SCIENZA DELLE FINANZE
Facoltà di Scienze Economiche e Giuridiche
Corso di Economia aziendale
Prof. MICHELE SABATINO
PARTE VI°
Tassazione: trade off tra
equità ed efficienza
La tassazione ottimale dei beni

I sistemi tributari sono sottoposti a critiche e valutazioni. Le
prime considerazioni sono riferite all’efficienza e alla
distribuzione.

La teoria della tassazione ottimale dei beni fornisce un
quadro di riferimento per rispondere a domande tipo:

Quale aliquote adottare per tassare un certo insieme di beni?
Come minimizzare l’eccesso di pressione fiscale dato un certo
obiettivo di finanziamento della spesa pubblica?


Un cittadino tipo consuma due beni X e Y oltre al tempo libero l.
Il prezzo di X è Px e il prezzo di Y è Py mentre il salario orario è
pari a s. La dotazione di tempo e cioè il numero massimo di ore
in cui può lavorare è fissato in T. Le ore lavorate sono T-l. Il
reddito da lavoro è s(T-l).
La tassazione ottimale dei beni

Supponiamo che spenda tutto il suo reddito con
X e Y:
s (T-l) = Px X + Py Y
L’equazione può essere riscritta
sT = PxX + PyY + sl
applicando una imposta con la stessa aliquota
ad valorem t l’imposta fa salire il prezzo di X
(1+t)Px, di Y (1+t)Py e di l (1+t)s.
sT=(1+t)PxX + (1+t)PyY + (1+t)sl
La tassazione ottimale dei beni

Dividendo per (1+t)
1/(1+t) sT= PxX + PyY + sl
dalla formula emerge che una imposta su tutti i beni compreso il tempo
libero alla stessa aliquota t è equivalente alla riduzione della dotazione di
tempo da sT a 1/(1+t) sT.
Una imposta del 25% su X,Y, t equivale alla riduzione della dotazione del
tempo del 20%. Ma poiché s e T sono fissi e quindi sT è fisso ciò si
traduce in una imposta fissa che non provoca eccesso di pressione.
Possiamo dire quindi che un imposta con la stessa aliquota su tutti i beni
anche il tempo libero è neutra.
Tuttavia è impossibile tassare anche il tempo libero e quindi una certa
pressione tributaria è inevitabile. Una soluzione potrebbe essere nel
tassare X e Y con la stessa aliquota (tassazione neutrale).
La regola di Ramsey
Come si dovrebbero fissare allora le aliquote di
imposta di X e Y per accrescere il gettito R con la
minor pressione possibile?
 Per minimizzare l’eccesso di pressione totale,
l’eccesso di pressione marginale dell’ultimo euro
di gettito derivante da ciascun bene deve essere
identico. O in alternativa ridurre l’eccesso di
pressione totale aumentando l’aliquota del bene
con l’eccesso di pressione minore e viceversa.

La regola
di
Ramsey


Supponiamo che vi siano 2 beni X e Y non correlati fra loro per
semplicità.
Ipotizziamo che sul bene X sia introdotta una piccola imposta
specifica ux. La figura mostra la curva di domanda compensata
del bene X e la variazione della domanda compensata quando il
prezzo del bene passa da P0 a P0 + ux a causa dell’imposta.
La regola di Ramsey

L’eccesso di pressione è dato dall’area abc e dalla
formula EPx = ½ ux ΔX. Il gettito (Gx) ottenuto con
l’imposta è Gx = ux X1.

Simmetricamente, se viene introdotta un’imposta
specifica sul bene Y, si hanno i seguenti eccesso di
pressione e gettito: EPy = ½ uy ΔY; Gy = uy Y1.

Non dimentichiamo che per minimizzare l’eccesso di
pressione totale l’eccesso di pressione marginale
dell’ultimo euro (+ 1) di gettito derivante da ciascun
bene deve essere identico. L’eccesso di pressione
marginale nel caso di X è dato dall’area fbae.
Regola di Ramsey

Ora dobbiamo minimizzare l’eccesso di pressione totale, dato il vincolo di
bilancio dettato dal gettito fiscale, rispetto alle aliquote specifiche uy e ux.

