WWW.SOCPOL.UNIMI.IT Dipartimento di Studi Sociali e Politici Università degli Studi di Milano Working Paper 03/09 La regolazione giuridica delle relazioni personali e familiari nelle società pluralistiche. Paola Ronfani WWW.SOCPOL.UNIMI.IT Dipartimento di Studi Sociali e Politici Facoltà di Scienze Politiche, via Conservatorio 7 - 20122 Milano - Italy Tel.: 02 503 21201 02 503 21220 Fax: 02 503 21240 E-mail: [email protected] LA REGOLAZIONE GIURIDICA DELLE RELAZIONI PERSONALI E FAMILIARI NELLE SOCIETÀ PLURALISTICHE Paola Ronfani 1. Premessa Prendo lo spunto per iniziare queste riflessioni dal convincimento, espresso da Ulrich Beck e da Edgar Grande nel loro libro “L’Europa cosmopolita”, che la seconda modernità sia caratterizzata, nella società e nella politica, oltre che dall’ “indeterminatezza”, da una logica che essi chiamano della “multivocità”, improntata ad un modello di “dualismi inclusivi”, del tipo “sia…sia”. Questo modello - essi precisano - si è venuto a sostituire al precedente, che caratterizzava la prima modernità, improntato invece ad una logica della “univocità”, e a un modello di “dualismi esclusivi”, del tipo “aut…aut” 1. Dalla logica inclusiva deriverebbe, in ambito europeo, una sorta di “pluralismo ordinato” sociale, normativo e giuridico. E per ciò che concerne più specificamente la regolazione giuridica della famiglia, i due studiosi ritengono che il modello “sia…sia” comporti la costruzione, da parte della politica nei vari contesti nazionali, di un pluralismo, nel quale “le opzioni europee e quelle nazionali vengono tenute aperte nello stesso tempo. Tuttavia, l’opzione europea ha la priorità…L’UE fornisce gli standard di normalità, che però non escludono, anzi, possono favorire la pluralizzazione all’interno dei singoli contesti nazionali. Si può pensare questo pluralismo ordinato gerarchicamente secondo il modello della ‘famiglia normale’, che ormai è stata privata della sua posizione di monopolio dalle forme plurali di convivenza familiare, ma, d’altra parte, nelle società europee non è stata cacciata dal trono della normalità. Così in Germania la ‘famiglia normale’ continua ad essere tutelata dalla Costituzione, ma le forme familiari ‘devianti’ fino alle convivenze omosessuali, sono state nel frattempo riconosciute come forma di vita giuridicamente parificata nella maggior parte degli stati europei”2. Queste affermazioni, che senza dubbio hanno anche una valenza di natura assiologia, necessitano di essere chiarite con riferimento ad alcune considerazioni che attengono alle trasformazioni avvenute nell’arco delle ultime tre, quattro decadi, in Europa, e in senso più lato, nei paesi occidentali, nelle strutture e nelle relazioni familiari, da un lato, e nella regolazione giuridica della famiglia nell’ambito del diritto sia civile sia sociale, dall’altro lato. 1 H. Beck, E. Grande, L’Europa cosmopolita. Società e politica nella seconda modernità, Carocci, Roma 2006, pp.4647. 2 Ivi, pp. 118-119. 1 2. Le trasformazioni della famiglia In primo luogo, è opportuno ricordare che queste trasformazioni, dal punto di vista sia strutturale sia relazionale, sono state non solo molto profonde perché hanno fatto vacillare il modello “normale” di famiglia (quello coniugale nucleare), che ancora nei primi anni sessanta sembrava destinato a durare per lungo tempo, ma anche molto rapide perché alle fine degli anni ottanta si erano già compiute nei loro tratti fondamentali. Mai nella storia delle popolazioni – sottolinea il demografo Louis Roussel - i comportamenti familiari sono tanto profondamente cambiati in così poco tempo e in aree così vaste, tutte quelle della civilizzazione cristiana, dalla Norvegia, all’Australia, alla Nuova Zelanda 3 . Di queste trasformazioni, talora percepite e rappresentate se non con sgomento con molta preoccupazione come dei veri e propri sconvolgimenti, siamo tutti consapevoli. Si esprimono nei dati socio-demografici con i noti tassi di diminuzione (della fecondità, della nuzialità) e di aumento (dei divorzi, delle convivenze non matrimoniali, dell’età alle prime nozze, della filiazione fuori del matrimonio, delle famiglie con un solo genitore) nel cui sfondo si pone l’invecchiamento della popolazione. Queste tendenze evolutive, perché il quadro non è senza dubbio statico, sono comuni all’intera Europa, ma presentano delle variazioni, anche notevoli, per ciò che concerne i calendari e l’intensità. L’Italia – come è noto – ha delle specificità che l’accomunano agli altri paesi dell’area mediterranea: in particolare, meno divorzi, meno figli fuori dal matrimonio, meno convivenze non matrimoniali, anche