Rischio d’impresa e ascrizione della responsabilità dolosa nel diritto penale fallimentare. Sommario: 1. Introduzione; 2. Il rischio penale d’impresa: aspetti generali ; 2.1. Premessa; 2.2. Le cause del ritardo nell’approccio alle problematiche del rischio penale d’impresa; 2.3. L’ascrizione a titolo di dolo; 2.4. Le condotte colpose. Cenni; 3. Il diritto penale fallimentare: l’ascrizione della responsabilità dolosa; 3.1. Premessa; 3.2. L’elemento soggettivo nelle più importanti fattispecie penali fallimentari: bancarotta fraudolenta, semplice, propria e impropria; 3.3. Nota procedurale. 4. Appendice di aggiornamento; 5. Conclusione. 1. Introduzione Il presente lavoro si propone di evidenziare alcuni snodi problematici posti all’attenzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale all’indomani dell’avvio, avvenuto nell’ultimo trentennio nel nostro ordinamento, di una serie di importanti riforme e innovazioni nel campo del c.d. diritto penale dell’economia. In particolare, nel I capitolo si tracceranno i lineamenti generali relativi al settore del rischio penale d’impresa, con riferimento alla propugnata necessità di un approccio, ancora poco seguito dagli addetti ai lavori, integrato e interdisciplinare allo studio di questa peculiare branca della criminalistica. Si analizzeranno le condotte dolose nel loro specifico atteggiarsi all’interno di un’attività, quella imprenditoriale, intrinsecamente connotata da una ineliminabile componente di rischio, la quale, pur dando più facilmente luogo a condotte violative di regole preventivo-cautelare (dunque colpose), non sembrerebbe a priori inconciliabile con una possibile ascrizione al comportamento dell’agente di responsabilità dolosa. Si farà riferimento alla dogmatica di derivazione germanica relativa alla “imputazione oggettiva dell’evento aggravatore” e, sia pure incidentalmente, si darà conto del contributo offerto in materia dalle teorie economiche della corporate e control governance. Nel secondo capitolo, saranno esaminati nello specifico alcuni punti salienti riconnessi al diritto penale fallimentare e all’elemento soggettivo delle più importanti fattispecie penali incriminatrici presenti nella legge fallimentare. Si cercherà, infine, di dare conto delle più recenti modifiche normative con un corredo quanto più possibile completo delle diverse posizioni emerse in dottrina e giurisprudenza. 1 A completamento del discorso,infine, si prospetteranno alcune brevissime considerazioni di tipo processualpenalistico, con riferimento all’avvio dell’azione penale per i reati specificamente presi in esame. 2. Il rischio penale d’impresa: aspetti generali”. 2.1 Premessa La suggestione e l’interesse per le problematiche penali nasce, a posteriori, successivamente alla verificazione di accadimenti, il cui accertamento presenta o può presentare una connotazione criminosa. Solo in quel momento interviene il penalista, cui non di rado, si chiede un miracolo: analizzare un fatto del passato non tanto e non solo giustificandolo, ma operando affinché esso risulti penalmente neutro. Ciò che costituirebbe una situazione paradossale, se non fosse rappresentativamente emblematico della realtà di tutti i tribunali del mondo, quasi si chiedesse all’archeologo e allo storico di mistificare il sistema fisso delle cause e degli effetti. Ciò detto, non può nondimeno sottacersi che sono molteplici le condotte che potrebbero essere evitate, sol che si affrontasse in concreto il tema della prevenzione occupandosi del rischio penale nel senso di orientare il proprio sguardo al futuro, anziché al passato. Il problema della prevenzione dei reati non compete affatto ai privati e alla loro attività: esso costituisce un’essenziale funzione dello Stato, il quale avrebbe il dovere di esercitarla cogliendo le cause dei comportamenti criminosi in modo da intervenire sulle stesse per evitare la commissione del maggior numero possibile di reati. Cionondimeno, esistono alcuni ambiti in cui alla prevenzione può concorrere l’imposizione di c.d. obblighi d’intervento (di protezione e/o di controllo) in capo ai privati destinatari del precetto penale. 1 Il settore ove tale fenomeno può manifestarsi (come, invero, già da parecchio tempo si sottolinea presso la giurisprudenza penale) in misura quantitativamente e qualitativamente rilevante è il c.d. diritto penale dell’economia (diritto penale societario, fallimentare, tributario, del lavoro e della previdenza sociale, bancario, delle assicurazioni, della concorrenza, dell’informatica, dei trasporti,d dell’ambiente, della salute sub specie di esercito dell’attività medica, delle SIM, delle società di revisione e della Consob dello smaltimento dei rifiuti, delle società partecipate dalla pubblica amministrazione, ecc…). 1 Cfr. , per tutti, Fiandaca – Musco, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 1998, pp. 545 ss. 2 Quantunque, però, le dimensioni del fenomeno siano altamente significative ed il numero dei soggetti interessati molto alta, al c.d. rischio penale d’impresa 2 per lungo tempo è stata riservata un’esigua attenzione non solo in seno all’Accademia e nelle riflessioni della giurisprudenza pratica, ma forse, e per certi versi inspiegabilmente, a livello di indirizzo politico- legislativo. 