paolo tentori
felice spreafico
Occhi azzurri
e iceberg di montagna
novantiquamultimedia
lapoligrafica
Itinerari di natura e storia nella
Comunità Montana del Lario Orientale
Testi: Paolo Tentori
Foto: Felice Spreafico, Paolo Tentori
Pubblicato in coedizione da:
novantiqua multimedia
lapoligrafica
Stampato in Italia in settembre 2007 da:
lapoligrafica - Garlate (lc)
www.lapoligrafica.it
Sopra: il bacino artificiale di Fregabolgia e il lago Rotondo nei pressi del rifugio Calvi sembrano gli occhi azzurri di un volto
misterioso che appare dalle rocce ai piedi del passo di Portula (m.2273) tra Val Brembana e Val Seriana. Alle pagine successive:
scorci sul Lago Nero e sul Lago Campelli Alto in Val Seriana. In seguito: dal Passo di Val Viola zoom sul punto di sfioro di un
laghetto alpino.
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Sopra: il versante svizzero e italiano dal Passo di Val Viola. Pagina a lato: la cresta del Pizzo Stella fa da spartiacque tra bacino del
Po e quello del Reno. Sullo sfondo l’invaso della Val di Lei, in territorio italiano ma sul versante idrografico svizzero.
Acqua di confine
S’è avvicinato a Luciano un signore con cuffia
di lana in testa, basso col motorino a mano, che è
rimasto qualche momento a guardar l’acqua e poi
s’è messo a parlare. Dice: “Non pioveva da sei mesi
e adesso, gira e rigira, sono venuti giù tre metri d’acqua che non è nostra. Perché quest’acqua viene dalla Valtellina, dagli acquazzoni lassù e non è nostra”.
Gianni Celati, Verso La Foce, Feltrinelli 2002
Η2 Ο
A sin.: il picchetto di confine segnala chiaramente il diritto sul liquido più prezioso. Foto a lato: roccia, acqua e prati morbidi
portano lo sguardo dal Passo del Confine tra Svizzera e Italia alla cima di
Acqua
di confine
Siamo in partenza da Lecco prestissimo, sotto
una pioggia battente che non promette niente di buono. Per ogni evenienza nello zaino ho nascosto costume, cuffia ed occhialini. Se a Bormio il tempo è
ancora così imbronciato me ne fuggo in piscina a
guardar nuvole nere dall’acqua termale che scioglie
i pensieri. Son sicuro che anche i miei accompagnatori non sapranno dire di no. Osvaldo intanto traffica imperterrito con le bici, certo di un cambiamento imminente, mentre ‘Occhi azzurri’ sonnecchia indifferente al nostro baccano. Il viaggio è veloce a
quest’ora e sbucati dall’ultima galleria al Trivio di
Fuentes l’asfalto scorre già asciutto. I paesi della
Valtellina sfrecciano luminosi dai finestrini. Cerco
segni di gente in levata da sveglia precoce: Morbegno,
Sondrio, Teglio... Gianni Celati farebbe il percorso
con cadenza diversa. Si aggirerebbe con calma di
paese in paese, di piazza in piazza, a leggere volti ed
avvisi nelle osterie e sulle bacheche delle chiese. Annotare immagini e idee muovendosi a piedi è una di-
In alto: alba di nuvole in Valtellina.
Sotto: Val Alpisella. Laghetto sopra le sorgenti dell’Adda.
mensione più umana dello spostarsi. Celati l’ha fatto
sul Po in direzione dell’Adriatico dove raccolse la
lamentela in didascalia del capitolo: “Quest’acqua
non è nostra, viene dai temporali della Valtellina...”.
Acqua ingombrante, da poter rispedire come una maledizione a chi sta più a monte quando il Po ruggisce
spaventoso nell’ansa tra Revere e Ostiglia. Agostino
in un’alba sull’argine nei pressi dell’Isola Boschina
mi disse: “Se rompe qui arriva fino a Verona....”. Fino
a Verona? Il grande fiume mi apparve come un drago capace di espandersi sul suolo senza antagonisti
di sorta. Quella volta non ruppe, si limitò a ruggire
ancora per qualche giorno, poi pian piano i piloni del
ponte di fianco alla centrale termica ripresero fiato.
