Abc Teoria
Compendio
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Indice
Voci
Apparato genitale maschile
1
Apparato genitale femminile
8
Candidosi
12
Herpes genitale
16
Chlamydia
19
Sifilide
21
HIV
29
Epatite C
40
Note
Fonti e autori delle voci
49
Fonti, licenze e autori delle immagini
50
Licenze della voce
Licenza
52
Apparato genitale maschile
1
Apparato genitale maschile
L'apparato genitale maschile è l'insieme di
organi e di strutture che permettono la
riproduzione sessuale negli organismi
animali di sesso maschile[1].
Anatomia umana
L'apparato genitale maschile si sviluppa
parzialmente verso l'esterno con il pene e lo
scroto, contenente i testicoli e gli epididimi.
Non sono invece visibili gli altri organi,
ovvero le vie spermatiche, le vescicole
seminali, le ghiandole bulbouretrali e la
prostata.
1 - Vescica 2 - Osso pubico 3 - Pene 4 - Corpo cavernoso 5 - Glande 6 - Prepuzio 7
- Uretra 8 - Sigma (anatomia)Colon sigmoideo 9 - Retto 10 - Vescicola seminale
11 - Dotto eiaculatore 12 - Prostata 13 - Ghiandole di Cowper 14 - Ano 15 - Dotto
deferente 16 - Epididimo 17 - Testicolo 18 - Scroto
Organi genitali
Testicolo umano, ricoperto dalle tre tonache.
Apparato genitale maschile
2
Testicoli
Per approfondire, vedi Testicolo.
Il testicolo è un organo pari di forma ellissoidale che rappresenta la gonade maschile; misura 4–5 cm in lunghezza,
2,5 cm in larghezza e 3 cm nel suo diametro anteroposteriore e pesa solitamente sui 10,5-14 grammi. Il testicolo di
sinistra si trova solitamente più in basso del testicolo di destra ed entrambi sono separati da un setto chiamato setto
scrotale[].
Sono situati nella borsa scrotale, sotto il pene. Ciascun testicolo risulta mobile e la sua posizione dipende dal
rilasciamento e dalla contrazione del muscolo cremastere e della parete della borsa scrotale. Ha una consistenza
molle elastica e un colorito bianco-azzurrognolo. Risultano ricoperti da tre tonache, dall'esterno all'interno: la
vaginale, l'albuginea e la vascolare. I testicoli sono responsabili della produzione dello sperma e del testosterone.
Vie spermatiche
Tubuli retti e rete testis
Il parenchima testicolare è costituito da un limitato numero di tubuli seminiferi, la cui parte terminale del tubulo è
rettilinea e viene chiamata tubulo retto. Questi, sprovvisti di cellule deputate alla spermatogenesi, vanno ad aprirsi in
una struttura reticolare fittamente anastomizzata, definita rete testis e situata nel mediastino testicolare. Da questa
originano una dozzina di condotti efferenti che raggiungono la testa dell’epididimo[2].
Struttura dell'epididimo:
A. Testa
B. Corpo
C. Coda
D. Dotto deferente
Apparato genitale maschile
3
Epididimo
Per approfondire, vedi Epididimo.
L'epididimo è situato postero-lateralmente a ciascun testicolo. Strutturalmente si compone di una testa voluminosa,
un corpo e una coda, che si continua con il dotto deferente. È formato da un singolo condotto che origina dai condotti
efferenti della rete testis, lungo circa sei metri ed estremamente spiralizzato, mantenuto nella sua forma da
connettivo fibroso. Qui avviene la maturazione definitiva degli spermatozoi[3][4].
Dotto deferente
Per approfondire, vedi Dotto deferente.
Lungo circa 30 cm, ha una forma cilindrica e una consistenza dura, dovuto al fatto che è fornito di un tessuto
muscolare molto spesso. Originano dalla coda dell'epididimo e fungono da principale sede di deposito degli
spermatozoi maturi. Dall'epididimo risalgono sino all'orifizio esterno del canale inguinale e lo imboccano per
decorrervi internamente[5]. Una volta fuoriusciti dall'orifizio interno del canale inguinale, si portano, piegandosi,
lateralmente alla vescica, e successivamente si dirigono medialmente incrociando gli ureteri e ricevendo, in
corrispondenza della faccia posteriore della vescica, il dotto escretore della vescicola seminale. L'ultima porzione del
dotto deferente è dilatata ed è definita porzione ampollare.
Prostata e vescicole seminali in relazione con la vescica
Apparato genitale maschile
4
Vescicole seminali
Per approfondire, vedi Vescicola seminale.
Le vescicole o vescichette seminali sono condotti spiraliformi, situati tra il retto e la vescica, di forma piramidale e
lunghi circa cinque centimetri. Il polo superiore è a fondo cieco, mentre quello inferiore si unisce al dotto deferente a
formare il condotto eiaculatore, che a sua volta percorrerà il parenchima della prostata per aprirsi nell'uretra[6]. Sono
formate da epitelio pseudostratificato e sono responsabili della produzione di circa l'85% del liquido seminale.
Prostata
Per approfondire, vedi Prostata.
La prostata è un organo ghiandolare posto inferiormente alla vescica e all'orifizio uretrale interno e circonda la prima
porzione dell'uretra, definita pertanto uretra prostatica. Ha la forma, le dimensioni e la consistenza di una castagna[7].
È avvolta da una densa capsula fibrosa, mentre strutturalmente il parenchima prostatico è costituito da un insieme di
ghiandole tubuloalveolari, circondate da un tessuto fibroso contenente cellule muscolari lisce che si contraggono al
momento dell'eiaculazione[]. La prostata produce e secerne un liquido poco viscoso, alcalino e lattescente che serve a
stimolare la motilità degli spermatozoi. È responsabile della produzione di circa il 15% del liquido seminale.
Ghiandole di Cowper
Per approfondire, vedi Ghiandole di Cowper.
Le ghiandole bulbouretrali o di Cowper sono piccole ghiandole esocrine, di 3–5 mm di diametro e caratterizzate da
un epitelio cubico o colonnare, situate alla radice del pene all'altezza dell'uretra membranosa. La loro capsula
fibroelastica è composta, da fibroblasti e cellule muscolari lisce, oltre che dalle fibre muscolari scheletriche
provenienti dai muscoli del diaframma urogenitale. Dalla capsula originano dei setti che dividono ogni ghiandola in
lobuli definiti cisterne.
Apparato genitale maschile
5
Pene umano. Sono visibili i tre corpi cavernosi che
contribuiscono alla formazione e i rapporti con la prostata.
Il pene
Per approfondire, vedi Pene.
Il pene è l'organo maschile deputato alla copulazione. È una struttura breve, pendula, sospesa dinnanzi e ai lati
dall'arcata pubica. È formato da tre masse cilindriche di tessuto cavernoso erettile tenute insieme da connettivo
fibroso e avvolte da cute:
• le due masse con sede laterale sono dette corpi cavernosi del pene;
• la terza massa, denominata corpo cavernoso dell'uretra o spongioso, costituisce la porzione ventrale dell'organo e
avvolge il tratto penieno dell'uretra.
Il termine cavernoso serve a indicare la notevole quantità di spazi venosi (caverne) presenti in tali strutture, possono
riempirsi di sangue durante l'eccitazione sessuale per permettere il fenomeno dell'erezione.
La porzione terminale del pene, detta glande, appare lievemente espansa ed è formata interamente dal corpo
spongioso dell'uretra, ricoprendo dall'alto le estremità distali dei corpi cavernosi del pene. Verso l'apice del glande è
visibile il meato uretrale, l'ultimo tratto dell'uretra. Il rivestimento cutaneo del pene è alquanto lasso e costituisce una
piega, il prepuzio, che ricopre quasi completamente il glande.
Apparato genitale maschile
6
Vascolarizzazione
Per approfondire, vedi Funicolo spermatico.
L’arteria più importante per il testicolo è l’arteria spermatica o testicolare. Quest’ultima nasce dalla faccia anteriore
dell’aorta addominale a livello della L2 (stesso livello dell’origine del testicolo), in sede retro-peritoneale e fa parte
dei rami pari (i rami dell’aorta addominale si dividono in pari e impari). Continua nella sua discesa lungo la parete
addominale posteriore accompagnata dalla corrispondente vene e incrocia, sia a destra che a sinistra, l’uretere.
Continuando la sua discesa passa al di sotto del peritoneo della cavità pelvica e si inserisce nel canale inguinale.
Prima di raggiungere il testicolo, l’arteria spermatica cede dei rami all’epididimo che sono: un ramo anteriore, che va
ad irrorare la testa dell’epididimo e un ramo posteriore, che va ad irrorare corpo e coda dell’epididimo. Raggiunge
quindi l’organo e si divide in ramo mediale e laterale per le corrispondenti facce. Il ramo posteriore che irrora il
corpo e la coda dell’epididimo, in corrispondenza della coda, andrà ad anastomizzarsi con l’arteria deferenziale che,
come dice il nome, irrora il dotto deferente ed è un ramo della arteria vescicolodeferenziale . Il testicolo è raggiunto
da tre arterie in tutto: l’arteria spermatica, l’arteria deferenziale, l’arteria funicolare cremasterica. Quest’ultima nasce
dall’arteria epigastrica inferiore e scende insieme al funicolo spermatico fino alla porzione inferiore del deferente
dove partecipa all’anastomosi con l’arteria deferenziale e il ramo posteriore dell’arteria spermatica. L’arteria
funicolare cremasterica è molto importante per la vascolarizzazione delle tonache che circondano il testicolo. Per
quanto riguarda il ritorno venoso, le vene che nascono dal testicolo e dall’epididimo vanno a formare un ricco plesso,
il plesso pampiniforme, che si posiziona in parte anteriormente al dotto deferente, prendendo il nome di plesso
predeferenziale (più voluminoso), e in parte posteriormente, prendendo il nome di plesso postdeferenziale. Questi
plessi, che hanno anche una funzione termoregolatrice nei confronti del testicolo, si dirigono verso l’alto andando a
far parte del cordone spermatico e subiscono poi due destini differenti: il plesso postdeferenziale, il meno
voluminoso, si raccoglie in vene che andranno a confluire nella vena iliaca esterna; il plesso predeferenziale invece si
raccoglie per formare la vena spermatico testicolare, la quale percorre il canale inguinale, fuoriesce dall’orifizio
addominale, segue il decorso dell’arteria testicolare, incrociando l’uretere. Qui il destino delle due vene spermatiche è
diverso (caratteristica delle vene genitali in generale, quindi anche quelle ovariche hanno lo stesso destino): la vena
spermatica o testicolare di destra, come ci si aspetta, terminerà nella vena cava inferiore; la vena spermatica o
testicolare di sinistra si porterà nella vena renale di sinistra, che a sua volta terminerà nella vena cava inferiore.
Innervazione
L'innervazione dell'apparato genitale maschile è estremamente importante sia per il fenomeno dell'eiaculazione sia
per quello dell'erezione. L'eiaculazione è il processo mediante il quale, attraverso delle contrazioni ritmiche, viene
espulso attraverso l'uretra peniena lo sperma maschile; lo sperma consta di una componente prodotta nei testicoli,
principalmente spermatozoi, e di una componente propriamente detta liquido seminale prodotta nelle vescichette
seminali e nella prostata. La prima parte dell'eiaculazione consiste quindi nel movimento degli spermatozoi dai
testicoli fino all'uretra prostatica attraverso il dotto deferente, e questo movimento è assicurato da contrazioni della
muscolatura involontaria adopera dell'ortosimpatico tramite il nervo genito-femorale. Anche la contrazione delle
vescichette seminali e della prostata che contengono il liquido seminale avviene a opera dell'ortosimpatico che
oltretutto opera un altro passaggio principale, ossia la chiusura dello sfintere interno dell'uretra. La contrazione dei
muscoli bulbo-cavernosi e ischio-cavernosi invece è opera del sistema motorio e nello specifico del nervo pudendo,
così come anche l'innervazione sensitiva è pudendo-dipendente. Il fenomeno dell'erezione invece avviene per la
dilatazione vasale operata dal parasimpatico sacrale che favorisce l'afflusso di un maggior quantitativo di sangue. Il
parasimpatico quindi opera inibendo la contrazione simpatica, e questo è possibile grazie al rilascio endoteliale di
ossido nitrico che opera quindi in questo caso da secondo messaggero.
Apparato genitale maschile
7
Note
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
[7]
Voce Treccani (http:/ / www. treccani. it/ enciclopedia/ apparato-genitale/ )
, 2009.
, 2009.
, 2001.
, 2009.
, 2009.
, 2009.
Bibliografia
• Standring, Anatomia del Gray, Elsevier, 2009.
• Wheater, Istologia e anatomia microscopica, Milano, Ambrosiana, 2001. ISBN 88-408-1171-0.
Altri progetti
•
Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Pagina_principale?uselang=it) contiene immagini o altri
file su Apparato genitale maschile (http://commons.wikimedia.org/wiki/
Category:Male_reproductive_system?uselang=it)
Collegamenti esterni
• Apparato genitale maschile (http://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=27751) in « Tesauro del Nuovo
Soggettario (http://thes.bncf.firenze.sbn.it/)», BNCF, marzo 2013.
Portale Anatomia
Portale Medicina
Apparato genitale femminile
8
Apparato genitale femminile
L'apparato genitale femminile, negli
organismi anfigonici è l'insieme degli organi
e delle strutture che permettono la
riproduzione e l'accoppiamento negli
animali femminili.
L'evidenza esteriore può assumere differenti
aspetti anatomici, con l'orifizio posizionato
presso l'apertura del sistema escretore,
integrandosi con lo sbocco esterno del
sistema escretore (apparato urogenitale),
integrandosi anche con lo sbocco terminale
del
sistema
digerente
(cloaca),
disgiungendosi completamente (esempio
gonoporo nei crostacei ed altri artropodi),
risultando coperto da strutture protettive,
come l'epigino dei ragni o mancando
totalmente di apertura esterna come negli
organismi ad inseminazione traumatica,
come alcuni emitteri eterotteri.
Vista in sezione dell'apparato genitale femminile umano
Anatomia dei vertebrati
Anatomia umana
L'apparato genitale femminile è composto
da due parti principali:
• genitali interni, utero e annessi (salpingi,
ovaie)
• genitali esterni, vulva e annessi.
Genitali interni
Vista in sezione dell'apparato genitale femminile di ragno
Apparato genitale femminile
9
Ovaia
Le ovaie sono organi pari, piccoli, situati sulle pareti laterali della piccola pelvi. Le ovaie sono formate da follicoli
ovarici che liberano le cellule uovo mature: queste discendono nelle Tube di Falloppio dove avviene la fecondazione
(se l'ambiente è favorevole e sono presenti spermatozoi attivi). Se l'uovo non viene fecondato entro 24 ore, viene
eliminato tramite la mestruazione, se invece viene fecondato, l'ovulo discende nell'utero dove si forma lo zigote.
Salpinge
Tromba o tuba di Falloppio.
Utero
L'utero è un organo impari, cavo, muscolare. Assomiglia alla forma di
una pera rovesciata. Si trova tra il retto e la vescica. La cavità dell'utero
è distinta in tre parti:
• corpo, in rapporto con la vescica e delimita lo spazio o cavo
vescica-uterino;
• collo;
• istmo;
L'utero è formato da tre tessuti diversi:
• tonaca esterna o perimetrio, rappresentata da peritoneo;
• tonaca muscolare o miometrio , composta da fasci di muscolatura liscia;
• mucosa uterina o endometrio, un epitelio cilindrico monostratificato.