2.2 Le cause del ritardo ne ll’approccio alle problematiche del rischio penale d’impresa. Più cause concorrono a spiegare l’accennata sottovalutazione. Dal punto di vista politico, il legislatore italiano ha a lungo trascurato il c.d. “white collar crime”. Solo a partire dai primi anni ’70, e poi nel decennio successivo, alcuni importanti studi penalistici3 hanno fornito spunti di un qualche rilievo ma, soprattutto, la nostra legislazione si è notoriamente andata adeguando agli standard internazionali in maniera economica (Consob, Isvab, SIM, ecc…); negli anni ’90 poi, a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht, nell’ordinamento italiano si è avviata una profonda rilettura verso questi temi. In breve, con riferimento al diritto dell’economia, giova rammentare alcune importanti acquisizioni di chiara derivazione comunitaria: esemplificativamente si pensi, da un lato, alle leggi sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e sulla privacy, dall’altro, alla riforma della borsa e delle società quotate, all’avvio della riforma del diritto societario e alla nuova conformazione, almeno in via di previsione normativa, del diritto tributario italiano ai principi dell’Unione. Degne di nota, ai fini di una migliore comprensio ne del ritardo, appaiono poi ragioni più intrinseche alla scienza giuridico-penale italiana. Com’è noto, nei paesi di civil law quale il nostro, profondamente debitori all’esperienza romanistica e alla dogmatica germanica, una parte importante della cultura penalistica è da sempre orientata a operare in senso autoreferenziale, occupandosi prevalentemente delle c.d. questioni dogmatiche e trascurando i risvolti pratici delle questioni volta per volta poste sul tappeto 4 , laddove, ancora oggi, solo una ristretta cerchia di Autori sembra ricorrere al più proficuo metodo integrato di studio della questione criminale (consistente nella contaminazione del diritto penale con discipline 2 Cfr., sul punto, ad esempio, Fiorella, I principi generali del diritto penale dell’economia, Padova, 2001, 145. Vedansi, in particolare, gli scritti di Bricola. 4 Taluno, in dottrina, ha fatto riferimento, per inquadrare il malvezzo in discorso, ad una sorta di “ gioco delle palline di vetro”. Cfr., ad. es. Stella, Relazione in atti del convegno di Studio del Centro interdisciplinare per lo studio dei problemi economici, giuridici e sociali di Cernobbio, 6/8 ottobre 1978. 3 3 diverse), il quale pur vanta storicamente illustri corifei (Scuola penale positiva) 5 , e che in pochi oggi dimostrano di condividere. Orbene, nel settore della prevenzione del rischio penale, il ricorso a tale teorica 6 costituirebbe un prezioso sussidio per gli studiosi che non volessero operare a mero livello di esegesi e sistemazione del dato normativo. 7 Si coglie, da quest’ angolo visuale, tutta la pregnanza dei recenti studi economici attinenti alla “corporate governance” , nonché alla più specifica disciplina relativa alla “control governance” 8 che, se debitamente integrati a livello interdisciplinare con la prevenzione del rischio penale, fornirebbero adeguate chiavi di lettura globale del fenomeno in oggetto. 9 Come un’autorevole dottrina ha precisato 10 , uno studio integrato del diritto penale d’impresa nel senso appena chiarito può servire ad una quadruplice funzione: a) individuare un sistema di prevenzione del rischio penale capace di ridurre la commissione dei reati d’impresa; b) definire criteri di imputazione del rischio penale che lo collochino con chiarezza in capo a soggetti dotati di effettivi poteri di gestione e di controllo; c) prevedere una forma di responsabilità diretta degli enti dei reati commessi nel loro interesse dai propri agenti; d) attribuire all’adozione di un’efficace ed efficiente organizzazione della prevenzione del rischio penale valore scriminante della responsabilità dell’ente. Le problematiche sono complesse e meritano riflessioni attente e rigorose. Anzitutto, occorre chiarire la nozione e la portata del concetto di prevenzione del rischio penale di impresa: e valga qui per vero il riferimento al modo di organizzazione dell’ente che contenga valide ed efficaci modalità finalizzate ad evitare la commissione di fatti di reato neutralizzando, per quanto è possibile, la c.d. “colpa d’organizzazione”11 . Il problema che si pone deriva direttamente da ciò: ci si deve chiedere se la prevenzione del rischio d’impresa afferisca esclusivamente ai soli reati colposi, siccome parrebbe emergere 5 Rappresentanti insigni ne furono, ad esempio, Ferri e Turati. Cfr, Guerini, Note a margine del D.Llgs.n. 231 del 2001, in Atti del Convegno di studi svoltosi in Bari il 13/ 14 novembre 2002. 7 V. nota precedente. 8 Cfr. , sul punto, Fiorella – Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, Torino, 2004. 9 V. Schlesinger, Relazione in Atti del Convegno di Studio SISCO sul tema Profili di responsabilità nel fallimento delle società, svoltosi in Milano l’11 novembre 1995. 10 Cfr , sul punto, Pedrazzi, Profili problematici del diritto penale dell’impresa, in RTDPE, 1988, pp. 125 ss. 11 Sul punto, v. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1995, pp. 423 ss. 6 4 dalla sistemazione del rischio penale nell’ambito di una categoria di per se stessa colposa, o se essa possa avere, al contrario, ad oggetto anche reati ascrivibili a titolo di dolo. 12 Rispondere a tale quesito ha riflessi su piani diversi, non ultimo quello strettamente dogmatico, posto che occorre riscontrare se sussista compatibilità tra la nozione di rischio, basato sulla prevedibilità dell’evento, e quella di dolo, la quale notoriamente risponde ai requisiti della rappresentazione e volizione dell’evento. 13 Con riferimento alla previsione di una diretta e autonoma responsabilità dell’ente per i reati commessi nell’interesse di esso da parte dei propri agenti, la risposta alla questione succitata permette di risolvere un ulteriore snodo problematico, se cioè le condotte dolose dei soggetti persone fisiche che operino nell’ambito dell’ente sia no non soltanto astrattamente prevedibili ed evitabili, ma ci si possa spingere fino al punto di delineare un modello teoricamente adatto a prevenirle, il quale, in concreto, possa poi rivestire una certa idoneità preventiva 14 . Tutto procede dalla stessa nozione di dolo, il cui substrato, in termini di conoscenzarappresentazione e volizione, riconduce il discorso verso ambiti strettamente e intimamente connessi con la “persona umana” che agisce, sì da scolpirne, almeno in apparenza, una ontologica refrattarietà ai concetti di prevedibilità ed evitabilità dell’evento 15 . Ma la soluzione del problema riveste pure una notevole influenza a livello pratico, atteso che consentirebbe di collegare la penale responsabilità dell’ente a comportamenti di volontaria realizzazione di fatti di reato e non solo di violazione di norme cautelari e preventive. Si tratta sostanzialmente di verificare se risponda a verità il diffuso convincimento in base al quale i reati dolosi risulterebbero ascrivibili solo a coloro che li hanno posti in essere 16 . Da ultimo, la questione si collega al D.Lgs. n° 321 del 2001 sulla c.d. responsabilità amministrativa degli enti17 . Esaminiamo la questione: 2.3 L’ascrizione a titolo di dolo. Come detto, il reato doloso postula strutturalmente la rappresentazione e volizione dell’evento da parte dell’agente e, in base all’insegnamento tradizionale dell’Accademia, risulterebbe 12 V. Guerini, op. cit. 13 Per tutti, v. Fiandaca – Musco, op. cit., pp. 309 ss. 14 Cfr. Fiorella – Lancellotti, La responsabilità, cit. , pp. 3 ss. 15 V. Guerini, op. cit. 16 Idem, Ibidem. 