se le tendenze sono all’aumento, tassi molto bassi di nuzialità e di natalità. Non va peraltro dimenticato che accanto ai cambiamenti vi sono anche elementi di continuità, soprattutto per ciò che concerne la prevalenza numerica delle famiglie con due genitori e i loro figli: la famiglia “normale”, alla quale si riferivano Beck e Grande, o “tradizionale” così come oggi viene più comunemente definita anche nei documenti ufficiali dell’Unione europea. Gli studiosi hanno, in vari modi, delineato le caratteristiche salienti delle profonde trasformazioni della famiglia, evidenziandole, in particolare, nel fatto che la costituzione della coppia non inizia più necessariamente col matrimonio, per cui il ciclo di vita lineare (fidanzamento, matrimonio, procreazione) è sostituito da una serie di sequenze (vita da single, convivenza, matrimonio, divorzio, nuovo matrimonio o nuova convivenza…). Inoltre sottolineano che la procreazione non è più percepita come la finalità primaria della coppia, perché i figli si mettono al mondo solo se desiderati, e che la sfera privata non è più basata sulla rigida divisione dei ruoli in base al genere (marito breadwinner, moglie caretaker), anche se nella famiglia le disuguaglianze fra mariti e mogli, madri e padri sono lungi dall’essere superate. A questo proposito, non è fuori luogo ricordare 3 L. Roussel, L’évolution des familles: une interprétation systémique in J. Dortier (a cura di), Familles. Permanance et métamorphoses, Editions Sciences Humaines, Auxerre Cedex 2002, p.77. 2 che le trasformazioni della famiglia hanno seguito il cammino, ancora incompiuto, dell’emancipazione femminile. Queste tendenze si accompagnano peraltro con altre di segno contrario: la seconda modernità è caratterizzata proprio dall’indeterminatezza, come si diceva all’inizio, nonché da aspetti contraddittori e paradossali. Ad esempio, alla perdita di centralità del matrimonio come istituzione cardine nella costruzione dei legami sociali e familiari, nonché nella regolazione giuridica di questi legami, fa riscontro la richiesta da parte di coppie delle stesso sesso dell’apertura del matrimonio nei loro confronti. Ma, più in generale, il valore simbolico del matrimonio rivela una permanenza straordinaria se solo si pensa alla grande importanza che le giovani coppie oggi sembrano attribuire alla cerimonia nuziale, ai suoi rituali e ai festeggiamenti, non di rado sfarzosi, che l’accompagnano. E ancora, fare figli non è la finalità essenziale della coppia, ma la famiglia è sempre più orientata in senso puerocentrico, talora in modo anche esasperato. Inoltre, come già si è ricordato, persiste l’asimmetria nel lavoro domestico e di cura, speculare al non sanato disequilibrio dei generi nella sfera lavorativa. 3. La famiglia europea contemporanea Un ritratto molto accurato della famiglia europea contemporanea è tracciato da Jack Goody, il quale evidenzia i seguenti fenomeni: l’emancipazione delle donne attraverso il lavoro; l’aumento dei divorzi (correlato con l’aumento delle speranze di vita e delle possibilità di indipendenza economica) e la comparsa di nuove forme familiari, in particolare monogenitoriali, ricomposte e omogenitoriali 4. Le prime due forme non sono, in realtà, nuove anche se nel passato erano certo diverse le loro modalità relazionali nonché le rappresentazioni sociali che le caratterizzavano. L’ultima costituisce senza dubbio una novità, soprattutto perché è da poco tempo che, nell’ambito delle scienze sociali e della politica, si è diffusa in modo sempre più significativo la convinzione che queste relazioni personali, così come quelle delle unioni delle stesso sesso, possano essere definite “familiari”, anche con riferimento alle crescenti istanze di riconoscimento avanzate sulla base di valori fondamentali e fondativi delle società europee e, in senso più lato, occidentali: la libertà, l’eguaglianza e la non discriminazione. Su questo punto torneremo più avanti. Nuove famiglie si affiancano dunque alla famiglia tradizionale, testimoniando la sua frammentazione in una pluralità di “accomodamenti” o pratiche familiari 5, nelle quali persino il vivere sotto lo stesso tetto non sembrerebbe più essere un requisito determinate se è vero che alcuni studiosi includono nelle forme delle famiglie contemporanee anche le cosiddette LATS (Living 4 5 Cfr., J. Goody, La famiglia nella storia europea , Laterza, Roma-Bari 2000. Cfr. D. Morgan, Family Connections, Polity Press, Cambridge 1996. 