Vista schematica frontale
Apparato genitale femminile
10
Vagina
La vagina è il canale antistante l'utero e, nel rapporto sessuale, è l'organo che accoglie il genitale maschile (pene). La
vagina è la sede in cui si può prevenire meccanicamente o chimicamente la fecondazione, inserendo appositi sistemi,
quali ad es. il diaframma e la spirale intrauterina o I.U.D. (Intra Uterine Device), che vanno a chiudere la bocca
dell'utero e/o inibire la fecondazione.
Genitali esterni
Vulva
È un'area disposta in senso verticale e costituita da parti differenti:
•
•
•
•
•
•
monte di Venere
prepuzio clitorideo
clitoride
grandi labbra
piccole labbra
orifizio uretrale
• imene
• orifizio vaginale.
Attività dell'apparato genitale femminile
L'apparato genitale femminile ha funzioni sia riproduttive che
endocrine:
• funzione riproduttiva: produce gameti femminili;
• funzione endocrina: produce ormoni femminili, quali gli estrogeni e
i progestinici.
Anatomia della vulva, dall'alto (pube) al basso
(orifizio vaginale):
— Pube - Monte di Venere
— Prepuzio clitorideo
— Glande clitorideo
— Grandi labbra
— Piccole labbra
— Orifizio uretrale
— Imene
— Orifizio vaginale
— Perineo
— Ano
Evoluzione embrionale e fetale dell'apparato genitale
Maschi e femmine evolvono da un essere comune asessuato/ermafrodita dotato di genitali esterni di tipo femminile
con un relativamente ampio clitoride. Nel maschio le labbra minori e quelle maggiori si fondono per formare lo
scroto. Il vestibolo del clitoride si allunga e forma il pene. Nella donna la crescita delle piccole labbra e grandi labbra
è molto superiore all'evoluzione del clitoride, che rimane di dimensioni ridotte.
• Nel corpo dell'embrione e del feto, si trovano 4 condotti con forma di tubicini molto esili, chiamati con l'eponimo
dei loro divulgatori: due dotti di Müller e due di Wolff.
• Nel maschio i condotti di Wolff si sviluppano fino a formare i condotti eiaculatori, l'epididimo, i canali deferenti e
la prostata. Gli abbozzi dei testicoli all'inizio si trovano molto più in alto, ai lati della vescica, sopra l'inguine (più
o meno dove si trovano le ovaie nella donna), ghiandole gonadiche che nell'infanzia scenderanno nel canale
inguinale (protette dal sacco costituito dal muscolo cremastere) e accompagnate dal funicolo spermatico per
essere già presenti nello scroto (a 10 anni) prima dell'inizio della pubertà (11-12 anni).
Per approfondire, vedi Apparato genitale maschile.
• Nella donna, mentre i condotti di Wolff si atrofizzano, i condotti di Müller si fondono lungo un asse che formerà
per 1/3 la vagina, per un altro terzo l'utero e per l'altro terzo rimarranno simili agli originali dotti di Müller
formando le tube di Falloppio. Nelle fasi iniziali dell'embrione esiste soltanto l'ano, la vagina si trova all'interno
dell'addome, dietro la vescica, ma lentamente si avvicina all'inguine per operarvi una scissura e diventare una
cavità solo parzialmente aperta all'esterno, rimanendo una membrana più o meno sottile e cribrosa costituita
Apparato genitale femminile
11
dall'imene.
• Le tube di Falloppio non entrano in contatto con l'ovaio se non durante l'ovulazione, quando si approssimano ad
esso per indurre l'ovulazione.
• Alla nascita tutte le strutture principali sono presenti, variano soltanto in dimensioni, spessore e trofismo della
mucosa, in base al tipo di ormone attivo in quel momento.
Voci correlate
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Ciclo mestruale
Ciclo ovarico
Imene
Utero
Vagina
Clitoride
Dotto di Nuck
Vulva
Ghiandole di Bartolini
Ghiandole di Skene
Altri progetti
•
Commons [1] contiene immagini o altri file su Apparato genitale femminile [2]
Collegamenti esterni
•
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•
•
Scheda esplicativa su Scegli Tu [3]
Glossario di sessuologia clinica [4]
Female Reproductive System [5]
Apparato genitale femminile [6] in «Tesauro del Nuovo Soggettario [7]», BNCF, marzo 2013.
Portale Anatomia
Portale Biologia
Portale Medicina
Note
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
[7]
http:/ / commons. wikimedia. org/ wiki/ Pagina_principale?uselang=it
http:/ / commons. wikimedia. org/ wiki/ Category:Female_reproductive_system?uselang=it
http:/ / www. sceglitu. it/ sesso-e-salute/ genitali-f/ lapparato-genitale-femminile
http:/ / www. sexology. it/ glossario_sessuologia. html
http:/ / kidshealth. org/ teen/ sexual_health/ changing_body/ female_repro. html
http:/ / thes. bncf. firenze. sbn. it/ termine. php?id=4088
http:/ / thes. bncf. firenze. sbn. it/
Candidosi
12
Candidosi
Candidosi
Coltura di Candida albicans
Classificazione e risorse esterne
ICD-9-CM
(EN) 112
ICD-10
(EN) B37
[1]
[2]
La candidosi, detta anche candidiasi o moniliasi, è un'infezione da funghi del genere Candida, di cui Candida
albicans è il più comune.
La candidosi comprende le infezioni che vanno dal livello superficiale, come ad esempio il mughetto orale e le
vaginiti, a quelle sistemiche potenzialmente mortali. Le infezioni da candida di quest'ultima categoria sono anche
denominate candidemia e sono solitamente limitate alle persone gravemente immunocompromesse, come i malati di
cancro, i trapiantati, gli affetti da AIDS così come i pazienti non traumatici sottoposti a intervento chirurgico di
emergenza.
Le infezioni superficiali della pelle e delle membrane mucose causate dalla candida sono responsabili di
infiammazioni locali e di sensazioni di disagio in molte popolazioni umane. La malattia è sempre chiaramente
imputabile alla presenza degli agenti patogeni opportunisti del genere Candida, ma la candidiasi descrive un numero
di sindromi patologiche diverse che spesso differiscono nelle loro cause e nella prognosi.
Storia
La prima descrizione di quello che sembra essere il mughetto orale, risale el tempo di Ippocrate, intorno al 460-370
a.C..
Il genere e la specie di Candida albicans C. sono stati descritti dalla botanica Christine Marie Berkhout nella sua tesi
di dottorato presso l'Università di Utrecht nel 1923. Nel corso degli anni, la classificazione dei generi e delle specie
si è evoluta. I nomi obsoleti per questo genere includono Mycotorula e Torulopsis. La specie inoltre è stato
conosciuta in passato come Monilia albicans e Oidium albicans. La classificazione attuale è nomen conservandum, il
che significa che il nome è autorizzato per l'uso da parte dell'International Botanical Congress (IBC).
Il genere Candida comprende circa 150 specie diverse, tuttavia, solo poche sono noti per causare infezioni umane. La
C. albicans è la specie patogena più significativa. Altre specie patogene Candida nell'uomo comprendono C.
tropicalis, C. glabrata, C. krusei, C. parapsilosis, C. dubliniensis e C. lusitaniae.
Candidosi
13
Segni e sintomi
La maggior parte delle infezioni da Candida sono curabili e portano a
complicazioni minime, come arrossamento, prurito e fastidio, anche se,
in certe popolazioni, le complicanze possono avere esiti gravi o
addirittura fatali se non opportunamente trattate. In persone
immunosoppresse, la candidosi si presenta come un'infezione molto
localizzata della pelle o delle membrane mucose, compresa la cavità
orale (mughetto), la faringe o l'esofago, del tratto gastrointestinale,
della vescica urinaria, o dei genitali (vagina, pene).
La candidosi è una causa molto comune di
vaginite, e può verificarsi anche sui genitali
immunocompromessi, le infezioni da Candida
diventare potenzialmente sistemica, causando
più grave, un fungemia chiamata candidemia.
irritazione vaginale, o
maschili. Nei pazienti
può colpire l'esofago e
una condizione molto
I bambini, per lo più di età compresa tra tre e nove anni di età, possono
essere colpiti da infezioni croniche da Candida della bocca,
normalmente si presenta come macchie bianche intorno alla bocca.
Candidosi orale.
I sintomi della candidosi possono variare a seconda della zona interessata. Le infezione della vagina o della vulva
possono causare prurito, bruciore, dolore e irritazione. Questi sintomi sono presenti anche nella più comune vaginosi
batterica. In uno studio del 2002 pubblicato sul Journal of Obstetrics and Gynecology, solo il 33 per cento delle
donne che erano in cura per una infezione da fungo in realtà aveva una infezione funginea, mentre la maggior parte
presentava una vaginosi batterica o una infezione di tipo misto. I sintomi di infezione dell'apparato genitale maschile
includono piaghe rosse, chiazze vicino alla testa del pene o del prepuzio, forte prurito o una sensazione di bruciore.
Cause
Per approfondire, vedi Candida albicans.
I lieviti da Candida sono comunemente presenti negli esseri umani e la
loro crescita è normalmente limitata dal sistema immunitario umano e
da altri microrganismi, come batteri che occupano le stesse posizioni
(nicchie) nel corpo umano.
La C. albicans è stata isolata dalle vagine del 19% delle donne
apparentemente sane, cioè quelle che avevano accusato lievi o neussun
sintomo di infezione. L'uso esterno di detergenti o lavande o la
presenza di disordini interni (ormonali o fisiologici) possono
perturbare la normale flora vaginale, costituita da batteri lattici, come i
Candida albicans vista al microscopio.
lactobacillus e ciò si traduce in una crescita eccessiva di cellule di
Candida che causano i sintomi di infezione, come l'infiammazione
locale. La gravidanza e l'uso di contraccettivi orali sono stati segnalati come fattori di rischio, Il diabete mellito e
l'uso di antibiotici sono anch'essi legati ad un aumento dell'incidenza di infezioni da lieviti. Una dieta ad alto
contenuto di carboidrati semplici può influenzare i tassi di candidosi orale mentre la terapia ormonale sostitutiva e i
trattamenti di infertilità possono essere fattori predisponenti. Indossare indumenti bagnati per lungo tempo è
considerato un fattore di rischio.
Candidosi
14
Un sistema immunitario indebolito o non sviluppato o la presenza di malattie metaboliche come il diabete sono
importanti fattori predisponenti di candidosi. Le malattie o le condizioni legate alla candidiasi, comprendono l'AIDS,
la mononucleosi, i trattamenti per il cancro, gli steroidi, lo stress e la malnutrizione. Quasi il 15% delle persone con
sistema immunitario indebolito sviluppano una malattia sistemica causata dalla Candida. In casi estremi, queste
infezioni superficiali della pelle o delle mucose possono entrare nel flusso sanguigno e causare infezioni sistemiche.
Le cause della candidosi del pene includono: rapporti sessuali con partner infetto, bassa immunità, uso di antibiotici
e il diabete. L'infezione genitale maschile è meno comune e l'incidenza è solo una frazione di quello delle donne,
tuttavia la trasmissione con rapporti sessuali con un partner infetto non è rara.
Una maggiore prevalenza di colonizzazione da C. albicans è stata segnalata in soggetti giovani con piercing alla
lingua. In tutto l'emisfero occidentale circa il 75% delle femmine sono colpite in un qualche momento della loro vita.
Diagnosi
Per l'identificazione mediante microscopia ottica, un tampone della
zona colpita viene posto su un vetrino da microscopio. Una singola
goccia di soluzione di idrossido di potassio (KOH) al 10% viene
aggiunta al campione. Il KOH scioglie le cellule della pelle ma lascia
intatte le cellule di Candida, permettendone la visualizzazione.
Per il metodo di coltura, un tampone sterile viene strofinato sulla
superficie della pelle infetta. Il tampone viene poi posto su un terreno
di coltura. Viene poi incubata a 37 °C per diversi giorni, per consentire
lo sviluppo di lieviti o colonie batteriche. Le caratteristiche (come la
morfologia e il colore) delle colonie possono consentire la diagnosi
iniziale dell'organismo che sta causando i sintomi della malattia.
Micrografia della candidiasi esofagea.
Prevenzione
L'adozione di alcune norme igieniche può essere utile per prevenire l'infezione da Candida a livello cutaneo (ad
esempio evitando il contatto prolungato con tessuti sintetici che possono ostacolare una naturale traspirazione della
pelle e non abusando di prodotti per l’igiene intima che possono alterare il pH vaginale). Inoltre si consiglia di usare
il preservativo durante i rapporti sessuali.[3]
Poiché la Candida è un’infezione frequente in caso di immunosoppressione, nei pazienti con compromissione del
sistema immunitario può essere indicato un trattamento profilattico a base di farmaci antimicotici imidazolici o
triazolici per via orale. Per ridurre il rischio di recidiva dell’infezione è importante seguire le indicazioni relative a
dosaggio e durata del trattamento prescritto. La somministrazione infatti di dosaggi subterapeutici può favorire
l’insorgere di resistenza, mentre l’interruzione anticipata della terapia può comportare la mancata eradicazione del
patogeno. Candidosi resistenti ai trattamenti farmacologici potrebbero sottendere infezioni estese o alterazioni a
livello immunitario .
Candidosi
15
Trattamento
In ambito clinico, la candidosi è comunemente trattata con
antimicotici. I farmaci antifungini comunemente usati per trattare la
candidosi sono: clotrimazolo, nistatina, fluconazolo e ketoconazolo
topici.
Rappresentazione grafica tridimensionale di una
molecola di clotrimazolo, un farmaco utilizzato
contro la candida.
Ad esempio, una dose di fluconazolo (150 mg assunta per via orale) è
stato segnalata come efficace per il 90% nei trattamenti di una
infezione vaginale da lievito. Questa dose è efficace solo per le
infezioni vaginali da lievito. La somministrazione di dosi elevate di
fluconazolo (=/> 400 mg/die per via orale) è stata associata a
teratogenesi[4][5]. Altri tipi di infezioni da lieviti possono richiedere
dosaggi diversi. In caso di infezioni gravi l'amfotericina B, il
caspofungin o il voriconazolo possono essere utilizzati. Il trattamento
locale può comprendere ovuli vaginali o lavande medicate.
Il risciacquo orale con clorexidina non è raccomandato per il
trattamento di candidosi ma è efficace come profilassi. Il risciacquo con biossido di cloro è stato trovato efficace
contro la Candida.. Nei pazienti di età pediatrica con candidosi orale (mughetto) è possibile effettuare la disinfezione
delle mucose tramite garze sterili imbevute di acqua e bicarbonato [6].
La C. albicans può sviluppare una resistenza ai farmaci antimicotici. Infezioni ricorrenti possono essere curabili con
altri farmaci antifungini, ma si può sviluppare resistenza anche a questi farmaci alternativi.