17 Lo si può leggere, tra l’altro, in Fiorella – Lancellotti, op. ult. cit., pp. 87 ss., con successiva relazione allo stesso decreto. 5 impermeabile alle valutazioni di tipo preventivo cautelare, caratteristiche tipiche che l’ordinamento annette al rimprovero a titolo di colpa. Ma ciò, a ben vedere, non coglie in pieno nel segno, sol che si pensi al fatto che tra gli stessi cultori del diritto penale si sta da tempo facendo largo l’idea per il cui il dolo non è sempre insensibile alla colpa 18 . Basti pensare alla teorica della c.d. imputazione oggettiva dell’evento aggravatore, a seguito della cui elaborazione si è sostenuto che, perché si realizzi un reato doloso, occorre che la relativa condotta si esplichi nell’ambito di un anteriore contesto di pericolo, sicché il reato doloso posto in essere aumenterebbe il rischio vietato già sussistente o, comunque, lo porterebbe a compimento 19 . Rispetto al rischio l’agente deve alternativamente operare in una delle seguenti condizioni: - lo ha prodotto volontariamente e si prefigura e vuole il suo aumento ; - non lo ha prodotto , ma se lo prefigura e vuole il suo aumento ; - non lo ha prodotto ma se lo rappresenta e, pur non volendo il suo aumento, accetta il rischio che si verifichi (dolo eventuale). Certamente, si tratta di una dottrina minoritaria mutuata dalla dogmatica tedesca 20 , (la quale, peraltro, non riesce a spiegare la totalità delle manifestazioni del dolo nel diritto penale e nella realtà fenomenica) e, purtuttavia, nel settore che qui interessa (delitti dolosi nel settore della criminalità economica e, in particolare, del diritto penale fallimentare) assume un peso specifico notevole. Ponendosi nell’ottica della prevenzione del rischio penale d’impresa, si può concordare con chi sostiene, allora, che “un’organizzazione imprend itoriale che non si ponga il problema delle modalità della propria condotta e che persegua i propri obiettivi ispirandosi al principio machiavellico del fine che giustifica i mezzi , sarà inevitabilmente un humus fertile per la commissione di reati dolosi” 21 . Assai importante, poi, è la distinzione che può compiersi tra delitti posti in essere durante la normale vita d’impresa e quelli commessi nel corso di una delle tante crisi in cui un’impresa può incorrere. Nel corso della prima fase (fisiologica), ogni comportamento è posto in essere in un alveo che comprende unicamente il rischio ordinario d’impresa (si pensi ai reati c.d. societari), l’attività d’impresa contenendo in sé una normale aleatorietà, o livello di rischio, sicché è necessario che ogni imprenditore organizzi i diversi fattori produttivi al fine di evitare 18 Cfr. La Monica, Manuale di diritto penale commerciale, Milano 1993, pp. 183 ss. La teoria è puntualmente esplicata in Fiandaca – Musco, op. cit., pp. 213 ss. 20 Tra gli altri, nella manualistica, possono citarsi i nomi di Jesheck, Wessels e Jacobs. 21 Così, Guerini, op. cit. 19 6 che pericoli potenziali si traducano in danni effettivi. La previsione di tali rischi e la loro prevenzione afferiscono alla ordinaria attività di ogni imprenditore. Seguendo, dunque, la teoria poc’anzi esposta, si può senza meno affermare che ogni condotta incrementativa del normale rischio d’impresa, la quale violi precetti cautelari, ora generici ora specifici, può definirsi dolosa, sub specie di dolo eventuale.Ma, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, ricorrendo certe condizioni, può anche prefigurare un dolo diretto e, addirittura, specifico 22 . Da ciò consegue, in via di stretta consequenzialità logica, che tutti i comportamenti realizzati nell’esercizio di un’attività ontologicamente rischiosa, quale quella imprenditoriale, provocando l’incremento di un qualsivoglia “rischio non consentito” possono risolversi nella commissione di reati ascrivibili a titolo di responsabilità dolosa. Si potrebbero proporre moti esempi, guardando ai settori chimico, alimentare, edilizio, dei trasporti, nonché del settore bancario e assicurativo; ma pure, abbandonato il criterio qualificatorio basato sul tipo di prodotto, alle modalità produttive (tanto di prodotti rischiosi che no). Il “rischio penale derivante da condotte dolose”23 impinge, tra l’altro, anche l’ampio campo delle relazioni con la Pubblica Amministrazione, laddove il rischio penale specifico, comune in grado diverso a tutte le imprese, assume una coloritura ancora più densa. 24 Dunque, e per concludere, si danno rischi di impresa generici, i quali, a certe condizioni (comuni a tutte le imprese e peculari di alcuni loro settori) si traducono in “rischi specifici” assurgendo a rischio penale qualificato, ogni volta in cui si possa riscontrare un incremento di rischio non consentito. A questo punto l’attività imprenditoriale compie un salto di qualità, entrando all’interno di un’area che, mutuando, come si vedrà, un’espressione penalistico - fallimentare, viene definita “ zona del rischio penale d’impresa qualificato”25 . Dunque, la convinzione sulla impermeabilità dei reati dolosi alla prevenzione specifica finisce con l’essere in tal modo contraddetta, tanto in base ad elaborazioni teoriche intrinseche alla scienza penale 26 , tanto da valutazioni inerenti alle peculiarità proprie del rischio nelle fasi fisiologiche e patologiche della vita dell’impresa. 