Per fare ciò è necessario trovare per entrambi i bene X e Y l’Eccesso di
Pressione marginale indotto dall’aumento dell’imposta (½ ΔX), calcolare
l’aumento di Gettito collegato all’aumento dell’imposta (di + 1€) (X1) , dividere
entrambi i risultati, per ottenere l’eccesso di pressione marginale per ogni
euro aggiuntivo di gettito.
EPM = ½ ΔX / X1

EPM = ½ ΔY / Y1
Poiché la condizione per minimizzare l’eccesso di pressione richiede che
l’eccesso di pressione dell’ultimo euro di gettito sia uguale per entrambi i beni
XeY
½ ΔX / X1 = ½ ΔY / Y1
Moltiplicando per due entrambi i membri dell’equazione otteniamo la Regola di
Ramsey
Regola di Ramsey
Il problema di minimizzazione è il seguente problema
di ottimizzazione vincolata, laddove R è il gettito
fiscale richiesto:
Calcolando le derivate prime parziali, imponendole
uguale a zero e con alcuni semplici passaggi si può
giungere alla relazione di Ramsey
Regola di Ramsey
X Y

X1
Y1

Le Regola di Ramsey ci dice che, per minimizzare
l’eccesso di pressione, le aliquote dovrebbero essere
fissate in modo che la riduzione percentuale della
quantità domandata di ciascun bene sia la stessa.

Questo risultato, detto regola di Ramsey, è valido anche
per i casi in cui X, Y e l siano beni sostituti o complementari.
Regola di Ramsey - La regola
delle elasticità inverse



Esprimendo la relazione precedente utilizzando le formule
dell’elasticità, la regola di Ramsey può essere formulata come
regola delle elasticità inverse.
Consideriamo delle imposte ad valorem, tx e ty. Gli eccessi di
pressione sono uguali a
dove ηx è l’elasticità della domanda compensata al prezzo del
bene X e ηy è l’elasticità della domanda compensata al prezzo
del bene Y. Il problema di minimizzazione è il seguente problema
di ottimizzazione vincolata:
Regola di Ramsey - La regola
delle elasticità inverse

Calcolando
le
derivate
prime
parziali,
imponendole uguale a zero e con alcuni semplici
passaggi si giunge alla seguente relazione:
Qualora quindi i beni non sono complementari e/o
sostituti le aliquote d’imposta dovrebbero essere
inversamente proporzionali alle elasticità.
Regola di Ramsey - La regola
delle elasticità inverse
Regola di Ramsey - La regola
delle elasticità inverse





Dalla figura precedente risulta che quei beni che presentano
maggiore elasticità avranno un maggior eccesso di pressione
tributaria. In presenza di una domanda rigida la distorsione e
quindi l’eccesso di pressione tributaria sono nulli. Al contrario
l’introduzione di una imposta su beni fortemente elastici ha
effetti distorsivi e un eccesso di pressione tributaria eccessiva.
L’eccesso di pressione è quindi funzione diretta dell’elasticità
della domanda. Per minimizzare l’eccesso di pressione lo Stato
deve tassare di più i beni con minore elasticità (η) cioè i beni a
domanda rigida (η = 0) (regola di Ramsey)
Le aliquote devono essere inversamente proporzionali a η
Quali implicazioni sotto il profilo equitativo?
Tuttavia generalmente i beni a domanda rigida sono i beni di
prima necessità (food, farmaceutica, ect…)
Regola di Ramsey - La regola
delle elasticità inverse
Regola di Ramsey - La regola
delle elasticità inverse

Alla base della regola dell’elasticità inversa c’è una
semplice intuizione: un insieme di imposte efficienti
dovrebbe distorcere il meno possibile le decisioni.

Il
potenziale
di
distorsione
aumenta
proporzionalmente all’elasticità della domanda di
un bene, quindi una tassazione efficiente esige
che siano introdotte aliquote relativamente
elevate su beni relativamente anelastici - rigidi.
Trade-off tra efficienza ed
equità
Indicazioni
per la politica tributaria
La regola di Corlett-Hague

Corlett e Hague (1953) hanno dimostrato un’interessante
implicazione della regola di Ramsey: quando sono presenti due
beni, la tassazione efficiente esige che l’imposta su un bene
complementare al tempo libero abbia un’aliquota relativamente
elevata.

Si era infatti detto che se fosse possibile tassare il tempo libero,
si potrebbe ottenere una soluzione di “first best”, aumentando il
gettito senza eccesso di pressione. Benché le autorità non
possano tassare il tempo libero, possono tassare i beni che
tendono a essere consumati insieme al tempo libero, riducendo
indirettamente la domanda di tempo libero.