3 Apart Togheter), con riferimento a quegli individui che si percepiscono come una coppia stabile pur non vivendo insieme. Goody che nella sua visione della famiglia europea, e occidentale, contemporanea, sottolinea la centralità delle relazioni fra genitori e figli, è convinto che queste trasformazioni testimonino non la fine della famiglia o quanto meno il suo declino – come non di rado si sente dire - bensì la capacità dell’istituzione familiare di adattarsi ai più vasti, e altrettanto rapidi e sconvolgenti, cambiamenti sociali, economici e culturali del mondo nel suo complesso, e la sua vitalità nel rappresentare ancora per gli individui il referente privilegiato dell’intimità della coppia e dell’affetto e della cura verso i bambini. In particolare, non va dimenticato che le trasformazioni della famiglia si situano nel contesto dell’individualismo espressivo che caratterizza la seconda modernità: emancipazione, autonomia, libertà nelle scelte, aspirazione alla felicità ne sono i tratti portanti, che coesistono comunque con la ricerca dell’appartenenza a una comunità di tipo intimo, al cui interno ogni componente, adulto e minore, intende trovare il sostegno per l’affermazione della propria identità 6. Va inoltre sottolineato che se indubbiamente la fragilità è il tratto distintivo della famiglia contemporanea, come ben dimostrano gli alti tassi di divorzio, in questa stessa famiglia, nelle differenti forme che può assumere, non si è spezzata “la logica degli scambi con le generazioni”7. Ben al contrario, come i risultati di molte ricerche empiriche condotte in diversi paesi europei hanno ormai ampiamente dimostrato, smentendo le previsioni avanzate dalla sociologia di orientamento parsonsiano, che collegavano l’emergere della famiglia moderna con l’allentamento dei legami fra le generazioni, la solidità di questi legami rappresenta uno degli elementi determinanti delle famiglie contemporanee, che “viene a controbilanciare la fragilità delle unioni familiari” 8. Le attuali tendenze evolutive delle strutture e delle relazioni familiari non paiono destinate a conoscere brusche inversioni di rotta, non fosse altro perché pare poco probabile che l’individualismo espressivo, con i “suoi fantasmi di felicità” dei quali ha bisogno la nostra economia per la sua espansione, sia a breve termine soppiantato da un severo puritanesimo familiare votato all’autorestrizione 9. Queste medesime tendenze sono ben sintetizzate nel documento elaborato nel maggio del 2007, a conclusione della Conferenza di Lisbona dei ministri europei per gli Affari familiari tenutasi sotto l’egida del Consiglio d’Europa. Si afferma, infatti, in questo documento che vi è “una accresciuta domanda di riconoscimento delle nuove forme familiari, che indicano la volontà da parte di queste 6 Cfr. F. de Singly, Le Soi, le Couple et la Famille, Nathan, Paris 1996. 7 F. De Singly, A quoi sert la famille ? in J. Dortier (a cura di), Familles. Permanance et métamorphoses, cit., p. 104. 8 M. Segalen, Les nouvelles familles in J. Dortier (a cura di), Familles. Permanance et métamorphoses, cit., p. 65. 9 L. Roussel, L’évolution des familles: une interprétation systémique, cit. p. 83. 4 nuove forme di assumere obblighi che in passato erano assunti dalle famiglie tradizionali. Benché le dimensioni e le tappe di questo cambiamento varino in modo marcato da un paese all’altro, è chiaro che la famiglia tradizionale o convenzionale non costituisce più l’unica forma familiare o il principio normativo o l’ambiente sociale nel quale i figli sono nati e vengono cresciuti. Il concetto di famiglia dei nostri tempi include una varietà di accomodamenti nei quali i figli vengono allevati ed accuditi…Tuttavia, malgrado questi cambiamenti, la famiglia nelle sue differenti forme è l’unità di base della società, e i valori familiari e la solidarietà familiare permangono forti”. Si deve sottolineare che, come prevedibile, gli estensori del documento includono nella attuale varietà delle forme familiari presenti in Europa anche la famiglie multietniche. Più avanti, farò alcune considerazioni attorno ai rapporti, particolarmente complessi, delle famiglie immigrate con il diritto di famiglia, e più specificamente con i diversi ordini normativi e giuridici che regolano le forme familiari appartenenti a culture “altre”. 