A05 68 - Aracne editrice

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A

Antonio Villari
La ritualizzazione degli schemi motori innati
Contributi evoluzionistici alla scoperta dell’etologia
Presentazione di
Francesco Dessì Fulgheri
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: agosto 
Ai miei genitori
Indice

Presentazione

Introduzione

Capitolo I
Due aspetti del Darwinismo
.. Il problema della “finalità”,  – .. Alcuni punti di riferimento nelle
tematiche della biologia contemporanea, .

Capitolo II
Corsi e ricorsi delle idee dell’etologia
.. Esempi della concettualizzazione dei fatti istintuali nei primi lavori
di Konrad Lorenz,  – .. Cenni sulle implicazioni etico–ideologiche
dell’evoluzionismo,  – .. L’evoluzione del pensiero di Lorenz nel
quadro dell’etologia umana in rapporto alle critiche degli etologi di altre
scuole, .

Conclusioni

Bibliografia

Indice analitico

Presentazione
Presento con piacere questo saggio di Antonio Villari, frutto di un
lavoro accurato di rivisitazione di alcuni concetti fondanti dell’etologia
classica, quella, per intendersi, esplorata da Konrad Lorenz a vari livelli
— sperimentale, filosofico e divulgativo — e “canonizzata” da Niko
Tinbergen nel suo The Study of Istinct del . L’impegno dell’autore, partendo dall’analisi del concetto di ritualizzazione, è quello di
inquadrare nel pensiero evoluzionistico contemporaneo un materiale
apparentemente eterogeneo (si spazia dalla fisiologia alla genetica) e
contraddittorio (neolamarkismo, selezione individuale/selezione di
gruppo), ripercorrendo, con pazienza filologica, i testi originali alla
ricerca delle radici comuni e dei concetti unificanti.
L’autore è puntuale nel documentare lo stretto intreccio tra Gestalt Psicologie ed Etologia e il superamento della visione finalistica
dell’evoluzione, che inaspettatamente continua a coesistere con le proposte della “sintesi moderna”, risolta come sappiamo nel concetto di
funzione evoluzionistica e adattativa del comportamento proposta da
Tinbergen.
Il saggio di Villari, basato sulla sua tesi di laurea, svolta con la
supervisione di Leo Pardi, fondatore della scuola etologica italiana, e
debitamente aggiornato, merita l’attenzione degli studiosi.
Francesco Dessì Fulgheri
Università di Firenze

Introduzione
Col termine ritualizzazione si intende, come vedremo più estesamente, un particolare tipo di processo ipotizzato nel  dal biologo
neo–evoluzionista Julian Huxley in seguito ad accurate e ripetute osservazioni di alcuni aspetti ricorrenti del comportamento pre–copulatorio
di una determinata specie di uccelli palustri.
Huxley si era accorto del carattere manifestamente “segnaletico”
individuabile nelle sequenze di movimenti stilizzati che contraddistinguono quel genere di interazioni animali, talmente spiccato da
dare all’osservatore la sensazione di stare assistendo a un qualche tipo
di bizzarro balletto, a una rappresentazione in cui i gesti degli attori
alludevano a significati che solo il possesso di un codice incommensurabilmente “altro” avrebbe permesso di decifrare. In una parola,
egli aveva avuto la sensazione di trovarsi in presenza di qualcosa
paragonabile a un rito di cui occorresse indagare le funzioni.
A partire dalla metà degli anni , questi e altri fenomeni consimili
(individuati in vari settori di quel vastissimo insieme di dati comportamentali “grezzi” acquisito grazie all’opera di coloro che, sulle orme
di Darwin, già da diverso tempo avevano dimostrato un concreto
interesse per la psicologia degli animali) sono stati assunti a oggetto di
studio dalla nascente scuola etologica, nel cui ambito, soprattutto da
parte di Konrad Lorenz e del suo primo collaboratore, l’olandese Nikolaas Tinbergen, si è cercato di fornirne una spiegazione nei termini
di complesse e spesso macchinose teorie motivazionali, a loro volta
strettamente collegate a tutta la vastissima tematica evoluzionistica.
Per questo motivo sarebbe forse risultato metodologicamente scorretto affrontare direttamente l’argomento di questa trattazione senza
prima aver fatto riferimento alle fondamentali acquisizioni in tema
di comportamento animale che dobbiamo a questi ed altri studiosi,
alle dispute di diverso segno che hanno caratterizzato il panorama
concettuale della corrente di ricerca che si è sviluppata a partire dai
loro primi contributi, e alle implicazioni più generali di tipo biologico