Imposte elevate su beni complementari al tempo libero
forniscono un modo indiretto per avvicinarsi alla soluzione
efficiente che si avrebbe se il tempo libero fosse tassabile.
Considerazioni di equità

Ma quali sono le implicazioni in termini di equità della teoria
della tassazione efficiente? In effetti, secondo la regola delle
elasticità inverse i beni con domanda anelastica/rigida
dovrebbero essere tassati ad aliquote relativamente elevate.
Ma è giusto? Vogliamo davvero un sistema tributario che
raccolga il grosso del gettito dalle imposte sull’insulina, un
bene la cui domanda è sicuramente rigida?

Certamente no: l’efficienza è solo uno dei criteri di
valutazione di un sistema tributario e l’equità è altrettanto
importante. Esiste ampio accordo sul fatto che un sistema di
imposte dovrebbe essere caratterizzato da Equità verticale,
cioè dovrebbe distribuire l’onere tra cittadini con capacità
contributiva diversa in maniera equa.
Considerazioni di equità

La regola di Ramsey si può modificare per tenere conto delle
conseguenze della tassazione in termini distributivi.

Se i poveri spendono una porzione maggiore del loro reddito
per il bene X rispetto ai ricchi, e viceversa per il bene Y, e se
la funzione di benessere sociale attribuisce maggior peso alle
utilità dei poveri rispetto a quelle dei ricchi, anche se X ha una
domanda più rigida (o anelastica) di Y, la tassazione ottimale
potrebbe richiedere l’imposizione di un’aliquota fiscale più
elevata su Y che su X (Stern 1987).

Un’aliquota d’imposta elevata su Y crea un eccesso di
pressione consistente, ma ridistribuisce reddito a favore dei
meno abbienti. La società può essere disposta a pagare un
prezzo in termini di eccesso di pressione in cambio di una
distribuzione più equa del reddito.
Evidenze empiriche: tassazione
della famiglia

Negli Stati Uniti, l’unità fondamentale di tassazione sul
reddito è la famiglia → marito e moglie sono tassati sulla
somma dei loro redditi e quindi un dollaro guadagnato in
più viene tassata alla stessa aliquota sia che provenga dal
marito che provenga dalla moglie.

Si tratta di un sistema efficiente? L’eccesso di pressione
della famiglia viene minimizzato tassando il reddito di
ciascuno dei coniugi allo stessa aliquota?

L’applicazione della regola dell’elasticità inversa
suggerirebbe di imporre un’imposta più elevata sul bene
fornito in modo relativamente anelastico/rigido.
Evidenze empiriche:
tassazione della famiglia

Per aumentare l’efficienza, chi abbia un’offerta di lavoro
relativamente anelastica/rigida dovrebbe avere un’aliquota
d’imposta relativamente più alta. Vari studi econometrici
suggeriscono che l’offerta di lavoro degli uomini è molto meno
elastica di quella delle donne.

Si potrebbe ottenere un guadagno in termini di efficienza se il
diritto tributario attuale fosse modificato in modo di applicare ai
mariti (o percettori di reddito primari) aliquote d’imposta più
elevate rispetto a quelle che gravano sui redditi delle mogli.

Il trattamento fiscale diverso tra uomini e donne può essere
discutibile sotto altri punti di vista, per esempio quello etico,
essendo una discriminazione di genere.
Le tariffe ottimali

Lo Stato a volte produce e/o fornisce beni e servizi e
quindi deve stabilire il prezzo da far pagare agli
utilizzatori. In pratica deve decidere l’importo delle
tariffe.

Vorremmo stabilire la “migliore” tariffa.

Cominciamo con il ricordare in quali circostanze lo Stato
dovrebbe produrre un bene invece di acquistarlo dal
settore privato. In particolare consideriamo il caso della
produzione di un bene soggetto a costi medi
costantemente decrescenti: maggiore è il livello di
output, minore è il costo unitario.
Le tariffe ottimali

Questo mercato spesso non è concorrenziale: una singola
impresa può sfruttare le economie di scala e fornire
l’intero output del settore, dando luogo al fenomeno
definito monopolio naturale.

Esempi di monopoli naturali sono le autostrade, i ponti e
la produzione di energia elettrica.

In alcuni casi questi beni vengono prodotti dal settore
privato e regolamentati dallo Stato, mentre in altri sono
prodotti dal settore pubblico. Analizziamo la soluzione
della produzione pubblica, anche se molte delle
conclusioni si possono estendere alla regolamentazione
dei monopoli privati.
Il monopolio naturale

Poiché i costi medi sono
sempre
decrescenti,
quelli marginali devono
essere inferiori alla media
→ la curva dei costi
marginali MCZ si trova
sempre al di sotto della
curva dei costi medi ACZ.

