Pubblicazione gratuita quadrimestrale, anno 1° n°1 novembre 2011, Aut. Tribunale di Rovigo n. 5 del 2011, Contiene I.P. , Codice ISSN 2240-3612 numero. erde tierra terra terre earth 2 numero. erde tierra terra terre earth 2 Magazine dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Rovigo quadrimestrale n.2 | maggio 2012 indice editoriale territorio fragile di Roberto Navarrini Direttore responsabile Micol Andreasi Direttore Roberto Navarrini scenari Comitato di redazione Sara Cuccu Veronica De Stefani Michael Gamberini Elena Lavezzo Michele Peretto Silvio Pianta Sara Voltani Davide Zagato l’architettura di Mario Cucinella tra estetica,etica ed empatia intervista a Mario Cucinella a cura di Elena Lavezzo Impaginazione Michael Gamberini Traduzioni Sara Cuccu Michele Peretto Stampa Tecnocopy Service S.n.c. Rovigo, Italy Distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’Albo della Provincia di Rovigo, agli Ordini provinciali, alle Federazioni regionali, al C.N.A., agli Enti e Amministrazioni interessate ed alle Associazioni culturali della Provincia. Gli articoli firmati esprimono esclusivamente l’opinione degli autori non impegnano il Direttore, il Comitato di redazione e il Consiglio dell’Ordine. Le foto e le immagini fornite dai rispettivi autori sono tutelate dalle leggi sul copyright. Ogni riproduzione anche parziale è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo modalità di legge: le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli autori. Consiglio dell’Ordine degli Architetti PPC Rovigo Presidente Marzio Bottazzi Giovanna Bordin Luigi Barbato Nicola Cappato Daniele Battaglini Michele Fioravanti Roberto Navarrini le jardin de mire RAUM 14 pavillon d’été du Petit-Lac à Sierre BASSICARELLA ARCHITECTES 20 parasite las palmas Korteknie Stuhlmacher Architecten 24 estonoesunsolar gravalosdimonte arquitectos 28 Nella terra: Sport Center ETH a cura di Davide Zagato 34 spazio concorsi Federico Pugina Michele Rizzato Sostenere i concorsi,nonostante tutto a cura di Claudio Aldegheri Editore e Redazione Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Rovigo via Enrico Toti, 36 | 45100 | Rovigo Tel. 0425.421799 | Fax 0425.25888 [email protected] | www.ordinearchitetti.ro.it Aut. Tribunale di Rovigo n.5 del 2011 finito di stampare nel mese di giugno 2012 3 40 42 a cura di Silvio Pianta Codice ISSN 2240-3612 pensare sostenibile a cura di Veronica De Stefani 44 2 “Accidenti……non finisce più” queste sono state le mie parole il 20 maggio alle quattro di mattino…e subito il pensiero corse a stimare dove potesse essere l’epicentro del terremoto che ha fatto cadere alcuni soprammobili nel mio appartamento al quinto piano. Avendo coscienza che la nostra zona è catalogata a bassa pericolosità sismica, non ho mai temuto i terremoti, ma quella domenica mattina presto, la scossa è stata forte e lunga. Neppure il disastroso terremoto in Friuli del 1976 era stato avvertito in modo così evidente in città e quindi la mia preoccupazione si è diretta verso quella direzione temendo un terremoto catastrofico nel nord-est, non avrei mai immaginato invece che l’epicentro del sisma fosse a poche decine di chilometri da me. Come tecnici abbiamo sempre progettato e costruito convinti che il pericolo che la terra tremasse fortemente non fosse possibile dalle nostre parti, per cui le particolari misure da prendere in questi casi fino a pochi anni fa non erano state previste, solo dal 2003 siamo stati obbligati a considerare i territori in cui viviamo a debole a rischio sismico (zona sismica 4), ora invece il nostro ruolo sociale e professionale ci impone a valutare con grande preparazione e sensibilità il fatto che gli edifici che andremo a costruire dovranno resistere a movimenti tellurici di non lieve entità. Proprio perché “architetti” sappiamo il significato che ha per ogni uomo il costruirsi una casa, quante volte abbiamo cercato di interpretare i desideri dei nostri clienti, e quante volte abbiamo letto in loro la soddisfazione di possedere un’abitazione, che talvolta diventa anche una tana dove ritirarsi e proteggersi dalle difficoltà della vita. Ora pensiamo a quelle persone che all’improvviso sono rimaste senza niente, proprio niente, tutto sepolto sotto le macerie, neppure la scatola di latta con i ricordi di adolescente, per non pensare a coloro che hanno perso anche la vita. Ecco, di fronte a questi drammi, affinchè non si ripetano, dobbiamo dare il meglio delle nostre conoscenze, non accontentarci delle normative ma usare la nostra esperienza e professionalità per costruire case sicure, e non solo case ma anche luoghi di lavoro affidabili. Forse i progettisti e i produttori di quei capannoni crollati, con le travi semplicemente appoggiate ad altre travi a loro volta ad incastro libero sui pilastri, qualche senso di colpa ce l’hanno: hanno rispettato le norme ma non hanno analizzato l’imprevisto. Questo è il messaggio di questa tragedia, vedere più avanti, pensare che l’imprevedibile sia dietro l’angolo, e non solo per quanto riguarda la statica, ma anche per il risparmio energetico, dobbiamo pensare ad un modo nuovo di costruire, puntare a costruire “case passive”, con l’autosufficienza energetica, perché negli instabili equilibri mondiali basta poco a far schizzare alle stelle i costi dell’energia. Molti sono convinti che tutto accadrà lentamente, molto lentamente e lo auspichiamo tutti: le riserve petrolifere che diminuiscono poco a poco, il metano ci da una mano…..e poi trac… un conflitto e ci rammaricheremo di non aver costruito prima case meno energivore. Quindi, coraggio, rimbocchiamoci le maniche e lavoriamo con rinnovato impegno! Marzio Bottazzi Presidente dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Rovigo editoriale territorio fragile di Roberto Navarrini Dopo acqua, “numero.” si occupa del tema terra inteso come pianeta, nazione, zolla, ettaro, ecc. e considerato, scendendo così di un livello nella tetraktys pitagorica, nella sua accezione più ampia. La tendenza delle nostre città negli ultimi anni è il continuo ingrandirsi, modificando sempre più il paesaggio e provocando cambiamenti nell’uso del territorio; così la tematica relativa al consumo di suolo diventa centrale in quanto coinvolge tutti. Nella nostra penisola, e soprattutto nella pianura padana, sono stati divorati ettari di suolo agricolo con ritmi superiori a quelli del boom economico degli anni 1950-1960, purtroppo col consenso o nell’indifferenza della maggioranza della popolazione. Ciò che sta accadendo, alcune amministrazioni stanno già applicando processi virtuosi in questo senso, richiede un cambio di mentalità categorico: non è più possibile avere modalità di sviluppo speculative. In questa prospettiva la figura dell’architetto assieme a quella di altri attori può diventare nevralgica, nei processi di sviluppo urbano, ma anche nell’orientare verso nuove modalità di approccio, più rispettose del territorio, generanti sicurezza e benessere limitando gli sprechi energetici. Un esempio anche e soprattutto per le nuove generazioni. I nostri sistemi di pianificazione sono ormai obsoleti e figli di una politica di spartizione del territorio a fini speculativi non più accettabile. Il suolo è una risorsa finita e non rinnovabile, quindi il suo consumo deve essere limitato. Quali sono le possibili alternative? Costruire in aree dismesse, recuperare e rigenerare il patrimonio edilizio esistente, ampliare con tecniche non invasive quanto già esiste. Nell’intervista a Mario Cucinella, uno degli architetti italiani più impegnati nella ricerca di un’architettura di qualità senza sprechi energetici e attenta ai luoghi, queste tematiche sono state esplorate attraverso alcuni suoi progetti e realizzazioni recenti. Nell’intervista è richiamata una sua recente affermazione “in Italia il ruolo dell’architetto è socialmente inutile” affermazione che ci impone una severa riflessione su quale dovrà essere il nostro impegno e su come si dovranno cambiare i sistemi di gestione dei processi di trasformazione. Il quadro è chiaro: siamo tutti chiamati a contribuire per promuovere interventi di qualità, sensibili al contesto, liberi dalle perverse logiche del profitto. Ogni intervento, anche il più piccolo in luoghi quotidiani, può/deve essere il germe per un nuova rinascita. Sono gli interventi “normali”, depositari di una grande forza, che spesso sono frutto di sforzi, di pazienza e di grande attenzione, ma soprattutto sono veri, concreti e possono farci ripartire liberandoci dall’effimero e dal superficiale. Nella sezione scenari il tema terra viene declinato secondo diversi