La ritualizzazione degli schemi motori innati
ed epistemologico che in vario modo risultano connesse alla sfera
d’interessi di competenza dell’etologia.
Si è così tentato di delineare un quadro, sia pur necessariamente
frammentario e incompleto, ed avente, quindi, il carattere di semplice
rassegna informativa, dei principali aspetti teorici di quella disciplina sperimentale cui oggi, nei Paesi di lingua tedesca, ci si riferisce
comunemente col termine onnicomprensivo di Verhaltensforschung
(“scienza del comportamento”, o “ricerca comportamentale” ) e, alla
fine, ci si è resi conto che, data l’enorme vastità e portata dei problemi
coinvolti (per lo scrivente del tutto nuovi), anche volendo settorializzare l’esposizione attenendosi ai più significativi tra di essi, la maggior
parte di questo elaborato avrebbe dovuto essere dedicata ad argomenti
che, come risultato della perdurante separazione tra scienze pur così
affini, non sempre sono considerati di attinenza psicologica.
Così, solo nell’ultima parte del lavoro, è stato possibile riandare,
attraverso l’analisi di alcuni risultati della più recente branca dell’etologia umana, a considerazioni più strettamente legate alle tematiche
della psicologia, mediante le quali si è cercato di rispondere in modo
provvisorio alla domanda se sia in fondo ancora lecito, sul piano del
metodo, mantenere inalterata questa distinzione di competenze, domanda che, per altro, si era imposta sin dalle prime pagine di questa
ricerca.
A tal fine sono stati brevemente presi in esame alcuni esempi di
comportamenti che potrebbero eventualmente giustificare un separato riferimento semantico nel raffronto tra i due campi.
. Sotto la voce «etologia» il Lessico Universale Italiano (vol.VII, p. ) riporta, fra
l’altro: «Nome dato da J. Stuart Mill a quella parte della Psicologia differenziale che si
può denominare “caratterologia”, la quale determina e classifica i vari tipi di carattere, ne
ricerca le cause e ne studia le anomalie». In seguito, a partire dal XX secolo, il termine,
il cui radicale si riconnette all’etimo greco ἦθος (“usanza”, “costume abituale”), è stato
acquisito dalle Scienze Naturali, venendo a perdere il carattere di classificazione tipologica
individuale per assumere quello di comportamento riferibile ad un’intera specie. Secondo
l’Enciclopedia Italiana (vol. XIV, p. ) spesso l’Etologia veniva confusa con l’ecologia, ed
i due termini usati indifferentemente, anche se quest’ultimo compariva più di frequente
nell’accezione odierna, per indicare cioè lo studio della vita, delle abitudini, delle relazioni
con il mondo esterno, delle dimore preferite degli animali e delle piante.
Capitolo I
Due aspetti del Darwinismo
Nel suo ultimo saggio tradotto in italiano, trattando del fenomeno
messo in evidenza per la prima volta da J. Huxley, Konrad Lorenz
afferma di non ritenere opportuno inserire il termine “ritualizzazione”, e aggiunge, motivando la sua scelta, che esso sta ad indicare “un
concetto definito per via puramente funzionale, che si riferisce sia
al processo filogenetico sia a quello storico–culturale”. (Lorenz ,
p. ) . In affermazioni di questo tipo è racchiuso tutto il senso e
la ragion d’essere della polemica ormai annosa che soprattutto negli ambienti scientifici anglosassoni, ma di recente anche nel nostro
Paese, pone al centro di contestazioni spesso molto aspre la pretesa
di volersi servire dei risultati di osservazioni tratte dal mondo animale per dedurne postulati sulle scaturigini prime del comportamento
umano, considerato nella gamma completa delle sue manifestazioni,
sino a quelle più complesse ed articolate che siamo abituati a chiamare
“storia” e “cultura”.
Anche prescindendo dalla posizione apertamente estremista che,
come vedremo in seguito, è possibile rinvenire in alcuni passi dell’ultima produzione di Lorenz (la quale ha carattere principalmente
saggistico e divulgativo, e peraltro, con pochissime eccezioni, è l’unica
a esser stata tradotta in italiano), la pretesa cui sopra accennavamo ha
evidentemente una storia ben più lunga.
Per centrare correttamente i contributi apportati dalle ricerche etologiche al tentativo di risolvere il dilemma insito nel marcato aspetto
dicotomico che contraddistingue termini come “natura” e “cultura”,
“istinto” e “apprendimento”, occorrerà infatti prendere in considerazione la matrice prettamente evoluzionista che ha originato tali
ricerche, e su cui esse si fondano, ed in questo senso il ricorso da parte
. L, K., Die Ruckseite des Spiegels, Piper, Munchen  (trad.it.: L’altra faccia dello
specchio, Adelphi, Milano ).