La curva dei ricavi
marginali MRZ mostra i
ricavi
aggiuntivi
per
ciascun livello di output di
Z.
Il monopolio naturale
Il monopolista che massimizza i
profitti produce fino al punto in cui i
ricavi marginali = costo marginali e
cioè Zm.
Secondo la teoria del benessere
l’output è efficiente se il prezzo è
uguale al costo marginale → valore
che gli individui attribuiscono al
bene sia uguale al costo aggiuntivo
che la società deve sostenere per
produrlo.
In questo caso Il Prezzo Pm è
inefficiente. E’ il Prezzo P* quello
che eguaglia Prezzo al Costo
marginale MCz. Tuttavia tale
Prezzo P* è inferiore ai Costi medi
ACz e quindi la produzione risulta
in perdita.
Solo con un Prezzo PA superiore al
costo marginale MCz ma uguale al
costo medio ACz il monopolista è a
pareggio.
Il monopolio naturale

Il livello di produzione scelto dal
Monopolista, Zm, non è efficiente
perché il prezzo è superiore al
costo marginale. Nella figura
l’output al quale P = MC è
indicato con Z* e il prezzo
connesso è P*.

C’è però un problema: al livello di
output Z* il prezzo è inferiore al
costo medio. Il prezzo P* è così
basso da non coprire i costi; la
produzione è in perdita. La
perdita totale è data dal
rettangolo in grigio più scuro
nella figura.

Come può intervenire lo Stato?
Determinazione dei prezzi
in base al costo medio

Per definizione, quando il prezzo è uguale al costo
medio non ci sono né profitti né perdite, per cui
l’impresa è in pareggio. Nella figura questa situazione
si verifica in corrispondenza dell’intersezione delle
curve di domanda e dei costi medi, per cui l’output è
ZA e il prezzo PA. Si osservi, però, che ZA è inferiore a
Z* quindi anche questa soluzione non è efficiente.

Anche se la determinazione dei prezzi in base al
costo medio determina una produzione maggiore del
livello che massimizza i profitti di monopolio, non
raggiunge ancora la quantità efficiente.
Determinazione del prezzo in
base ai costi medi con
imposte a somma fissa

Supponiamo di far pagare P = MC e di coprire il disavanzo
introducendo imposte a somma fissa. Il finanziamento del
disavanzo con imposte a somma fissa sul resto della società
garantisce che non siano introdotte nuove inefficienze.

Tuttavia, questa soluzione ha due problemi:
1.
le imposte a somma fissa in genere sono difficilmente
applicabili e quindi il disavanzo deve essere finanziato,
necessariamente, con imposte che hanno effetti distorsivi, o sul
consumo o sulle scelte di lavoro;
l’equità richiede che i consumatori di un bene fornito
pubblicamente lo paghino: si tratta dell’applicazione del
cosiddetto principio del beneficio. Se questo principio viene
applicato alla lettera non è giusto ripianare il disavanzo mediante
una tassazione generale.
2.
La soluzione di Ramsey

Supponiamo che lo Stato possieda molte imprese e che queste
non possano essere in perdita come gruppo, ma che una di esse
possa trovarsi in tali condizioni. Ipotizziamo, inoltre, che lo Stato
voglia che il finanziamento della produzione pubblica sia coperto
dal prezzo pagato dagli utenti dei servizi prodotti dalle imprese.

Di quanto la tariffa dovrebbe superare il costo marginale per
l’utente di ciascun servizio al fine di compensare quella del servizio
che risulta in perdita?

La differenza tra il costo marginale e la tariffa è l’imposta che lo
Stato impone sul bene. Come per il problema della tassazione
ottimale, lo Stato deve ricavare un gettito, in questo caso quanto
basta perché il gruppo di imprese sia in pareggio. La regola di
Ramsey fornisce la risposta: le tariffe vanno fissate in modo tale
che la domanda di ogni bene si riduca proporzionalmente.
Tassazione ottimale e
imposta sul reddito

Vediamo adesso come elaborare sistemi in cui
il pagamento delle imposte sia commisurato al
reddito dei cittadini. In particolare, quanto
progressiva dovrebbe essere un’imposta? Tale
questione è la più controversa!

