A Antonio Villari La ritualizzazione degli schemi motori innati Contributi evoluzionistici alla scoperta dell’etologia Presentazione di Francesco Dessì Fulgheri Copyright © MMXII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: agosto Ai miei genitori Indice Presentazione Introduzione Capitolo I Due aspetti del Darwinismo .. Il problema della “finalità”, – .. Alcuni punti di riferimento nelle tematiche della biologia contemporanea, . Capitolo II Corsi e ricorsi delle idee dell’etologia .. Esempi della concettualizzazione dei fatti istintuali nei primi lavori di Konrad Lorenz, – .. Cenni sulle implicazioni etico–ideologiche dell’evoluzionismo, – .. L’evoluzione del pensiero di Lorenz nel quadro dell’etologia umana in rapporto alle critiche degli etologi di altre scuole, . Conclusioni Bibliografia Indice analitico Presentazione Presento con piacere questo saggio di Antonio Villari, frutto di un lavoro accurato di rivisitazione di alcuni concetti fondanti dell’etologia classica, quella, per intendersi, esplorata da Konrad Lorenz a vari livelli — sperimentale, filosofico e divulgativo — e “canonizzata” da Niko Tinbergen nel suo The Study of Istinct del . L’impegno dell’autore, partendo dall’analisi del concetto di ritualizzazione, è quello di inquadrare nel pensiero evoluzionistico contemporaneo un materiale apparentemente eterogeneo (si spazia dalla fisiologia alla genetica) e contraddittorio (neolamarkismo, selezione individuale/selezione di gruppo), ripercorrendo, con pazienza filologica, i testi originali alla ricerca delle radici comuni e dei concetti unificanti. L’autore è puntuale nel documentare lo stretto intreccio tra Gestalt Psicologie ed Etologia e il superamento della visione finalistica dell’evoluzione, che inaspettatamente continua a coesistere con le proposte della “sintesi moderna”, risolta come sappiamo nel concetto di funzione evoluzionistica e adattativa del comportamento proposta da Tinbergen. Il saggio di Villari, basato sulla sua tesi di laurea, svolta con la supervisione di Leo Pardi, fondatore della scuola etologica italiana, e debitamente aggiornato, merita l’attenzione degli studiosi. Francesco Dessì Fulgheri Università di Firenze Introduzione Col termine ritualizzazione si intende, come vedremo più estesamente, un particolare tipo di processo ipotizzato nel dal biologo neo–evoluzionista Julian Huxley in seguito ad accurate e ripetute osservazioni di alcuni aspetti ricorrenti del comportamento pre–copulatorio di una determinata specie di uccelli palustri. Huxley si era accorto del carattere manifestamente “segnaletico” individuabile nelle sequenze di movimenti stilizzati che contraddistinguono quel genere di interazioni animali, talmente spiccato da dare all’osservatore la sensazione di stare assistendo a un qualche tipo di bizzarro balletto, a una rappresentazione in cui i gesti degli attori alludevano a significati che solo il possesso di un codice incommensurabilmente “altro” avrebbe permesso di decifrare. In una parola, egli aveva avuto la sensazione di trovarsi in presenza di qualcosa paragonabile a un rito di cui occorresse indagare le funzioni. A partire dalla metà degli anni , questi e altri fenomeni consimili (individuati in vari settori di quel vastissimo insieme di dati comportamentali “grezzi” acquisito grazie all’opera di coloro che, sulle orme di Darwin, già da diverso tempo avevano dimostrato un concreto interesse per la psicologia degli animali) sono stati assunti a oggetto di studio dalla nascente scuola etologica, nel cui ambito, soprattutto da parte di Konrad Lorenz e del suo primo collaboratore, l’olandese Nikolaas Tinbergen, si è cercato di fornirne una spiegazione nei termini di complesse e spesso macchinose teorie motivazionali, a loro volta strettamente collegate a tutta la vastissima tematica evoluzionistica. Per questo motivo sarebbe forse risultato metodologicamente scorretto affrontare direttamente l’argomento di questa trattazione senza prima aver fatto riferimento alle fondamentali