22 v., infra, cap. II. V. Guerini, op. cit. 24 Ut supra 25 Cfr., sul punto, Pedrazzi, Profii, cit., pp. 125 26 Trattasi della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, ovvero dell’aumento del rischio non consentito come supra illustrata. 23 7 L’assunzione volontaria di un rischio penale durante la vita ordinaria dell’impresa si risolverà in reati ascrivibili a titolo di dolo se il comportamento tenuto dall’imprenditore incida negativamente o esponga a pericolo un bene penalmente protetto; a fortiori, ogni qualvolta in cui, a seconda del tipo di prodotto o per le modalità di produzione, si attualizzerà una “forma di rischio penale”, le condotte che presuppongono l’accettazione di tale rischio particolare saranno poste in essere con dolo, eventuale o diretto.27 Da ciò consegue che, se è vero che il rischio penale d’impresa è comune a tutti i comportamenti volontari, si potrà sostenere che è possibile delineare e porre mano ad un sistema atto a prevenire le condotte improntate a dolo facendo leva: - sul rischio penale generico che incrementa il normale rischio d’impresa; - sul rischio penale specifico incrementativo del rischio collegato a produzioni o modalità di produzione pericolose. 2.4 Le condotte colpose. Cenni. Venendo ora ad occuparci dell’altro criterio di imputazione soggettivo del reato (la colpa)28 , con riferimento al tema oggetto della presente trattazione (pur non potendovi dedicare che qualche breve cenno), si deve considerare che il nostro ordinamento prevede che a taluni soggetti, posti in posizioni di garanzia, protezione e controllo (c.d. “garanti”) sia attribuito il compito di preservare determinati beni giuridici da qualsivoglia fonte di pericolo o verificare che da esse non discendano rischi per i beni da proteggere. 29 Poiché la colpa, com’è noto, consiste nella violazione di regole cautelari che adempiono alla funzione di evitare la verificazione di eventi dannosi o pericolosi, la concreta determinazione delle misure preventive utili ad evitarli risiede nelle stesse regole cautelari scaturenti dalla migliore scienza ed esperienza del caso concreto. Purtuttavia, l’adozione di un sistema preventivo che, eventualmente, si basi sui migliori e più recenti contributi della scienza economica già ricordati è rilevante per l’ascrizione della responsabilità colposa e/o per la definizione del grado della colpa medesima cui è direttamente connesso il grado della responsabilità e/o il quant um del danno. 30 27 V. Pedrazzi, op. cit., p. 127. Idem, ibidem. 29 Cfr. Fiandaca – Musco, op. cit. p. 545 30 Sul punto, più diffusamente di quanto qui non possa farsi, e con riferimento ai diversi modelli gestionali e operativi dell’ente, v. Fiorella – Lancellotti, La responsabilità, cit., pp. 23 ss. 28 8 3. Il diritto penale fallimentare: l’ascrizione della responsabilità dolosa. 3.1 Premessa Dopo aver tentato, sia pure concisamente, di inquadrare il problema del rischio di impresa nei suoi risvolti penalistici generali e con riferimento alle condotte dolose, passiamo ad occuparci della specifica tematica dell’ascrizione della responsabilità dolosa nel diritto penale fallimentare. Com’è noto, la specialità del diritto esecutivo concorsuale trova la sua massima espressione nella copertura sanzionatoria penalistica, anch’essa affatto peculiare, giacchè, come è stato acutamente osservato, “fatti ordinariamente indifferenti sul piano penale assurgono a fattispecie precise di reati, tra l’altro pesantemente puniti e addirittura, di più, vengono puniti fatti considerati dalla legge come doverosi sul piano della vita fisiologica del diritto, come il pagare un debito che diventa atto di bancarotta prefererenziale [….]. La tutela penale si affianca al fallimento e realizza una sanzione punitiva accanto a quella processuale civile esecutiva: in questo senso ha grande pregio la tesi secondo cui, in definitiva, la sanzione penale è concepita come un rafforzamento ed un’integrazione esterna della seconda, per garantire, cioè, la genuinità del processo di fallimento e la realizzazione più integrale ed autentica delle sue finalità”31 . Come accennato nella prima parte del presente lavoro, il diritto penale fallimentare individua un rischio penale d’impresa particolarmente specifico, una zona “del rischio penale qualificato” 32 dal fatto che qui ci si trova in una delle fasi patologiche della vita dell’impresa, caratterizzata dalla insolvenza dell’imprenditore, la quale si configura quale presupposto della successiva sentenza dichiarativa di fallimento. Da questo momento, sussistendo una certezza di non capienza o, ancor prima, sussistendo l’insolvenza , se segue la sentenza dichiarativa di fallimento dell’imprenditore o, comunque, della compagnia societaria, la soglia del rischio si specifica, cristallizzandosi in alcuni divieti che l’ordinamento prevede allo scopo di realizzare il soddisfacimento delle pretese creditorie dei terzi, mediante la conservazione del patrimonio aziendale, come detto, nonché affiancando al procedimento fallimentare concorsuale una tutela rafforzata di tipo penale. 31 Cfr. P. Pasardi, Codice del fallimento, Milano,1998, p. 1309. Vedasi A. Fiorella “I principi generali del diritto penale dell’economia” in trattato di diritto commerciale di F. Galgano, Vol. XXV a cura di L. Conti, Padova, 2001. 32 9 L’ascrizione della responsabilità dolosa penale a condotte poste in essere dallo imprenditore o dai suoi collaboratori durante questa fase viene così ad espletare una funzione di maggiore protezione per il patrimonio del creditore, nonché della correttezza della procedura esecutiva concorsuale 33 . 