La teoria della tassazione ottimale dei redditi
cerca di fornire un orientamento: analizza in
modo sistematico il trade-off tra equità ed
efficienza insito in questa questione.
Il modello di Edgeworth

Alla fine dell’Ottocento Edgeworth propose un modello fondato
sulle seguenti assunzioni:
• dato il gettito necessario, l’obiettivo consiste nel mantenere la
somma delle utilità individuali la più alta possibile. Se Ui è l’utilità
dell’i-esimo individuo e W il benessere sociale, il sistema fiscale
dovrebbe massimizzare
W = U1 + U2 + … + Un
dove n è il numero di persone presenti nella società;
• gli individui hanno funzioni di utilità identiche, che dipendono
unicamente dal loro reddito, e presentano un’utilità marginale
decrescente del reddito;
• la quantità totale di reddito disponibile è fissa.
Il modello di Edgeworth

Per massimizzare il benessere sociale con queste assunzioni è necessario che
l’utilità marginale del reddito di ciascun individuo sia la stessa.

Ma se le funzioni di utilità sono identiche (vedi l’ipotesi precedente), le
utilità marginali sono uguali solo se lo sono anche i redditi. Ne deriva un
sistema fiscale dovrebbe basarsi su delle imposte che dovrebbero essere
fissate in modo che la distribuzione del reddito dopo le imposte sia
ugualitaria. Il reddito dovrebbe essere prelevato in misura maggiore per i più
ricchi – perché la loro utilità marginale è inferiore - e minore per i più poveri.

Il modello di Edgeworth implica un sistema fiscale strettamente progressivo: i
redditi più elevati vengono ridotti fino a raggiungere la completa
uguaglianza. Ne deriva che le aliquote marginali dei redditi più alti potrebbero
avvicinarsi al 100%.

Questo modello è stato seriamente messo in discussione a partire dagli anni
‘70.
Studi più recenti

L’ipotesi che l’importo totale di reddito disponibile per la
collettività nel suo complesso possa essere considerato fisso è
quella più dibattuta dell’analisi di Edgeworth. Si suppone, infatti,
che le aliquote non abbiano effetto sulla quantità di output
prodotto.

Se l’utilità degli individui dipende non solo dal reddito, ma
anche dal tempo libero, le imposte sul reddito hanno un effetto
distorsivo sulle decisioni di lavoro.

Una società con una funzione di benessere sociale utilitaristica
ha di fronte un dilemma: da un lato l’onere fiscale deve essere
ripartito per rendere equa la distribuzione del reddito postimposta; dall’altro però in questo modo si riduce la quantità
totale di reddito reale disponibile.
Studi più recenti

Nell’elaborare un sistema tributario ottimale si deve allora tenere
conto dei costi in termini di distorsione delle scelte ed quindi di
eccesso di pressione da sostenere per conseguire una maggiore
uguaglianza. Nel modello di Edgeworth questi costi sono pari a
zero.

Come varia il risultato di Edgeworth quando si considerano gli
incentivi al lavoro? Stern (1987) ha elaborato un modello simile a
quello di Edgeworth ad eccezione del fatto che gli individui
possono però scegliere tra reddito e tempo libero.

Stern ipotizza che le entrate fiscali ottenute da una persona
siano pari a:
Entrate = −α + t × reddito
Studi più recenti

La linea retta è definita
curva
dell’imposta
lineare sul reddito, o
anche imposta fissa sul
reddito (imposta con
aliquota marginale sul
reddito costante).

L’aliquota marginale t è
costante, ma l’aliquota
media
è
crescente
(aliquota progressiva) →
più elevato è il reddito
dell’individuo, maggiore è
la proporzione di reddito
versato.
L’imposta lineare sul
reddito

Il grado di progressività dipende dal valore di α e t.
A valori più elevati di t, il sistema fiscale è più
progressivo. Però, a valori elevati di t corrisponde
anche maggiore eccesso di pressione → trade-off tra
equità ed efficienza.

L’imposta ottima è la combinazione “migliore” di α e t,
tale da massimizzare il benessere sociale nel rispetto
del vincolo per cui il gettito deve essere pari ai sussidi
erogati.
L’imposta lineare sul
reddito

Stern (1987) ha dimostrato che, se si ipotizza una modesta
sostituibilità tra il tempo libero e il reddito e se il gettito che
si vuole raccogliere è pari al 20% del reddito complessivo
della collettività, un valore di t del 19% (aliquota marginale
costante) circa massimizza il benessere sociale; questo
valore è notevolmente inferiore al quasi 100% implicito per
alcuni redditi nell’analisi di Edgeworth.

Possiamo concludere che effetti di incentivo del tutto
modesti sembrano avere implicazioni importanti per le
aliquote marginali ottimali. Per inciso, il tasso calcolato da
Stern è anche nettamente inferiore alle aliquote marginali
riscontrate in molti Paesi occidentali.
L’imposta lineare sul
reddito

In termini più generali, Stern ha dimostrato che più
elastica è l’offerta di lavoro, inferiore è il valore
ottimale di t, a parità di altre condizioni.

