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LIBANO
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l 15 marzo il Sinodo dei vescovi
greco-cattolici maroniti ha eletto il vescovo di Jbeil, Béchara
Raï, patriarca di Antiochia e di
tutto l’Oriente. 71 anni, monaco, Raï succede al card. Nasrallah Boutros Sfeir, che aveva presentato le proprie dimissioni avendo raggiunto i limiti d’età (ha 90 anni). Il 26 febbraio così
il papa ha scritto al card. Sfeir: «L’anno dedicato al 1.600° anniversario dalla morte di san Marone sta per concludersi. Un tempo di grazia è stato accordato alla Chiesa maronita in questo eccezionale giubileo. (…) Nel corso di
quasi 25 anni lei ha collaborato con i
suoi due predecessori nella sede di Antiochia, prima di essere scelto dal Sinodo a succedere loro il 19 aprile 1986.
(...) Lei ha iniziato il nobile ministero di
patriarca di Antiochia dei maroniti
quando infuriava la guerra che ha insanguinato il Libano per troppi anni. È
con l’ardente desiderio di pace per il
vostro paese che lei ha guidato questa
Chiesa e ha viaggiato per il mondo per
consolare il suo popolo costretto all’emigrazione. La pace infine è arrivata,
sempre fragile, ma sempre attuale».
I maroniti in Libano
L’elezione del successore ha visto i
39 vescovi libanesi riuniti sinodalmente
per 6 giorni, e la scelta si è imposta con
un’ampia maggioranza alla fine di un
processo elettorale unanimemente definito sereno e concorde. Per capire cosa
significa l’esito di questo piccolo «conclave», che permette ai vescovi grecocattolici di eleggere il loro primate in base al Codice dei canoni delle Chiese orien-
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Cattolici maroniti
l nuovo patriarca
Béchara Raï patriarca di Antiochia
e di tutto l’Oriente
tali, occorre richiamare brevemente la
situazione e il ruolo molto particolare
della Chiesa cattolica nel Libano.
Le sue origini sono riconducibili al
convento di san Marone, situato in Siria, nell’antica località di Apamea. Nel
V secolo, una piccola comunità monastica siriana si installò nelle montagne libanesi per sfuggire alla persecuzione dei
«monofisiti», cioè dei seguaci dell’eresia
del tempo che sosteneva la preminenza
della natura divina in Cristo, di fatto negando quella umana. Le crociate consentirono poi ai maroniti di sigillare nel
1182 la propria unione con Roma.
Quella maronita è la sola Chiesa cattolica orientale non originata da una contrapposizione con la Chiesa ortodossa.
In base al Patto nazionale del 1943
il sistema politico si regge sulla base del
cosiddetto «confessionalismo», un
equilibrio istituzionale per cui il presidente della Repubblica (attualmente
Michel Suleiman), eletto dal Parlamento, dev’essere cristiano maronita, il primo ministro musulmano sunnita e il
presidente dell’Assemblea nazionale
musulmano sciita. Anche il capo dell’esercito è un maronita. Tuttavia dopo la
guerra civile tra cristiani filo-occidentali e musulmani filo-egiziani che ha insanguinato il paese dal 1975 al 1990,
gli Accordi di Taef hanno ridimensionato la preponderanza dei maroniti
nella struttura politica dello stato libanese, dando molti più poteri effettivi al
premier. La guerra ha provocato anche
un forte ridimensionamento dell’influenza economica della classe media
maronita nel settore bancario, nell’industria e nel commercio. L’influenza
dei cristiani maroniti è rimasta forte solo nella poderosa rete di strutture educative e assistenziali diffuse in tutto il
paese e molto apprezzate anche dalle
altre confessioni.
L’emigrazione seguita alla guerra
civile ha fatto sì che dei tre milioni di
maroniti su cui il patriarca esercita la
propria giurisdizione, solo un terzo risieda in Libano: così che negli ultimi
anni la comunità cristiano-maronita libanese ha cercato di compensare la
propria inferiorità demografica attraverso l’integrazione dei maroniti della
diaspora nel sistema politico, sostanzialmente rivendicando il diritto di voto ai libanesi residenti all’estero. Le nazioni interessate alla diaspora sono anzitutto quelle mediorientali (Giordania,
Israele, Palestina, Egitto e Siria), compresa l’isola di Cipro. La presenza dei
maroniti è forte anche in America, con
eparchie in Argentina, Brasile, Messico, Stati Uniti e Canada.
Dal punto di vista politico – ma di
riflesso anche pastorale – il principale
problema che affligge oggi la comunità
cattolica consiste nella divisione tra le
due forze in campo, fortemente polarizzate: quella filo-siriana che si riconosce nella coalizione «8 marzo», cui partecipa il gen. Michel Aoun, cristiano,
accanto al partito sciita di Hezbollah, e
quella nazionalista della coalizione «14
marzo», cui aderiscono il cristiano capo dell’esercito Samir Geagea e la
grande famiglia dei Gemayel, accanto
a rappresentanti dell’islam sunnita.
I cristiani alleati alla coalizione «8
marzo» hanno spesso criticato il card.
Sfeir per un eccessivo coinvolgimento
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in politica e per il suo sbilanciamento a
favore del «14 marzo».
Il proget to di Raï
Può essere significativo, a questo
punto, rifarsi all’intervento di mons.
