIPPO2, R. GIORDANO1, M. APPERTI3 Le ulcere venose degli arti inferiori sono espressione di scompenso nel funzionamento delle vene periferiche. All’origine esiste un’ipertensione venosa con microangiopatia da stasi. Il perdurare di tale situazione conduce all’edema, iperpigmentazione, ipercheratosi, dermoipodermite sino all’ulcera. Le ulcere venose degli arti inferiori rappresentano il 75% di tutte le lesioni trofiche a carico di questi distretti. Sono affetti da ulcera flebostatica lo 0,3 – 3% dei pazienti con malattia venosa cronica agli arti inferiori. L’innovazione tecnologica, determinata dall’utilizzo di medicazioni avanzate e terapia compressiva adeguata, ha ridotto notevolmente i tempi di guarigione (risoluzione dell’ulcera in meno di tre mesi di trattamento in circa l’80% dei pazienti), ma non delle recidive. Alla base di queste ultime concorrono una non adeguata osservanza da parte dei pazienti dei consigli terapeutici suggeriti dallo specialista (terapia chirurgica, scleroterapica, medica, compressiva). Materiali e metodi Sono stati trattati presso i nostri centri negli ultimi 5 anni 284 ulcere venose (93 maschi, 191 femmine) di età compresa tra i 22 e i 94 anni. Tra queste abbiamo selezionato due casi clinici interessanti che evidenziano le correlazioni che sussistono tra le alterazioni della pompa suro-plantare, dell’apparato valvolare e l’insorgenza di ulcera flebostatica. Il sistema venoso è un circolo a bassa velocità di flusso ed è condizionato dalla funzione delle valvole e del lavoro muscolare. Un drenaggio fisiologico consente di mantenere nel distretto capillare una pressione adatta a consentire gli scambi gassosi e metabolici con i tessuti. Un ostacolo e/o una difficoltà al normale deflusso consegue la formazione di settori di stasi che producono una sofferenza del microcircolo. In verità esistono altri fattori che concorrono a determinare questo percorso a ritroso, tuttavia il loro ruolo complessivo è insufficiente a garantire un adeguato deflusso. Questi fattori sono la “vis a tergo” che agisce prevalentemente sul distretto venulare, il “massaggio arterioso” che rappresenta una forza debole, la “vis a fronte” che è attiva nei grossi tronchi prossimi al diaframma ed è fovorita dal clinostatismo, il “tono 128 1ASL Salerno, Ospedale Nocera Inferiore, Pagani, Servizio di Angiologia e Flebologia Chirurgica, U.O.C. di Chirurgia Generale ed Oncologica 2ASL Salerno, Ospedale Nocera Inferiore, Pagani, Servizio di Ecocolordoppler Vascolare, U. O. C. di Medicina d’Urgenza 3Seconda Università di Napoli, Sezione di Fisiopatologia e Terapia delle Flebopatie venoso” che dipende dal simpatico, maggiormente deputato al controllo della volemia che al ritorno venoso. Il primo caso clinico riguarda una paziente di 65 anni sottoposta 30 anni fa ad intervento di stripping della safena interna sinistra. Circa 20 anni fa, in seguito ad incidente stradale, si procurava una frattura alla gamba e piede sinistro con esito in anchilosi dell’articolazione tibio-tarsica. Dopo un anno dall’incidente compariva un’ulcera flebostatica in sede sovramalleolare interna sinistra ed un inizio di recidiva varicosa. 10 anni fa fu operata per recidiva varicosa all’arto inferiore sinistro. In 20 anni l’ulcera è guarita 2 volte per periodi brevi. La paziente è portatrice di scarpa ortopedica e negli ultimi 8 anni non vi è stata nessuna guarigione, nonostante 2 interventi di innesto dermo-epidermico. Si è affidata alle nostre cure da circa 2 anni. Il secondo caso clinico riguarda un paziente di 73 anni, affetto da cardiopatia aritmica ipertensiva, pregresso infarto del miocardio e trombosi venosa profonda all’ arto inferiore destro, esitato in sindrome post-flebotrombotica. È forte fumatore con segni morfo-emodinamici di importante e diffusa sclerosi vasale agli arti inferiori, in trattamento con dicumarolici (I.W. = 6 sia a destra che a sinistra). Trattasi di un soggetto dinamico senza evidenti alterazioni posturali. Circa 3 anni fa vi è stata la comparsa di una lesione ulcerativa cutanea all’ arto inferiore di destra in seguito a microtraumatismo, complicatosi con un’infezione. Gestita correttamente, applicando anche una cauta elastocompressione, la lesione guariva in 2 mesi, e tuttora senza recidiva. Risultati MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 129 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CORRELAZIONI TRA ALTERAZIONI DELLA POMPA SURO-PLANTARE, DELL’APPARATO VALVOLARE ED INSORGENZA... Delle 284 ulcere venose (93 maschi, 191 femmine) trattate negli ultimi 5 anni abbiamo ottenuto la guarigione del 92% dei casi. Nell’83% è avvenuta entro il primo trimestre, la restante percentuale entro 24 mesi. Nel primo caso clinico la lesione ulcerativa non ha mai raggiunto la guarigione totale negli ultimi 8 anni, nonostante 2 interventi di innesto dermo-epidermico. Il secondo caso clinico, invece, la guarigione è avvenuta in 2 mesi, senza recidiva a distanza di 3 anni. Conclusioni L’utilizzo delle medicazioni avanzate nella cura delle ulcere flebostatiche e delle lesioni cutanee, richiede una adeguata curva di apprendimento. L’uso corretto di questi presidi ha permesso, nell’ultimo quinquennio, di ridurre drasticamente il tempo di guarigione. Comunque la guarigione è condizionata notevolmente dall’ efficienza della continenza valvolare e della pompa suro-plantare. L’incontinenza valvolare può essere ridotta con una corretta terapia compressiva e farmacologica. Nei casi di insufficienza del sistema venoso superficiale, la correzione chirurgica e/o scleroterapica dà buoni risultati. Più difficile risulta guarire ulcere con alterazioni della pompa suroplantare. Verosimilmente la percentuale delle ulcere venose che non pervengono a guarigione completa sono da attribuire a quest’ ultima evenienza. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 SELLITTI Bibliografia 1. Mancini S. Trattato di Flebologia e Linfologia. Ed. UTET. Torino 2001. 2. G. Genovese. Chirurgia delle vene e dei linfatici. Ed. Masson. Milano 2003. 3. Mancini S. Manuale di Flebologia. Laris editrice. Colle Val D’Elsa (Si). 2009. 4. Apperti M, Goffredi L. Procedure endovascolari nell’ulcera venosa in day- surgery. Atti 9° congresso nazionale AIUC. Catania 15-18 settembre 2010. 5. Sellitti A. La terapia medica nelle ulcere vascolari degli arti inferiori – Atti 9° congresso nazionale AIUC. Catania 15-18 settembre 2010. 6. Antignani P.L. Ecocolordoppler dell’insufficienza venosa cronica. Diagnostica vascolare ultrasonografica SIDV. GIUV. S. E. U., 2007 7. Delfrate R. Manuale di emodinamica venosa degli arti inferiori – Ed. Ass. Umanizzazione della Chirurgia. Parma 2011. 8. Bergan JJ Schmid, Schonhein G.W. et al. Chronic venous disease. N. Engl J Med 2006;355:488-98. 9. Andreozzi G.M. et al. Quality of life in chronic venous insufficiency. Int. Angiol 2005;24:272-277. 10. C.I.F. Linee guide diagnostiche-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Acta Phlebologica 2003 vol. 4, n. 1-2. 11. Franceschi C. Theorie et pratique de la cure conservatrice et hemodinamique de l’isuffisance venouse en ambulatoire – Ed. de l’ Armancon, précy-sous-Thil, 1988. 12. Agus G.B. Trattamento medico della malattia venosa cronica: evoluzione o involuzione? Minerva Cardioangiologica vol 59 n 3, pag 285-98, giugno 2011. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 129 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 130 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):130-1 Postura e circolazione nostra esperienza E. BUCHERINI1, R. ROSSETTI2, C. BRINI1, F. VENTURA1 La frequente ricorrenza di gamba gonfia che rappresenta spesso una conseguenza di patologia venosa ostruttiva (trombotica) presenta difficoltà di diagnosi differenziale di fronte a silenzi diagnostici strumentali (ecodoppler) e di laboratorio (d-dimero negativo). La ricorrenza a malattie osteo-articolari (come l’artrosi) o malattie muscolo-tendinea spesso conseguenza di strappi o distrazioni muscolari oppure malattie infiammatorie della cute e del sottocute come l’erisipela viene spesso posta ma non sempre riscontrata. Tale ricerca viene posta soprattutto di fronte al riferimento di un dolore tipico manifestato da un paziente. Non sempre comunque il dolore è tipico spesso il sintomo è espressione di una contrattura cronica di muscoli della dinamica reclutati per uno scopo statico. Cioè le catene crociate di apertura e chiusura si inseriscono in uno schema posturale statico gestito dalla catena statica di base controllato cioè dalla catena statica connettivale correlata dalla flessione e dalla estensione. Su questo schema agiscono le catene cinetiche pertanto il movimento del soggetto con quella condizione statica di base non sarà mai uguale a quello di un altro soggetto che ha una condizione di base di partenza diversa. Se si attiva di più una emicatena rispetto ad un’altra ci porta a flessioni diverse (alluce valgo, retropiede asimmetrico, recurvatum del ginocchio) sono espressioni funzionali adattative del corpo. Il problema posturale o meglio della diagnosi posturale è stato sempre quello di riuscire a capire la successione degli avvenimenti in un atteggiamento per fornire indicazioni ad un intervento più specifico nel sistema posturologico (recettore podalico, stomatognatico, oculare, vestibolare etc). L’atteggiamento posturale è spesso mediato anche da condizionamenti psicologici (es la retropulsione durante l’esercizio ad occhi chiusi è frequente negli ansiosi, depressi, in chi ha paura, in chi ha avuto pregressi traumi psichici etc). Il sistema posturale non è solo uno scambio di informazioni neuronali, ma risulta spesso “sporcato” dal vissuto del paziente con una azione cibernetica mediata dall’ ippocampo sede delle “emozioni”. L’individuo nel suo insieme non è solo meccanico ma olistico con indagine anamnestica sul disagio del paziente. Osso è un sistema statico il connettivo è un sistema dinamico di riferimento che fa da contrappeso, 130 1AUSL di Ravenna, S.S. di Medicina Vascolare Angiologia, Dipartimento Cardiovascolare 2Ambulatorio Specialistico di Posturologia e Fisiatria, Ferrara ma i vasi sono gli “inquilini” delle nostre fasce. Così come le leve non si potrebbero esercitare se non ci fosse questo schema osteo- muscolare i nostri vasi risentono di compressioni stiramenti e lassità connettivali. Materiali e metodi Gli studi del circolo del circolo in genere ma soprattutto del venoso spesso considerano un solo distretto, ostio della safena, punto di fuga, perforanti sviluppo di un circolo collaterale con interessamento di più dipartimenti, shunt chiusi o aperti, ma tali valutazioni sono limitati allo studio di una singolo distretto della gamba o di un singolo arto senza considerare o studiare in modo più completo la funzione dell’organismo nella sua globalità cioè del nostro assetto posturale. Cioè voglio dire che dobbiamo studiare si come i nostri piedi appoggiano a terra, ma anche se esiste una correlazione funzionale fra il nostro atteggiamento posturale, cioè come stiamo in piedi ed come ci muoviamo e la nostra circolazione. Già da tempo sappiamo come l’attività fisica migliori la circolazione e soprattutto sappiamo come le anomalie del piede, creino delle difficoltà ad un corretto funzionamento della circolazione soprattutto sul versante venoso e linfatico. Ciò che ancora non riusciamo a capire è perché la presenza di insufficienze venose (varicosità) e linfatiche (linfedema) si esprimano maggiormente in una gamba rispetto altra nonostante non sussistano alterazioni anatomiche dei nostri vasi, in fondo i nostri piedi sono piatti o cavi da entrambi i lati. Sappiamo comunque da studi di posturologia clinica che una buona coordinazione ed una buona postura passano attraverso lo studio delle fasce connettivali (cioè di sistemi di rivestimento) presenti nel nostro corpo. Le fasce formano l’involucro superficiale e profondo del nostro corpo. Il grado di cedevolezza varia da fascia a fascia con gradi di lassità diversi. Partendo da MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 131 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) POSTURA E CIRCOLAZIONE NOSTRA ESPERIENZA BUCHERINI queste considerazioni e prendendo lo spunto dall’attivazione nella nostra azienda di un ambulatorio per patologie del piede e della caviglia in abbiamo valutato quaranta pazienti flebopatici venti con un atteggiamento in chiusura e venti in apertura delle catene muscolari riscontrando patologie diverse sui due gruppi. Risultati Nella catena di apertura verso la catena di chiusura erano più frequenti le perforanti di coscia 8 (20) vs 3 (20) con minori incontinenza ostiale delle safene interne 5 (15) vs 10 (20). Non variazioni significative della piccola safena 3 (20) vs 2 (20) e delle perforanti visibili di gamba presenti 14 (20) vs 16 (20). Atteggiamento posturale valutato nel seguente modo: – catena di apertura apre l’iliaca, il bacino, abduce il femore e crea un varo dell’anca. Rotazione esterna del femore, rotazione esterna della tibia, la supinazione del piede verso l’esterno, varo del calcagno, quinto varo; – la catena di chiusura crea la rotazione interna del femore, la rotazione interna della tibia, valgo del ginocchio, la pronazione del piede verso l’interno, valgo del calcagno, alluce valgo. Tali indagini anamnestica servono anche per richiamare l’attenzione su patologie di appannaggio del sistema posturale più frequente e disponibile nell’ambito famigliare (es: alluce valgo, atteggiamenti posturale) ma anche secondo noi nelle sindromi varicose possiamo ricordare alterazioni simili nella famigliarità del paziente. Così’ come accavallare la gamba come il nonno indica una predisposizione tonico funzionale di insieme che fa compiere al soggetto un moto particolare di accavallare la gamba. Una gestualità che è identificabile nella filogenesi od ontogenesi del rapporto dedicato, come la mimica, (ridi come tuo padre etc). Nella valutazione posturale è importante descrivere una storia anamnestica ben definita che va dai trattamenti odontoiatrici, ortopedico (plantare, busto, scarpette, protesi, ginnastica correttiva, occhiali da lontano e da vicino, lenti a contatto correzione ortottica Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 etc). Scivolate banali, fratture distorsioni di caviglie, traumi, cefalee, emicrania, instabilità (non sindromi vertiginose), cinetosi e scoliosi ecc. Conclusioni La nostra valutazione non ha la pretesa di dare indicazioni comportamentali ma riflessioni per eventuali proposte atte a valutare il nostro paziente in modo olistico non solamente come vasculopatico al fine di cogliere le fatica ed il dolore spesso espresso nel paziente con disturbi posturali. Spesso in medicina le evidenze scientifiche sono limitate e quelle esistenti sono messe in discussione o presentano una scarsa rilevanza. Il medico, allora deve frequentemente fare delle scelte terapeutiche, nella speranza di adottare la cura migliore per i propri pazienti. Bibliografia 1. Association Francaise de Posturologie (1986): Normes 1985. AFP Edit., Paris. 2. Brandt T, Krapczyk S, Malbenden L. Postural imbalance with head extension. Improvement by training as a model for ataxia therapy. Ann. N.Y. Acad. Sci. 1981;374:636. 3. Guidetti G, Barbieri L, Monzani D, Monzani A, Galletti G. La stabilometria computerizzata: una indagine a completamento dello studio del paziente vertiginoso. Acta Otorhinol. Ital. 1986;6:487. 4. Norrè ME. Posture in otoneurology. Acta ORL Belgica, 1980; 44:55. 5. Guidetti G. Ruolo della stabilometria in medicina legale. In: Puxeddu P, Balli R, Guidetti G, Mallardi V, Morra B, Pagnini B. La valutazione medico legale del danno vestibolare. Acta Otorhinol. Ital. 1988;8:205. 6. Guidetti G, Galletti R, Brenner T, Cimino F. La stabilometria computerizzata nella valutazione della influenza del rachide e dell’apparato stomatognatico sulla postura. In: Da Cunha HM, Cesarani A, Ciancaglini R, Lazzari E, Ruyu A, Sibilla P Postura, occlusione e rachide. CPA Edit., Bassano del Grappa, 1992;29. 7. Ph. Villeneuve e coll. Piede, equilibrio e postura: ed. Marrapese 1999. 8. Gagey PM, Weber B. Posturologie. Régulatio et dérèglement de la station debout. Ed Masson Paris 1999. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 131 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 132 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2010;58(Suppl. 1 al N. 6):132-3 Il varicocele pelvico e scrotale J. CLERISSI, C. MASSA SALUZZO, A. RAGAZZONI, A. LA ROSA, M. DONDI, C. SCOTTI, M. MARTINOTTI, R. MOIA Il varicocele è una patologia che interessa il sistema vascolare del testicolo caratterizzata da dilatazione ed incontinenza delle vene testicolari, che hanno il compito di drenare il sangue dal testicolo. Insorge solitamente tra i 15 e i 35 anni, eccezionalmente prima, assai di rado nella vecchiaia. Presenta un’incidenza elevata: nell’85% dei casi è localizzato a sinistra, nell’11% è bilaterale e solo nel 4% a destra, a causa delle differenti caratteristiche anatomiche tra le due vie vascolari. La vena testicolare destra sbocca infatti ad angolo acuto nella vena cava inferiore e la sinistra perpendicolarmente nella vena renale di sinistra, a basso flusso rispetto alla vena cava. Le vene dilatate possono determinare un innalzamento della temperatura del testicolo, che se si mantiene per lungo tempo può causare infertilità e atrofia testicolare. Il varicocele femminile, definito anche come insufficienza venosa pelvica, è caratterizzato da una dilatazione delle vene ovariche. Nella maggior parte dei casi colpisce la vena ovarica sinistra per motivi anatomici. È più frequente di quanto si immagini, fino al 15% delle donne fra i 18 e i 50 anni ne è affetta. Nella maggior parte degli uomini i sintomi non sono evidenti e tendono a presentarsi con il caldo, dopo sforzi fisici, alla fine di un rapporto sessuale o dopo una prolungata stazione eretta. Includono dolore sordo al testicolo, senso gravativo di pesantezza a livello scrotale, sensazione di fastidio al testicolo o in una parte dello scroto. Obiettivamente il testicolo interessato può risultare più piccolo rispetto all’altro e si possono apprezzare vene dilatate a livello scrotale. Nelle donne il dolore pelvico mono o bilaterale, cronico e fastidioso, è associato talora ad algie in regione periovarica, senso di peso addominale, irritabilità vescicale e gonfiore al basso ventre. La sintomatologia si accentua con il flusso mestruale, la posizione eretta, l’affaticamento e con i rapporti sessuali. La diagnosi, oltre ad un accurato esame obiettivo, prevede l’esame del liquido seminale (spermiogramma) e l’ecocolordoppler scrotale per l’uomo; l’ecocolordoppler transvaginale e la angio-RM dell’addome per la donna. La scleroembolizzazione transcatetere, rispetto alla chirurgia tradizionale, è una tecnica che permette di trattare il 132 Polo universitario Istituto di Cura Città di Pavia, U.O. di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Università degli studi di Pavia paziente in modo rapido, sicuro ed estremamente efficace: è infatti quasi totalmente indolore, necessita unicamente di una lieve anestesia locale, non necessita di sutura e può essere effettuata in regime di day-surgery. Materiali e metodi È stato condotto uno studio retrospettivo in 252 pazienti: 186 uomini di età media 25.2 anni (range tra i 13 e i 40 anni) e 66 donne di età media 35 anni (range tra i 25 e i 52 anni) trattati con scleroembolizzazione transcatetere tra il gennaio 2000 e il marzo 2011. Le vene interessate sono state selettivamente cateterizzate usando accesso venoso brachiale antecubitale o femorale; per l’embolizzazione è stata iniettata una schiuma ottenuta con sodio tetradecil solfato al 3% e aria. Nel follow-up i pazienti sono stati monitorati tramite esame clinico e eco-doppler. Negli uomini è stata inoltre eseguita una valutazione della patologia e della fertilità attraverso l’utilizzo di un questionario. L’analisi dello sperma è stata eseguita seguendo le linee guida della WHO. Le differenze tra i parametri spermatici prima e dopo il trattamento sono state valutate attraverso il Wilcox test. Risultati Il tasso di successo della tecnica è stata del 97% (247 varicoceli). I risultati del follow-up completo (49,3 mesi ± 21,46 dev. st.) in 198 varicoceli (78,5%) ha rilevato 7 (3,5%) recidive di varicocele di grado II-III e la risoluzione della patologia in 191 (96,5%) casi. Successivamente al trattamento è stato accertato un miglioramento statisticamente significativo di tutti i parametri spermatici nei pazienti prima infertili (P <,001). Di 56 pazienti che desideravano avere un figlio, e che avevano alterazioni spermatiche prima del trattamento, 24 (43,4%) sono riusciti a dare inizio a una gravidanza. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 133 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL VARICOCELE PELVICO E SCROTALE CLERISSI Conclusioni La scleroembolizzazione con schiuma di sodio tetradecilsolfato al 3% nei varicoceli è associata a un basso tasso di recidiva, a un alto tasso di guarigione e a un significativo miglioramento delle alterazioni dei parametri spermatici misurati prima del trattamento stesso; un sostanziale incremento della possibilità di gravidanza è stato ottenuto in pazienti che desideravano avere un figlio e che presentavano alterazioni spermatiche prima del trattamento. Nella donna si è assistito alla quasi totale regressione della sintomatologia algica. Bibliografia 1. Lupattelli T, Cutti S, Grilli PE, Dondi M, Rubertà F, La Rosa A, Yussuf M, Clerissi Moia JR. Male varicocele: transcatheter foam sclerotherapy with sodium tetradecyl sulfate (outcome in 164 patients) III Mediterranena Meeting of Venous Disease- Strategy and means for the treatment of venous insufficiency- edited by Paul Pittaluga, MD Sylvain Chastanet, MD. Maggio 2009 Nizza. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 2. Cayan S, Shavakhabov S, Kadiolu A. Treatment of palpable varicocele in infertile men: A meta-analysis to define the best technique. J Androl. 2009;30:33-40. 3. Tarazov P, Prozorovskij K, Rumiantseva S. Pregnancy after embolization of an ovarian varicocele associated with infertility: report of two cases. Diagn Interv Radiol. 2011;17:174-6. 4. Daitch JA, Bedaiwy MA, Pasqualotto EB, Hendin BN, Hallak J, Falcone T, et al. Varicocelectomy improves intrauterine insemination success rates in men with varicocele. J urol. 2001;165:1510-3. 5. Chan P. Management options of varicoceles. Indian J Urol. 2011;27:65-73. 6. Evers JH, Collins J, Clarke J. Surgery or embolisation for varicoceles in subfertile men. Cochrane Database Syst Rev. 2009 Jan 21;(1):CD000479. Review. 7. Bittles MA, Hoffer EK. Gonadal vein embolization: treatment of varicocele and pelvic congestion syndrome. Semin Intervent Radiol. 2008;25:261-70. 8. D Beecroft JR. Percutaneous varicocele embolization. Can Urol Assoc J. 2007;1:278-80. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 133 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 134 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2010;58(Suppl. 1 al N. 6):134 Come organizzare un Servizio di Angiologia a “isorisorse” S. CUPPINI1, M. MARZOLO1, G. BURATTIN2, E. DI GIACOMO3, M. CHINAGLIA4, P. AMISTÀ5, E. RAMAZZINA1, S. PIEROTTI6 L’attività di Angiologia nell’Ospedale di Rovigo sino al 2009 è stata svolta fondamentalmente dalla Medicina Interna, dalla Chirurgia Vascolare e da altri professionisti (Geriatri, Neurologi, Specialisti SUMAI) coinvolti singolarmente. Nell’anno 2009 la Medicina Interna è stata investita del compito di verificare, almeno per la parte non chirurgica, la possibilità di coordinare tutta la attività, prendendo spunto dalla ristrutturazione logistico-tecnologica del Presidio Ospedaliero. Il compito si presentava particolarmente complesso, sia per la “trasversalità” dell’azione, sia per la consuetudine di utilizzare spazi, tecnologia e risorse umane secondo vetusti ed apparentemente immodificabili percorsi clinici-organizzativi. Il raggiungimento di tale obiettivo rientrava nella contrattazione annuale del budget, non prevedendo alcuna modifica dell’atto aziendale. In definitiva due sono risultati gli obbiettivi da raggiungere: il coordinamento di tutta la attività angiologica ed il conseguente miglioramento dell’assistenza al paziente vascolare Materiali e metodi Il processo è risultato articolato su una serie di passaggi obbligati: 1) Riunione di tutte le risorse tecnologiche in un unico polo, facilmente individuabile e identificabile 2) Assistenza infermieristica e di accettazione unica 3) Creazione di un calendario di presenza settimanale tale da garantire la presenza dell’Angiologo tutte le mattine feriali 4) Creazione di un agenda appuntamenti interni unica con possibilità di inserire i pazienti in post-ricovero o in follow-up 5) creazione di un data base comune, grazie al contemporaneo utilizzo della nuova cartella clinica informatizzata 6) Prima riunione “trasversale” tra tutti professionisti coinvolti 7) Organizzazione di un evento formativo aziendale semestrale di natura angiologica 8) Percorso diagnostico-terapeutico angiologico condiviso con il Pronto Soccorso 9) Coinvolgimento di tutti gli angiologi negli studi clinici in essere 10) Definizione di incontri semestrali con i MMGG per migliorare la appropriatezza. della richiesta 11) Presentazione del progetto a tutti i Responsabili di SOC e di Dipartimento. Risultati A distanza di meno di due anni dalla originaria ipotesi di lavoro, il progetto è diventato una realtà ben evidente all’interno del Presidio Ospedaliero, realizzando tutti i passaggi sopra citati. Tuttavia alcune problematiche, stante la trasver134 1SOC Medicina Interna-Angiologia, Presidio Ospedaliero ULSS n.18, Rovigo 2SOC Geriatria-Angiologia, Presidio Ospedaliero ULSS n.18, Rovigo 3Angiologia Specialistica, Presidio Ospedaliero ULSS n.18, Rovigo 4SOC Neurologia, Presidio Ospedaliero ULSS n.18, Rovigo 5SOC Radiologia, Presidio Ospedaliero ULSS n.18, Rovigo 6Direzione Medica, Presidio Ospedaliero ULSS n.18, Rovigo salità delle equipe coinvolte, appaiono più complesse e difficilmente realizzabili in tempi brevi: 1) Coordinamento pomeridiano e nei periodi “ critici” 2) Ridefinizione delle prestazioni dei calendari CUP per esterni, tale da migliorare la appropriatezza della richiesta 3) Definizione chiara e inequivocabile dell’attività dell’Angiologo Medico e del Chirurgo Vascolare 4) Stesura di Protocolli comuni con altre figure professionali coinvolte nella gestione del paziente angiologico: diabetologi, cardiologi e radiologi interventisti. Conclusioni L’organizzazione di un Servizio di Angiologia a “isorisorse” è, in un momento di grave crisi economica, una strada percorribile che necessita, tuttavia, del massimo impegno clinico-organizzativo da parte degli specialisti coinvolti e la massima disponibilità della Direzione Sanitaria del presidio ospedaliero. Bibliografia 1. Tissue Doppler and strain imaging: anything left in the echolab? Citro R, Bossone E, Kuersten B, Gregorio G, Salustri A. Cardiovasc Ultrasound. 2008 Oct 30;6:54. Review. 2. Regional left ventricular deformation and geometry analysis provides insights in myocardial remodelling in mild to moderate hypertension. Baltabaeva A, Marciniak M, Bijnens B, Moggridge J, He FJ, Antonios TF, MacGregor GA, Sutherland GR. Eur J Echocardiogr. 2008 Jul;9(4):501-8. 3. Effect of obesity on left ventricular structure and myocardial systolic function: assessment by tissue Doppler imaging and strain/strain rate imaging. Tumuklu MM, Etikan I, Kisacik B, Kayikcioglu M. Echocardiography. 2007 Sep;24(8):802-9. 4. Echocardiography in congenital heart disease: usefulness, limits and new techniques. Pacileo G, Di Salvo G, Limongelli G, Miele T, Calabrò R. J Cardiovasc Med (Hagerstown). 2007 Jan;8(1):17-22. Review. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 135 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2010;58(Suppl. 