aspetti attraverso la lettura di interventi che attivano con il luogo uno scambio sinergico e arricchente: il padiglione di RAUM a Nantes rivestito con sacchi di terra dove germoglia un prato, l’intervento dello studio Bassicarella che dialoga con la topografia del paesaggio, il parassita di Korteknie Stuhlmacher che sfrutta le strutture esistenti senza consumo di suolo, il programma “EstoNoEsUnSolar” di Gravalosdimonte che attraverso interventi leggeri ed economici rivaluta aree vuote della città di Saragozza innescando processi di rivitalizzazione sociale e infine lo Sport Center EtH di Zurigo di Dietrich Untertrifaller + Staheli costruito dentro la collina con la quale dialoga in modo delicato e armonioso. Attivare processi e progetti attenti e sensibili sottende a rivedere anche le modalità di affidamento. Nella sezione concorsi il contributo di Claudio Aldegheri, coordinatore della commissione concorsi FOAV, evidenzia con intelligenza quali sono le carenze del sistema dei concorsi in Italia rimarcandone, però, l’assoluta necessità per avere un’architettura di qualità. Mentre “numero.” si preparava ad andare in stampa il 20 e poi il 29 maggio due scosse di terremoto di magnitudo 5.9 hanno scosso la pianura padana tra la nostra provincia e l’Emilia provocando distruzione e vittime. Questo terribile evento, pensando anche al recente terremoto in Abruzzo, ci impone azioni forti, immediate e concrete, con il contributo di tutti, affinché gli edifici e le nostre città possano sopportare in futuro questi imponderabili eventi. Il cambio di mentalità dove condurre a considerare non più una eccezionalità ciò che è realizzato con corretti criteri, sia energetici che antisismici, ma la normalità. A questo dobbiamo tendere. Con tutte le nostre energie. editoriale l’architettura di Mario Cucinella tra estetica, etica ed empatia intervista a Mario Cucinella a cura di Elena Lavezzo Una breve intervista all’architetto Mario Cucinella che nei suoi lavori, in Italia e all’estero, sviluppa una continua ricerca nel campo dell’architettura sostenibile. Quest’ultima, caratterizzata da strategie naturali e tecnologie sofisticate che diventano a volte elementi peculiari dal punto di vista estetico, non è mai esente da un approccio etico e empatico nei confronti dell’ambiente. EL Nei tuoi progetti, oltre all’intenzione di creare luoghi in cui vivere con piacere, c’è sempre un approccio sostenibile, che si concretizza nelle strategie atte a creare micro-climi ambientali controllati e molto altro. Le tue architetture possono definirsi empatiche nei confronti dell’ambiente, ma qual è, visto che parliamo di terra, il tuo parere sul tema del consumo di suolo? MC Il tema del consumo di suolo è un tema importantissimo e complesso, in cui entrano in gioco molti fattori tra cui l’etica, la visione politica e la legalità. Noi abitanti dei paesi sviluppati abbiamo la fortuna di vivere nel benessere e di sostenere stili di vita improntati al pieno soddisfacimento dei nostri desideri. Per noi oggi è normale mangiare uva a febbraio, bere vino sudafricano, riscaldare e Sezione bioclimatica per la riqualificazione del complesso residenziale Aler di Milano. J scenari scenari 3 raffrescare le nostre case come più ci piace, apriamo il rubinetto e l’acqua viene fuori come per magia... Purtroppo non ci rendiamo conto che per poter vivere così consumiamo le risorse di qualcun altro che invece è costretto a vivere al limite della sopravvivenza. Per questo motivo dobbiamo ripensare al modo in cui viviamo, dobbiamo stabilire delle nuove dinamiche che ci permettano di vivere in modo più etico e permettano di distribuire le risorse, tra cui soprattutto il suolo, in modo più equo. Arriverà un giorno, non molto lontano, in cui questo modo di agire responsabile non sarà più un’opzione ma una necessità inderogabile a cui non potremo sottrarci in alcun modo. Un primo passo che noi architetti possiamo fare in quest’ottica di responsabilizzazione è quella guardare al consumo di suolo in modo diverso. È sempre necessario sottrarre nuovi spazi alla natura o all’agricoltura? Come possiamo riutilizzare spazi ormai in disuso per rendere le nostre città più belle e più vivibili? Penso agli enormi spazi, spesso centralissimi, che si trovano nelle nostre città…penso alle vecchie caserme, alle aree industriali dismesse alle vecchie strutture ospedaliere. Sono edifici di pregio che si trovano in luoghi privilegiati delle nostre città e che spesso per colpa dell’incapacità di prendere decisioni da parte della politica versano in condizioni di degrado e di abbandono. Sarebbe importante e utile far rivivere questi spazi abbandonati e renderli funzionali alle esigenze dei cittadini. Penso anche ad una importante esperienza di riqualificazione e rigenerazione urbana che sto portando avanti a Milano, con l’ALER, in uno storico quartiere di edilizia popolare. Realizzeremo dei micro-villaggi, edificati utilizzando strutture prefabbricate in legno, per circa 100 studenti, direttamente sulla copertura di 4 vecchie torri di 8 piani ciascuna. L’intervento, oltre a prevedere una bonifica delle torri che saranno più salubri e più efficienti energeticamente, ha creato un grande fermento nella gente del quartiere che vedrà i propri palazzi popolati da giovani studenti, si favorirà anche la creazione di nuove comunità. Immagini di riferimento per la riqualificazione del complesso residenziale Aler di Milano. Vista del plastico per la nuova sede dell’ARPA a Ferrara. Immagini del progetto di riqualificazione del complesso residenziale Aler di Milano. Render della nuova sede dell’ARPA a Ferrara. 4 scenari EL In Italia e all’estero, è sempre attuale la questione del rapporto tra costruito e territorio. E’, e se sì come, variato nel tuo lavoro il rapporto tra architettura e paesaggio? MC Il territorio è un’entità piuttosto complessa, non è solo uno spazio finito e delimitato da confini precisi. Il territorio è “un supporto” su cui intervengono infiniti fattori e su cui agiscono molti “attori”. L’agricoltura, le reti idrogeologiche, i parchi nazionali, le aree industriali, le città, i paesi, i villaggi, le comunità, le infrastrutture viarie, i porti, le discariche, la legalità, l’illegalità, la cultura, le differenze, le diverse vocazioni. Se guardiamo a tutto questo possiamo capire la difficoltà di interpretazione e la necessità di nuovi strumenti di pianificazione e gestione del territorio. Nell’architettura è mancata una visione di insieme delle azioni necessarie da intraprendere per riuscire a governare questo insieme non organico di fattori. Negli scorsi decenni la tendenza è stata quella di ragionare più per territori “amministrativi” che “paesaggistici” creando inevitabilmente una frammentazione e un senso di estraneità. In una nuova visione bisogna necessariamente confrontarsi con questa realtà multiforme cercando di creare, attraverso nuovi strumenti di gestione del territorio, un’idea identitaria di paesaggio, anche attraverso il meccanismo delle demolizioni nelle numerose realtà che oltraggiano il nostro paesaggio. È necessario guardare ad una dimensione collettiva, nuova, che includa infrastrutture verdi, anche extraregionali, come indica Andreas Kipar, dove i progetti paesaggistici e le infrastrutture verdi possano contribuire a dare un nuovo senso di identità a luoghi finora costruiti guardando alla sola ottica speculativa. Bisogna incrociare i nuovi bisogni dei cittadini e delle aree produttive comprendendo prima le reali necessità e poi i piani economici. Da quanto tempo utilizziamo gli stessi strumenti di pianificazione? E gli strumenti che utilizziamo sono adeguati alle necessità di oggi? La risposta è che gli strumenti non sono cambiati mentre le necessità si. Ecco, negli anni la visione tra paesaggio è architettura è variata nel mio lavoro cercando di tener presente le nuove necessità e cercando di affinare sempre di più una sensibilità verso le complessità dei luoghi dove mi trovo a lavorare, una sorta di empatia creativa. scenari 5 Vista del plastico per One airport square, Accra - Ghana. 