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“Trenta Ore per la Vita” per il Gemelli
Scoprire che il proprio figlio è stato colpito da
tumore è un'esperienza devastante che, nel nostro Paese, devono affrontare circa 2mila famiglie ogni anno. Spesso molte di loro sono costrette ad affrontare faticosi viaggi per seguire i
lunghi periodi di terapia. Il poter tornare a casa
diventa un sogno difficile da realizzare. E così,
il bisogno delle persone care accanto e delle
piccole abitudini quotidiane che aiutano a trovare la forza per continuare a lottare contro la
malattia, si fanno sempre più forti.
Per questo “Trenta Ore per la Vita 2015” e il
Policlinico A. Gemelli stanno raccogliendo fondi per il progetto “Insieme per la Salute” che ha
come obiettivo quello di garantire al piccolo
paziente e alla sua famiglia il massimo sostegno
di fronte al bisogno di salute e al percorso di
cura che la malattia comporta.
L’ ANTARTIDE? È DIETRO L’ ANGOLO
I MEDICI DEL GEMELLI AL POLO SUD
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Cooperazione
Formazione
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A tale scopo, il progetto prevede la costruzione
di una “rete di video-diagnostica" per gestire in
maniera condivisa tra i medici del Policlinico
Gemelli e i professionisti di altre aziende sanitarie del Centro-Sud e Isole, i casi clinici più
complessi di piccoli pazienti con tumori solidi
cerebrali. Favorendo lo scambio d’informazioni
tra i professionisti sanitari, saranno limitati al
massimo gli spostamenti dei bambini malati di
tumore e delle loro famiglie.
Basta poco per sostenere questo importante
progetto: dal 13 al 26 aprile 2015 è possibile
donare con un sms o chiamata da rete fissa il
numero 45594.
Fino al 31 ottobre 2015 è possibile inoltre donare alla posta (ccp 571000 intestato a Associazione Trenta Ore per la Vita) o con carta di credito al numero verde 800 33 22 11 o sul sito
www.trentaore.org
ragioni
firma
per metterci la
L’Università Cattolica e il Policlinico “A. Gemelli”, attraverso i contributi del 5x1000, attivano
Garantire l’assistenza sanitaria anche quando la temperatura
esterna è di -80°: ecco come i medici del Policlinico lavorano in condizioni estreme a sostegno di un programma
scientifico in convenzione con l’ENEA.
iniziative e interventi nel campo dell’educazione dei giovani, della ricerca scientifica,
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della cura e dell’assistenza medica, della solidarietà internazionale.
Il 5x1000 non ha nessun costo.
Esprimere il tuo sostegno è facile.
Apponi la firma alla voce “Finanziamento agli enti della ricerca scientifica e dell’Università”
della dichiarazione dei redditi
Trascrivi il codice fiscale dell’Ateneo:
02133120150
Il tuo
5 1000
x
per il
Policlinico “A. Gemelli”
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L’ ITALRUGBY VA IN “META”
CON I PICCOLI DEL GEMELLI
CAMPAGNA SANGUE:
LA PAROLA AI DONATORI
Giornata speciale, il 12 marzo scorso, per i
piccoli pazienti ricoverati nel reparto di Oncologia pediatrica del Gemelli. Hanno infatti ricevuto la visita di una delegazione dei campioni
della Nazionale italiana di rugby, alla vigilia
della sfida all’Olimpico contro la Francia per il
“6 Nazioni” (dove il Policlinico ha curato l’organizzazione del Servizio Sanitario). I giocatori
hanno donato ai piccoli pazienti il pallone ovale con le firma di tutti i componenti della
squadra italiana.
Nel mese di marzo è partita la campagna
“Donare? Ce l’ho nel sangue”, di sensibilizzazione per la donazione del sangue con un
evento di lancio che ha visto una grande partecipazione da parte del personale interno al Gemelli e dei donatori (interni e esterni) che si
sono prestati a fare da testimonial.
Gemelliinforma ha intervistato, in questo numero, Chiara Morichelli e Giorgio Ballini, che
hanno partecipato alla campagna, e raccontano
brevemente le loro esperienze.