Raï al Sinodo per il Medio Oriente dello scorso ottobre: «Al n. 34 dell’Instrumentum laboris leggiamo: “In Libano, i
cristiani sono divisi sul piano politico e
confessionale e nessuno ha un progetto
che possa essere accetto a tutti”. Non
esiste una divisione sul piano confessionale, bensì una diversità di Chiese sui
iuris cattoliche, ortodosse ed evangeliche, avendo ciascuna il proprio patrimonio liturgico, teologico, spirituale e
disciplinare. Esiste per contro una divisione sul piano politico che non riguarda l’essenza, bensì le opzioni strategiche. Per quanto riguarda l’essenza, i cristiani sono d’accordo circa alcune costanti nazionali, definite nel documento
detto Le costanti, pubblicato dal Patriarcato maronita il 6 dicembre 2006,
accettato e firmato dai capi dei partiti
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politici cristiani. Queste costanti sono
state sviluppate in un altro documento,
pubblicato nel 2008 con il titolo Carta
dell’azione politica alla luce dell’insegnamento della Chiesa e della specificità
del Libano.
Quanto alle opzioni politiche, la divisione dei cristiani è basata sulla strategia relativa alla protezione di dette costanti e della presenza efficace ed effettiva dei cristiani. Questa divisione è
causata dalle condizioni politiche attuali, sia interne sia regionali e internazionali. Esiste infatti nel mondo arabo una
forte divisione tra sunniti e sciiti, evidente, a livello regionale, nella coalizione da parte sunnita tra Arabia Saudita,
Egitto e Giordania, e da parte sciita tra
Iran e Siria. Questa divisione si è trasformata in conflitto cruento tra sunniti e sciiti in Iraq. A livello internazionale il conflitto si colloca tra gli Stati Uniti e i loro alleati a favore dei sunniti da
una parte, e l’Iran dall’altra, a causa
delle sue ambizioni regionali e del suo
programma nucleare. In Libano è nel
conflitto politico tra sciiti e sunniti che si
colloca la divisione dei cristiani. Per salvare il regime libanese e la sua presenza effettiva, una parte ha scelto l’alleanza con i sunniti, un’altra parte quella
con gli sciiti e una terza parte invita alle buone relazioni con i sunniti e gli sciiti e a non farsi trascinare in una politica
degli assi regionali e internazionali.
Il progetto politico accettabile per
tutti consiste nel perfezionare lo stato
civico, i cui elementi si trovano nelle Costanti, nella Carta dell’azione politica e
nella Costituzione» (L’Osservatore romano 15.10.2010, 7).
Il progetto di mons. Raï è chiaro:
perseguire l’unità della comunità maronita, scegliendo una linea pastorale e
non politica, poiché la presenza dei cristiani maroniti in Libano è garantita
non da una coalizione o dall’altra,
quanto piuttosto dal rafforzamento istituzionale dello stato, per il cui equilibrio
la presenza cristiana è essenziale. L’esempio dell’Iraq insegna.
Daniela Sala
PA K I STA N - S H A H B A Z B H AT T I
L’umanità sofferente
L
e peggiori previsioni sull’evoluzione della situazione pakistana1
si sono avverate: il 2 marzo un gruppo di estremisti islamici ha
ucciso il ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti,
mentre si recava al lavoro in auto. La seconda vittima illustre in due
mesi – dopo il governatore del Punjab Salman Taseer, musulmano –
del fondamentalismo, che prende di mira chi nel paese chiede una
modifica della legge sulla blasfemia.
Ha fatto il giro del mondo un testo di Bhatti, che ne è divenuto
una sorta di «testamento spirituale»: «Mi sono state proposte alte
cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa
vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: “No, io voglio servire
Gesù da uomo comune”. Questa devozione mi rende felice. Non
voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie
azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale
desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora
– in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per lui
voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.
Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la
mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa, hanno persino chiesto
ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io
dico che, finché avrò vita, fino all’ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi,
i poveri. (...)
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Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto,
che Dio ha mandato il suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la
nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del
Calvario. Nostro Signore ha detto: “Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi”. I passi che più amo della Bibbia recitano: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. Così,
quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro
sembianze sia Gesù a venirmi incontro. Per cui cerco sempre d’essere d’aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati».2
Queste parole e la testimonianza di quanti lo hanno conosciuto gli sono valse la qualifica di «martire» da innumerevoli esponenti
religiosi, mentre dovunque dal mondo politico internazionale si sono levate ferme condanne e appelli al governo pakistano per fermare la deriva fondamentalista. Manifestazioni di protesta spontanee
si sono tenute in molte città del paese, con la partecipazione di cristiani e musulmani, che a migliaia hanno preso parte ai funerali, nel
Punjab. «Che una persona di tale coraggio e costanza d’intenti si fosse nutrito della cultura politica del Pakistan è di per sé la prova della capacità di tale cultura di mantenere la propria visione viva e trainante. E questo è uno dei pochi veri segni di speranza in una situazione di tragedia che si aggrava progressivamente e ha urgentemente bisogno di preghiere e di azione» (R. Williams).3
D. S.
1
Cf. Regno-att. 2,2011,5.
S. BHATTI, Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza, Marcianum
Press, Venezia 2008, 39-42.
3
SIR Europa 11.3.2011.
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