Note
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
http:/ / www. icd9data. com/ getICD9Code. ashx?icd9=112
http:/ / www. icd10data. com/ ICD10CM/ Codes/ B37-/ B37
Barbaro L., La Colposcopia in Italia, 2003, n 2, 18
Lee B.E. et al., Pediatr. Infect. Dis. J., 1992, 11(12), 1062
Pursley T.J. et al., Clin. Infect. Dis., 1996, 22(2), 336
Candida - Farmaci e terapie (Pharmamedix) (http:/ / www. pharmamedix. com/ patologiavoce. php?pat=Candida& vo=Farmaci+ e+ terapie)
Altri progetti
•
Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Pagina_principale?uselang=it) contiene immagini o altri
file su Candidosi (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Candidiasis?uselang=it)
Collegamenti esterni
• Candidosi (http://search.dmoz.org/cgi-bin/search?search=Candidosi&all=yes&cs=UTF-8&cat=World/
Italiano) in «Open Directory Project», Netscape Communications. ( Segnala (http://www.dmoz.org/public/
suggest?cat={{{1}}}) su DMoz un collegamento pertinente all'argomento "Candidosi")
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Portale Microbiologia
Herpes genitale
16
Herpes genitale
Herpes genitale
Herpes genitale della mucosa vulvare
Classificazione e risorse esterne
ICD-9-CM
(EN) 054.1
ICD-10
(EN) A60
[1]
[2]
Sinonimi
Herpes genitalis
La malattia infettiva nota come herpes genitale è causata principalmente dal virus Herpes simplex di tipo 2 (HSV-2)
e trasmessa prevalentemente per contatto venereo. Lesioni del tutto analoghe possono essere comunque sostenute dal
virus Herpes simplex di tipo 1 (HSV-1), responsabile dell'herpes labiale e del patereccio erpetico; in questi casi, la
trasmissione avviene più frequentemente per contatto dei genitali con la mucosa labiale infetta o con le lesioni
cutanee di mani o dita.
Esame obiettivo dermatologico
Per approfondire, vedi Lesioni cutanee elementari.
L'herpes simplex genitale si manifesta con lesioni focali eritemato-edemato-papulo-vescicolari localizzate sulla
mucosa vulvare (vestibolo, piccole labbra o sulla cute delle grandi labbra) o peniena (glande, solco balano-prepuziale
o sulla cute di asta e prepuzio). Le lesioni evolvono verso piccole ulcere dolenti e cocenti dal fondo non sanioso
talora ricoperte di croste. L'estensione e la gravità dell'herpes simplex genitale è maggiore in caso di prima
manifestazione (infezione primaria), con lesioni che possono estendersi alla superficie mediale delle cosce, all'area
perianale, alla vagina, all'ano e/o alla mucosa rettale.
Herpes genitale
Profilo clinico
L'infezione primaria, più grave per estensione ed intensità
dei sintomi, si manifesta nella donna con la comparsa delle
lesioni caratteristiche sulla mucosa vulvare associate spesso
a cervicite e vaginite. Il quadro clinico è caratterizzato da
disuria, leucorrea, prurito e dolore vaginale e intensa
dispareunia. Le lesioni possono estendersi alla cute di
perineo, natiche, cosce e ano. Nell'uomo le vescicole
compaiono con maggiore frequenza a livello del glande e/o
del solco balanoprepuziale, talora con estensione verso
l'asta, l'uretra, la cute delle natiche e delle cosce. Il quadro
Herpes simplex genitale della cute di prepuzio e asta. Si notino
le classiche lesioni vescicolari.
clinico si caratterizza per intenso dolore, prurito e talora
disuria. La cute anale e la mucosa rettale possono essere
interessati per estensione delle lesioni primitive o per contatto diretto con soggetti infetti (proctite erpetica). Come
per l'herpes simplex labiale o cutaneo, l'herpes simplex genitale tende a recidivare con frequenza notevolmente
variabile dal soggetto a soggetto (stress psicofisico, episodi influenzali, malattie sistemiche acute o riacutizzazioni di
malattie croniche). Le recidive (infezioni secondarie) si caratterizzano per minore estensione ed intensità dei sintomi;
in questi casi, le lesioni si limitano alla mucosa di vulva e/o vagina o ano della femmina e al glande/asta o ano nel
maschio, talora con estensione perineale. La comparsa delle classiche vescicole erpetiche è preceduta da prurito e/o
bruciore locale associato alla comparsa di eritema. La durata delle lesioni secondarie è inferiore a quella delle lesioni
primarie (6-8 giorni rispetto alle 1-4 settimane). Le lesioni guariscono con completa restitutio ab integrum della zona
interessata, benché possa permanere un grado variabile di disestesia o dolore muco-cutaneo.
Profilo diagnostico
La comparsa nelle sedi descritte delle lesioni tipiche dell'herpes simplex è spesso sufficiente a porre diagnosi. In
alcuni casi, dove può mancare la tipica eruzione vescicolo-ulcerativa (herpes neonatale o in soggetti
immunodepressi) è tuttavia necessario escludere malattie sistemiche quali la rosolia, la toxoplasmosi o l'infezione da
Citomegalovirus. In questi casi o nei casi dubbi, l'accertamento definitivo si attua con l'isolamento del virus (effetto
citopatico tipico dopo isolamento in colture cellulari) nel materiale prelevato con tampone o biopsia.
Terapia
Nei soggetti immunocompententi, l'infezione primaria deve essere trattata per almeno 7-10 giorni con uno di questi
farmaci:
• Aciclovir orale, dose di 400 mg per 3 volte al giorno
• Valaciclovir orale, dose di 1000 mg per 2 volte al giorno
• Famciclovir orale, dose di 250 mg per 3 volte al giorno.
Queste terapie non prevengono tuttavia la comparsa delle recidive. La riduzione della frequenza di queste ultime,
può essere attuata con schemi terapeutici che prevedono l'impiego a dosaggi inferiori dei suddetti farmaci per almeno
2 anni. Tale schema terapeutico può essere utilizzato, sotto stretto controllo ginecologico e con l'attenta valutazione
dei benefici, nelle donne portatrici in gravidanza. Tuttavia, la presenza di lesioni genitali visibili nella donna al
momento del parto è un'indicazione sufficiente al taglio cesareo. In questi casi, al neonato si somministra aciclovir
alla dose di 10mg/kg (il doppio se è prematuro) 3 volte al giorno per 10-21 giorni. Le recidive di herpes simplex
genitali richiedono la stessa terapia dell'infezione primaria con dosaggi e per periodi di tempo minori. Nei soggetti
immunocompressi, la terapia delle lesioni (primarie e secondarie) è invece molto più complessa, dovendo talora
17
Herpes genitale
associare il foscarnet endovenoso o gel per uso topico a base di cidofovir.
Note
[1] http:/ / www. icd9data. com/ getICD9Code. ashx?icd9=054. 1
[2] http:/ / www. icd10data. com/ ICD10CM/ Codes/ A60-/ A60
Bibliografia
• Mauro Moroni, Roberto Esposito, Fausto de Lalla, Malattie Infettive, 7ª edizione, Milano, Elsevier Masson, 2008.
ISBN 9788821429804.
• Braun Falco, Plewig, Wolff, Burgdorf, Dermatologia, Roma, Springer, 2002. ISBN 8847001684.
• Paolo Fabbri, Carlo Gelmetti, Giorgio Leigheb, Manuale di dermatologia medica, Torino - Milano, Elsevier
Masson, 2010. ISBN 978-88-214-3122-7.
• Fabio Ayala - Paolo Lisi - Giuseppe Monfregola, Malattie cutanee e veneree, Padova, Piccin, 2007. ISBN
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• Miller, Jeffrey H.; Marks, James G., Lookingbill and Marks' Principles of Dermatology, Saunders, 2006. ISBN
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• Wolff, Klaus Dieter; et al., Fitzpatrick's Dermatology in General Medicine, McGraw-Hill Medical, 2008. ISBN
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• James, William D.; et al., Andrews' Diseases of the Skin: Clinical Dermatology, Saunders Elsevier, 2006. ISBN
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• Fitzpatrick, Thomas B.; Klauss Wolff; Wolff, Klaus Dieter; Johnson, Richard R.; Suurmond, Dick; Richard
Suurmond, Fitzpatrick's color atlas and synopsis of clinical dermatology, New York, McGraw-Hill Medical Pub.
Division, 2005. ISBN 0-07-144019-4.
Voci correlate
• Herpes simplex
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18
Chlamydia
19
Chlamydia
Chlamydia
Inclusioni di C. trachomatis
in coltura cellulare (in marrone).
Classificazione scientifica
Dominio
Regno
Prokaryota
Bacteria
Phylum
Chlamydiae
Classe
Chlamydiae
Ordine
Chlamydiales
Famiglia
Genere
Chlamydiaceae
Chlamydia
Specie
•
•
•
Chlamydia muridarum
Chlamydia suis
Chlamydia trachomatis
Chlamydia è un genere di batteri gram-negativi, patogeni intracellulari obbligati.
Descrizione
Di forma grossolanamente tondeggiante, immobili, devono necessariamente vivere all’interno di cellule eucariote, in
quanto privi degli enzimi necessari al metabolismo ossidativo. Sono pertanto dei parassiti obbligati. Questa
caratteristica, unita alle dimensioni molto piccole, li ha fatti ritenere per molto tempo dei virus. Non sono dotati di
parete cellulare formata da peptidoglicano ma come involucro esterno possiede una membrana costituita da una
parete proteica interna ricca in cisteina e da una membrana esterna. Questa particolare struttura impedisce la fusione
del lisosoma con il fagosoma in cui la clamidia è inglobata. Inoltre presentano una scarsa o nulla sensibilità agli
antibiotici β-lattamici. La clamidia ha un ciclo vitale dimorfico: corpo elementare (CE) e corpo reticolare (CR). Il
primo è piccolo (200-300 nm), rotondo, con citoplasma denso e compatto e rappresenta la forma infettante. Il corpo
reticolare è più grande (600-1000 nm), il citosol meno denso, è metabolicamente attivo, si moltiplica per scissione
binaria e rappresenta la forma non infettante. Benché non sia presente la parete cellulare, il corpo elementare riesce a
sopravvivere nell'ambiente grazie alla presenza di molteplici legami disolfuro tra le proteine della membrana.
Chlamydia
20
Differenze tra corpo elementare e corpo reticolare
Proprietà
Grandezza
Legami disolfuri
Attività metabolica
tra proteine di membrana
CE
Infettante
300-400 nm
Sì
No
CR
Sostiene il
ciclo
replicativo
600-1000 nm
No
Sì
Tassonomia
Il genere comprende 3 specie:
• Chlamydia muridarum, patogena per topi e criceti
• Chlamydia suis, patogena per i suini
• Chlamydia trachomatis, patogena per l'uomo
In passato venivano inquadrate in questo genere anche alcune specie attualmente inquadrate nel genere
Chlalmydophila, tra cui la Chlamydophila psittaci (sin.=Chlamydia psittaci), agente patogeno della psittacosi,
malattia tipica dei volatili selvatici e domestici, trasmissibile anche ai mammiferi, tra cui l'uomo.
Bibliografia
Bush, R.M. and Everett, K.D.E. (2001). Molecular Evolution of the Chlamydiaceae. [1]. Int. J. Syst. Evol. Microbiol.
51: 203 - 220.
Voci correlate
• Infezioni da clamidia
Altri progetti
•
Commons [1] contiene immagini o altri file su Chlamydia [2]
•
Wikispecies [3] contiene informazioni su Chlamydia [4]
Collegamenti esterni
• Diagramma tassonomico [5]
• Chlamydia e gravidanza [6]
Portale Medicina
Portale Microbiologia
Note
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
http:/ / www. ncbi. nlm. nih. gov/ entrez/ query. fcgi?cmd=Retrieve& db=PubMed& list_uids=11211261& dopt=Abstract
http:/ / commons. wikimedia. org/ wiki/ Category:Chlamydia?uselang=it
http:/ / species. wikimedia. org/ wiki/ Pagina_principale?uselang=it
http:/ / species. wikimedia. org/ wiki/ Chlamydia?uselang=it
http:/ / www. chlamydiae. com/ docs/ Chlamydiales/ diagram/ taxondiag. htm
http:/ / www. come-rimanere-incinta. it/ desiderio-di-un-figlio/ clamydia-e-gravidanza/ clamydia-e-gravidanza. php
Sifilide
21
Sifilide
Sifilide
Il batterio Treponema pallidum responsabile della malattia
Classificazione e risorse esterne
ICD-9-CM
(EN) 090
ICD-10
(EN) A50
[1]
-097
[3]
[2]
-A53
[4]
La sifilide, conosciuta anche come lue (dal greco λύω=sciolgo) e con numerosi altri nomi, è una malattia infettiva a
prevalente trasmissione sessuale.
È causata da un batterio, il Treponema pallidum, dell'ordine delle spirochete, che si presenta al microscopio come un
piccolo filamento a forma di spirale, identificato nel 1905 da Fritz Schaudinn e Erich Hoffmann. Oltre che per via
sessuale, il contagio può estendersi al feto, nella donna gravida con infezione recente, attraverso la placenta
(trasmissione transplacentare[5]). In tal caso, il feto presenta un quadro di sifilide congenita con malformazioni che
possono interessare la cute e le mucose, l'apparato scheletrico, l'occhio, il fegato, il rene e il sistema nervoso centrale.
Pertanto, questa malattia può essere contratta nella forma congenita in due modi: prima ancora della nascita,
attraverso il sangue materno infetto; oppure alla nascita, durante la discesa nel canale del parto. Comunque, nella
maggior parte dei casi, il contagio (possibile fin dalle primissime fasi della malattia) avviene attraverso i rapporti
sessuali. I casi di acquisizione della malattia con le trasfusioni sono ormai rarissimi nel mondo, grazie ai controlli
accurati che vengono effettuati prima che il sangue sia trasfuso.
Ad August von Wassermann va il merito di aver scoperto il primo metodo biologico per compiere una diagnosi
precisa sulla malattia.
Sifilide
Storia
L'origine esatta della sifilide è tuttora sconosciuta. A lungo la
storiografia europea ha sostenuto che la malattia si fosse diffusa dalle
Americhe nel vecchio continente per mezzo dei marinai di Cristoforo
Colombo.
Da tempo questa tesi è stata parzialmente messa in discussione, ma uno
studio pubblicato nel 2011 l'ha riportata nuovamente in auge. Gli scavi
presso il monastero agostiniano di Kingston-upon-Hull, nel nord-est
dell'Inghilterra, hanno portato alla luce scheletri di persone decedute
prima del viaggio di Colombo, con evidenti segni della terza fase della
malattia. Uno studio condotto dall'Università di Oxford e di Sheffield,
attraverso il metodo del radiocarbonio, hanno stimato una datazione
intorno al 1340[6], ma uno studio antropologico più recente ha
dimostrato che solo una minoranza dei reperti rinvenuti presso il
monastero presenta i segni diagnostici della sifilide, e la datazione
fornita col metodo del radiocarbonio dev'essere opportunamente
corretta tenendo conto del marine reservoir effect (effetto serbatoio
marino) che può diventare significativo presso popolazioni che vivono
in prossimità del mare, nutrendosi con un'alimentazione
Manifesto per il test della sifilide, che mostra un
prevalentemente a base di pesce. Secondo i ricercatori, infatti, la
uomo e una donna che chinano il capo per la
minoranza dei reperti con evidenti segni di sifilide risale al periodo
vergogna (ca. 1936)
post-colombiano, ma fornisce una datazione antecedente a causa della
velocità relativamente lenta con cui il flusso del carbonio passa negli ecosistemi marini, sino a giungere ad essere
organicato nei tessuti attraverso la rete trofica.