Davo merito del salvataggio anche all’acqua
dell’Adda imbrigliata a Olginate dalla diga che aveva contribuito di certo a qualche centimetro in meno,
quelli giusti giusti necessari perché la città dell’arena non si trovasse coi piedi a mollo dando in compenso qualche grattacapo agli abitanti di Como. Mi
atteggiai ad ambasciatore di salvezza per un’intera
settimana. Quest’estate invece mi sorbii tutte le
imprecazioni dei contadini che, col fiume in secca,
inveivano verso gli sbarramenti che rubavano la ‘loro’
acqua dalle dighe di Cancano in giù. Mi convinsi che
l’acqua dei fiumi è come l’inflazione da maledire o
benedire in base alla capienza del portafoglio. A questo episodio pensavo mentre l’auto ci portava
controcorrente verso gli alvei più lontani dell’Adda,
quella Val Alpisella dal nome da fiaba dove sono ben
segnalate le sorgenti dell’Adda. Anche lì, giuntovi la
prima volta, riuscii a far arrabbiare un valligiano. Immaginavo che la sorgente più alta di un fiume fosse
una specie di zampillo magico che nascesse al limite
del cielo o quanto meno sotto una cresta. Fu con meraviglia che sopra la sorgente trovai un laghetto anonimo nei pressi del passo che svalla verso Livigno.
Riferii all’indigeno che la sorgente andava spostata
più su, non solo al laghetto ma al limite spartiacque,
perché i neonati si misurano dalla testa ai piedi, non
dal collo alle ginocchia. Rischiai di essere preso a
forconate ma la convinzione mi rimase. D’altronde
il destino della pioggia che diventa fiume sta in quel
punto di rottura che Galileo ha definito come piano
inclinato. Su ogni cresta ce n’è più d’uno e al passo
di Val Alpisella questo significa un destino di Po o
Danubio; Mar Nero o Adriatico. Non che all’acqua
interessi molto la faccenda, ma agli uomini, beh a
quelli sì: la magica molecola è bene prezioso, l’oro
blu della terra. Per l’acqua si fanno guerre in molte
parti del mondo e in Cina, per le olimpiadi del 2008,
la carenza di liquido nel Fiume Giallo sta spingendo
a realizzare un’opera impressionante e mastodontica:
imbrigliare l’acqua del Tibet per farla uscire dritta
dritta dai rubinetti del villaggio olimpico a Pechino... In confronto tutto il bacino iniziale tra Reno,
Po e Danubio sulle Retiche sembrerebbe il paese di
Lilliput ad un osservatore su un satellite. Ma ognuno
ha i suoi problemi e le sue gioie con l’acqua di casa
e io non solo non ho risolto il problema delle sorgenti dell’Adda ma nel 1986 scrissi a Claudio Magris
mettendo in dubbio anche le presunte sorgenti del
fime blu. Del resto anche lui nel suo libro “Danubio” sottolineava una situazione complicata: “...La
targa, a pochi metri da questa panchina (A Neu-Eck
nella Selva Nera), indica la -una?- sorgente del Danubio e anzi sottolinea che si tratta di quella principale... Qui nasce il ramo principale del Danubio,
dice quella targa presso la sorgente del Breg. Nonostante questa dichiarazione lapidaria, il plurisecolare
dibattito sulle fonti del Danubio è tuttora acceso ed
è anzi responsabile di vivaci contese fra le città di
Furtwangen e di Donaueschingen. A complicare le
cose si è aggiunta, inoltre, di recente l’azzardata ipo-
Indicazioni per destreggiarsi tra Danubio e Po nei loro primi metri di vita...
tesi sostenuta da Amedeo, apprezzato sedimentologo
e segreto storiografo di disguidi, secondo la quale il
Danubio nasce da un rubinetto...”. Da un rubinetto!