6 7 EL Nella tua attività si riconosce sempre la ricerca di equilibrio tra estetica e etica. Com’era e com’è oggi lo scambio tra un aspetto e l’altro nei tuoi progetti? MC Ci sono dei luoghi nel mondo dove bisogna per forza confrontarsi con le enormi difficoltà esistenti; difficoltà di vario genere, climatiche, politiche, culturali. In questi luoghi, il concetto di estetica non può prescindere da quello di etica e anzi occorre partire da una visione etica per poter realizzare qualcosa che sia anche bello. Qualche anno fa mi è capitato di partecipare ad una conferenza a Ramallah, organizzata dalla Cooperazione Italiana allo sviluppo. Visitando i Territori palestinesi e, soprattutto, Gaza è nata l’idea di promuovere un modello di scuola sostenibile. A Gaza la dipendenza energetica è totale: l’elettricità arriva con un black out di 40-60 ore a settimana. L’altro problema deriva dall’acqua, perché le acque superficiali sono tutte inquinate per la mancanza di sistemi di fognatura e di depurazione e non è possibile accedere a falde molto profonde. C’è un’enorme difficoltà di accesso alle risorse primarie. In questo quadro ci è sembrato interessante presentare all’ONU il progetto di scuola green. L’idea è stata accolta con molto interesse ed è stata già finanziata dalla Banca Islamica per lo Sviluppo. Il progetto è complicato perché, avendo scarse risorse economiche e tecnologiche, siamo stati costretti a ripercorre, attualizzandole, tradizioni millenarie, come quella di raffrescare l’aria sotto l’edificio, utilizzare dei camini solari per ventilare le classi e proteggerle dal sole, disegnare la forma dell’edificio in modo da poter raccogliere e massimizzare l’uso delle acque piovane (scarse ma che garantiscono comunque 400 mm d’acqua nel corso dell’anno), che vengono stoccate e recuperate attraverso un processo di fitodepurazione. La vera sfida sta nell’utilizzare al massimo le risorse disponibili sfruttando anche le condizioni climatiche. Grazie a nuove tecniche costruttive e al supporto della tecnologia, edificare una scuola a Gaza, oggi è possibile, nonostante le condizioni proibitive. Schizzo progettuale della scuola di Gaza. Vista del plastico della scuola di Gaza. Sezione bioclimatica della scuola di Gaza. Vista del plastico della scuola di Gaza. 8 scenari Ed è un grande passo avanti per il benessere delle nuove generazioni: far sì che i bambini studino in scuole quantomeno decenti mi sembra un elemento fondamentale per uno sviluppo sostenibile. In luoghi come quelli dei territori palestinesi dove nei mesi estivi fa davvero caldo e le temperature superano i 40 gradi stare tra i banchi di scuola diventa quasi impossibile, soprattutto se scarseggia anche l’acqua e spesso viene staccata la luce. Progettare pensando solo all’aspetto estetico di un edificio senza tener conto di questi aspetti fondamentali non avrebbe alcun senso. In questa operazione c’è anche un altro aspetto che mi sembra interessante dal punto di vista etico, la costruzione di una green school a Gaza rappresenta infatti un’importante opportunità per favorire il trasferimento di conoscenza tecnica agli ingegneri e agli imprenditori palestinesi. Questa fondamentale componente viene gestita da “Building Green Futures”, un’organizzazione non-profit che ho recentemente fondato al fine di promuovere i principi di un’architettura sostenibile negli interventi umanitari e nei contesti in via di sviluppo. La nascita di un’organizzazione incentrata sui temi dell’architettura sostenibile nasce, soprattutto, dalla considerazione di quanta scenari 9 Vista del plastico della scuola di Gaza. poca qualità ci sia nelle azioni umanitarie istituzionali o delle ONG, in termini di architettura e organizzazione dello spazio pubblico. In questo campo, infatti, molta attenzione viene data alla ricerca di fondi e di azioni, poca alla qualità degli edifici sia in termini di prestazioni energetiche e di integrazione con fonti rinnovabili, che in termini di qualità propria dell’architettura.Pur conoscendo i limiti economici esistenti nei paesi in via di sviluppo, spesso il miglioramento della qualità non e’ sinonimo di costi extra, ma solo di un modo di pensare diverso alla progettazione degli edifici. L’azione di Building Green Futures si rivolge, pertanto, alla creazione di un gruppo di esperti in grado di collaborare con le agenzie umanitarie e i donatori, al fine di qualificare gli investimenti. L’organizzazione non-profit ha natura esclusivamente tecnica ed ha lo scopo di migliorare le condizione delle persone attraverso una migliore qualità degli edifici e dello spazio pubblico. 10 scenari EL Qual è secondo te il ruolo dell’architetto oggi? In questo momento particolare per l’economia del nostro Paese credi che conseguirà un cambiamento nel modo di intendere la nostra professione? MC Me lo auguro. Mi auguro che il ruolo dell’architetto venga realmente compreso nel nostro Paese e acquisti sempre più un maggiore peso, così come accade in altri Paesi. Tempo fa, in modo polemico, avevo dichiarato che in Italia il ruolo di un architetto è socialmente “inutile” e avevo chiesto asilo politico ai leader dei Paesi stranieri, questo perché nei processi di pianificazione urbana le logiche perseguite sono quelle del profitto, le opere vengono affidate per lo più direttamente alle imprese mentre il ruolo dell’architetto è sempre più marginale. Questa a mio avviso è una visione molto miope che però col tempo sta presentando alla collettività un conto molto salato. Non posso dimenticare come è stata gestita la vicenda dell’Aquila o del G8 alla Maddalena. L’impressione che ho è che viviamo in un Paese dove non ci sia alcun amore per l’architettura, un Paese che sta inesorabilmente ma con determinazione facendo morire la cultura e l’architettura, un Paese dove ci si preoccupa più dell’immagine che della sostanza. Allo stesso tempo, però, mi sono accorto che qualcosa è cambiato, sempre più professionisti stanno comprendendo la complessità dei nuovi scenari in cui occorre operare e stanno portando avanti con serietà un nuovo modo di fare architettura. Mi auguro che con il tempo la politica e le amministrazioni abbiano la forza di ascoltarli, facendone protagonisti per il bene della nostra società. Il SIEEB di Pechino. scenari 11 One airport square destinazione d’uso: misto sito: Accra (Ghana) committente: ACTIS London project developer: Laurus Development Partners cronologia: 2010-2012 superficie: 17000 m2 costo: 20.5 ml Euro EQUIPE progetto: MCA responsabile di progetto: David Hirsch Luca Bertacchi gruppo di progetto: Mario Cucinella Hyun Seok Kim Giuseppe Perrone Nada Balestri Luca Sandri Giulia Pentella Alberto Bruno plastico: Yuri Costantini progetto strutturale: Politecnica Ingegneria e Architettura, Modena; Twum Boafo & Partners, Accra progetto elettrico e meccanico: BDSP Partnership, London; Impact Technologies Limited, Accra partner locale: Deweger Gruter Brown quantity surveyors: Davis Langdon, London; A-Kon Consults Limited, Accra immagini virtuali: Engram studio A.L.E.R. Riqualificazione e ampliamento del complesso residenziale A.L.E.R. sito: Milano (Italia) committente: ALER cronologia: 2009- in corso superficie: 3500 m2 costo: 8 ml Euro EQUIPE Vista del plastico per la scuola di Gaza. 12 scenari Progetto: MCA responsabile di progetto: David Hirsch gruppo di progetto: Mario Cucinella Hyun Seok Kim Nada Balestri Alberto Bruno Giulia Pentella Marco Dell’Agli plastico: Yuri Costantini ingegneria: Politecnica Ingegneria e Architettura immagini virtuali: Engram studio CSET Centre for Technologies Sustainable Energy destinazione d’uso: università sito: Ningbo (China) committente: University of Nottingham, Ningbo( China) cronologia: 2006-2008 superficie: 1200 m2 costo: 5 ml Euro EQUIPE progetto: MCA gruppo di progetto: Mario Cucinella Elizabeth Francis Angelo Agostini David Hirsch Gabriele Evangelisti collaboratori: Eva Cantwell (3D) Richard Ceccanti (3D) Francesco Fulvi Caterina Maciocco Giuseppe Perrone Luca Stramigioli Debora Venturi (strategie ambientale) plastico: Natalino Roveri Alessandro Bobbio progetto ambientale: School of the Built Environment, University of Nottingham, UK Prof. Brian Ford Prof. Saffa Riffat Rosa Schiano Mauricio Hernandez Tascon management di cantiere e progetto: Chris Jagger University of Nottingham, UK; Charles Lee Orlando Shi University of Nottingham, Ningbo (Cina) on-site Implementation of Energy equipments and technologies: Prof. Jo Darkwa University of Nottingham, Ningbo (Cina) partner locale: NADRG, Ningbo (Cina) construction management: WEG, Ningbo (Cina) progetto strutturale: Luca Turrini progetto meccanico, elettrico e light design: TiFS Ingegneria Srl, Padova (Italia) Prof. Roberto Zecchin fotografie: Daniele Domenicali School for a green future, architecture as a sign of peace SIEEB Sino-Italian Ecological Energy Efficient Building destinazione d’uso: scuola sito: Gaza (Palestina) finanziatori: Islamic Development Bank, Kuwait Fund for Development partnership: UNRWA (The United Nations Relief and Works Agency) destinazione d’uso: università sito: Pechino (China) committente: Ministero Italiano per