Sembra che la prima epidemia di sifilide conosciuta sia scoppiata a Napoli nel 1495, a seguito della discesa del re
francese Carlo VIII. Il ritorno dell'esercito francese verso nord diffuse la malattia in tutta Italia, per poi espanderla in
tutta Europa, giungendo sino in Oriente. La malattia venne quindi conosciuta in quasi tutta Europa con il nome di
mal francese, tranne in Francia, dove prese il nome di mal napolitain. Una teoria americanista sull'origine della
malattia è stata formulata dal medico spagnolo Ruy Diaz de Isla, che nel 1539 scrisse il libro Tractado contra el mal
serpentino que vulgarmente en España es llamado bubas, in riferimento alle cure da lui effettuate a Barcellona nel
1493, ad alcuni marinai di Colombo, affetti da una nuova malattia che identificò come sifilide.[7]
La storia dell'attribuzione del nome sifilide è invece più chiara. Infatti, fu il medico e scienziato veronese Girolamo
Fracastoro che impose questo termine, con la sua opera del 1530 Syphilis sive morbus gallicus ("Sifilide o il mal
francese") e con il trattato De contagione et contagiosis morbis ("Sul contagio e sulle malattie contagiose") del 1546.
Nello stesso periodo, il medico francese Jean Fernel le attribuì il nome di lue.
Il batterio responsabile della sifilide, il Treponema pallidum, fu identificato per la prima volta da Fritz Schaudinn ed
Erich Hoffmann nel 1905. Il primo trattamento efficace (grazie al farmaco Salvarsan) è stato sviluppato nel 1910 da
Paul Ehrlich, e ad esso seguirono esperimenti con la penicillina e con la conferma della sua efficacia, avvenuta nel
1943. Prima dell'avvento di un trattamento efficace, erano usati comunemente il mercurio e l'isolamento, con risultati
spesso peggiori della malattia stessa. Si ritiene che molti personaggi famosi abbiano contratto la malattia: tra di essi,
Franz Schubert, Arthur Schopenhauer, Robert Schumann, Édouard Manet e Adolf Hitler.[8]
22
Sifilide
23
Epidemiologia
Si ritiene che circa 12 milioni di persone siano state infette da sifilide
nel 1999, con più del 90% dei casi registrati nei paesi in via di
sviluppo. La malattia colpisce tra le 700.000 e le 1,6 milioni di donne
gravide all'anno, con conseguenti aborti spontanei, bambini nati morti e
casi di sifilide congenita. Nell'Africa sub-sahariana, la sifilide
contribuisce a circa il 20% delle morti perinatali. L'incidenza è in
Disability-adjusted life year per sifilide per
proporzione più alta tra i consumatori di droghe per via endovenosa, in
100,000 abitanti nel 2004
coloro che sono infettati da HIV e negli uomini che hanno rapporti
occasionali e frequenti. Negli Stati Uniti, i tassi di sifilide erano quasi uguali per gli uomini e per le donne nel 1997,
ma nel 2007 erano sei volte maggiori negli uomini rispetto alle donne.
La sifilide era molto comune in Europa nel corso del XVIII e XIX secolo. Nel mondo sviluppato, nel corso del XX
secolo, le infezioni diminuirono rapidamente, grazie alla diffusione degli antibiotici. Dal 2000, i casi di sifilide sono
aumentati negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Australia ed in Europa, soprattutto tra le persone omosessuali. La più
alta incidenza di casi tra etereosessuali si ha, a partire dal 1990, in Cina e in Russia. Questo fatto è stato attribuito a
pratiche sessuali non sicure, come la promiscuità sessuale, la prostituzione e lo scarso utilizzo del profilattico.
Se non trattata, l'infezione ha una mortalità che va dall'8% al 58%, con un tasso di mortalità maggiore nei maschi. I
sintomi della sifilide sono diventati meno gravi nel corso degli ultimi due secoli, in parte grazie alla diffusa
disponibilità di trattamenti efficaci e in parte dalla diminuzione della virulenza della spirocheta. Con il trattamento
precoce si verificano poche complicazioni. La sifilide aumenta il rischio di trasmissione dell'HIV da due a cinque
volte e la coinfezione è frequente (30-60% in alcuni centri urbani).
Eziologia
Batteriologia
Per approfondire, vedi Treponema pallidum.
Il Treponema pallidum sottospecie pallidum è un batterio,
Gram-negativo, altamente mobile, facente parte del phylum delle
spirochete, ed è l'agente eziologico della sifilide. L'uomo è l'unico
serbatoio naturale noto per la sottospecie pallidum. Esso è in grado di
sopravvivere senza un ospite per pochi giorni. Ciò è dovuto al suo
genoma piccolo (1,14 MDA) e per la sua incapacità di creare la
maggior parte dei macronutrienti di cui necessita. Ha un lento tempo di
raddoppio, superiore a 30 ore.
Immagine istopatologica di spirochete
Treponema pallidum
Trasmissione
La sifilide si trasmette principalmente per contatto sessuale o durante la gravidanza dalla madre al feto. La spirocheta
è in grado di passare attraverso le mucose intatte o la cute danneggiata. È quindi trasmissibile attraverso contatti orali
e attraverso rapporti sessuali vaginali e anali. Circa il 30 e il 60% delle persone esposte rispettivamente alla sifilide
primaria o secondaria contrarranno la malattia. La sua infettività è resa evidente dal fatto che un individuo, a cui
vengono inoculati solo 57 organismi, ha una probabilità del 50% di risultare infetto. Oltre che per via sessuale,
Sifilide
l'infezione può essere trasmessa attraverso la trasfusione di sangue o emoderivati. Tuttavia, grazie ai controlli, tale
rischio risulta molto basso. Il rischio di trasmissione da aghi condivisi appare limitato. La sifilide non può essere
trasmessa attraverso sedili WC, tramite le attività quotidiane, con l'uso di vasche idromassaggio, né con la
condivisione di posate o indumenti.
Segni e sintomi
La sifilide si può presentare in una delle quattro diverse fasi: primaria, secondaria, latente e terziaria. Inoltre può
presentarsi anche come malattia congenita. Sir William Osler la definì "la grande imitatrice" per via delle sue varie
presentazioni.
Sifilide primaria
La sifilide primaria viene generalmente acquisita tramite diretto
contatto sessuale con una persona affetta. Da circa 3 a 90 giorni dopo
l'esposizione iniziale (in media 21 giorni) una lesione cutanea,
chiamata sifiloma, compare nel punto di contatto. Questo
generalmente, nel 40% dei casi, si presenta come una singola,
compatta, indolore, non pruriginosa ulcerazione della pelle con una
base pulita e bordi taglienti tra gli 0,3 e 3,0 cm. La lesione, tuttavia,
può assumere praticamente qualsiasi forma. Nella forma classica, essa
si evolve da una macula a papula verso un'ulcera. In alcuni casi
Ulcera venerea causata dalla sifilide alla mano
possono essere presenti lesioni multiple (~40%), più comuni quando vi
è una coinfezione con l'HIV. Le lesioni possono essere dolorose (30%)
e possono verificarsi anche al di fuori dei genitali (2-7%). Le localizzazioni più comuni sono: nelle donne il collo
dell'utero (il 44%), il pene negli uomini che hanno contratto l'infezione con rapporti eterosessuali (99%) e la zona
anale e rettale negli uomini che hanno ricevuto rapporti anali (34%). L'ingrossamento linfonodale frequentemente
(80%) si verifica intorno alla zona di infezione, e si ha 7-10 giorni dopo la formazione del sifiloma. La lesione può
persistere per 3-6 settimane se non viene trattata.
Sifilide secondaria
Il periodo secondario inizia circa 4-10 settimane dopo l'infezione
primaria. La fase secondaria è nota per i molti modi diversi in cui può
manifestarsi; nella maggior parte dei casi, i sintomi coinvolgono la
pelle, le mucose e i linfonodi. Possono verificarsi eruzioni cutanee
simmetriche di colore rosso-rosa, tipicamente sul tronco e agli arti.
L'eruzione può diventare maculopapulare o pustolosa. Nelle mucose
può presentarsi con lesioni piatte, larghe, di colore biancastro, simili a
verruche note come latum condilomi. Tutte queste lesioni ospitano i
Presentazione tipica della sifilide secondaria con
batteri infettivi. Altre manifestazioni cliniche possono includere febbre,
una eruzione cutanea sul palmo delle mani
mal di gola, malessere generale, astenia, perdita di capelli e mal di
testa. Rare manifestazioni comprendono anche epatite, disfunzioni
renali, artrite, periostite, neurite ottica, uveite e cheratite interstiziale. I sintomi acuti di solito si risolvono dopo
tre-sei settimane. Tuttavia, nel circa il 25% dei casi si può presentare una ricorrenza dei sintomi
24
Sifilide
secondari. Molte persone che si presentano con sifilide secondaria
(40-85% delle donne, 20-65% degli uomini) non riferiscono del
sifiloma classico della sifilide primaria.
Sifilide latente
La sifilide latente è definita quando si ha la prova sierologica
dell'infezione, ma non sono presenti i sintomi della malattia. Si
distingue in precoce e tardiva, a seconda che si verifichi
Papule rossastre e noduli su gran parte del corpo
rispettivamente meno di 1 anno o più di 1 anno dopo la sifilide
causate dalla sifilide secondaria
secondaria. Il Regno Unito usa un valore di soglia di due anni per
distinguere tra la sifilide latente precoce e quella tardiva. La sifilide
latente precoce può avere una ricaduta dei sintomi. La sifilide latente tardiva è asintomatica e meno contagiosa.
Sifilide terziaria
Senza trattamento, un terzo delle persone infette sviluppano la malattia terziaria. La sifilide terziaria si può verificare
da tre a 15 anni dopo l'infezione iniziale e può essere divisa in tre forme diverse: la sifilide gommosa (15% dei
pazienti), la neurosifilide tardiva (6,5%), e la sifilide cardiovascolare (10%). Le persone affette da sifilide terziaria
non sono contagiose.
• La sifilide gommosa si verifica di solito da 1 a 45 anni dopo l'infezione iniziale, con una media di 15 anni. Questo
stadio è caratterizzato dalla formazione di granulomi gommosi cronici di variabili dimensioni. Essi, in genere,
colpiscono la cute, le ossa e il fegato, ma possono presentarsi ovunque.
• La neurosifilide è un'infezione che coinvolge il sistema nervoso centrale. La neurosifilide precoce può presentasi
velocemente ed asintomatica, in forma di meningite sifilitica, oppure in ritardo, come la sifilide
meningovascolare, la quale comporta paresi, perdita di equilibrio e dolori agli arti inferiori. La neurosifilide
tardiva si verifica in genere da 4 a 25 anni dopo l'infezione iniziale, nelle forme di gomma luetica, tabe dorsale,
paralisi progressiva, sclerosi combinata luetica, oppure nella forma congenita. Segno tipico è inoltre la Pupilla di
Argyll-Robertson (si osserva miosi solo in accomodazione e non per risposte alla luce).
• La sifilide cardiovascolare si verifica di solito 10-30 anni dopo l'infezione iniziale. La complicanza più comune è
l'aortite sifilitica che può portare a formazione di aneurismi dell'aorta.
Sifilide congenita
La sifilide congenita può essere contratta durante la gravidanza o durante il parto. Due terzi dei bambini nascono
senza sintomi. I sintomi più comuni che poi si svilupperanno nel corso degli anni di vita comprendono
epatosplenomegalia (70%), rash (70%), febbre (40%), neurosifilide (20%) e polmonite (20%). Se non trattata, la
sifilide congenita può portare a deformazioni del naso, alla presenza del segno di Higoumenakis, alla tibia a sciabola,
all'articolazione di Clutton e ad altre patologie.
25
Sifilide
Diagnosi
La sifilide è una malattia difficile da diagnosticare clinicamente. La conferma viene attraverso analisi del sangue o
grazie al controllo visivo diretto usando la microscopia. Gli esami del sangue sono usati più comunemente, in quanto
sono più facili da eseguire. Test diagnostici sono in grado di distinguere tra le fasi della malattia.
Esami del sangue
Gli esami del sangue sono divisi in test non treponemici e treponemici. Inizialmente furono utilizzati test non
treponemici, che comprendono il Venereal Disease Research Laboratory test (VDRL). Tuttavia, poiché questo tipo
di test a volte restituisce falsi positivi, è necessaria una conferma con un test treponemico, come il Treponema
pallidum Haemoagglutination Assay (TPHA) o il Fluorescent-Treponemal-Antibody Absorption test (FTA-ABS). I
falsi positivi sul test non treponemico possono verificarsi con alcune infezioni virali come la varicella e il morbillo,
oppure in presenza di un linfoma, di tubercolosi, della malaria, di endocardite, di malattie del tessuto connettivo o in
gravidanza. I test per gli anticorpi treponemici diventano positivi generalmente 2-5 settimane dopo l'infezione
iniziale. La neurosifilide viene diagnosticata ricercando un alto numero di leucociti (prevalentemente linfociti) e
livelli di proteine nel liquido cerebrospinale nel quadro di una infezione da sifilide nota.
Un altro test diagnostico, ormai abbandonato, è anche la reazione di Wassermann.
Osservazione diretta
La microscopia a campo scuro del liquido sieroso proveniente da un'ulcera può essere utilizzato per fare una diagnosi
immediata. Tuttavia, gli ospedali non sempre possiedono attrezzature e personale in grado di effettuare questo test,
che deve essere svolto entro 10 minuti dall'acquisizione del campione. Si è segnalato che la sua sensibilità è di quasi
l'80%, pertanto può essere utilizzata solo per confermare una diagnosi.
Altri due test che è possibile effettuare su un campione del sifiloma sono il test di immunofluorescenza e la reazione
a catena della polimerasi (PCR), quest'ultimo ricerca la presenza di geni specifici della sifilide. Questi test non sono
time-sensitive, in quanto non necessitano di batteri viventi per fare la diagnosi.
Trattamento
Infezioni precoci
La prima scelta di trattamento per la sifilide semplice rimane una singola dose di penicillina G per via intramuscolare
o una singola dose di azitromicina per via orale. Scelte alternative sono la doxiciclina e la tetraciclina, che però non
possono essere usate nelle donne in gravidanza. La resistenza agli antibiotici ha portato allo sviluppo di un certo
numero di agenti, compresi i macrolidi, i clindamicina e i rifampicina. Il ceftriaxone, appartenente alla terza
generazione di antibiotici cefalosporine, risulta più efficace come trattamento in sostituzione alla penicillina,
specialmente nelle forme che hanno superato la barriera emato-encefalica e sono localizzate nel sistema nervoso
centrale. La terapia della sifilide è comunque altamente specialistica (dermatologia, infettivologia, neurologia,
medicina interna), visto il rischio di gravi reazioni infiammatorie come la reazione di Jarisch-Herxheimer.
Infezioni tardive
Alle persone affette da neurosifilide, a causa della scarsa penetrazione della penicillina G nel sistema nervoso
centrale, vengono somministrati forti dosi di penicillina per via endovenosa per un minimo di 10 giorni. Se la
persona è allergica, si possono usare ceftriaxone, doxiciclina o tetracicline, oppure si può provvedere a
desensibilizzare il paziente. Altre presentazioni tardive possono essere trattate con la somministrazione per via
intramuscolare di penicillina G per tre settimane.
