REGATT 10-2009.qxd 13/05/2009 17.19 Pagina 315 L L ibri del mese Chiesa e islam Prospettive di dialogo tra teologia cristiana e religione musulmana L’ accostamento tra teologia cristiana e religione islamica non è così ovvio come potrebbe apparire a prima vista. Per trattare della loro possibile relazione dobbiamo in ogni caso chiederci quali siano le condizioni che legittimano la teologia cristiana a occuparsi dell’islam, al fine di poter validamente indicare e presentare le prospettive di approccio teologico alla religione LXXXI musulmana. D’altra parte le posizioni teologiche cristiane attuali si collocano in un orizzonte storico che si estende fino all’epoca in cui sorge l’islam. C’è bisogno allora quanto meno di accennare ai trascorsi storici. La trattazione del tema di questo saggio può essere allora utilmente articolata in una premessa, in un richiamo della storia e in una presentazione delle principali prospettive attualmente proposte. La per tinenza teologica d i u n d i sco r so s u l l ’ i s la m La premessa ha un carattere necessariamente teorico e alquanto astratto. Muove infatti dal concetto, sia pure generalissimo, di teologia cristiana, la quale è svolgimento dell’intelligenza credente, sviluppo di un vero sapere – come tale critico – reso possibile e abilitato dalla rivelazione di Dio in Cristo, che si rende presente nella Scrittura e nella tradizione ecclesiale, e dalla luce della fede che accompagna e attua il dono divino. La teologia ha uno statuto allo stesso tempo critico e credente, perché si fonda su una parola e su una presenza personali di Dio che rende possibile un processo di accoglienza, di comprensione e di conoscenza nell’uomo grazie alla fede che abilita e avvia tale processo. In ordine al nostro tema, va richiamata in particolare la specificità contenutistica del discorso teologico, il quale ha titolo per considerarsi tale fin dove in ultima analisi si tratti pur sempre della rivelazione di Dio e della risposta di fede da parte dell’uomo. Ciò non equivale però a una restrizione secondo cui si debba considerare teologia sempre e soltanto la ripresentazione della «narrazione» – per così dire – dell’iniziativa di Dio. In realtà il discorso teologico non ha limitazioni contenutistiche, poiché si occupa di tutto ciò che concerne la vita dell’uomo, la sua esperienza e la sua storia; la teologia però ha titolo per occuparsi di qualcosa soltanto in forza e alla luce della rivelazione divina accolta nella fede, e quindi in ragione del rapporto dell’uomo e della sua storia con la rivelazione e la fede. Considerate le cose in tale ottica, non è impossibile intravedere la pertinenza teologica di un discorso sull’islam. La pertinenza è dettata dall’interesse IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 315 REGATT 10-2009.qxd L 13/05/2009 17.19 Pagina ibri del mese teologico che il pluralismo religioso sollecita e il cui svolgimento è affidato a quell’ambito della riflessione da qualche tempo designato con l’espressione «teologia delle religioni».1 Del resto è la rivelazione stessa, nella sua dimensione storica e antropologica, a entrare in dialogo con la storia dell’uomo, per interpellarla e per lasciarsene interrogare. Si può parlare in tal senso di una variamente sperimentata e insuperabile interlocuzione tra rivelazione cristiana e storia religiosa dell’umanità. La pretesa di universalità della rivelazione cristiana si trova a essere sfidata dalla pluralità delle tradizioni e delle esperienze religiose nel corso della storia. Ci si chiede, per un verso, che cosa significhi tale pluralità per la rivelazione cristiana, e quindi come si collochino e vadano intese le altre religioni nell’unico disegno di Dio; per altro verso, le singole religioni pongono l’interrogativo circa il significato, il valore e l’originalità delle loro esperienze e delle loro dottrine nel confronto con la rivelazione cristiana. Tali questioni di ordine generale hanno prodotto una riflessione – la teologia delle religioni – il cui esito può essere considerato l’elaborazione di modelli teologici, ovvero di schemi di relazione tra rivelazione-fede cristiana e religioni – solitamente ricondotti a tre, chiamati esclusivismo, inclusivismo, pluralismo. Questi tre modelli si differenziano tra loro per il