l’Ambiente e la Tutela del Territorio, Ministero della Scienza e della tecnologia della Repubblica Popolare Cinese cronologia: 2003-2006 superficie: 20000 m2 costo: 20.5 ml Euro EQUIPE progetto: MCA progetto strutturale: F&M favero&milan ingegneria, Ing. Maurizio Milan, Ing. Hazem Abdul Karim progetto ambientale: b&a associati architetture sostenibili, Arch. Mario Butera progetto raccolta acqua: artecAMBIENTE, Mauro Lajo, Davide Tocchetto progetto elettrico, meccanico e idraulico: ManensTiFS, Ing.Roberto Zecchin, Ing. Ugo Piubello partner per il medio oriente: Arch. Rashid Abdelhamid ARPA destinazione d’uso: uffici e laboratori sito: Ferrara (Italia) committente: Arpa Ferrara cronologia: 2006-in costruzione superficie: 5000 m2 costo: 4 ml Euro EQUIPE progetto: MCA responsabile di progetto: Francesco Barone Luca Bertacchi gruppo di progetto: Mario Cucinella Caterina Maciocco Antonella Maggiore Giulio Pisciotti Luca Stramigioli Alessio Rocco Debora Venturi plastico: Natalino Roveri progetto strutturale: Technopolis S.P.A. progetto strutturale legno: SWS Engineering studio bioclimatico: TIFS Ingegneria progetto elettrico: Tecnopolis S.P.A. immagini virtuali: Engram studio fotografie: Luca Bertacchi and EQUIPE progetto: MCA responsabile di progetto: Prof. Federico Butera Politecnico di Milano, Dipartimento Best, gruppo di progetto: Mario Cucinella David Hirsch G. Altieri plastico: Natalino Roveri progetto strutturale: F&M favero&milan ingegneria, S. Favero F. Zaggi G. Lenarduzz L. Nicolini China Architecture Design Research group costruttore: Impregilo Spa illuminazione: iGuzzini Illuminiazione Spa facciate in vetro: Permasteelisa Spa impianti idraulici: Merloni Termosanitari Group pavimenti: GranitiFiandre Spa sistema di controllo: Siemens Spa condizionamento: Climaveneta Spa pannelli radianti: Proter Imex Spa vetri: Glaverbel Spa fotografie: Daniele Domenicali Alessandro Digaetano MCA Archivi scenari 13 le jardin de mire Nantes,Francia RAUM Benjamin Boré Thomas Durand Julien Perraud 14 Il progetto è nato dalla richiesta dell’associazione Mire di rivestire il container posizionato nell’area del progetto culturale “La Fabrique” a Nantes per esaltarne la funzione pubblica di spazio espositivo e magazzino. La nostra proposta fu quella di non ricercare un rivestimento, ma di ceare un evento al fine di caricare di significato la realizzazione di un giardino in un’area industriale pesantemente inquinata da arsenio. Prendendo spunto da laboratori collettivi fatti a Subbotnik nell’ex-URSS, abbiamo organizzato sei giorni di workshop aperto a chiunque volesse parteciparvi per predisporre l’involucro del container. La facciata viene così creata usando sacchi di polietilene in triplo strato color nero (commercialmente conosciuti come silobag) riempiti con terra fertile, limo e dai semi portati dai partecipanti. I singoli sacchi vengono poi posizionati su corsi continui lungo tutto il perimetro senza predisporre alcun sistema di irrigazione. Dopo solo poche settimane, la facciata scura comincia a mutare, a crescere... e il giardino comincia ad esistere. scenari 15 Fasi di riempimento dei sacchi di polietilene. 16 scenari scenari 17 DATI DI PROGETTO destinazione d’uso: Local for storage & video exhibition sito: La Fabrique, Nantes, Francia committente: Idea Fiori di Marco Segantin cronologia: 2012 superficie: 30 m2 (locale) e 250 m2 (giardino) RAUM e uno studio fondato nel 2007 da Benjamin Borè e Julien Perraud, architetti formatosi all’Ecole de Architecture de Nantes. Thomas Durand è entrato a far parte dello studio nel 2010. L’esperienza collettiva è alla base della sua origine: la maggior parte dei progetti è stata condotta in collaborazione con architetti, artisti e singoli individui guidati dal desiderio di verificare la realtà. 18 scenari scenari 19 Pavillon d’été du Petit-Lac Sierre,Svizzera BASSICARELLA ARCHITECTES Andrea Bassi Roberto Carella 20 Costruire il paesaggio Nei nostri progetti ricerchiamo il rapporto che può esistere tra il luogo, il programma funzionale, la forma costruita e la sua materialità. Noi vorremmo che questa percezione di cose sia tanto emozionale quanto razionale. Il padiglione realizzato al di sopra del Petit Lac de Sierre (piccolo lago Sierre) è costituito da due spazi: uno piuttosto introverso e orientato verso la montagna, l’altro aperto generosamente verso il lago. Dalla strada che conduce al sito, la costruzione è praticamente invisibile, aderisce al fianco della collina seguendo le dolci ondulazioni della topografia. Il solo segno forte, che fa riconoscere è la presenza di un’abitazione con la sua grande apertura vetrata che incornicia la vallata. La bellezza del luogo è legata sia alle sue caratteristiche paesaggistiche naturali che a quelle artificiali costruite dell’uomo costituite dai muri in pietra a secco, che permettono la coltivazione delle vigne in questa regione montuosa. La collina di Lavaux è diventata patrimonio mondiale dell’Unesco grazie a questa struttura paesaggistica, in cui l’uomo ha operato tanto quanto la natura. scenari 21 BASSICARELLA ARCHITECTS viene fondato nel 2006 da Andrea Bassi e Roberto Carella,architetti formatosi rispettivamente all’ETS di Lugano e all’Ecole d’ingénieurs de Genève (EIG). Stefano Morello si è associato allo studio nel 2010. Il nostro progetto vuole proporsi come una situazione paragonabile. In natura, la percezione che noi abbiamo delle cose è intimamente legata alla loro forma e alla loro materialità. In architettura, possiamo fare la stessa constatazione. La dicotomia forma-materialità è indissociabile dalla maniera in cui percepiamo gli oggetti. La materialità è una carica emozionale potente, forgia il carattere delle cose. Il padiglione è un lungo muro in pietra a secco che reinterpreta le regole rurali della costruzione del territorio. La piegatura successiva in piano e in sezione dei muri, costituenti la costruzione e la loro estensione oltre le superfici riscaldate, permette di creare degli spazi interni e esterni che si fondono con il paesaggio. All’interno, le stanze seguono la topografia per meglio integrarsi, ma anche per differenziarsi tra di loro. Il loro carattere è fortemente impregnato dall’onnipresenza del cemento grezzo. L’essenzialità è il pensiero che caratterizza questi spazi proiettando il pensiero al ricordo della dura vita quotidiana degli abitanti della valle di un tempo. Solo la grande generosità dell’apertura vetrata ci allontana della condizioni ancestrali che sembrano ancora abitare questi luoghi. La nuova vita della valle e la sua nuova apertura alla modernità abbandonano il vecchio ricordo di povertà e sacrificio immergendo l’attuale fruitore al piacere della contemplazione del paesaggio. 22 scenari 23 Un oggetto verde appoggiato sul vano ascensori di un ex edificio industriale, costruito nel 2001 come oggetto visibile a distanza è il logo tridimensionale per segnalare e ospitare le iniziative in corso durante l’anno 2001 a Rotterdam nominata capitale europea della cultura. Una di queste esibizioni era chiamata “Parasites” che ha presentato progetti di piccoli oggetti che fanno uso ‘parassita’ delle infrastrutture esistenti per contaminare siti urbani inutilizzati. La mostra è stata curata e organizzata da Mechthild Stuhlmacher e Rien Korteknie, coinvolgendo un gruppo internazionale di architetti. Approfittando dell’atmosfera creatasi nell’anno culturale, uno dei disegni è stato reso progetto e successivamente costruito in scala reale. Si è scelto come posizione ideale il tetto di un edificio dismesso in mezzo al variegato e spettacolare paesaggio delle coperture degli edifici nella zona del porto di Rotterdam. parasite las palmas Rotterdam,Olanda Korteknie Stuhlmacher Architecten Rien Korteknie Mechthild Stuhlmacher Sezione. Il parassita Las Palmas è un prototipo di abitazione che mira a combinare i vantaggi della tecnologia dei prefabbricati e le qualità della progettazione su misura. I limiti per la realizzazione sono stati imposti dalla dimensione limitata del vano ascensore su cui si insinuava l’oggetto perchè richiedeva di pensare ad un oggetto compatto nel volume e nella dimensione, perché la nuova struttura era supportata dai muriesistenti dell’edificio. Inoltre i servizi come l’acqua pubblica, gli scarichi fognari e l’elettricità erano forniti con la creazione di collegamenti agli impianti esistenti. 