4. Le trasformazioni del diritto Cercherò ora di chiarire quali sono state le trasformazioni del diritto di fronte alla pluralità e alla varietà delle attuali forme di vita personale e familiare, che si presentano come fluide, fragili, ma certo non “volatili”, come è stato ben sottolineato10. Senza dubbio le trasformazioni del diritto sono state molto profonde nella grande maggioranza dei paesi europei dove, con interventi legislativi quasi continui, successivi alle prime grandi riforme delle legislazioni familiari degli anni settanta, nuove regole sono intervenute a ridefinire i confini del diritto di famiglia e, in più ampia prospettiva, a modificare il modello stesso della regolazione giuridica delle relazioni personali e familiari. Come sappiamo, in questo quadro di forte evoluzione l’Italia si caratterizza invece per la spiccata staticità del suo diritto di famiglia, che i pochi interventi legislativi degli ultimi anni (in particolare, quelli sull’affidamento condiviso, sui patti di famiglia e successori e sui congedi parentali) non hanno sostanzialmente scalfito, e per una forte resistenza al cambiamento nella finalità di adeguare il diritto alle trasformazioni familiari. Questa staticità può essere collegata sia all’intento di non voler alterare un modello di regolazione giuridica, in ultima analisi, ancora incentrato sul cardine della famiglia legittima (e le resistenze a regolare le convivenze non matrimoniali sembrerebbero avallare questa interpretazione), sia alla preoccupazione di non toccare il delicato equilibrio tra le istanze individualistiche e quelle comunitaristiche raggiunto con la riforma del 1975. Ma non vanno sottaciute le resistenze dei nostri policy makers ad assumere scelte di natura pragmatica in materie nei cui confronti il magistero cattolico esprime giudizi e formula indicazioni precise, che non 10 Ivi, p. 83. 5 paiono certo rivolte a “favorire la diversità e l’autonomia delle scelte”, dalle quali la maggioranza del ceto politico italiano sembra riluttante a discostarsi.11 Con riferimento al contesto europeo e in senso più lato occidentale, se volessimo sintetizzare i punti cruciali di queste trasformazioni giuridiche, potremmo innanzitutto dire che con le prime grandi riforme del diritto di famiglia sono state scardinate le fondamenta del diritto tradizionale che sanciva un modello patriarcale e gerarchico di famiglia, aprendo la strada al passaggio da un diritto ispirato a “una concezione volontaristica destinata a promuovere l’istituzione a un diritto degli individui in seno alla cellula familiare”12: individui che, nelle specifiche relazioni che intercorrono fra di loro (mariti, mogli, madri, padri e figli), sono riconosciuti come titolari di specifici diritti e correlati doveri. Con maggior precisione, il diritto civile, nel regolare le relazioni familiari, si pone come garante sia dell’autonomia individuale, in particolare attribuendo ai coniugi il compito di concordare l’indirizzo della vita familiare e accogliendo il principio del divorzio incolpevole, sia dell’interesse del minore, riconoscendo comunque a questo principio generale, di natura anche pubblicistica, il ruolo di regola guida dell’intera materia familiare. In senso più lato, si è andato affermando nel diritto civile un orientamento rivolto all’individualizzazione delle relazioni familiari, ampiamente riconducibile, per ciò che concerne gli adulti, al paradigma del contratto. Dal canto suo, il diritto sociale interviene per gestire i rischi individuali e sociali delle scelte degli individui, in particolare, per gestire le conseguenze economiche del divorzio nei confronti del coniuge più debole e dei figli, per proteggere i genitori soli, e così via. I legislatori della grande maggioranza dei paesi europei sono stati, però, presto sollecitati ad estendere i confini del proprio diritto civile non solo per adeguarlo alle trasformazioni delle famiglie, ma anche per rispondere alle richieste di riconoscimento di nuove forme di vita intima e di relazioni personali che venivano, e vengono avanzate, con grande e crescente vigore da attori collettivi (movimenti di pressione, lobby politiche). Questi attori collettivi, in nome dei valori fondamentali, dell’eguaglianza, della libertà e della non discriminazione sulla base degli orientamenti sessuali, agiscono a livello nazionale ma anche sopranazionale nell’ambito delle varie istanze europee, Consiglio d’Europa, Commissione europea, Corti europee. Le richieste di riconoscimento provengono, in particolare, dai movimenti degli/lle omosessuali, ma anche, ad esempio, da quelli dei padri single, separati o divorziati, i quali rivendicano che la loro paternità non subisca discriminazioni nell’ attribuzione dei diritti e dei doveri nei confronti dei figli, rispetto a quella della famiglie tradizionali e unite, e anche rispetto alla maternità. 11 E. Lecaldano, L’inattuale liberalismo della virtù, “Critica liberale”, luglio-agosto 2008, p. 133. J. Commaille, Famille: entre émancipation et protection sociale in J. Dortier (a cura di), Familles. Permanance et métamorphoses, cit., p. 243. 