modo diverso di spiegare l’articolazione delle due dimensioni richiamate da 1Tm 2,45, e cioè la volontà salvifica universale di Dio e l’unicità della mediazione dell’uomo Gesù Cristo. La teologia cattolica in genere viene considerata riconducibile alla posizione inclusivistica,2 che sola riesce a tenere insieme universalità e unicità, per quanto anch’essa conosca una varietà di sviluppi e di posizioni.3 Possiamo allora sollevare il problema cruciale in rapporto alla questione che stiamo trattando. Se infatti alla luce dei brevi cenni svolti appare senza difficoltà la pertinenza teologica della questione della pluralità delle religioni in genere, non risulta altrettanto evidente in che modo una singola religione possa essere tematizzata dalla teologia cristiana. Detto in altri termini: se è possibile porre in relazione la rivelazione divina accolta nella fede con il fenomeno delle altre religioni (e infatti già tutta la Scrittura – oltre che poi l’intera tradizione cristiana – attesta l’esperienza, la coscienza e le risposte all’incontro con altre forme religiose),4 non 316 316 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 altrettanto plausibile appare la necessità della relazione con le singole altre religioni nel senso di una loro interpretazione e spiegazione nell’ottica cristiana. Può essere citato, per la sua unicità e insieme esemplarità, il caso della religione ebraica, il cui rapporto con Gesù Cristo e con il cristianesimo è insuperabile, poiché Gesù di Nazaret è un ebreo e le Scritture ebraiche, nella forma di Antico Testamento, sono entrate a far parte del canone cristiano della Bibbia. Questo caso unico, che consente di parlare di teologia cristiana dell’ebraismo, lascia intuire come per ogni singola altra religione non risulta evidente il «perché» e il «come» la teologia debba interessarsene; per farlo, comunque, bisognerebbe quanto meno istituire un quadro specifico d’intelligibilità teologica e un metodo corrispondente. D al la te o lo g ia al dialogo tra le religioni È importante qui osservare, solo come chiarificazione, che la questione si pone in termini diversi se spostiamo l’attenzione dalla teologia al dialogo tra le religioni. Anche il dialogo ha un suo rilievo per la teologia, la quale si occupa del dialogo nel senso di una teologia della prassi del dialogo. Il dialogo tra due religioni è infatti l’attività pratica secondo cui l’incontro di due religioni avviene nella convivenza ordinaria dei rispettivi credenti, nella condivisione delle loro esperienze spirituali, nella collaborazione per il raggiungimento di obiettivi operativi condivisi, nello studio e nella conoscenza di questioni dottrinali di comune o reciproco interesse, per richiamare sommariamente le indicazioni della Nostra aetate del Vaticano II e quelle magisteriali successive.5 La teologia in questo caso ha il compito di evidenziare le motivazioni, i criteri e le finalità del dialogo. Si può aggiungere che il dialogo può apportare a sua volta anche contributi significativi alla riflessione teologica, la quale ha però come proprio scopo quello di comprendere e spiegare l’altra religione in termini teologici, cioè nell’orizzonte della rivelazione e della fede cristiane.6 Ora il punto è: quale titolo e quali strumenti ha la teologia per dare un giudizio, e un giudizio di verità, su un’altra religione, e su una religione come l’islam? Se di titolo si deve parlare, esso deve consistere nella necessità che la fede cristiana presenta di pervenire all’intelligibilità e integrabilità ermeneutica dell’uomo e della storia nella propria visione della realtà. Se si rifiutasse di farlo o si dichiarasse inadeguata, rinuncerebbe non solo a occuparsi di un ambito tra gli altri, ma piuttosto rinnegherebbe se stessa, mostrandosi incapace di rispondere alle domande e alle sfide della realtà e denunciando in tal modo l’insostenibilità della sua pretesa di essere risposta alla rivelazione piena e definitiva di Dio in Cristo. Entrerebbe insomma in crisi la coscienza di fede e il concetto di rivelazione cristiana. Accanto a questo aspetto formale, bisogna però aggiungere l’esigenza di ricorrere agli strumenti d’indagine e di conoscenza forniti dalle scienze delle religioni, e nel caso specifico all’islamologia, per pervenire a un giudizio