24 scenari 25 Non sono state montate finestre apribili. Si è optato per una combinazione di doppi vetri fissi e non apribili nelle parti forate e persiane in legno apribili per consentire il ricambio d’aria e l’ingresso. Le aperture variando in dimensione, tipologia e posizione, celebrano la vista spettacolare e altamente varia che si ha dalla loro varia collocazione inquadrando i nuovi sviluppi urbani e le diverse attività portuali dallo stesso edificio. Nonostante il suo carattere temporaneo, l’edificio è rimasto nella sua posizione fino all’estate del 2005 ed è stato utilizzato per numerose attività A causa del rinnovamento delle strutture della fabbrica Las Palmas del Parasite è stato rimosso ed è attualmente in deposito, in attesa di nuovi usi e siti su cui insediarlo. L’edificio è costruito con pannelli di legno lamellare ricavati dagli scarti di legno prodotto in Europa. Tutti gli elementi sono prefabbricati e poi assemblati in sul luogo in pochi giorni - Nonostante la posizione difficile e particolarmente ventoso. Questo sistema di costruzione era la prima volta che veniva utilizzato in Olanda offrendo radicalmente nuove possibilità per l’architettura in legno. Le superfici interne non sono state trattate lasciandole in legno a vista , l’esterno invece è stato rivestito con grandi lastre di compensato dipinto di colore verde acido. Le aperture sono dei fori semplici che cercano molteplici viste sul porto della città. Piante piani terra e primo. Lo studio Korteknie Stuhlmacher Architecten è stato fondato nel 2001 da Mechthild Stuhlmacher e Rien Korteknie. L’ufficio ha sede a Rotterdam e conta su un team internazionale di architetti in grado di sviluppare diversi tipi di progetti che partono dalla matrice comune di una costante ricerca e interesse nel campo urbano e del paesaggio. 26 scenari scenari 27 Dopo i molti rilievi fatti a partire dal 2004 che si concentrano sulla città vecchia di Saragozza sono stati individuati diversi seri problemi nella configurazione dello spazio pubblico. In particolare si concentrano sulla condizione del luogo e sull’ avere un decente stato urbano di vita dello stesso. Altri problemi rilevati riguardavano gli spazi non costruiti che si presentavano insalubri non solo nell’estetica del paesaggio urbano ma che anche presentano insalubri condizioni igienico sanitarie. Dopo la mappatura degli spazi non costruiti della città vecchia, è stato rilevato che c’erano, specialmente nei distretti di San Pablo e de la Magdalena, dove sono stati registrati la maggior parte di essi, aree altamente depresse con alto grado di conflitto sociale. Queste aree abbandonate, che si stavano progressivamente deteriorando trasferendo i propri conflitti allo spazio pubblico circostante sono state studiate e analizzate. Infatti l’assurda interruzione del tessuto urbano produce un processo di degrado nelle strade adiacenti a questi spazi, infettando l’area pubblica e i cittadini che ci vivono. La situazione ha mobilitato diverse associazioni di residenti a chiedere al governo municipale una soluzione per risolvere il problema di deterioramento progressivo della città vecchia. L’obbiettivo era l’occupazione temporanea dei siti non costruiti nella città sia privati che pubblici, offrendo diversi usi temporanei allo scopo di raggiungere un uso del 100% dello spazio e nel tempo giornaliero. estonoesunsolar Saragozza,Spagna gravalosdimonte arquitectos Patrizia Di Monte Ignacio Gravalos Lacambra Da sinistra: Ambito 14 Actur Octavio Paz: area giochi,1045m2 Ambito 18 Las Fuentes: piazza,347m2 Ambito 4 San Blas 53: piste da bocce,120m2 Ambito 5 S.Augustin: area giochi, 500m2 28 scenari Tutte queste energie convergono nel programmo “EstoNoEsUnSolar” che raccoglie le proposte di architetti , di gruppi e associazioni di residenti. Le diverse energie sono state incanalate grazie al supporto istituzionale, il consiglio municipale della città vecchia e sono state gestite dalla società “ Municipal Zaragoza Vivienda”. La suggestione dello spazio vuoto, dell’invisibile e del silenzio sono stati valutati come i nuovi elementi dello spazio. Questo rigonfiamento del tessuto della città vecchia è uno strumento dinamico e mutevole che ci permette una lettura alternativa e flessibile della città e dello spazio pubblico. Si crede negli spazi vuoti come forza per creare situazioni ed eventi. Differenti agenti e relazione complesse convergono in ogni lotto vuoto di terra. Questo aspetto ha implicato una mistura di accordi complessi e intricati con i proprietari. Il programma iniziato nel 2009 in 14 lotti nella città vecchia, nel 2010 è stato esteso a tutta la città riciclando altri 14 vuoti pubblici urbani. Tutte queste idee si sono alla fine realizzate con interventi concreti. Ogni lotto vuoto contiene un’idea, ogni spazio è il desiderio dei residenti. Tutte le proposte sono emerse da processi di partecipazione dei cittadini. Una scommessa è stata scenari 29 fatta su soluzioni immateriali eteree che esprimono il carattere provvisorio della loro presenza e stabiliscono dialettiche con il circostante già costruito attraverso la leggerezza del progetto. Ognuno dei 14 interventi è stato un punto di raccolta per le richieste del cittadino e il paesaggio. Ad esempio un progetto è stato fatto sugli argini di un fiume rivalutato che adesso funziona come punto di raccolta per i bambini, i giovani e gli anziani. Un altro intervento è stato posto a metà tra un centro di Alzheimer e un centro per bambini avendo come idea progettuale il concetto di ricordo e memoria. Un’altra azione è stata fatta all’estrema periferia della città nel punto di incontro con il paesaggio attraverso la progettazione di diversi frutteti urbani che si fondono con il paesaggio circostante. Questi tipo di interventi sono stati fatti in ogni sito non costruito|vuoto strategicamente scelto e 32.000 mq di spazio pubblico sono stati restituiti alla città. Due anni dopo aver lanciato il programma “EstoNoEsUnSolar” si può affermare che gli obiettivi sono stati pienamente raggiunti. I processi di partecipazione del cittadino sono stai implementati integrando nuovi 28 lotti vuoti e 42.000 mq di spazio pubblico sono stati aggiunti alla città. Interventi in aree depresse sono state la scusa per disegnare strategie di coesione sociale e l’obiettivo in tutte queste aree è stato di rivitalizzare la città con usi e attività parallele, pianificando questi spazi come spazi per la partecipazione e l’integrazione sociale. D’altra parte i cittadini hanno ricevuto questi processi come se gli appartenessero, producendo un intensivo coinvolgimento in tutte le fasi dei progetti. Questo programma è anche servito per attivare un piano di impiego per persone che soffrivano il rischio di esclusione sociale (110 persone hanno trovato un lavoro). Ci sono state molte difficoltà a partire da un budget molto ristretto a quelle derivanti dalle intense e complesse relazioni sociali e personali ma tutte queste sono servite alla fine per attivare processi creativi a partire da complicità e speranza dei cittadini stessi. Ambito 22 San José: area giochi, 722m2 Ambito 16 Vadorrey: parco con area giochi, approdo turistico 4297m2 Ambito 20 Casetas: orto urbano,2000m2 30 scenari Ambito 23 Oliver: piazza e zona verde 426m2 scenari 31 Ambito 2 Armas 92: orto urbano, 500m2 Ambito 10 Palafox: campo da basket 300m2 Ambito 8 Armas 93: piazza alberata 280m2 Ambito 21 Delicias: parco giochi, 4340m2 Ambito 1 San Blas 94: giardino botanico 390m2 GRAVALOSDIMONTE è uno studio italospagnolo fondato nel 1998 da Ignacio Gravalos Lacambra e Patrizia di Monte, rispettivamente con formazione spagnola e italiana (iuav). Oltre a vantare numerosi premi e opere in territorio italiano e spagnolo, la loro continua attività di ricerca e sperimentazione è testimoniata dal loro impegno nell’insegnamento nelle più prestigiose università spagnole (Barcellona,Zaragoza, Madrid). 