La ritualizzazione degli schemi motori innati
di Lorenz a un concetto biologico, come quello di filogenesi, può
costituire un utile punto di approccio.
Si vede subito, per inciso, che se tale dilemma (ed il conflitto che
ne deriva) potessero per ipotesi essere appianati, l’“alterità” disperante
del codice del “mondo” potrebbe essere annullata da un semplice
aggiustamento di prospettive.
Ed è chiaro che, in questi termini, anche il problema dell’esistenza
di una psicologia come scienza autonoma verrebbe a scemare notevolmente d’interesse, al di là del valore semplicemente descrittivo —
ma non più esplicativo — che verrebbero ad assumere i risultati raggiunti mediante l’uso degli strumenti che essa è in grado attualmente
di fornire. Ma lo stesso, volendo condurre un discorso ad absurdum,
potrebbe dirsi anche delle discipline economiche e di quelle storiche.
Lorenz si è da sempre mostrato un deciso assertore di questa tesi
unificante: già in un articolo del  ma pubblicato successivamente
in una raccolta di studi , dichiarava che
non è senza dubbio necessario insistere più a lungo sul fatto che ponendo il
problema, nel campo della psicologia comparata, in termini di filogenesi,
si arrivi a degli studi che sorpassano di molto la pura descrizione, del tutto
“sistematica”, e che si penetri profondamente nella terza fase di sviluppo di
ogni scienza della natura: l’analisi causale che ricerca delle leggi.
E poco più oltre:
Lo studio comparato del comportamento deve, in modo particolarmente
imperioso, osservare esattamente delle leggi metodologiche [proprie] della
ricerca induttiva. In un prossimo avvenire gli toccherà senza alcun dubbio il
ruolo importante di stabilire il legame tra la scienza induttiva e le discipline
che trattano dell’uomo stesso, e che hanno al giorno d’oggi un’esistenza
praticamente indipendente, senza alcun rapporto con questa ricerca induttiva (come per esempio la sociologia umana, la psicologia sociale oltre ad
una parte importante della psicologia umana). Si comprende con difficoltà
la ragione per la quale queste scienze, che hanno tutte le loro origini nella
. L, K., “Psychologie und Stammesgeschichte” in Heberer, G.(ed.) Evolution
der Organismen, Piper, Munchen  (trad.francese: “Psychologie et Philogénèse” in Essais
sur le Comportement Animal et Humain”, Paris, Editions du Seuil, ).
. L’A. Si riferisce al cosiddetto stadio “nomotetico”, che, secondo la distinzione operata dal filosofo tedesco W. Windelband nella sua opera “Geschichte und Naturwissenschaft”
(del ), segue a quello “idiografico” (della descrizione della forma esterna) ed a quello
“sistematico” (della classificazione).
. Due aspetti del Darwinismo