1 al N. 6):135-6 Valore incrementale della valutazione della performance sistolica mediante strain/strain rate nel predire l’outcome di pazienti cardiopatici ischemici sottoposti ad interventi di chirurgia vascolare A. LAURITO1, A. DAGIANTI2, A. MALAJ1, A. ALUNNO1, M.M.G. FELLI1, A. CASTIGLIONE1, J. JABBOUR1, F. FACCENNA1, B. GOSSETTI1 Lo strain, ossia deformazione, può essere calcolato come variazione in lunghezza rispetto alle dimensioni originarie [Lagrangian strain Ω = (L – L0)/L0]. Lo strain rate è calcolato come gradiente di velocità spaziale istantaneo (1/s), quindi SR = (V2 – V1)/L, meno dipendente dalle condizioni di carico e perciò miglior indice della contrattilità miocardica. È possibile riportare i valori di regional strain (SRI) come regional shortening fraction in asse lungo (strain longitudinale) e come regional thickening fraction in asse corto (strain radiale), rappresentati da curve Ω/SR con morfologia opposta: negativa in sistole (accorciamento) e positiva in diastole (allungamento) per lo strain longitudinale, positiva in sistole (ispessimento) e negativa in diastole (assottigliamento) per lo strain radiale. Lo strain misura la deformazione, lo strain rate la velocità di deformazione miocardica. La metodica di speckle tracking permette di superare i limiti delle tecniche Doppler tradizionali, quali ad esempio l’angolo-dipendenza. Obiettivo Dimostrare il valore prognostico aggiuntivo rispetto ai parametri eco tradizionali, derivante dalla valutazione pre-operatoria della performance ventricolare sinistra mediante SRI e speckle tracking in pazienti con vasculopatia polidistrettuale sottoposti ad interventi di chirurgia vascolare. Materiali e metodi Sono stati arruolati 54 pazienti (15 femmine e 39 maschi, età media 73 anni), ipertesi e cardiopatici ischemici (16 con coronaropatia monovasale e 38 con coronaropatia multivasale), con vasculopatia polidistrettuale, 24 dei quali diabetici. Ogni soggetto è stato sottoposto ad esame clinico ed indagine ecocardiografica pre- e postoperatoria con ecocardiografo MyLab30Gold (Esaote) secondo le raccomandazioni dell’ASE, con acquisizione ad alto frame rate >200 frame/s. La FE è stata calcolata con metodo Simpson. Sono stati registrati tre cicli cardiaci in formato cineloop per le analisi offline. Il ventricolo sinistro in proiezione 4 camere apicale e parasternale asse corto è stato suddiviso in 6 segmenti valutati individualmente con il software X-Strain-Esaote-Italy per Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1Cattedra di Chirurgia Vascolare A, Policlinico ‘’Umberto I’’, Università degli Studi ‘’La Sapienza’’, Roma 2Cattedra Malattie Apparato Cardiovascolare, Policlinico ‘’Umberto I’’, Università degli Studi ‘’La Sapienza’’, Roma l’analisi 2D SRI longitudinale (regional shortening fraction), radiale (regional thickening fraction) e speckle tracking. Per tutti i soggetti è stato registrato il valore di global strain (GS) espresso come media ± deviazione standard. Le variabili quantitative sono state comparate mediante test T di Student. Le correlazioni sono state effettuate con lo studio della correlazione lineare. Un valore di p <0,05 è stato considerato statisticamente significativo. I dati sono stati analizzati mediante software SPSS 10,0 (SPSS, Chicago, Il, USA). Risultati Nello studio effettuato è stato possibile riscontrare un valore di global strain ventricolare sinistro significativamente ridotto nel gruppo di pazienti diabetici e con coronaropatia multivasale rispetto alla media del campione (-14,8 ± 2,8% vs -17,84 ± 3,1%; p <0,05). Lo SRI è stato in grado di rilevare precocemente alterazioni della contrattilità miocardica, ancor prima di un evidente deterioramento della funzione di pompa valutata come frazione d’eiezione. Proprio in questi pazienti si è registrata una maggiore insorgenza di angina o anomalie elettrocardiografiche (aritmie, anomalie della fase di ripolarizzazione ventricolare) nel periodo post-operatorio. Conclusioni L’analisi 2D SRI-speckle tracking è una metodica non invasiva valida per realizzare un’integrazione tra parametri regionali di funzione sistolica e indici di funzione globale, utile non solo ai fini di una migliore accuratezza diagnostica ma anche per la stratificazione prognostica di pazienti con indicazione ad interventi di chirurgia vascolare non cardiaca. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 135 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 136 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LAURITO VALORE INCREMENTALE DELLA VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE SISTOLICA MEDIANTE STRAIN/STRAIN RATE... Bibliografia 1. Tissue Doppler and strain imaging: anything left in the echolab? Citro R, Bossone E, Kuersten B, Gregorio G, Salustri A. Cardiovasc Ultrasound. 2008 Oct 30;6:54. Review. 2. Regional left ventricular deformation and geometry analysis provides insights in myocardial remodelling in mild to moderate hypertension. Baltabaeva A, Marciniak M, Bijnens B, Moggridge J, He FJ, Antonios TF, MacGregor GA, Sutherland GR. Eur J Echocardiogr. 2008;9:501-8. 136 3. Effect of obesity on left ventricular structure and myocardial systolic function: assessment by tissue Doppler imaging and strain/strain rate imaging. Tumuklu MM, Etikan I, Kisacik B, Kayikcioglu M. Echocardiography. 2007;24:8029. 4. Echocardiography in congenital heart disease: usefulness, limits and new techniques. Pacileo G, Di Salvo G, Limongelli G, Miele T, Calabrò R. J Cardiovasc Med (Hagerstown). 2007;8:17-22. Review. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 137 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):137-8 Ruolo della ricostruzione venosa nei traumi complessi degli arti inferiori A. SIANI1, F. ACCROCCA1, G.A. GIORDANO1, R. ANTONELLI1, R. GABRIELLI1, L. IRACE2, O. MARTINELLI2, G. MARCUCCI1 Il trattamento delle lesioni venose nei traumi complessi degli arti inferiori continua a rappresentare un argomento controverso. La ricostruzione del segmento venoso infatti, nonostante comporti un aumento dei tempi chirurgici e sia soggetta a frequente trombosi postoperatoria, specie nei traumi estesi, sembrerebbe condizionare un miglioramento dei risultati della ricostruzione arteriosa attraverso un aumento dell’outflow riducendo le complicanze dell’ipertensione venosa sia breve che a lungo termine. Scopo del nostro lavoro è quello di analizzare e valutare i risultati delle ricostruzioni del segmento venoso nel contesto dei traumi complessi degli arti inferiori ed del loro impatto sulla ricostruzione arteriosa e sulla prevenzione dell’ipertensione venosa. Materiali e metodi Da gennaio 2004 a dicembre 2010 24 pazienti, 18 uomini e 6 donne, con età media di 38 anni (17-44) sono stati sottoposti ad intervento urgente per un trauma complesso degli arti inferiori.In tutti i casi vi era un coinvolgimento dell’asse arterioso (femorale comune in 6 casi, femorale superficiale in 8 casi, arteria poplitea in 7 casi, vasi di gamba in 3 casi) In 17 casi si è evidenziato intraoperatoriamente un consesuale coinvolgiemto dell’ asse venoso (femorale comune 5 casi, femorale superficiale 6 casi, poplitea 5 casi, vasi di gamba 1 caso). In 18 casi abbiamo avuto una sindrome ischemica senza emorragia da trauma chiuso, in 6 casi una sindrome emorragica con ischemia da trauma aperto. In 7 casi si è evidenziato un consensuale coinvolgimento nervoso (nervo sciatico in 5 casi, tibiale posteriore in 2 casi). In tutti i casi era presente una scomposizione ossea marcata necessitante di stabilizzazione prioritaria, mentre in 2 casi era inoltre presente una vasta perdita tegumentaria. Le metodiche di riparazione sono riportate in tabella I. Abbiamo eseguito una legatura dei vasi venosi di gamba in 1 solo caso, mentre in 16 casi è stata eseguita una ricostruzione venosa associando in 5 casi (3 vena femorale superficiale, 2 vena poplitea) un trombectomia distale per presenza di materiale trombotico associato. In tutti i casi la nostra tecnica si è basata steps routinari come l’iniziale controllo dei vasi, la trombectomia arteriosa distale, l’impiego dello shunt (tipo Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1UOC Chirurgia Vascolare, Ospedale “S. Paolo” ASL RMF Civitavecchia-Roma 2UOC Chirurgia Vascolare Policlinico Umberto I, Roma Tabella I. – Tecniche chirurgiche di riparazione arteriosa e venosa. N. A femorale comune V femorale comune A femorale superficiale V femorale superficiale Arteria Poplitea Vena Poplitea Arterie Tibiali Vene Tibiali Inter- Venoraffia Sutura Legatura Tromposizione capo a venosa bectomia graft capo safenico 6 5 1 – – – 5 4 1 – – – 8 7 – 1 – – 6 6 – – – 3 7 5 3 1 7 3 3 – – – – – – 2 – – – – – 1 – 2 – – Pruitt) in sede arteriosa e venosa, l’impiego della vena grande safena contro laterale, la stabilizzazione ossea mediante fissatore esetrno, il controllo angiografico a rivascolarizzazione conclusa, le fasciotomie di principio. Risultati La mortalità è stata dell’8.3% (2/24) ed è stata legata alle gravi lesioni associate. Il tasso di amputazione è stato del 9% (2/22) per grave sindrome ischemica irreversibile in un caso e per l’infezione dei tessuti in un caso rispettivamente. In tutti i pazienti la ricostruzione arteriosa e venosa sono state valutate mediante esame clinico e monitoraggio con eco-color-Doppler a 6 mesi. Per quanto riguarda la pervietà della ricostruzione venosa,la pervietà a 30 giorni è stata del 90% (18/20), la pervietà ad 1 anno MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 137 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 138 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) SIANI RUOLO DELLA RICOSTRUZIONE VENOSA NEI TRAUMI COMPLESSI DEGLI ARTI INFERIORI del 70% (14/20). La trombosi postoperatoria complessiva è stata del 30% (2 precoci e 4 tardive). Le misurazioni dei flussi dei segmenti venosi interposti in femorale superficiale e poplitea rilevata mediante eco-color-Doppler hanno documentato una buona velocità di flusso associata a continenza valvolare. Non abbiamo avuto fenomeni di phlegmasia o embolia polmonare nel postoperatorio. Le ricostruzioni trombizzate non hanno evidenziato fenomeni di ricanalizzazione. Discussione e conclusioni La ricostruzione del segmento venoso, specie a livello della femorale comune o della vena poplitea rappresenta una problematica complessa e controversa. La legatura di principio comporta spesso sequele funzionali importanti legate all’ipertensione venosa che ne consegue e sembrerebbe in grado di ridurre la pervietà della stessa ricostruzione arteriosa a distanza attraverso un aumento delle resistenze distali 1. La tendenza alla legatura di principio trova giustificazione in diversi studi che evidenziano una modesta pervietà a distanza, specie in presenza di lesioni lunghe o in presenza di traumi contusivi estesi, riportando inoltre una maggiore incidenza di complicanze legate alla trombosi della ricostruzione stessa come l’embolia polmonare 2,3. Nella nostra esperienza abbiamo notato come in presenza di lesioni segmentarie, sotto i 7-10 cm, ma soprattutto legate a traumi aperti o a basso trauma energetico, la ricostruzione possa invece, in accordo con altri autori, presentare una buona pervietà sia precoce che a distanza, aumentando la pervietà arteriosa stessa attraverso un miglioramento dell’outflow 4. La ricostruzione venosa pertanto appare necessaria in alcuni distretti come quello popliteo o femorale comune al fine di garantire 138 una pervietà migliore della ricostruzione arteriosa. Nella nostra esperienza l’impiego dello shunt in associazione alle fasciotomie ha permesso una riduzione significativa dei tempi d’ ischemia e della sindrome compartimentale giustificando anche i risultati in termini di pervietà a breve della ricostruzione venosa. In presenza di traumi chiusi estesamente contusivi o in presenza di lesioni multiple interessanti i vasi di gamba riteniamo invece che la legatura di principio sia da preferire in considerazione dei mediocri risultati sia precoci che a distanza 5. In conclusione riteniamo, in accordo con diversi autori, che nel paziente stabile, in cui si realizzi il coinvolgimento di segmenti centrali, come la vena poplitea e la femorale comune, la ricostruzione debba essere eseguita di principio, riservando la legatura alle lesioni molto estese, nei traumi diffusamente contusivi ad alto impatto energetico o nei pazienti instabili emodinamicamente. Bibliografia 1. Meyer J, Walsh J, Schuler J, Barrett J, Durham J, Eldrup Jorgensen J, et al. The early fate of venous repair after civilian vascular trauma. A clinical, hemodynamic, and venographic assessment. Ann Surg 1987 ;206:458-62 2. Geerts WH, Code KI, Jay RM, Chen E, Szalai JP. A prospective study of venous thromboembolism after major trauma. N Engl J Med 1994;331:1601-06 3. Rich NM. Management of venous trauma. Surg Clin North Am 1988;68:809-821 4. Nitecki SS, Karram T, Hoffman A, Bass A. Venous trauma in lebanon War -2006 Int Cardiothor and vasc surgery 6 (2007) 647-651 5. Pappas PJ, Haser PB, Teehan EP, Noel AA, Silva MB Jr, Jamil Z, et al. Outcome of complex venous reconstructions in patients with trauma. J Vasc Surg 1997;25:398-404 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 139 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):139-40 Pyoderma gangrenosum: caratterische cliniche e criteri diagnostici D. TONELLO1, B. ZALUNARDO1, S. IRSARA2, L. ZOTTA1, F. BUSATO1, F. BARATTO2, A. VISONÀ1 Il pyoderma gangrenosum (PG) è una rara affezione, inquadrabile come dermatosi neutrofila infiammatoria sterile, caratterizzata da vaste ulcere cutanee ricorrenti, associate a un essudato emorragico o muco-purulento 1,2. La corretta diagnosi deve prevedere l’esclusione di altre cause che possono mimare il PG per poter instaurare repentinamente un trattamento immunosoppressivo 3. Caso clinico Una paziente di 84 anni, affetta da cardiopatia ipertensiva, fibrillazione atriale permanente in terapia anticoagulante orale, ipertiroidismo ed artrite sieronegativa, era ospedalizzata per la comparsa spontanea di ulcere cutanee agli arti inferiori estremamente dolenti. Le lesioni si presentavano superficiali, con fondo necrotico, margini piani, essudato siero-ematico e orletto perilesionale violaceo. L’esame arterioso escludeva segni di arteriopatia periferica di significato emodinamico. L’ecocolorDoppler venoso non evidenziava insufficienza venosa profonda o superficiale. Gli esami ematochimici all’ingresso evidenziavano modesta leucocitosi neutrofila e minimo incremento degli indici di flogosi (VES 31 mm/h, PCR 1,48 mg/dl). Negativo lo screening per vasculite (ANA, ANCA, fattore reumatoide, crioglobuline). Negativa la ricerca di HBSAg e anticorpi anti-HCV. TSH nei limiti di norma. Marcatori neoplastici negativi (eccetto CEA 5,2, v.n. <3 ng/ml). Negativa la ricerca di sangue occulto in 3 campioni di feci. Radiografia del torace, ecocardiogramma ed ecografia addominale non erano significativi. La biopsia cutanea evidenziava un quadro aspecifico di dermatite da stasi. Il debridement meccanico svelava transitoriamente un fondo completamente granuleggiante, ma rapidamente ricompariva abbondante necrosi con tendenza all’estensione concentrica. La paziente era trattata con antibiotici, antidolorifici, antiinfiammatori e prostaglandine e.v. con scarso beneficio. L’introduzione di steroidi ad alto dosaggio (prednisone 1 mg/kg) presentava un immediato effetto antalgico, ma scarsa efficacia sulle lesioni cutanee che continuavano a Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1U.O.D. Angiologia, Ospedale S. Giacomo, Castelfranco Veneto (TV) 2U.O.D. Chirurgia Vascolare, Ospedale S. Giacomo, Castelfranco Veneto (TV) presentare iper-reattività al debridement (patergia). L’ossigenoterapia iperbarica veniva interrotta prematuramente per cinetosi invalidante durante il trasporto in ambulanza. Posto il sospetto di un PG, si instaurava terapia immunosoppressiva con ciclosporina e colchicina, successivamente sospese per la comparsa di effetti collaterali (diarrea, ipertensione, candidosi del cavo orale, interazione con la warfarina), e successivamente con methotrexate. Nei due mesi successivi la paziente andava incontro a graduale e completa guarigione delle lesioni, con sospensione degli analgesici e ripresa dell’autonomia che la paziente aveva progressivamente perso durante la lunga malattia in ospedale. Discussione L’esatta prevalenza del PG non è nota. L’incidenza stimata varia tra 1 e 3,3 ogni 330.000 soggetti, ed è maggiore nel sesso femminile in età compresa tra i 20 e i 50 anni. Nel 3% dei casi colpisce soggetti in età pediatrica 4. Il quadro clinico è polimorfo per quanto riguarda la sede delle lesioni, la loro estensione e profondità e le manifestazioni di accompagnamento. Sono maggiormente colpiti gli arti inferiori, in particolare la superficie anteriore delle gambe, ma raramente possono essere interessate anche altre parti del corpo e le mucose (es. cavo orale, regioni peristomali in pazienti con morbo di Crohn o colite ulcerosa con ileostomia) 5. Sulla base dell’alterazione cutanea caratteristica possiamo distinguere le quattro forme cliniche maggiori del pyoderma: bolloso, ulceroso, pustoloso e granulomatoso superficiale (o vegetante). Più frequentemente la malattia esordisce con noduli dolorosi o con pustole sterili che progrediscono rapidamente (anche meno di 48 ore) e che evolvono in ulcere molto dolorose, di profondità e grandezza variabili (fino a 20 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 139 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 140 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TONELLO PYODERMA GANGRENOSUM: CARATTERISCHE CLINICHE E CRITERI DIAGNOSTICI cm di diametro), dai bordi violacei o bluastri, non definiti, circondate da orletto eritematoso. La forma ulcerosa si estende centrifugamente e si mantiene solitamente superficiale, mentre la forma pustolosa, caratterizzata da raccolte purulente, si accresce con andamento serpiginoso. Caratteristico, ma incostante, è il fenomeno della patergia, in cui le ulcere insorgono in zona di pregresso trauma minore per iper-reattività cutanea. La formazione delle lesioni può non associarsi a sintomi generali, ma più frequentemente l’esordio si accompagna a dolore, febbre elevata, astenia ed artralgie 6. Il decorso clinico può essere mite o maligno, cronico o ricorrente, con una significativa morbilità. Nel 50% dei casi il PG si associa a una malattia di base, spesso una malattia infiammatoria viscerale (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa), una malattia ematologica a carattere proliferativi 7 o reumatica (artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico) o un tumore maligno 8. Queste affezioni associate sono numerose e senza relazione patogenetica apparente. Il PG a volte rivela la malattia sottostante; in altri casi costituisce un evento intercorrente nel decorso di una patologia già nota. Il controllo della malattia associata non sempre porta alla guarigione delle ulcerazioni cutanee. L’eziologia non è stata ancora determinata con esattezza. È presente una disfunzione del sistema immunitario coinvolgente sia l’immunità umorale che quella a mediazione cellulare. La disfunzione umorale consiste in una reazione antigene-anticorpo su antigeni esogeni (infettivi o farmacologici) o endogeni (malattie autoimmuni, neoplasie). La reazione a mediazione cellulare è provocata da un incremento delle interleuchine (IL-1, IL-2, IL-6), con iperproduzione di G-CSF (Granulocyte Colony Stimulating Factor), mobilizzazione midollare dei granulociti neutrofili e incremento del Tumor Necrosis Factor (TNF)-alfa. L’istologia è aspecifica e dipende dallo stadio evolutivo: si osservano ascessi sterili con denso infiltrato di polimorfonucleati e alterazioni vascolari (trombosi capillari, emorragie, necrosi). La ricchezza di polimorfonucleati neutrofili giustifica l’assimilazione dell’affezione a una dermatosi neutrofilica. La diagnosi è essenzialmente clinica, coadiuvata dall’istologia, che ha il compito di escludere altre patologie in grado di mimare il PG. I tre indizi cardine sono: a) l’aspetto caratteristico delle ulcere (bordo rilevato, violaceo, sottominato); b) il carattere rapidamente evolutivo; c) l’assenza di risposta alla terapia antibiotica. La diagnosi differenziale deve essere posta con infezioni del derma (micosi profonde, micobatteriosi, fascite necrotizzante), vasculiti (in particolare morbo di Wagner), calcifilassi (anch’essa dolorosa ed ingravescente), ulcere da insufficienza venosa o arteriosa, sindrome di Sweet (sindrome paraneoplastica) o ulcere artefatte 9. Il trattamento del PG è problematico. Non abbiamo dati da sperimentazioni prospettiche randomizzate. I migliori trattamenti documentati sono con i corticosteroidi sistemi- 140 ci (prednisone, metilprednisolone ad alte dosi) e gli inibitori della calcineurina (ciclosporina A, tacrolimus). Nei casi resistenti sono usate combinazioni di steroidi con sulfamidici o farmaci citotossici (azatioprina, methotrexate). Terapie topiche con corticosteroidi, tacrolimus ed altri presidi specifici del corretto wound-care sono associati a risultati non sempre soddisfacenti 10. A causa del fenomeno della patergia il debridement chirurgico delle lesioni è controindicato. I trapianti cutanei e l’applicazione di cute sintetica, possibili solo previa stabilizzazione della malattia con immunosopressori, possono ridurre il dolore e il rischio di infezioni secondarie 11. La prognosi del PG non è di facile definizione in quanto dipende dalla tempestività della diagnosi. La storia naturale tende verso una lenta risoluzione con una cicatrice depressa antiestetica, nel corso di mesi od anni. Se il trattamento è instaurato precocemente, è possibile la restitutio ad integrum, con possibilità comunque di recidive fino al 30% dei casi. Conclusioni Il sospetto di PG deve essere posto in pazienti con lesioni a comparsa spontanea, dolenti, rapidamente evolutive e scarsamente responsive alla terapia antibiotica. Il PG è una diagnosi di esclusione e rappresenta un’urgenza dermatologica, in quanto il ritardo nell’instaurare la terapia immunosopressiva può portare a lesioni estese e mutilanti e, in casi estremi, all’amputazione. Bibliografia 1. Saigal R, Singh Y, Mittal M, Kansal A, Maharia HR. Pyoderma gangrenosum. J Assoc Physicians India 2010;58:378-83. 2. Ruocco E, Sangiuliano S, Gravina AG, Miranda A, Nicoletti G. Pyoderma gangrenosum: an updated review. J Eur Acad Dermatol Venereol 2009;23:1008-17. 3. Weenig RH, Davis MD, Dahl PR, Su WP. Skin ulcers misdiagnosed as pyoderma gangrenosum. N Engl J Med 2002;347: 1412-8. 4. Tollefson MM, Cook-Norris RH, Theos A, Davis DM. Superficial granulomatous pyoderma: a case in an 11-year-old girl and review of the literature. Pediatr Dermatol 2010;27:496-9. 5. Wollina U. Pyoderma gangrenosum - a review. Orphanet J Rare Dis 2007;2:19. 6. Callen JP, Jackson JM. Pyoderma gangrenosum: an update. Rheum Dis Clin North Am 2007;33:787-802. 7. Lamet S, Bracke A, Geluykens E, Vlieghe E, Seymons K, Gadisseur AP, Vrelust I, Van Marck V, Somville J, Lambert J. Medical and surgical management of paraneoplastic pyoderma gangrenosum - a case report and review of the literature. Acta Clin Belg 2010;65:37-40. 8. Alexandrescu DT, Riordan NH, Ichim TE, Kauffman CL, Kabigting F, Dutton CT, Dasanu CA. On the missing link between inflammation and cancer. Dermatol Online J 2011;17:10. 9. Brooklyn T, Dunnill G, Probert C. Diagnosis and treatment of pyoderma gangrenosum. BMJ 2006;333:181-4. 10. Cohen PR. Neutrophilic dermatoses: a review of current treatment options. Am J Clin Dermatol 2009;10:301-12. 11. Miller J, Yentzer BA, Clark A, Jorizzo JL, Feldman SR Pyoderma gangrenosum: a review and update on new therapies. J Am Acad Dermatol 2010;62:646-54. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 141 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2010;58(Suppl. 1 al N. 6):141-3 Miglioramento della funzione cardiaca e dello stretch di parete in pazienti claudicanti dopo ciclo riabilitativo aerobico S. ZECCHETTO, S. DE MARCHI, A. RIGONI, F. RULFO, M. PRIOR, E. AROSIO L’esercizio fisico controllato ha dimostrato la sua efficacia nell’incrementare la capacità di marcia del paziente, migliorando significativamente la limitazione funzionale correlata alla patologia e la prognosi. L’esercizio fisico aerobico eseguito con regolarità riduce gli eventi cardiovascolari, agendo attraverso vari meccanismi. Un elemento di rilievo è il miglioramento della performance cardiaca dopo training fisico; questo aspetto è stato ampiamente valutato nei soggetti affetti da cardiopatia ischemica, mentre pochi sono i dati relativi a pazienti con arteriopatia periferica. Il training fisico controllato nei pazienti post-infartuati, a breve distanza dall’evento, migliora la frazione di eiezione e previene l’incremento del diametro telediastolico del ventricolo sinistro riducendo inoltre i livelli di NTproBNP, molecola che incrementa in relazione allo stretch di parete ventricolare. NTproBNP è considerato un affidabile e sensibile marker di disfunzione cardiaca. Vi sono crescenti evidenze che dimostrano come all’aumentare della concentrazione di NTproBNP, incrementi il rischio di sviluppare insufficienza cardiaca e patologia cardiovascolare nella popolazione genrale. Recenti studi hanno inoltre messo in relazione, in pazienti affetti da cardiopatia ischemica, il grado di incremento di NTproBNP dopo esercizio fisico massimale con l’aumento del rischio cardiovascolare. Non vi sono dati a noi noti riguardanti l’andamento di NTproBNP in pazienti claudicanti in corso di training fisico. Ci siamo pertanto proposti di valutare, in pazienti con arteriopatia degli arti inferiori al II stadio di Leriche-Fontaine, privi di patologia cardiaca nota, le modificazioni della performance cardiaca (funzione sistolica, diametro telediastolico del ventricolo sinistro, NTproBNP) e dell’emodinamica periferica dopo un breve ciclo di training fisico controllato. Materiali e metodi Sono stati arruolati 22 pazienti con claudicatio intermittens (II stadio secondo la classificazione di Leriche-Fontaine), di età compresa tra 50 e 75 anni, con un ABI tra 0,5 e 0,9 all’arto più sintomatico. Sono stati esclusi i pazienti con deficit contrattile del ventricolo sinistro (FE<45%), con anamnesi positiva per evento ischemico cardiaco, con alterazioni della cinetica segmentaria del Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 U.O.C. di Riabilitazione Vascolare, Policlinico GB Rossi, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona ventricolo sinistro. I pazienti arruolati hanno seguito un ciclo riabilitativo della durata di quindici giorni, con sedute quotidiane comprendenti: 30 minuti di esercizi aerobici (propriocezione e attivazione muscolatura respiratoria); 50-60 minuti di camminata su treadmill al 70% dell’intervallo di marcia assoluto (alla comparsa del dolore ischemico il paziente sospendeva l’esercizio fino alla risoluzione della sintomatologia per poi riprendere la camminata); 20 minuti di cyclette libera. All’inizio e al termine del ciclo riabilitativo i pazienti hanno eseguito test al treadmill per determinare l’intervallo di marcia assoluto (i test sono stati condotti a velocità 3,2 km/h e pendenza 10%); durante il test la camminata è protratta fino al massimo dolore sopportabile in modo da misurare la massima distanza percorribile dal paziente (MWD). All’inizio e immediatamente al termine di ogni test abbiamo effettuato: prelievo per dosaggio NTproBNP; ecocardiografia con misurazione del diametro telediastolico del ventricolo sinistro, della frazione di eiezione e della frequenza cardiaca; ecocolorDoppler dell’ arteria femorale comune bilateralmente con misurazione del volume di flusso ad un centrimetro dalla biforcazione. Per l’analisi statistica è stato utilizzato il programma Stata 11.0. I dati raccolti hanno mostrato una distribuzione normale e sono stati analizzati utilizzando il t-test per dati appaiati eccetto che per i valori relativi alla portata femorale che, non avendo distribuzione normale, sono stati analizzati mediante test di Wilcoxon. Le figure sono espresse mediante grafico Box-and-Whisker plots: il box comprende i valori tra il 25° e il 75° percentile (il 50% dei dati); la linea orizzontale all’interno del box rappresenta la mediana; le linee verticali raggiungono i massimi valori superiori e inferiori, considerando come fuori limite i valori che distano dal box una distanza superiore a una volta e mezzo il box stesso (•). MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 141 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 142 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ZECCHETTO MIGLIORAMENTO DELLA FUNZIONE CARDIACA E DELLO STRETCH DI PARETE IN PAZIENTI CLAUDICANTI DOPO CICLO ... Figura 1. – NTproBNP prima e dopo training (*p<0.005). Figura 2. – Portata dell’arteria femorale comune prima e dopo training (*p<0.05). Risultati protratto per 25 giorni. In pazienti affetti da arteriopatia periferica è stato recentemente documentata una correlazione tra concentrazione di NTproBNP e mortalità a cinque anni per qualsiasi causa. La riduzione di NTproBNP si associa nel nostro studio ad una riduzione del diametro telediastolico del ventricolo sinistro a riposo; entrambi questi dati dimostrano una migliorata dinamica ventricolare con maggior efficienza di pompa e concomitante riduzione dello stretch di parete (dato rilevato finora solo nel paziente cardiopatico). A ciò va associato un decremento della frequenza cardiaca basale che contribuisce all’efficienza cardiaca migliorando il riempimento ventricolare e la perfusione coronarica. Per quanto riguarda l’emodinamica periferica, abbiamo documentato un incremento significativo della portata femorale sull’arto sintomatico dopo training; tale rilievo ben si accorda con il consensuale incremento dell’autonomia di marcia. Questo dato potrebbe essere attribuito ad un potenziamento dei circoli collaterali e ad un miglioramento della funzione endoteliale indotta da esercizio fisico. I nostri dati confermano quindi l’efficacia del training fisico supervisionato, anche per cicli brevi, nell’incrementare l’autonomia di marcia del paziente claudicante e nell’aumentare il flusso ematico all’arto sintomatico. Dopo training fisico NTproBNP si riduce e incrementa meno in risposta all’esercizio massimale; tale dato, unitamente al rilievo di una riduzione del diametro ventricolare diastolico indica una migliore performance cardiaca con un favorevole riduzione di stretch di parete ventricolare. In considerazione dei risultati ottenuti riteniamo che NTproBNP possa essere valutato in studi più ampi come marcatore di efficacia del training fisico nel migliorare l’emodinamica cardiovascolare in pazienti con arteriopatia agli arti inferiori. In questo senso si potrebbe inoltre valutare se l’andamento della concentrazione di NTproBNP prima e dopo test massimale sia in grado di avere un valore predittivo di risposta riabilitativa. Al termine del ciclo di training fisico controllato abbiamo rilevato un incremento dell’ autonomia di marcia (MWD 450±180 m vs 250±108 m; p<0,05). Abbiamo inoltre osservato una riduzione della concentrazione di NTproBNP (188±108 pg/mL vs 210±130 pg/mL; p<0.005 – figura 1) e del diametro telediastolico del ventricolo sinistro (48±4 mm vs 50±5 mm; p<0,05) a riposo. Il test al treadmill ha provocato un incremento significativo di NTproBNP; l’entità di incremento è stata più bassa dopo training (12±10 pg/mL vs 24±21 pg/mL; p<0,0005). Parallelamente il diametro telediastolico del ventricolo sinistro a riposo è risultato ridotto al termine del training (48±4 mm vs 50±5 mm; p<0.05). In riposta al test al treadmill, il diametro telediastolico del ventricolo sinistro ha mostrato un incremento significativo prima del training (52±7 mm vs 50±5 mm; p<0.0005), mentre non sono state registrate variazioni al termine. La frazione di eiezione non ha subito variazioni significative, mentre la frequenza cardiaca è risultata ridotta dopo il ciclo di allenamento (66±9 bpm vs 71±12 bpm; p<0.05). Per quanto riguarda la portata dell’arteria femorale comune in condizioni di riposo, il ciclo riabilitativo ha determinato un aumento del volume di flusso all’arto sintomatico (2,55±2,13 L/min vs 1,86±1,30 L/min; p<0,05 figura 2). Discussione I pazienti arteriopatici claudicanti presentano NTproBNP pre-training ai limiti superiori della norma. Tale dato potrebbe indicare una condizione di relativa sclerosi parietale con aumento della tensione applicata alla parete durante la normale attività cardiaca; abbiamo in corso valutazioni per confrontare questi dati con quelli di individui sani di pari età. Il ciclo riabilitativo supervisionato, seppur breve, ha determinato la riduzione della concentrazione di NTproBNP a riposo, con una riduzione dell’incremento dello stesso in risposta al treadmill test a fine training. L’incremento di NTproBNP dopo esercizio acuto è stato documentato in soggetti cardiopatici nei quali è stata inoltre rilevata una riduzione di concentrazione di NTproBNP in condizioni di riposo dopo training aerobico 142 Bibliografia 1. Mueller T, Dieplinger B, Poelz W, Endler G, Wagner OF, Haltmayer M. Amino-terminal pro-B-type natriuretic peptide as predictor of mortality in patients with symptomatic MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 143 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MIGLIORAMENTO DELLA FUNZIONE CARDIACA E DELLO STRETCH DI PARETE IN PAZIENTI CLAUDICANTI DOPO CICLO ... peripheral arterial disease: 5-year follow-up data from the Linz Peripheral Arterial Disease Study. Clin Chem. 2009; 55:68-77. 