12 6 Su un piano più generale, le richieste di riconoscimento possono essere considerate espressione del declino di un modello di regolazione giuridica delle relazioni familiari che “dall’alto” si impone agli individui, stabilendo dei “principi direttivi” nei confronti dei loro comportamenti e dell’affermarsi, invece, di un modello di regolazione che procede dal basso, dalle richieste, appunto, di riconoscimento della pluralità delle forme di vita personale e familiare e dei loro specifici bisogni di autonomia, di libertà, ma anche di protezione. Inserendosi in queste nuove tendenze evolutive, e dando espressione a quella logica di multivocità, di cui parlano Beck e Grande, i legislatori della grande maggioranza dei paesi europei, ognuno con modalità specifiche e diverse, hanno così attribuito alle convivenze eterosessuali e omosessuali effetti giuridici simili, ma non pienamente eguali e comunque sovente di livello inferiore, a quelli riconosciuti al matrimonio, in particolare predisponendo un istituto apposito, la cosiddetta partnership registrata, generalmente riservata alle sole coppie dello stesso sesso, che viene stipulata davanti ad una pubblica autorità. L’apertura del matrimonio a queste coppie, realizzata da Olanda, Belgio e Spagna, può poi essere interpretata come un’espressione radicale della modernizzazione giuridica perché, da un lato, porterebbe a compimento la tendenza plurisecolare dell’allargamento della libertà di sposarsi e, dall’altro lato, si propone l’attuazione dei principi della libertà, dell’eguaglianza, che caratterizzano, appunto, la modernità. Mi preme sottolineare che i governi dei differenti paesi europei nel regolare le convivenze non matrimoniali hanno comunque anche inteso esercitare una funzione di controllo sociale nei confronti di nuove forme di relazioni personali e familiari che, ai loro occhi, non rappresentano dunque semplici manifestazioni di aggregazione della vita privata, ma formazioni sociali molto significative e importanti non solo per le persone, ma per l’ordine sociale stesso. Inoltre va sottolineato che sono gli stessi individui che formano le nuove “famiglie” a chiedere alla sfera pubblica che la loro vita privata venga racchiusa entro una cornice di regolazione che riconosce certamente dei diritti, ma stabilisce anche dei doveri. E quindi che essa venga formalmente riconosciuta “come forma di vita giuridicamente parificata” - per riprendere ancora le parole di Beck e di Grande - da parte della sfera pubblica. La strada della piena contrattualizzazione delle relazioni familiari non sembrerebbe dunque corrispondere del tutto alle attese di riconoscimento avanzate dagli individui della seconda modernità. E, per inciso, anche le difficoltà che continuano a incontrare, e in misura marcata nel nostro paese, i modelli di risoluzione negoziata dei conflitti coniugali e familiari, malgrado il sostegno e l’enfasi sulla loro funzione sociale di cui beneficiano anche nell’ambito del diritto europeo, rivelano le difficoltà di un modello di regolazione marcatamente improntato sul contratto. Per altro verso, non va neppure sottovalutato che la strada della piena contrattualizzazione 7 comporta dei rischi sociali non indifferenti perché si può ragionevolmente ritenere che la gran parte degli individui non abbiano le capacità richieste per regolare in piena autonomia le loro relazioni personali e familiari, stante in particolare le perduranti disuguaglianze economiche di genere. Nelle richieste avanzate dalle coppie omosessuali o da quelle conviventi more uxorio, di attribuzione di uno status legale, derivante tradizionalmente dal matrimonio oppure dal riconoscimento di effetti giuridici alle convivenze non coniugali, non sembrerebbe però manifestarsi l’aspirazione ad ottenere uno status ascritto in senso tradizionale, quanto piuttosto l’esigenza di realizzare la propria autonomia personale anche attraverso l’imprimatur del diritto che, senza dubbio, può agevolare il consolidarsi dell’accettazione sociale delle diverse forme di relazioni personali e familiari. 