filosofia, non abbiano trovato . . . il loro collegamento al sistema organizzato e rigoroso delle branche del sapere che procedono in modo induttivo.
(Lorenz , pp. –)
La ragione di questa mancanza di collegamento, per lo zoologo
austriaco, va ricercata nel fatto che pur essendo la psicologia una scienza estremamente giovane, essa risulta nondimeno molto più antica,
nella sua concezione “popolare”, delle scienze che, in un’immaginaria
stratificazione, verrebbero a collocarsi sul livello immediatamente
inferiore, e quindi portatore di concetti più inclusivi e generali. Egli
nota infatti che, non appena la teoria di Darwin sull’origine delle specie ebbe guadagnato un poco di influenza anche sulla psicologia, e
quest’ultima cominciò a esplorare il comportamento dell’uomo e i
fenomeni della sua vita interiore come fatti biologici, non si sapeva
ancora praticamente niente delle leggi più generali che dominano il
comportamento e la vita mentale degli esseri viventi presi nel loro
insieme.
Quando W. Wündt sollevò per primo il problema della necessità di
una psicologia comparata nel senso filogenetico del termine, infatti,
mancava la base induttiva, costituita sia pure da una sola monografia
che fosse però priva di impostazioni aprioristiche, su cui una scienza
di questo tipo avrebbe potuto fondarsi .
La causa di questa mancanza può essere fatta risalire a diversi fattori, ma non sembra che fra di essi debba essere annoverata un’ipotetica carenza di accuratezza metodologica da imputare, ad esempio, ai pionieri della psicologia comparata. Consultando il capitolo
sull’“Evoluzionismo” nel manuale del Thomson si vedrà infatti che
essi, nonostante si fossero trovati a dover dissodare un campo in cui
scarse, prima di Darwin, erano state le osservazioni esatte e sistematiche, non furono soltanto dei raccoglitori di aneddoti e storielle curiose
sui vari tipi di comportamento manifestato dagli animali.
G.J. Romanes fu autore di numerosi studi — condotti tanto in laboratorio quanto nell’ambiente naturale — di carattere rigorosamente
scientifico. E:
. L, K., “Psychologie et Phylogénèse” cit., p. .
. T, R., The Pelican History of Psychology, Penguin Books, Harmondsworth,
 (trad.it.: Storia della Psicologia, Boringhieri, Torino ).

La ritualizzazione degli schemi motori innati
anche se fu portato a spiegare il comportamento animale in termini vagamente antropomorfi, ricorrendo cioè al fine di caratterizzare gli atti eseguiti
dagli animali a parole attinte alle comuni descrizioni dell’agire dell’uomo,
tale suo difetto non appare tale da compromettere il valore dei suoi studi e
l’eccellenza delle sue osservazioni [. . . ] quando morì aveva progettato numerose ricerche sperimentali e un importante volume di psicologia umana
[. . . ] affiancò al metodo sperimentale la teoria sistematica [. . . ] altre ricerche
[. . . ] ebbero ad oggetto le risposte tramite cui api e piccioni ritrovano la
“via di casa”, gli effetti dell’isolamento dagli altri membri della specie sull’acquisizione dei caratteristici richiami degli uccelli, il senso dell’odorato nei
granchi ed i poteri di associazione nello scimpanzé.
A Ch. Lloyd Morgan, formulatore del famoso “canone”, secondo il
quale non si deve mai interpretare un’azione come il risultato di una
facoltà superiore se tale azione può venire interpretata come il risultato
dell’esercizio di una facoltà situata più in basso nella scala psicologica,
si debbono poi i primi studi sull’istinto e sulla distinzione tra comportamenti innati e comportamenti acquisiti (un tema fondamentale,
e tra i più discussi, dell’attuale ricerca etologica) che posero le basi
per l’ulteriore lavoro scientifico sull’apprendimento animale e che
precorsero spesso le interpretazioni che in seguito dovevano darne i
behavioristi.
A Douglas Spalding — la riscoperta dei cui lavori si deve al genetista
J.B.S.Haldane, col saggio Introducing Douglas Spalding — viene fatta
invece risalire l’individuazione del fenomeno di imprinting, ripresa poi
da Lorenz nei suoi primi lavori, e fu L.T. Hobhouse a dimostrare che
uno scimpanzé poteva servirsi di un bastone corto per raggiungerne
uno lungo e in tal modo spostare una banana fino a farla entrare nella
sua gabbia .
I materiali su cui impostare la ricerca quindi non mancavano, né le
intuizioni degli studiosi sopracitati potevano essere tacciate di carenza
di originalità scientifica. Ma Lorenz pone in rilievo il fatto che Wündt
lamentasse la mancanza di una psicologia comparata nel senso filogenetico del termine: converrà così tentare di far emergere la causa che
. Thomson , pp. –.
. Esperimento che ottenne conferma nella famosa serie di ricerche di Wolfgang
Köhler a Tenerife tra il  ed il  sulle quali ci soffermeremo in seguito. Cfr. K,
W., L’intelligenza delle scimmie antropoidi, Giunti Barbera, Firenze , pp. – (tit. orig.:
The mentality of apes, Routledge and Kegan Paul, London) e T, op. cit., p. ).
. Due aspetti del Darwinismo