acquisizioni in tema di comportamento animale che dobbiamo a questi ed altri studiosi, alle dispute di diverso segno che hanno caratterizzato il panorama concettuale della corrente di ricerca che si è sviluppata a partire dai loro primi contributi, e alle implicazioni più generali di tipo biologico La ritualizzazione degli schemi motori innati ed epistemologico che in vario modo risultano connesse alla sfera d’interessi di competenza dell’etologia. Si è così tentato di delineare un quadro, sia pur necessariamente frammentario e incompleto, ed avente, quindi, il carattere di semplice rassegna informativa, dei principali aspetti teorici di quella disciplina sperimentale cui oggi, nei Paesi di lingua tedesca, ci si riferisce comunemente col termine onnicomprensivo di Verhaltensforschung (“scienza del comportamento”, o “ricerca comportamentale” ) e, alla fine, ci si è resi conto che, data l’enorme vastità e portata dei problemi coinvolti (per lo scrivente del tutto nuovi), anche volendo settorializzare l’esposizione attenendosi ai più significativi tra di essi, la maggior parte di questo elaborato avrebbe dovuto essere dedicata ad argomenti che, come risultato della perdurante separazione tra scienze pur così affini, non sempre sono considerati di attinenza psicologica. Così, solo nell’ultima parte del lavoro, è stato possibile riandare, attraverso l’analisi di alcuni risultati della più recente branca dell’etologia umana, a considerazioni più strettamente legate alle tematiche della psicologia, mediante le quali si è cercato di rispondere in modo provvisorio alla domanda se sia in fondo ancora lecito, sul piano del metodo, mantenere inalterata questa distinzione di competenze, domanda che, per altro, si era imposta sin dalle prime pagine di questa ricerca. A tal fine sono stati brevemente presi in esame alcuni esempi di comportamenti che potrebbero eventualmente giustificare un separato riferimento semantico nel raffronto tra i due campi. . Sotto la voce «etologia» il Lessico Universale Italiano (vol.VII, p. ) riporta, fra l’altro: «Nome dato da J. Stuart Mill a quella parte della Psicologia differenziale che si può denominare “caratterologia”, la quale determina e classifica i vari tipi di carattere, ne ricerca le cause e ne studia le anomalie». In seguito, a partire dal XX secolo, il termine, il cui radicale si riconnette all’etimo greco ἦθος (“usanza”, “costume abituale”), è stato acquisito dalle Scienze Naturali, venendo a perdere il carattere di classificazione tipologica individuale per assumere quello di comportamento riferibile ad un’intera specie. Secondo l’Enciclopedia Italiana (vol. XIV, p. ) spesso l’Etologia veniva confusa con l’ecologia, ed i due termini usati indifferentemente, anche se quest’ultimo compariva più di frequente nell’accezione odierna, per indicare cioè lo studio della vita, delle abitudini, delle relazioni con il mondo esterno, delle dimore preferite degli animali e delle piante. Capitolo I Due aspetti del Darwinismo Nel suo ultimo saggio tradotto in italiano, trattando del fenomeno messo in evidenza per la prima volta da J. Huxley, Konrad Lorenz afferma di non ritenere opportuno inserire il termine “ritualizzazione”, e aggiunge, motivando la sua scelta, che esso sta ad indicare “un concetto definito per via puramente funzionale, che si riferisce sia al processo filogenetico sia a quello storico–culturale”. (Lorenz , p. ) . In affermazioni di questo tipo è racchiuso tutto il senso e la ragion d’essere della polemica ormai annosa che soprattutto negli ambienti scientifici anglosassoni, ma di recente anche nel nostro Paese, pone al centro di contestazioni spesso molto aspre la pretesa di volersi servire dei risultati di osservazioni tratte dal mondo animale per dedurne postulati sulle scaturigini prime del comportamento umano, considerato nella gamma completa delle sue manifestazioni, sino a quelle più complesse ed articolate che siamo abituati a chiamare “storia” e “cultura”. Anche prescindendo dalla posizione apertamente