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www.unicatt.it/5permille
www.policlinicogemelli.it
FIOCCHI IN OSPEDALE: IL GEMELLI
E SAVE THE CHILDREN
PER LA FRAGILITÀ FAMILIARE
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POSIZIONARE SENZA ERRORI
I CATETERI VENOSI CVC
CON LA NUOVA TECNICA
DELL’ ECG INTRACAVITARIO
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PARTE DAL GEMELLI
LA PRIMA RETE NAZIONALE
DEI PERCORSI
PER I PAZIENTI CON CANCRO
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Aprile 2015 Anno 3 n. 4
Quando lo sport si fa col cuore: l’ Italrugby
mette a segno al Gemelli la prima “meta”
Giornata speciale, il 12 marzo scorso, per i
piccoli pazienti ricoverati nel reparto di Oncologia pediatrica del Policlinico. Hanno infatti
ricevuto la visita di una delegazione dei campioni della Nazionale italiana di rugby, alla vigilia della sfida all’Olimpico contro la Francia
per il “6 Nazioni”, dai quali hanno ricevuto in
dono il pallone ovale con le firma di tutti i
componenti della squadra italiana.
L’ iniziativa, promossa dalla Direzione del Policlinico, è stata grazie al sodalizio tra le associazioni “L’Albero della Vita” e “Coccinelle per
l’Oncologia Pediatrica Onlus”. La collaborazione con la Federazione Italiana Rugby è ormai consolidata: anche quest’anno la FIR ha
affidato al Policlinico Gemelli l’organizzazione
del Servizio Sanitario in occasione del “6 Nazioni”, in ragione del livello di efficienza dimostrato nell’edizione dello scorso anno del
prestigioso Torneo internazionale.
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IL GRANDE IMPEGNO
DEI MEDICI ALL’ OLIMPICO
PER IL “TERZO TEMPO”:
UNA VERA FESTA DI SPORT
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1, 2, 3. I rugbisti Michele Visentin, Simone
Ragusi, Marcello Violi e Marco Fuser, della
Nazionale Italiana, in visita al reparto di
Oncologia pediatrica del Policlinico Gemelli,
diretto dal professor Riccardo Riccardi
4. I campioni del rugby con l’equipe del Gemelli
QR code: inquadratelo col cellul are
Il simbolo di forma quadrata che trovate in prima pagina è un "QR code".
Inquadrato con la fotocamera del cellulare, collega direttamente alla versione pdf, scaricabile e stampabile, che si ottiene dal
sito www.policlinicogemelli.it. Perché funzioni, il telefono deve potersi collegare ad internet, avere la
fotocamera ed il programma (scaricabile gratis dalla
rete) che riesce a "vedere" e leggere i QR code.
Per maggiori informazioni: http://bit.ly/QRistruzi oni
Gemelliinforma - Bollettino a diffusione interna
per il Policlinico "A. Gemelli" di Roma
Testata in attesa di registrazione
Diretto re: Nicola Cerbino
Bo ard edito riale: A. Giulio De Belvis, Luca Revelli,
Giorgio Meneschincheri, Carla Alecci, Francesca Russo,
Antonella Muschio Schiavone, Emiliana Stefanori
Consulenz a giornalistico-editoriale:
Value Relations srl - Enrico Sbandi
Redazione tecnico-scientifica: Alessandro Barelli,
Christian Barillaro, Ettore Capoluongo, Ivo Iavicoli,
Roberto Iezzi, Gaetano Lanza, Federica Mancinelli,
Marco Marchetti, Mario Rigante, Carlo Rota.
Stampa: Cangiano Grafica - via Palazziello 80040 Volla (Na)
Anche quest’anno, il cosiddetto “Terzo tempo”
è stato una vera festa senza incidenti di rilievo. Gli interventi di soccorso sono tutti andati
a buon fine. Per una manifestazione così complessa ed articolata - spiega il dott. Giorgio
Meneschincheri - ci si è avvalsi di un equipe
sanitaria di 70 persone, composta da 14 medici rianimatori, 28 infermieri e 28 soccorritori, coordinati dal direttore del DEA Rodolfo
Proietti. Inoltre, 12 Centri Mobili di Rianimazione, 2 macchine elettriche da soccorso e trasporto. Per le prestazioni di primo soccorso
sono state rese operative due tende sanitarie
affiancate da 2 centri Mobili di Rianimazione.