di verità competente e pertinente sulla dimensione religiosa dell’islam. Si vede bene come qui si tratti formalmente dell’autocomprensione cristiana, non di quella musulmana; ovvero, il giudizio di verità riguarda la fede cristiana, la quale a tal fine ha bisogno di conoscere e comprendere adeguatamente l’altra religione per pervenire a un giudizio di verità. Possiamo parlare allora di teologia in quanto essa ha competenza su ciò che fa riferimento alla rivelazione e alla fede, e quindi pone la questione dell’islam nella misura in cui quest’ultima risulta necessariamente connessa alla rivelazione e alla fede cristiane. Appartiene alla logica interna della fede cristiana cercare di capire quale sia il senso delle altre, e singole, religioni per la rivelazione stessa. Una riprova analogica di tale esigenza di fondo può essere colta nel fatto che anche le altre religioni, ciascuna nella propria ottica, possono porsi, e di fatto si pongono, la medesima questione; anche l’islam, per stare al nostro caso, possiede e ha elaborato una sua teologia islamica, coranicamente formata, delle religioni del libro, ovvero di ebraismo e cristianesimo.7 Una riflessione teologica cristiana sull’islam cerca risposte a domande come le seguenti: che cosa la rivelazione divina, attraverso la Scrittura e la Tradizione, ha da dire sulla religione musulmana? Qual è il senso della religione dell’islam per la fede cristiana? E quindi: è possibile pensare una collocazione di tale religione nel disegno di Dio così come questo può essere colto nella rivelazione cristiana? Si osservi il passaggio dalla questione generale – perché esistono tante religioni, secondo la rivelazione cristiana e quindi nel disegno di Dio? – alla domanda specifica – che cosa significa l’islam per la rivelazio- LXXXII REGATT 10-2009.qxd 13/05/2009 17.19 Pagina ne cristiana? Al di là dell’obiettiva complessità degli interrogativi, la fede cristiana è nella necessità di porsi il problema così enunciato, non solo per le ragioni formali e di ordine generale già espresse, ma anche perché la religione musulmana presenta caratteristiche che la legano strutturalmente al cristianesimo, così che il rapporto con esso è imposto non da circostanze contingenti, e meno ancora da mere curiosità accademiche, bensì dall’identità stessa del cristianesimo e dalla sua storia. Un approccio differenziato alle religioni configura in maniera del tutto peculiare la presenza dell’islam in relazione al cristianesimo. Quella musulmana infatti non è solo un’importante religione postcristiana, ma una religione postcristiana che nasce prendendo posizione nei confronti anche del cristianesimo, anzi costituendosi strutturalmente a partire dalla definizione della propria posizione specifica e differenziata rispetto anche al cristianesimo, sia pure percepito in una forma storicamente e culturalmente condizionata. Del cristianesimo l’islam si presenta come compimento, assumendone, anche se parzialmente e in forma rielaborata, testi, figure, storia, o ancora soprattutto correggendone dottrine e atteggiamenti. Il riferimento, sia pure polemico e correttivo, al cristianesimo rientra nella costituzione originaria dell’islam, oltre che nella sua storia successiva, così che la sua stessa autocomprensione rimanda per definizione alla realtà cristiana. Accanto dunque all’esigenza propria dell’intelligenza credente di cercare le ragioni della fede di fronte a tutto ciò che si presenta sulla strada della sua esperienza e della sua storia, lo svolgimento della storia porta la fede cristiana a incontrarsi con un fenomeno come l’islam e a lasciarsene interrogare direttamente ed esplicitamente. Ciò non equivale a ridurre l’islam a fenomeno paracristiano, come ha tentato di fare la controversia teologica medievale e successiva, poiché ciò che è sorto con Muhammad è una realtà religiosa del tutto autonoma, dotata di una sua coerenza interna e di una sua categoriale specificità dottrinale e istituzionale. L’evoluzione teologica cristiana sull’islam La storia del cristianesimo e dell’islam8 si intreccia anche dal punto di vista di un approccio specificamente teologico. Il rimando a tale storia è d’obbligo, anche LXXXIII 317 se qui può essere svolto in termini estremamente sommari. In una ricostruzione che mutuiamo