Cenni storici sulla psicologia dell`emergenza

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PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA
CENNI STORICI SULLA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA: CHE COS’E’ UN’EMERGENZA
Possiamo definire emergenza una qualsiasi condizione critica che si presenta in conseguenza ad un preciso
evento o circostanza che determina una situazione potenzialmente pericolosa per l’incolumità delle
persone e/o dei beni e strutture e che richiede quindi interventi eccezionali ed urgenti per essere gestita e
riportata alla normalità.
Parliamo di emergenza psicologica quando a causa di circostanze esterne, si verifica un disequilibrio psico
emotivo dell’individuo il quale è costretto a mobilitare risorse e strategie di adattamento non possedute o
recuperabili con enormi sforzi. Compito dell’operatore che lavora nell’ambito della psicologia
dell’emergenza è quello di preservare l’equilibrio psichico delle vittime, dei parenti ma anche dei
soccorritori dalle conseguenze dell’evento psico-lesivo, ripristinando l’equilibrio se compromesso e
facilitando i processi di recupero a livello comunitario e sostenendo comunicazione nelle emergenze.
Molto spesso si tende ad usare scambievolmente i termini disastro e catastrofe ma in ci sono delle sottili
differenze. Un disastro è una sciagura che provoca gravi perdite di beni materiali e di vite umane. Secondo
alcuni studiosi degli anni ’60, con il termine disastro si identificava un evento concentrato nel tempo e nello
spazio e nel quale la società subisce perdite tali da ostacolarne il normale svolgimento delle funzioni sociali
essenziali. Trattasi questa di una considerazione per lo più spazio-temporale, totalmente diversa
dall’approccio degli anni ’80: il fenomeno in questione inizia ad essere considerato come “evento sociale” e
secondariamente come “evento naturale”. Il focus di interesse si sposta nettamente sui conseguenti
cambiamenti delle dinamiche collettive, fino a concepire il disastro come un evento a livello comunitario.
Una catastrofe individua un evento improvviso luttuoso o un capovolgimento totale della situazione,
indicato per individuare l’effetto di sconvolgimento sia a livello materiale che organizzativo. Si può parlare di
catastrofe nel momento in cui si verifica un evento nefasto, improvviso e brutale da provocare
singolarmente o contemporaneamente distruzioni materiali, un gran numero di vittime, una
disorganizzazione sociale notevole.
I disastri possono essere classificati in base a caratteristiche intrinseche, in funzione delle quali si possono
verificare conseguenze psicologiche differenti per popolazione. Possiamo individuare le cause scatenanti in:
naturali o per mano dell’uomo, tecnologiche e di natura conflittuale.
A partire dal secondo dopoguerra, cresce negli Stati Uniti un forte interesse per lo studio del
comportamento umano in situazioni di emergenza, sia individuale che collettivo. In Italia la spinta allo
studio dei processi psicologici e sociali conseguenti ad un evento disastroso ha inizio con il sisma del Friuli
Venezia Giulia del 6 maggio 1976.
La Guerra del Vietnam è stato il triste motore propulsore per l’attivazione di programmi di studio ed
intervento psicosociale nell’ambito di situazioni traumatizzanti. Gli interventi attuati nei confronti dei
militari e dei reduci erano tesi a neutralizzare l’impatto degli eventi stressanti sia a livello individuale che
collettivo e a rispristinare un funzionamento positivo. Viene ridefinito il cosiddetto Combact Stress come
normale risposta ad eventi stressanti e traumatici e depatologizzato, restituendo dignità ai militari che
vivevano con sentimenti di vigliaccheria e debolezza normali reazioni post-traumatiche. Venne istituita
un’unità di controllo costituita da specialistici dell’area psicosociale con il compito di sensibilizzare e
sostenere i militari nel recupero del loro equilibrio e della loro normale funzionalità psichica. Nei processi
addestrativi e nelle procedure riabilitative venne posta una maggiore enfasi su quattro aspetti cruciali quali:
la prevenzione, la sensibilizzazione, l’empowerment e il sostegno.
I contributi forniti in ambito militare si sono resi utili e sono stati diffusi anche nelle pratiche civili della
gestione delle emergenze. Si faccia riferimento all’acronimo PIES che individua i quattro elementi basilari da
implementare nella prassi, al fine di massimizzare l’efficacia degli interventi e ridurre il rischio di sviluppare
patologie post-traumatiche: proximity (l’intervento deve essere eseguito nelle vicinanze del luogo del
disastro), immediacy (necessità di un intervento celere), expectancy (l’operatore deve mostrare alla vittima
che ci si aspetta da lui un pieno ritorno alla normale operatività in un breve lasso di tempo) e simplicity
(poche e semplici tecniche d’intervento).
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