Aprile 2015 Anno 3 n. 4
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Donare? Ce l’ ho nel sangue
La parola ai donatori
Nel mese di marzo è partita la campagna di sensibilizzazione per la donazione del sangue
con un evento di lancio che ha visto una grande partecipazione da parte del personale interno
al Gemelli e dei donatori (interni e esterni) che si sono prestati a fare da testimonial.
Abbiamo intervistato Chiara Morichelli e Giorgio Ballini, che hanno partecipato alla campagna,
per farci raccontare brevemente le loro esperienze.
CHIARA MORICHELLI
Ci racconti chi sei?
Mi chiamo Chiara Morichelli, lavoro presso la Segreteria TecnicoScientifica del Comitato Etico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Policlinico A. Gemelli da ben 11 anni.
Come sei diventata donatore?
Ho scelto di donare e continuerò a farlo perché penso che il mio sangue sia un bene che può appartenere a tutti e pertanto condivisibile. Il
sangue è vita, amore, speranza, sopravvivenza e soprattutto emergenza!
Perché donare?
Penso che donare sia un gesto di grande altruismo, di solidarietà verso
il prossimo meno fortunato, ma non per questo condannato a rimanere
solo, senza quel bene “il mio/nostro sangue” che può essere un vero salvavita in diverse situazioni. Donare mi fa stare bene, mi fa sentire parte
del grande puzzle della vita, mi rende felice perché so di non essere mai
sola, ma di appartenere ad un gruppo veramente speciale.
Donare significare dare del tuo, parte di te che diventa di altri, è un dare
e ricevere continuo, è condivisione, è semplicemente puro amore.
Bastano soli 10 minuti per donare 450ml di vita!!!
GIORGIO BALLINI
Ci racconti chi sei?
Mi chiamo Giorgio Ballini e lavoro presso la Direzione Sanitaria del
Policlinico A. Gemelli dal 2007.
Come sei diventato donatore?
Ho donato il sangue per la prima volta ormai più di 10 anni fa… non
saprei dire esattamente perché ho cominciato. Ho sentito parlare della
donazione e mi è sembrato un modo per fare qualcosa di veramente
utile, per aiutare qualcuno in difficoltà. Donare mi ha fatto stare bene
con me stesso, mi ha fatto sentire utile e prezioso. In un certo senso,
paradossalmente, potrei dire che dono il sangue per egoismo, per il
modo in cui mi sento ogni volta che lo faccio.
Sono convinto che ognuno di noi deve poter dare agli altri quello che è
in grado di dare. Sicuramente non riuscirò mai a scoprire la formula di
un farmaco salvavita o a fare quello che ogni giorno fanno migliaia di
medici e infermieri, ma questo lo posso fare. Un gesto semplice che può
salvare una vita. Uscendo dal paradosso di prima, il vero indice di egoismo per me sarebbe non donare: significherebbe omettere un’azione che
a me non costa nulla, mentre per qualcuno vale tutto.
Perché donare?
Donare il sangue è facilissimo, richiede poco tempo ed inoltre ti consente di tenere sotto controllo la tua salute regolarmente. Il nostro Centro Donatori è aperto anche nei giorni festivi e i medici sono sempre
disponibili per i chiarimenti necessari.
La domanda da farsi non è “perché donare” bensì: “perché non donare?”.
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Aprile 2015 Anno 3 n. 4
L’ Antartide? È dietro l’ angolo
I medici del Gemelli nella base al Polo Sud
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A una prima lettura la domanda può sembrare
una di quelle formulate dai bambini alle prese
con i compiti di scuola elementare; la risposta è
che il nostro Policlinico è vicino al continente Antartico molto più di quanto si possa immaginare.
I legami tra la nostra Università ed il Programma
Nazionale Ricerche in Antartide (PNRA) (ora
UTA: Unità Tecnica Antartide dell’ENEA) risalgono al 1997 quando il prof. Bruno Giardina partecipò ad un programma scientifico per condurre i
suoi studi sulle emoglobine e sulla fisiologia del
trasporto di ossigeno alle basse temperature.
Successivamente, dal 2005, per garantire assistenza sanitaria ai ricercatori, parteciparono alle
spedizioni i dott. Salvatore Vagnoni e Michela
Marzola dell’Istituto di Anestesia e Rianimazione
e dal 2012 il dott. Maurizio Foco dell’Istituto di
Clinica Chirurgica. Medici particolarmente
esperti in tecniche di soccorso sanitario in “ambienti estremi” e che hanno superato una scrupolosa valutazione psico-fisica da parte dell’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica Militare;
idonei, pertanto, a svolgere il proprio lavoro in
un ambiente tra i più inospitali del pianeta per
motivi climatici ed ambientali, il tutto a enormi
distanze da qualsiasi struttura sanitaria. In queste condizioni anche una banale camminata sul
ghiaccio può essere definita “ad alto rischio”.