2. Shmilovich H, Ben-Shoshan J, Tal R, Afek A, Barshack I, Maysel-Auslander S, Harats D, Keren G, George J. B-type natriuretic peptide enhances vasculogenesis by promoting number and functional properties of early endothelial progenitor cells. Tissue Eng Part A. 2009; 15: 2741-9. 3. Berent R, von Duvillard SP, Crouse SF, Auer J, Green JS, Sin- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 ZECCHETTO zinger H, Schmid P. Short-term residential cardiac rehabilitation reduces B-type natriuretic peptide. Eur J Cardiovasc Prev Rehabil. 2009;16:603-8. 4. Rutten JH Mattace-Raso FU, Steyerberg EW, Lindemans J, Hofman A, Wieberdink RG, Breteler MM, Witteman JC, van den Meiracker AH. Amino-terminal pro-B-type natriuretic Peptide improves cardiovascular and cerebrovascular risk prediction in the population: the Rotterdam study. Hypertension 2010; 55: 785-791. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 143 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 144 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2010;58(Suppl. 1 al N. 6):144-5 Studio di fattibilità in one-day surgery di procedure endovascolari non complesse F. ACCROCCA, A. SIANI, G.A. GIORDANO, R. GABRIELLI, R. ANTONELLI, G. MARCUCCI Alla luce dell’atteggiamento sempre più mini-invasivo delle procedure chirurgiche e della necessità di mantenere i costi sanitari sempre più limitati, la possibilità di ridurre la durata della degenza ospedaliera prima e, soprattutto dopo, interventi di chirurgia vascolare ha determinato un ricorso alle tecniche endovascolari in costante crescita. Se per la fase preoperatoria la cosiddetta “preospedalizzazione” ha limitato di molto la degenza preoperatoria, le procedure endovascolari eseguite in anestesia locale e con approcci percutanei hanno altresì ridotto il tempo di degenza postoperatorio. Si è giunti a ipotizzare la possibilità di eseguire procedure di chirurgia endovascolare non complesse, quali quelle riservate al trattamento di patologie ostruttive delle arterie degli arti inferiori al II stadio di Fontaine, in regime di day-hospital o di oneday-hopsital. Lo scopo del nostro lavoro è quello di valutare la fattibilità in one day-surgery di interventi di chirurgia endovascolare in pazienti affetti da arteriopatia ostruttiva al II stadio. Materiali e metodi Dal Gennaio 2008 al Dicembre 2010, abbiamo sottoposto 108 pazienti a 123 procedure di angioplastica percutanea di lesioni dell’asse iliaco-femoro-popliteo. Tali pazienti (età media 69 anni, range 50-82) presentavano come fattori di rischio ipertensione arteriosa nel 87% dei casi, diabete nel 56% dei casi, tabagismo nel 33% dei casi, dislipidemia nel 66% dei casi e pregressa cardiopatia ischemica nel 12%. La classificazione ASA preoperatoria era II in 82 pazienti (75,9%) e III nei restanti 26 (24,1%). Il quadro sintomatologico era rappresentato da un stadio di Fontaine IIb con una claudicatio intermittens variabile da 10 a 350 metri (media 150 metri circa). In 33 casi si è trattato di angioplastica del distretto iliaco, in 79 del distretto femorale e popliteo sopragenicolato e in 11 casi del distretto popliteo sottogenicolato. In 101 casi (82,1%) alla procedura di angioplastica si è associato stenting. Nel distretto iliaco abbiamo utilizzato nella totalità dei casi uno stent di tipo premontato, mentre a carico dell’arteria femorale superficiale abbiamo utilizzato uno stent auotoespandibile nel 67% dei casi, uno stent rico144 UOC Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Ospedale “S.Paolo” ASLRMF Civitavecchia-Roma perto nel 23% e solo nel 10% è stata eseguita una angioplastica senza stent. Nel distretto popliteo infra e sottogenicolato è stata eseguita in tutti i casi solo un’angioplastica senza stent. Le procedure suddette sono state eseguite in tutti i casi in anestesia locale con infiltrazione del sito di puntura (94,4% femorale, 5,6% brachiale) con Mepivacaina all’1% con un dosaggio massimo di 10 cc. In cinque casi è stato necessario l’uso di una blanda sedazione con Fentanest 2 cc. La durata media delle procedure è stata di 55 minuti con un range compreso tra 29 e 177 minuti. Una compressione manuale del sito di puntura femorale è stata eseguita in 45 casi nella prima fase della nostra esperienza e, successivamente, un sistema di chiusura (Proglide Closure, Abbott – Angioseal, StJude Medical) è stato utilizzato nei restanti 71 casi. Nei 7 casi di puntura brachiale è stata praticata una compressione manuale. Per verificare la fattibilità in day hospital delle suddette procedure endovascolari abbiamo analizzato l’incidenza di complicanze locali (ematomi sede di puntura, ischemie d’arto) e sistemiche a distanza di 3, 6, 12, 24 ore dalla procedura. Risultati Nelle 123 procedure eseguite abbiamo osservato a tre ore dal termine la comparsa di un ematoma dal sito di puntura in tre casi (2,4%), per nessuno dei quali è stata tuttavia necessaria una revisione chirurgica dell’emostasi. A 6 ore dal termine di una procedura abbiamo osservato la comparsa di una ischemia (0,8%) dell’arto trattato per cui è stato necessario la disostruzione chirurgica. A tre ore abbiamo notato la comparsa di un caso (0,8%) di dolore toracico. A 12 e 24 ore, rispettivamente, non si è verificata alcuna complicanza locale o sistemica. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 145 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) STUDIO DI FATTIBILITÀ IN ONE-DAY SURGERY DI PROCEDURE ENDOVASCOLARI NON COMPLESSE Conclusioni Dall’analisi della nostra esperienza e dalla revisione della letteratura 1, abbiamo osservato che l’incidenza di complicanze locali e sistemiche dopo procedura di angioplastica è complessivamente bassa ed è significativamente limitata alle prime 6 ore dopo la procedura. Tali procedure endovascolari pertanto, in casi non complessi, che non richiedano lunghi tempi ed in pazienti selezionati, rappresentano una tecnica efficace e sicura, tanto da poter essere eseguite in regime di one day surgery o day hospital. L’impiego inoltre dei sistemi di chiusura percutanea, come l’angioseal o il Proglide, possono ulteriormente, in Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 RONA accordo con altri autori ed in pazienti selezionati, permettere una più rapida deambulazione e dimissibilità 2. Bibliografia 1. Kırma C, Oduncu V, Tanalp AC, Erkol A, Dündar C, Sırma D, Tigen K, Pala S, Izgi A, Türkmen M, Sunar H. Primary angioplasty in a high-volume tertiary center in Turkey: in-hospital clinical outcomes of 1625 patients. Turk Kardiyol Dern Ars. 2011;39:300-7. 2. Hvelplund A, Jeger R, Osterwalder R, Bredahl M, Madsen JK, Jensen JS, Kaiser C, Pfisterer M, Galatius S.The Angio-Seal™ femoral closure device allows immediate ambulation after coronary angiography and percutaneous coronary intervention. EuroIntervention. 2011;7:234-41 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 145 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 146 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):146-7 Ruolo degli interventi Ibridi nel salvataggio d’arto in pazienti con ischemia critica R. ANTONELLI, F. ACCROCA, G.A. GIORDANO, A. SIANI, G. MARCUCCI L’associazione di interventi chirurgici tradizionali come il bypass o l’endoarterectiomia con metodiche endovascolari è sempre più frequente nella pratica clinica poiché permette sia di gestire in un unico tempo le lesioni multidistrettuali sia perché permette di trattare le lesioni dell’inflow e/o dell’outflow di una rivascolarizzazione chirurgica stessa riducendo sensibilmente la morbilità e la mortalità in pazienti generalmente ad alto rischio chirurgico. Scopo del nostro studio è di valutare i risultati a distanza delle rivascolarizzazioni ibride degli arti inferiori nei pazienti con ischemia critica. Materiali e metodi Da gennaio 2005 a dicembre 2010 75 pazienti (53 maschi e 22 femmine), con età media di 75 anni (53-85) affetti da ischemia critica delgli arti inferiori sono stati sottoposto a trattamento ibrido di rivascolaizzazione degli arti inferiori. In 55 casi i pazienti appartenevano alla classe III° secondo la classificazione di Leriche-Fontaine presentando un ABI tra 0.4 e 0.3,in 20 casi alla IV° classe con ABI inferiore a 0.3. In tutti i casi è stato eseguito un work-up preoperatorio mediante ecocolor-doppler,valutazione dell’ ABI, angioTC o AngioRMN. I fattori di rischio associati erano: ipertensione artriosa sistemica, tabagismo, cardiopatia ischemica, diabete, dislipidemia, obesità. Le procedure sono state distinte in prossimali (Gruppo A: correzione endovascolare dell’inflow iliaco e bypass femoro-distale) o distali (Gruppo B: bypass femoropopliteo e PTA tibiale). Il gruppo A ha compreso 62 pazienti in cui è stato eseguita una PTA/stentintg dell’ asse iliaco in associazione a bypass femoropopliteo sottogenicolare in vena safena autologa in 58 casi o con PTFE in 4 casi, il gruppo B ha compreso 13 pazienti in cui al bypass femoropopliteo in vena safena autologa è stata associata una procedura di PTA dei vasi di gamba o dell’ arcata plantare. In 67 casi è stata associata una terapia con endoprost nel periodo pre e postoperatorio, in 8 casi tale terapia non è stata eseguita per problematiche di natura cardiolohgica. 68 pazientisono stati sottoposti a terapia con doppia antiaggregazione (ASA e clopidogrel) per 6 mesi con successiva sospensione del clopidogrel. In 7 casi è stata ripri146 UOC Chirurgia Vascolare, Ospedale “S. Paolo” ASL RMF Civitavecchia-Roma stinata una terapia con anticoagulante orale in associazione a clopidogrel per 6 mesi. In tutti i pazienti è stata associata una terapia con statine. Risultati La mortalità perioperatoria è stata dell’ 1,3% per infarto del miocardio a 24 ore(gruppo A).Il tasso d’amputazione a 30 giorni è stato del 4% (3/74) Ad un follow-up a 6 mesi tre pazienti sono deceduti per infarto del miocardio (4% 1 gruppo A, 3 gruppo B)La pervietà a 30 giorni è stata nel gruppo A del 96,7% (59/61) e nel gruppo B del 92,3% (12/13). Nessun paziente è stato perso al follow up. La pervietà primaria e prmaria assistita ad 1 anno è stata del 75% e 83,3% rispettivamente nel gruppo A e del 66,6 %e 77,7% rispettivamente nel gruppo B. In caso di occlusione precoce si è proceduto ad amputazione di coscia in tutti i casi. Il tasso d’amputazione ad 1 anno è stato del 16,6% nel gruppo A e del 22,3% nel gruppo B. Nel follow-up non si sono riscontarti fenomeni di infezione protesica. In tutti i casi abbiamo avuto un miglioramento della sintomatologia e dell’healing della lesione distale. In tutti i casi si è assistito ad un aumento dell’ ABI. Discussione e conclusioni L’approccio ibrido presenta il vantaggio di trattare in modo sincrono lesioni multidistrettuali, migliorando l’inflow o l’outflow per una bypass chirurgico.e garantendo pertanto la sua pervietà a distanza 1,2. Nella nostra esperienza abbiamo avuto risultati migliori nel gruppo A, dove le lesioni erano prossimali. L’impiego inoltre di un materiale venoso autologo di calibro congruo ha permesso di ottenere risultati validi sia precoci che a distanza attraverso un rigido protocollo di sorveglianza ultarsonografica al fine di diagnosticare e tratta- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 147 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) RUOLO DEGLI INTERVENTI IBRIDI NEL SALVATAGGIO D’ARTO IN PAZIENTI CON ISCHEMIA CRITICA re precocemente tutte quelle situazioni di failing graft. Viceversa nel gruppo B, la presenza di una grave interessamento dei vasi tibiali ha condizionato risultati meno brillanti specie a distanza. Inoltre, specie in seguito all’occlusione del bypass, le possibilità di un pervietà primaria assistita o secondaria mediante redo chirurgico o endovascolare è apparsa più aleatoria e difficoltosa 3. In entrambe i gruppi appare essenziale una corretta terapia postoperatoria ed un attento follow-up al fine di identificare rapidamente le condizioni di Failing graft imminente che devono essere prontamente trattate. Ulteriori valutazioni potranno essere desunte da un ampliamento della casistica operatoria. Tuttavia i risulta- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 ANTONELLI ti brillanti a breve termine, e la possibilità di un trattamento in un unico tempo sembrerebbero suggerire la validità di tale approccio. Bibliografia 1. Dougharty MJ, Young PL, Calligaro KD. One hundred twenty-five concomitant endovascular and open procedures for lower extremity arterial disease. J Vasc Surg 2003;37:316322. 2. Timaran CH, Oki T. Iliac artery stenting in patients with poor distal run-off: influence of concomitant infrainguinal arterial reconstruction. J Vasc Surg 2003;38:479-84. 3. Slovout DP, Sullivan TM. Combined endovascular and open revascularization. Ann Vasc Surg 2009;23:414-24. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 147 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 148 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):148-9 Utilità di un precoce riconoscimento di lesioni non occludenti, ma a rischio (failing graft), nei by-pass femoro-distali M.M.G. FELLI, A. ALUNNO, A. CASTIGLIONE, A. MALAJ, J. JABBOUR, F. FACCENNA, A. LAURITO La previsione di una occlusione di un bypass femorodistale (failing graft) rimane a tutt’oggi di difficile riconoscimento ed il tasso di occlusione rimane tutt’oggi ancora non indifferente. Nel 2007 la TransAtlantic InterSociety Consensus (TASC II) ha raccomandato di eseguire un programma di sorveglianza clinica che consiste nella registrazione della comparsa di nuovi sintomi, l’esame obiettivo degli arti con la palpazione del bypass e dei polsi periferici, la misurazione a riposo e, se possibile, dopo esercizio fisico, degli indici cavigliabraccio (ABI). Tale programma di sorveglianza andrebbe iniziato nel periodo immediatamente post-operatorio e condotto ogni 6 mesi per almeno 2 anni 1. Lo scopo di questo studio retrospettivo è quello di valutare quale potrebbero essere le strategie tali da prevenire l’occlusione dei bypass femoro-distali e migliorarne così la pervietà secondaria e ridurre così il ricorso ad interventi di amputazione maggiore. Materiali e metodi Da una revisione dei nostri dati su 402 pazienti sottoposti a un bypass femoro-distale (306 bypass femoro-poplitei sottogenicolati e 96 bypass femoro-tibiali), è stato possibile valutare i dati inerenti i controlli clinici e gli esami strumentali ad ultrasuoni (valutazione dell’ABI con Doppler C.W. e imaging dell’albero arterioso effettuato con ecocolorDoppler) in 310 pazienti. Durante l’esame ecografico, sono stati rilevati alcuni parametri, come ad esempio: velocità di picco sistolico all’interno del bypass, velocità di picco sistolico nell’eventuale sito di massima stenosi, il rapporto di velocità di picco sistolico, la velocità di fine diastole nel sito di massima stenosi e il diametro minimo residuo di l’innesto. Questi pazienti sono stati divisi in tre gruppi sulla base dei dati ultrasonografici: gruppo A, senza alterazioni emodinamiche o morfologiche significative; gruppo B, con alterazioni morfo-funzionali presenti, ma non ritenute “a rischio” di occlusione; gruppo C, pazienti con “failing graft”. I criteri per definire un paziente “a rischio” erano: VPS-bypass (cm/sec)= 30-50, VPS-max (cm/sec) <250, VPS-ratio <3, VFD (cm/sec) <100, decremento dell’ ABI 148 Cattedra di Chirurgia Vascolare, “Sapienza” Università di Roma, UOC di Chirurgia Vascolare A, Policlinico Umberto I di Roma <0.15 e diametro residuo del bypss >3 mm. I criteri per definire un paziente con “failing graft” invece erano: VPSbypass (cm/sec) <30, VPS-max (cm/sec) >250, VPS-ratio >3, VFD (cm/sec) >100, decremento dell’ ABI >0.15 e diametro residuo del bypass <3 mm (Fig. 1). Risultati La mortalità è stata nulla. Nel corso del follow-up di questi pazienti, della durata media di 26 mesi, 42 pazienti sono stati inclusi nel gruppo B e sono stati sottoposti ad un ulteriore controllo a distanza di tre mesi: a tale controllo, 11 pazienti hanno presentato parametri invariati, ma in due di essi, a distanza, si è verificata l’occlusione del bypass che ha richiesto l’amputazione dell’arto in un caso. I rimanenti 31 pazienti di questo gruppo, all’ulteriore controllo sono stati inseriti nel gruppo C. In 15 di essi, è stato effettuato un re-intervento precoce: 9 PTA e stenting delle lesioni diagnosticate e 6 revisioni chirurgiche delle anastomosi. I restanti 16 pazienti sono stati sottoposti a sola terapia antiaggregante e vasoattiva. Nessuno dei pazienti sottoposti a reintervento ha presentato un’occlusione del bypass o ha necessitato di un’ amputazione per tutta la durata del follow-up (Fig. 2). Invece nei pazienti sottoposti a terapia farmacologica, 11 hanno presentato un’occlusione dell’innesto. In questi casi, il recupero della vascolarizzazione dell’arto è stato possibile solo in 6, riconfezionando chirurgicamente il bypass. Tuttavia in 6 pazienti si è reso necessario un intervento di amputazioni maggiore. Conclusioni L’eco-color-Doppler, insieme agli altri strumenti previsti dal programma di sorveglianza, sembra essere lo strumento migliore per il controllo di questi pazienti, sia per le note caratteristiche di non-invasività, basso costo, MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 149 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) UTILITÀ DI UN PRECOCE RICONOSCIMENTO DI LESIONI NON OCCLUDENTI, MA A RISCHIO (FAILING GRAFT),... FELLI Figura 1. – Immagine eco-color-Doppler che mostra un aumento della VPS >250 cm/sec a livello dell’anastomosi prossimale di un bypass femoro-popliteo sottogenicolato. Figura 2. – Immagine eco-color-Doppler effettuata al controllo a 3 mesi, dopo procedura di PTA dell’anastomosi prossimale della lesione relativa alla Figura 1. riproducibilità dell’esame che per la possibilità di rilevare parametri morfologici e velocimetrici del bypass e dei siti anastomotici. Tuttavia l’incapacità di riprodurre in un’unica immagine il bypass, le calcificazioni parietali e la scarsa compliance dei pazienti sono i principali limiti di questo programma di sorveglianza. Il rischio di sviluppare una lesione stenotica del bypass diminuisce con il tempo, ma rimane nel range del 5-10%/anno, in pazienti che necessitano di bypass in vena grande safena invertita per ischemia critica degli arti 2,3. Il trial clinico “Ex-Vivo Graft Engineering via Transfection III” (PREVENT III) che ha analizzato i risultati su bypass infrainguinali effettuati per ischemia critica, ha documentato che il 30% dei bypass sono stati sottoposti a revisione entro 1 anno della procedura, con l’8% dei bypass richiedenti tre o più interventi 4. Sembra quindi fondamentale raccomandare al paziente di attenersi al controllo dei fattori di rischio e di partecipare al programma di sorveglianza proposto al fine di ridurre al minimo il rischio di sviluppare lesioni stenotiche che possano compromettere la pervietà del bypass. Nella nostra esperienza, il 13,5% delle lesioni “a rischio” sono stati rilevate durante il programma di follow-up, che ha permesso di evidenziare stenosi a livello del bypass anche in pazienti asintomatici. Secondo i risultati del nostro studio, in caso di riscontro di “failing graft”, il paziente, se possibile, deve essere tempestivamente sottoposto a un reintervento evitando l’occlusione del bypass e l’eventuale amputazione dell’arto. Questi dati mostrano come un controllo strumentale dei pazienti sottoposti a bypass periferici possa evitare il ricorso ad interventi di demolizione dell’arto, diminuendo inoltre il costo sociale del paziente; i nostri risultati sembrano essere correlati con quelli pubblicati nella letteratura recente 5. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Bibliografia 1. Norgren I, Hiatt WR, Dormandy JA, et al. Inter-society consensus for the management of peripheral arterial disease (TASC II). J Vasc Surg 2007;45:S5A-S67A. 2. Mofidi R, Kelman J, Bennett S, Murie JA, Dawson ARW. Significance of the early postoperative duplex result in infrainguinal vein bypass surveillance. Eur J Vasc Endovasc Surg 2007;34:327-332. 3. Tinder CN, Chavanpun JP, Bandyk DF, et al. Duplex surveillance after infrainguinal vein bypass may be enhanced by identification of characteristics predictive of graft stenosis development. J Vasc Surg 2008;48:613-618. 4. Conte MS, Bandyk DF, Clowes AW, et al. Results of PREVENT III: A multicenter randomized trial of edifoligide for the prevention of vein graft failure in lower extremity bypass surgery. J Vasc Surg 2006;43:742-751. 5. Chelsey N. Tinder, MD, Dennis F. Bandyk, MD: Detection of Imminent Vein Graft Occlusion: What is the Optimal Surveillance Program? Semin Vasc Surg 2009;22:252-260. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 149 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 150 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):150-1 Trattamento endovascolare degli aneurismi periferici J. CLERISSI, C. MASSA SALUZZO, A. RAGAZZONI, A. LA ROSA, M. DONDI, C. SCOTTI, M. MARTINOTTI, R. MOIA Gli aneurismi periferici sono lesioni arteriose piuttosto rare; possono rimanere a lungo asintomatiche oppure manifestarsi con una serie di complicanze che mettono in grave pericolo l’integrità dell’arto coinvolto. Il distretto maggiormente interessato è quello popliteo (70-80%), seguito in ordine di frequenza da quello femorale: arteria femorale comune (26%), arteria femorale superficiale (3,5%), arteria femorale profonda (0,5%). Di rilevanza epidemiologica risulta l’associazione tra aneurismi del distretto femoro-popliteo e dell’aorta addominale, evidenziabile in circa il 3% dei soggetti portatori. L’eziopatogenesi degli aneurismi arteriosi nel 90% dei casi rientra nel contesto di un’aterosclerosi polidistrettuale. Da un punto di vista clinico la prima manifestazione sintomatologica di un aneurisma periferico è rappresentata da una sua complicanza: trombosi ed embolizzazione periferica sono le più frequenti, mentre più raramente vanno incontro a rottura. Ne consegue l’importanza di effettuare una diagnosi corretta e precoce, allo scopo di procedere ad un adeguato trattamento preventivo; la storia naturale dell’aneurisma infatti porta ad una progressiva dilatazione e conseguente aumento del rischio di complicanza, circostanza che impone una mirata strategia terapeutica. L’indicazione al trattamento sussiste in presenza di sintomatologia clinica e negli aneurismi asintomatici il cui diametro superi i 2 cm. La tecnica chirurgica tradizionale è quella dell’aneurismectomia con o senza interposizione di protesi. Nel caso del distretto popliteo si procede al confezionamento di un by-pass femoro-popliteo utilizzando la vena grande safena o una protesi in Dacron previa esclusione della sacca aneurismatica mediante legatura prossimale e distale; il tasso di pervietà cumulativa a 5 anni è superiore al 75% in caso di intervento chirurgico in elezione. Risultati inferiori in termini di pervietà a distanza si sono osservati in caso di trattamento chirurgico in urgenza per la comparsa di complicanze specifiche. Nel caso di coinvolgimento aortico e femorale si contempla una ricostruzione con by-pass aorto-bifemorale. Sempre più frequente è l’impiego della tecnica endovascolare con impiego di endoprotesi per il trattamento di tale patologia. Trattandosi di una tecnica poco invasiva ed associata a bassa mortalità peri e post-operatoria, risulta più spesso indicata in quei pazienti ad elevato rischio chirurgico. 150 Polo Universitario Istituto di Cura Città di Pavia, U.O. di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Università degli Studi di Pavia Materiali e metodi La nostra casistica comprende 27 aneurismi periferici, trattati presso la nostra Unità Operativa con tecnica endovascolare nel periodo gennaio 2001- aprile 2011. Di questi 21 erano uomini (77,7%) e 6 donne (22,3%) con un’età media di 67,2 anni (range 45-71 anni). La localizzazione delle lesioni aneurismatiche era la seguente: 12 a livello popliteo, 10 a livello dell’arteria iliaca, 5 a livello femorale. La lunghezza media della lesione è risultata essere 47,3 mm (range 33-67 mm). Per tutti i pazienti si è utilizzato l’accesso femorale (omolaterale in 25 casi e controlaterale nei restanti 2 casi). 