Meglio allora la targa sbiadita su legno di fianco al
lago del Gallo a Livigno che decanta la fine gloriosa
dell’acqua del piccolo Tibet che va giù dallo Spön
per gettarsi nella sua corsa bizzarra di italica acqua
che giunge al Mar Nero. “Hier entspring die Donau”
dico io, non per motivi d’altezza o di distanza ma
solo perché l’acqua che si avvia placida dal Lago di
Alpisella mi solletica fantasia ed immaginazione. Se
mi giro sul versante opposto nasce semplicemente
un’altra cosa perché prende una diversa strada. Un
giorno Osvaldo stufo di queste bazzecole mentali mi
fece uno scherzo salomonico. Arrivato al passo riempì due bottiglie: una al Lago d’Alpisella, l’altra al lago
anonimo della mia supposta sorgente dell’Adda e poi
versò in modo incrociato il contenuto dell’una e dell’altra negli opposti bacini. Mi propose poi di avvisare tutta l’Europa che Danubio e Po erano adesso un
fiume unico, per un principio simile alla legge di relatività di Einstein con l’aggiunta del pezzo di formula sulla costante cosmologica. Nemmeno lui ne
fu soddisfatto, ma tutti i fisici ci spremono sopra il
cervello da un pezzo. Trovai la soluzione così geniale da non rompere più le scatole a nessuno fino ad
oggi sul problema delle sorgenti...
A dx.: ll Monte dei Tre Confini tra Brescia, Sondrio e Bergamo visto dai laghetti del Venerocolo. “Sorgenti dell’Adda 10 minuti,
ormai ci siamo...
A dx.: dall’Alpe Subiale sopra Pagnona (lc) al rientro dai Laghi di Deleguaggio lo sguardo si porta verso il Pizzo dei Tre Signori
spartiacque tra le Province di Sondrio, Bergamo e Lecco. A sin. tramonto al lago d’Alpisella sopra Livigno (so) .
Il confine tra cielo e terra è indefinibile nello specchio d’acqua del Lago di Livigno..
Un anonimo lago sul versante settentrionale del Monte dei Tre Confini tra bresciano, bergamasco e sondriese.
Sopra: all’Alpe Cavrig in alta Val Darengo le capre fanno da padrone sulle baite un tempo abitate dagli uomini.
A lato: rocce tormentate in alta Val Sanguigna nelle Orobie Bergamasche.
Pietre d’assalto
Dobbiamo essere umili. Siamo così facilmente confusi dalle apparenze e non ci rendiamo conto
che queste pietre sono come le stelle. A loro non fa
differenza essere alte o basse, cima di montagna o
fondo dell’oceano, palazzo o porcile. Al mondo ci
sono infinità di edifici in rovina, ma non ci sono pietre in rovina.
H. McDiamird, Sopra un terrazzo marino,
Supernova 2001
π=3,14...
In alto: il gruppo del Bernina a fine primavera.
Sotto: la costa di Biandino in Valsassina ad inizio autunno.
Le torri di Fraele in Valtellina e la strada del Truzzo in Val del Drogo sono un esempio di equilibrio tra opere dell’uomo e natura.
A dx.: il segno dell’uomo che cura la montagna a Pagnona in Valsassina . La natura si riprende l’Alpe alto in Val Sanguigna sul
percorso per il Lago Gelato.
Sopra: in volo verso il passo del Furlo dal Monte Petrano sopra Cagli
Sotto: pozza di irrigazione in un campo di girasoli tra Marche ed Umbria. A dx. la cresta verso il rifugio ed il passo
Verso
i Monti della Luna
Il tempo, quella vecchia nutrice,
mi ha cullato verso la pazienza.
J. Keats, Endimione, Rizzoli 2002
Sopra: la fiorita di Castelluccio. Fiori e colori a perdita d’occhio. Pagina a lato: in discesa dal Vettore verso il Brancastello. Sullo
sfondo il Lago di .... In basso: logo del Parco dei Monti Sibillini.