estremista che, come vedremo in seguito, è possibile rinvenire in alcuni passi dell’ultima produzione di Lorenz (la quale ha carattere principalmente saggistico e divulgativo, e peraltro, con pochissime eccezioni, è l’unica a esser stata tradotta in italiano), la pretesa cui sopra accennavamo ha evidentemente una storia ben più lunga. Per centrare correttamente i contributi apportati dalle ricerche etologiche al tentativo di risolvere il dilemma insito nel marcato aspetto dicotomico che contraddistingue termini come “natura” e “cultura”, “istinto” e “apprendimento”, occorrerà infatti prendere in considerazione la matrice prettamente evoluzionista che ha originato tali ricerche, e su cui esse si fondano, ed in questo senso il ricorso da parte . L, K., Die Ruckseite des Spiegels, Piper, Munchen (trad.it.: L’altra faccia dello specchio, Adelphi, Milano ). La ritualizzazione degli schemi motori innati di Lorenz a un concetto biologico, come quello di filogenesi, può costituire un utile punto di approccio. Si vede subito, per inciso, che se tale dilemma (ed il conflitto che ne deriva) potessero per ipotesi essere appianati, l’“alterità” disperante del codice del “mondo” potrebbe essere annullata da un semplice aggiustamento di prospettive. Ed è chiaro che, in questi termini, anche il problema dell’esistenza di una psicologia come scienza autonoma verrebbe a scemare notevolmente d’interesse, al di là del valore semplicemente descrittivo — ma non più esplicativo — che verrebbero ad assumere i risultati raggiunti mediante l’uso degli strumenti che essa è in grado attualmente di fornire. Ma lo stesso, volendo condurre un discorso ad absurdum, potrebbe dirsi anche delle discipline economiche e di quelle storiche. Lorenz si è da sempre mostrato un deciso assertore di questa tesi unificante: già in un articolo del ma pubblicato successivamente in una raccolta di studi , dichiarava che non è senza dubbio necessario insistere più a lungo sul fatto che ponendo il problema, nel campo della psicologia comparata, in termini di filogenesi, si arrivi a degli studi che sorpassano di molto la pura descrizione, del tutto “sistematica”, e che si penetri profondamente nella terza fase di sviluppo di ogni scienza della natura: l’analisi causale che ricerca delle leggi. E poco più oltre: Lo studio comparato del comportamento deve, in modo particolarmente imperioso, osservare esattamente delle leggi metodologiche [proprie] della ricerca induttiva. In un prossimo avvenire gli toccherà senza alcun dubbio il ruolo importante di stabilire il legame tra la scienza induttiva e le discipline che trattano dell’uomo stesso, e che hanno al giorno d’oggi un’esistenza praticamente indipendente, senza alcun rapporto con questa ricerca induttiva (come per esempio la sociologia umana, la psicologia sociale oltre ad una parte importante della psicologia umana). Si comprende con difficoltà la ragione per la quale queste scienze, che hanno tutte le loro origini nella . L, K., “Psychologie und Stammesgeschichte” in Heberer, G.(ed.) Evolution der Organismen, Piper, Munchen (trad.francese: “Psychologie et Philogénèse” in Essais sur le Comportement Animal et Humain”, Paris, Editions du Seuil, ). . L’A. Si riferisce al cosiddetto stadio “nomotetico”, che, secondo la distinzione operata dal filosofo tedesco W. Windelband nella sua opera “Geschichte und Naturwissenschaft” (del ), segue a quello “idiografico” (della descrizione della forma esterna) ed a quello “sistematico” (della classificazione). . Due aspetti del Darwinismo filosofia, non abbiano trovato . . . il loro collegamento al sistema organizzato e rigoroso delle branche del sapere che procedono in modo induttivo. (Lorenz , pp. –) La ragione di questa mancanza di collegamento, per lo zoologo austriaco, va ricercata nel fatto che pur essendo la psicologia una scienza estremamente giovane, essa risulta nondimeno molto più antica, nella sua concezione “popolare”, delle scienze che, in un’immaginaria stratificazione, verrebbero a collocarsi