stiamo ricercando da una considerazione dello stato e della fortuna
della teoria dell’evoluzione all’epoca cui presumibilmente Lorenz si
riferisce.
Negli anni successivi alla pubblicazione dell’Origine delle specie (del
) le critiche aspre e le opposizioni generiche e aprioristiche come
quella del vescovo Wilberforce e di altri membri della Church of England, che si erano levate numerose da diversi strati della società Vittoriana, si erano andate a poco a poco attenuando, per lasciare il campo,
come afferma Giuseppe Montalenti nel la sua sintesi divulgativa , alla
sola critica legittima, quella scientifica.
E proprio in quest’ambito le due più note insufficienze della teoria
darwiniana — le lacune riscontrabili nella serie dei fossili che fornirono
lo spunto ad affannose cacce dell’“anello mancante”, e la mancanza di
una spiegazione plausibile delle modalità di variazione degli organismi
— non mancavano di suscitare dubbi anche tra i suoi più accesi e
convinti sostenitori.
È vero che «le cause della variabilità rimasero ignorate al Darwin
come, del resto, a tutti i suoi contemporanei, ma ciò non diminuisce
la validità della sua teoria, che può prescindere dalla conoscenza di
tali cause» , ed è anche vero che egli non ne avrebbe potuto render
conto adeguatamente in mancanza dei dati forniti dagli esperimenti di
Mendel sulle leggi dell’ereditarietà, le quali, pur risalendo al –,
furono come si sa riscoperte solo al principio del , data di nascita
ufficiale della Genetica.
Per questo il concetto di selezione naturale (basato sull’essere più
o meno favorevoli alla sopravvivenza le differenze individuali delle
quali si trovano a essere casualmente portatori soggetti che coesistono
nello stesso ambiente, e sulla conseguente riproduzione differenziata
che privilegia i “più adatti”, selezionandoli a scapito di quelli che
hanno dimostrato di esserlo meno e perciò non hanno potuto lasciare
una discendenza) poté costituire il cardine della Teoria, e mantenere
inalterata la sua validità di essenziale elemento innovatore il quale,
in fondo, è l’unico fattore che ha contribuito a far sì che l’idea di
Darwin sull’evoluzione emerga, ai nostri giorni, tra tutte quelle che
l’hanno preceduta. E tale validità non viene quindi a essere inquinata
. M, G., L’Evoluzione, Einaudi, Torino  (, IV ed.).
. Ivi, p. .