Intuitivamente, il costo della ridistribuzione è dato
dall’eccesso di pressione che le imposte creano. Più
elastica è l’offerta di lavoro, maggiore è l’eccesso di
pressione che deriva dalla tassazione.

Un’offerta di lavoro più elastica significa dunque un
costo di ridistribuzione più elevato.
L’imposta lineare sul
reddito



La società potrebbe avere preferenze più ugualitarie,
assegnando alle utilità dei poveri pesi maggiori rispetto a
quelle dei ricchi:
W = p1 U1 + p2U2 + … + pnUn.
Un caso estremo è quello con il criterio del maximin, secondo
cui l’unico individuo che riceve un qualche peso nella
funzione di benessere sociale è il più povero, ossia l’utilità
minima.
Stern ha dimostrato che il criterio del maximin esige
un’aliquota marginale dell’80% circa. Non sorprende che, se
la società preferisce allocazioni estremamente ugualitari,
sono necessarie aliquote elevate.
L’imposta lineare sul
reddito

I limite nell’analisi di Stern: una sola aliquota marginale.

Gruber e Saez (2000) hanno indagato una forma più generale
del modello: 4 aliquote marginali.

Coloro che rientrano nella fascia di reddito più alta dovrebbero
fronteggiare un’aliquota marginale inferiore di quelli che si
trovano nelle fasce più basse. Abbassando l’aliquota marginale
sui grandi percettori di reddito, questi sono indotti a lavorare di
più e le maggiori entrate fiscali possono essere utilizzate per
ridurre l’onere fiscale degli individui a basso reddito.

In Gruber e Saez (2000), anche se in questo modello le aliquote
marginali scendono, quelle medie sono comunque crescenti e
quindi il sistema risulta comunque progressivo.
L’incoerenza temporale delle
politiche pubbliche

La teoria della tassazione ottimale è un approccio di
tipo normativo che non pretende di prevedere la
struttura dei sistemi fiscali effettivamente adottati o di
spiegare come questi sistemi nascano.

Inoltre,
questo
approccio
si
occupa
solo
marginalmente dell’assetto politico e istituzionale che
adotta una certa politica fiscale.

Buchanan (1993) sostiene che i sistemi fiscali effettivi
si spiegano meglio se si tiene conto delle realtà
politiche che li adottano, piuttosto che delle
prescrizioni della teoria della tassazione ottimale.
L’incoerenza temporale delle
politiche pubbliche

Supponiamo vi siano 3 beni: X, Y, e tempo libero. L’offerta di
lavoro è fissa. Il bene X è gravato da imposta mentre il bene Y
non si può tassare per legge. Se si potesse tassare anche Y, si
ridurrebbe l’imposta che grava su X. Seguendo la regola di
Ramsey si minimizzerebbe l’eccesso di pressione dato un certo
gettito fiscale.

I cittadini però potrebbero avere il sospetto che se
consentissero la tassazione Y, i burocrati ne approfitterebbero
per imporre un’imposta su Y senza ridurre quella su X,
aumentando così il gettito fiscale.

Impedire costituzionalmente la tassazione di Y può essere uno
strumento di cautela per i cittadini. Se non c’è fiducia da parte
dei cittadini nei confronti di chi li governa, ciò che è inefficiente
dal punto di vista della tassazione ottimale può esserlo in un
contesto più ampio.
L’incoerenza temporale delle
politiche pubbliche

Supponiamo che le autorità politiche annuncino che
applicheranno un’imposta del 10% sul valore del capitale
esistente ad oggi, ma promettano di non tassare alcun capitale
in futuro. La manovra non dovrebbe avere effetti sugli incentivi
attuali al risparmio futuro in quanto non va a toccare il risparmio
futuro. Le stesse autorità però potrebbero non avere incentivi a
mantenere la parola data e potrebbero adottare la stessa politica
l’anno successivo.

Quel che è peggio è che chi detiene il capitale potrebbe essere
consapevole delle intenzioni reali di chi governa e, quindi,
modificare immediatamente il comportamento di risparmio per
rispondere all’aspettativa secondo cui più risparmia adesso, più
sarà tassato l’anno prossimo. Modificando il comportamento dei
contribuenti l’imposta determina inefficienza.
L’incoerenza temporale delle
politiche pubbliche

Se le politiche pubbliche non sono credibili non
possono essere completamente efficienti.

Per evitare il problema dell’incoerenza temporale, chi
governa deve impegnarsi in modo credibile per il
futuro.