Non a caso l’emergenza più temuta, cioè il politrauma, è sempre dietro l’angolo.
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All’interno della base è presente un’infermeria
ben attrezzata per garantire misure di pronto
soccorso e dotata di sala operatoria. Le linee guida prevedono, in caso di emergenza, che si cerchi comunque di trasferire il paziente in un centro qualificato dove possa ricevere i trattamenti
più appropriati; ma questo significa organizzare
un trasporto sanitario fino alla Nuova Zelanda, a
più di 4000 km di distanza, con una sosta alla
stazione americana di Mac Murdo per il cambio
di aereo. Essere in Antartide significa essere
esposti alle condizioni climatiche più dure del
pianeta, non sempre compatibili con le attività
di volo. Tutto ciò obbliga a preventivare, per un
trasporto sanitario non meno di 12 ore nelle più
favorevoli delle condizioni.
I sanitari presenti nella base debbono, pertanto,
nella maggior parte dei casi “farcela da soli”. Tuttavia, a volte, la natura delle lesioni da trattare
travalica la loro competenza come, ad esempio,
eventuali lesioni oculari o ortopediche. Si è
quindi avvertita l’esigenza di avere a disposizione, 24 ore su 24, la possibilità di chiedere e ottenere una consulenza specialistica a distanza. È
stata questa l’occasione per consolidare ulteriormente il legame tra il Policlinico e l’Antartide. Il
7 febbraio 2014 è stato siglato un accordo di collaborazione con l’ENEA che ha consentito di allestire presso il Centro di Rianimazione una postazione di Telemedicina, collegata con le basi
italiane in Antartide, in grado di ricevere richieste di consulenze specialistiche. Compito dei
medici di guardia in Rianimazione è valutare la
richiesta di teleconsulto e chiamare lo specialista
più idoneo a dare supporto al collega della base
antartica. Il collegamento si è rivelato di fondamentale utilità specie per i medici che si sono
succeduti nella base Italo-Francese di Concordia,
localizzata sul plateau antartico con condizioni
di temperatura anche inferiori a -80° C e in assenza di luce, ad eccezione della aurore australi,
nell’isolamento più totale e senza nessuna possibilità di evacuare un eventuale infortunato. In
queste condizioni è facile intuire come il teleconsulto rappresenti l’unico mezzo di dare supporto medico specialistico qualificato, in alcune
occasioni già rivelatosi fondamentale.
Tornando quindi alla domanda iniziale, si può
tranquillamente affermare che, alla luce degli ultimi sviluppi, l’Antartide si è molto avvicinato al
Policlinico Gemelli, molto più di quanto si possa
a prima vista pensare, e la cosa può farci provare
qualche brivido. ...Sarà forse il freddo?
1 - 2 - 3. La base Concordia, in Antartide
4. Maurizio Foco
5. Michela Marzola e Salvatore Vagnoni
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Aprile 2015 Anno 3 n. 4
Fiocchi in Ospedale: il Gemelli
e Save the Children per la fragilità familiare
La testimonianza:
Io, ragazza madre
ho ricevuto aiuto così
ma), linguistico e culturale (molte sono straniere) che vivono quindi una condizione di isolamento non avendo la rete famigliare vicino. Il
servizio Fiocchi in ospedale rafforza il sistema
di assistenza contribuendo a ridurre le condizioni di difficoltà e di solitudine in cui si potrebbero trovare le neo mamme e i neo papà nel
momento particolarmente delicato della nascita
e a migliorare le loro competenze genitoriali.
“Fiocchi in ospedale” è dedicato a gestanti,
neomamme, coppie o nuclei familiari che mostrano, in maniera più o meno esplicita, situazioni di fragilità e di disagio sociale, emotivo,
psicologico, relazionale (situazione di povertà
e di precarietà socio-economica e abitativa,
mamme senza lavoro, mamme minorenni, sole
o trascurate, mamme straniere con problemi
relativi al permesso di soggiorno o alla scarsa
conoscenza della lingua italiana. In particolare
per le mamme con situazioni legali critiche è a
disposizione un apposito servizio legale.