sul livello immediatamente inferiore, e quindi portatore di concetti più inclusivi e generali. Egli nota infatti che, non appena la teoria di Darwin sull’origine delle specie ebbe guadagnato un poco di influenza anche sulla psicologia, e quest’ultima cominciò a esplorare il comportamento dell’uomo e i fenomeni della sua vita interiore come fatti biologici, non si sapeva ancora praticamente niente delle leggi più generali che dominano il comportamento e la vita mentale degli esseri viventi presi nel loro insieme. Quando W. Wündt sollevò per primo il problema della necessità di una psicologia comparata nel senso filogenetico del termine, infatti, mancava la base induttiva, costituita sia pure da una sola monografia che fosse però priva di impostazioni aprioristiche, su cui una scienza di questo tipo avrebbe potuto fondarsi . La causa di questa mancanza può essere fatta risalire a diversi fattori, ma non sembra che fra di essi debba essere annoverata un’ipotetica carenza di accuratezza metodologica da imputare, ad esempio, ai pionieri della psicologia comparata. Consultando il capitolo sull’“Evoluzionismo” nel manuale del Thomson si vedrà infatti che essi, nonostante si fossero trovati a dover dissodare un campo in cui scarse, prima di Darwin, erano state le osservazioni esatte e sistematiche, non furono soltanto dei raccoglitori di aneddoti e storielle curiose sui vari tipi di comportamento manifestato dagli animali. G.J. Romanes fu autore di numerosi studi — condotti tanto in laboratorio quanto nell’ambiente naturale — di carattere rigorosamente scientifico. E: . L, K., “Psychologie et Phylogénèse” cit., p. . . T, R., The Pelican History of Psychology, Penguin Books, Harmondsworth, (trad.it.: Storia della Psicologia, Boringhieri, Torino ). La ritualizzazione degli schemi motori innati anche se fu portato a spiegare il comportamento animale in termini vagamente antropomorfi, ricorrendo cioè al fine di caratterizzare gli atti eseguiti dagli animali a parole attinte alle comuni descrizioni dell’agire dell’uomo, tale suo difetto non appare tale da compromettere il valore dei suoi studi e l’eccellenza delle sue osservazioni [. . . ] quando morì aveva progettato numerose ricerche sperimentali e un importante volume di psicologia umana [. . . ] affiancò al metodo sperimentale la teoria sistematica [. . . ] altre ricerche [. . . ] ebbero ad oggetto le risposte tramite cui api e piccioni ritrovano la “via di casa”, gli effetti dell’isolamento dagli altri membri della specie sull’acquisizione dei caratteristici richiami degli uccelli, il senso dell’odorato nei granchi ed i poteri di associazione nello scimpanzé. A Ch. Lloyd Morgan, formulatore del famoso “canone”, secondo il quale non si deve mai interpretare un’azione come il risultato di una facoltà superiore se tale azione può venire interpretata come il risultato dell’esercizio di una facoltà situata più in basso nella scala psicologica, si debbono poi i primi studi sull’istinto e sulla distinzione tra comportamenti innati e comportamenti acquisiti (un tema fondamentale, e tra i più discussi, dell’attuale ricerca etologica) che posero le basi per l’ulteriore lavoro scientifico sull’apprendimento animale e che precorsero spesso le interpretazioni che in seguito dovevano darne i behavioristi. A Douglas Spalding — la riscoperta dei cui lavori si deve al genetista J.B.S.Haldane, col saggio Introducing Douglas Spalding — viene fatta invece risalire l’individuazione del fenomeno di imprinting, ripresa poi da Lorenz nei suoi primi lavori, e fu L.T. Hobhouse a dimostrare che uno scimpanzé poteva servirsi di un bastone corto per raggiungerne uno lungo e in tal modo spostare una banana fino a farla entrare nella sua gabbia . I materiali su cui impostare la ricerca quindi non mancavano, né le intuizioni degli studiosi sopracitati potevano essere tacciate di carenza di originalità scientifica. Ma Lorenz pone in rilievo il fatto che Wündt lamentasse la mancanza di una psicologia comparata nel senso filogenetico