La ritualizzazione degli schemi motori innati
dal fatto che egli, nel tentativo di risolvere il dilemma dell’origine delle
differenze individuali trasmissibili ai discendenti, rimanga ancorato
alla concezione lamarckiana secondo la quale, notoriamente, queste
differenze sono un prodotto dell’ambiente attraverso l’uso ed il non–
uso degli organi:
Anche se questa è una concessione al Lamarckismo, in quanto ammette
l’ereditarietà dei caratteri acquisiti per azione dell’ambiente, rimane il fatto
che l’arbitro definitivo della persistenza o meno di una variazione per più
generazioni è la selezione naturale. Ed è questo il punto fondamentale del
la dottrina darwiniana.
Il che, tra parentesi, non aveva impedito allo scienziato di manifestare in più di un’occasione il suo dissenso dalle teorie di Lamarck,
poiché esse
facevano ricorso ad una tendenza interna al perfezionamento che sarebbe
insita negli organismi. Da questo concetto egli aborriva, come da una intromissione di forze misteriose e supernaturali, che ripugnava al suo spirito
scientifico. Questa è la ragione fondamentale per cui il lamarckismo fu
respinto e messo in ridicolo da lui ed anche da Huxley.
Ma resta il fatto che persino Thomas Huxley, che fu il principale
assertore della validità delle concezioni di Darwin oltre che il più
coraggioso difensore e propagandista delle sue idee, dimostrò d’altra
parte di non essere esente da quei dubbi che le carenze della Teoria,
per quanto non determinanti ai fini delle conclusioni da trarne, avevano fatto sorgere sul piano scientifico. Darwin sosteneva che tutti
gli organismi fossero il prodotto finale di una successione incommensurabilmente lunga di mutamenti progressivi di piccolissima entità,
il cui accumulo graduale avrebbe, nel corso di milioni di anni, dato
luogo all’infinita varietà delle molteplici forme viventi.
Natura non facit saltus: questa la conclusione che, parafrasando
Aristotele, perentoriamente ne traeva. Huxley invece aveva intuito
che l’ipotesi delle variazioni infinitesimali non avrebbe potuto render
conto delle diversità di struttura riscontrabili nel passaggio da uno
all’altro dei grandi gruppi, per esempio da quello dei rettili a quello dei
mammiferi, caratterizzato fra l’altro dal comprendere animali dotati
. Ivi, p. .
. Due aspetti del Darwinismo

di un efficiente sistema di regolazione termica atto a proteggerli dagli
sbalzi di temperatura dell’ambiente circostante .
Tale meccanismo dell’omeotermia, ad esempio, sarebbe forse comparso all’improvviso, sviluppandosi senza soluzione di continuità da
quello dei rettili sinapsidi più avanzati, i quali condividevano ancora
con gli anfibi e con i pesci, animali a sangue “freddo”, un sistema più
primitivo, di tipo eterotermico, frutto di esigenze di adattamento di
minore entità ?
Questi gli argomenti cui ricorre per fornire di un valido supporto
le sue convinzioni:
. Le diversità di struttura cui ci si riferisce sono quelle dovute all’operare della
cosiddetta “macroevoluzione”, i cui meccanismi differirebbero da quelli responsabili della
formazione delle specie e dei gruppi tassonomici minori, che andrebbero invece ascritti
alla “microevoluzione”. È opportuno servirsi del condizionale, in quanto la necesità di
dover distinguere o meno le modalità di questi fenomeni costituisce anche ai nostri giorni
oggetto di discussione tra gli studiosi, come afferma E. Padoa (Storia della vita sulla terra
— L’evoluzione degli animali e delle piante, Feltrinelli, Milano , IV ed. , p. ): «Le
due posizioni opposte, o ammettono che i meccanismi responsabili della speciazione sono
sufficienti per la macroevoluzione, perché le specie lentamente divergono, e col tempo le
differenze specifiche diventano generiche, di famiglia, di ordine e via via; oppure postulano
la possibilità di “mutazioni sistemiche”, di catastrofismi del patrimonio ereditario, che
verrebbe di colpo rimaneggiato a fondo, con un evento raro, che il genetista non ha mai
saputo sorprendere, e che sarebbe all’inizio di una grande svolta evolutiva. Una mutazione
sistemica potrebbe essere un avvenimento rarissimo, ma non è necessario che abbia la
frequenza delle mutazioni microevolutive, perché le mutazioni filetiche sono tanto meno
numerose, quanto più importanti». E cfr. M G., L’Evoluzione, cit., pp. –.
. Al giorno d’oggi l’accostamento a questo genere di fatti avviene per vie diverse.
Si veda ancora Padoa (Storia della vita sulla terra, cit., pp. –): «All’ipotesi della macroevoluzione per catastrofismi genetici non giova obiettare che non è mai stata verificata
dall’osservazione. Nell’ipotesi stessa è ammessa la rarità dell’evento: ed un’ipotesi di lavoro
è per la sua stessa natura logica indimostrabile, è un assunto che diviene poi accettabile o
no, se le sue conseguenze sono in accordo coi fatti osservati, e se nessun’altra spiegazione
più semplice e più evidente non spiega almeno altrettanto bene i fatti stessi. Ma è proprio
per questo che le ipotesi delle catastrofi geniche ci sembrano da scartare, così come Lyell
ha da più di un secolo insegnato a scartare le catastrofi geologiche per spiegare i grandi
eventi della storia della Terra [per quanto riguarda la differenza tra rettili e mammiferi] ci
sono [fra l’altro] i caratteri dell’omeotermia, del palato secondario, della cute coperta di peli,
caratteri collegati il primo probabilmente, il secondo sicuramente, all’omeotermia: è tutto
un complesso di caratteri che sono evoluti ed hanno armonizzato, e che oggi tutti insieme
caratterizzano i Mammiferi. Quando dunque un Rettile Sinapside è diventato Mammifero?
Quando aveva già il palato secondario? Quando era discretamente omeotermo (I Monotremi non lo sono ancora perfettamente)? Ma come si fa a sapere se un fossile era omeotermo
o eterotermo; e se aveva pelle rivestita di squame o di peli? Allora per fare un mammifero,
ci sono volute diverse catastrofi geniche?».