Ubicazione e orari
La stanza-sportello di “Fiocchi in
Ospedale” si trova al quinto piano
del Policlinico nel reparto di Ostetricia
(stanza 505 b)
Apertura. Dal lunedì al venerdì dalle
10.00 alle 14.00
Tel.: 06.3015.6764 cell. 3450422899
email: [email protected]
Tutti i servizi sono gratuiti
Responsabili del servizio:
dott.ssa Anna Maria Serio
(Psicologa Clinica e Psicoterapeuta)
dott.ssa Lavinia Palmieri (Antropologa)
Quella che segue è la testimonianza di
una giovane paziente che, grazie al
progetto Fiocchi in Ospedale, può oggi
raccontare con un sorriso la vicenda,
non semplice, della quale è stata protagonista.
“
Sono venuta a sapere del servizio
Fiocchi in ospedale quando ero ricoverata nel reparto di Patologia ostetrica al
Gemelli durante la gravidanza: ho chiesto
aiuto, essendo una ragazza madre, e mi è
stato offerto. Mi hanno messo subito in
contatto con l’assistente sociale per trovarmi una casa-famiglia e da lì è iniziato un
percorso. Come neo-mamma mi sono sentita molto in difficoltà senza sapere dove andare nè cosa fare e soprattutto perché.
La gravidanza non è stata tanto pesante,
ma poi i miei problemi di salute sono andati peggiorando prima della nascita del bimbo e in più si è scoperto che il bimbo avrebbe dovuto fare un piccolo intervento al cuore dopo la nascita.
Per tutti questi motivi la presenza di qualcuno vicino dopo il parto e il sostegno morale e psicologico che mi ha dato il progetto
Fiocchi è stato importante: poter fare domande, avere una risposta e avere qualcuno
vicino con cui condividere quello che succede e preoccupa è stato fondamentale. Fare
incontrare le mamme nello spazio di Fiocchi, lo scambio di esperienze, condividere le
domande, comunicare è bello e utile.
E ascoltare le altre mamme aiuta e
rassicura.
“
Uno spazio di ascolto e di accoglienza per accompagnare mamme e coppie fragili - con difficoltà sociali, psicologiche, economiche - durante la gravidanza e nei primi mesi di vita dei
loro bambini: questo il cuore del progetto
“Fiocchi in Ospedale”, realizzato da Save the
Children Italia Onlus - la più importante organizzazione internazionale dedicata dal 1919 a
salvare i bambini e promuoverne i diritti - in
diverse città italiane all’interno delle strutture
ospedaliere, e accolto e promosso dal Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna,
della Vita nascente, del Bambino e dell’Adolescente del Policlinico Gemelli, diretto dal prof.
Giovanni Scambia.
Il progetto ha l’obiettivo di promuovere il benessere dei bambini fin dai primi giorni di vita
sostenendo i genitori soprattutto se in condizioni di disagio psicologico, sociale ed economico.
“Fiocchi in Ospedale” lavora, in particolare, in
sinergia con il Polo Donna, coordinato dalla
dott.ssa Sara De Carolis, con i reparti e i servizi
afferenti alla Psicopatologia Perinatale, coordinata dal dott. Lucio Rinaldi, con il Servizio Sociale
materno-infantile, afferente alla Direzione Sanitaria, coordinato dalla dott.ssa Francesca Giansante e con le strutture territoriali: servizi sociosanitari e realtà del privato sociale.
“L’ idea di portare il progetto Fiocchi in Ospedale al Policlinico Gemelli - dichiara la dott.ssa De
Carolis - nasce dalla necessità di avere un luogo fisico che raccolga i bisogni delle donne e
dei loro compagni, un punto di ascolto e di accoglienza”. Al Policlinico, Centro di III livello,
punto di riferimento per le gravidanze ad alto
rischio e per i parti prematuri, dotato di una Terapia Intensiva Neonatale (TIN), afferiscono
donne in gravidanza con esigenze di diversa natura non solo dal punto di vista medico, ma
anche logistico (molte provengono da fuori Ro-
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Aprile 2015 Anno 3 n. 4
Posizionare senza errori i cateteri venosi CVC
con la nuova tecnica dell’ ECG intracavitario
Le diverse tipologie
di dispositivi CVC
Esistono diversi tipi di CVC:
• PICC (Peripherally Inserted Central
Catheters) cateteri centrali ad inserimento periferico. La punta è posizionata in prossimità della giunzione cavo-atriale, ma l’inserimento avviene
solitamente a partire dalle vene del
braccio (vena basilica, vene brachiali,
vena cefalica). Sono accessi venosi a
medio-lungo termine, destinati ad un
utilizzo sia continuo che discontinuo,
sia intra che extra-ospedaliero. Sono
costruiti con materiali ad alta biocompatibilità, di calibro solitamente compreso tra i 3 ed i 6 French (da 1 a 3
mm.).