32 scenari scenari 33 Nella terra: Sport Center ETH Zurigo,Svizzera Dietrich | Untertrifaller + Staheli ArchitektenD a cura di Davide Zagato “Osservando il panorama da qui si vedono solo edifici, non immagini. Bisognerebbe come un archeologo cominciare a scavare per riuscire a trovare qualcosa da questo paesaggio offeso…Oggi ci sono pochissime persone in questo mondo che lottano per il bisogno di immagini appropriate. Abbiamo assolutamente bisogno di immagini che si armonizzino con la nostra civiltà e il nostro profondo intimo” Portoghesi parlando del rapporto tra natura e architettura sostiene che « quest’ultima si identifica come un “sedimento resistente” che l’uomo lascia nella terra, non diversamente dai coralli che formano barriere nella profondità del mare; un insieme di forme e di segni capace di riflettere i comportamenti della natura stessa, qualche volta ricalcandone i principi strutturali ». Così come l’atto formale (costruire) aderisce alle caratteristiche di un luogo e in esso sono impliciti il coinvolgimento e la valorizzazione degli elementi naturali, anche nello scavare, gli strati di terra, gli spessori del paesaggio diventano “luoghi transitivi” tra le forme dell’organico e le forme dell’artificio, ovvero architettura in stretto rapporto con la terra, in cui le figure del vuoto, dello spazio scavato sono gli elementi della composizione. Da un lato muovere la terra, sostruire-costruire i vuoti, edificare per sottrazione, sono concetti capaci di esprimere la particolare tensione, attesa, verso il mondo fisico rappresentato dal suolo e dagli strati di terra: « come un’impronta, come la traccia di un corpo sulla sabbia. Essa esiste come forma, perché una relazione si è stabilita tra i due, un incontro in cui entrambi sono ancora riconoscibili, integri ed autonomi, ma la cui essenza è diversa da quella di ciascuno dei due» Wim Wenders, Tokyo-Ga 1985 34 scenari 35 (Ferrera e Nunes, 2001). Dall’altro la relazione tra costruzione-forma-natura non si esaurisce nella tensione topologica, esplora gli aspetti della materia, elabora una sintesi degli elementi (terra, acqua, aria, luce). L’elemento terra è direttamente coinvolto nel processo di strutturazione dell’architettura, il rapporto diventa sensibile quando, come nel caso delle architetture ipogee, è l’elemento stesso a contenere il costruito; in questo caso assumono particolare valore la relazione con il paesaggio circostante, la percezione dell’aria, della luce; casi esemplari sono: il Museo di Arte Contemporanea nell’isola di Naoshima e il Water Temple a Hompuki (Giappone) di Ando; la realizzazione di complesse strutture architettoniche ipogee nell’area del Roden Crater a Flagstaff (Arizona) dell’artista-architetto James Turrel; gli edifici e la terra che assumono l’aspetto di un’unica entità topografica nella City of Culture a Santiago de Compostela di Eisenman. Una architettura scavata nella terra esprime il rapporto primordiale tra natura e “abitare”, uno scavo di forma regolare, un vuoto geometrico che segna in profondità la volontà di imporre un disegno, una regola, congruenti con il luogo e con il paesaggio: « un disegno del suolo attraverso forme che nascono dal concetto di terra come luogo originario, ma anche divenire, movimento, flusso, generazione, terra come natura...ciò da cui tutte le cose nascono e si sviluppano» (Valentini, 1991). Costruito dentro la collina il Centro sportivo dell’ETH di Zurigo, dello studio Dietrich | Untertrifaller+Staheli Architekten, si inserisce armoniosamente nel contesto paesaggistico del Campus; gran parte del volume è interrato in modo da “integrare” nell’orografia del paesaggio la residua parte di edificio affiorante dal suolo (hall di ingresso e foyer). Il Campus dell’Università Tecnica Svizzera sistemato sul monte Hönggerberg, a nord-ovest di Zurigo, è stato oggetto di sostanziali interventi di ampliamento realizzati in diverse fasi fino all’espansione attuale. La zona settentrionale è connessa direttamente con lo straordinario paesaggio del dosso boscoso della collina Kaferberg; sul lato orientale, nel 2011, è stato realizzato il Centro agonistico: interpretando le caratteristiche del luogo, il corpo di fabbrica appare “spinto” verso e dentro la collina mimetizzandosi con il terreno erboso e risultando visibile solo nella facciata occidentale. Lo spazio interno, continuo, scorre verso l’esterno attraversando il grande foyer vetrato. Il volume interrato ospita una palestra tripla con tribuna, guardaroba e spogliatoi, sale per la danza, la ginnastica, la palestra pesi e una palestra wellness. Il concept affronta il tema della “zona di transizione” del passaggio dal campus densamente costruito all’area paesaggistica, ricreativa, aperta. Il corpo 36 scenari scenari 37 di fabbrica è inserito profondamente nella collina, gradualmente declinante, in modo che il terreno naturale “trapassi” attraverso la superficie inverdita della copertura; il bordo superiore della copertura corrisponde alla quota delle superfici prative circostanti. Dal lato del campus e della grande piazza allungata in salita, l’edificio affiora dal terreno con il basso volume d’ingresso, lineare, dai bordi marcati e smussati: è l’nterfaccia del sistema tra il suolo e il sottosuolo, esso si adegua all’irregolarità delle superfici, valorizzando la qualità del luogo. I bordi poliedrici attenuano le forme artificiali emerse e rispondono con sensibilità all’andamento del terreno: una facciata parzialmente opaca e parzialmente trasparente, di vetro termico verde, evoca l’impressione di un oggetto prismatico cristallino irregolarmente smerigliato. Le viste interne dal foyer si aprono contemporaneamente in profondità, sulla grande palestra e verso l’esterno attraverso le facciate vetrate e le superfici verdi in salita che conducono al prato aperto. Così, all’interno, le immagini del paesaggio e le immagini dei vuoti architettonici interrati si sovrappongono. Forma esterna e articolazione interna convergono in un rapporto di accordo e di sovrapposizione, opportunamente calibrati in un’interessante composizione architettonica. L’ETH Sport Center è tra i progetti segnalati all’ottava edizione del Premio Internazionale Architettura Sostenibile, Ferrara 2011 e all’edizione 2011 del Premio IAKS Awards Salone Internazionale delle Strutture ricreative. studio Dietrich | Untertrifaller Nel Vorarlberg, la regione più occidentale dell’Austria, vi è, fin dagli anni settanta, un clima favorevole all’architettura di alta qualità. Agli architetti del gruppo dei Baukünstler, che negli anni ottanta suscitarono interesse a livello internazionale, seguì una seconda generazione; Helmut Dietrich e Much Untertrifaller sono tra gli architetti di maggior successo appartenenti a questa generazione. Già con le prime opere diedero prova del loro talento: Dietrich con la Casa Preuss a Schnepfau (1989) e Untertrifaller con la Casa Silvretta sulla Bielerhöhe (1992), entrambe premiate e spesso pubblicate. Nel 1992 hanno vinto il concorso internazionale per il Festspielhaus di Bregenz, e nel 1993 hanno aperto uno studio comune in questa città. La ristrutturazione del Festspielhaus, eseguita in due fasi, è stata ultimata nel 2006. Nel 2010 hanno vinto il concorso per l’ETH Sport Center Zurigo. 38 scenari scenari 39 sostenere i concorsi,nonostante tutto Coordinatore A parlare ancora paradossalmente con trasparenza titolo personale, 40 spazio della a cura di Claudio Aldegheri Commissione Concorsi-FOAV di concorsi in Italia si rischia di passare per pazzi! Eppure, non credo ci siano molte altre soluzioni per poter affidare ed equità incarichi di progettazione. Se posso scrivere a ho iniziato la mia carriera di architetto proprio vincendo e concorsi realizzando un progetto di concorso; l’unico, trent’anni fa! Poi ho continuato a fare concorsi (circa un centinaio), classificandomi, vincendo una decina di volte, pubblicando i risultati, ma non mi è più capitata la “magica” coincidenza di realizzare l’opera. Effettivamente, la situazione attuale è proprio questa: pochissime “vere” opportunità e spesso gestite male. L’Autorità di vigilanza sui LL.PP. ha recentemente diffuso un dato molto emblematico: solo il 17% dei progetti pubblici non si realizzano a causa della dilagante corruzione. L’83% delle opere non si concludono per incompetenza delle stazioni appaltanti! Procedure sbagliate, giurie improvvisate e via dicendo. Spesso negli ambienti politici, quando non si sa cosa fare, si bandisce un concorso di idee. La nostra normativa nazionale – allineata a quella europea – dice invece che il concorso va fatto per opere significative e di cui sia stato preparato uno Studio di fattibilità. Quel modo sbagliato di operare, nasconde spesso la precisa volontà di non fare in realtà nulla. Infatti se si volesse veramente realizzare un’opera, si dovrebbe investire la giusta quantità di euro e non le poche migliaia o addirittura centinaia a cui spesso assistiamo. E sarebbe importante che si arrivasse a bandire prevalentemente concorsi di progettazione a inviti, chiamando pochi concorrenti, pagandoli e preselezionandoli in base alle capacità e seguendo una corretta rotazione, non basandosi esclusivamente su fatturato e su opere analoghe già realizzate. Si tratta perciò di passare dai concorsi cosiddetti “aperti” a quelli per inviti. Qualche volta capita che, anche dei privati, invitino alcuni studi per fare dei concorsi su loro interventi significativi. Pur ritenendo ammirevole l’intento, anche in questo caso assistiamo spesso, a un totale sottodimensionamento