3.2 L’elemento soggettivo nelle più importanti fattispecie penali fallimentari: bancarotta fraudolenta, semplice, propria e impropria. Quanto appena chiarito, serve a lumeggiare le caratteristiche delle fattispecie penali incriminatici ex art. 216 ss. L.F., dall’angolo visuale dell’attribuzione di responsabilità dolosa ai soggetti attivi dei reati previsti. Con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta, che l’art. 216 diversifica in patrimoniale, documentale e preferenziale (oltre che post fallimentare), va chiarito quanto segue. Parte della dottrina ritiene che in tutte le ipotesi previste in tema di B. patrimoniale debba ricorrere il dolo specifico , ossia la finalità dell’agente di trarre profitto, per sé o per altri, dai fatti commessi con pregiudizio dei creditori (Antolisei, Nuvolone). Altri autori ritengono, invece, che sia sufficiente il dolo generico (per tutti, Paiardi). La giurisprudenza è stata ed è tuttora oscillante sul punto. Si trovano, infatti, alcune decisioni, nelle quali si reputa bastevole la consapevole volontà dell’agente di realizzare le tipiche immutazioni patrimoniali previste (con il compimento delle varie operazioni elencate), senza che occorra un fine di danno o di vantaggio 34 . Altre decisioni individuano la necessità dell’ulteriore elemento della consapevolezza , da parte dell’agente, del danno o della possibilità di danno per la massa dei creditori35 o dell’accettazione del risultato della propria condotta criminosa; altre decisioni, ancora, ammettono rilevanza penale ai soli fatti commessi in previsione dell’insolvenza e della probabile dichiarazione di fallimento, posto che solo in relazione ad essi può ritenersi sussistente la consapevolezza di sottrarre i beni all’esecuzione concorsuale 36 . Infine, con altri arresti, la Suprema Corte ha distinto le ipotesi di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, ove occorrerebbe il dolo specifico di recare pregiudizio 33 Sulla diversa prospettazione dei reati fallimentari come reati contro il patrimonio o contro l’Amministrazione della giustizia o, ancora, come reato plurioffensivo, cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano 2002. 34 Fra le più importanti, C.P. 20 dicembre 1996, M. UDA, CP 206542 ; C.P. 28 febbraio 1988 e 27 febbraio 1988, FI, REP 1993, p. 280. 35 Per tutte, C.P. 24 aprile 1987, R. PEN. 1988, p. 200. 36 Vedasi C.P. 27 novembre 1985, FALL., 1986, p. 913 10 ai creditori, da quelle di distruzione o occultamento di beni , per le quali sarebbe sufficiente il dolo generico. 37 Con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, n. 2), opinione prevalente della dottrina e della giurisprudenza è nel senso della necessità di dolo specifico nell’ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione per le quali la legge prevede espressamente lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; mentre per l’ipotesi di caotica tenuta, sottolinea che è richiesto il solo dolo generico, consistente nell’intenzione o anche nella semplice consapevolezza di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (Punzo , Nuvolone , Conti , Pajardi)38 . Secondo alcuni autori, tuttavia, non ogni sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture concretizza reato, poiché il richiesto pregiudizio ai creditori non comporta l’intento di assicurarsi la riuscita delle frodi predisposte onde evitare l’apprensione di beni da parte degli organi fallimentari, mentre lo scopo di profitto comporta il proposito di sfuggire, con il proprio operato illecito, alle sanzioni penali; di conseguenza, l’occultamento della contabilità al solo scopo di eludere i controlli fiscali non costituisce delitto di bancarotta fraudolenta documentale (Antolisei, Pagliaro). In relazione alla figura di bancarotta preferenziale (216, comma 3 L.F.), che, secondo la più autorevole dottrina, è fattispecie penale autonoma, la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso di riconoscere il dolo specifico, visto da parte della dottrina ora nella semplice intenzione dell’imprenditore di favorire alcuni creditori con la consapevole accettazione della eventualità di potere, in tal modo, arrecare danno alla massa (Antolisei, Pagliaro), ora dalla duplice intenzione di favorire alcuni creditori e di danneggiarne altri (Nuvolone). Relativamente alla bancarotta semplice (art. 217 L.F.), caratterizzata da condotte di imprudente gestione o assolutamente aleatorie da parte dell’imprenditore, e anch’essa distinta in patrimoniale e documentale, la dottrina diverge profondamente dalla giurisprudenza. Per la prima figura si ritiene sufficiente la colpa, sulla base dell’assorbente rilievo per cui le ipotesi di cui all’art. 217 L. F. , sono state disciplinate e calcolate in contrapposizione con l’art. 216, che espressamente richiede una responsabilità di tipo doloso; quanto alla seconda, la prevalente dottrina sostiene sia indispensabile la volontà colpevole, sub specie di dolo eventuale, dell’agente di talché, qualora l’imprenditore abbia delegato ad altri il compito di 37 Cfr. C.P. 6 novembre 1996, M. UDA CP, 205920, nonché la più datata C.P. 26 aprile 1984, R. PEN. , 1985 , p. 145. 38 In giurisprudenza, ex plurimis, C.P. 9 ottobre 1991, FALL., 1992, 142 ; C. P. 13 ottobre 1993, FI, REP, 1994, p. 562. 11 tenere i libri e le scritture contabili, lo stesso può essere punito soltanto se aveva almeno previsto il comportamento del terzo o vi aveva consentito;inoltre, come è stato autorevolmente rilevato, “nel caso di errore sulla qualità di impresa commerciale o sull’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture, il soggetto non è punibile a norma dell’articolo 47 u.c. c.p., trattandosi di errore su legge diversa da quella penale che ha determinato un errore sul fatto che costituisce reato. 39 D’altro canto, la giurisprudenza della Suprema Corte si è ormai, per converso, consolidata nel senso che, per la punibilità del reato di bancarotta semplice patrimoniale, così come per quello di bancarotta semplice documentale, è indifferente che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa, essendo sufficiente questa sola. 40 A chi scrive pare corretta tale ultima soluzione poiché è evidente che, se l’azione fosse stata posta in essere con l’intento di recare pregiudizio ai creditori, si ricadrebbe nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta. Quanto alla cosiddetta bancarotta fraudolenta impropria (o societaria),figura congegnata per perseguire penalmente i reati fallimentari commessi da persone diverse dal fallito e specificatamente amministratori, sindaci e liquidatori (art. 223, L.F.),essa è norma formale e metodologica “che costituisce chiave di volta dell’intero diritto penale concorsuale”41 . Formale e metodologica, perché non prevede reati autonomi, ma estende quelli precedentemente previsti dagli articoli della legge fallimentare ai cosiddetti responsabili e dipendenti della società fallita, i quali, secondo una corretta interpretazione giurisprudenziale, risulterebbero passibili di sanzione anche laddove ricoprissero tali funzioni solo in via fattuale. 