• CICC (Centrally Inserted Central
Catheters) cateteri centrali ad inserimento centrale. L’ inserimento infatti
avviene a partire dalle vene del torace
e del collo (vena ascellare, vena succlavia, vena anonima, vena giugulare).
Sono accessi venosi a breve termine,
destinati ad un utilizzo sia continuo
che discontinuo, sia intra- che extraospedaliero.
• Sistemi venosi centrali totalmente impiantabili tipo Port, costituiti da un CVC
(PICC o CICC) connesso a un reservoir
completamente nascosto sottocute.
Cateteri periferici:
• Il Midline è un catetere periferico, la
sua punta infatti rimane a livello della
vena ascellare o della vena succlavia o
comunque in posizione “non centrale”; si inserisce quindi senza necessità
di tecnica dell’ECG intracavitario o del
controllo radiologico. Questo dispositivo, pertanto, non consente gli utilizzi
tipici dei cateteri venosi centrali
(CVC) “classici”. Rimane pertanto utilizzabile per terapie farmacologiche e
nutrizionali compatibili con la via periferica (osmolarità < 800 mOsm/l, pH
tra 5 e 9, farmaci non vescicanti e non
irritanti per l’endotelio).
Le linee guida dei CDC di Atlanta raccomandano fortemente (categoria IB)
l’utilizzo di cateteri PICC o Midline
quando la durata della terapia endovenosa sarà con probabilità più lunga di
6 giorni.
I Cateteri Venosi Centrali (CVC) sono dispositivi impiegati per la somministrazione endovenosa di farmaci (antibiotici, chemioterapici,
terapia di supporto…) e per l’infusione di liquidi o di sacche di nutrizione parenterale
(alimentazione per via venosa). I CVC vengono utilizzati soprattutto in terapia intensiva o
in oncologia, quando le vene superficiali (generalmente delle braccia) si sono “rovinate”
(diventando dure, flebitiche) o sono inadatte a
‘sopportare’ determinati farmaci particolarmente ‘irritanti’.
Il posizionamento del CVC è una procedura
che dura poco più di un quarto d’ora. Deve
essere eseguito da mani esperte e con tecnica
sterile. Il Policlinico Gemelli vanta un gruppo
di medici e di infermieri dedicati particolarmente esperti in quest’ambito ultra-specialistico: il PICC team (dal termine ‘PICC’, Peripherally Inserted Central Catheters, che indica i
CVC che vengono inseriti nelle vene del braccio).
Per funzionare in maniera ottimale, la punta
del CVC deve arrivare al cuore. Più esattamente, nel punto in cui la vena cava superiore
(che drena il sangue dalla testa e dalle braccia)
si “tuffa” nell’atrio destro (giunzione atrio-cavale). Un errato posizionamento della punta
del CVC si associa al rischio di malfunzionamento del dispositivo, formazione di trombi
venosi, aritmie e danni vasali.
Per introdurre il CVC nelle vene del braccio
gli specialisti del Gemelli si aiutano sempre
con la sonda ecografica (oggi anche wireless,
ovvero senza fili), che rende la manovra più
sicura, più veloce e più efficace. Gli ultrasuoni
permettono di visualizzare perfettamente la
vena da pungere, evitando tentativi “al buio”.
L’ operazione si fa con l’infiltrazione di una
minima quantità di anestetico locale nella sede della puntura. Il problema è capire quando
la punta del CVC è arrivata a destinazione.
Tradizionalmente il controllo viene eseguito
empiricamente confrontando le misure del
CVC con quelle del braccio del paziente e
controllando la punta (radiopaca) con una radiografia.