26
Sifilide
27
Reazione di Jarisch-Herxheimer
Per approfondire, vedi Reazione di Jarisch-Herxheimer.
Uno degli effetti collaterali del trattamento è la reazione di Jarisch-Herxheimer. Essa inizia spesso entro un'ora
dall'inizio della terapia e dura per 24 ore, con sintomi di febbre, dolori muscolari, cefalea e tachicardia. È causata
dalle citochine rilasciate dal sistema immunitario in risposta alle lipoproteine, le quali sono a loro volta rilasciate
dalla rottura dei batteri della sifilide.
Prevenzione
Fino al 2012, non esiste un vaccino efficace per la prevenzione dalla malattia. L'astinenza da contatto fisico intimo
con una persona infetta è efficace nel ridurre la trasmissione della sifilide, così come l'uso corretto del preservativo in
lattice. L'uso del preservativo, tuttavia, non elimina completamente il rischio.[9]
Durante la gravidanza è possibile prevenire la sifilide congenita nei neonati, grazie allo screening precoce e al
trattamento di coloro che sono infetti. La United States Preventive Services Task Force (USPSTF) consiglia lo
screening universale di tutte le donne incinte, mentre l'Organizzazione mondiale della sanità lo raccomanda a tutte le
donne che si sottopongono alla loro prima visita prenatale e di nuovo nel terzo trimestre. Se risultano positive, si
raccomanda il trattamento anche dei loro partner. La sifilide congenita, tuttavia, è ancora comune nei paesi in via di
sviluppo, in quanto molte donne non ricevono cure prenatali oppure lo screening non è incluso tra esse. Nei paesi
sviluppati, le madri che fanno uso di droghe e alcol sono più inclini ad avere la malattia, in quanto con minore
probabilità si sottoporranno alle cure durante la gravidanza. Una serie di misure per aumentare l'accesso ai test
appare efficace nel ridurre i tassi di sifilide congenita nei paesi a basso e medio reddito.
Il Centro di Controllo delle Malattie e della Prevenzione raccomanda a tutti gli uomini sessualmente attivi che hanno
rapporti sessuali con altri uomini di effettuare il test almeno una volta all'anno.
La sifilide è una malattia soggetta a denuncia in molti paesi, tra cui il Canada, l'Unione europea e gli Stati Uniti. Ciò
vuol dire che gli operatori sanitari sono tenuti a informare le autorità di sanità pubblica nel caso si venga a
conoscenza di un infetto.
Note
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
http:/ / www. icd9data. com/ getICD9Code. ashx?icd9=090
http:/ / www. icd9data. com/ getICD9Code. ashx?icd9=097
http:/ / www. icd10data. com/ ICD10CM/ Codes/ A50-/ A50
http:/ / www. icd10data. com/ ICD10CM/ Codes/ A53-/ A53
L'aggettivo che indica questa condizione è "eredoluetico", ovvero affetto da "lue" per via ereditaria.
Keys, David (24 July 2000). "English syphilis epidemic pre-dated European outbreaks by 150 years". Independent News and Media Limited.
Retrieved on 2008-02-08 The Indipendent (http:/ / www. independent. co. uk/ life-style/ health-and-wellbeing/ health-news/
english-syphilis-epidemic-predated-european-outbreaks-by-150-years-706243. html)
[7] "Alle origini della sifilide" di Grazia Benvenuto, pubbl. su "D&T Diagnosi&Terapia", Mensile di informazione medico-farmaceutica - Anno
XVII, N.4, 20 aprile 1997, pp. 13-19
[8] Hitler syphilis theory revived (http:/ / news. bbc. co. uk/ 2/ hi/ health/ 2842819. stm) BBC News March 12, 2003
[9] "How can syphilis be prevented?" (http:/ / www. cdc. gov/ std/ syphilis/ STDFact-Syphilis. htm#protect). Centers for Disease Control and
Prevention (CDC).
Sifilide
28
Bibliografia
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Dermo, 2001.
• Alfonso Panuccio, L'infezione luetica. Infezioni sessualmente trasmissibili, Esadia, Roche.
• Mario Pippione e Onorio Carlesimo Dermatologia e Venereologia,, Edizioni Minerva Medica, 1998, ISBN
88-7711-304-9.
• Mauro Moroni; Roberto Esposito, Fausto De Lalla, Malattie infettive, 7ª edizione, Milano, Elsevier Masson, 2008.
ISBN 978-88-214-2980-4.
• Patrick R. Murray; Ken S. Rosenthal, Michael A. Pfaller, Microbiologia Medica, 6ª ed., Milano, Elsevier Masson,
2010. ISBN 978-88-214-3169-2..
• Eugenia Tognotti, L'altra faccia di Venere. La sifilide in Italia dalla prima età moderna all'avvento dell'Aids Presentazione di Giorgio Cosmacini, Franco Angeli Editore, Milano 2006.
• Teodoro Pennacchia, Storia della sifilide, Giardini, Pisa 1961
• (EN) Parascandola, John. Sex, Sin, and Science: A History of Syphilis in America (Praeger, 2008) 195 pp. ISBN
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• (EN) Shmaefsky, Brian, Hilary Babcock and David L. Heymann. Syphilis (Deadly Diseases & Epidemics) (2009)
• (EN) Stein, Claudia. Negotiating the French Pox in Early Modern Germany (2009)
• Anna M. Molina Romanzi, Microbiologia clinica, Torino, UTET, 2002. ISBN 88-7933-251-1.
Voci correlate
•
•
•
•
•
Donovanosi
Studio sulla sifilide di Tuskegee
Treponema endemicum
Triade di Hutchinson
Malarioterapia
Altri progetti
•
Wikisource contiene un testo del Libretto personale Regio Esercito Italiano: Malattie veneree
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Wikiquote contiene citazioni sulla sifilide
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Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Pagina_principale?uselang=it) contiene immagini o altri
file sulla sifilide (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Syphilis?uselang=it)
Collegamenti esterni
• (EN) MST - Sifilide: sintomi e trattamento (http://www.youngandhealthy.ca/caah/Informations/STI/
t428c431s509x413/Syphilis.aspx)
• MSD Italia: Malattie a trasmissione sessuale, Sifilide (http://www.msd-italia.it/altre/manuale/sez13/1641427.
html)
• Digilander libero it (http://digilander.libero.it/camdic/LUES.html) - De Morbo Gallico
• (FR) Informazioni sulla la sifilide (http://www.jeunesensante.ca/acsa/Informations/ITS+(Infections+
transmissibles+sexuellement)/t60c63s72x73/Syphilis.aspx)
• Le FAQ: Malattie Sessualmente Trasmissibili, Sifilide (http://isd.olografix.org/faq/faq_malattie1.htm)
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HIV
29
HIV
Virus dell'immunodeficienza umana
Visione stilizzata di una sezione del virus
dell'immunodeficienza acquisita umana
Classificazione dei virus
Dominio
Acytota
Gruppo
Gruppo VI (retrovirus a ssRNA)
Famiglia
Retroviridae
Sottofamiglia Orthoretrovirinae
Genere
Lentivirus
Specie
Human immunodeficiency virus 2
Nomenclatura binomiale
Lentivirus human immunodeficiency virus 2
ICTV
Il virus dell'immunodeficienza umana (HIV, sigla dell'inglese Human Immunodeficiency Virus) è l'agente
responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS).
È un retrovirus del genere lentivirus, caratterizzato cioè dal dare origine a infezioni croniche, che sono scarsamente
sensibili alla risposta immunitaria ed evolvono lentamente ma progressivamente e che, se non trattate, possono avere
un esito fatale[1]. In base alle conoscenze attuali, HIV è suddiviso in due ceppi: HIV-1 e HIV-2. Il primo dei due è
prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale. HIV-2, invece, si trova per lo più in Africa
occidentale e Asia e determina una sindrome clinicamente più moderata rispetto al ceppo precedente.
Descrizione
Morfologia
Il virione di HIV ha una struttura sferica del diametro di circa 100-120 nm, con due membrane esterne (pericapside),
formate dal materiale della cellula che lo ha prodotto: le membrane sono un capside di forma conoide e un envelope
che ospita le glicoproteine di membrana virali gp120 e gp41: la conoscenza di queste proteine è stata di particolare
importanza nella lotta al virus poiché agendo su di esse si può rallentare o frenare il contagio di nuove cellule. La
gp120 è infatti una sorta di chiave che il virus utilizza per trovare le particolari cellule umane in grado di replicarlo,
funzionando quindi da recettore che aggancia HIV ai recettori corrispondenti sulle cellule bersaglio. La gp41 invece
interviene quando i virus sono già agganciati, fondendo le membrane virali con la parete cellulare permettendo la
penetrazione di HIV all'interno delle cellule, per questo è denominata proteina di fusione.
Il materiale genetico del virione è costituito da due copie di RNA identiche a polarità positiva (mRNA), le quali sono
legate a due proteine basiche del peso, rispettivamente, di 7 e 9 kDa (denominate p7 e p9). Tale complesso, insieme
agli enzimi della trascrittasi inversa (una DNA polimerasi RNA-dipendente), della proteasi e dell'integrasi, è
HIV
30
contenuto in una sezione centrale della particella virale denominata core, la quale presenta una struttura
cilindro/conica ed è costituita completamente da una sola proteina (p24). Gli enzimi del virus sono fondamentali per
il processo di riproduzione. Quello della trascrittasi inversa è una sorta di "traduttore", che trascrive il codice virale
(RNA) utilizzando il DNA; le integrasi rendono possibile tale inserimento nel DNA della cellula ospitante; le
proteasi invece modellano le macroproteine prodotte in una forma idonea a dar vita a nuovi virus.
Tra il core e l'involucro lipoproteico del virus si trova uno strato di materiale elettrondenso costituito completamente
dalla proteina virale p17 miristilata. La miristilazione è un fenomeno importante per la successiva interazione della
p17 con la membrana cellulare al fine di dare avvio alla liberazione di nuovi virus replicati dentro la cellula, con un
processo di gemmazione.
Il genoma
Come tutti i retrovirus HIV possiede i tre
geni fondamentali per la sua replicazione:
Gag, Pol ed Env. Gag (per 'group-specific
antigen') codifica per le proteine del core del
virione: p24, p17, p9, p7. Da Pol (per
'Polymerase') derivano la trascrittasi inversa,
la proteasi e l'integrasi mentre Env (per
'Envelope') codifica per le proteine
dell'involucro esterno.
Sia Gag che Pol sono trascritti in un mRNA
che viene poi tradotto in una proteina di 180
kDa (p180) che viene poi clivata tramite
proteolisi. La sua scissione determina la
Micrografia elettronica a scansione del virus HIV (in verde) in gemmazione da una
cellula
formazione della proteasi (p10), della
trascrittasi inversa (p51/p66), della integrasi
e di una proteina di 55 kDa (p55). Dalla p55, sempre per proteolisi, derivano la p17, la p24 e la p15. La p15 è il
progenitore della p9 e della p7, anch’esse ottenute tramite l'intervento della proteasi.
Env viene tradotto in una proteina di 88 kDa che viene successivamente glicosilata e a seguito di ciò il suo peso
molecolare aumenta fino a 160 kDa (p160). Essa viene scissa, attraverso la proteasi virale, a formare le due
glicoproteine legate alla membrana esterna: la gp120 e la gp41. La gp41 è una proteina transmembrana con l'estremo
NH2 localizzato all'interno del virione mentre la parte COOH è esterna e serve come punto di legame per la gp120.
Oltre a questi geni, HIV contiene altri sette geni accessori che hanno funzioni regolatorie del ciclo virale e della
sintesi proteica: Tat, Rev, Nef, Vpr, Tev, Vif, Vpu (quest'ultimo nel genoma di HIV-2 non esiste e ve n'è un altro
chiamato Vpx). Agli estremi si trovano due sequenze (dette long terminal repeats, LTR) contenenti elementi
regolatori dell'espressione genica. In esse infatti si rinvengono regioni di legame per fattori sia di origine virale che
cellulare i quali possono così aumentare o inibire il livello di trascrizione del genoma. Nei LTR si ritrovano siti di
poliadenilazione, per il legame di fattori di trascrizione come SP1 e NF-kβ, la sequenza regolatrice TATA, la
sequenza di transattivazione, dove si va a legare la proteina Tat, e anche zone con elementi regolatrori inibenti (RN,
regolazione negativa).
Il gene Tat, composto di due esoni, codifica per una proteina di 14.15 kDa con funzione di transattivatore che, in
collaborazione con un fattore cellulare, è in grado di intensificare l'espressione dei geni virali. La sua azione si
esplica tramite il legame a una regione dei LTR definita TAR (trans-active region). Si ritiene che con la sua azione
sia in grado di aumentare la trascrizione dei geni virali di circa 1000 volte. Rev è essenziale per la trascrizione dei
geni Gag, Pol ed Env. Sembra, infatti, che essa sia in grado di agire su Env a livello post-trascrizionale legandosi a
HIV
31
una metà del gene sbloccando così la traduzione precedentemente inibita da fattori cellulari legatisi. Probabilmente
l'azione a livello di Pol e Gag è simile. Sembrerebbe pure che sia in grado di inibire lo splicing del gene Env.
Il gene Nef codifica per una proteina di 27 kDa capace di legare il GTP, dotata di attività GTP-asica, suscettibile di
miristilazione e fosforilazione. Essa esplica un'azione inibitrice della trascrizione legandosi alla regione RN dei LTR.
Vpr codifica per una proteina di 15 kDa (p15) che si ritrova associata al virione. Si sospetta che essa sia coinvolta
nella riattivazione del virus in corso di infezione latente. Altri dati, inoltre, fanno supporre una sua possibile
partecipazione nell'infezione di cellule a bassa proliferazione (come i macrofagi) e nel blocco del ciclo cellulare nella
fase G2 al fine di favorire l'attività dei LTR.
Per quanto riguarda i geni rimanenti sembrerebbe che:
• Vif sia importante per l'infettività del virione. Si è visto, inoltre, che vif interagisce con una citidina deaminasi
cellulare prevenendone la sua inclusione all'interno del virione in formazione ed evitando che essa possa
danneggiarne il materiale genetico.
• Vpu intervenga nella maturazione e liberazione del virus. Pare che abbia anche la funzione di degradare la
proteina CD4 all'interno del reticolo endoplasmatico.
La funzione del gene Tev è ancora ignota.
Il genoma di HIV è ricco di zone di sovrapposizione. Ciò avviene non solo tra geni codificanti ma anche tra questi
ultimi e varie regioni regolatorie. I genomi di HIV-1 e HIV-2 differiscono, come espresso precedentemente, nei geni
Vpu e Vpx. In HIV-2, infatti, il primo manca e viene sostituito dal secondo. Quest’alta presenza di embricature nel
genoma fa sì che ogni proteina possa venir sintetizzata solamente a seguito di complessi fenomeni di splicing
alternativo.