L’analisi della credibilità del sistema politico è un
aspetto rilevante nell’ipotizzare gli effetti di
riforme, anche quelle fondate sulla teoria della
tassazione ottimale.
Equità ed efficienza: altre
interpretazioni possibili

La tassazione ottimale dipende dal trade-off tra efficienza
ed equità.

Ma nell’ambito della teoria della tassazione ottimale
un’imposta è equa se garantisce una distribuzione
socialmente desiderabile dell’onere tributario, mentre
un’imposta è efficiente se presenta un eccesso di
pressione tributaria minimo.

Nel dibattito pubblico, invece, spesso un’imposta è equa se
impone lo stesso onere a chi ha la stessa capacità
contributiva e un sistema fiscale è efficiente se riesce a
contenere le spese amministrative e burocratiche per
implementarlo.
Equità orizzontale

Uno dei criteri di valutazione di un sistema fiscale è
quello dell’equità orizzontale: le persone che si
trovano nella stessa posizione dovrebbero
ricevere lo stesso trattamento.

Perché l’idea di equità orizzontale possa trovare
applicazione concreta si deve stabilire che cosa
s’intende per stessa posizione.

Il dibattito si concentra su quale indice della capacità
contributiva sia più opportuno utilizzare. Il reddito, la
spesa e la ricchezza sono quelli più largamente
utilizzati.
Equità orizzontale in
termini di utilità

Purtroppo tutte queste misure, se rappresentano gli
esiti delle decisioni dei cittadini, non si prestano a
valutare l’uguaglianza di posizione.

Esempio: 2 individui identici A e B. Entrambi
guadagnano €10 all’ora. L’individuo A decide di
lavorare 1500 ore all’anno, B decide di lavorare 2200
ore all’anno. A ha un reddito di €15000, B di € 22000.
A e B non si trovano nella stessa posizione avendo
un reddito differente.

Ma la differenza di reddito proviene da una loro scelta
ed in termini di capacità di guadagno sono
esattamente uguali e hanno la stessa posizione.
Equità orizzontale in
termini di utilità

Quale alternativa alla misurazione dell’uguaglianza di
posizione in termini di reddito o di salario, Feldstein
(1976) propone di ricorrere al concetto di utilità. Da ciò
deriva la definizione di equità orizzontale in termini
di utilità:
• se due individui hanno lo stesso livello di utilità in
assenza di tassazione, dovrebbero averlo anche in
presenza di tassazione;
• le imposte non dovrebbero modificare l’ordine di
utilità => se A è in condizioni migliori di B prima
dell’imposizione fiscale, dovrebbe esserlo anche
dopo.
Equità orizzontale in
termini di utilità