23 pazienti (85%) sono stati trattati mediante posizionamento di stent ricoperti, 3 (11%) con stent non ricoperto e un paziente (4%) con stentgraft. Risultati e discussione Il successo clinico è stato immediato in 26 pazienti (96,3%): in un caso di aneurisma dell’arteria femorale non è stato possibile escludere completamente l’aneurisma a causa della tortuosità del vaso e dell’eccessiva lunghezza del segmento arterioso interessato dalla lesione. Non si è verificata nessuna complicanza periprocedurale. La mortalità ha inciso in un caso (3,7%) a distanza di 7 mesi dal trattamento per patologia precedente al trattamento e per cause non correlate alla procedura angiografica.Il followup ha previsto un’angio-TC di controllo a 6 mesi e seriate osservazioni ambulatoriali con valutazione clinica e strumentale mediante EcocolorDopplerdel corretto posizionamento dello stent, per un periodo minimo di 18 mesi. Durante il follow-up sono stati riscontrati 2 episodi trombotici, entrambi a livello popliteo, in sede di posizionamento dello stent ed un epidosio di migrazione del device.Al fine di prevenire la migrazione e l’endoleak degli stent grafts, la nostra esperienza suggerisce che l’esclusio- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 151 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DEGLI ANEURISMI PERIFERICI ne endovascolare delle lesioni aneurismatiche dell’arteria poplitea possa richiedere l’applicazione di una o più endoprotesi la cui lunghezza complessiva superi di circa 3 cm la lunghezza dell’ aneurisma, sia prossimalmente che in sede distale. Allo scopo di evitare la disconnessione fra i devices è preferibile realizzare un overlapping di almeno 2 cm fra le endoprotesi, le quali possono differire di un millimetro di diametro. La notevole flessione dell’articolazione ed i ripetuti movimenti del ginocchio possono determinare l’inginocchiamento del device, con conseguente trombosi, e provocare la rottura o la migrazione dello stent. Conclusioni La ricostruzione endovascolare degli aneurismi delle arterie periferiche è stata proposta negli ultimi decenni come alternativa al trattamento chirurgico convenzionale nei pazienti ad alto rischio chirurgico. Essa si dimostra poco invasiva ed elimina la necessità di ricorrere ad emotrasfusione. Il trattamento endovascolare nella patologia aneurismatica periferica appare quindi uno strumento efficace e sicuro, con alta percentuale di successo a breve e a medio termine. Bibliografia 1. SICVE Chirurgia vascolare. Torino: Edizione Minerva Medica; 2001. 2. RUTHERFORD. Vascular Surgery. W.B. sanders company 5° edizione; 2000. 3. Kappert. Angiologia fisiopatologia e clinica. Società editrice universo Roma. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CLERISSI 4. Bengtsson H., Bergqvist D, Sternby NH; increasing prevalence of abdominal aortic aneurysms. A necropsy study. Eur J Surg 1992;158:19-23. 5. Lawrence PF. Lorenzo-Riviero S, Lyon JL. The incidence of iliac, femoral and popliteal artery aneurysm in hospitalized patients. J. Vasc. Surg. 1995;22:409. 6. Fan P, Lu s, Zhou Q, Su H, The value of color Doppler ultrasonography in diagnosing aneurysm. Human J Ko Ta Hsueh Pao 1998;23:181-3. 7. Henry M, Amor M, Henry I, Klonaris C, Tzvetanov K, Buniet JM, Amicabile C, Drawin T. Percoutaneous endovascular treatment of peripheral aneurysms. J Cardiovasc Surg (Torino) 2000;41:871-83. 8. White GH, Yu W, May J, Waugh R, Chaufour X, Harris JP, Stephen MS. Three-Year Experience With the White-Yu Endovascular GAD Graft for Transluminal Repair of Aortic and Iliac Aneurysms. 9. Criado E, Marston WA, Ligush J, Mauro MA, Keagy BA. Endovascular repair of peripheral aneurysms, Pseudoaneurysms and arteriovenous fistulas 1996, 20th Annual Meeting of the Southern Association for Vascular Surgery, Naples. 10. Sanchez LA, Amit VP, Ohki T, Suggs WD, Reese AW, Valladares J, Cynamon J, Rigg J, Veith FJ. Midterm experience with the endovascular treatment of isolated iliac aneurysms 1998, 25th Annual Meeting oh the New England Society for Vascular Surgery, Toronto. 11. Tielliu IFJ, Verhoeven ELG, Zeebregts CJ, Prins TR, Span MM, van den Dungen JJAM. Endovascular treatment of popliteal artery aneurysms: results of a prospective cohort study, 2004. J Vasc Surg. 12. Gerasimidis T, Sfyroeras G, Papazoglou K, Trellopuolos G, Ntinas A, Karamanos D. Endovascular Treatment of popliteal artery aneurysms. Eur J Vasc Endovasc Surg 2003;26,506-511. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 151 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 152 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):152-4 Trattamento endovascolare delle lesioni iliache: nostra esperienza J. CLERISSI, C. MASSA SALUZZO, A. LA ROSA, A. RAGAZZONI, C. SCOTTI, M. DONDI, V. EPICOCO, R. MOIA L’angioplastica percutanea è diventata un’opzione di prima scelta nel trattamento delle lesioni stenotiche iliache classificate secondo la TransAtlantic Inter-Society Consensus (TASC) come tipo A e tipo B. Trattandosi di una tecnica a bassa invasività è possibile estendere l’indicazione anche a quei pazienti che presentano comorbidità tali da precludere l’approccio chirurgico tradizionale. Nel nostro studio abbiamo preso in considerazione le stenosi derivanti dalla formazione di placche ateromasiche che determinano una progressiva ipoperfusione a valle, clinicamente espressa da claudicatio intermittens con dolore, crampi o sensazione di fatica durante la deambulazione, localizzato soprattutto ai glutei, alle anche e al polpaccio. Scopo dello studio è quello di analizzare i pazienti trattati con PTA e PTA+stenting presso U.O. Chirurgia Vascolare Istituto di Cura Città di Pavia dal Gennaio 2000 al Marzo 2010. Materiali e metodi In questo studio abbiamo preso in considerazione 154 lesioni iliache in 135 pazienti giunti alla nostra divisione di Chirurgia Vascolare istituto di Cura Città di Pavia, per essere sottoposti a trattamento endovascolare, dal Gennaio 2000 al Marzo 2010. Sul totale dei pazienti considerati 93 (68,8%) erano uomini e 42 (31,1%) donne, con un ‘età media di 67 anni, con range compreso tra 41 e 88 anni. I più comuni fattori di rischio riscontrati nei 135 pazienti giunti alla nostra osservazione erano: ipertensione arteriosa (73%), fumo di sigaretta (62%), CAD (59%), iperlipidemie (47%) e diabete mellito (33%). Il sintomo più frequente era la claudicatio intermittens, riscontrato in 78 pazienti (57,8%); 36 (26,7%) lamentavano dolore a riposo e 21 (15,6%) presentavano lesioni trofico-ulcerative dell’arto inferiore. Abbiamo analizzato, inoltre, la sede delle lesioni, riscontrando l’interessamento dell’arteria iliaca comune in 74 casi (48%), dell’iliaca esterna in 61 (39,6%) e di entrambe le arterie in 19 casi (12,4%). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad accurato esame clinico ed EcocolorDoppler arterioso degli arti inferiori. In 152 Polo Universitario Istituto di Cura Città di Pavia, U.O. di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Università degli Studi di Pavia alcuni casi (16%) si è resa, inoltre, necessaria l’esecuzione di angio-TC arti inferiori. L’indicazione all’esame angiografico si pone in caso di stenosi clinicamente significative o di ostruzioni a carico delle arterie dell’arto inferiore, condizionanti claudicatio intermittens, dolore a riposo o lesioni trofico-ulcerative. In particolare, nei pazienti con lesioni iliache la claudicatio intermittens insorge precocemente rispetto a lesioni più a valle dell’albero arterioso. L’eventuale terapia anticoagulante viene sospesa 5 giorni prima della procedura angiografica e sostituita con eparina a basso peso molecolare. A tutti i pazienti viene praticata idratazione mediante soluzione fisiologica e sodio bicarbonato. L’accesso arterioso viene eseguito, previa anestesia locale, mediante puntura omo o controlaterale in sede inguinale. Viene posizionato introduttore da 5 o 6 Fr per eseguire il test angiografico preliminare mediante iniezione di mezzo di contrasto iodato diluito al 50%. I cateteri da PTA sono da 3-5 F e montano un pallone calibro 2-8mm. Gli stent vengono utilizzati soltanto in caso di dissezione arteriosa e in caso di stenosi residua maggiore 30%. Durante la procedura vengono somministrati 4000-6000 UI di eparina sodica intra-arteria. Il successo procedurale viene stabilito sulla base del ripristino del flusso diretto in assenza di stenosi residue. Successivamente si procede a valutazione mediante EcocolorDoppler. Il follow-up prevede visite di controllo a scadenza trimestrale. Consideriamo insuccesso la restenosi sia di tipo clinico, basata sulla ricomparsa di dolore o di lesioni o sulla mancata guarigione delle lesioni trofico-ulcerative, che quella di tipo strumentale, riscontrata ai successivi controlli mediante ecocolor-Doppler. La positività comporta l’esecuzione di un ulteriore esame angiografico ed eventualmente nuova PTA o PTA+stenting. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 153 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DELLE LESIONI ILIACHE: NOSTRA ESPERIENZA Risultati Le lesioni dell’asse iliaco sono state trattate con PTA+stenting in 105 casi (68,2%) e mediante sola PTA in 49 (31,8%). Gli stent sono stati utilizzati nei casi di dissezione arteriosa e di stenosi residua maggiore 30%. In letteratura è riportata l’indicazione all’utilizzo di stent soprattutto nei pazienti che presentano lesioni ilache multiple e diffuse, concomitante stenosi dell’arteria femorale superficiale omolaterale, insufficienza renale cronica grave e forte tabagismo, in quanto hanno un elevato rischio di restenosi. Solo in 1 caso (0,6%) si è avuta la comparsa di ematoma inguinale in seguito alla procedura angiografica. Il trattamento endovascolare ha avuto esito positivo su 121 (78,6%) lesioni iliache con un netto miglioramento della sintomatologia e dell’obiettività clinica. Nelle restanti 33 (21,4%) lesioni si è verificata restenosi, evidenziata dalla ricomparsa dei sintomi e confermata dagli accertamenti strumentali. Analizzando i casi di restenosi ed i fattori di rischio associati è emerso che tale evenienza si è verificata soprattutto nei pazienti con abitudine al fumo di sigaretta (75%), con lesioni iliache multiple e diffuse (45%), con stenosi dell’arteria femorale superficiale omolaterale (39%) e con grave insufficienza renale cronica (6%). Conclusioni Il trattamento endovascolare nelle lesioni iliache ha una percentuale elevata di successo (78,6%), con basso rischio di mortalità e complicanze. I casi di insuccesso sono soprattutto legati ad abitudini di vita come il fumo di sigaretta ed al grado di estensione delle lesioni iliache. La terapia endovascolare isulta pertanto una valida alternativa alla chirurgia tradizionale, soprattutto per i pazienti di età avanzata e con severe comorbidità. Bibliografia 1. Tetteroo E, van der Graaf Y, Bosch JL, van Engelen AD, Hunink MG, Eikelboom BC, et al. Dutch Iliac Stent Trial Study Group Randomized comparison of primary stent placement versus angioplasty with selective stent placement in patients with iliac artery obstructive disease. Lancet. 1998;351:1153-1159. 2. Schneider PA, Andros G. Role of balloon angioplasty and stents in the management of failed arterial reconstructions. Semin Vasc Surg. 1994;7:178-182. 3. Demasi RJ, Snyder SO, Wheeler JR, Gregory RT, Gayle RG, Parent FN, et al. Intraoperative iliac artery stents (combination with infra-inguinal revascularizaion procedures). Am Surg 1994;60:854-859. 4. Sapoval MR, Long AL, Pagny JY, Beyssen BM, Raynaud AC, Rostagno R, et al. Outcome of percutaneous intervention in iliac artery stents. Radiology. 1996;198:481-486. 5. Vorwerk D, Gunther RW, Schurmann K, Wendt G. Aortic and iliac stenoses (follow-up results of stent placement after insufficient balloon angioplasty in 118 cases). Radiology. 1996;198:45-48. 6. Sarkar R, Ro KM, Obrand DI, Ahn SS. Lower extremity vascular reconstruction and endovascular surgery without preoperative angiography. Am J Surg. 1998;176:203-207. 7. Rutherford RB, Baker JD, Ernst C, Johnston KW, Porter JM, Ahn S, et al. Recommended standards for reports dealing with lower extremity ischemia (revised version). J Vasc Surg. 1997;26:517-538. 8. kudo T, Chandra FA, Ahnn SS. Long-term outcomes predictors of iliac angioplasty with selective stenting. J Vasc Surg. 2005;42:466-475. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CLERISSI 9. Ahn SS, Rutherford RB, Becker GJ, Comerota AJ, Johnston KW, McClean GK, et al. Society for Vascular Surgery/International Society for Cardiovascular Surgery Reporting standards for lower extremity arterial endovascular procedures. J Vasc Surg. 1993;17:1103-1107. 10. Dormandy JA, Rutherford RB. Management of peripheral arterial disease (PAD) (TASC Working Group. TransAtlantic Inter-Society Concensus (TASC)). J Vasc Surg. 2000;31(suppl): S1-S296. 11. Ahn SS, Concepcion B. Indications and results of arterial stents for occlusive disease. World J Surg. 1996;20:644-648. 12. Gunther RW, Vorwerk D, Antonucci F, Beyssen B, Essinger A, Gaux JC, et al. Iliac artery stenosis or obstruction after unsuccessful balloon angioplasty (treatment with a self-expandable stent). AJR Am J Roentgenol. 1991;156:389-393. 13. Palmaz JC, Laborde JC, Rivera FJ, Encarnacion CE, Lutz JD, Moss JG. Stenting of the iliac arteries with the Palmaz stent (experience from a multicenter trial). Cardiovasc Intervent Radiol. 1992;15:291-297. 14. Vorwerk D, Gunther RW. Stent placement in iliac arterial lesions (three years of clinical experience with the Wallstent). Cardiovasc Intervent Radiol. 1992;15:285-290. 15. Treiman GS, Schneider PA, Lawrence PF, Pevec WC, Bush RL, Ichikawa L. Does stent placement improve the results of ineffective or complicated iliac artery angioplasty?. J Vasc Surg. 1998;28:104-114. 16. Hassen-Khodja R, Sala F, Declemy S, Bouillanne PJ, Batt M, Staccini P. Value of stent placement during percutaneous transluminal angioplasty of the iliac arteries. J Cardiovasc Surg. 2001;42:369-374. 17. Ballard JL, Sparks SR, Taylor FC, Bergan JJ, Smith DC, Bunt TJ, et al. Complications of iliac artery stent deployment. J Vasc Surg. 1996;24:545-555. 18. Timaran CH, Stevens SL, Freeman MB, Goldman MH. External iliac and common iliac artery angioplasty and stenting in men and women. J Vasc Surg. 2001;34:440-446. 19. Murphy KD, Encarnacion CE, Le VA, Palmaz JC. Iliac artery stent placement with the Palmaz stent (follow-up study). J Vasc Intervent Radiol. 1995;6:321-329. 20. Becquemin JP, Allaire E, Qvarfordt P, Desgranges P, Kobeiter H, Melliere D. Surgical transluminal iliac angioplasty with selective stenting (long-term results assessed by means of duplex scanning). J Vasc Surg. 1999;29:422-429. 21. Long AL, Sapoval MR, Beyssen BM, Auguste MC, Le Bras Y, Raynaud AC, et al. Strecker stent implantation in iliac arteries (patency and predictive factors for long-term success). Radiology. 1995;194:739-744. 22. Johnston KW. Iliac arteries (reanalysis of results of balloon angioplasty). Radiology. 1993;186:207-212. 23. Gardiner G, Meyerovitz M, Stokes K, Clouse M, Harrington D, Bettmann M. Complications of transluminal angioplasty. Radiology. 1986;159:201-208. 24. Blum U, Gabelmann A, Redecker M, Noldge G, Dornberg W, Grosser G, et al. Percutaneous recanalization of iliac artery occlusions (results of a prospective study). Radiology. 1993;189:536-540. 25. Cambria RA, Farooq MM, Mewissen MW, Freischlag JA, Seabrook GR, Crain MR, et al. Endovascular therapy of iliac arteries (routine application of intraluminal stents does not improve clinical patency). Ann Vasc Surg. 1999;13:599-605. 26. Palmaz JC, Garcia OJ, Schatz RA, Rees CR, Roeren T, Richter GM, et al. Placement of balloon-expandable intraluminal stents in iliac arteries (first 171 procedures). Radiology. 1990;174:969-975. 27. Wolf YG, Schatz RA, Knowles HJ, Saeed M, Bernstein EF, Dilley RB. Initial experience with the Palmaz stent for aortoiliac stenoses. Ann Vasc Surg. 1993;7:254-261. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 153 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 154 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CLERISSI TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DELLE LESIONI ILIACHE: NOSTRA ESPERIENZA 28. Gandini R, Fabiano S, Chiocchi M, Chiappa R, Simonetti G. Percutaneus treatment in iliac artery occlusion: long-term results. Cardiovasc Intervent Radiol. 2008;31:1069-1076. 29. Bosch JL, Tetteroo E, Mali WP, Hunink MG Dutch Iliac Stent Trial Study Group. Iliac arterial occlusive disease (cost-effectiveness analysis of stent placement versus percutaneous transluminal angioplasty). Radiology. 1998;208:641-648. 30. Bosch JL, van der Graaf Y, Hunink MG The Dutch Iliac Stent Trial Study Group. Health-related quality of life after angioplasty and stent placement in patients with iliac artery occlusive disease (results of a randomized controlled clinical trial). Circulation. 1999;99:3155-3160. 31. Johnston KW, Rae M, Hogg-Johnston SA, Colapinto RF, Walker PM, Baird RJ, et al. Five-year results of a prospective study of percutaneous transluminal angioplasty. Ann Surg. 1987;206:403-413. 32. Sullivan MT, Childs MB, Bacharach JM, Gray BH, Piedmonte MR. Percutaneous transluminal angioplasty and primary sten- 154 33. 34. 35. 36. ting of the iliac arteries in 288 patients. J Vasc Surg. 1997;25:829-839. Timaran CH, Prault TL, Stevens SL, Freeman MB, Goldman MH. Iliac artery stenting versus surgical reconstruction for TASC (TransAtlantic Inter-Society Consensus) type B and type C iliac lesions. J Vasc Surg. 2003;38:272-278. Powell RJ, Fillinger M, Bettmann M, Jeffery R, Langdon D, Walsh DB, et al. The durability of endovascular treatment of multisegment iliac occlusive disease. J Vasc Surg 2000;31:1178-1184. Powell RJ, Fillinger M, Walsh DB, Zwolak R, Cronenwett JL. Predicting outcome of angioplasty and selective stenting of multisegment iliac artery occlusive disease. J Vasc Surg. 2000;32:564-569. Ozkan U, Oguzkurt L, Tercan F. Technique, complication, and long-term outcome for endovascular treatment of iliac artery occlusion. Cardiovasc Intervent Radiol. 2010;33: 18-24. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 155 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):155 Percorso diagnostico-terapeutico integrato del paziente con vasculopatia diabetica S. CUPPINI1, M. MARZOLO1, G. LISATO2, F. MOLLO2, P. CARDAIOLI3, L. ZATTONI4, A. SACCO5, E. DI GIACOMO6, G. BURATTIN7, P. DAL SANTO7, E. RAMAZZINA1 Tra le varie motivazioni alla base della nascita dei Dipartimenti vi è sicuramente la possibilità di condividere risorse umane, tecnologiche e linee guida comuni per una gestione quanto più uniforme ed efficace del paziente. L’arteriopatia degli arti inferiori (PAD), ed in particolare, quella diabetica, è una patologia il cui approccio multidisciplinare ben si presta a verificare il reale buon funzionamento di un percorso diagnostico-terapeutico. Materiali e metodi Dall’anno 2005 all’interno del Dipartimento di Medicina Interna le SOC di Medicina Interna (Amb.di Angiologia Medica) e di Diabetologia hanno messo a punto una strategia sistematica di approccio al paziente con sospetta PAD e con PAD conclamata. Tutti i pazienti con sospetta PAD venivano sottoposti ad Indice di Winsor (IW), sia in Ambulatorio Angiologico, sia in Diabetologia; se l’IW risultava <0.9 veniva confermata la patologia, se IW risultava tra 0.9 e 1.4 veniva esclusa la patologia; tuttavia in caso di forte sospetto clinico ed IW nella norma, veniva eseguito IW dopo sforzo: se <0.9 si confermava la PAD e si avviava il paziente a valutazione di II livello (ecocolor doppler in Angiologia Medica, ergometria su tappeto rotante ed ossimetria transcutanea, presso la Diabetologia); tutti i pazienti diabetici con IW >1.4 venivano comunque inviati alle successive indagini. L’esame ultrasonografico veniva eseguito in Angiologia Medica se il livello di arteriopatia veniva giudicato sino al grado IIB sec. Fontaine; veniva invece eseguito in ambito chirurgico vascolare se si era in presenza di ischemia critica (stadio III-IV sec. Fontane e ossimetria <30-50 mmHg). I pazienti con ischemia critica, dopo valutazione chirurgica, venivano sottoposti ad arteriografia, in previsione di intervento endovascolare o chirurgico tradizionale, oppure alla sola terapia medica (Prostanoidi), in regime di Day-hospital Medico. Tutti i pazienti con ischemia non critica venivano invitati ad eseguire una valutazione clinico-strumentale semestrale. Per i pazienti che si sottoponevano ad intervento (Endovascolare o tradizionale) veniva organizzato un follow-up clinico-strumentale a 1,3 e sei mesi. In questo senso l’Ambulatorio di Angiologia Medica ha riservato uno spazio settimanale ai pazienti affetti da arteriopatia Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1SOC Med. Int-Angiologia Medica (Dip. Med. Int.), ULSS 18 Rovigo 2SOC Diabetologia (Dip. Med. Int.), ULSS 18 Rovigo 3SOC Cardiologia, ULSS 18 Rovigo 4SOC Radiologia, ULSS 18 Rovigo 5SOC Chirurgia Vascolare, ULSS 18 Rovigo 6Angiologia Specialistica, ULSS 18 Rovigo 7SOC Geriatria-Angiologia Medica, ULSS 18 Rovigo diabetica, così come la Diabetologia si è resa disponibile per l’esecuzioni delle ossmetrie e delle ergometrie. Risultati Questo tipo di organizzazione ha portato alla valutazione di circa 500 pazienti all’anno con sospetta arteriopatia o arteriopatia diabetica conclamata ; i positivi alle indagini di primo livello sono risultati circa il 50% e di questi il 40% era diabetico; il 15% presentava un IW <a 0.5, un 30% tra 0.7 e 0.5, un 40% tra 0.9 e 0.7. In circa il 15% dei pazienti con forte sospetto clinico l’IW era non dirimente per cui è stato eseguito l’esame ecodoppler. I pazienti inviati a valutazione chirurgica sono risultati il 10% e di questi l’80% ha eseguito esame angiografico; la procedura endovascolare è risultata la più utilizzata, soprattutto nei pazienti diabetici. Una piccola quota dei pazienti sottoposti ad angiografia (1.5%) è stata giudicata inoperabile ed avviata alla sola terapia medica con Iloprost. Conclusioni L’organizzazione di questo complesso percorso diagnostico-terapeutico, coinvolgente più Unità Operative, ha permesso di ottimizzare le risorse umane e tecnologiche già esistenti, coordinando e razionalizzando la loro attività, nell’ottica di una migliore gestione dei pazienti con arteriopatia degli arti inferiori. Bibliografia 1. A.T. Hirsch, Z.J Haskal, N.R. Hertzer et al.: ACC/AHA 2005 Guidelines for the management of patients with peripheral arterial disease. J Am Coll Cardiol, 2006; 47: 1239-1312. 2. TASC Document – Management of Peripheral Arterial Disease (TransAtlantic InterSociety Consensus). Eur J Vasc Surg 2007; 33 (suppl 1):S1-S70. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 155 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 156 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):156-7 La PTA + stent dell’ischemia cronica periferica nel paziente diabetico J. CLERISSI, C. MASSA SALUZZO, A. LA ROSA, A. RAGAZZONI, E. MOIA, C. SCOTTI, M. DONDI, V. EPICOCO, R. MOIA Nei paesi industrializzati il diabete rappresenta la causa principale di ospedalizzazione per patologie riguardanti il piede e, dopo i traumi, il principale responsabile eziologico di amputazione. Concorrono all’insorgenza del piede diabetico essenzialmente due condizioni coesistenti: la neuropatia diabetica e l’arteriopatia ostruttiva cronica periferica (AOCP). Il trattamento endovascolare di ricanalizzazione mediante palloncino ed eventuale applicazione di stent rimane tutt’ora la procedura più utilizzata nei pazienti diabetici affetti da ischemia critica degli arti inferiori, laddove possibile, in alternativa alla chirurgia. Il numero di angioplastiche del distretto periferico per la rivascolarizzazione dell’arto ischemico ha mostrato un forte incremento negli ultimi anni. Tale approccio consente nella medesima sessione procedurale una valutazione immediata e rivascolarizzazione dell’albero arterioso con notevoli vantaggi in termini di costi e benefici per il paziente. Trattandosi di tecniche a bassa invasività è possibile estendere l’indicazione anche a quei pazienti che presentano comorbidità tali da precludere l’approccio chirurgico. La crescente esperienza degli operatori e il progressivo miglioramento dei materiali e delle attrezzature utilizzate giustificano un atteggiamento aggressivo nei confronti della patologia in questione. Scopo di questo lavoro è dimostrare l’efficacia della rivascolarizzazione mediante PTA e stenting nei pazienti diabetici trattati presso il nostro centro, valutando l’outcome postprocedurale immediato e a breve e a lungo termine. Materiali e metodi Nel nostro studio abbiamo analizzato 232 pazienti diabetici (132 uomini 56,9% e 100 donne 43,1%) per i quali si è reso necessario l’intervento di rivascolarizzazione mediante PTA + stenting. L’ età media dei pazienti è 75 anni in un range compreso tra 58 e 87. I pazienti vengono sottoposti ad esame clinico, durante il quale si pone particolare attenzione alla valutazione dei polsi arteriosi periferici e ad esame ecocolorDoppler arterioso degli arti inferiori. L’indicazione all’ esecuzione dell’ esame angiografico si pone in caso di stenosi clinicamente significative o di ostruzioni a carico delle arterie all’ar156 Polo Universitario Istituto di Cura Città di Pavia, U.O. di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Università degli Studi di Pavia to, condizionanti claudicatio intermittens stadio II B sec. Leriche – Fontaine, dolori a riposo o lesioni trofico-ulcerative. L’ eventuale terapia anticoagulante orale viene sospesa 5 giorni prima della procedura e sostituita con eparina a basso peso molecolare. Tutti i pazienti vengono sottoposti a terapia idratante via endovenosa mediante soluzione fisiologica e sodio bicarbonato. L’accesso arterioso viene eseguito, previa anestesia locale, mediante puntura omo o controlaterale in sede inguinale. Viene posizionato introduttore da 5 o 6 Fr per eseguire il test angiografico preliminare mediante iniezione di mezzo di contrasto iodato diluito al 50%. Nel corso degli ultimi anni si è progressivamente rafforzato il concetto che per lesioni nel distretto sottogenicolare l’utilizzo di materiale di tipo coronarico (0,014 inches per i vasi tibiali; 0,035 inches per i vasi femoro-poplitei) sia più indicato, potendo garantire un miglior risultato tecnico finale. I cateteri da PTA sono da 3-5 F e montano un pallone calibro 2-8 mm. Gli stents vengono utilizzati soltanto in caso di dissezione arteriosa. Durante la procedura vengono somministrati 4000-6000 UI di eparina sodica intra-arteria. Il successo procedurale viene stabilito sulla base del ripristino del flusso diretto in assenza di stenosi residue. Successivamente si procede a valutazione clinica della validità dei polsi arteriosi periferici, a confronto del rilievo precedente. Il follow-up prevede visite di controllo a scadenza trimestrale. Consideriamo fallimentare la restenosi sia di tipo clinico, basata sulla ricomparsa del dolore o di lesioni o sulla mancata guarigione delle ulcere, che quella di tipo strumentale, riscontrata ai successivi controlli mediante EcoColorDoppler. La positività comporta l’esecuzione di un ulteriore esame angiografico ed eventualmente nuova PTA + stenting. È infatti consolidato che l’eventuale falli- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 157 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA PTA + STENT DELL’ISCHEMIA CRONICA PERIFERICA NEL PAZIENTE DIABETICO mento di un trattamento endoluminale non ha effetti avversi sulla possibilità di un trattamento di rivascolarizzazione chirurgica in un secondo tempo. Talvolta, a causa dell’estrema calcificazione parietale o per la presenza di kinking, non è possibile procedere a rivascolarizzazione endoluminale. In questi casi l’alternativa rimane l’approccio chirurgico tradizionale mediante confezionamento di by-pass ed in ultima l’amputazione maggiore. Risultati Sul totale dei pazienti trattati (242) è stato possibile eseguire la procedura su 232 (95,9%) pazienti. Non è stato possibile eseguire l’angioplastica in 10 casi (4,1%) per problematiche connesse all’accessibilità del segmento arterioso (eccessiva calcificazione parietale e tortuosità del vaso). Laddove è stato possibile procedere con PTA + stenting gli esiti sono stati positivi in 194 (83,7%) casi, con risoluzione delle lesioni trofiche e miglioramento dell’obiettività clinica. Nei restanti 38 casi (16,3%) si è verificata restenosi dei segmenti arteriosi, con conseguente ricomparsa della sintomatologia algica o il mancato miglioramento delle lesioni trofico-ulcerative nei pazienti con arteriopatia periferica di IV stadio (secondo la classificazione di Leriche-Fontaine). Quest’ultimo gruppo di pazienti è stato candidato ad una nuova procedura emodinamica, eseguita previo nuovo studio dell’albero arterioso mediante ecocolorDoppler. La re-PTA ha avuto successo in 12 pazienti (65%) mentre si è resa necessaria una terza procedura nei restanti 26 casi. Il salvataggio dell’ arto in questo sottogruppo di pazienti è risultato pari all’ 85%. Conclusioni Nella nostra esperienza la procedura emodinamica mediante PTA + stenting del territorio sottogenicolare può essere considerata tecnica d’elezione con ottimi risultati clinici e strumentali nel trattamento dell’ischemia critica cronica del paziente diabetico in particolar modo quando Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CLERISSI almeno un’arteria di gamba viene rivascolarizzata con successo. Il rischio di amputazione maggiore, infatti, rimane comunque alto nei casi in cui la rivascolarizzazione è avvenuta solamente nel distretto iliaco-femoro-popliteo. Bibliografia 1. M. Giannoni; M. Citone; A. Laurito; L. Irace Appropriatezza dell, eco-color-doppler nello studio dell’arteriopatia diabetic. Arteriopatia diabetic periferica 2009. 