Di HIV-1 è nota la sua estrema variabilità. Esso viene diviso in due gruppi. Il primo, definito M, viene ulteriormente
suddiviso in otto sottotipi i quali differiscono nei geni env per il 30% e gag per il 14%. Il secondo gruppo, indicato
con O, è raro e si ritrova in Camerun. In generale in Europa e in America è più diffuso il ceppo di tipo B. In Africa si
ritrovano più spesso i sottotipi A, C, D e in Asia si ritrovano quelli di tipo E, C e B.
Il ciclo virale
Aggancio e penetrazione
Il ciclo replicativo di HIV-1 o HIV-2 avvia quando la proteina gp120, presente sulla membrana esterna del virus,
riconosce il recettore omologo sulla superficie delle cellule bersaglio, ovvero una particolare proteina denominata
CD4. Le cellule umane CD4-positive sono subito agganciate, diventando bersagli dei virus: nell'organismo umano
quelle più ricche di CD4 sono alcuni tipi di linfociti cruciali nel processo di difesa immunitaria, denominati helper o
inducer. La costante di dissociazione tra g120 e CD4 si aggira intorno a 4x10-9: il legame con CD4 coinvolge tre
regioni non contigue e altamente conservate di gp120 separate da altre zone, invece, estremamente variabili.
Affinché il virus faccia il suo ingresso nella cellula (sincizio) interviene il legame con un altro recettore, composto
dalle molecole della famiglia dei "recettori con sette domini transmembrana accoppiati con la proteina G" (seven
transmembrane domain G-protein-coupled receptor), in particolare CXCR4 (usati dai ceppi del virus con tropismo
per i linfociti T) e CCR5 (tipici del ceppo avente tropismo per i macrofagi)[2]. Il legame del virus a uno o all'altro di
questi recettori permette di dividere i ceppi di HIV in R5-using e X4-using.
Dopo che è avvenuto il legame si avviano i fenomeni che danno luogo alla fusione tra la membrana virale e quella
della cellula, che ha come protagonista la proteina gp41. Il processo di fusione è innescato da cambiamenti
conformazionali scatenati dal legame con CD4 e, probabilmente, anche dall'attacco dell'ansa V3 di gp120 da parte di
alcune proteasi cellulari. Gp41 ha una parte N-terminale, formata da aminoacidi apolari, che si inserisce nella
membrana cellulare.
HIV
32
Le cellule dotate di maggiori recettori CD4 nell'organismo umano sono i linfociti CD4 positivi. Si tratta di cellule
particolarmente importanti nel sistema immunitario, veri e propri "direttori d’orchestra" che, attraverso messaggi
biochimici, riconoscono i vari ospiti indesiderati dell'organismo (virus, batteri, protozoi, funghi, vermi e cellule
tumorali) e attivano i settori del sistema immunitario di volta in volta più idonei a contrastarne la presenza. Ciò che
manda KO queste cellule non è tanto al presenza del virus, ma il suo processo di replicazione, in particolare
nell'ultima fase quando i nuovi virus lasciano la cellula perforandone la membrana e uccidendola (gemmazione). Un
numero inadeguato di linfociti CD4+ paralizza il sistema immunitario, esponendo l'organismo al rischio di qualsiasi
infezione e tumore.
HIV è in grado di infettare anche altre cellule che possiedono, seppure in quantità minore, il recettore CD4:
macrofagi, cellule della microglia del sistema nervoso centrale e cellule dendritiche dei linfonodi, le cellule
cromaffini delle pareti intestinali, l’endotelio dei vasi sanguigni, i precursori delle cellule del sangue e i linfociti B e
T-CD8+. Da alcuni esperimenti si è avanzata l'ipotesi che esso possa infettare anche i timociti. Anche gli astrociti
subiscono l'infezione da parte di HIV sebbene essa non sia produttiva. Al momento non è dimostrato che anche i
neuroni possano venir infettati dal virus.
In generale quindi HIV provoca un’infezione sistemica e generalizzata, anche se le conseguenze più gravi sul piano
clinico restano quelle legate alla diustruzione dei linfociti CD4+.
Replicazione
Una volta entrato nella cellula ospitante, si
attiva un processo di installazione
definitivo; l'enzima della trascrittasi inversa
trascrive l'RNA come DNA il quale, grazie
all'integrasi, si integra nel genoma della
cellula ospite. La cellula infettata può
attivare subito la replicazione virale, oppure
può rimanere inattiva per un periodo di
tempo compreso tra mesi e anni,
comportandosi esattamente come una cellula
non infetta. Le cellule infettate che non
producono virus sono dette "latentemente
infette" e costituiscono un serbatoio di HIV
ineliminabile, che garantisce al virus la
sopravvivenza nell'organismo ospitante a
tempo indeterminato, per l'intera durata
della vita del soggetto. Occasionalmente
l'infezione latente si attiva, quando il virus
obbliga la cellula ospitante a produrre al suo
Replicazione (fase attiva) di un virus all'interno di un linfocita.
interno le proteine e l’acido nucleico virale
(RNA) che, come un puzzle, si assemblano
all'interno della stessa cellula fino a creare virioni completi, che poi sono espulsi per gemmazione.
Non è chiaro quale sia l'input che dà l'avvio alla trascrizione del genoma virale, ma sicuramente è legato a tutte le
occasioni di stimolazione del sistema immunitario ed è probabilmente indotto da un insieme di stimoli: antigeni,
citochine o anche infezioni da parte di altri virus. Esperimenti hanno infatti dimostrato che quando i linfociti e i
macrofagi infetti si attivano per la loro normale riproduzione, anche la trascrizione virale tende ad attivarsi. Tra i
fattori più coinvolti in questo processo sembrano esserci NF-kβ e citochine quali IL-6 e TNF-α.
HIV
33
L'espressione dei geni virali è quindi divisa in due fasi: precoce e tardiva. Nella prima vengono espressi i geni
regolatori mentre nella seconda quelli strutturali. I geni regolatori, di cui i più noti sono Tat, Nef e Rev e la cui
sintesi avviene nel citoplasma grazie a eventi di splicing molteplici, consentono l'amplificazione della trascrizione
genica a opera della RNA polimerasi cellulare di tipo II e la stabilizzazione degli RNA messaggeri creati
successivamente. Nella fase tardiva avviene la sintesi dei geni strutturali i cui trascritti vengono portati nel
citoplasma e lì sottoposti a un solo splicing e infine tradotti in proteine. È a questo livello che interviene la proteina
rev che, come espresso precedentemente, si lega ai trascritti e ne facilita il trasporto nel citoplasma. Quando la sintesi
viene completata le varie proteine strutturali si assemblano tra di loro determinando la formazione delle particelle
virali che vengono poi rivestite da un envelope lipoproteico.
Errori e mutazioni
Caratteristica tipica del virus HIV, e dei retrovirus in particolare, è la spiccata tendenza a mutare: durante i cicli
replicativi vengono frequentemente compiuti errori che portano a creare virus più o meno diversi dall'originale.
Queste mutazioni sono per lo più svantaggiose per il virus, che genera una cospicua serie di virus modificati destinati
a scomparire. Capitano comunque mutazioni vantaggiose, che permettono al virus di acquisire resistenza ai farmaci e
alla risposta immunitaria dell'individuo ospitante.
Grazie a tale facilità di mutazione, unita all'invisibilità del retrovirus all'interno delle cellule infette, il virus ha potuto
eludere i principali metodi di annientamento virale del sistema immunitario e della medicina in generale. Alcune
mutazioni hanno dato origine a sottotipi stabilizzati di HIV, a loro volta frammentati in sotto-sottotipi, chiamati
clade. Nel mondo occidentale il clade più diffuso è quello di tipo B. La facilità dei trasferimenti e flussi migratori
favoriscono la diffusione dei vari clade nel mondo intero e la presenza di "virus ricombinati" (CRF, Circulating
Recombinant Form), ovvero gli esiti di scambi genetici tra virus appartenenti a clade diversi contemporaneamente
presenti nello stesso individuo. HIV appare dunque come un mosaico di virus in continua trasformazione.
Espulsione dei nuovi virus
HIV, nei rapporti col proprio ospite, ha quindi due distinte opzioni, entrambe vantaggiose per il virus: l’infezione
latente, previa trascrizione e integrazione, e la replicazione. Nel primo caso esso si garantisce un serbatoio
inamovibile di genomi virali; nel secondo è messa in atto la possibilità di infettare un numero sempre maggiore di
cellule CD4+.
I nuovi virioni, come già accennato, fuoriescono dalla cellula che li ha prodotti per gemmazione, provocando sulla
superficie cellulare delle lacerazioni che uccidono la cellula stessa. I virus vengono espulsi nel torrente circolatorio e
in larga parte vengono neutralizzati dalla risposta immunitaria umorale. Alcuni infettano nuove cellule CD4+,
perpetuando l'infezione. Si arriva così a una concentrazioni sempre maggiori di virus nel sangue e in altri liquidi
biologici (soprattutto quelli genitali), il cui contatto con il sistema circolatorio di altri individui può portare a nuovi
contagi.
Il danno provocato da HIV, che porta alla sindrome di immunodeficienza acquisita, è dunque conseguenza della sola
replicazione virale, mentre lo stato di latenza non induce immunodeficienza.
HIV
34
Modalità di trasmissione
Il virus presenta diverse modalità di trasmissione:
• sessuale;
• ematica;
• verticale (madre-figlio).
La più diffusa (85%) è quella sessuale seguita dal contatto con sangue o emoderivati infetti. Nei paesi in via di
sviluppo particolarmente importante è la trasmissione verticale; questa può avvenire sia durante la gravidanza per
passaggio trans-placentare (20-40%), sia durante il parto (40-70%) e infine nell'allattamento (15-20%). Vanno infine
ricordati i rischi derivanti dall'uso di materiale medico-dentistico non sterilizzato e dal contatto del personale
sanitario o di laboratorio con campioni infetti.
La trasmissione sessuale è attualmente la modalità d'infezione più diffusa. Il virus si isola dal fluido seminale o come
particella libera o all'interno delle cellule mononucleate. Si è visto che esso aumenta nel caso di stati infiammatori
coinvolgenti i genitali a seguito del richiamo di elementi del sistema immunitario. HIV si identifica inoltre nello
striscio cervicale e nel fluido vaginale.
Tra le diverse tipologie di rapporti sessuali, quello anale, sia etero sia omo, viene considerato il più a rischio di
infezione. Questo perché la mucosa intestinale della regione anale è una barriera meno efficace delle altre, essendo
costituita da un epitelio piuttosto sottile e scarsamente lubrificato e dunque facilmente traumatizzabile durante il
rapporto, creando così delle microlacerazioni che facilitano l'inoculazione del virus. Non è neppure escluso che si
possano infettare direttamente le cellule di Langerhans della mucosa o altri elementi suscettibili (es. le cellule
immuni delle placche del Peyer) senza che siano avvenute lacerazioni traumatiche della mucosa.
Il rapporto vaginale pare meno a rischio di quello anale, in quanto l'epitelio vaginale è più spesso e più resistente ai
traumi. La donna ha comunque un rischio venti volte maggiore di infettarsi rispetto a un uomo e il maggior rischio di
infezione delle donne sembra da imputarsi al fatto che il fluido seminale infetto rimane nell'organismo femminile
piuttosto a lungo.
Infine è da considerare che tutte le infezioni che provocano ulcerazione dei genitali aumentano la suscettibilità nei
confronti di HIV. Il rapporto orale è probabilmente tra tutti quello meno a rischio, anche se sono stati documentati
casi di infezione anche attraverso tale modalità.
Un altro veicolo di trasmissione assai importante, soprattutto nei paesi a più alto tenore di vita è il sangue e i suoi
derivati. Le categorie a rischio per infezione tramite il sangue e gli emoderivati sono i tossicodipendenti che usano
droghe per via endovenosa condividendo la stessa siringa tra più persone e gli individui soggetti a trasfusione. In
Italia, negli anni ottanta e novanta, la percentuale dei tossicomani infettati arrivò a superare quella di tutte le altre
categorie. (sia eterosessuali sia omosessuali).
Attualmente il rischio d'infezione tramite emoderivati è stato drasticamente ridotto tramite l'uso di procedure di
screening su tutti i campioni e al trattamento con processi virucidici sui prodotti emoderivati.
Il virus è propagabile in modo verticale attraverso il contagio madre-figlio. Per lo più si ritiene che ciò avvenga nel
periodo perinatale, in particolare al momento del parto durante il quale il bambino può entrare in contatto col sangue
materno durante il tragitto nel canale del parto. Tuttavia sono stati anche registrati casi limitati in cui l'infezione era
già avvenuta nel primo o secondo trimestre. Al fine di ovviare al possibile contagio si è ricorso al parto cesareo che
ha dimostrato una riduzione importante del rischio di trasmissione al bambino. Sono stati messi anche a punto dei
protocolli con la zidovudina da assumere dopo il secondo trimestre e che hanno anch’essi dimostrato una sensibile
diminuzione del tasso di trasmissione dal 22,6% al 7%.
Si è anche documentata la possibilità di infezione madre-figlio attraverso il latte o il colostro materni ed
effettivamente il virus si può ritrovare in entrambi i fluidi. Questo comporta l'avvertenza di evitare l'allattamento al
seno per tutte le madri contagiate dal virus. Ciò comporta dei problemi soprattutto nei Paesi in via di sviluppo in cui
l'allattamento materno è spesso l'unica fonte di sopravvivenza e di protezione dalle infezioni per il neonato. L'OMS
HIV
35
ha comunque modificato le sue direttive alla luce di nuove ricerche e scoperte: il 30 novembre 2009 ha pubblicato
nuove raccomandazioni sull'alimentazione infantile da madri sieropositive, sostenendo che il bambino può
beneficiare dell'allattamento al seno con poco rischio di contrarre l'infezione da HIV.
Prevenzione
Per approfondire, vedi Prevenzione dell'AIDS.
Si è visto che la vaccinazione dal vaiolo risulta protettiva nei confronti dell'HIV, infatti i soggetti che sono stati
sottoposti a tale vaccinazione hanno un livello di infettività del virus di 5 volte inferiore rispetto ai soggetti non
vaccinati[3].
Una volta conosciute le vie di trasmissione la prevenzione è conseguente.
L'HIV si trasmette per via sessuale, ematica e materno fetale. Perché il contagio avvenga è necessario che lo sperma,
il liquido vaginale o il sangue della persona infetta venga a contatto con il sangue della persona non infetta. La
trasmissione ematica prevede l'intervento di un qualche strumento come l'uso di siringhe sporche di sangue di altre
persone o trasfusioni di sangue o comunque uso di strumenti contaminati da sangue che vengono a contatto con il
sangue della persona non infetta.
Prevenzione della trasmissione per via sessuale
È il preservativo, usato correttamente e dall'inizio della penetrazione, il mezzo più sicuro per la prevenzione delle
malattie a trasmissione sessuale (AIDS compresa) e delle gravidanze indesiderate. In commercio oggi si trova anche
un preservativo di poliuretano per quella piccolissima parte di popolazione allergica al lattice di gomma. Il
preservativo, essendo uno strumento, ha bisogno di essere usato correttamente.
Prevenzione della trasmissione per via ematica
• non usare siringhe, aghi, lamette o qualsiasi altro tagliente già usati da altri, usare solo materiale monouso o
sterilizzato;
• richiedere l'autotrasfusione per qualsiasi intervento programmato a cui ci si dovesse sottoporre (questo oltre a
rendere l'eventuale trasfusione assolutamente sicura per la persona, riduce anche il fabbisogno di sangue della
banca del sangue e quindi permette una selezione maggiore sui donatori, rendendo così sempre più sicure le
trasfusioni necessarie in caso di emergenza); oggi comunque i controlli sulle sacche di sangue e sugli altri
emoderivati li rendono pienamente sicuri.