La ritualizzazione degli schemi motori innati
A frequent and a just objection to the lamarckian hypothesis of the transmutation of species is based upon the absence of transitional forms between
many species . But against the Darwinian hypothesis this argument has no
force. Indeed, one of the most valuable and suggestive parts of Mr. Darwin’s
work is that in which he proves that the frequent absence of transition is
a necessary consequence of his doctrine, and that the stock whence two
or more species have sprung need in no respect be intermediate between
species. If any two species have arisen from a common stock as the Carrier
and the Pouter, say, have arisen from the Rock-Pigeon, then the common
stock of these two species need be no more intermediate between the
two than the Rock–Pigeon is between the Carrier and the Pouter. Clearly
appreciate the force of this analogy, and all the arguments against the origin
of species by selection, based on the absence of transitional forms, fall to
the ground. And Mr. Darwin’s position might, we think, have been aven
stronger than it is if he had non embarrassed himself with the aphorism
«Natura non facit saltum», which turns up so often in the pages. We believe
. . . that nature does make jumps now and then, and a recognition of the
fact is of no small importance in disposing of many minor objections to the
doctrine of transmutation.
L’attitudine mentale che traspare da queste righe risulta in perfetto
accordo col carattere dell’uomo, soprattutto se si considera, come nota
l’anatomo–comparatista Padoa nell’introdurre una selezione di saggi
huxleyani da lui stesso tradotti, che l’idea di Huxley, secondo la quale
la “trasmutazione” potrebbe avvenire senza forme di transizione, è più
. H, T.H., Darwin on the Origin of Species” in Twelwe Lectures and Essays, Watts,
London, , pp. –: «Una frequente e giusta obiezione all’ipotesi lamarckiana della
trasformazione delle specie si basa sull’assenza di forme di transizione tra molte specie.
Ma contro l’ipotesi darwiniana questo argomento non ha forza. Invero, una delle parti più
valide e suggestive dell’opera di Mr. Darwin è quella in cui egli prova che la frequente
assenza di transizione è conseguenza necessaria della sua dottrina, e che non occorre
in alcun modo che lo “stock” da cui due o più specie sono scaturite sia intermedio tra
queste specie. Se due specie qualsiasi sono sorte da uno “stock” comune nello stesso modo
in cui,ad esempio, il “Carrier” ed il “Pouter” [Razze di piccioni domestici (n.d.a.)] sono
derivati dal piccione di roccia, allora lo “stock” comune a queste due specie non occorre
che sia più intermedio tra le due di quanto lo è il piccione di roccia tra il “Carrier” e il
“Pouter”. Apprezzate con chiarezza la forza di questa analogia, a tutti gli argomenti contro
l’origine delle specie per selezione, basati sull’assenza di forme di transizione,vengono a
cadere. E la posizione di Mr. Darwin, pensiamo, avrebbe potuto essere anche più solida
di quanto non sia se egli non si fosse messo in difficoltà da solo con l’aforisma “Natura
non facit saltum”, che fa capolino così spesso nelle sue pagine. Noi crediamo . . . che la
natura i salti li faccia, di tanto in tanto, ed un riconoscimento di questo fatto è di non
poca importanza per sapersi regolare nei confronti di molte obiezioni di minor conto alla
dottrina della trasformazione» (trad. nostra).
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