2. Akbari CM, Pomposelli FB Jr, Gibbons GW, et al. Lower extremity revascularization in diabetes: late observations. Arch Surg 2000. 3. Insall RL, Loose HW, Chamberlain J. Long-term results of double-baloon percutaneous transluminal angioplasty of the aorta and iliac arteries. Eur J Vasc Surg 1993. 4. Nasr MK, McCarthy RJ, Hardman J, Chalmers A, Horrocks M. The increasing role of percutaneous transluminal angioplasty in the primary management of critical limb ischaemia. Eur J Vasc Endovasc Surg 2002. 5. Wolfle KD, Bruijnen H, Reeps C, et al. Tibioperoneal arterial lesions and critical foot ischaemia: successful management by the use of short vein graft and percutaneous transluminal angioplasty. Vasa 2000. 6. Dormandy JA, Rutherford RB. Management of peripheral arterial disease (PAD). TASC Working Group. J Vasc Surg 2000. 7. Dotter CT, Judkins MP. Transluminal treatment of arteriosclerotic obstruction: description of a new technic and a preliminary report of its application. Circulation 1964. 8. Armstrong DG, Lavery LA, Harkless LB. Validation of diabetic wound classification sistem. The contribution of depth, infection, and ischaemia to risk of amputation. Diabetes Care 1998. 9. Faglia E, Favales F, Quarantiello A, et al. Feasibility and effectiveness of peripheral percutaneous transluminal balloon angioplasty in diabetic subjects with foot ulcers. Diabetic Care 1996. 10. J. Clerissi, A. La Rosa, M. Yussuf, P.E. Grilli, M. Dondi, S. Cutti, R. Moia. PTA delle arterie tibiali in pazienti diabetici. ATTI XXXI congresso nazionale SIAPAV. Roma 25-28 novembre 2009 Minerva Cardioangiologica vol. 57 suppl. 1 n° 6 dicembre 2009. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 157 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 158 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):158-60 Aneurisma dell’arteria mesenterica superiore: case report e revisione della letteratura F. BARATTO1, S. IRSARA1, D. TONELLO2, F. BUSATTO2, B. ZALUNARDO2, A. VISONÀ2 Gli aneurismi dell’arteria mesenterica superiore (AMS) sono un’evenienza rara, rappresentano il 5,5% degli aneurismi viscerali la cui prevalenza è 0,1-2%1. Sono clinicamente importanti in quanto possono portare a severe complicanze, quali embolizzazione distale o occlusione del vaso per trombosi con conseguente ischemia intestinale acuta e rottura con emorragia massiva. Circa il 38% degli aneurismi dell’AMS (AAMS) si presenta rotto al momento della diagnosi clinica2, con una mortalità che va dal 40% al 60%1. Le principali strategie terapeutiche comprendono lo stretto monitoraggio clinico, il trattamento chirurgico tradizionale oppure l’approccio endovascolare. Presentiamo un caso di una paziente affetta da doppia patologia della mesenterica superiore: aneurisma coinvolgente il tratto medio dell’AMS e concomitante dissezione del tratto arterioso prossimale. Case report Una donna di 65 anni, ipertesa, sottoposta 5 anni prima ad intervento di resezione ileale per infarto segmentale causato da embolizzazione distale non ulteriormente indagata, nel luglio 2008 eseguì un’ecografia addominale con riscontro occasionale di un aneurisma di 2 cm coinvolgente il tratto medio dell’AMS. La successiva angio-TC addome mostrò l’emergenza dei primi rami digiunali dalla parete aneurismatica con stenosi serrata post-aneurismatica e concomitante dissezione prossimale del medesimo vaso a partire dalla sua origine, con coinvolgimento dei primi rami duodenali, della pancreaticoduodenale inferiore e della colica media (Fig. 1A). Al momento della diagnosi, la paziente era completamente asintomatica. Venne quindi sottoposta ad intervento di messa a piatto dell’aneurisma e confezionamento di bypass anterogrado protesico in Dacron 7 mm tra l’aorta addominale sottorenale, con anastomosi terminolaterale aortoprotesica, e l’AMS a livello del colletto distale dell’aneurisma, con riperfusione della stessa e del ramo ileocolico. L’AMS venne pertanto legata in corrispondenza del colletto prossimale dell’aneurisma, mantenendo così la perfusione nel tratto prossimale di arteria, da cui originavano i rami duodenali e la colica media. Nonostante la concominate dissezione a tale livello, il vaso non fu trat158 1SSD Chirurgia Vascolare, Ospedale San Giacomo, Castelfranco Veneto, Treviso 2SSD Angiologia, Ospedale San Giacomo, Castelfranco Veneto, Treviso tato prossimalmente (Fig. 1B,C). Un campione di parete aneurismatica fu inviato per l’esame istologico che confermò l’eziologia aterosclerotica della lesione. A termine della ricostruzione non fu riscontrata ischemia intestinale. Il decorso post-operatorio fu regolare e la paziente venne dimessa in 7° giornata con terapia antiaggregante. L’angio-TC di controllo, eseguita una settimana dopo intervento, documentò la pervietà del by-pass aorto-mesenterico (Fig. 1D). La paziente venne successivamente monitorata mediante periodici controlli ecografici e tomografici. L’ultima angio-TC addome, eseguita a 3 anni di followup, conferma la pervietà del by-pass e la spontanea risoluzione della dissezione del tratto prossimale della mesenterica superiore. La paziente è asintomatica. Discussione A differenza degli altri vasi viscerali, le cause più frequenti dell’evoluzione aneurismatica dell’AMS sono gli eventi infettivi e la dissezione3. Gli aneurismi micotici, solitamente, insorgono successivamente ad un’endocardite subacuta spesso provocata dallo Streptococco non emolitico. Nonostante sia una rara causa di aneurisma, la dissezione intimale interessa l’AMS con maggiore frequenza rispetto agli altri vasi viscerali. Sino ad oggi sono stati riportati in letteratura almeno 20 casi correlati a questa patologia4-6. Altre eziologie di AAMS includono l’aterosclerosi (25%), condizioni infiammatorie come la pancreatite (12%) e, meno frequentemente, i traumi (<2%)5. Nel 70-90% dei casi, i pazienti con AAMS sono sintomatici al momento della presentazione clinica, i sintomi più frequenti sono: dolore addominale progressivo, angina abdominis, massa pulsante, nausea o vomito. La febbre può essere un elemento suggestivo per gli aneurismi micotici5. Nel nostro caso, il reperto è stato occasionale, ma va notato che la paziente aveva avuto un pregresso MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 159 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) ANEURISMA DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE: CASE REPORT E REVISIONE DELLA LETTERATURA BARATTO Figura 1. – A) Ricostruzione angio-TC addome pre-operatoria. AMS con dissezione del tratto prossimale ed aneurisma del tratto medio. B, C) Foto intraoperatorie: aneurisma dell’AMS con emergenza di rami collaterali dalla parete aneurismatica e by-pass. D) Ricostruzione angio-TC addome post-operatoria. By pass aorto-mesenterico. episodio di embolizzazione con ischemia intestinale per il quale era stata sottoposta a resezione ileale. Negli ultimi anni, la diffusione di tecniche di imaging non invasive ha reso possibile la diagnosi precoce di un maggiore numero di lesioni, anche quelle asintomatiche. Le indicazioni al trattamento degli aneurismi asintomatici sono tuttora controverse a causa della rarità di tale patologia e della mancanza di studi prospettici. Tuttavia, gli Autori sono concordi nel trattare gli aneurismi asintomatici con diametro superiore a 2 cm e quelli sintomatici indipendetemente dalle dimensioni7. Il trattamento di scelta è la resezione dell’aneurisma con ricostruzione dell’AMS. Gli approcci chirurgici includono la legatura, l’aneurismoraffia e l’aneurismectomia. La semplice legatura è considerata una procedura accettabile, specie nelle situazioni di emergenza, grazie ai potenziali circoli collaterali tra l’AMS con il tripode celiaco e l’arteria mesenterica inferiore2,8-10. Qualora sia coivolto il tronco principale dell’AMS, visto l’elevato rischio di alterazioni ischemiche distali, è fortemente raccomandata la rivascolarizzazione8. Il graft in vena safena rappresenta il materiale di scelta in presenza di aneurismi infetti o di ischemia intestinale; negli altri casi, invece, le protesi sintetiche costituiscono una valida alternativa5. Recentemente sono state introdotte le tecniche endovascolari mininvasive che comprendono l’embolizzazione con spirali e l’esclusione dell’aneurisma mediante posizionamento di endoprotesi. La prima viene utilizzata in presenza di vasi tortuosi ed aneurismi sacciformi7, in quanto arterie molto tortuose o con severe angolazioni possono precludere il posizionamento dello stent-graft7. Gli svantaggi principali di tale tecnica sono il rischio di complicanze ischemiche dovute ad embolizzazione distale e la riperfusione della sacca aneurismatica da parte di circoli collaterali, che si verifica nel 37% dei casi11. L’endoprotesi, invece, viene utilizzata per aneurismi fusiformi situati nel tratto medio-prossimale del vaso coinvolto che deve avere un decorso rettilineo7. Le principali controindicazioni sono: vasi collaterali con emergenza dalla sacca aneurismatica (la copertura di tali arterie può causare ischemia intestinale), aneurismi di grosse dimensioni senza una “landing zone” adeguata ed aneurismi infetti (sospetto clinico-anamnestico)12. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Nel nostro caso, abbiamo preferito il trattamento chirurgico, considerata l’estensione delle lesioni e l’elevato rischio di ischemia intestinale qualora si fosse optato per un eventuale approccio endovascolare. Il tratto prossimale dell’AMS, infatti, era dissecato con coinvolgimento dei primi rami duodenali e della colica media, la lesione aneurismatica, invece, era situata nel tratto medio del vaso con emergenza dell’ileocolica dal colletto distale. Pertanto, abbiamo preferito non trattare la dissezione, salvaguardando così i primi rami duodenali e la colica media, mentre sono stati riperfusi i rami emergenti dal colletto distale dell’aneurisma. In Letteratura, tuttavia, vengono segnalati diversi casi sia di dissezione dell’AMS13, sia di aneurismi con coivolgimento di rami collaterali9, che sono stati trattati con successo mediante tecnica endovascolare. Nelle casistiche riportate dai vari Autori, però, non abbiamo riscontrato la presenza contemporanea di una doppia lesione come nella nostra esperienza, dove l’eventuale posiziomanento di un endograft lungo tutto il segmento coinvolto con copertura dei rami duodenali, digiunali e della colica media, sarebbe verosimilmente stato associato ad elevato rischio di ischemia intestinale massiva. Conclusioni Gli aneurismi dell’AMS sono lesioni rare con elevato rischio di rottura e di mortalità. La chirurgia tradizionale è tuttora considerata il “gold standard” dalla maggior parte degli Autori, con soddisfacenti risultati a lungo termine7. Recentemente, sono state introdotte tecniche endovascolari mininvasive con minore morbidità e mortalità; infatti, possono costituire una valida alternativa alla chirurgia laparotomica in caso di lesioni morfologicamente favorevoli, specie nei pazienti ad elevato rischio. Tuttavia, sono controindicate in alcune situazioni anatomo-cliniche, come aneurismi infetti, voluminosi o lesioni con molti rami collaterali. Bibliografia 1. Upchurch GR Jr, Zelenock GB, Stanley JC. Splanchnic artery aneurysms. In Rutherford RB ed. Vascular Surgery. 6th ed. Philadelphia, PA: WB Saunders, 2005. pp 1566-1581. 2. Stone WM, Abbasa M, Cherry KJ, Fowl RJ, Gloviczki P. Superior mesenteric artery aneurysms: is presence an indication for intervention? J Vasc Surg 2002;36:234-7. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 159 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 160 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) BARATTO ANEURISMA DELL’ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE: CASE REPORT E REVISIONE DELLA LETTERATURA 3. DeBankey ME, Cooley DA. Successful resection of mycotic aneurysm of superior mesenteric artery: case report and review of literature. Am. Surg 1953;19: 202-212. 4. Solis MM, Ranval TJ, McFarland DR, Eidt JF. Surgical treatment of superior mesenteric artery dissecting aneurysm and simultameous celiac artery compression. Ann Vasc Surg 1993; 7:457-62. 5. Lorelli DR, Cambria RA, Seabrook GR, Towne JB Diagnosis and management of aneurysms involving the superior mesenteric artery and its branches. A report of four cases. Vasc endovasc Surg 2003;37:59-66. 6. Ishida M, Kato N, Hirano T, Suzuki T, Shomura Y, Yada I, Takeda K. Dissecting aneurysm of the superior mesenteric artery successfully treated by endovascular stent graft placement. Cardiovasc Interv Radiol 2003;26:403-406. 7. Marone EM, Mascia D, Kahlberg A et all. Is open repair still the gold standard in visceral artery aneurysm management? Ann Vasc Surg 2011: 1-11 (article in press). 8. Sessam C, Tinelli G, Porcu P, et all. Treatment of visceral 160 9. 10. 11. 12. 13. artery aneurysms: description of a retrospective series of 42 aneurysms in 34 patients. Ann Vasc Surg 2004;18:695-703. Mendoça CT, Weigartner J, de Carvalho CA, Costa DS. Endovascular treatment of contained rupture of a superior mesenteric artery aneurysm resulting from neurofibromatosis type I. J Vasc Surg 2010;51:461-4. Zhao J. Massive upper gastrointestinal bleeding due to a rutpured superior mesenteric artery aneurysm duodenum fistula. J Vasc Surg 2008;48:735-7. Rossi M, Rebonato A, Greco L, Citone M, David V. Endovascular exclusion of visceral artery aneurysms with stentgrafts: technique and long-term follow-up. Cardiovasc Intervent Radiol 2008;31:36-42. Jiang J, Ding X, Su Q et al. Therapeutic management of superior mesenteric artery aneurysms. J Vasc Surg 2011;53: 1619-24. Gobble R, Brill ER, CB, Hecht EM et al. Endovascular treatment of spontaneous dissections of the superior mesenteric artery. J Vasc Surg 2009;50:1926-32. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 161 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):161-2 Segni precoci di aterosclerosi in pazienti affetti da morbo celiaco S. DE MARCHI1, S. ZECCHETTO1, G. CHIARIONI2, A. RIGONI1, M. PRIOR1, F. RULFO1, E. AROSIO1 In letteratura è stata ampiamente documentata un’ alterazione degli indicatori di aterosclerosi precoce ed in generale un aumento del rischio cardiovascolare in pazienti affetti da malattie reumatologiche. In tali patologie vengono infatti descritti processi di aterosclerosi accelerata in relazione allo stimolo flogistico cronico. L’infiammazione determinerebbe un quadro di disfunzione endoteliale da perossidazione lipidica che promuove la formazione della placca aterosclerotica. Sono invece disponibili pochi dati relativi a tali aspetti nei pazienti affetti da enteropatie a genesi autoimmune 1-3 ed in particolare per i pazienti celiaci. Il numero di tali pazienti è in continuo aumento, anche per le migliorate tecniche diagnostiche e per una aumentata sensibilità nei confronti del problema. La patologia celiaca presenta caratteri di autoimmunità e di attivazione flogistica che, per quanto locali, comportano ripercussioni sistemiche e potrebbero quindi determinare un incremento del rischio cardiovascolare. Ad oggi, però, tale rischio non è stato ben definito nei pazienti con morbo celiaco e le poche evidenze disponibili risultano controverse 4,5. Vengono prevalentemente descritte basse concentrazioni di colesterolo HDL e, in genere, profili lipidici sfavorevoli, mentre, per quanto riguarda la valutazione di indici strumentali di disfunzione endoteliale, in letteratura non vi sono dati 6. Ci siamo pertanto proposti di valutare la vasodilatazione endotelio-mediata, lo spessore intima-media carotideo, il profilo lipidico, lo stato infiammatorio ed i livelli di omocisteina in pazienti affetti da morbo celiaco di nuova diagnosi, prima e dopo dieta priva di glutine. Materiali e metodi Abbiamo esaminato 20 pazienti celiaci (11 femmine e 9 maschi tra 23 e 41 anni) prima e dopo documentato periodo di dieta priva di glutine. Tutti i pazienti valutati per sospetto clinico di celiachia (anemia cronica di natura non identificata, dolori intestinali ricorrenti) sono stati sottoposti a controllo degli anticorpi specifici (anti-gliadina, anti-endomisio e anti-transglutaminasi) e ad esame endoscopico con biopsia duodenale per la conferma diagnostica all’esame istologico. Sono stati effettuati prelievi per il dosaggio di colesterolo totale, HDL, LDL, trigliceridi, Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 1UOC di Riabilitazione Vascolare, Policlinico G.B. Rossi, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona 2UOC di Gastroenterologia, Policlinico G.B. Rossi, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona omocisteina, hs-PCR, folati e vitamina B12. Abbiamo esaminato mediante metodica ultrasonografica lo spessore intima-media alla carotide comune (IMT) e la vasodilatazione endotelio-mediata all’arteria omerale (EDD). Queste stesse valutazioni sono state eseguite anche su 22 volontari sani bilanciati per sesso ed età. I dati sono stati analizzati mediante t-test di Student ed analisi della varianza (ANOVA) e considerati significativi valori di p<0,05. Risultati Fra i celiaci, 2 pazienti si presentavano sottopeso, mentre i restanti risultavano nei limiti ponderali di norma (BMI 20.51, range 17,9-22,9). Con la sospensione dell’assunzione di glutine il peso è aumentato significativamente (BMI 21,07, range 18,9-23,2 - p<0,03). Parimenti, al controllo dopo il periodo di dieta, sia il colesterolo totale (204.4±25,2 mg/dl vs 185,42 ±37,77 mg/dl; p<0,03) che il colesterolo HDL (68,1±15,4 mg/dl vs 51,42 ±18,62 mg/dl; p<0,03) risultavano incrementati in modo significativo nei pazienti con celiachia, senza significativo aumento del colesterolo LDL (127,5±32,3 vs 110,73±24,65 mg/dl). I valori di omocisteina erano significativamente più elevati nei pazienti celiaci rispetto ai controlli (18,9±7,3 vs 9,2±2,1 p<0,01) e non si sono modificati con il trattamento dietetico. La proteina C reattiva si è significativamente ridotta con il trattamento dietetico (p<0,05). L’IMT era incrementato nei pazienti celiaci rispetto ai controlli sani (0,082±0,011 vs 0,058±0,012 cm p<0,001; dopo dieta libera da glutine ha evidenziato un significativo decremento (0,067±0,010 vs 0,082±0,011 cm; p<0,03). La EDD era inizialmente ridotta nei pazienti celiaci rispetto ai controlli (9,3±1,3 vs 11,2±1,2%; p<0,05) ma raggiungeva valori sovrapponibili a quelli dei controlli (12,7±2,1%) dopo intervento dietetico (Fig. 1). MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 161 TORNA ALL'INDICE 3 - comunicazioni orali 16-11-2011 11:08 Pagina 162 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) DE MARCHI SEGNI PRECOCI DI ATEROSCLEROSI IN PAZIENTI AFFETTI DA MORBO CELIACO Figura 1. – Vasodilatazione endotelio dipendente in soggetti celiaci prima e dopo terapia diatetica e in un gruppo di controlli sani. Discussione In questo studio pilota abbiamo osservato l’alterazione di alcuni indici di rischio cardiovascolare, sia di tipo metabolico che strumentale in pazienti celiaci alla diagnosi e, il loro miglioramento dopo dieta priva di glutine. La celiachia è una condizione con caratteri di tipo autoimmune e target privilegiato nell’intestino tenue, ma con ripercussioni sistemiche documentate dall’incremento degli indici di flogosi e dal quadro di malassorbimento. In letteratura vi sono scarsi dati sull’incidenza della malattia cardiovascolare in questa popolazione (tradizionalmente le osservazioni sono state fatte sul rischio dell’insorgenza di neoplasie); alcune segnalazioni sono state effettuate in merito al riscontro di gravi cardiopatie dilatative. Nel nostro studio i pazienti presentavano livelli aumentati di omocisteina e riduzione relativa della quota di colesterolo HDL. Il regime dietetico ha determinato un incremento sia del colesterolo totale che di quello HDL. La risoluzione della flogosi intestinale permette infatti un miglior assorbimento dei lipidi, mantenendo comunque un profilo favorevole sul rapporto colesterolo totale/HDL. L’iperomocisteinemia potrebbe essere giustificata da un basso assorbimento vitaminico; tuttavia non si è verificato un miglioramento significativo di tale parametro dopo dieta, forse per il fatto che il meccanismo di recupero dell’assorbimento vitaminico e la correzione di questo valore potrebbe richiedere tempi più lunghi. L’incremento dell’IMT è un indice di aterosclerosi subclinica. Tale parametro è collegato ai fattori di rischio cardiovascolare e, in questo caso, la responsabilità più rilevante 162 potrebbe essere da attribuire alla presenza di uno stato flogistico cronico, seppure di bassa intensità, come documentato dagli aumentati valori di hs-PCR che, infatti, si riducono dopo astensione dal glutine. È noto che l’espressione di citochine connesse con i meccanismi di flogosi induce disfunzione endoteliale, in tal senso agirebbe anche l’aumentato stress ossidativo che è presente nelle condizioni di flogosi cronica associata a ridotto potere antiossidante. La correzione dello stato di flogosi, determinata dalla dieta priva di glutine, consente una inversione dei processi che si associano all’incremento dell’IMT, favorendo una iniziale regressione dell’ispessimento. Questi pazienti presentano infine anche una ridotta vasodilatazione endotelio dipendente flusso mediata, altra condizione indicativa di aumentato rischio cardiovascolare e verosimilmente collegata con la flogosi cronica e con le conseguenze del malassorbimento (ridotto assorbimento vitaminico, incremento omocisteina). La dieta priva di glutine parrebbe in grado di modificare favorevolmente tale parametro. In conclusione, questo studio presenta alcuni dati interessanti sul rischio vascolare nelle malattia celiaca e sulla possibilità di intervenire con un approccio dietetico su una condizione di disfunzione endoteliale indotta da meccanismi autoimmuni. Riteniamo pertanto possa costituire un modello sperimentale da considerare al fine di ulteriori conferme delle nostre osservazioni. Bibliografia 1. Van Leuven SI; Kastelein JJ, D’Cruz DP, Hughes GR, Stroes ES. Atherogenesis in rheumatology. Lupus 2006;15:117-21. 2. Roman MJ, Moeller E, Davis A, Paget SA, Crow MK, Lochshin MD, Sammaritano L, Devereux RB, Schwarz JE, Levine DM, Salmon JE. Preclinical carotid atherosclerosis in patients with rheumatoid arthritis. Ann Int Med 2006;144:249-256. 3. Viljama M, Kaurinen K, Pukkala E, Hervonen K, Reunala T, Collin P. Malignancies and mortality in patients with coeliac disease and dermatitis herpetiformis: a 30-year populationbased study: Dig Liv Dis 2006;38:374-380. 4. West J, Logan RFA, Card TR, Smith C, Hubbard R. Risk of vascular disease in adults with diagnosed celiac disease: a population-based study. Aliment Pharmacol Ther 2004;20:8379. 5. Capristo E, Addolorato G, Mingrone G, Scarfone A, Greco A, Gasbarrini G. Low serum high density lipoprotein cholesterol concentration as a sign of celiac disease. Am J Gastroenterol 2000;95:3331-2. 6. Brar P, Kwon GY, Holleran S, Bai D, Tall AR, Ramakrishnan R, Green PHR. Change in lipid profile in celiac disease: beneficial effect of a gluten-free diet. Am J Med 2006; 119:786-790. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 163 CORSI DI AGGIORNAMENTO TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 164 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 165 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):165-7 Il trattamento endovascolare delle varici degli arti inferiori B. GOSSETTI, F. FACCENNA, A. LAURITO, J. JABBOUR, A. ALUNNO, A. CASTIGLIONE, MMG. FELLI, A. MALAJ, D. STAVRI Il trattamento della patologia varicosa prevede un gran numero di interventi chirurgici, che vanno dalla legatura e crossectomia del golfo safenico, allo stripping (lungo e corto), alla varicectomia, alla chirurgia emodinamica (Chiva), alla chirurgia valvolare, alla occlusione safenica effettuabile con il laser o le radiofrequenze, ed alla legatura delle perforanti. Un numero così elevato di procedure può essere previsto ed utilizzato per rendere la chirurgia delle varici il più possibile “personalizzata” alle esigenze del paziente ed il più possibile mini-invasiva. Va, inoltre, sottolineato che molte di queste procedure sono attuabili grazie all’introduzione in ambito diagnostico dell’ecocolorDoppler (ECD), in grado non solo di offrire un quadro morfologico preciso di tutto il circolo superficiale degli arti, ma anche di valutarne la direzione del flusso ematico al suo interno, la struttura e la continenza valvolare, ed i rapporti con il circolo profondo. Per poter parlare del trattamento endovascolare di occlusione safenica mediante radiofrequenze è opportuno confrontare e far riferimento agli interventi di stripping safenico, che da sempre hanno rappresentato il termine di paragone per qualsiasi trattamento delle varici degli arti. Per quanto attiene, dunque, lo stripping della vena grande safena (VGS) occorre tener presente che l’assunto di una legatura corretta e sistematica di tutti i rami venosi che costituiscono il golfo (epigastrica superficiale, circonflessa iliaca superficiale, circonflessa laterale e pudenda interna), come prevenzione di una recidiva varicosa, resta a tutt’oggi ancora valido, come del resto la necessità di effettuare la sezione tra legature della VGS il più vicino possibile alla parete della vena femorale, senza lasciare un lungo moncone residuo, fonte di possibili apposizioni trombotiche e successiva embolizzazione, ma anche senza provocare una stenosi della stessa femorale. Altro rilievo indispensabile risulta quello che uno stripping isolato delle safene non ha alcuno spazio terapeutico, ma questo gesto chirurgico va sempre associato all’interruzione delle perforanti coinvolte ed alla varicectomia. Fatte queste debite premesse le indicazioni allo stripping della VGS sono: i reflussi lunghi, l’insufficienza delle perforanti di coscia ed una flebite superficiale recente, per uno stripping “corto prossimale; un rara patologia localizzata Vol. 58, Suppl. 1 al N. 6 Cattedra di Chirurgia Vascolare, UOC di Chirurgia Vascolare A, Policlinico Umberto I, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma alla gamba, per lo stripping “corto” distale; varici tronculari diffuse, insufficienza valvolare totale con varici malleolari, per lo stripping “totale”. Anche lo stripping della vena piccola safena ha delle sue precise indicazioni rappresentate da: varici tronculari estese, o dall’insufficienza valvolare allo sbocco, associata all’insufficienza delle vene gemellari e della perforante gemellare. Con queste indicazioni la mortalità legata allo stripping si aggira sullo 0.02% dei casi e le recidive sono attorno al 5-20%, anche se va sottolineato che tali percentuali sono fortemente condizionate dal tipo di stripping, dall’operatore (34% di recidive se l’intervento viene effettuato dal chirurgo generale contro il 6.5% se ad effettuare la procedura è un chirurgo vascolare 1), da come e da chi il paziente viene controllato e da qual è la durata del follow-up. Fisher, ad esempio, riporta uno studio retrospettivo a 34 anni, in cui le percentuali di reflussi post stripping arrivano a superare il 60% in controlli tardivi (oltre 30 anni) 2. Jones3 e Dwerryhouse4 riportano varici recidive sino al 35% dei casi, a 5 anni, sottolineando che nel 45% dei casi è possibile riscontrare fenomeni di neo-vascolarizzazione a livello inguinale. Per quanto riguarda, viceversa le complicanze peroperatorie queste possono essere suddivise in precoci (TVP con possibile embolia polmonare, ecchimosi, edema perimalleolare, linforrea inguinale, ritardo di cicatrizzazione, suppurazione) e tardive (disturbi neurologici, cheloidi e telangectasie). In particolare, l’embolia polmonare è riportata in percentuali variabili fra lo 0.06 e l’1,2% dei casi (media 0,5%) 5-6-7, la TVP varia fra lo 0,15 ed il 5,3% (media 1%) 8-9, l’infezione fra il 4,5 ed il 13,7% (media 8%) 10-12, ed il linfedema attorno allo 0,5% 13. Le parestesie, sino al dolore, legati alle lesioni del nervo safeno, hanno una incidenza percentuale diversa in base allo stripping lungo (7,1-38.8%)14-15 o corto (7,6-24,5%)3-10. L’occlusione con radiofrequenze della vena grande safena, rispetto a quanto sopra esposto per lo stripping, soprattutto se effettuato con il nuovo sistema obliterativo MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 165 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 166 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) GOSSETTI IL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DELLE VARICI DEGLI ARTI INFERIORI Tabella I. ClosureFAST, che ha un generatore che emette una energia costante e prestabilita, che elimina i rischi di un riscaldamento insufficiente o eccessivo, e si effettua con una occlusione segmentaria, che elimina i rischi legati alle variazioni individuali della retrazione del catetere, sembrerebbe fornire risultati clinici a 2 anni quanto meno non inferiori a quelli dello stripping. In particolare, questo sistema permette il ritorno ad una normale attività lavorativa in 1.2 giorni, contro il 3.9 dell’intervento chirurgico classico; ha una minore incidenza della sintomatologia dolorosa ed un minor numero di complicanze minori e, di conseguenza una qualità di vita migliorata dopo la procedura16. Quanto poi alle complicanze, il ClosureFAST, a fronte di una assenza di reflusso superiore al 94% dei casi, a 2 anni, ha mostrato pochi effetti collaterali secondo la tabella che è riportata a fianco. Come si può osservare, infatti, non ci sono differenze significative neppure tra le procedure effettuate sulla VGS e quelle sulla piccola17. Restano in ogni caso ancora aperti alcuni quesiti che potranno forse essere risolti con l’esperienza futura: la possibilità di utilizzare questa tecnica anche in pazienti con safene di calibro superiore al cm; la necessità di ricorrere all’associazione con un accesso chirurgico dello sbocco safeno-femorale per sezionarlo e legare i vasi collaterali; il problema dei costi, che sembra risolvibile solo per impieghi su vasta scala di questo tipo di intervento. Sulla base di quanti sino a qui esposto si possono, comunque, fare le seguenti considerazioni: i risultati di qualunque trattamento delle varici degli arti inferiori risul166 tano fortemente condizionati dalle indicazioni e dal chirurgo che lo effettua; l’impiego dell’ECD consente oggi di ricorrere a metodiche mini-invasive e, quindi, di più rapida esecuzione rispetto ai trattamenti chirurgici tradizionali; la scelta del trattamento dovrebbe comunque sempre basarsi sul quadro anatomo-funzionale del distretto venoso interessato, sulla clinica e le aspettative del paziente e, naturalmente, sulla “confidenza” che il chirurgo ha per le singole procedure. Bibliografia 1. Leu HJ: On the therapy of saphena magna varicosis. Surgery of sclerosing therapy? Praxis. 