• controllare sempre che gli strumenti taglienti o perforanti cui veniamo sottoposti siano sterili (strumenti del
dentista, strumenti per tatuaggi e piercing, strumenti per pedicure-manicure, ecc. - basta controllare che gli
strumenti vengano aperti in nostra presenza);
Prevenzione della trasmissione per via materno-fetale
In caso di sieropositività la gravidanza va affrontata con la consulenza dei medici: nei paesi in cui sono disponibili i
farmaci antiretrovirali l'assunzione degli stessi (secondo un particolare schema) può ridurre a meno del 2% la
percentuale di trasmissione materno-fetale. Per gli uomini sieropositivi esiste una procedura detta "lavaggio dello
sperma", che evita il contagio sia della madre che del figlio.
HIV
36
Obblighi informativi
La legislazione italiana non prevede in generale l’obbligo di esternare il proprio stato sierologico al partner, fintanto
che non sussista il rischio di contagio. Di conseguenza non si ha nemmeno il diritto d’essere informati sullo stato
sierologico di un’altra persona.
Se c'è il rischio di contagio, esistono gli estremi per una denuncia di comportamento omissivo colposo.
Terapia
Tra le varie fasi del ciclo vitale del virus quelle più facilmente aggredibili da farmaci sono la retrotrascrizione e le
modifiche post-traduzionali a cui vanno incontro le proteine virali neoformate. I farmaci tuttora disponibili sono:
•
•
•
•
•
inibitori della trascrittasi inversa (NRTI, NtRTI, NNRTI);
inibitori della proteasi (IP);
inibitori della fusione;
inibitori dell'integrasi;
inibitori del co-recettore.
Tali prodotti vengono adoperati in terapia in combinazione tra loro per evitare di produrre virus resistenti ai farmaci;
di conseguenza vi è la necessità di un'aderenza fedele al trattamento da parte del paziente.
Obiettivo della terapia farmacologica è quello di impedire la replicazione virale nell'organismo (e non l'eradicazione
completa dell'infezione che rimane cronica) così da ridurre i danni provocati al sistema immunitario e consentire una
sopravvivenza e una qualità di vita certamente maggiore.
Attualmente è disponibile anche un farmaco appartenente alla classe degli inibitori della fusione che, agendo sulla
gp41 di HIV impedisce la fusione del pericapside virale e la membrana esterna della cellula impedendo l'entrata del
virus.
Inoltre, due nuove classi di farmaci, gli antagonisti del co-recettore CCR-5 e gli inibitori dell'integrasi, sono state da
poco approvate per l'uso clinico.
Tutti i vaccini in fase di sperimentazione non sembrano dare risultati confortanti. Gli scienziati concordano nel dire
che occorre dare nuova linfa a questo settore della ricerca. È chiaro che tuttora non esiste una terapia che eradica
completamente l'infezione, di conseguenza è di fondamentale importanza la prevenzione. È però in fase di
sperimentazione clinica 2 (2010) un vaccino di invenzione italiana che si basa sull'immunizzazione dell'organismo
nei confronti della proteina del core p17 presente nel vaccino come antigene reso immunogeno.
Si deve anche ricordare che, subito dopo una possibile esposizione al virus, allo scopo di ridurre la probabilità di
contagio, è possibile sottoporsi a un trattamento farmacologico noto come profilassi post-esposizione ad HIV.
Indennizzo del danno per trasfusioni infette
In Italia esiste una legge dello Stato, la legge n. 210/92, che offre un indennizzo in termini pecuniari a tutti coloro
che hanno contratto il virus (e di cui si abbia conclamazione accertata) da trasfusioni di sangue e/o emoderivati
infetti e/o vaccini. Sono numerose le sentenze emesse da giudici di merito e dalla Corte di Cassazione che
riconoscono, in aggiunta (totale o parziale) all'indennizzo previsto dalla L. 210/92, a soggetti che hanno contratto tale
tipo di infezione virale a causa di trasfusioni, un risarcimento dei danni ritenendo, quindi, colpevole il Ministero
della Salute (già della Sanità) per omessa attività normativa e carenza di pratica vigilanza circa la produzione,
commercializzazione e distribuzione del sangue e suoi derivati. A coloro che già percepiscono l'indennizzo, si
evidenzia che, sebbene detto beneficio economico debba essere rivalutato secondo il tasso annuale di inflazione
programmato (t.i.p.), il Ministero non vi provvede se non dopo specifica e formale richiesta dell'interessato.
HIV
37
Progetti
Questo retrovirus per la sua particolare natura aggressiva, contagiosa e nella difficoltà di guarigione da esso ha
modificato i comportamenti sociali e ritmi di vita, in particolar modo dei contagiati, i quali devono essere sottoposti
a particolari cure e vedono la loro vita alterata da visite, cure specialistiche e eventuali malori associati, dato
l'avanzamento tecnologico, sono stati creati degli strumenti di supporto per la gestione di questi cambiamenti e dare
maggiori informazioni sulla malattia, come nel caso della "Network persone sieropositive Italia Onlus", che ha
sviluppato "H-Bookmark", un'applicazione che può essere installata su uno Smartphone.[4]
Note
[1] AIDS nel Libro dell'anno (2007) su Treccani.it (http:/ / www. treccani. it/ enciclopedia/ aids_(Il-Libro-dell'Anno)/ )
[2] I corecettori sono molecole appartenenti ai recettori per le chemochine. CCR5 è il recettore utilizzato dalle β−chemochine RANTES, MIP-α,
MIP-β, LD78α e LD78β mentre CXCR4 ha come ligando naturale la chemochina SDF-1 (Stromal Derived Factor 1).
[3] Stop a vaccini vaiolo forse causa boom casi HIV anni'70 (http:/ / www. ansa. it/ web/ notizie/ rubriche/ scienza/ 2010/ 05/ 18/ visualizza_new.
html_1793857688. html)
[4] Hiv Bookmark (http:/ / www. npsitalia. net/ article2805. html")
Bibliografia
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Voci correlate
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AIDS
Sieropositività
Test HIV
Storia dell'epidemia di HIV/AIDS
Diffusione dell'HIV in Africa
Profilassi post-esposizione ad HIV
FightAIDS@Home
Giornata mondiale contro l'Aids
Ipotesi alternative sull'AIDS
HTLV (HTLV-III, HTLV-IV)
AZT (Un farmaco che viene usato nella lotta contro l'HIV).
Luc Montagnier
AIDS. I rapporti umani non trasmettono il virus
Lega italiana per la lotta contro l'AIDS
HLA-B
• Truvada
• Bugchasing
HIV
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Altri progetti
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Wikizionario contiene il lemma di dizionario «HIV»
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file su HIV (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:HIV?uselang=it)
Collegamenti esterni
• Centro Operativo AIDS (Istituto Superiore di Sanità) (http://www.iss.it/ccoa/)
• AIDS nel Libro dell'anno (2007)" su Treccani.it (http://www.treccani.it/enciclopedia/
aids_(Il-Libro-dell'Anno)/)
• Sito e learning sulle modalità di trasmissione/prevenzione dell'HIV (http://www.schivami.it/public/courses/
01/)
• FAQ del Ministero della Salute (http://www.salute.gov.it/faqaids/faq.jsp)
• (EN) HIV InSite (http://hivinsite.ucsf.edu)
• (EN) UNAIDS: The Joint United Nations Programme on HIV/AIDS (http://www.unaids.org/en/)
• (EN) Organizzazione Mondiale della Sanità: pagine sull'infezione da HIV (http://www.who.int/topics/
hiv_infections/en/)
• (EN) HIV Medicine (http://www.hivmedicine.com)
• (EN) HIV subtypes (http://www.hiv.lanl.gov/content/hiv-db/HelpDocs/subtypes-more.html)
• (EN) Plwha.net (http://www.plwha.net)
• HIV (http://thes.bncf.firenze.sbn.it/termine.php?id=13218) in « Tesauro del Nuovo Soggettario (http://thes.
bncf.firenze.sbn.it/)», BNCF, marzo 2013.
Portale Medicina
Portale Microbiologia
Epatite C
40
Epatite C
Epatite C
Virus dell'epatite C al microscopio elettronico
Classificazione e risorse esterne
ICD-9-CM
ICD-10
(EN) 131
[1]
(EN) B17.1
[2]
, B18.2
[3]
L'epatite C è una malattia infettiva, causata dall'Hepatitis C virus (HCV), che colpisce in primo luogo il fegato
(epatite). L'infezione è spesso asintomatica, ma la sua cronicizzazione può condurre alla cicatrizzazione del fegato e,
infine, alla cirrosi, che risulta generalmente evidente dopo molti anni. In alcuni casi, la cirrosi epatica potrà portare a
sviluppare insufficienza epatica, cancro del fegato, varici esofagee e gastriche.
L'HCV è trasmesso principalmente per contatto diretto con il sangue infetto, spesso dovuto all'uso di droghe per via
endovenosa, a presidi medici non sterilizzati e trasfusioni di sangue. Si stima che circa 130-170 milioni di persone al
mondo siano infettate dal virus dell'epatite C. L'esistenza dell'epatite C, in origine definita "epatite non A non B", è
stata ipotizzata nel 1970 e confermata nel 1989.
Il virus persiste nel fegato di circa l'85% delle persone infette. Questa infezione persistente può essere trattata con i
farmaci interferone e ribavirina, che rappresentano la terapia di riferimento. Complessivamente il 50-80% dei
pazienti trattati guarisce, mentre coloro che sviluppano cirrosi o cancro possono necessitare di un trapianto di fegato.
Al 2012 nessun vaccino efficace contro l'epatite C è ancora disponibile.
Storia
A metà degli anni settanta, Harvey J. Alter, capo della sezione Malattie Infettive del Dipartimento di Medicina
Trasfusionale presso lo statunitense National Institutes of Health, insieme al suo team di ricerca, dimostrò come la
maggior parte dei casi di epatite post-trasfusionale non fossero causati dal virus dell'epatite A o B. Nonostante questa
scoperta, gli sforzi di ricerca internazionali per identificare il virus, inizialmente chiamato epatite non A non B
(NANBH), non ebbero successo per più di un decennio. Nel 1987, Michael Houghton, Qui-Lim Choo e George Kuo,
della Chiron Corporation, in collaborazione con il dottor D.W. Bradley del Centers for Disease Control and
Prevention (CDC), utilizzarono un nuovo approccio di clonazione molecolare per identificare il microrganismo
sconosciuto e sviluppare quindi un test diagnostico.
Nel 1988, l'esistenza del virus fu confermata da Alter verificandone la presenza in una serie di campioni NANBH e,
nell'aprile 1989, la scoperta del virus HCV fu pubblicata in due articoli sulla rivista Science. La scoperta ha portato a
significativi miglioramenti nella diagnosi e un migliore trattamento antivirale. Nel 2000, Alter e Houghton sono stati
premiati con il Lasker Award for Clinical Medical Research per "lavoro pionieristico che ha portato alla scoperta del
virus che causa l'epatite C e lo sviluppo di metodi di screening che hanno ridotto il rischio di trasfusione di sangue
infetto da epatite negli Stati Uniti dal 30% nel 1970 quasi a zero nel 2000".
Epatite C
41
Epidemiologia
Si stima che vi siano circa 130-170 milioni di individui affetti da
epatite C al mondo. Gli studi fanno ritenere, inoltre, che l'HCV sia
responsabile, a livello mondiale, del 27% delle cirrosi epatiche e del
25% degli epatocarcinomi. In Italia vi sono circa 1 milione di persone
infette con un'incidenza di 0,5 nuovi casi ogni 100.000 abitanti (nel
2004), in diminuzione, soprattutto nei giovani, grazie alla maggiore
attenzione alle pratiche di sterilizzazione, all'impiego di materiali
monouso in chirurgia e odontoiatria e al controllo delle trasfusioni. La
coinfezione col virus HIV è comune e circa il 25% dei pazienti HIV
positivi sono anche infettati da HCV.
Sono disponibili test sierologici per rilevare la presenza dell'infezione.
Inoltre la reazione polimerasica a catena (PCR) può essere usata per
individuare il genotipo virale responsabile. Esistono diversi genotipi,
distribuiti prevalentemente per area geografica; il genotipo 1a è il più
comune in Nord America, mentre in Europa e in Italia il più diffuso è il
tipo 1b.
Distribuzione geografica mondiale della
prevalenza dell'Epatite C nel 1999 (dati OMS)
Disability-adjusted life year dell'epatite C nel
2004 per 100.000 abitanti (dati Organizzazione
mondiale della sanitàOMS)
La prevalenza dell'epatite C è alta in alcuni Stati dell'Africa e dell'Asia.
Nazioni con alto tasso di infezioni includono: Egitto (22%), Pakistan (4.8%) e Cina (3.2%). Si ritiene che l'alta
prevalenza in Egitto sia dovuta alla campagna di massa per la diagnosi di schistosomiasi in cui sono state utilizzate
siringhe di vetro sterilizzate impropriamente.
Eziologia
Per approfondire, vedi Hepatitis C virus.
L'agente eziologico dell'epatite C è l'hepatitis C virus (HCV), un virus
dal diametro di 55-65 nm dotato di un pericapside a composizione
prevalentemente lipidica e di un capside icosaedrico contenente una
doppia molecola di RNA a filamento singolo con polarità positiva,
lungo 9.100 nucleotidi. Si tratta di un appartenente al genere
hepacivirus nella famiglia Flaviviridae. Sebbene sia noto che esistono
diversi genotipi del virus, non esiste una classificazione universalmente
accettata; quella più utilizzata, recepita dall'OMS, ne prevede 11,
mentre altre ne identificano tra i 4 e i 7. Negli Stati Uniti, circa il 70%
Microfotografia di un virus dell'epatite C (scala =
50 nm).
dei casi sono relativi al genotipo 1, il 20% dal genotipo 2 e circa l'1%
in ciascuno degli altri genotipi. Il genotipo 1 è anche il più comune in
Sud America e in Europa. In tutto sono stati identificati circa un centinaio di ceppi virali.
Epatite C
42
Trasmissione
Nel mondo sviluppato, la via di trasmissione principale del virus è legata all'uso di droghe per via endovenosa,
mentre nei paesi in via di sviluppo le cause maggiori sono le trasfusioni di sangue non sicure e le procedure mediche.
Nel 20% dei casi, la causa di trasmissione rimane comunque sconosciuta; tuttavia si ritiene che la maggior parte di
esse sia comunque legata alle iniezioni di sostanze stupefacenti.
Consumo di droga per via endovenosa
L'utilizzo di droghe per via endovenosa è un importante fattore di
rischio per l'epatite C in molte parti del mondo. Dei 77 paesi esaminati,
25 hanno evidenziato una prevalenza tra il 60% e l'80% di epatite C
nella popolazione facente uso di questo tipo di droghe e in dodici si
sono registrati tassi superiori all'80%. Si ritiene che dieci milioni di
consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva siano infetti da
epatite C: Cina (1,6 milioni), Stati Uniti (1,5 milioni) e Russia (1,3
milioni) hanno i tassi assoluti più alti. La presenza di epatite C tra i
detenuti negli Stati Uniti è da dieci a venti volte superiore a quella
riscontrabile nella popolazione generale, questo è stato attribuito a
comportamenti ad alto rischio che avvengono nelle carceri come le
iniezioni di droga e i tatuaggi con attrezzature non sterili.