5. Un pluralismo ordinato? Il diritto di famiglia delle società europee è dunque sostanzialmente di natura pluralistica. Tuttavia vi sono alcune ragioni per dubitare che le differenti legislazioni familiari configurino davvero quel modello di “pluralismo ordinato”, al quale fanno riferimento Beck e Grande. La strada della ricerca di regole giuridiche per le diverse forme familiari ha, infatti, portato a un diritto “fluido”, del quale si parlava già negli settanta, ma anche molto complesso, caotico nell’opinione di alcuni studiosi, e talora contraddittorio13. Gli interventi legislativi si sono moltiplicati, spesso in modo non coerente, smentendo la tendenza alla degiuridicizzazione che sembrava essere il tratto portante del diritto di famiglia negli anni delle prime grandi riforme, con una sovrapposizione di regole, enunciate per seguire le trasformazioni delle famiglie, per sottolineare la centralità delle relazioni di cura e di sostegno, per accogliere le istanze di riconoscimento avanzate dagli attori collettivi, per implementare i diritti umani enunciati nelle Convenzioni internazionali, ma talora anche per riaffermare i valori “fondamentali” della famiglia tradizionale. E queste tendenze delle politica legislativa nei confronti della famiglia – come ben rivelano le recenti vicende italiane possono anche essere trasversali rispetto agli schieramenti politici, di destra o di sinistra, conservatori o liberali. Basti pensare al governo Blair che negli anni novanta si impegnò in politiche familiari a pieno sostegno del matrimonio, secondo lo slogan go to basic, e nel 2004 ha approvato una legge fra le più avanzate in Europa nel riconoscimento di diritti alle coppie dello stesso sesso. Non è sorprendente che a fronte a questo diritto di famiglia complesso, e anche contraddittorio, gli operatori del diritto si mostrino incerti nella sua applicazione e – come la ricerca empirica ha evidenziato anche con riferimento al nostro paese – non esprimano una cultura giuridica riferibile a 13 Cfr. J Dewar, The Normal Chaos of Famly Law, “Modern Law Review”, LXI, n. 4, 1998, pp. 467- 485. 8 orientamenti forti e univoci in merito al ruolo e alla funzione della giurisdizione familiare e minorile 14. Molti problemi, del resto, rimangono ancora aperti nel diritto di famiglia degli anni 2000. La regolazione giuridica delle relazioni di filiazione nelle famiglie ricomposte è uno di questi, rivelando la difficoltà che i legislatori contemporanei incontrano nel predisporre delle regole che attribuiscano responsabilità e riconoscano diritti nelle situazioni familiari in cui il genitore sociale e quello biologico sono compresenti ed assolvono entrambi le funzioni genitoriali. Le questioni più complesse si manifestano con riferimento alle famiglie formate da gay e da lesbiche con i loro figli, siano essi nati da precedenti unioni, come avviene in molti casi, ma anche con il ricorso alla riproduzione assistita, la quale fra l’altro non ha ancora trovato una regolazione giuridica che soddisfi le indispensabili esigenze di armonizzazione a livello internazionale a fronte del crescente e preoccupante fenomeno del “turismo procreativo”. Le rivendicazioni avanzate delle coppie omogenitoriali per il riconoscimento del diritto del partner, che si trova nella posizione di genitore sociale, di adottare il figlio dell’altro sono state accolte in alcuni paesi come la Norvegia, la Danimarca, la Germania, mentre altri, come la Svezia, l’Islanda, l’Olanda, il Belgio, il Regno Unito e la Spagna hanno equiparato le coppie omosessuali a quelle eterosessuali nelle condizioni per poter adottare. I legislatori di questi paesi hanno, in tal modo, applicato, nella sua piena accezione, il principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nei confronti non solo degli adulti ma anche dei minori perché, nel caso dell’adozione del figlio del partner, il godimento dei loro diritti fondamentali (nella fattispecie ad avere due genitori accudenti) non sia leso sulla base di “qualsiasi caratteristica” dei propri genitori, come specifica l’art. 2 della Convenzione sui diritti dei bambini e delle bambine del 1989. Fuori dall’ambito europeo, vale la pena di ricordare la soluzione adottata nel 2005 dal legislatore del Québec, che, dopo aver aperto il matrimonio alle coppie omosessuali, ha accolto un modello di regolazione della omogenitorialità basato sulla presunzione di maternità e sulla figura della “comadre”. Sinteticamente, si prevede che nel caso dei figli nati da una procreazione assistita che si fonda su un “progetto genitoriale” (una terza persona reca l’apporto delle “forze genetiche” a questo progetto elaborato da due persone dello stesso sesso conviventi o sposate), la partner della madre biologica diventa, per presunzione, “co-madre” e titolare di tutti i diritti e i doveri che per legge spetterebbero al padre. Si tratta indubbiamente di una “sperimentazione giuridica” perché istituisce una sorta di filiazione matrilineare, ma a ben vedere la scelta adottata dal legislatore del Québec non si contrappone veramente alla logica che regge il nostro tradizionale sistema di filiazione al quale è, 14 Cfr. A. R. Favretto, F. Ceravolo, Famiglia e giustizia: gli orientamenti della cultura giuridica in P. Ronfani (a cura di), Quale giustizia per le famiglie? Gli orientamenti della cultura giuridica nella società che cambia, Giuffrè, Milano 2006, pp. 91- 167 e V. Pocar, P. Ronfani, Il giudice e i diritti del minore, Laterza, Roma-Bari 2004. 