del termine: converrà così tentare di far emergere la causa che . Thomson , pp. –. . Esperimento che ottenne conferma nella famosa serie di ricerche di Wolfgang Köhler a Tenerife tra il ed il sulle quali ci soffermeremo in seguito. Cfr. K, W., L’intelligenza delle scimmie antropoidi, Giunti Barbera, Firenze , pp. – (tit. orig.: The mentality of apes, Routledge and Kegan Paul, London) e T, op. cit., p. ). . Due aspetti del Darwinismo stiamo ricercando da una considerazione dello stato e della fortuna della teoria dell’evoluzione all’epoca cui presumibilmente Lorenz si riferisce. Negli anni successivi alla pubblicazione dell’Origine delle specie (del ) le critiche aspre e le opposizioni generiche e aprioristiche come quella del vescovo Wilberforce e di altri membri della Church of England, che si erano levate numerose da diversi strati della società Vittoriana, si erano andate a poco a poco attenuando, per lasciare il campo, come afferma Giuseppe Montalenti nel la sua sintesi divulgativa , alla sola critica legittima, quella scientifica. E proprio in quest’ambito le due più note insufficienze della teoria darwiniana — le lacune riscontrabili nella serie dei fossili che fornirono lo spunto ad affannose cacce dell’“anello mancante”, e la mancanza di una spiegazione plausibile delle modalità di variazione degli organismi — non mancavano di suscitare dubbi anche tra i suoi più accesi e convinti sostenitori. È vero che «le cause della variabilità rimasero ignorate al Darwin come, del resto, a tutti i suoi contemporanei, ma ciò non diminuisce la validità della sua teoria, che può prescindere dalla conoscenza di tali cause» , ed è anche vero che egli non ne avrebbe potuto render conto adeguatamente in mancanza dei dati forniti dagli esperimenti di Mendel sulle leggi dell’ereditarietà, le quali, pur risalendo al –, furono come si sa riscoperte solo al principio del , data di nascita ufficiale della Genetica. Per questo il concetto di selezione naturale (basato sull’essere più o meno favorevoli alla sopravvivenza le differenze individuali delle quali si trovano a essere casualmente portatori soggetti che coesistono nello stesso ambiente, e sulla conseguente riproduzione differenziata che privilegia i “più adatti”, selezionandoli a scapito di quelli che hanno dimostrato di esserlo meno e perciò non hanno potuto lasciare una discendenza) poté costituire il cardine della Teoria, e mantenere inalterata la sua validità di essenziale elemento innovatore il quale, in fondo, è l’unico fattore che ha contribuito a far sì che l’idea di Darwin sull’evoluzione emerga, ai nostri giorni, tra tutte quelle che l’hanno preceduta. E tale validità non viene quindi a essere inquinata . M, G., L’Evoluzione, Einaudi, Torino (, IV ed.). . Ivi, p. . La ritualizzazione degli schemi motori innati dal fatto che egli, nel tentativo di risolvere il dilemma dell’origine delle differenze individuali trasmissibili ai discendenti, rimanga ancorato alla concezione lamarckiana secondo la quale, notoriamente, queste differenze sono un prodotto dell’ambiente attraverso l’uso ed il non– uso degli organi: Anche se questa è una concessione al Lamarckismo, in quanto ammette l’ereditarietà dei caratteri acquisiti per azione dell’ambiente, rimane il fatto che l’arbitro definitivo della persistenza o meno di una variazione per più generazioni è la selezione naturale. Ed è questo il punto fondamentale del la dottrina darwiniana. Il che, tra parentesi, non aveva impedito allo scienziato di manifestare in più di un’occasione il suo dissenso dalle teorie di Lamarck, poiché esse facevano ricorso ad una tendenza interna al perfezionamento che sarebbe insita negli organismi. Da questo concetto egli aborriva, come da una intromissione di forze misteriose e supernaturali, che ripugnava al suo spirito scientifico. Questa è la ragione fondamentale per cui il lamarckismo fu respinto e messo in ridicolo da lui ed anche da Huxley. Ma resta il fatto che persino Thomas Huxley, che fu il principale assertore della