42 In aggiunta a ciò, il comma 2 dell’art. 223 estende quoad poenam la previsione penalistica della bancarotta fraudolenta ad una serie di norme penali societarie (art. 2621 e altri, c.c.) le quali, a loro volta, sono state di recente ritoccate dal legislatore a seguito della D.Lgs. n. 6 del 2003 di riforma del diritto societario, ancora oggetto di correzione al termine dello scorso anno, a seguito dell’approvazione del D.Lgs. n. 310 del 2004 43 . 39 Così Antolisei, Manuale, cit, 110. E concordano Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano , p. 90; nonché Conti, Diritto penale commerciale, Vol. II. I reati fallimentari, Torino, pp. 270-273. 40 C.P. 12 giugno 1984, R. PEN, 1985 , 216; C.P. 24 maggio 1978, R.P. 1978, 823 ; C.P. 3 aprile 1970, G PEN, 1971, II, p. 456 41 PAJARDI, op. cit., p. 1354. 42 Sul c.d. amministratore di fatto, quale possibile soggetto attivo del reato di bancarotta fraudolenta impropria, vedasi, per tutte, C. P. 12 marzo 1984, R PEN , 1984, p. 978. 43 Sul tema interessantissimo delle modifiche introdotte dalla riforma in parola, non potendovi qui dedicare altro spazio, si rinvia a Maffei Alberti, Il nuovo diritto delle società, opera in quattro tomi, Padova, 2005. 12 Si è inteso in tal modo dare vita ad un vero e proprio corpus juris penale commerciale e fallimentare, il quale, ove ben più seriamente applicato di quanto sia nella realtà, rappresenta un autentico baluardo di difesa della società dalla criminalità economica societaria 44 . Inoltre, in linea con il nostro discorso sulla ascrizione di responsabilità dolosa nei reati fallimentari, va rilevato che qui viene eccezionalmente affermato il principio secondo cui si risponde per bancarotta fraudolenta patrimoniale anche al solo titolo di avere cagionato cagionato con “dolo” o con “operazioni dolose” il fallimento della società (art. 223, comma 2). Col che il diritto penale fallimentare societario si presenta assai più rigoroso di quello relativo all’imprenditore individuale, per il quale è noto come a nessun titolo , né penale, né civile, sussista in via generale la responsabilità per la provocazione del fallimento proprio (eccezione: la responsabilità per bancarotta semplice per avere aggravato il proprio dissesto, astenenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento). Quanto all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta impropria, ai sensi degli artt, 2621 c.c.e 223 L. F., la Suprema Corte ha segnalato, in una rimarchevole pronuncia, che si deve rinvenire nell’agente il dolo specifico, ossia un intento di frode mediante il compimento di un’attività ingannevole circa la potenzialità economica della società diretta al conseguimento di un vantaggio non altrimenti raggiungibile 45 . Un cenno a parte merita il già rammentato inciso relativo al dolo e alle operazioni dolose, contenute nel capoverso dell’art. 223 L. F.. Il fallimento causato dalla condotta dell’agente non va inteso in senso formale di sentenza dichiarativa di fallimento, ma nel senso sostanziale dello stato di dissesto societario. Secondo l’Antolisei46 , in tale fattispecie normativa, lo stato di dissesto svolge il ruolo eccezionale di evento del reato e non di condizione obiettiva di punibilità (come per le altre figure di reato) , e deve necessariamente essere legato alla condotta dolosa del soggetto da un nesso di causalità materiale 47 . La dizione normativa che sembra differenziare il dolo dalle operazioni dolose ha dato luogo a problemi dottrinali di esatta interpretazione . L’opinione dominante è nel senso che il termine 44 Giova ricordare che il Senato ha approvato il 4 maggio scorso il disegno di legge di conversione del d.l. 35/2005, recante, tra l’altro, la delega per la riforma dei reati fallimentari. Tale legge impone, in particolare, una riduzione generalizzata delle pene comminate per i reati di bancarotta. Nel caso di bancarotta fraudolenta impropria, ad esempio, si dovrebbe passare dalla reclusione da 3 a 10 anni a quella da 2 a 6 anni. Tali modifiche hanno destato notevoli perplessità, al punto da indurre il Governo ad impegnarsi a ripristinare pene più severe al momento della redazione del decreto delegato. La delega interviene anche sulle condotte penalmente rilevanti. Si intende, infatti, riconoscere rilevanza penale esclusivamente a comportamenti contemporanei all’insolvenza o al concreto pericolo della stessa. Ma vedi su questo, infra, lett. d), 45 C. P. 9 dicembre 1992, G FALL, 1994, p. 154. 46 Antolisei, Manuale, cit., 127-8 47 Adesivamente a questo orientamento si pronuncia C.P. 27 aprile 1983, G PEN, 1984, III, 331, con nota ulteriormente adesiva di La Monica 13 dolo vada inteso in conformità alla nozione generale dello articolo 43 c.p. e comprenda non solo i casi di volizione diretta dell’evento (dissesto), ma anche quelli di volizione indiretta o eventuale, mentre la formula “operazioni dolose” riguarderebbe qualsiasi comportamento delle persone preposte all’amministrazione e al controllo delle società che, con abuso di poteri o violazione di doveri inerenti alle loro qualità, rechino pregiudizio ai le gittimi interessi dell’ente, dei soci, dei creditori, realizzato allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto 48 . A parere di chi scrive, le ipotesi di causazione dolosa del fallimento e di fallimento determinato da operazioni dolose vanno tenute distinte e non sono assimilabili. Infatti, pare che la causazione dolosa del fallimento, prevista dall’art. 223, primo capoverso, n. 2 L. F. comprenda due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo non presentano sostanziali differenze, mentre, da quello soggettivo, vanno tenute distinte perché nella causazione dolosa del fallimento questo è voluto, specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto (dal punto di vista della causalità materiale) di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso. La prima fattispecie parrebbe, dunque, profilare un dolo specifico, contrariamente alla seconda che sembrerebbe psicologicamente impinta da dolo solo generico. Quanto, infine, alla ipotesi prevista dall’art. 224 L. F. (bancarotta semplice impropria), basti qui ricordare che l’elemento soggettivo del reato è la colpa per inosservanza degli obblighi imposti ai dirigenti e responsabili della società dalla legge, rinviando, per il resto, alla parallela ipotesi contemplata dall’art. 217 (bancarotta semplice propria)49 50 . 