9 infatti, estraneo il principio della plurigenitorialità, che riconosce specifici status legali alle diverse persone che assolvono le funzioni di genitori. Alcuni esponenti dei movimenti per i diritti degli omosessuali ritengono che la strada da intraprendere sia proprio quest’ultima e che, privilegiando l’autoregolazione, debba essere riconosciuta alle coppie omogenitoriali la facoltà di stipulare dei contratti in cui si stabiliscono le modalità dell’esercizio delle responsabilità verso i figli. Su un piano più generale, le questioni, ora accennate, legate alla regolazione della filiazione come anche delle nuove relazioni di coppia, mostrano quanto sia importante elaborare delle regole comuni attorno allo statuto delle persone che possano consentire la loro libera circolazione nello spazio comune europeo. 6. Le famiglie immigrate e il diritto La questione dei rapporti fra il diritto e le famiglie di popolazioni straniere, che rappresentano anch’esse la manifestazione della varietà delle forme familiari nelle società della seconda modernità, merita una trattazione ben più approfondita delle sommarie riflessioni che esporrò ora. E’ innegabile che questi rapporti, che possono rivelarsi anche molto conflittuali, vadano collocati nell’ambito della prospettiva del pluralismo giuridico e normativo, ma anche in quella della pluralità etnica e/o del multiculturalismo. La famiglia è un elemento fondamentale anche per la costruzione dell’identità degli immigrati e le specifiche pratiche familiari, secondo le diverse culture, nei rapporti fra i membri adulti e nell’allevamento dei figli, dovrebbero essere lette come una manifestazione delle varie forme che la vita familiare assume nella seconda modernità e nella globalizzazione. Tuttavia, l’identità degli immigrati, come, del resto, ogni personalità identitaria in generale, non è, e non può essere concepita, come statica. Va invece vista come coinvolta in un processo di cambiamento che può portare alla acculturazione e, in più ampia accezione, alla costruzione di un’identità anch’essa ispirata alla logica della “multivocità” , per cui il soggetto può sentirsi, a seconda delle situazioni, talvolta appartenente alla cultura, e al diritto, del paese di provenienza, talvolta alla cultura, e al diritto, del paese di accoglienza. 15. Le questioni più controverse si pongono nei confronti di quelle comunità etniche e culturali che impediscono ai loro membri di compiere questo percorso di costruzione identitaria e fissano le persone a un diritto che esse possono giungere a sentire e valutare come oppressivo e ingiusto. I dati delle ricerche empiriche dicono che sono soprattutto le donne ad elaborare sentimenti di ingiustizia nei confronti delle regole giuridiche dei loro paesi di origine e a rivolgersi agli operatori del diritto percependoli come rappresentanti di “un potere liberatorio”nei confronti di quello esercitato dai 15 Cfr. S. Benhabib, Crépuscule de la souverainité ou émergence des normes cosmopolites ? in M. Wieviorka (a cura di), Les sciences sociales en mutations, Editions Sciences Humaines, Auxerre Cedex, 2007, pp. 183-204. 10 fratelli e dai mariti attraverso pratiche come quelle del matrimonio combinato, del ripudio, e della poligamia 16. Senza dubbio una società liberale e aperta deve sostenere queste scelte di autonomia e di libertà, consentendo alle persone di distaccarsi da quelle norme sociali e giuridiche della cultura di appartenenza che vengono percepite come violazioni dei loro diritti. Deve peraltro avere anche la consapevolezza dei rischi che tali scelte comportano per chi le compie, e quindi della necessità di adottare nei loro confronti misure di sostegno e di protezione, anche perché – ci si riferisce qui in particolare al diritto musulmano – le decisioni giudiziarie adottate nel paese di immigrazione, nella grande maggioranza dei casi, non troveranno applicazione in quello di origine. Più in generale, nei conflitti familiari che coinvolgono gli immigrati si aprono i controversi problemi connessi con la comprensione e ricostruzione, da parte dei giudici, degli avvocati e di altri operatori, del diritto di famiglia dei paesi di provenienza. Questo diritto, peraltro, può anche non rappresentare il sistema normativo di riferimento per quegli