validità delle concezioni di Darwin oltre che il più coraggioso difensore e propagandista delle sue idee, dimostrò d’altra parte di non essere esente da quei dubbi che le carenze della Teoria, per quanto non determinanti ai fini delle conclusioni da trarne, avevano fatto sorgere sul piano scientifico. Darwin sosteneva che tutti gli organismi fossero il prodotto finale di una successione incommensurabilmente lunga di mutamenti progressivi di piccolissima entità, il cui accumulo graduale avrebbe, nel corso di milioni di anni, dato luogo all’infinita varietà delle molteplici forme viventi. Natura non facit saltus: questa la conclusione che, parafrasando Aristotele, perentoriamente ne traeva. Huxley invece aveva intuito che l’ipotesi delle variazioni infinitesimali non avrebbe potuto render conto delle diversità di struttura riscontrabili nel passaggio da uno all’altro dei grandi gruppi, per esempio da quello dei rettili a quello dei mammiferi, caratterizzato fra l’altro dal comprendere animali dotati . Ivi, p. . . Due aspetti del Darwinismo di un efficiente sistema di regolazione termica atto a proteggerli dagli sbalzi di temperatura dell’ambiente circostante . Tale meccanismo dell’omeotermia, ad esempio, sarebbe forse comparso all’improvviso, sviluppandosi senza soluzione di continuità da quello dei rettili sinapsidi più avanzati, i quali condividevano ancora con gli anfibi e con i pesci, animali a sangue “freddo”, un sistema più primitivo, di tipo eterotermico, frutto di esigenze di adattamento di minore entità ? Questi gli argomenti cui ricorre per fornire di un valido supporto le sue convinzioni: . Le diversità di struttura cui ci si riferisce sono quelle dovute all’operare della cosiddetta “macroevoluzione”, i cui meccanismi differirebbero da quelli responsabili della formazione delle specie e dei gruppi tassonomici minori, che andrebbero invece ascritti alla “microevoluzione”. È opportuno servirsi del condizionale, in quanto la necesità di dover distinguere o meno le modalità di questi fenomeni costituisce anche ai nostri giorni oggetto di discussione tra gli studiosi, come afferma E. Padoa (Storia della vita sulla terra — L’evoluzione degli animali e delle piante, Feltrinelli, Milano , IV ed. , p. ): «Le due posizioni opposte, o ammettono che i meccanismi responsabili della speciazione sono sufficienti per la macroevoluzione, perché le specie lentamente divergono, e col tempo le differenze specifiche diventano generiche, di famiglia, di ordine e via via; oppure postulano la possibilità di “mutazioni sistemiche”, di catastrofismi del patrimonio ereditario, che verrebbe di colpo rimaneggiato a fondo, con un evento raro, che il genetista non ha mai saputo sorprendere, e che sarebbe all’inizio di una grande svolta evolutiva. Una mutazione sistemica potrebbe essere un avvenimento rarissimo, ma non è necessario che abbia la frequenza delle mutazioni microevolutive, perché le mutazioni filetiche sono tanto meno numerose, quanto più importanti». E cfr. M G., L’Evoluzione, cit., pp. –. . Al giorno d’oggi l’accostamento a questo genere di fatti avviene per vie diverse. Si veda ancora Padoa (Storia della vita sulla terra, cit., pp. –): «All’ipotesi della macroevoluzione per catastrofismi genetici non giova obiettare che non è mai stata verificata dall’osservazione. Nell’ipotesi stessa è ammessa la rarità dell’evento: ed un’ipotesi di lavoro è per la sua stessa natura logica indimostrabile, è un assunto che diviene poi accettabile o no, se le sue conseguenze sono in accordo coi fatti osservati, e se nessun’altra spiegazione più semplice e più evidente non spiega almeno altrettanto bene i fatti stessi. Ma è proprio per questo che le ipotesi delle catastrofi geniche ci sembrano da scartare, così come Lyell ha da più di un secolo insegnato a scartare le catastrofi geologiche per spiegare i grandi eventi della storia della Terra [per quanto riguarda la differenza tra rettili e mammiferi] ci sono [fra l’altro] i caratteri dell’omeotermia, del palato