La nuova tecnica dell’ECG intracavitario, inventata più di 50 anni fa in Germania e recentemente riscoperta e perfezionata proprio dal
PICC team del Policlinico Gemelli, permette
di evitare calcoli approssimativi al letto del
paziente e soprattutto il controllo radiografico. La tecnica risulta anche più affidabile e costo-efficace rispetto al controllo radiologico.
La tecnica dell’ECG intracavitario si basa sulle
modificazioni morfologiche e di ampiezza che
subisce l’onda P quando la punta del CVC si
avvicina all’atrio destro del cuore. Il catetere
(riempito di soluzione salina) funge da elet-
Una soluzione affidabile
e costo-efficace che garantisce
molteplici vantaggi per il paziente.
Al Gemelli la procedura
è affidata a un team specializzato
trodo esplorante. Come una specie di bastone
del rabdomante che varia la frequenza delle
vibrazioni quando si avvicina all’acqua, l’ onda
P, registrata dinamicamente, aumenta progressivamente con l’avvicinamento all’atrio destro
diventando bifasica all’interno dell’atrio e
completamente negativa una volta che l’ha superato.
La verifica durante la manovra (piuttosto che
dopo la manovra, come tradizionalmente si fa
con la radiografia del torace) evita i costi e i
rischi associati alla necessità di riposizionare il
PICC (quando la punta non è stata collocata
in sede corretta).
Nella foto, i professori Mauro Pittiruti e Antonio La Greca, chirurghi d’urgenza, che con la
collaborazione dei dott. Giancarlo Scoppett uol o e D a ni el e B ia su cc i e degli infermieri
Alessandro Emoli e Andrea Musarò hanno lavorato al Gemelli allo studio della metodica e
alla sua implementazione.
Per approfondire
La Greca: Evaluation techniques of the
PICC: tip placement. In S. Sandrucci, B.
Mussa (eds), Peripherally Inserted Central
Venous Catheters DOI 10.1007/978-88470-5665-7_7, © Springer-Verlag Italia
2014
http://www.gavecelt.it/uploads/vantaggi_e_co
sto_efficacia_del_metodo_ecg.pdf
Aprile 2015 Anno 3 n. 4
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Parte dal Gemelli la prima rete nazionale
dei percorsi per i pazienti con cancro
Per offrire risposte più pronte, sicure ed efficaci
alla sempre crescente domanda di salute che rispondano ai requisiti del governo clinico, il Gemelli ha recentemente compiuto un profondo ripensamento dell’organizzazione interna e delle
modalità di erogazione delle cure, concentrando
in modo omogeneo e integrato le varie attività,
trasformando di fatto la struttura da “Policlinico”
in “Poli-clinics”.
Da questo progetto sono nati infatti cinque Poli:
il Polo Cardiovascolare, il Polo Donna, il Polo
Emergenza, il Polo Neuroscienze e il Polo Oncologico che hanno consentito di riorganizzare in
modo integrato professionalità e tecnologie per
realizzare luoghi di cura certi e riferimenti facilmente identificabili. Tutti gli utenti hanno in
questo modo la possibilità di accedere ai percorsi clinico assistenziali dei Poli per affrontare i vari
problemi di salute, trovando le risposte più idonee a soddisfare le proprie esigenze, che risulteranno sempre prioritarie per tutti gli operatori.
Per informazioni sull'organizzazione
dei Poli assistenziali del Gemelli:
Governo Clinico: 06 3015.5955
email: [email protected]
Per iniziativa del Policlinico Agostino
Gemelli la prima Rete nazionale
dei percorsi per i pazienti con cancro
Alcune tra le migliori strutture oncologiche in
Italia ma anche in Europa (IRCCS Istituto Oncologico del Veneto di Padova, Azienda Ospedaliera “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo, IRCCS
Istituto Clinico Humanitas di Rozzano-Milano,
Fondazione Poliambulanza di Brescia, Azienda
Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda di Milano)
hanno accolto l’invito del Policlinico Universitario “A. Gemelli” di costituire una rete tra “pari”,
fondata su regole rigorose e condivise di confronto delle performance dei propri percorsi clinici assistenziali in oncologia, allo scopo di migliorare la qualità delle cure.