3.3 Nota procedurale. Pare ora opportuno soffermarsi brevemente su un particolare aspetto processualpenalistico, con riferimento alle fattispecie penali fallimentari di ci si è fin qui occupati e all’art. 238 L. F. Tale norma, posta all’inizio del capo IV, relativo alle disposizioni processuali e riconnessa ai reati di bancarotta fraudolenta e semplice, propria e impropria, riguarda l’avvio dell’azione penale dopo la comunicazione della sussistenza della condizione di punibilità (i. e. la sentenza dichiarativa di fallimento), contemplando pure una controregola di inizio preventivo dell’azione nel caso dell’art. 7 e, estensione significativa, in ogni altro caso in cui concorrano 48 Cfr. Nuvolone, Il diritto, cit. pp. 379 ss. Cfr pag. 15 confronta p.17 50 Altre recenti sentenze relative ai temi fin qui trattati risultano C.P. 14 gennaio 2004 ; C. P. 2 febbraio 2004 ; C. P. 22 settembre 1999, tutte su CED Cassazione. 49 14 gravi motivi e penda il procedimento per la dichiarazione (la norma dianzi citata riguarda lo stato di insolvenza risultante in sede penale ). Ovviamente, il rapporto di pregiudizialità, affermato e poi derogato in casi eccezionali dall’art. 238, trova, quale elemento di conforto, la tendenza all’autonomia e autosufficienza della giurisdizione penale rispetto a tutte le altre e specie a quella civile. In sostanza, non potendo ulteriormente approfondire un discorso che pur meriterebbe una trattazione a parte, va precisato che la possibilità per il pm eccezionalmente di promuovere le indagini ed anche incidente ai sensi dell’art. 392 c.p.p prima della dichiarazione di fallimento, sollecitando addirittura misure cautelari, risulta apparentemente rafforzata, benché si debba affermare la opportunità della sospensione, in attesa della definizione del giudizio civile, del processo che sia giunto al dibattimento, ex art. 479 c.p.p. 4. Appendice di aggiornamento Con l'emendamento sui reati fallimentari, inserito nella legge di conversione del Dl competitività e approvato 4 maggio u.s., prende corpo la delega per la riforma dei reati fallimentari. Il progetto non modifica troppo gli attuali assetti, se non sul trattamento sanzionatorio, e le scelte lessicali effettuate, ponendosi in continuità terminologica con la vigente normativa, dovrebbero consentire di sfruttare il patrimonio interpretativo accumulato. Resta da vedere se, date le attuali difficoltà, il provvedimento riuscirà a tagliare il traguardo. Il punto 1, lettera a, della delega descrive la bancarotta fraudolenta patrimoniale dell'imprenditore individuale. Rispetto all'attuale disposizione (art. 216, comma 1, lettera a), l'innovazione più significativa è la rilevanza penale delle condotte pre fallimentari solo se « contemporanee allo stato d'insolvenza o al concreto pericolo del medesimo » . Si ritaglia in tal modo un'area di rischio penale all'interno della quale collocare i fatti offensivi degli interessi patrimoniali dei creditori. Non meno significativa appare l'estensione dell'oggetto materiale delle condotte al patrimonio « che, a norma delle leggi civili, è destinato al soddisfacimento dei creditori » , con inclusione, ad esempio, del patrimonio del garante concorrente con il soggetto qualificato. Viene poi introdotta l'incriminazione, come figura generale permeata da frode, dell'imprenditore che realizzi condotte di causazione intenzionale del dissesto (oggi è prevista la causazione del dissesto, con dolo o per effetto di operazioni dolose, solo come reato delle persone diverse dal fallito, in particolare degli organi di amministrazione, direzione, controllo e liquidazione delle società commerciali). 15 Il punto 1, lettera b, tratta della bancarotta fraudolenta documentale dell'imprenditore individuale, riproponendo la delimitazione dell'area di rischio penale già vista. Viene menzionata in modo espresso, nell'ambito della bancarotta documentale " generale", l'omessa tenuta delle scritture e dei libri contabili, se rende impossibile ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari. Il punto 1, lettera c, si occupa della bancarotta preferenziale dell'imprenditore individuale con l'intento di descrivere con maggiore precisione il reato: così sembra doversi intendere l'esigenza che la condotta preferenziale sia « indebita o ingiustificata » . Il punto 2 detta le linee della bancarotta semplice dell'imprenditore individuale, riducendo i casi attualmente previsti (art. 217); in una prospettiva che si propone di non criminalizzare le violazioni formali (la bancarotta semplice documentale non è, infatti, più riproposta), il reato è fatto consistere solo nelle condotte di omessa o ritardata presentazione dell'istanza per l'apertura della liquidazione concorsuale che abbiano aggravato il dissesto. Il punto 3 applica la previsione dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale ai soggetti cui sia estesa la procedura di liquidazione concorsuale (ad esempio, il socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo), sempre che tali fatti riguardino beni appartenenti al soggetto stesso. Il punto 4 è dedicato alla bancarotta fraudolenta " impropria", vale a dire dell'institore e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione, controllo o liquidazione