1968;57:491-4. 2. Fischer R, Chandler JG, De Maeseneer MG, Frings N, Lefebvre-Vilarbedo M, Earnshaw JJ, Bergan JJ, Duff C, Linde N. The unresolved problem of recurrent saphenofemoral reflux. J Am Coll Surg. 2002;195:80-94. 3. Jones L, Braithwaite BD, Selwyn D, Cooke S, Earnshaw JJ. Neovascularisation is the principal cause of varicose vein recurrence: results of a randomised trial of stripping the long saphenous vein. Eur J Vasc Endovasc Surg. 1996;12:4425. 4. Dwerryhouse S, Davies B, Harradine K, Earnshaw JJ. Stripping the long saphenous vein reduces the rate of reoperation for recurrent varicose veins: five-year results of a randomized trial. J Vasc Surg. 1999;29:589-92. 5. Lofgren EP, Coates HL, O’Brien PC. Clinically suspect pulmonary embolism after vein stripping. Mayo Clin Proc. 1976;51: 77-80. 6. Neglén P, Einarsson E, Eklöf B. The functional long-term value of differenttypes of treatment for saphenous vein incompetence. J Cardiovasc Surg (Torino). 1993;34:295-301. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 167 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DELLE VARICI DEGLI ARTI INFERIORI 7. Miller GV, Lewis WG, Sainsbury JR, Macdonald RC. Morbidity of varicose vein surgery: auditing the benefit of changing clinical practice. Ann R Coll Surg Engl. 1996;78:345-9. 8. Hagmüller GW. [Complications in surgery of varicose veins]. Langenbecks Arch Chir Suppl Kongressbd. 1992:470-4. 9. van Rij AM, Chai J, Hill GB, Christie RA. Incidence of deep vein thrombosis after varicose vein surgery. Br J Surg. 2004; 91:1582-5. 10. Mackay DC, Summerton DJ, Walker AJ. The early morbidity of varicose vein Surgery. J R Nav Med Serv. 1995 Spring;81: 42-6. 11. Durkin MT, Turton EP, Scott DJ, Berridge DC. A prospective randomised trial of PIN versus conventional stripping in varicose vein surgery. Ann R Coll Surg Engl. 1999;81:171-4. 12. Corder AP, Schache DJ, Farquharson SM, Tristram S. Wound infection following high saphenous ligation. A trial comparing two skin closure techniques: subcuticular polyglycolic acid and interrupted monofilament nylon mattress sutures. J R Coll Surg Edinb. 1991;36:100-2. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 GOSSETTI 13. Ouvry PA, Guenneguez H, Ouvry PA. [Lymphatic complications from variceal surgery]. Phlebologie. 1993 Oct;46:563-8. 14. Ramasastry SS, Futrell JW. Surgical anatomy of the internal oblique muscle: a practical approach. Am Surg. 1987;53:27881. 15. Holme JB, Skajaa K, Holme K. Incidence of lesions of the saphenous nerve after partial or complete stripping of the long saphenous vein. Acta Chir Scand. 1990;156:145-8. 16. Lurie F, Creton D, Eklof B, Kabnick LS, Kistner RL, Pichot O, Sessa C, Schuller-Petrovic S. Prospective randomised study of endovenous radiofrequency obliteration (closure) versus ligation and vein stripping (EVOLVeS): two-year follow-up. Eur J Vasc Endovasc Surg. 2005;29:67-73. 17. Proebstle TM, Alm J, Göckeritz O, Wenzel C, Noppeney T, Lebard C, Pichot O, Sessa C, Creton D; European Closure Fast Clinical Study Group. Three-year European follow-up of endovenous radiofrequency-powered segmental thermal ablation of the great saphenous vein with or without treatment of calf varicosities. J Vasc Surg. 2011;54:146-52. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 167 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 168 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):168-9 Il ruolo dell’EVLA nel trattamento endovascolare delle varici G.B. AGUS Le varici, segno e sintomo caratteristico della malattia venosa Cronica (MVC), rappresentano notoriamente una delle malattie più diffuse del mondo occidentale, dove costituiscono serio problema per costi sociali e causa di complicanze. Sempre più rappresentano anche un rilevante problema estetico. Da oltre cento anni sono state trattate nel medesimo modo: con la tecnica chirurgica di asportazione, soprattutto mediante stripping delle vene safene. Questo atteggiamento, viceversa, da circa venti anni è sottoposto a sostanziale critica per i mutamenti concettuali sviluppatisi, grazie all’impiego dell’eco-colordoppler, sia in termini interpretativi del quadro clinico delle vene varicose, sia sulle modalità più differenziate, meno invasive e più personalizzate di nuovi trattamenti. Background Cosa significa endovascolare nel trattamento delle varici ? In sostanza, invece di eseguire incisioni chirurgiche più o meno estese, attraverso le quali asportare vene, talvolta irrazionalmente, il trattamento ablativo fisico o chimico endovascolare si attua per via percutanea (o anche utilizzando mini-incisioni chirurgiche di pochi millimetri, in anestesia locale, altamente estetiche) con l’introduzione di aghi o cateteri sotto controllo eco-doppler peri-procedurale. Attraverso questo semplice accesso, sarà possibile eseguire l’ablazione fisica delle vene varicose, non tanto o non solo con la loro asportazione, quanto con la obliterazione delle vene causa del reflusso originante le varici stesse, eliminando l’uno e le altre. Per ablazione chimica si intende in realtà un trattamento, se si vuole, antico – la scleroterapia –, ma rinnovato in significativi aspetti di esecuzione, a cominciare dall’uso dell’eco-doppler (ecosclerosi) e dell’introduzione non di sostanze liquide, bensì in forma di schiuma (foam/mousse), che producono migliori risultati (oggi si sta sperimentando per l’ablazione chimica anche un trattamento congiunto laser-foam o meccanicofoam). Il primo Congresso internazionale, evento chiave nel quale furono presentate per la prima volta le tecniche di trattamento endovascolare fisico, con RF e Laser, fu il 14th World Congress of the Union Internationale de Phlébologie, tenutosi a Roma al Palazzo dei Congressi dell’EUR nei giorni 9-14 settembre 2001, sotto la presidenza 168 Sezione di Chirurgia Vascolare e Angiologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche Specialistiche, Università degli Studi di Milano di Claudio Allegra. Seguì poi un programma fitto e serio di Corsi di formazione ai nuovi concetti ed alle nuove tecniche, a cui corrispose una letteratura scientifica di notevole valore. Per quanto riguarda l’endovenous laser ablation (EVLA), il successo del trattamento ebbe riscontro in campo internazionale con la costituzione dell’ International Endovenous Laser Working Group-IEWG, con la compartecipazione di Paesi sia europei che americani (Sud America e USA), oltre ad altre esperienze autonome. Stato attuale e risultati Oggi, dopo la necessaria fase di insegnamento di base sui criteri di appropriatezza delle indicazioni, diagnostica, tecnologia, efficacia e sicurezza della metodica, ed aver creato modelli di procedura step-by-step, centinaia di migliaia di procedure vengono eseguite nel mondo. La Letteratura scientifica non è da meno con centinaia di pubblicazioni qualificate, review e meta-analisi. Il Corso sull’endovascolare (RFA, EVLA e foamsclerotherapy) del Congresso Nazionale SIAPAV 2011 pertanto si pone come momento di apprendimento pratico, ma allo stesso tempo di riflessione sul cammino percorso in un decennio. In sintesi, la scelta di usare i nuovi trattamenti endovascolari permette la minor invasività e l’ambulatorietà, e dunque i minori costi della terapia della MVC, oltre il massimo rispetto dell’estetica, tutte moderne esigenze richieste da pazienti e Sistemi Sanitari. Le tecniche più innovative sono rappresentate dall’ablazione fisica mediante RFA e EVLA. Quale laser, è preferito a diodi a varie lunghezze d’onda; e su questo punto si è sviluppato maggiormente un significativo avanzamento con l’introduzione di laser a lunghezza d’onda di 1470 nm, coniugato all’uso di nuove fibre a emittenza radiale dell’energia. La tecnica è semplice, a patto che si segua una buona scuola di apprendi- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 169 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) IL RUOLO DELL’EVLA NEL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DELLE VARICI mento e criteri ben standardizzati. L’introduzione nella vene safene per via percutanea o mini-chirurgica è opzione dello specialista. Risultati: la maggioranza dei casi trattati presenta percentuali di obliterazione immediate e a distanza superiori al 90% e significativa soddisfazione dei pazienti, spesso entusiastica. Il follow-up ha raggiunto oggi periodi di 10 anni (l’EVLA fu riconosciuta ufficialmente dalla FDA nel 2001); e via via le numerose esperienze stanno raggiungendo il tempo necessario di validazione superiore a 3-5 anni, quanto la numerosità casistica. In generale, si riscontrano poche controindicazioni specifiche legate alla morfologia o al diametro della vena da trattare. In tal senso la relativa semplicità della procedura di cateterismo venoso e conduzione del trattamento endovascolare da parte dell’operatore manifesta apparentemente una bassa incidenza di difficoltà procedurali o di incidenti intraoperatori, che viceversa, senza accurata visione critica della procedura stessa, possono andare a inficiare i risultati a distanza, ad aumentare le complicanze a breve termine, e pertanto a danneggiare l’immagine del trattamento endovascolare rispetto alle presunte certezze di una chirurgia dello stripping, centenaria. Si motivano così casi di mancata obliterazione del vaso a diversi livelli (iuxta-giunzionale o tronculari), rare trombosi venose profonde, rarissime ustioni cutanee, parestesie, tutti eventi riconducibili a possibili, quanto prevenibili, errori tecnici. Indici significativi ed esclusivi della scelta all’indicazione chirurgica appropriata al singolo paziente – quali sintomi, segni, indice di gravità, soddisfazione del paziente e/o del chirurgo, rilevamento della qualità di vita e sul piano oggettivo con eco-doppler – , possono alterare il risultato a distanza. Certamente, non un unico trattamento è appropriato per tutti i pazienti, per tutti i pattern di reflusso venoso e per tutte le situazioni. L’insieme dei seguenti targets dovrebbe essere sempre preso in considerazione per la corretta fattibilità di un’EVLA: a. eliminazione delle varici; b. correzione dell’emodinamica; c. soddisfazione del paziente; d. miglioramento estetico; e. riduzione delle complicanze e delle recidive; f. miglioramento nello score clinico (VCSS) CEAP (in particolare per una più rapida guarigione delle ulcere cutanee); g. riduzione dei costi diretti (SSN) e indiretti (privati; rapido ritorno alle proprie attività). Conclusioni Gli eccellenti risultati sul piano clinico e nella correlazione tra risultati controllati con l’eco-doppler ed esame cli- Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 AGUS nico in follow-up ormai a media e lunga distanza, riscontrabili in review e meta-analisi, mostrano un cospicuo numero di elementi che validano la procedura endovascolare fisica, con particolari prospettive di implementazione dei risultati grazie al progredire tecnologico. Questi hanno portato le società scientifiche nordamericane SVS e AVF a proporre la RF e l’EVLA come nuovo gold standard con grading di Raccomandazione 1B. Bibliografia 1. Perrin M. Traitement endoluminal des varices des members inférieurs par laser endoveineux et radiofréquence. Revue de la littérature au 1er mars 2004. Phlébologie 2004;57:12533. 2. Agus GB Chirurgia delle varici. Un osservatorio italiano. EDRA Ed, Milano 2006. 3. Agus GB, Mancini S, Magi G for the IEWG The first 1000 cases of Italian Endovenous-laser Working Group (IEWG). Rationale, and long-term outcomes for the 1999-2003 period. Int Angiol 2006;25:209-15. 4. Kontothanassis D, Di Mitri R, Ferrari Ruffino S et al. for the IEWG Group Endovenous thermal ablation. Standardization of laser energy : literature review and personal experience. Int Angiol 2007;26:183-8. 5. Kontothanassis D, Di Mitri R, Labropoulos et al. (IEWG) Endovenous laser treatment of the small saphenous vein. J Vasc Surg 2009;49:973-9. 6. Magi G, Agus GB et al. Long-term results of endovenous laser treatment of saphenous and perforators reflux in cases of venous leg ulcers. Acta Phlebologica 2009;10:17-22. 7. van den Bos R, Arends L, Kockaert M, Neumann M, Nijsten T Endovenous therapies of lower extremity varicosities: A meta-analysis. J Vasc Surg 2009;49:230-9. 8. Leopardi D, Hoggan BL, Fitridge RA et al. Systematic Review of treatments for varicose veins. Ann Vasc Surg 2009;23: 264276. 9. Brar R, Nordon IM, Hinchliffe RJ et al. Surgical management of varicose veins: Meta-anaysis. Vascular 2010;18:205-220. 10. Mowatt-Larssen E, Shortell C. Truncal vein ablation for laser: radial firing at high wavelength is the key ? J Vasc Endovasc Surg 2010;7:217-23. 11. Agus GB, Bavera PM, Domanin M, Santuari D. The hypothetical risk of deep venous thrombosis (DVT) in endovenous laser treatment (ELT) of chronic venous insufficiency. Int Angiol 2010;29(Suppl 2 to No 2):17. 12. Spreafico G, Kabnick L, Berland TL et al. for the IEWG Laser saphenous ablation in more than 1,000 limbs with long-term duplex examination follow-up. Ann Vasc Surg 2011;25:71-78. 13. Gloviczki P, Anthony J. Comerota AJ, Michael C. Dalsing MC, Eklof BG et al. The care of patients with varicose veins and associated chronic venous diseases: Clinical practice guidelines of the Society for Vascular Surgery and the American Venous Forum. J Vasc Surg 2011; 53:2S-48S. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 169 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 170 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):170-2 La legatura sottofasciale delle perforanti S. VENOSI Il trattamento chirurgico dell’ulcera varicosa e ancor più di quella post-flebitica, ha rappresentato sempre un problema di difficile risoluzione per il chirurgo vascolare. Lo scopo del nostro lavoro è quello di valutare quali siano le indicazioni più idonee a questo tipo di intervento, quali siano le metodiche diagnostiche più valide per la scelta dei pazienti e quali i risultati a breve e medio termine di una tecnica innovativa qual è la legatura endoscopica sottofasciale delle vene perforanti (SEPS). Materiali e metodi In questo studio sono stati presi in considerazione 18 pazienti: 14 di sesso femminile e 4 maschile, di età compresa fra 32 e 61 anni. Dal punto di vista clinico i pazienti erano così suddivisi: 4 appartenevano alla classe C2, 2 alla C3, 6 alla C4, 3 alla C5 e 3 alla C6 (C1: Teleangectasie o reticoli venosi; C2: Teleangectasie o reticoli venosi; C3: Edema senza alterazioni cutanee; C4: Alterazioni cutanee (pigmentazione, eczema, lipodermato, sclerosi); C5: Ulcera guarita con alterazioni cutanee; C6: Ulcera attiva con alterazioni cutanee). La selezione di questi pazienti, da sottoporre all'intervento chirurgico di SEPS è stata posta oltre che sulla base del reperto clinico di ulcere cutanee (3), pregresse lesioni già guarite (3), gravi distrofie e pigmentazione cutanea (6), anche sul reperto diagnostico strumentale pre-operatorio di vene perforanti di gamba chiaramente insufficienti e responsabili di edemi e varicosità. Lo studio pre-operatorio, è stato effettuato in tutti i casi mediante Eco Color-Doppler (ECD). Particolare attenzione è stata posta al reperto di vene perforanti insufficienti a livello di gamba. Oltre all'incontinenza delle vene perforanti, riscontrate in numero variabile da 2 a 5 per paziente, l'ECD ha consentito di evidenziare un reflusso safeno-femorale in 6 casi (C2-C3) ed un reflusso safeno-popliteo in un caso (C4). L'intervento chirurgico è stato preceduto da un mappaggio delle perforanti e degli eventuali gavoccioli varicosi presenti. Nei 7 pazienti con insufficienza safeno-femorale (6) e safeno-poplitea (1) è stato associato alla SEPS uno stripping della grande o della piccola safena. In nessun caso è stata effettuata l'ischemizzazione temporanea dell'arto durante la SEPS. 170 Chirurgia Vascolare A, Policlinico Umberto I, Università degli Studi “La Sapienza”, Roma Nella nostra esperienza, abbiamo utilizzato un dissettore del tipo GSI Spacemaker®, introdotto grazie ad un’incisione cutanea di 10-12 mm condotta sulla superficie mediale di gamba, quattro dita trasverse al disotto dell’interlinea articolare del ginocchio. La dissezione è stata dapprima realizzata gonfiando il palloncino con una quantità determinata di soluzione fisiologica (in media 240 cc) e lasciandolo in sede per circa 2 minuti, in seguito mantenuta grazie all’insufflazione continua di CO2 alla pressione di 15 mmHg. Dopo la creazione di uno spazio sottofasciale, si è introdotto il trocar e l’endoscopio da 10 mm e, sotto visione endoscopica diretta, è stato possibile praticare una seconda incisione di 10 mm e introdurre un altro trocar per lo strumentario. Le perforanti così visualizzate sono state legate con clips metalliche da 5 mm ed infine sezionate. Questo tempo chirurgico è stato eseguito sempre per primo nei casi in cui è stato associato a stripping e/o varicectomia. Le perforanti più frequentemente interrotte sono state la Cockett I e II. La perforante retromalleolare è stata interrotta in soli 2 casi. È stato sempre effettuato un bendaggio elasto-compressivo post-operatorio, protratto per almeno 6 settimane nei pazienti appartenenti alle classi C4, C5 e C6 (12 pazienti) e associato a profilassi della TVP con eparina a basso peso molecolare per 30 giorni (Clexane ® 4000 UI aXa/die). La degenza media è stata di 3 giorni per i pazienti delle classi C2 e C3 (6) e 5 giorni per i pazienti delle classi C4, C5 e C6 (12). Risultati Non sono state osservate complicanze nell’immediato periodo post-operatorio, tranne un ematoma di coscia di modesta entità in un paziente sottoposto a stripping della vena grande safena. In un follow-up variabile fra 3 e 18 mesi (follow-up medio a 6 mesi) tutti i pazienti sono stati MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 171 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA LEGATURA SOTTOFASCIALE DELLE PERFORANTI VENOSI piezza dell’ulcera pari al 60%. In tutti i casi inoltre i pazienti hanno riferito un miglioramento della sintomatologia soggettiva, caratterizzata da dolore, parestesie, senso di peso, crampi e claudicatio venosa. Nei pazienti con ulcera guarita inoltre, a distanza di 6 e 9 mesi, non sono state osservate recidive dell’ulcera stessa. Discussione Figura 1. – Inserimento del trocar nello spazio sottofasciale (A), gonfiaggio del palloncino (B), ispezione dello spazio (C), legatura e sezione della vena perforante (D). controllati periodicamente mediante esame clinico ed ECD. Nei 6 pazienti appartenenti alle classi C2 e C3, sia l’esame clinico che l’esame ECD non hanno evidenziato varici residue e/o recidive, né reflussi patologici. Nei rimanenti 12 pazienti (classi C4, C5 e C6) all’esame clinico, è stato osservato un miglioramento obiettivo, consistente in una riduzione dell’edema perimalleolare. Nei 3 pazienti con ulcera attiva è stato possibile osservare in 2 casi una cicatrizzazione dell’ulcera a distanza rispettivamente di 45 e 60 giorni. Nel restante paziente è stata osservata, a distanza di 3 mesi, una riduzione dell’amVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 L’obiettivo della SEPS è quello di migliorare le conseguenze fisiopatologiche e cliniche dell’insufficienza delle vene perforanti di gamba. Come emerge dalla letteratura, l’incontinenza di queste vene è associata molto spesso sia all’insufficienza venosa del circolo superficiale, sia alla sindrome post-flebitica, che molto spesso si manifesta clinicamente con la comparsa di gravi ulcere venose e distrofie cutanee del III inferiore di gamba. Le problematiche da noi incontrate riguardano: la selezione dei pazienti e quindi la diagnostica, la tecnica chirurgica in sé ed i risultati ottenuti. Per quanto riguarda la selezione dei pazienti, questa è avvenuta principalmente sulla base dell’esame clinico associato all’ECD. L’indicazione principale è stata posta nei pazienti appartenenti alle classi C4, C5 e C6, ma la relativa semplicità della metodica ed i primi risultati ottenuti, ci hanno indotto ad ampliare le indicazioni, utilizzando la SEPS anche in alcuni casi di pazienti appartenenti alle classi C2 e C3, nei quali tale procedura è stata associata al normale intervento programmato di stripping e/o varicectomia. Dalla nostra esperienza emerge come l’ECD, se utilizzato da operatori esperti, presenta un’elevatissima attendibilità nel riscontro delle vene perforanti incontinenti. Relativamente alla tecnica chirurgica, abbiamo potuto constatare come questa sia di semplice applicazione e non richieda particolari attitudini. Molto importante, nella prima fase dell’intervento, è l’esatta localizzazione della fascia muscolare che consente la sicura introduzione del dissettore all’interno della loggia sottofasciale. Un eventuale errore nel posizionamento del dissettore, ad esempio nel tessuto sottocutaneo, comprometterebbe infatti l’intera procedura. La dissezione delle vene perforanti I e II di Cockett o di altre più prossimali è risultata sempre molto agevole, pur richiedendo una certa manualità “endoscopica”. L’interruzione delle perforanti mediante clips metalliche e la loro sezione risulta semplice ed esente da rischi e complicanze. Taluni Autori hanno suggerito comunque l’utilizzo di altri sistemi quali la coagulazione delle perforanti o la loro interruzione con apparecchi ad ultrasuoni (Ultracision®). Tali tecniche avrebbero lo scopo di abbreviare i tempi dell’intervento. A fronte di un sia pur minimo rischio di complicanze trombotiche, arteriose o venose, ed anche in relazione al fatto che secondo la nostra casistica non abbiamo mai osservato sanguinamenti significativi, riteniamo che tale procedura possa essere evitata. Nei casi in cui la SEPS è stata associata agli interventi di stripping e/o varicectomia è stato possibile ridurre il numero delle incisioni cutanee normalmente utilizzate per una legatura selettiva soprafasciale, ed in ogni caso, non sono state osservate complicanze aggiuntive di alcun genere. Riguardo al timing chirurgico, nei casi in cui la SEPS sia associata allo stripping e alla varicectomia, riteniamo che debba essere in prima MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 171 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 172 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) VENOSI LA LEGATURA SOTTOFASCIALE DELLE PERFORANTI istanza preparata e interrotta la grande safena allo sbocco e posizionata la sonda dello stripper; successivamente è opportuno eseguire la SEPS e quindi come ultimo tempo lo stripping e la varicectomia. Taluni Autori riportano casi di flebite superficiale e/o di TVP, sebbene con un’incidenza molto limitata; ulteriori complicanze riferibili alla SEPS, ma anche ad altri tipi di trattamento chirurgico, possono essere la panniculite, l’ematoma, l’infezione delle ferite chirurgiche. L’analisi dei risultati della nostra esperienza dimostra come la SEPS sia un intervento efficace sia nel trattamento dell’insufficienza delle perforanti in pazienti con sindrome varicosa, sia soprattutto nei casi di grave flebostasi conseguente a fenomeni post-flebitici. Il miglioramento del quadro clinico, sia soggettivo che obiettivo osservato nei nostri pazienti, testimonia come il traguardo della riduzione della pressione ortostatica nelle sedi critiche venga raggiunto facilmente con questa procedura ed emerge chiaramente come l’interruzione delle perforanti favorisca e acceleri in maniera significativa la guarigione delle ulcere. Appare evidente come il raggiungimento di risultati positivi sia correlato, oltre che ad una corretta indicazione, anche ad un’attenta tecnica operatoria. Grande importanza riveste inoltre l’associazione di una terapia farmacologica con eparina a basso peso molecolare e di una terapia fisica elasto-compressiva. Un’ulteriore problematica è rappresentata dai costi di gestione dei pazienti considerati; sebbene l’applicazione 172 della SEPS con le modalità da noi descritte comporti una spesa aggiuntiva, è pur vero che l’abbreviazione dei tempi di degenza così come il miglioramento clinico dei pazienti trattati rappresentano uno stimolo ed un incentivo a proseguire e ad estendere le indicazioni di questa procedura. Bibliografia 1. Dodd H. The diagnosis and ligation of incompetent perforating veins. Ann R Coll Surg Engl 1964;34:186-96. 2. Glovizcki P, Bergan JJ, Menawat SS et al. Safety, feasibility and early efficacy of subfascial endoscopic perforator surgery: a preliminary report from North American registry. J Vasc Surg 1997;25:94-105. 3. Sato DT, Goff cd, Gregory RT et al. Subfascial perforator vein ablation: comparison of open versus endoscopic techniques. J Endovasc Surg 1999;6:147-54. 4. Rhodes JM, Gloviczki P, Canton L, Heaser TV and Rooke TW. Endoscopic perforator vein division with ablation of superficial reflux improves venous hemodynamics. J Vasc Surg 1998;28:839-47. 5. Stuart WP, Adam DJ, Allan PL, Rouckley CV, Bradbury AW. Saphenous surgery does not correct perforator incompetence in the presence of deep venous reflux. J Vasc Surg 1998; 28:834-8. 6. Iafrati MD, Welch HJ, O’Donnel TF Jr. Subfascial endoscopic perforator ligation: an analysis of early clinical outcomes and cost. J Vasc Surg 1997;25:995-1000. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 173 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):173-4 La scleroterapia ecoguidata con schiuma nel trattamento delle varici degli arti inferiori: risultati dopo 5 anni di attività M. GALLUCCI Materiali e metodi Az. Ospedaliera San Giovanni Addolorata, Roma In questo studio abbiamo voluto valutare l’efficacia e la sicurezza della scleroterapia con schiuma in un’ampia e ben rappresentata tipologia di varici di medio e grosso calibro degli arti inferiori, (varici primitive della GS e PS, varici recidive,varici extrasafeniche e varici tributarie safeniche) in pazienti con stadio clinico compreso tra C2 e C6, di cui si riportano i risultati (follow-up medio 26 mesi). Tutti i pazienti prima del trattamento sono stati sottoposti ad un attento esame clinico ed ecocolordoppler per la valutazione dello stadio clinico CEAP, dei calibri e dei reflussi valvolari safenici, e per ognuno è stato compilato il questionario Venous Clinical Severity Score per la gravità clinica. Oltre ad una valutazione di efficacia della tecnica in senso generale, grazie all’eterogeneità del campione trattato sia per quanto riguarda l’età (36-84) che per quanto riguarda il decorso, il calibro, la sede e l’etiologia delle varici, si è sottoposto l’intero campione trattato ad indagine statistica per individuare se vi fosse una differente risposta terapeutica tra i vari gruppi di pazienti ed in particolare fra quelli numericamente piu’ rappresentativi : varici primitive della GS e varici recidive ad intervento di stripping,ed in particolare all’interno del gruppo delle GS se vi fossero differenti risultati in relazione al calibro safenico, e alla sede di reflusso valvolare presente (valvola preterminale, terminale o sopragiunzionale ecc.). Risultati Per i criteri di valutazione dei risultati si è fatto riferimento al 2 nd European Consensus Meeting on Foam Slerotherapy 1. Complessivamente si è ottenuto il successo totale nel 78,5% dei casi trattati, successo parziale nel 16,1% e insuccesso nel 5,4%. Per il trattamento della GS, lo score clinico(VCSS) è migliorato maggiormente nel gruppo con reflusso sulla valvola preterminale (-84,7%) rispetto al gruppo con reflusso/ assenza della valvola femorale sopragiunzionale (-72,8%) P=0,015. Il successo totale per quanto riguarda le varici recidive è stato del 70,5% mentre per il gruppo varici extrasafeniche dell’85,6% P= 0.001. Nei 23 pazienti con ulcera si è ottenuta la guarigione nel Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 70,5% dei casi (3-6mesi) con rapida risoluzione del dolore ove presente. In un solo paziente diabetico (0,4%) abbiamo registrato un effetto collaterale sistemico maggiore rappresentato da linfangite e TVP iliaco femorale per neoplasia polmonare occulta. In 6 p. (2,78%) abbiamo registrato cefalea e in tre di queste anche disturbi visivi risoltisi spontaneamente in qualche ora. Conclusioni La terapia sclerosante con schiuma si èdimostrata nella nostra esperienza una terapia efficace, sicura e soprattutto di basso costo, attuabile in un’alta percentuale di pazienti affetti da varici. I risultati ottenuti sono quasi sempre buoni, a volte eccellenti, a patto che vi sia una giusta indicazione ed una corretta esecuzione della tecnica,(punto di iniezione, dosaggi, concentrazione del farmaco e n° di iniezioni sclerosanti). In particolare si ritiene che per ottenere una sclerosi completa e duratura, sia necessario ripetere a breve (15 giorni) l’iniezione sclerosante nello stesso tratto di varice quando questa non risulti completamente occlusa dal 1° trattamento. Il razionale di tale condotta terapeutica parte dalla convinzione che durante la 1° iniezione la vena reagirebbe con un forte vasospasmo difensivo, impedendo alla schiuma di agire sull’intera circonferenza del vaso, lasciando così indenne o quasi l’endotelio all’interno delle pieghe indotte dalla riduzione transitoria del calibro. La 2° iniezione avvenendo in condizioni di vasoparalisi avrebbe lo scopo di colmare questo deficit endoteliolesivo, favorendo cosi l’evoluzione del processo verso la fibrosi. Bibliografia 1. F.X.Breau et al. 2nd European Consensus Meeting on Foam Slerotherapy. VASA 2008 ; Supplement 71, February 2008. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 173 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 174 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) LA SCLEROTERAPIA ECOGUIDATA CON SCHIUMA NEL TRATTAMENTO DELLE VARICI DEGLI ARTI INFERIORI... 2. Cavezzi A. Frullini A. :The role of sclerosing foam in ultrasound guided sclerotherapy of the saphenous veins and of recurrent varicose veins: our personal experience. Australian and New Zeland J of Phlebology 1999;3:49-50. 3. Tessari L, Cavezzi A, Frullini A. Preliminary experience with a new sclerosing foam in the tratment of varicose veins Derm. Surg.2001;1:58-60. 174 GALLUCCI 4. Gallucci M, Antignani PL, Allegra C. La sclérotérapie à la mousse dans les varices des membres. 5. inférieus :2 notes de technique. Phlébologie 2010;4:1-6. 6. Gallucci M, Antignani PL, Allegra C. Qualité de vie après sclérothérapie échoguidée à la mousse chez des patients âgés atteints d’une IVC sévère et et invalidante. Phlèbologie 2011;64:28-34. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 175 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):175-7 Trattamento con radiofrequenze: esperienza personale P. BORTOLOTTI Le Radiofrequenze (RF) sono onde elettromagnetiche ad alta frequenza, 460 kHz, che vengono prodotte da una corrente bipolare, nel passaggio dall’elettrodo positivo a quello negativo e che, attraversando un tessuto, liberano in esso energia sotto forma di calore. Il sistema VNUS® ClosureFAST® è costituito da un generatore a RF (RFG2) e da un catetere intravascolare lungo 60 o 100 cm, di 7 French, compatibile con filo guida da 0,025, con un elettrodo in punta lungo 7 cm. La vena viene trattata lungo l’intera circonferenza in modo uniforme, senza la presenza di punti più caldi. L’effetto termico viene limitato a 1,5 mm di distanza rispetto agli elettrodi. Si ha un riscaldamento controllato e localizzato. Il calore fa contrarre il collagene della parete venosa, che così si chiude. All’esame istologico si riscontra un ispessimento della parete venosa per fibrosi subintimale, senza segni di flogosi e senza trombosi endoluminale. Materiali e metodi Dal maggio 2002 all’ottobre 2011 sono stati trattati 621 pazienti con RF, 253 con catetere Closure o ClosurePLUS, 368 con il catetere ClosureFAST, introdotto nel 2008. Tutti i pazienti sono stati studiati con ecocolordoppler (ECD) prima del trattamento (mappaggio) e dopo (controllo e follow up). I controlli ECD post trattamento sono stati effettuati tra 1 e 30 giorni, il follow up è stato eseguito con studio ECD a 3, 6 e 12 mesi. Tutti gli interventi e tutti i controlli sono stati eseguiti dalla stessa equipe medica. In tutti i pazienti è stato trattato il tronco safenico, anche nel tratto al di fuori dello sdoppiamento fasciale, quando questo si presentava in continuità con il segmento a monte compreso nello sdoppiamento fasciale; Nella maggioranza dei casi il trattamento è stato eseguito dal 1/3 superiore di gamba fino alla crosse safeno-femorale (subito a valle dello sbocco della v. epigastrica, a circa 2 cm. dalla crosse), in un numero minore di casi dal 1/3 inferiore di coscia e raramente dal malleolo alla crosse. Mai eseguita crossectomia. I rami collaterali sono stati trattati con varicectomia chirurgica o scleromousse nello stesso tempo (raramente) o a distanza (1-6 mesi). Nel 40% circa dei pazienti i collaterali vanno incontro a chiusura spontanea nel post trattamento e nell’88.7% subiscono una Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 UO. Chirurgia Generale, Lucca significativa riduzione di calibro. Indicazioni al trattamento con RF: - Safene insufficienti con reflusso lungo (dalla giunzione safeno-femorale) o misto (dalla giunzione e da perforanti), CEAP C2 o superiore. - Safene del diametro non inferiore a 3 mm. e non superiore a 12 mm. Controindicazioni relative: - Safene del diametro superiore a 12 mm. (rare) o con grossi gozzi varicosi. In questi casi per trattarle è sufficiente fare una abbondante tumescenza in modo da schiacciare la vena. - Safene tortuose o con gozzi varicosi eccentrici: si ricorre al filo guida per eseguire una completa cateterizzazione del vaso. - Safene superficiali (a 2-3 mm dalla cute): anche in questo caso si ricorre ad una abbondante tumescenza al fine di allontanare la vena dalla cute. - La presenza di perforanti safeniche (Dodd): in questo caso può essere necessario un trattamento prolungato (ripetizione del ciclo) nella sede della perforante. Controindicazione assoluta è la presenza di trombo nel segmento di vena da trattare, recente o pregresso (difficile dire quanto pregresso). Altre controindicazioni: la gravidanza e la limitata mobilità di pazienti anziani o defedati. Precauzioni da osservare nei pazienti con pacemaker, defibrillatore interno o altro device attivo impiantato: consultare il cardiologo o il produttore del device, fare un monitoraggio continuo del paziente durante la procedura e una valutazione del paziente e del device anche dopo la fine della procedura. Inoltre tenere sempre tutti i cavi e gli attacchi lontani dal pacemaker, defibrillatore o altro device attivo impiantato. Non esistono dati riguardanti l’uso di questo catetere in pazienti con documentata malattia periferica arteriosa. Dovrebbe essere posta la stessa attenzione come nella tradizionale procedura chirurgica di legatura e stripping. Nei primi 4 pazienti trattati è stata utilizzata una anestesia loco regionale, nei successivi 50 una anestesia locale con sedazione, in tutti gli altri MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 175 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 176 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) BORTOLOTTI TRATTAMENTO CON RADIOFREQUENZE: ESPERIENZA PERSONALE (567) una anestesia tumescente senza sedazione. Le miscele anestetiche utilizzate per l’anestesia tumescente sono state varie: in un primo tempo 20 ml di Ropivacaina 10% in 250 ml di soluzione fisiologica (SF), poi 10 ml di Lidocaina al 2% in SF fredda a 4°C; attualmente una miscela di 20 ml di Lidocaina 2% con Adrenalina 0.2 mg e 2 ml di Sodio Bicarbonato 8,4% in 500 di SF fredda a 4°C (Miscela di Klein). Tutte hanno funzionato bene, l’ultima ci è sembrato dare risultati migliori in termini di copertura anestetica e di quantità di ecchimosi postoperatorie da puntura. Per il trattamento con le radiofrequenze è necessario solo il digiuno, non sono necessarie la tricotomia, né la profilassi antibiotica, né la profilassi antitrombotica, né il bendaggio preventivo dell’arto sano. Il trattamento si effettua in ambulatorio di II livello accreditato. Durante il trattamento si esegue il lavaggio continuo del catetere e della vena con soluzione eparinata (1 ml di eparina sodica in 500 ml. di soluzione fisiologica). Il trattamento dura 30 minuti (di cui oltre 25’ per la preparazione e l’anestesia e 2-3’ di trattamento vero e proprio con radiofrequenze (7-10 cicli di 20”). Al termine viene fatta indossare una calza elastica (monocollant) di classe 2^, piede aperto. I pazienti vengono dimessi dopo 15’ e ritornano immediatamente alle loro normali attività. dioso indurimento lungo il decorso safenico e in 4 la comparsa di una pigmentazione. In 5 pazienti (ma probabilmente anche in numero maggiore) si è vista la comparsa di teleangectasie (matting). Le ecchimosi cutanee e qualche piccolo ematoma si sono riscontrati frequentemente, ma dalla rapida risoluzione (entro 1 mese). Questi sono dovuti alla rottura di piccoli vasi o di teleangectasie in corso di anestesia tumescente. In ultimo le flebiti, precoci o tardive, dei rami collaterali. Queste, a volte fastidiose, si riscontrano frequentemente e non sono da considerare complicanze ma piuttosto conseguenze del trattamento. Le vene tributarie della grande safena obliterata dalle radiofrequenze, sono soggette a chiusura spontanea, a meno che non scarichino il flusso in collaterali. Questo fenomeno a volte avviene con processo flebitico ed è responsabile dell’unico vero dolore o fastidio post trattamento, che il paziente quindi percepisce non sul tronco safenico, ma nella sede dei tributari interessati. E’ un dolore solitamente ben tollerato, raramente necessita di terapia antalgica e può essere prevenuto o limitato con l’uso precoce (già subito dopo il trattamento) di adeguata elastocompressione. Insorge solitamente non prima di 3-4 giorni dopo il trattamento, ma può manifestarsi anche dopo 2-3 mesi od oltre. Risultati Conclusioni Considerando come risultato ottimale la completa obliterazione del tratto safenico trattato, abbiamo avuto 597 successi (96%). In 24 pazienti (3.8%) si sono riscontrati 9 insuccessi completi (1.6%), tutti verificatisi prima del 2008 (anno di introduzione del catetere ClosureFAST), e 15 (2.4%) insuccessi parziali, cioè una vena safena pervia e refluente per almeno 10 cm. Gli insuccessi parziali in 12 pazienti sono stati riscontrati distalmente alla crosse, dovuti in 9 casi a collaterali o tributarie safeniche incontinenti o in 3 casi a perforanti incontinenti (Dodd). 3 insuccessi parziali sono stati riscontrati in sede prossimale, subito a valle della crosse, a causa di grossi collaterali di crosse incontinenti. I 24 pazienti sono stati sottoposti, con successo, in 2 casi a nuovo trattamento con RF, in 3 a crossectomia (reflusso parziale prossimale, dalla crosse) e in 6 a scleromousse eco guidata. I restanti 13 hanno rifiutato qualunque ulteriore trattamento perché asintomatici (reflusso strumentale). Il trattamento con RF della grande safena è una procedura caratterizzata da bassa incidenza di complicanze e tutte minori. Nella nostra casistica mai viste trombosi venose profonde (in letteratura un unico autore, Hingorani nel 2004, ne ha presentate 12), mai viste embolie polmonari, mai viste perforazioni vasali, nè infezioni. Il dolore nella sede di trattamento è infrequente, in 2 casi è stato segnalato nel trattamento lungo alla gamba, uno di questi è stato significativo. A volte il paziente riferisce un fastidio, ben tollerabile, che non ha compromesso le normali attività quotidiane. La maggioranza dei pazienti trattati non ha fatto uso di analgesici nel postoperatorio. In 2 pazienti si sono riscontrati i segni di ustione cutanea di I grado sul decorso safenico, con completa guarigione a 1 mese. Raramente sono state riferite parestesie cutanee: 4 casi di cui una permanente (a 1 anno), ma ben tollerata. In 5 casi si è osservato un fasti- L’obliterazione endovascolare della grande safena con radiofrequenze è una metodica sicura ed efficace, con la quale può essere trattata la maggioranza dei pazienti affetti da insufficienza della grande safena. E’ una metodica poco invasiva e può essere effettuata in ambulatorio attrezzato, con dimissione immediata e recupero postoperatorio rapido. Necessita di un approccio ecodoppler preciso e rigoroso. I pazienti hanno dimostrato molta soddisfazione per i risultati clinici ed estetici ottenuti. Se si considerano i costi relativi alla mancata ospedalizzazione dei pazienti (nemmeno in day surgery) e alla perdita delle giornate lavorative (minima), il trattamento con radiofrequenze consente un significativo risparmio per le Aziende sanitarie e per la società. 176 Bibliografia 1. Al Samaraee A, McCallum IJ, Mudawi A. Endovenous therapy of varicose veins: a better outcome than standard surgery? Surgeon. 2009;7:181-6. 2. Boros MJ, O’Brien SP, McLaren JT, Collins JT. High ligation of the saphenofemoral junction in endovenous obliteration of varicose veins. Vasc Endovascular Surg. 2008 Jun;42:235-8. Epub 2008 Jan 29. 3. Brown K, Moore CJ. Update on the Treatment of Saphenous Reflux: Laser, RFA, or Foam? Perspect Vasc Surg Endovasc Ther. 2009 Dec 16. [Epub ahead of print] 4. Chandler JG, Pichot O, Sessa C, et al. Defining the role of extended saphenofemoral junction ligation: a prospective comparative study. J Vasc Surg 2000 Nov;32(5):941-53. 5. Creton D, Pichot O, Sessa C. Radiofrequency-powered segmental thermal obliteration carried out with the ClosureFast procedure: results at 1 year. Ann Vasc Surg 2010 Jan 27. 6. Dietzek AM. Endovenous radiofrequency ablation for the treatment of varicose veins. Vascular. 2007;15:255-61. 7. Hingorani AP, Asher E, Markevich N, et al. Deep venus thrombosis after radiofrequency ablation of greater saphenous vein: a word of caution. J Vasc Surg 2004;40:500-4 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 177 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) TRATTAMENTO CON RADIOFREQUENZE: ESPERIENZA PERSONALE 8. Luebke T, Brunkwall J. Systematic review and meta-analysis of endovenous radiofrequency obliteration, endovenous laser therapy and foam sclerotherapy for primary varicosis.J Cardiovasc Surg (Torino) 2008;49:213-33. 9. Lurie F, Creton D, Eklof B, et al. Prospective randomized study of endovenous radiofrequency obliteration (Closure) versus ligation and vein stripping (EVOLVeS): two year follow up. Eur J Vasc Endovasc Surg 2005;29:67-73. 10. Merchant RF, Pichot O. Long term outcomes of endovenous radiofrequency obliteration of saphenous reflux as a treatment for superficial venous insufficiency. J Vasc Surg 2005; 42:502-9. 11. Monahan DL Can phlebectomy be deferred in the treatment of varicose veins? J Vasc Surg 2005;42:1145-9. 12. Nicolini P. Treatment of primary varicose veins by endovenous obliteration with the VNUS Closure system: results of a prospective multicentre study. Eur J Vasc Endovasc Surg 2005;29:433-9. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 BORTOLOTTI 13. Pannier F, Rabe E. Endovenous laser therapy and radiofrequency ablation of saphenous varicose veins. J Cardiovasc Surg 2006;47:3-8. 14. Pichot O, Kabnick LS, Creton D, et al. Duplex ultrasound scan findings two years after great saphenous vein radiofrequency endovenous obliteration. J Vasc Surg 2004;39:189-95. 15. Pisano IP, Pala C, Scognamillo F. et al. Endovenous radiofrequency obliteration of the saphenous vein in the treatment of venous insufficiency of lower legs. Ann Ital Chir 2008;79: 193-6. 16. Proebstle TM, Vago B, Alm J, et al. Treatment of the incompetent great saphenous vein by endovenous radiofrequency powered segmentalthermal ablation: first clinical experience. J Vasc Surg 2008;47:151-156. 17. Subramonia S, Lees T. Randomized clinical trial of radiofrequency ablation or conventional high ligation and stripping for great saphenous varicose veins. Br J Surg 2010;97:328-36. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 177 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 178 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):178-9 Clinica delle ulcere vascolari P.E. MOLLO, S. CHERUBINI, V. VENTURELLI Le ulcere cutanee costituiscono un ambito nosografico di rilevanza medico-sociale se correlate alla loro elevata incidenza, ai costi terapeutici ed assistenziali per la collettività ed alla perdita di giornate lavorative. L’aumento dell’aspettativa media di vita correla con un incremento della loro prevalenza, anche se la mancanza di studi su vasta scala ne rende conosciuta soltanto parzialmente la loro reale dimensione epidemiologica. Le lesioni cutanee degli arti inferiori a genesi vascolare sono tuttavia molteplici, da quelle primitivamente ischemiche che rappresentano gli stadi evolutivi dell’arteriopatia obliterante cronica periferica, a quelle secondarie alla stasi che caratterizza la sindrome clinica della malattia venosa cronica, a quelle a genesi mista, alle microangiopatiche diabetiche e non diabetiche, alle vasculitiche, alle sclerodermiche, alle linfatiche. Queste ultime spesso non vengono classificate come entità nosografica autonoma poiché il coinvolgimento del sistema linfatico si associa sovente alla malattia venosa cronica e ne costituisce una complicanza ed una condizione emodinamica evolutiva fortemente peggiorativa. Secondo una classificazione su base etiopatogenetica è possibile distinguere le ulcere da danno primitivo delle strutture vascolari (u. venose 70-80%, u. arteriose 15-25%, u. miste, u. microangiopatiche), da quelle da danno secondario (u. da pressione e da cause chimiche, fisiche e meccaniche, u. neuropatiche, u. infettive, u. metaboliche, u. ematologiche, u. neoplastiche, u. da grave deficit della pompa muscolare e da alterato appoggio plantare). Le lesioni ulcerative rappresentano sempre l’epifenomeno di una patologia di base che deve essere tempestivamente ricercata, correttamente riconosciuta e adeguatamente trattata per evitare risultati terapeutici insoddisfacenti o addirittura fallimentari. Occorre pertanto un inquadramento di tipo fisiopatologico ed una rigorosa metodologia diagnostica che, dopo il fondamentale momento dell’accurato ed attento ascolto anamnestico, utilizzi un percorso diagnostico clinico-strumentale improntato alla massima appropriatezza. L’approccio clinico-diagnostico si basa su quattro elementi fondamentali rappresentati dall’anamnesi, dall’esame clinico-morfologico della lesione ulcerativa e della cute perilesionale, dall’esame semeiologico vascolare e dalle 178 Servizio di Angiologia Medica, U.O.C. di Cardiologia, UTIC, P.O. Anagni ASL Frosinone indagini strumentali e di laboratorio utili per una conferma e per un definizione diagnostica. La raccolta accurata e completa dei dati anamnestici è il momento essenziale per una corretta diagnosi, talvolta sufficiente, già da sola, ad orientare verso il corretto indirizzo diagnostico. In particolare occorre chiedere al paziente vulnopatico modalità e tempi di insorgenza, l’ eventuale presenza di dolore e/o di parestesie e disestesie nonché di concomitanti condizioni peggiorative i segni ed i sintomi della lesione trofica stessa, i trattamenti contraccettivi e/o farmacologici pregressi o attuali, l’attività lavorativa, lo stile di vita, le abitudini igieniche, le condizioni economiche e sociali, la storia clinica remota e l’anamnesi familiare. Di estrema importanza l’esame clinico-morfologico della lesione ulcerativa e della cute perilesionale, che dovrà essere accurato e indirizzato alla valutazione delle dimensioni e della profondità (parametri correlati al grado di sofferenza tessutale), della forma, del numero e della sede (sovente tipica per alcuni tipi di lesione come la localizzazione sovramalleolare per le ulcere flebostatiche e quella acrale per le lesioni a genesi ischemica). Non meno importante l’esame del fondo e dei bordi, utile oltreché per la conferma diagnostica anche per la scelta della opzione terapeutica ottimale e del trattamento topico piu’ appropriato. La costante osservazione del fondo e dei bordi risulta determinante anche per una adeguata valutazione del decorso e dei tempi di guarigione della lesione stessa. Essenziale appare anche l’esame della cute circostante, poiché da esso derivano fondamentali informazioni sulla natura, sulla storia clinica e sulla evoluzione del quadro. La presenza di fibrosi cutanea, di dermo-ipodermite siderinica e di aree di “atrophie blanche” orientano per una genesi venosa, mentre la presenza di formazioni papillomatose o verrucose su cute edematosa e di aspetto “lattescente” depongono per una natura linfatica. Una cuta pallida, con marcate manifestazioni distrofiche a carico degli annessi, eventualmente MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 179 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) CLINICA DELLE ULCERE VASCOLARI MOLLO associate a onicodistrofie attesta la natura ischemica dell’ulcera. Nel percorso clinico del paziente con ulcera vascolare particolare rilievo assume il corretto esame semeiologico vascolare, fondato sul riscontro di varici clinicamente evidenti, sull’esame dei polsi arteriosi ai comuni punti di repere, sulla eventuale presenza di soffi e/o di fremiti, sulla misurazione circonferenziale degli arti e sulla loro comparazione volumetrica. L’eventuale comparsa di edema mono- o bilaterale, la presenza del segno della “fovea”, la scomparsa delle normali incisure retromalleolari e della salienza del tendine di Achille con positività del segno di Stemmer (segno patognomonico del linfedema) costituiscono preziosi elementi di valutazione clinica per la conferma o l’esclusione di precisi quadri clinici e per la loro diagnosi differenziale. La corretta gestione clinica del paziente con ulcera vascolare si completa con un approccio diagnostico strumentale che, tenendo conto della estrema diffusione di questa patologia e del conseguente aggravio in termini di spesa sulla collettività, non può non indurre comportamenti razionali ed appropriati nel ricorso alle procedure strumentali stesse, individuando due livelli sequenziali. Tra le indagini di I livello un ruolo fondamentale è affidato alla diagnostica strumentale non invasiva ad ultrasuoni ( esame doppler ad onda continua, ecodoppler ed ecocolordoppler , metodiche di studio non invasive, di basso costo e facilmente ripetibili). Di grande utilità l’esame doppler ad onda continua per la sua facilità di esecuzione, consente, attraverso il rilievo dell’A.B.I. e la misurazione comparata delle pressioni arteriose distrettuali degli arti, una immediata discriminazione dei pazienti arteriopatici ed attraverso il riscontro delle pressioni venose in clino- ed ortostatismo e dopo ortodinamismo la conferma di quadri di patologia venosa cronica. Tra gli esami di I livello vanno inclusi naturalmente l’ecocolordoppler per lo studio dei distretti arterioso e venoso degli arti , le indagini pletismografi che, anche se progressivamente desuete, risultano utili a fornire indicazioni in ambito venoso, il rilievo della tensione transcutanea di ossigeno (TcPO2) , il Laserdoppler, la capillaroscopia. Gli esami di II livello raggruppano una serie di indagini alle quali occorre far ricorso nel sospetto clinico-anamnestico di polidistrettualità e/o di patologie associate (sistemiche, neoplastiche, internistiche). Sovente la gestione di tali pazienti richiede un approccio trasversale di tipo multidisciplinare con la collaborazione del chirurgo vascolare dell’internista , dell’ematologo, del reumatologo, dell’infettivologo dell’angioradiologo ecc.). In questi casi può essere necessario il ricorso ad indagini diagnostiche per immagini (TAC, RMN, indagini angiografiche, TC spirale Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 con ricostruzione tridimensionale), ad esami neurofisiopatologici (test di sensibilità, esami elettromiografici, potenziali evocati), ad indagini ecografiche (ecocardiografia, studio dell’aorta addominale, cavi politei ecc.). Infine un cenno al supporto del laboratorio di patologia clinica per le necessarie indagini microbiologiche ed istopatologiche. In particolare l’esame colturale (integrato dall’antibiogramma) indicato quando si rilevano segni clinici di infezione batterica della lesione ulcerativa o dei tessuti perilesionali e la biopsia con l’esame istologico nei casi in cui vi sia il fondato sospetto di quadri vasculitici, di pioderma gangrenoso ovvero si sospetti, a causa di un eccessivo ritardo del processo di guarigione o per una ingiustificata estensione, una possibile trasformazione neoplastica della lesione. Conclusioni Le ulcere vascolari rappresentano una patologia di elevato rilievo clinico e medico-sociale con notevole riverbero in ambito economico e costituiscono l’epifenomeno di differenti alterazioni circolatorie dei distretti arteriosi, venosi, linfatici e microcircolatori, con differente livello di gravità e sovente associate. Risulta pertanto di estrema importanza, per poter instaurare un adeguato trattamento terapeutico, la corretta gestione clinica del paziente con ulcera vascolare mediante l’inquadramento di un percorso diagnostico rapido ed efficace che risponda a criteri di accuratezza anamnestica ed appropriatezza clinico-strumentale nel rispetto delle attuali esigenze della moderna medicina basata sulle evidenze. Da non sottovalutare il contributo della valutazione e della gestione interdisciplinare del paziente con lesione ulcerativa degli arti inferiori, alla luce del progressivo miglioramento dei tempi di guarigione conseguiti in questi ultimi anni nei laboratori vascolari ed a letto dei pazienti trattati a domicilio. Il percorso clinico sopra evidenziato risulta assolutamente ineludibile per il corretto inquadramento della lesione cutanea e per il conseguente appropriato trattamento terapeutico sia generale che locale e per l’utilizzo delle nuove e diverse proposte terapeutiche messe a disposizione dalla tecnologia e dall’industria. Bibliografia 1. Bonadeo P, Gotti A, Esposito A et al. Classificazione e clinica delle ulcere vascolari degli arti inferiori. In: Monti M. L’ulcera cutanea. Springer. Milano, 2000. 2. Guarnera G, Papi M. L’ulcera cutanea degli arti inferiori, II Ed. Monti Saronno, 2000. 3. Guarnera G. Le ulcere vascolari degli arti inferiori. Momento Medico, 2011. 4. Mancini S. Manuale di Flebologia, Laris Ed., 2009. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 179 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 180 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):180-1 Approccio clinico con simulazione al paziente con ulcera agli arti inferiori A. CRESPI Il processo di diagnosi identifica una malattia o una condizione medica dai segni e dai sintomi presentati dal paziente e attraverso eventuali esami effettuati. Per potere trattare efficacemente i pazienti con ferite, il processo diagnostico deve: Novara Figura 1. – Sintesi delle procedure diagnostiche nella gestione delle ferite. 180 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 181 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) APPROCCIO CLINICO CON SIMULAZIONE AL PAZIENTE CON ULCERA AGLI ARTI INFERIORI – determinare la causa della ferita; – identificare eventuali comorbilità/complicazioni che possano contribuire alla formazione della ferita o al ritardo della guarigione; – valutare lo status della ferita; – contribuire allo sviluppo del piano di gestione della ferita. Una volta attuato il piano di gestione, la ripetizione dei vari punti del processo di diagnosi e valutazione, ad esempio una rivalutazione e la ripetizione degli esami, può contribuire a monitorare il progresso della guarigione della ferita ed a rilevare eventuali complicazioni quali Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 CRESPI un’infezione (Figura 1). Una nuova valutazione può anche suggerire la necessità di eseguire esami diversi e/o di rivedere il piano di gestione della ferita. Nella diagnosi e nella valutazione di una ferita, è molto importante che i medici si assicurino che la valutazione complessiva consideri tutti gli aspetti relativi sia al paziente sia alla ferita. Bibliografia 1. World Union of Wound Healing Societies (WUWHS). Principi di best practice: La diagnostica e le ferite. Documento di consenso. Londra: MEP Ltd, 2008. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 181 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 182 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):182-3 L’importanza della cute perilesionale O. FORMA L’organismo umano è in grado di guarire le lesioni cutanee con le proprie forze, tuttavia questa capacità è soggetta a variazioni individuali: la rapidità e la qualità di guarigione dipendono dallo stato di salute generale dell’organismo colpito e dalla genesi della lesione stessa. Esistono dei fattori locali e generali che possono andare ad influire sull’andamento della lesione rallentandone la guarigione. In risposta ad una lesione cutanea acuta si attiva un processo riparativo ben orchestrato con eventi e passaggi ben definiti dal punto di vista temporale che portano al ripristino di una integrità anatomica e funzionale. Nelle lesioni croniche il processo è prolungato ed incompleto e procede in maniera scoordinata con risultati spesso insoddisfacenti dal punto di vista anatomico e funzionale. Tutta una serie elementi diversificano l’evoluzione dell’ulcera cronica da quella acuta innanzitutto per la persistenza della condizione infiammatoria. Dal punto di vista fisiopatologico tutta una serie di fattori favoriscono una cronicizzazione dell’ulcera a partire dalle condizioni più comuni come il diabete, l’insufficienza renale cronica, l’ischemia periferica, l’insufficienza venosa, il linfedema, le lesioni da decubito o i deficit di vitamine e sali minerali fino ad arrivare alle meno frequenti come quelle da chemioterapici o da terapia radiante. Altre condizioni locali possono tendere a peggiorare una lesione quali ad esempio la presenza di una sovrapposizione infettiva o la persistenza di una condizione di ischemia o di sovraccarico pressorio. Nelle lesioni croniche la persistenza della condizione infiammatoria genera una cascata di risposte che perpetuano lo stato di “non guarigione”. La cute perilesionale rappresenta un parametro fondamentale per una gestione corretta ed efficace dell’ulcera; il saper valutare e gestire la cute e la cute perilesionale, permette di affrontare in modo corretto l’ulcera. L’esposizione continua a stimoli flogistici è la normalità per la cute e la spiegazione la troviamo nella sua struttura, nel tipo di innervazione e la sua vascolarizzazione. La reattività della cute dipende soprattutto dal comportamento dei vasi che è modulata dall’integrità dell’innervazione sensitiva locale, dalla reattività dell’endotelio, dall’aggregazione piastrinica, dai fattori della coagulazione. 182 Servizio Infermieristico di Vulnologia, Ospedale S. Raffaele, Milano Tutti questi fattori sono influenzati da differenze genetiche, dall’età, dallo stile di vita, dalla dieta, dalle infezioni virali e batteriche sistemiche e anche locali. L’analisi di tutte queste variabili è sempre necessaria per valutare la patogenesi dei processi flogistici cutanei ed intervenire rimuovendone le cause piuttosto che semplicemente sedare l’infiammazione con farmaci aspecifici. Lo studio della permeabilità epidermica è di fondamentale importanza per poter riuscire a comprendere e predire il comportamento delle varie sostanze (farmaci, antisettici, creme, medicazioni, ecc.) analizzando la loro liberazione sia a livello locale, cioè a livello dermico, sia a livello generale, cioè a livello transdermico ; lo strato corneo viene considerato comunemente come la barriera principale che si oppone al trasporto delle sostanze invece con” lo studio su modelli della permeabilità dell’epidermide”, si è dimostrato che non è lo strato corneo ma bensì il sistema dermo-epidermico che può limitare la velocità di diffusione di qualsiasi sostanza si utilizzi a livello locale. Quindi la valutazione della cute perilesionale è utile ai fini terapeutici in quanto permette di distinguere problematiche inerenti alla lesione da quelle scatenate dall’utilizzo di materiali non tollerati o utilizzati in modo improprio. La presenza di macerazione, di piccole erosioni sparse, presenza di margine netto esterno sulla cute perilesionale, frequentemente rappresentano una problematica da terapia topica; l’intolleranza alla garza, al cerotto, alla medicazione di nuova generazione adesiva, all’argento, ecc. può arrivare a manifestarsi con un vero e proprio eczema. La dermatite è sempre fonte di ulteriori problemi per il paziente in quanto facilmente le erosioni si infettano e si complica l’evoluzione della lesione stessa. Ovviamente i particolari si notano solo se prima facciamo una valutazione complessiva di tutta l’area e poi affrontia- MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 183 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) L’IMPORTANZA DELLA CUTE PERILESIONALE FORMA mo settore per settore tutta la cute perilesionale partendo dall’esterno fino ad arrivare al margine della lesione analizzando così tutte le caratteristiche più peculiari. È certo che la scelta e le tecniche di esecuzione delle medicazioni, nonché dei bendaggi, possono creare problematiche alla cute perilesionale: Il – l’azione degli idrogeli; – l’argento e i residui sul fondo della lesione e sulla cute perilesionale; – le soluzioni coloranti e antisettiche; – i poliuretani (con additivi e conservanti); – le tecniche di rimozione delle medicazione; – l’adesività di cerotti e medicazioni avanzate; – i bendaggi. Un’analisi della letteratura evidenzia che a tutt’oggi gli approcci di prevenzione e di cura delle lesioni e della cute perilesionale sono disomogenei e molte volte si osserva una assoluta mancanza di uniformità nei comportamenti assistenziali, terapeutici e diagnostici. Le varie figure professionali coinvolte e l’ampia disponibilità di Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 ausili e presidi reperibili sul mercato, incrementano una difformità di approccio con conseguenze dolorose per il soggetto che si trova a rischio di complicanze; una adeguata valutazione del soggetto ed un corretto approccio preventivo e/o curativo svolgono un ruolo determinante nella salvaguardia dell’integrità cutanea favorendo in questo modo la qualità di vita per il paziente, la qualità della prestazione erogata, fino alla guarigione della lesione. Bibliografia 1. L’ulcera cutanea. Approccio multidisciplinare alla diagnosi ed al trattamento. Marcello Monti. Sprinter Milano 2000. 2. L’ulcera cutanea degli arti inferiori. Giorgio Guarnera e Massimo Papi 2° edizione. Monti Edizione 2000. 3. Classifications for wound bed preparation aqnd stimulation of cronic wounds. Vincent Falanga. Wound Repair Reger 2000. 4. Ulcerazione e cicatrizzazione cutanea. Editor Torello M.Lotti. UTET 2005. 5. Ulcerazione e cicatrizzazione cutanea nuovi concetti e terapie. Torello M. Lotti. UTET 2005. 6. Il paziente ipomobile. Dalla cute sana all’ulcera. Ornella Forma e Primo Lui. Mattioli 2006. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 183 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 184 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):184 La gestione infermieristica domiciliare della persona amputata A. LOMBARDI Oggi, il 70% delle amputazioni sono causate da malattie vascolari ed infettive (61-70 anni), il 22% da traumi (21-30 anni) come incidenti stradali o domestici, il 5% da tumori (11-20 anni) ed il 3% da malformazioni congenite. Delle patologie che causano amputazione, le malattie vascolari sono le più comuni, queste malattie limitano il flusso arterioso del sangue agli arti inferiori, causano ulcere gangrene che possono condurre all’amputazione. Il diabete è un’altra causa comune di perdita degli arti. Le complicanze del diabete diminuiscono la circolazione e la sensibilità degli arti. Si formano ulcere e infezioni che possono condurre all’amputazione. L’amputazione, di per sé, è un evento drammatico che menoma l’immagine della persona manifestandosi come qualcosa che si è perduta, e come tale comporta per l’individuo una serie di reazioni diverse, dipendenti sia dalla sua personalità, sia da fattori esterni. L’amputazione è l’indicazione assoluta quando non si possono offrire al paziente altre alternative soddisfacenti. Consiste nella resezione di un segmento distale di un arto ed è ottenuta sezionando lo scheletro nella sua continuità. Con essa ci si propone di salvaguardare il paziente da gravi complicazioni generali, o si mira ad ottenere un significativo miglioramento della sua qualità di vita. le disabilità non sono un punto d’arrivo, bensì un punto d’inizio, una nuova vita, una nuova sfida. Nel caso di pazienti con amputazione di arto,si rende indispensabile una corretta valutazione da parte del team multidisciplinare,per la stesura di un progetto riabilitativo, coerente con la presenza di capacità funzionali residue sufficienti,per attuare un programma protesico riabilitativo che permetta di ridurre al massimo gli esiti sfavorevoli, sul piano dell’autonomia motoria, di un’amputazione di arto, e gli interventi di assistenza una volta che il paziente rientri nell’ambiente di appartenenza (domicilio, casa di cura, casa protetta, RSA geriatrica). Un aspetto molto rilevante riguarda la preparazione fisica e psicologica dal paziente all’evento traumatico .Un accurato training di lavoro,orientato da una valutazione funzionale e motivazionale preventiva, consentirà di ridurre al massimo i tempi di guarigione, preparando inoltre il paziente, ad un pronto recupero fisico e psicologico in attesa del trattamento riabilitativo con protesi. Si lavora quindi per ripri184 Novara stinare buone condizioni generali e locali: il moncone dovrà essere oltre che ben conformato, trofico, tonico e privo di edemi. Siamo nella cosiddetta fase del nursing del moncone che comprende l’attuazione di: a) un adeguato bendaggio, b) apprendimento di elementi di igiene per le cura del moncone e della cicatrice, c) una corretta postura, d) presa di coscienza del nuovo stato da parte del paziente. ll moncone è purtroppo frequentemente sede di manifestazioni dolorose che vanno da una semplice sensazione di fastidio, a veri e propri tormenti che inficiano ogni trattamento riabilitativo. Le sindromi dolorose nei monconi perfettamente costituiti: sono evidentemente legate a cause estrinseche dovute a scarsa igiene o all’utilizzo di protesi inidonee. Nelle sindromi dolorose ”pure” si pensa che le manifestazioni dolorose siano dovute ad una alterazione del sistema simpatico su base vascolare. A volte la semplice sensazione dell’arto fantasma (il paziente percepisce sensazioni di tipo sensitivoposizionale ed anche motorie dell’arto che gli è stato amputato) può diventare nel tempo un vero e proprio dolore del fantasma che può essere estremamente invalidante. Il coinvolgimento e la formazione dei familiari, sulle problematiche collegate alla gestione della protesi, e del paziente e nel suo insieme (problemi del moncone, trasferimenti, modifiche dell’ambiente domiciliare trattamenti ricorrenti, trattamenti farmacologici ecc.), migliorano gli esiti del training protesico,rendendo più agevole la gestione della persona all’interno del proprio ambiente domestico. Anche gli aspetti motivazionali giuocano un ruolo importante nel successo del progetto,dal momento che l’impegno personale e le aspettative del paziente risultano spesso determinanti. L’informazione accurata ed il coinvolgimento del paziente sul progetto e la comprensione e definizione degli obbiettivi da lui ritenuti importanti e significativi assicurano la massima collaborazione ed impegno possibili. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 185 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) MINERVA CARDIOANGIOL 2011;59(Suppl. 1 al N. 6):185-7 L’uso delle medicazioni avanzate è giustificato? A. DE ANGELIS Il progresso scientifico e tecnologico ha permesso un’evoluzione nel campo del would care grazie all’utilizzo di prodotti che sfruttano i principi della medicazione ideale nel rispetto dell’omeostasi cutanea e del mantenimento del letto della ferita umido: le medicazioni avanzate (World Union of Wound Healing Societies, 2007). Per quello che riguarda le ulcere venose, il trattamento principale è l’applicazione della compressione, sia in forma di bendaggi o calze a compressione. Le medicazioni sono applicate sotto la compressione per aiutare la guarigione, per dare conforto e per controllare l’essudato (Smithdale, 2010; Vowden, 2010). Al fine di poter supportare il personale sanitario con le migliori evidenze scientifiche si è voluto verificare se in letteratura fosse giustificato nel rapporto costo/efficacia, l’uso delle medicazioni avanzate vs quelle tradizionali nel trattamento dell’ulcera vascolari. Per medicazione tradizionale intendiamo un materiale (es.garza idrofila, garza TNT) posto a diretto contatto con sola funzione di copertura, emostasi e protezione. Per medicazione avanzata abbiamo invece inteso un materiale con caratteristiche di biocompatibilità che, interagendo con la ferita su cui è applicato, ne evoca una risposta specifica (idrocolloidi, alginati, idrogel, materiali di poliuretano). Materiali e metodi La ricerca del materiale bibliografico è avvenuta dal 20 ottobre 2011 al 30 ottobre 2011, anche se una ricerca preliminare era già stata condotta nel mese di novembre 2010. I concetti essenziali del nostro purpose statement per lo studio sono stati individuati attraverso il sistema P.i.C.O. (P : persone con ulcere vascolari; I: medicazioni avanzate; C: medicazioni tradizionali; O: guarigione ulcera, compliance paziente, sostenibilità economica) e successivamente, attraverso il sistema della Facet Analysis, così da ampliare il campo di ricerca e cercare di reperire il maggior numero di articoli inerenti (completezza). La scelta delle Key-works, delle voci di thesaurus, ovvero i termini “descrittori” utilizzati per la ricerca, è stata fondamentale per interrogare le banche dati da cui attingere la bibliografia di riferimento. Il carattere asterisco * - anche detto truncation (funzione di troncamento)- è stato usato per semplificare ed ampliare le possibilità di interrogazioVol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Civitavecchia ne, mentre per aumentare la specificità della ricerca, per i descrittori a testo libero composti da più parole sono stati usati gli operatori di vicinanza (N2 o N3) in CINAHL e l’uso della stringa virgolettata (‘) in PubMed. Le parole chiave scelte sono state collegate tramite gli operatori booleani OR e AND, comprendono termini MeSH e parole a testo libero: Dressing/s; Modern dressing; Modern wound dressing; Traditional wound dressing; Different dressing; Bandages, Hidrocolloid [MESH]; Hidrocolloid; Alginates [MESH]; Management wound care; Wound care pain; Leg ulcer [MESH]; Ulcer; Chronic wounds; cost effectiveness; managed care cost. La ricerca bibliografica è stata effettuata nella banca dati PubMed (versione gratuita di Medline), in quella del Comulative Index of Nursing and Allied Health Literature (CINAHL Plus with full text, tramite EBSCO Host), in quella di OvidSp, in quella di Cochrane Library ed ILISI con l’accesso attraverso la Biblioteca Digitale del Collegio IPASVI di Roma. Poiché la ricerca preliminare ha evidenziato un discreto numero di studi RCT inerenti il nostro argomento di approfondimento, abbiamo ritenuto opportuno puntare ad un elevato grado di specificità della ricerca, pertanto attraverso l’uso del filtro metodologico è stata aggiunta – con l’operatore booleano AND – una stringa di interrogazione, ottimizzata per la specificità/ristrettezza (Sensibilità del 93% e Specificità del 97%) estrapolata dal servizio “Clinical Queries” di PubMed. Quindi i limite impostati sono stati: pubblicazioni inerenti articoli in versione abstract o full text, data di pubblicazione inferiore a 6 anni e solo Clinical trials, Randomized Controlled Trial, Meta-Analysis. La strategia di ricerca ha portato ad esaminare 209 studi su Pubmed, 24 studi su Cochrane, 186 studi su Cinahl, 87 studi su OvidSp e nessuno su Ilisi. Successivamente un attento studio degli abstract (o full text ove presenti on line) ha portato ad analizzare 5 articoli (2 su Cochrane Library, 3 su Pubmed). MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 185 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 186 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) DE ANGELIS L’USO DELLE MEDICAZIONI AVANZATE È GIUSTIFICATO? Risultati Tra gli studi esaminati una revisione della letteratura della Cochrane Library, evidenzia che per le ulcere vascolari arteriose non ci sono prove sufficienti per determinare se agenti topici e medicazioni influenzano il tasso di guarigione (Nelson & Bradley, 2007). Per quello che riguarda le ulcere venose una meta analisi della Cochrane Library di Trials randomizzati e controllati ha valutato diversi tipi di medicazioni coadiuvanti o meno di bendaggio (Palfreyman, Nelson, Lochiel, & Michaels, 2006). Non c’era alcuna restrizione in termini di provenienza, data di pubblicazione o di lingua e la guarigione dell’ulcera era l’endpoint primario. Sono stati analizzati 42 studi randomizzati e controllati che hanno soddisfatto i criteri di inclusione. I principali tipi medicazione valutati sono stati gli idrocolloidi (n = 23), le schiume (n = 6), gli alginati (n = 4), condimenti idrogel (n = 6) e un gruppo di medicazioni varie (n = 3). L’evidenza attuale non suggerisce che gli idrocolloidi sono più efficaci della semplice medicazione a bassa aderenza utilizzata sotto compressione (9 prove; rischio relativo per la guarigione con idrocolloide 1,09 [IC 95% 0,89-1,34]). Per altri confronti non c’erano prove sufficienti. In conclusione, il tipo di medicazione applicata sotto la compressione non ha mostrato di influenzare la guarigione dell’ulcera. Così, si determina che nessuna raccomandazione conclusiva può essere fatta sul quale tipo di medicazione è più conveniente. Un altro studio prospettico, randomizzato e a gruppi paralleli (Meaume, et al., 2009) è stato svolto per confrontare efficacia e la tollerabilità di un medicazione idrocolloide a base di acido ialuronico (HA+ HC) verso una medicazione idrocolloide di riferimento non a base di acido ialuronico (HC) nel trattamento delle ulcere venose o di origine mista nel quale sono stati arruolati 125 pazienti e trattati per un massimo di 42 giorni. Il criterio primario di efficacia era la riduzione della ferita; altri criteri di efficacia sono state le condizioni del letto della ferita e della cute circostante, e la presenza e la gravità dei sintomi come dolore e prurito. Dopo 42 giorni di trattamento la riduzione media di area dell’ulcera è stata -42,6% (95% intervallo di confidenza [CI]: -66,6, -5,7) e -31,0% (95% CI: -51,6, 8,8) nel gruppo HC + HA e nel gruppo HC di riferimento, rispettivamente. La differenza tra i trattamenti non era statisticamente significativa. Una riduzione> = 90% della superficie dell’ulcera iniziale è stato osservato in 15 pazienti nel gruppo HC + HA e in soli sette pazienti nel gruppo HC . Cambiamenti nelle condizioni del letto della ferita nei due gruppi non erano significativamente differenti, ad eccezione di una riduzione più marcata del tessuto fibrinoso nel HC + HA gruppo (p = 0,04), al giorno 28. Entrambi i trattamenti sono risultati ben tollerati . La medicazione con HC + HA era ugualmente ben tollerata e con una tendenza ad essere più efficace del HC riferimento nel trattamento delle ulcere venose o di origine mista, tuttavia sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questi risultati. Un altro RCT (Michaels, et al., 2009) è stato effettuato in Inghilterra per esaminare l’efficacia e il costo-efficacia di una medicazione antimicrobica d’argento per le ulcere venose( presenti da più di 6 settimane) rispetto alla medicazione semplice non aderente (nota anche come a bassa aderenza)sotto bendaggio 186 compressivo o calze. La scelta della medicazione all’interno di questi gruppi è stato lasciato alle preferenze clinico. L’outcome primario era la guarigione dell’ulcera completa a 12 settimane nell’arto , mentre outcome secondari sono stati i costi e aggiustati per la qualità della vita-anno (QALY), costi-efficacia, il tempo di guarigione, e tasso di recidiva a 6 mesi e 1 anno.In totale, 304 partecipanti sono stati reclutati per la sperimentazione clinica: 213 per la RCT e 91 al braccio osservazionale. All’interno del 107 RCT sono stati randomizzati a medicazioni antimicrobiche e 106 le medicazioni di controllo. Non ci sono state differenze significative (p> 0,05) tra i due gruppi per l’esito principale della proporzione di ulcere guarite a 12 settimane (59,6% per l’argento e il 56,7% per le medicazioni di controllo). Il tempo complessivo medio di guarigione era anche non significativamente diverso tra i due gruppi (p = 0,408). Un totale di 24 pazienti aveva ulcere recidive entro 1 anno, i tassi di recidiva del 11,6% (n = 11) per l’antimicrobica e il 14,4% (n = 13) per le medicazioni di controllo non erano significativi. Significa valutazioni di utilità sia per il EuroQol 5 dimensioni (EQ-5D) questionario della qualità della vita e Short Form 6 dimensioni (SF6D) indice di utilità non hanno mostrato differenze per entrambi i gruppi a 1, 3, 6 o 12 mesi. Costo-efficacia di modellazione dei risultati del RCT ha dimostrato che le medicazioni antimicrobiche non erano convenienti. Quindi, nessuna differenza significativa negli endpoint primario o secondario è stata trovata tra l’uso di medicazioni con antimicrobici argento e quelle semplici a bassa aderenza. Uno studio clinico (Hampton, Coulborn, Tadej & Bree-Aslan, 2011) dimostra che la valutazione e la gestione dell’essudato è la chiave per la guarigione dell’ulcera. Una paziente di 102 anni che presentava una dolorosa ulcera ad eziologia mista complicata da infezione è stata gestita e portata a guarigione con una medicazione che assorbiva l’essudato eccessivo e riduceva selettivamente la carica batterica grazie al miele di manuka. Il limite di questo studio si delinea nel fatto che non vengono espressi i tempi di guarigione ed un solo caso clinico non rappresenta una prova sufficiente per poter generalizzare tale evidenza. Conclusioni Dopo la lettura integrale e analisi critica dei lavori scelti, possiamo affermare che in letteratura non sono presenti sufficienti prove che sostengano la maggior efficacia delle medicazioni avanzate rispetto alle tradizionali nella risoluzione delle ulcere vascolari. Un limite di questa revisione risiede nel fatto che l’efficacia dell’utilizzo delle medicazioni avanzate è stata valutata solo in termini di medicazione unitaria verso la guarigione delle ulcere, e non in relazione al tempo dedicato dai professionisti utilizzando le medicazioni avanzate rispetto alle tradizionali nella gestione/guarigione delle ulcere e in relazione al miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Per questo motivo invitiamo ad approfondire l’argomento e a compiere ulteriori studi anche verso l’uso della negative pressure wound therapy e del platelet gel wound , affinché i professionisti, nell’agire quotidiano, prendano decisioni validate sul trattamento più idoneo da eseguire che è proprio del pensiero evidence based. MINERVA CARDIOANGIOLOGICA Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 187 ATTI XXXIII CONGRESSO NAZIONALE SIAPAV (Roma, 23-26 novembre 2011) L’USO DELLE MEDICAZIONI AVANZATE È GIUSTIFICATO? Bibliografia 1. Hampton S, Coulborn A, Tadej M, Bree-Aslan C. Using a superabsorbent dressing and antimicrobial for a venous ulcer. British Journal of Nursing, 2011;20:40-3. 2. Meaume S, Ourabah Z, Romanelli M, Manopulo R, De Vathaire F, Salomon D, Saurat Jh. Efficacy and tolerance of a hydrocolloid dressing containing hyaluronic acid for the treatment of leg ulcers of venous or mixed origin. Current medical research and opinion, 2008;24:2729-39. 3. Micheals JA, Campbell B, King B, Palfreyman SJ, Shackley P, Stevenson M. Randomized controlled trial and cost-effeciveness analysis of silver-donating antimicrobial dressings for venous leg ulcers (VULCAN trial).The British Journal of Surgery, 2009;96:1147-56. Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 DE ANGELIS 4. Nelson EA, Bradley MD (2007). Dressings and topical agents for arterial leg ulcers. Cochrane Database Systematic Review, CD001836. 5. Palfreyman SJ, Nelson EA, Lochiel R, Michaels JA (2006). Dressing for healding venous leg ulcers. Cochrane Database Systematic Review, CD001103. 6. Smithdale R. Choosing appropriate dressings for leg ulcers. Nursing & Residential Care, 2010;12:318-325. 7. Vowden P. Effective management of venous leg ulceration. Practice Nursing, 2010;21:194-200. 8. World Union of Wound Healing Societies (2007). Wound Exudate and the role of dressings. A concensus document. Recuperato il 27/10/2011 da http://www.wuwhs.org /datas/ 2_1/4 /consensus_exudate_ENG_FINAL.pdf MINERVA CARDIOANGIOLOGICA 187 TORNA ALL'INDICE 4 - corsi di aggiornamento 16-11-2011 11:12 Pagina 188 TORNA ALL'INDICE 5 - indice autori 16-11-2011 12:55 Pagina 1 Indice degli Autori A Accroca F., 145 Accrocca F., 96, 137, 144 Adovasio R., 109, 112 Agus G.B., 168 Alesso D., 69 Alia P., 53 Allegra C., 3 Aluigi L., 20 Alunno A., 66, 98, 135, 148, 165 Amistà P., 134 Amitrano M., 34 Andreozzi G.M., 15, 28 Antignani P.L., 25, 34 Antonelli R., 96, 137, 144, 145 Apperti M., 128 Ardita G., 25, 46, 61 Arosio E., 51, 141, 161 Arpaia G., 31, 34, 89 Attanasio L., 46 B Baratto F., 114, 139, 158 Bavera P., 41 Bernardi E., 94 Biasutti C., 114 Bortolotti P., 175 Brini C., 128 Bucherini E., 128 Burattin G., 134, 155 Busato F., 114, 139 Busatto F., 158 C Cacciaguerra G., 39 Calgaro A., 110 Camilli D., 125 Camilli S., 125 Campello E., 86 Camporese G., 116, 117 Cardaioli P., 155 Cassaro L., 107 Castiglione A., 66, 98, 135, 148, 165 Catalano M., 23 Cera C., 109, 110 Cerqua G., 119 Cesari S., 114 Cherubini S., 178 Chiarandini S., 109 Chiarioni G., 161 Vol. 59, Suppl. 1 al N. 6 Chinaglia M., 134 Ciammaichella M.M., 119 Cimminiello C., 89, 100 Cirulli S., 112, 123 Clerissi J., 112, 132, 150, 152, 156 Conti F., 84 Corsini A., 8 Cosmi B., 78, 121 Crespi A., 180 Cuppini S., 134, 155 d’Alessandro A., 42 I Irace L., 137 Irsara S., 114, 139, 158 D Dagianti A., 135 Dal Santo P., 155 De Angelis A., 185 De Marchi S., 76, 141, 161 Di Filippo A., 128 Di Giacomo E., 134, 155 Di Salvo M., 46 Di Salvo M.M., 25, 61 Dondi M., 112, 123, 132, 150, 152, 156 L La Barbera G., 107 La Marca G., 107 La Rosa A., 112, 123, 132, 150, 152, 156 La Rosa D., 71 Laurito A., 66, 98, 135, 148, 165 Laurora R., 74 Lee B.B.; 6 Legnani C., 121 Lisato G., 155 Lombardi A., 184 E Epicoco V., 152, 156 F Faccenna F., 66, 98, 135, 148, 165 Failla G., 25, 46, 61 Fallea F., 107 Farina B.L., 32, 90 Felli M.M.G., 66, 98, 135, 148, 165 Ferro G., 107 Finocchiaro P., 46 Finocchiaro P.M., 61 Forma O., 182 G Gabrielli R., 96, 137, 144 Gallucci M., 173 Giacomel1 G., 110 Giordano G.A., 96, 137, 144, 145 Giordano R., 128 Gossetti B., 66, 98, 135, 165 Greco R., 32, 90 Guarnera G., 49 Guazzaloca G., 121 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA J Jabbour J., 66, 98, 135, 148, 165 K Khamis A., 123 M Maida C., 119 Maida R., 119 Malaj A., 66, 98, 135, 148, 165 Mancini M., 36 Marcucci G., 96, 137, 144, 145 Martinelli O., 137 Martini R., 28 Martinotti M., 132, 150 Marulli C.F., 58 Marzolo M., 134, 155 Massa Saluzzo C., 112, 132, 150, 152, 156 Mattassi R., 55 Mecca M.L., 119 Milio G., 71 Minotto I., 102 Moia E., 123, 156 Moia R., 112, 123, 132, 150, 152, 156 Mollo F., 155 Mollo P.E., 178 Mosti G., 44 Mounayergi F., 96 Mugno F., 25, 46, 61 189 TORNA ALL'INDICE 5 - indice autori 16-11-2011 12:55 Pagina 2 INDICE DEGLI AUTORI N Naccarato M., 110 Nikolakopoulos K., 109, 110 P Pacelli W.M., 92 Palareti G., 123 Parsai D.M., 107 Patrizi C., 119 Pepe R., 21 Pesavento R., 102 Pessina G., 81 Pierotti S., 134 Pillon S., 57 Pinto A., 19 Pozzi Mucelli F., 109 Prandoni P., 102 Prior M., 64, 141, 161 Prisco V., 32, 90 Ragazzoni A., 112 190 R Ragazzoni A., 123, 132, 150, 152, 156 Ramazzina E., 134, 155 Rigoni A., 141, 161 Rossetti R., 128 Rulfo F., 141, 161 S Sacco A., 155 Salomone L., 121 Sartori M., 78, 121 Scotti C., 112, 123, 132, 150, 152, 156 Sellitti A., 128 Siani A., 96, 137, 144, 145 Siani L.M., 96 Simioni P., 86 Spezzigu G., 89 Stavri D., 66, 98, 165 MINERVA CARDIOANGIOLOGICA T Tonello D., 114, 139, 158 U Ukovich L., 109, 110 V Valdrè L., 121 Valentino F., 107 Vallone M., 107 Venosi S., 170 Ventura F., 128 Venturelli V., 178 Visonà A., 28, 114, 139, 158 Z Zalunardo B., 114, 139, 158 Zattoni L., 155 Zecchetto S., 141, 161 Ziani B., 110 Zotta L., 114, 139 Dicembre 2011 TORNA ALL'INDICE