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26 ottobre 2012
Bratislava competitiva anche senza la flat tax
di Giampero Guarnerio
La Slovacchia ha annunciato, tramite una proposta governativa, di voler abbandonare il modello della "flat tax
rate" (tassa uniforme o forfettaria in una traduzione letterale) a favore di un sistema a due aliquote. Le aliquote
saranno del 19-25% per i redditi individuali (la più alta verrà applicata sui redditi oltre i 44mila euro) e 19-23%
per le società.
Un sistema, quello della flat tax, in vigore anche nelle Repubbliche Baltiche, in Russia, Serbia, Ucraina, Georgia
e Romania, cioè in quei Paesi dell'ex blocco sovietico prima caratterizzati da sistemi tributari con aliquote alte e
complessi sistemi di detrazioni e deduzioni associate ad una diffusa evasione fiscale. La flat tax è stata quindi
una ricetta vincente, da un lato, per incrementare il gettito tributario e, dall'altro, per svolgere una rilevante azione
di richiamo sugli investimenti esteri, attratti oltre che dalle basse aliquote, da una metodologia impositiva di
facile comprensione e applicazione.
Tuttavia, in un quadro di consolidamento delle finanze statali, la Slovacchia ha scelto la strada dell'aumento delle
imposte sul reddito sia a livello individuale che per le imprese.
Più che il numero delle aliquote, la vera questione è valutare se e come il sistema di tassazione influisca sulla
generazione della ricchezza e sulla sua distribuzione.
In base all'esperienza dei Paesi nordici si può concludere che una elevata fiscalità non è incompatibile con alti
gradi di crescita, a patto che si innesti in un sistema culturalmente e tradizionalmente preparato in tal senso.
Perché è essenziale che la fiscalità sia associata a un'ottica di efficienza dei servizi e di spese trasparenti e sotto
controllo. Va da sé che in un Paese in cui i casi alla "Fiorito" trovano terreno fertile, e parte della spesa è un
ammortizzatore sociale, l'alta fiscalità si trasforma in un fardello, con effetti disincentivanti e recessivi.
Quella che andrebbe evitata è comunque una progressività elevata delle aliquote sulle imposte personali perché
demotiva la crescita dei soggetti più "ricchi", che sono anche quelli che trainano l'economia. Politica avviata ad
esempio nel Regno Unito negli anni '70 con conseguenze negative rispetto ad altri Paesi, pur in un contesto ove
l'elusione fiscale era facilmente accessibile.
Stessa cosa per i redditi societari: l'impresa versa allo stato molte più imposte nella sua funzione di sostituto
d'imposta (e quindi sul reddito distribuito ai lavoratori e ai soci) che non come contribuente in sé. Non per niente
i Paesi dell'Est hanno sviluppato il tessuto industriale esentando od incentivando le imprese ad investire,
recuperando l'investimento con gli interessi grazie al gettito indotto sul reddito distribuito localmente.
Flat tax o doppia aliquota (peraltro, nel caso della "svolta" slovacca è assai inferiore rispetto ai livelli cui siamo
abituati in Italia) la sfida di ogni Paese è saper trasformare il gettito in ricchezza distribuita. E la strada più giusta
è forse quella di far pesare di più le imposte sulla casa, sulle rendite e sui consumi e meno il prelievo sui redditi
da lavoro (autonomo e dipendente) e d'impresa.
Insomma, è improbabile che la flat tax possa essere replicata nell'Europa occidentale, ma non c'è dubbio che ha
avuto il pregio di innescare, in molti Paesi europei, una competizione fiscale proprio sulle imposte societarie
portando sviluppo e progresso per tutti.
Studio Rödl & Partner
26 ottobre 2012
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