E’ la prima esperienza in Italia e tra le prime in
Europa: ogni struttura, pubblica o privata, secondo finalità che non contrastano con la propria mission e natura istituzionale o con l’appartenenza a preesistenti reti per patologia, decide
di confrontarsi con le altre per migliorare gli
aspetti clinici, assistenziali e la qualità percepita
dal paziente con il cancro.
La selezione di questo primo nucleo è tra le
strutture con cui il Policlinico Universitario
“Agostino Gemelli” - all’interno della rete dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - tiene relazioni solide, specie nel settore della formazione
e della ricerca, già formalizzate da tempo e tra i
centri in cui si sono instaurati altrettanto solidi
rapporti di collaborazione scientifica, clinica e
gestionale, grazie alla stima e alla fruttuosa partecipazione dei professionisti alle operanti reti di
ricerca, gestione ed assistenza regionali, nazionali ed internazionali, nei settori di reciproca competenza.
Rete nazionale dei percorsi
per i pazienti con cancro
La rete non è solo fatta da clinici, le migliori cure
sono garantite dalle strutture gestite meglio e più
attente ai valori della persona ed i percorsi clinico-assistenziali, per garantire le cure migliori,
più tempestive ed appropriate alla persona, richiedono un costante lavoro di squadra tra medici e manager. E’ rilevante il fatto che nella giornata di insediamento della Rete, a Treviso il 18
novembre 2014, abbiano partecipato per tutte
le strutture aderenti insieme Clinici dell’area oncologica con Direttori Generali ed altri dirigenti
apicali. Per il Policlinico Gemelli, il Direttore
Generale dell’epoca, dr. Maurizio Guizzardi, il
responsabile del Governo Clinico, dr. Antonio
Giulio de Belvis e il primario oncologo, prof.
Carlo Maria Barone.
Promuovere reti di cura con i principali ospedali
italiani rientra nella strategia anche del nuovo
Direttore del nostro Policlinico, l’ing. Enrico
Zampedri: costruire reti assistenziali in cui i migliori ospedali in Italia ed in Europa si confrontino sulle migliori cure praticabili, la centralità del
paziente, la ricerca clinica, la formazione, oltre
che sulla migliore gestione. Per incidere concretamente sulla qualità delle cure dedicate ad
uno specifico problema di salute, ogni ospedale
della Rete ha deciso di confrontare le proprie
performance clinico-assistenziali relativamente
ad un problema di salute ben definito: il tumore
maligno al colon-retto.
Secondo i dati più recenti INT-ISS, si stima che
in Italia nel 2013 siano stati diagnosticati 113
nuovi casi di tumore al colon-retto ogni 100.000
uomini e 80 nuovi casi ogni 100.000 donne. La
mortalità per cancro del colon-retto è in diminuzione in entrambi i sessi e nel 2013 si stimano
20.670 decessi totali, 11.760 tra gli uomini e
8.910 tra le donne.
Sempre nel 2013, solo per il colon, secondo i
dati pubblicati nel Progetto Nazionale Esiti di
Agenas, le strutture aderenti alla nostra Rete
hanno ricoverato per intervento chirurgico quasi
1000 pazienti (Figura 2).
Interventi chirurgici per Tumore
maligno del colon nel 2013
Organizzare le cure per percorsi clinico-assistenziali permette agli operatori di gestire in modo
strutturato, corale e funzionale tutto l’iter diagnostico-terapeutico-assistenziale. In pratica: migliorare la qualità dell'assistenza, in coerenza con
le linee guida basate sulle migliori prove di efficacia disponibili; garantire la presa in carico assistenziale del paziente nelle varie fasi di un percorso integrato e di qualità; ridurre i tempi dell'iter diagnostico terapeutico; garantire la comunicazione al paziente di una corretta informazione;
ottimizzare ulteriormente la qualità dell’assistenza erogata, attraverso la messa a punto di un sistema di indicatori di processo e di esito e il monitoraggio degli stessi.
Le strutture aderenti alla Rete hanno deciso, come primo passaggio, di confrontare le modalità
di realizzazione dei propri percorsi e di analizzare gli aspetti salienti della qualità delle cure: ad
esempio, il tempo trascorso tra diagnosi e intervento chirurgico o a chemio/radioterapia; la
quota di ricoveri ripetuti entro i 45 giorni dalla
dimissione ospedaliera; la quota di utilizzo di
nuove tecnologie nella diagnosi, in chirurgia e
nelle cosiddette terapie adiuvanti.
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