da Giuseppe Rizzardi, possiamo utilmente ricondurre a una classificazione gli atteggiamenti e le idee di fondo formulati nelle diverse fasi storiche dell’evoluzione teologica cristiana sull’islam. Possiamo in tal senso parlare di un primo modello, quello medievale, dell’alterità cristiana rispetto all’islam. Questo modello, ben oltre l’epoca di riferimento, consiste in «quella lettura particolare che riconduce l’islam a fenomeno religioso paracristiano, quindi leggibile grazie al senso di fede cristiana e ad alcune categorie teologiche», quali quella di eresia, come sostenuto per primo da Giovanni Damasceno.9 Qui viene colta l’alterità dell’identità religiosa islamica più che la sua novità; a dirimere il giudizio è la preoccupazione di evangelizzazione missionaria – da parte di ordini religiosi – o la pretesa di realizzare un’ecumene universalmente cristiana (Nicola di Cusa). Risulta acquisita la sostanziale diversità a livello di fede e di religione e la «superiorità» – questo è il linguaggio della controversia – della verità cristiana; l’approccio di comparazione tra verità dogmatiche si basa sulla convinzione che la verità religiosa islamica sia un «meno di verità» cristiana e non un «diverso di verità», quindi recuperabile grazie a un supplemento di aggiornamento teologico. Un effetto implicito è anche la rimozione della «novità» cristiana alla quale l’islam non partecipa e che dovrebbe costituire il criterio di giudizio dell’islam stesso.10 Questo modello di fatto persiste ben oltre l’epoca medievale, così che possiamo individuare un ulteriore modello soltanto in epoca di tarda modernità, anzi di contemporaneità, e precisamente con Louis Massignon, che considera l’islam una sorta di praeparatio evangelica. Massignon muove da una domanda di questo genere: «Come giustificare alcune esperienze spirituali dei sufi musulmani, che raggiungono stati spirituali elevatissimi, senza ipotizzare una sorta di orientazione cristica, una sorta di praeparatio evangelica di questa porzione dell’islam, e ancor di più, senza ipotizzare che nell’islam siano presenti componenti cristiane?».11 La sua risposta è che non solo in termini di disegno di Dio, ma anche in termini strutturali, l’islam presenta elementi che orientano al cristianesimo. Per questo egli fa ricorso alle categorie di «semi del Verbo» e di praeparatio evangelica per applicarle al- l’islam, raccogliendo così spunti del filone tomista della teologia e della nuova ecclesiologia del primo Novecento. In particolare egli rileva tre collegamenti tra islam e cristianesimo: innanzitutto la figura di Abramo, con la discendenza di Ismaele (l’islam come scisma abramitico); poi un rapporto con il mistero di Cristo grazie alla presenza della figura di Maria (mistero mariano); infine il collegamento tra alcune esperienze sufi di compassione e di sostituzione e l’esperienza sostitutivo-riparatrice della passione di Cristo. Per Massignon, dunque, l’islam presenta i caratteri di una vera e propria fede, e non solo di una religione, e può trovare compimento nell’economia biblica a partire dai riferimenti a essa che si riscontrano nei testi coranici. In continuità con quest’ultimo, un terzo modello può essere definito biblico, perché vede inserito l’islam nell’economia delle sacre Scritture, sia in riferimento ancora alla figura di Abramo, sia in riferimento al valore profetico della parola di Dio recitata nel Corano. Sul primo filone si colloca Youakim Moubarac. Egli, svolgendo i parallelismi delle due discendenze (Isacco e Ismaele) da Abramo, sottolinea la natura insieme abramitica e ismaeliana dell’islam. Dal punto di vista storico-religioso, Abramo viene considerato come l’istitutore (non il fondatore) della struttura religiosa dell’islam, poiché prescrive le verità, determina le basi delle istituzioni islamiche e legittima la rivendicazione di elezione divina con la benedizione di Ismaele. All’interno del modello abramitico si svolge tutta la dimensione religiosa dell’islam; si potrebbe in tal senso parlare di abramocentrismo. Ismaele viene considerato incluso nella posterità abramitica. Sulla stessa linea di Moubarac si possono collocare Jean Mohammed Abd-el-Jalil e Giulio Basetti-Sani.12 Robert Caspar avanza delle riserve su questa impostazione. Su base