dell’impegno necessario: poche migliaia di euro a fronte di attività e costi enormi. Fare concorsi – secondo me – fa parte dell’attività professionale: quindi va giustamente pagato. Il fatto poi che spesso non si decida, una volta consegnato un concorso, dimostra scarse attitudini – da parte della Committenza - nel prendersi una che sia pur minima responsabilità, provocando danni enormi a tutta la nostra (povera) categoria. Credo che ogni concorso si debba concludere con un vincitore (e non con premi ex-aequo) considerando il fatto che, quello che i progetti a cui ci si trova di fronte rappresentano, è lo stato dell’arte. Questo anche perché poi, si deciderà comunque di fare qualcosa. E sull’argomento voglio presentare qui un esempio. Mi è capitato di vedere con Google map quale sia oggi l’esito di una famosa opera messa a concorso negli anni ‘80: l’ampliamento del Cimitero di Urbino. La proposta allora vincitrice, consisteva in un’opera architettonico-scultorea (oggi si chiama “concept”) di Arnaldo Pomodoro. Pensando a quelle che sono le soluzioni di Gehry, della Hadid o di altri, direi che anche in quell’occasione l’Italia prefigurò una tendenza, come spesso è accaduto nella nostra storia: l’idea dell’opera architettonica intesa come “landmark”. Ma cosa successe allora? Associazioni varie e qualche intellettuale si opposero alla proposta vincitrice del concorso. Cosa si è costruito quindi? Provate voi stessi a vedere e a fare il confronto. spazio concorsi 41 spazio concorsi a cura di Silvio Pianta Plastico di progetto per la nuova sede IUAV di Miralles, 1998. Siamo ospiti su un pianeta che chiamiamo TERRA quando questo è per l’80% costituito d’acqua… la stessa proporzione che ritroviamo all’interno del nostro organismo. Siamo ospiti da quando i nostri pro pro pro pro pro ed ancora progenitori anfibi mossero i primi balzetti su una poltiglia fangosa, che li ricopriva proteggendoli da un’atmosfera non molto profumata. Metano ed altri gas erano simpaticamente presenti nell’ambiente. I balzi, divennero passi a quattro zampe o voli con ali poco ricche di piume e così i rifugi che la TERRA ci forniva erano caverne o pertugi dove ripararsi. I volatili trovarono comodi alberi e vegetazione, i terrestri invece guardavano con fare platonico fuori dalle grotte, decidendosi di migliorare la loro condizione, sfruttando tutto quello che la TERRA poteva offrire. Nacquero così le prime costruzioni completamente ecosostenibili e decisamente biosostenibili. Come scrisse nel secondo libro del De Architettura di Vitruvio “cominciarono in quella loro primitiva società chi a costruire capanne coperte di frasche, chi a scavare caverne sotto i monti, chi, anche, a costruire con fango e i rami dei ripari sotto cui rifugiarsi imitando la tecnica di costruzione dei nidi delle rondini” Eggià la TERRA nostra madre che ci ha abbracciato e coccolato per anni in compagnia di fratello sole e sorella luna, ma anziché continuar a cantarne le doti ed omaggiarla come fanno i bravi figli e le creature che hanno un minimo d’intelletto, abbiamo deciso di fare i selvaggi quando per contro ci siamo evoluti. Mi pare di sentirla parlare la nostra mamma… 42 spazio concorsi Figli miei che state facendo? Perché continuate a pungermi con quelle cose che chiamate edifici, sono degli aghi insolenti che m’infettano. E non vi basta! Anche nel mare infilate trapani per prendere liquidi che poi sporcano l’aria o la mia pelle con i loro derivati. La povera mamma…ha dovuto anche subire una corrente d’architettura che si faceva chiamare organica, ma che di organico non possedeva quasi nulla o perlomeno nulla che riuscisse a generare una sorta di simbiosi corretta con l’ambiente. Ma quello a cui bisogna puntare non sono le semplici incentivazioni a sistemi ecocompatibili o sostenibili, a riuscire a realizzare dei concorsi ecologici. Concorsi ecologici…mancano… non ci sono… non sono previsti. Nei bandi vi son barlumi che parlano d’impiego di prodotti biologici, d’utilizzo di fonti alternative, ma non esistono concorsi legati ad una vera tematica ecologica, la quale dovrebbe esser intesa in un senso molto più ampio della semplice salvaguardia dell’ambiente. Ecologia è un sistema in cui la successione degli elementi ha una funzione mirata, ed in questi elementi ci deve assolutamente essere anche la cultura del progetto finalizzato a creare edifici che non vadano ad alterare l’equilibrio del pianeta. Ma questo equilibrio si fonda su una corretta disposizione dei pesi politici, sociali, culturali ecc. in poche parole su un’utopia…(ecologia e società sono facce della stessa medaglia). Il progetto dovrebbe prevedere non solo l’elementare utilizzo di prodotti “compatibili”, ma realizzare una catena nella quale ogni anello abbia una funzione realmente legata alla nostra vita in rapporto con la Terra. Sono state sperimentate costruzioni come oggetti d’insegnamento collettivo, ma queste iniziative non possedevano i corretti soggetti attuatori. Oggi, queste sperimentazioni potrebbero esser rivedute. Grazie alla diffusione delle scuole edili, si potrebbero far realizzare i progetti ai loro studenti. Questo concetto potrebbe essere allargato creando concorsi per l’edilizia sociale, nella quale chi cerca casa se la costruisce. Con questo sistema, gl’interessati ad un’abitazione, realizzerebbero le opere in modo molto più accorto, in base al principio che chi fa una cosa per se stesso la realizza meglio, e contemporaneamente si specializzerebbero in un mestiere (muratore, fabbro, dipintore ecc). Un concorso di questa tipologia richiederebbe un’attenta valutazione di tutte le fasi, creando anche una metamorfosi nella professionalità dell’architetto, il quale oltre a progettare le pareti che generano lo spazio, dovrebbe far entrare in esso la Terra, con tutto quello che la compone e che il genere umano ha posto su di essa. Il concorso ecologico/sociale richiederebbe sforzi immani, ma fornirebbe un’altra tipologia di rapporto nei confronti della Terra, dopotutto se vogliamo confrontarci con il nostro pianeta bisogna aver idee grandi quanto lei… spazio concorsi 43 pensare sostenibile a cura di Veronica De Stefani Ex-officina oleodinamica, Ferrara 44 pensare © redazione numero. sostenibile La limitazione del consumo di suolo si sta affermando come una delle scelte strategiche per una effettiva sostenibilità ambientale ed urbanistica. Si è infatti acquisita la consapevolezza che il territorio è una risorsa ambientale finita, non riproducibile e non rigenerabile e quindi la sua tutela, o la progressiva riduzione del suo spreco, è insita nel concetto stesso di sostenibilità. In generale il consumo di suolo può essere definito come un processo antropogenico di trasformazione di superfici naturali od agricole attraverso la realizzazione di costruzioni ed infrastrutture, e dove si presuppone che il ripristino dello stato ambientale preesistente sia molto difficile, se non impossibile, a causa della modifica della matrice terra. Il tema non è nuovo nella storia recente dell’urbanistica italiana. Ciò che oggi chiamiamo “consumo di suolo” ieri veniva definito “urbanizzazione selvaggia” o “cementificazione” riferendosi in particolare all’aggressione cui erano sottoposte, ad esempio, le coste italiane, le zone archeologiche, i parchi naturali. Oggi, invece, con il termine consumo di suolo ci riferiamo più specificamente allo sviluppo continuo della cosiddetta “città diffusa” o “città dello sprawl” che, originata dallo sovrapporsi di diversi fenomeni dal Dopoguerra in poi, si è tradotta nella crescente richiesta di nuove aree di edificazione, nella dispersione abitativa dovuta alla motorizzazione di massa con conseguente affermazione del modello di bassa densità abitativa e più recentemente nell’espulsione delle funzioni non solo residenziali, ma anche legate alla produzione al commercio e al divertimento dalle aree metropolitane e dalle periferie verso fasce sempre più esterne, originando crescenti vuoti urbani e una infrastrutturazione che privilegia la mobilità privata su quattro ruote rendendo in tal modo problematica qualsiasi razionalizzazione del trasporto pubblico. Cambia il linguaggio e cambia anche lo scenario territoriale di riferimento, ma il tema è quello della crescita urbana disordinata, spesso irrazionale e molto spesso speculativa. Nell’accezione di riduzione, in termini qualitativi e quantitativi, di aree libere o naturali per le trasformazioni legate alle attività umane si può pensare che sia una necessaria conseguenza della cosiddetta “civiltà del benessere”, ma in base alla definizione stessa di “sviluppo