secondario, della cute coperta di peli, caratteri collegati il primo probabilmente, il secondo sicuramente, all’omeotermia: è tutto un complesso di caratteri che sono evoluti ed hanno armonizzato, e che oggi tutti insieme caratterizzano i Mammiferi. Quando dunque un Rettile Sinapside è diventato Mammifero? Quando aveva già il palato secondario? Quando era discretamente omeotermo (I Monotremi non lo sono ancora perfettamente)? Ma come si fa a sapere se un fossile era omeotermo o eterotermo; e se aveva pelle rivestita di squame o di peli? Allora per fare un mammifero, ci sono volute diverse catastrofi geniche?». La ritualizzazione degli schemi motori innati A frequent and a just objection to the lamarckian hypothesis of the transmutation of species is based upon the absence of transitional forms between many species . But against the Darwinian hypothesis this argument has no force. Indeed, one of the most valuable and suggestive parts of Mr. Darwin’s work is that in which he proves that the frequent absence of transition is a necessary consequence of his doctrine, and that the stock whence two or more species have sprung need in no respect be intermediate between species. If any two species have arisen from a common stock as the Carrier and the Pouter, say, have arisen from the Rock-Pigeon, then the common stock of these two species need be no more intermediate between the two than the Rock–Pigeon is between the Carrier and the Pouter. Clearly appreciate the force of this analogy, and all the arguments against the origin of species by selection, based on the absence of transitional forms, fall to the ground. And Mr. Darwin’s position might, we think, have been aven stronger than it is if he had non embarrassed himself with the aphorism «Natura non facit saltum», which turns up so often in the pages. We believe . . . that nature does make jumps now and then, and a recognition of the fact is of no small importance in disposing of many minor objections to the doctrine of transmutation. L’attitudine mentale che traspare da queste righe risulta in perfetto accordo col carattere dell’uomo, soprattutto se si considera, come nota l’anatomo–comparatista Padoa nell’introdurre una selezione di saggi huxleyani da lui stesso tradotti, che l’idea di Huxley, secondo la quale la “trasmutazione” potrebbe avvenire senza forme di transizione, è più . H, T.H., Darwin on the Origin of Species” in Twelwe Lectures and Essays, Watts, London, , pp. –: «Una frequente e giusta obiezione all’ipotesi lamarckiana della trasformazione delle specie si basa sull’assenza di forme di transizione tra molte specie. Ma contro l’ipotesi darwiniana questo argomento non ha forza. Invero, una delle parti più valide e suggestive dell’opera di Mr. Darwin è quella in cui egli prova che la frequente assenza di transizione è conseguenza necessaria della sua dottrina, e che non occorre in alcun modo che lo “stock” da cui due o più specie sono scaturite sia intermedio tra queste specie. Se due specie qualsiasi sono sorte da uno “stock” comune nello stesso modo in cui,ad esempio, il “Carrier” ed il “Pouter” [Razze di piccioni domestici (n.d.a.)] sono derivati dal piccione di roccia, allora lo “stock” comune a queste due specie non occorre che sia più intermedio tra le due di quanto lo è il piccione di roccia tra il “Carrier” e il “Pouter”. Apprezzate con chiarezza la forza di questa analogia, a tutti gli argomenti contro l’origine delle specie per selezione, basati sull’assenza di forme di transizione,vengono a cadere. E la posizione di Mr. Darwin, pensiamo, avrebbe potuto essere anche più solida di quanto non sia se egli non si fosse messo in difficoltà da solo con l’aforisma “Natura non facit saltum”, che fa capolino così spesso nelle sue pagine. Noi crediamo . . . che la natura i salti li faccia, di tanto in tanto, ed un riconoscimento di questo fatto è di non poca importanza per sapersi regolare nei confronti di molte obiezioni di minor conto alla dottrina della trasformazione» (trad. nostra).