Per valutare le implicazioni della definizione di Feldstein
supponiamo che tutti gli individui abbiano le stesse
preferenze, ossia funzioni di utilità identiche. In questo
caso, le persone che consumano gli stessi beni
(compreso il tempo libero) dovrebbero pagare imposte di
uguale entità.
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Ipotizziamo ora che due individui abbiano gusti diversi,
per esempio i buongustai e i patiti della tintarella.
Entrambi consumano generi alimentari (acquistati
utilizzando il reddito) e tempo libero, ma i primi
attribuiscono un valore relativamente elevato al cibo,
mentre i secondi al tempo libero.
Equità orizzontale in
termini di utilità
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Immaginiamo inoltre che, prima di qualsiasi tassazione, i
buongustai e i patiti della tintarella, abbiano livelli di utilità
uguali. Se si applica la stessa imposta proporzionale a tutti, i
primi si troveranno in condizioni peggiori rispetto ai secondi,
perché hanno bisogno di quantità di reddito relativamente
elevate per soddisfare le proprie abitudini alimentari. Pertanto,
anche se questa imposta sul reddito è perfettamente equa
tenuto conto della definizione tradizionale di equità orizzontale,
è iniqua secondo la definizione in termini di utilità.
Le difficoltà di misurazione dell’utilità rendono la definizione di
equità orizzontale in termini di utilità poco utile ai fini pratici,
anche se si tratta di un’idea che ha alcune implicazioni che
possono apparire provocatorie per la politica fiscale.
Equità orizzontale in
termini di utilità
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Si potrebbe dimostrare quindi che nessun sistema fiscale violi
la definizione di equità orizzontale in termini di utilità a
condizione che gli individui sia liberi di scegliere le proprie
attività e spese.
In definitiva l’equità orizzontale, in presenza di gusti e
preferenze comuni nonché libertà di scelta, finisce per essere
violata solo in presenza di modifiche del sistema fiscale con
una modifica del benessere degli individui. Ciò deriva dal fatto
che, sulla base della normativa esistente, gli individui
assumono impegni che sono difficili o impossibili da rimettere
in discussione.
Tuttavia spesso alcune modifiche sono necessarie per
migliorare l’efficienza del sistema e/o l’equità verticale.
Le implicazione dei sistemi
fiscali
La scelta tra un sistema fiscale e un altro è
stata sviluppata solo in termini di efficienza
tuttavia la gestione delle imposte non è
un’attività senza costi amministrativi e di
gestione.
 E’chiaro che la scelta di un sistema deve
tenere anche conto, oltre che dell’eccesso di
pressione tributaria e della regola di Ramsey,
anche dei costi di gestione, di controllo e di
verifica.
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Evasione ed elusione fiscale
Per Evasione fiscale si intende il mancato
pagamento di imposte legalmente dovute
mentre per Elusione fiscale si intende il
modificare il proprio comportamento o
assumere delle scelte da ridurre il proprio onere
tributario nel rispetto della legge.
 Il problema dell’evasione fiscale preoccupa sul
piano non tanto dell’efficienza del sistema ma
quanto su quello dell’equità.
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Evasione ed elusione fiscale
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La scelta di evadere è condizionata dalla
probabilità di un accertamento ρ e dalla Multa
alla quale si va incontro e che aumenta
all’aumentare del reddito R. La scelta
dell’evasore è legata al Costo Marginale
dell’evasione ρ x multa marginale e il Beneficio
Marginale dato dal mancato pagamento
dell’imposta t. Se le verifiche fossero continue il
Costo dell’evasione sarebbe elevatissimo.
Diversamente anche multe elevate rendono
sconveniente l’evasione.
L’analisi positiva
dell’evasione fiscale
L’analisi positiva
dell’evasione fiscale
L’analisi positiva
dell’evasione fiscale
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Il
modello
implica
che
l’evasione
aumenta
proporzionalmente alle aliquote fiscali, perché un valore più
elevato di t incrementa il beneficio marginale insito
nell’evasione. Detto altrimenti, per un t più alto si sposta la
relativa curva MB e l’intersezione con quella dei costi
marginali si verifica per un valore di R più elevato. La
previsione che aliquote fiscali alte determinino maggiore
evasione è coerente con alcune analisi empiriche.
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L’evasione si riduce all’aumentare della probabilità ρ di
essere scoperti.
L’evasione si riduce all’aumentare dell’aliquota della multa
marginale.
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L’analisi positiva
dell’evasione fiscale
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Il modello non tiene conto di alcuni aspetti potenzialmente
importanti:
1. esistono costi psicologici dell’evasione;
2. gli individui sono avversi al rischio, anche se non tutti nella
stessa misura. L’evasione dovrebbe diminuire all’aumentare
dell’avversità al rischio del contribuente;
3. scelte di lavoro: si assume che l’unica decisione sia quanto
reddito dichiarare. Il tipo di occupazione e l’entità del reddito prima
delle imposte sono dati. In realtà, il sistema fiscale può influire sulle
ore di lavoro e sulla scelta dell’occupazione. Per esempio, aliquote
marginali elevate possono indurre gli individui a scegliere
occupazioni che permettono di evadere somme consistenti, la
cosiddetta economia sommersa;
4. la probabilità di accertamento non è indipendente dalla
somma evasa e dall’entità del reddito dichiarato. Questo fattore
complica il modello, ma non lo modifica nei suoi aspetti essenziali.
L’analisi normativa
dell’evasione fiscale
Il fatto che molti Paesi abbiano fenomeni di evasione molto consistenti
e non abbiano mai adottato una politica del genere indica che i
sistemi di accertamento esistenti non si preoccupano solo del risultato
finale (liberarsi degli evasori), ma anche dei modi per ottenerlo.
Anzi spesso questi Stati hanno dichiarato periodi di condono fiscale
durante i quali gli individui possono pagare le imposte evase senza
subire procedimenti penali per gli illeciti commessi. Quando si ricorre
ripetutamente a questo procedimento, i cittadini possono ritenere che
la stessa misura verrà adottata anche in futuro e si riducono i costi
attesi di futura evasione fiscale. Pertanto, un programma di condono
che induce aspettative di condono anche in futuro aumenterà
l’evasione fiscale.
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L’Italia ha una lunga tradizione di condoni: 1973, 1991, 1995, 2003,
2009. Ci si può aspettare che ulteriori condoni abbiano un impatto
notevole sull’evasione fiscale.