immigrati che regolano le loro relazioni familiari seguendo norme tradizionali, di matrice morale o religiosa, e non quelle poste dai legislatori dei loro stati. A questo proposito, a prova del fatto che nel trattamento dei conflitti familiari che coinvolgono gli immigrati, i riferimenti normativi e la giurisdizione stanno acquisendo sempre più un carattere pluralistico, è opportuno ricordare che in Italia, a seguito della recente riforma del diritto internazionale privato, il giudice ha l’obbligo di ricercare il diritto straniero applicabile avvalendosi, oltre che delle fonti ufficiali, di vari strumenti di informazione nonché dell’aiuto delle parti stesse. Si deve poi osservare, a proposito della regole di conflitto, volte ad individuare il diritto applicabile allo straniero, che il principio della nazionalità sembra far riferimento un’immigrazione che mantiene solidi rapporti con il paese di origine, quello della residenza abituale, al contrario, a un’immigrazione stabilizzata e ben integrata, se non assimilata. La proposta, avanzata da alcuni autori, di ampliare nel diritto privato internazionale l’autonomia delle parti nella scelta di applicare il diritto nazionale oppure quello della residenza abituale, sembrerebbe meglio corrispondere alla visione di un immigrato che si pone in posizione attiva nel proprio percorso identitario e ha una “certa padronanza giuridica” della propria “vita familiare nella migrazione “ 17. Questa soluzione però potrebbe rendere ancora più “flessibile”l’applicazione del diritto internazionale privato, che – come è noto - già dà luogo a interpretazioni e decisioni divergenti da un paese europeo all’altro e 16 Cfr. F. Lorcerie, L’étranger face au droit et au regard en droit: aspects sociologiques de recherche in P. Kahan (a cura di), L’étranger et le droit de la famille. Pluralité etnique et pluralisme juridique, La documentation française, Paris 2001, pp. 75-111 ; V. Pocar. P. Ronfani, La famiglia e il diritto, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 248-251. 17 M-C. Foblets, Le statut personnel musulman devant les tribunaux en Europe: une reconnaissance conditionelle in P. Kahan (a cura di), L’étranger et le droit de la famille. Pluralité etnique et pluralisme juridique, cit., p. 49. 11 anche nell’ambito di uno stesso paese, in particolare per ciò che concerne l’interpretazione, alla luce della nozione di ordine pubblico, del diritto musulmano della famiglia. L’adesione a un modello di regolazione delle relazioni delle famiglie degli immigrate improntate al pluralismo giuridico e normativo, che riconosca la diversità delle culture familiari, non consente tuttavia di sfuggire alla questione se in nome dell’autonomia culturale e comunitaria si possano giustificare regole e pratiche che ledono l’eguaglianza fra uomini e donne, come la poliginia e il ripudio, che non soddisfano i criteri minimi per la cura e l’allevamento dei bambini, o rappresentano forme di violenza, come i matrimoni imposti e quelli precoci, e anche se si possa accettare che l’acquiescenza delle vittime renda in qualche modo ammissibile queste medesime regole e pratiche. Nella maggior parte dei paesi europei si ritiene che non sia giustificabile un atteggiamento, da parte dello stato, di mera tolleranza e dunque di disinteresse verso norme e consuetudini familiari che configgono con i diritti soggettivi fondamentali, e quindi sembrerebbe essersi diffusa la convinzione che i valori espressi nei diritti umani non debbano essere intesi come l’imposizione di una cultura sull’altra, bensì come standard “indipendenti” che fungano da metro di valutazione di entrambe le culture 18. Tuttavia il rispetto dei diritti umani, e del diritto costituzionale, richiede di essere bilanciato con la tutela dei soggetti deboli nelle relazioni familiari: così accade di frequente che i giudici, anche quelli italiani, concedano il ricongiungimento familiare alla seconda moglie del marito per tutelare l’interesse del figlio a vivere con entrambi i genitori. E, a prova delle difficoltà di regolare le famiglie delle società multietniche in una cornice di pluralismo giuridico e normativo, va ricordato che vi sono orientamenti contrastanti a proposito degli strumenti sociali e giuridici da adottare repressivi, di sostegno, di mediazione - persino nei confronti di quelle pratiche, come le mutilazioni genitali femminili, che infliggendo trattamenti violenti e degradanti alle donne e ai bambini, costituiscono i casi più macroscopici di violazioni dei diritti fondamentali. 18 J. Eekelaar, Family Law and Personal Life, Oxford University Press, Oxford 2006, p.173. 12