sostenibile” il “benessere” umano può essere garantito solo se il consumo del suolo si mantiene entro certi limiti, e se consente di mantenere ecosistemi vitali e funzionali per il benessere nostro e del pianeta. L’artificializzazione dei terreni naturali ha almeno quattro grandi effetti negativi sulla società e l’ambiente: impatto ambientale negativo in termini di irreversibilità della compromissione delle caratteristiche originarie del paesaggio con conseguenze su flora/fauna, ecosistemi, assetto idrogeologico e modifiche del microclima; un danneggiamento in senso socio-culturale, poiché il paesaggio è anche percezione umana ed identità culturale; un impoverimento della qualità sociale dovuta alla creazione di aree isolate/emarginate ed infine un aumento dei costi di urbanizzazione e fornitura dei servizi. A peggiorare le cose concorre la visione del suolo/territorio e del suo parametro di edificabilità pensare sostenibile 45 come strumento di politica di bilancio dovuto alla progressiva diminuzione delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali. Diverse le fonti da cui ricavare i numeri che caratterizzano questo fenomeno che, anche se di interpretazione non univoca, testimoniano chiaramente che un’ulteriore crescita smisurata della superficie urbanizzata rappresenterebbe una grave patologia per l’ambiente e il territorio, accompagnata da altre problematiche quali il degrado delle periferie, gli scempi del paesaggio ripetuti nonostante una diffusa pianificazione specifica, la sostanziale assenza delle problematiche energetiche nel governo del territorio, la mancanza di interventi di ecologia urbana in grado di ridurre il carico inquinante e di garantire una effettiva rigenerazione delle risorse ambientali riproducibili e, soprattutto la radicata mancanza di infrastrutture per una mobilità funzionale e sostenibile. Si tratta di mettere in campo una politica ambientale efficiente che non si può basare solo su misure di tutela e conservazione, ma deve sviluppare anche adeguate misure di trasformazione, di “costruzione” di un nuovo ambiente urbano e territoriale non disgiunte da un uso sostenibile del suolo; ciò significa gestire le città e il territorio in modo da conservare e riprodurre le proprie risorse, materiali e qualitative, energetiche e umane, anche nel lungo periodo, in un Consumo di suolo in alcune regioni italiane. Fonte FAI-WWF 46 pensare sostenibile contesto di complementarietà con il sistema extraurbano di riferimento poiché ogni politica di riduzione del consumo di suolo o di transizione dalle energie fossili a quelle rinnovabili non è pensabile al di fuori di una pianificazione di area vasta. L’obiettivo dello sviluppo sostenibile è, quindi, di ridurre i singoli impatti, assicurando nel contempo, una società sana ed equa, un sistema urbano ad alte prestazioni ambientali ed energetiche. Negli ultimi mesi il dibattito sul tema della tutela dei suoli ha avuto un notevole impulso, focalizzando l’attenzione su vari aspetti: l’esigenza di trovare soluzioni diverse per sostenere i bilanci degli enti locali emancipandoli dalla dissipazione di risorse territoriali e l’introduzione di principi di fiscalità ambientale, di efficaci forme di compensazione ecologica, di un sistema di regole finalizzato a ridurre lo spreco di suolo libero. Numerose le iniziative che ne sono conseguite e dalle quali ricavare spunti di riflessione e possibile soluzioni. Tra le varie proposte sembra fondamentale l’approvazione di una legge che salvaguardi il suolo, come quella di iniziativa popolare promossa dal Forum dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio che promuove il suolo come bene comune e risorsa strategica esauribile e non rinnovabile e tenendo conto delle sue connotazioni spaziali e funzionali ne persegue la tutela attiva attraverso un sistema che disincentiva il consumo di territorio e di spazio, anche attraverso la ripresa dei concetti di “compensazione ecologica preventiva”, trasferendo risorse al potenziamento e al consolidamento delle funzioni dei suoli liberi e potenziando laddove le nuove costruzioni siano indispensabili l’applicazione dei concetti di progettazione urbana bioclimatica attraverso il rispetto e l’applicazione dei principi di “diritto al sole, al vento e al cielo”. Fondamentali nelle nuove politiche sostenibili i meccanismi che rendono meno conveniente l’urbanizzazione di terreni vergini, per orientare l’imprenditoria immobiliare verso la riqualificazione dell’esistente e il recupero e la rigenerazione urbana, a cominciare dalle aree dismesse o degradate, unendo saldamente i temi consumo di suolo e fiscalità, attraverso proposte di fondi a favore degli enti territoriali più virtuosi nel raggiungimento di obiettivi di freno al consumo di suolo, coloro cioè che rispettano certe “soglie” (ad esempio valori limite di inquinamento di aria e acqua). Sembra inoltre parte fondamentale nella gestione sostenibile del territorio e degli spazi urbani la rilevazione del consumo di suolo, in grado di offrire basi di dati omogenea sull’uso del suolo e una sua analisi evolutiva attraverso l’utilizzo di strumenti cartografici idonei. Una sorta di censimento delle superfici libere, di quelle edificabili residue dei piani urbanistici vigenti e quelle previste da eventuali piani adottati nonché degli edifici sfitti, vuoti o sottoutilizzati. Una nuova politica urbanistica dunque, ispirata al risparmio di suolo e alla crescita zero. E per quanto sembri una visione utopica esistono già alcuni esempi virtuosi di gestione del suolo, come alcuni comuni lombardi quali Cassinetta di Lugagnano, il capofila, poi Solza, Pregnana Milanese, Ozzero e Ronco Briantino dove si può costruire solo sull’esistente o sulle aree dismesse con eccezioni solo per le pensare sostenibile 47 aziende situate in area industriale con necessità di espandersi, che costituiscono un incremento al mercato del lavoro. Questa scelta ad espansione zero non è un modello applicabile solo a piccole realtà, ma anche da centri più grandi come Monaco di Baviera, che ha fatto lo stesso tipo di svolta contrastando così i soliti ritriti ritornelli: “Non possiamo fermare il progresso, dobbiamo costruire per far viaggiare l’economia” e svincolandosi dal meccanismo perverso del finanziamento di alcuni servizi ai cittadini con l’edilizia. Il bilancio di Cassinetta è sopravissuto alla mancanza di oneri di urbanizzazione servendosi di altre entrate: utilizzando le energie rinnovabili e i pannelli fotovoltaici sui tetti, tagliando le consulenze, le spese accessorie inutili, alzando un po’ le tasse, dal 6 al 7 per mille, sulle seconde case e sulle attività produttive e “inventandosi” introiti originali come i matrimoni a tutte le ore e in qualsiasi luogo. Tutte entrate che non prevedono il territorio come merce di scambio senza conseguente saldo negativo derivante dallo stravolgimento senza ritorno dell’ambiente naturale. La scelta di Cassinetta è dunque diventata il simbolo di un possibile cambiamento generale, condivisa altre esperienze virtuose che cercano di far emergere e diffondere nuovi stili di vita sostenibile. L’Italia, attraverso questi casi di “buone pratiche”, i movimenti e le campagne di sensibilizzazione in atto da qualche tempo cerca di allinearsi alla sensibilità ambientale già praticata da altri paesi, dove è prioritaria la necessità di arginare la trasformazione di spazi liberi in aree urbanizzate. Tra i vari esempi la Germania dove il governo ha fissato un limite quantitativo e da molti anni pone il consumo di suolo tra i temi fondamentali dell’azione politica. Nel 1998 il Ministro per l’Ambiente ha fissato un obiettivo molto ambizioso, ovvero ridurre il consumo a 30 ettari al giorno entro il 2020, per arrivare a zero nel 2050, partendo dai 130 ettari al giorno del 2000. In Inghilterra dal 2004 il 60% delle nuove urbanizzazioni deve avvenire su aree dismesse. Sono state introdotte le green belts, aree verdi intorno alla città, realizzate per limitarne l’espansione entro le quali è vietata qualsiasi tipo di urbanizzazione. Nei Paesi Bassi sono state realizzate vere e proprie zone offlimits, dedicate solo a zone agricole e spazi naturali, e dal 2007 il 40% delle nuove costruzioni deve essere realizzato in aree dimesse o sottoutilizzate. Numerosi sono quindi gli esempi già operativi da cui prendere spunto per diffondere una “economia ecologica” del territorio, come nuovo paradigma più attento ai bisogni dell’uomo e al contempo ai limiti dell’Ecosistema. 48 pensare sostenibile 49 ordine degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della provincia di rovigo