Trasmissione dell'epatite C secondo i dati del
Centers for Disease Control and Prevention
statunitense
Esposizione legata a procedure mediche
Le trasfusioni di sangue e i trapianti d'organi, in assenza di un controllo preventivo sulla presenza di HCV, sono
procedure che comportano un alto rischio di infezione. Gli Stati Uniti, nel 1992, hanno istituito uno screening
universale sulle sacche di sangue trasfuse e il rischio è diminuito da 1 su 10.000 a 1 su 10.000.000 per unità di
sangue. Il Canada aveva istituito lo screening universale già nel 1990. Questo rischio, per quanto basso, è sempre
presente per via di un periodo di tempo di circa 11-70 giorni (a seconda del metodo con cui si esegue il controllo) tra
il possibile contagio del potenziale donatore e la capacità di rilevare il virus nel suo sangue. Alcuni paesi del mondo
ancora non effettuano i dovuti controlli, a causa del loro elevato costo.
Coloro che si pungono accidentalmente con un ago già venuto a contatto con un paziente HCV positivo, hanno una
probabilità di circa l'1,8% di contrarre l'infezione. Il rischio è maggiore se la puntura avviene in profondità. Vi è
anche un modesto rischio di trasmissione tra il sangue e le mucose, mentre è assente se l'esposizione del sangue
avviene sulla cute integra.
È stato provato che anche i presidi sanitari possono essere una causa di trasmissione di epatite C, se non vengono
utilizzate adeguate precauzioni. Le limitazioni all'applicazione di rigorose e uniformate precauzioni in strutture
mediche e odontoiatriche pubbliche e private sono note per essere la causa principale della diffusione del virus in
Egitto, il paese con più alto tasso di infezione nel mondo.
Trasmissione sessuale
Il virus dell'epatite C, sebbene con frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell'epatite B e/o dell’HIV, si
trasmette per via sessuale. Tale trasmissione avviene solo se durante l'atto vi è scambio di sangue. Non sono
infettanti né lo sperma, né la saliva, né le secrezioni vaginali. Il rischio è minore nei partner monogami sia
eterosessuali, sia omosessuali, rispetto ai soggetti con numerosi partner sessuali. La coinfezione HIV–HCV aumenta
il rischio di trasmissione sessuale di HCV. Altri fattori potenzialmente in grado di aumentare il rischio di infezione
sono la presenza di altre malattie sessualmente trasmissibili, quali Herpes simplex labiale e genitale, gonorrea e
trichomoniasi vaginale. Il governo degli Stati Uniti raccomanda solo l'uso del preservativo per prevenire la
trasmissione dell'epatite C negli individui con partner multipli.
Epatite C
43
Piercing
Alla pratica della tatuazione è associato un rischio da due a tre volte maggiore di contrarre l'epatite C rispetto alla
popolazione generale. Questo può essere dovuto a uso di apparecchiature impropriamente sterilizzate o alla
contaminazione dei coloranti utilizzati. I tatuaggi e i piercing eseguiti prima metà degli anni 1980 o in strutture non
professionali destano una maggior preoccupazione, poiché i requisiti di sterilità, in tali contesti, possono essere
mancati. Il rischio sembra essere maggiore per i tatuaggi più grandi. Si stima che quasi la metà dei detenuti abbiano
utilizzato attrezzature per tatuaggi non sterili. Nelle strutture autorizzate è comunque raro poter contrarre
un'infezione da HCV.
Trasmissione parenterale inapparente
Per approfondire, vedi Via parenterale inapparente.
Oggetti per la cura personale, come rasoi, spazzolini da denti e attrezzature per la manicure o pedicure, possono
essere contaminati con il sangue. La loro condivisione può portare all'esposizione al virus HCV. Un'appropriata
cautela deve essere assunta in qualsiasi situazione in cui vi sia una perdita di sangue. L'HCV non si diffonde
attraverso il contatto casuale, come ad esempio abbracci, baci o con la condivisione di utensili da cucina.
Trasmissione verticale
Per approfondire, vedi Trasmissione verticale.
La trasmissione verticale del virus dell'epatite C da una madre infetta al suo bambino avviene in meno del 10% delle
gravidanze. Non vi sono misure preventive che modifichino tale rischio. Non è chiaro in quale momento della
gravidanza possa avvenire la trasmissione, ma sembra che possa verificarsi sia durante la gestazione, sia al momento
del parto. Non vi è alcuna prova che l'allattamento al seno possa essere causa di trasmissione del virus, tuttavia, a
scopo cautelativo, si consiglia di evitarlo se i capezzoli sono sanguinanti, o se la carica virale risulti elevata.
Epatite C
44
Clinica
Infezione acuta
L'infezione da epatite C provoca
sintomi acuti nel 15% dei casi. Essi
sono generalmente lievi e vaghi, tra cui
una riduzione dell'appetito, stanchezza,
nausea, dolori articolari o muscolari e
perdita di peso. La maggior parte dei
casi di infezione acuta è accompagnata
da ittero. L'infezione si risolve
spontaneamente nel 10-50% dei casi e
più frequentemente in individui
giovani e di sesso femminile.
Infezione cronica
Circa l'80% delle persone esposte al
virus sviluppano un'infezione cronica.
La maggior parte prova pochi o nessun
sintomo durante i decenni iniziali
dall'infezione, generalmente solo un
Lo schema illustra le possibili progressioni dell'infezione da virus HCV. Si noti l'aumento
po' di affaticamento. Dopo numerosi
di probabilità di sviluppare scompenso epatico o epatocarcinoma se vi è una coinfezione
anni, l'epatite C cronica può portare
con virus HIV o se il soggetto è un forte consumatore di alcool.
allo sviluppo di cirrosi epatica e cancro
al fegato. Circa il 10-30% delle persone manifesta cirrosi dopo oltre 30 anni di malattia, in particolar modo i pazienti
coinfettati con epatite B o HIV, alcolisti e di sesso maschile. Coloro che sviluppano cirrosi hanno un rischio 20 volte
maggiore di carcinoma epatocellulare, e se questi sono anche forti consumatori di alcool, il rischio diventa 100 volte
maggiore. L'epatite C è causa, in tutto il mondo, del 27% dei casi di cirrosi epatica e del 25% dei casi di carcinoma
epatocellulare.
La cirrosi epatica può condurre a ipertensione portale, ascite (accumulo di liquido nell'addome), ecchimosi o
sanguinamento, varici (vene dilatate, soprattutto nello stomaco ed esofago), ittero, e una sindrome da deficit
cognitivo conosciuta come encefalopatia epatica. Si tratta di una condizione che può richiedere il trapianto di fegato.
Epatite C
45
Segni e sintomi extraepatici
L'epatite C è raramente associata alla sindrome di Sjögren, una malattia autoimmune, a trombocitopenia, a lichen
planus, al diabete mellito e a malattie linfoproliferative. La presenza di trombocitopenia è stimata tra lo 0,16% e il
45,4% delle persone con epatite cronica da HCV. Sono state segnalate anche correlazioni con la prurigo nodularis e
la glomerulonefrite membrano-proliferativa.
Diagnosi
Vi sono una serie di test diagnostici per l'epatite C, tra cui: il test
ELISA, il test Western blot e la verifica della presenza di RNA virale
tramite reazione a catena della polimerasi (PCR) L'RNA del virus può
essere rilevato tramite PCR tipicamente da una a due settimane dopo
l'infezione, mentre la formazione degli anticorpi può richiedere più
tempo e quindi inizialmente possono non essere rilevati.
L'epatite C cronica è definita come l'infezione da virus dell'epatite C,
individuato in base alla presenza del suo RNA, persistente per più di
sei mesi. Le infezioni croniche sono in genere asintomatiche durante i
primi decenni e quindi vengono più frequentemente scoperte in seguito
ad indagini effettuate dopo una rilevazione di elevati livelli di enzimi
epatici o nel corso di un'indagine di screening in individui ad alto
rischio. Il test non è in grado di distinguere tra infezioni acute e
croniche.
Modello sierologico dell'infezione da HCV in
caso di guarigione. Si nota la normalizzazione
degli enzimi epatici (ALT), dopo la scomparsa
del virus, ed la persistenza degli anticorpi
anti-HCV (fonte: CDC).
Diagnosi sierologica
Il test per l'epatite C tipicamente inizia con l'analisi del sangue per
rilevare la presenza di anticorpi contro l'HCV grazie ad un test
immunoenzimatico. Se questa verifica ha esito positivo, un test di
conferma viene quindi eseguito per verificare l'immunodosaggio e per
determinare la carica virale. L'immunodosaggio è valutato mediante un
test immunoenzimatico ricombinante, mentre la carica virale viene
invece determinata tramite una reazione a catena della polimerasi
effettuata sull'RNA del virus HCV. Sono necessarie circa 6-8 settimane
dall'infezione affinché l'immunodosaggio dia risultato positivo.
Modello sierologico dell'infezione da HCV in
caso di cronicizzazione (fonte: CDC).
Gli enzimi epatici, in particolar modo l'alanina transaminasi (ALT), sono variabili durante il periodo iniziale
dell'infezione e in media iniziano a salire a partire dalla 7ª settimane successiva all'infezione. Il dosaggio degli
enzimi epatici è quindi scarsamente correlabile alla gravità della malattia.
Biopsia
Per approfondire, vedi Biopsia epatica.
Biopsie epatiche vengono utilizzate per determinare il grado di danno al fegato, tuttavia la procedura comporta dei
rischi e nell'1-5% dei casi richiede l'ospedalizzazione. I cambiamenti tipici osservati sono un'infiltrazione linfocitaria
all'interno del parenchima epatico, la presenza di follicoli linfoidi localizzati a livello della triade portale e
l'alterazione dei dotti biliari. Vi sono anche un certo numero di esami del sangue disponibili per tentare di
determinare il grado di fibrosi epatica e diminuire la necessità di effettuare biopsie.
Epatite C
46
Trattamento
Il virus dell'epatite C porta ad una infezione cronica nel 50-80% delle persone che lo contraggono, delle quali circa il
40-80% viene trattato. In rari casi, l'infezione può risolversi senza alcun trattamento. Ai pazienti affetti da epatite C
cronica, si consiglia di evitare l'assunzione di alcool e di farmaci tossici per il fegato. È raccomandata inoltre la
vaccinazione contro l'epatite A e l'epatite B. Ecografie di sorveglianza per il carcinoma epatocellulare sono
raccomandate nei pazienti che sviluppano cirrosi.
Trattamento farmacologico
In generale, il trattamento farmacologico è consigliato nei pazienti con
alterazioni epatiche provocate dal virus. Il trattamento di riferimento è
una combinazione di interferone alfa pegilato e ribavirina, da
assumersi per un periodo di 24 o 48 settimane, a seconda del genotipo
del virus HCV. Si è osservato che questa terapia porta a miglioramenti
nel 50-60% dei casi.
Struttura della molecola di ribavirina.
Per il genotipo 1 ed il genotipo 4, considerati meno sensibili
all'interferone, un ruolo importante nella risposta alla terapia è giocato
dalla carica virale nel sangue prima dell'inizio della cura.
Nel corso del 2011, sono stati approvati due nuovi farmaci antivirali, il
boceprevir e il telaprevir, che andranno ad affiancare l'interferone e la ribavirina contro i genotipi più difficili da
trattare, in particolar modo il genotipo 1, portando il tasso di guarigione dal 40% al 70%. Gli effetti collaterali del
trattamento sono frequenti, con la metà dei pazienti che avverte sintomi di tipo influenzali e con un terzo che
presenta problemi emotivi. Il trattamento che avviene durante i primi sei mesi risulta più efficace rispetto a quando
l'epatite C diventa cronica.
Nei pazienti affetti da talassemia, la ribavirina sembra essere utile, ma aumenta la necessità di trasfusioni.
Diverse terapie alternative sono rivendicate dai loro fautori per essere utili per l'epatite C, come l'utilizzo di cardo
mariano, ginseng o argento colloidale. Tuttavia, nessuna terapia alternativa ha dimostrato di migliorare i risultati per
il trattamento dell'epatite C e non esiste alcuna prova che queste terapie abbiano alcun effetto sul virus.
Prognosi
La risposta al trattamento varia in base al genotipo del virus ed è definita come la discesa dei livelli di RNA virale a
valori non rilevabili dopo 24 settimane dalla sospensione del farmaco. Nel 40-50% delle persone con HCV di
genotipo 1, la risposta avviene dopo 48 settimane di trattamento. In quelle con genotipo 2 e 3 la risposta si presenta
invece dopo 24 settimane dall'inizio della cura per il 70-80% di esse, mentre per il genotipo 4 la risposta avviene nel
65% dei pazienti a 48 settimane. Per la risposta alla terapia nei pazienti affetti da virus con genotipo 6, non si hanno
ancora dati certi, ma sembra che si avvicini alle tempistiche valide per i pazienti colpiti dal genotipo 1.
Prevenzione
Al 2012, non è ancora disponibile un vaccino efficace nella prevenzione dall'infezione da parte del virus dell'epatite
C, tuttavia alcuni sono in fase di sviluppo e i primi risultati sono incoraggianti.
Una combinazione di strategie per la riduzione del rischio, come l'utilizzo di aghi e siringhe monouso, hanno fatto
diminuire del 75% il rischio di trasmissione di epatite C nei tossicodipendenti per via iniettiva. Nei paesi in cui c'è un
insufficiente fornitura di siringhe sterili, i farmaci dovrebbero essere somministrati preferibilmente per os piuttosto
che con iniezioni, al fine di ridurre il rischio di trasmissione interumana.
Epatite C
Si ritiene che solo il 5-50% delle persone infettate negli Stati Uniti e in Canada diventi consapevole della propria
situazione. Il test di screening è raccomandato nei soggetti ad alto rischio, tra i quali quelli che hanno tatuaggi. ed è
consigliato anche negli individui che presentano un aumento ingiustificato degli enzimi epatici, dal momento che
questa condizione è spesso l'unico segno di epatite cronica. Lo screening di routine, tuttavia, non è previsto negli
Stati Uniti. Lo screening dei donatori di sangue, invece, è fondamentale e aderisce alle precauzioni universali
suggerite alle strutture sanitarie.
Stato della ricerca
Al 2011, vi sono circa 100 farmaci in sviluppo per l'epatite C. Questi includono, tra gli altri, vaccini,
immunomodulatori e gli inibitori della ciclofilina. Questi potenziali nuovi trattamenti sono stati sviluppati in seguito
ad una migliore conoscenza del virus dell'epatite C.
Note
[1] http:/ / www. icd9data. com/ getICD9Code. ashx?icd9=131
[2] http:/ / www. icd10data. com/ ICD10CM/ Codes/ B17-/ B17. 1
[3] http:/ / www. icd10data. com/ ICD10CM/ Codes/ B18-/ B18. 2
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Voci correlate
• Epatite
• Epatocita
• Virus
Altri progetti
•
Wikinotizie contiene notizie di attualità su Epatite C
Collegamenti esterni
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