Verso I monti
‘Occhi azzurri’ nei due giorni successivi alla chemio
vomita l’anima. Refrattaria ad ogni terapia, posizione, intervento palliativo è per tutti noi una sofferenza nel trovarci così impotenti ad intervenire in modo
positivo. Osvaldo decide che star male in una stanza
di Bergamo o su un camper è la medesima cosa e
propone a ‘Occhi azzurri’ per il prossimo ciclo di
terapia di partire verso i Sibillini. In questo modo
alla fine del calvario lei si troverà immersa nella fiorita di Castelluccio. Non so chi dei due sia più pazzo
ma sembrano entrambi entusiasti dell’idea. Per quasi seicento chilometri toccherà a me ‘fare l’infermiere’. Una specie d’inferno ma all’alba del terzo giorno mentre apriamo la porta su uno spettacolo unico
‘Occhi azzurri’ ha la forza di sorridere.
della luna
Sopra: la cresta che porta al Vettore dal Monte Porche. La piana di Castelluccio di Norcia inizia qui.
Sotto e a pag. dx.: Il Lago di Pilato ai piedi del Monte Vettore.
Tempo geologico per
crostacei montani
Il tempo, quella vecchia nutrice,
mi ha cullato verso la pazienza.
J. Keats, Endimione, Rizzoli 2002
Sopra: la tipica conformazione di un terreno carsico con doline ed inghiottitoi che non permettono attività ad acqua di superficie. A
poche centinaia di metri da questa testa di valle c’è l’eccezione del Lago di Pilato.
Aspettando Godot
“C’è uno stato di riposo in Dio, di totale sospensione
di ogni attività della mente, in cui non si possono più
fare piani, né prendere decisioni e neppure fare qualsiasi altra cosa, ma in cui, avendo rimesso tutto l’avvenire al volere divino, ci si abbandona interamente
al proprio destino. Se viene paragonato al blocco
dell’attività in mancanza di slancio vitale, questo riposo in Dio è un qualcosa del tutto nuovo e irriducibile. Prima, c’era il silenzio della morte. Al suo posto si instaura una sensazione di sicurezza intima, di
liberazione da tutto ciò che è preoccupazione, obbligo e responsabilità nei confronti dell’agire. L’unico
presupposto necessario per una simile rinascita spirituale sembra essere la capacità passiva di accoglienza che si trova al fondo della struttura della persona”.
Edith Stein, , Beiträge zur philosophiscen
Begründung der Psychologie und der Geistwissenschaften, Halle a. d. Saale 1922
Lago Nero (a sin.) e bacino del Truzzo, in alta Val Chiavenna,
agli inizi di giugno durante una bufera di neve.
La strada di neve resiste solo sul versante settentrionale del Pizzo di Olino.
Centosessantaquattro
giorni sulla costa di
Biandino
“E in inverno, sotto il pastrano, mi coprivo di fogli
di giornale, dai quali non mi separavo prima di aprile, quando la terra, finalmente, usciva dal letargo. Il
supplemento letterario del “Times” era superbamente adatto allo scopo, per via dei fogli robusti che conservavano a lungo l’impermeabilità. Nemmeno i peti
gli causavano problemi. Non posso farci niente, i gas
mi escono da dietro al minimo pretesto, e non posso
non parlarne almeno qualche volta, per quanto possa
trovarlo spiacevole. Un giorno li ho contati.
Trecentoquindici peti in diciannove ore, più di sedici all’ora, in media. Nemmeno così tanti, a pensarci.
Quattro peti ogni quarto d’ora. Un’inezia. Meno di
uno ogni quattro minuti. Da non credere. Diamine,
si può dire che non scorreggi affatto, meglio se non
ne parlavo. Straordinario quanto la matematica possa aiutarci a conoscere noi stessi...”.
Beckett, Molloy,
Occhi azzurri
e iceberg di montagna
“Mi hai amato sempre”, mi disse una volta. Era già
malata, io le stavo accanto e senza far caso alle
parole risposi il mio “non l’ho fatto apposta”.
Perciò sorrise.
Erri de Luca, Non ora, non qui, Feltrinelli 2005
Confine,
principio di identità
Ho imparato la scienza degli addii,
nel piangere notturno, a testa nuda.
Elisabette Rasy, La scienza degli addii,
Rizzoli 2005