dell'ente dichiarato insolvente. Accanto alla causazione intenzionale del dissesto, si è prevista l'ipotesi che il dissesto consegua a condotte di abuso o violazione dei relativi poteri o doveri. Per quanto riguarda la bancarotta impropria " societaria", si è stabilito, con l'intento di evitare una sovrapposizione con le fattispecie di causazione del dissesto, che i fatti rilevanti siano le falsità contemplate dagli artt. 2621 e 2622 (false comunicazioni sociali), 2623 (falso in prospetto), 2624 (falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione) e 2638 (ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza) del Codice civile. Si è esclusa, inoltre, la necessità che i fatti abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto, ritenendo sufficiente che siano stati realizzati nell'area di rischio. Il punto 8 disciplina le sanzioni. La reclusione massima per la bancarotta fraudolenta patrimoniale e per quella documentale dell'imprenditore individuale e dei soggetti indicati al punto 3 è ridotta a 6 anni dagli attuali 10 (il minimo passa da 3 a 2 anni). A un massimo di 4 anni scende la pena della bancarotta preferenziale e della bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale impropria indicata al punto 4. Quest'ultima riduzione è del tutto ingiustificata, sia in termini assoluti sia in relazione alla circostanza che, per i corrispondenti 16 fatti di bancarotta dell'imprenditore individuale, è proposto un massimo più elevato (6 anni). Nessuno può pensare che il fatto dell'imprenditore individuale esprima un più grave disvalore di quello compiuto, su un patrimonio che neppure gli appartiene, dal suo institore o, peggio, dall'amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore di una società, magari quotata. Anzi, anche volendo considerare accettabile, per la limitata dannosità economica del fenomeno, la pena ipotizzata per l'imprenditore individuale, essa è palesemente incongrua rispetto ai grandi dissesti societari di questi tempi e ancora meno proponibile è che queste ipotesi di bancarotta, fatta salva l'incidenza di eventuali circostanze aggravanti, finiscano col prescriversi in 5 anni (7 anni e mezzo in presenza di atti interruttivi). Un massimo di 2 anni è previsto, poi, per la bancarotta semplice. L'ultimo punto della lettera a tratta delle circostanze del reato, imponendo la previsione di una circostanza attenuante per i comportamenti che, successivamente ai fatti, ma tempestivamente, abbiano cancellato le conseguenze dannose. La lettera b conserva, infine, la pena accessoria dell'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese in caso di condanna per bancarotta fraudolenta e per bancarotta semplice impropria. 5. Conclusione Al termine del presente lavoro,possono tracciarsi le seguenti conclusioni. Il rischio d’ impresa può essere utilmente rapportato a profili di responsabilità dolosa dell’agente grazie, da un lato, al ricorso a strumentari teorici interni alla scienza penale, dall’altro ad un approccio integrativo di stampo interdisciplinare derivante dalle più recenti elaborazioni della teoria economica della corporate e control governance; all’interno di quella particolare fase patologica della vita della impresa, individuale o societaria, caratterizzata dal fattuale stato di insolvenza ovvero di dissesto economico dell’imprenditore o, comunque, dei responsabili della società sfociante nella formale dichiarazione di fallimento, il profilo della volizione dolosa di condotte vietate ha condotto il legislatore a giustapporre, accanto alle tutele tradizionalmente civili e individuali di diritto sostanziale e rituale, sanzioni penali volte a preservare interessi diversi e di più ampio respiro, in funzione no n solo repressiva ma pure preventiva della criminalità economica, nell’ambito di una zona che abbiamo definito come di “rischio penale qualificato”. In tal senso, lo studio di alcune delle più importanti fattispecie penali incriminatici fallimentari, anche se ristretto al solo angolo visuale dell’elemento soggettivo, pare senza 17 dubbio confermare che il messaggio del legislatore fallimentare è ripetutamente questo: impedire all’imprenditore in stato di insolvenza di continuare ad operare attraverso una catena di divieti, che in positivo si traduce nella tutela dei creditori, della correttezza processuale del fallimento e, in definitiva, di una retta gestione dell’economia nazionale, nonché di un’ equa amministrazione della giustizia. Del resto, le accennate prospettive di riforma (culminanti nella recentissima legge delega per la riforma dei reati fallimentari, dei cui punti salienti ci siamo occupati) sembrano in parte contraddire l’esigenza sempre più avvertita dai risparmiatori e, in generale, dagli ambient i interessati (basti pensare ai crac della Parmalat e della Cirio) di rafforzare i mezzi di tutela già esistenti a favore di una più ordinata e prudente gestione delle leve del potere del potere economico, inducendo gli operatori a dismettere atteggiamenti mentali di spregiudicato machiavellismo ed assumere condotte improntate ad una più sana etica degli affari. Dott. Davide Prinari Bibliografia annotata e consultata Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, art. 1-84, Milano, 1995 ; Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2002; Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano 2002 ; Fiandaca – Musco, Diritto Penale, Parte generale, Bologna, 1998 ; Fiorella – Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, Torino, 2004 ; Fiorella, I principi generali di diritto penale dell’economia, in Trattato Galgano di diritto commerciale, Vol. XXV, Padova, 2001 ; Delitala,Contributo alla determinazione giuridica del reato di bancarotta, Riv. D. Com., 1926, pp. 437 ss. ; Longhi, Bancarotta ed altri reati in materia commerciale, Milano, 1930 ; Delitala, L’oggetto della tutela del reato di bancarotta, in Studi Longhi, Roma, 1935 ; Bonelli, Del fallimento, Milano, 1939 ; Crispigni, La bancarotta e la legge in preparazione del fallimento, Riv. D. 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