islamologica, Abramo rappresenta una figura precaria.13 E anche il Vaticano II esclude d’inserire l’islam nell’economia biblica.14 Il secondo filone è assunto dai congressi di Cordova (1977) e Tunisi-Cartagine (1979) e poi ripreso da Claude Geffré, il quale ritiene che il Corano abbia un posto privilegiato rispetto alle altre rivelazioni, in ragione della sua relazione con la tradizione e la cultura biblica; esso trasmetterebbe «una» vera parola di Dio che interpella i cristiani, anche se non si può dire che esso è «la» parola di IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 317 REGATT 10-2009.qxd L 13/05/2009 17.19 Pagina ibri del mese Dio. Anche il Gruppo di ricerca islamocristiano (GRIC) afferma che nel Corano si riscontra una rivelazione autentica seppure formalmente diversa da quella cristiana e non semplicemente equiparabile con essa.15 Il Vaticano II e le re lazioni cristiano-musulmane Oltre questi modelli, il «concilio Vaticano II si staglia come evento di cruciale importanza, segnando in modo irreversibile quella che è stata chiamata “la rivoluzione copernicana nelle relazioni cristiano-musulmane”».16 Esso menziona i musulmani – e non l’islam – in Lumen gentium n. 16 (EV 1/326), e in Nostra aetate n. 3 (EV 1/859s), due testi emanati a distanza di un anno (rispettivamente 1964 e 1965) e largamente omogenei quanto a contenuti e intenzionalità. Intanto non prendono in considerazione la religione islamica nella sua globalità, ma solo nei suoi membri e in alcuni segmenti del suo patrimonio religioso, morale, rituale. In Nostra aetate n. 3, in particolare si esprime un atteggiamento di stima; si parla di Dio non nel senso strettamente coranico, ma in modo compatibile con la tradizione biblica e cristiana. «Rimane una risignificazione cristiana di alcuni elementi relativi all’unicità divina»,17 come anche alla risurrezione e al giudizio escatologico. Va osservato il completo silenzio del Concilio sul Corano, su Muhammad, sulla natura della rivelazione nell’islam. Un discorso analogo vale per la figura di Abramo, su cui si sofferma il testo: «I testi conciliari in realtà non si sbilanciano oltre a un puntuale richiamo alle concezioni islamo-coraniche su Abramo, che non possono essere omologate completamente in una corretta risignificazione cristiana».18 Se si tiene poi conto dell’analoga trattazione dei valori morali e del culto divino esercitato in alcune pratiche rituali, la presenza di Gesù e di Maria nella devozione musulmana, che rivelano ulteriori silenzi su aspetti di rimarchevole rilievo dell’islam, si deve concludere che è «troppo lacunosa la base teologica sulla quale fondare un’improbabile interpretazione dell’islam alla luce della teoria dei “semi del verbo” o di una “praeparatio evangelica”: formule quali “religioni abramitiche”, “religioni profetiche”, “religioni del libro”, “religioni monoteistiche”, “religioni rivelate”, che vorrebbero stabilire un asse tra giudaismo, cristianesimo e islam, in realtà si rivelano del tutto asimmetriche e non possono fondarsi su nessun punto di Nostra aetate n. 3».19 318 318 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 Dal Concilio allora raccogliamo la stima verso i musulmani, insieme ad alcuni elementi della loro religione assunti in una rispettosa risignificazione cristiana di alcuni loro aspetti. Il testo di Nostra aetate fa appello a una comprensione che «implica una percezione completa, che ingloba le varie componenti storiche, dottrinali, culturali in un contesto anche di positività, di riconoscimento di un’alterità percepita non negativamente, ma per le sue diversità e per eventuali risignificazioni almeno in parte omologabili».20 Basti a questo punto fare un semplice cenno alla visione dell’islam elaborata nelle tradizioni teologiche dell’ortodossia21 e della Riforma.22 Mentre la prima è rimasta sostanzialmente fedele all’orientamento polemico della controversia cristiana coeva ai primi secoli dell’islam, la seconda, pur avendo alle spalle giudizi molto negativi in Lutero e nella teologia protestante dei secoli successivi, conosce di recente autori come Kenneth Cragg, Wilfred Cantwell Smith e Reinhard Leuze che evolvono verso una considerazione positiva dell’islam e delle religioni non cristiane in genere. Prospet tive di ricerca: Rizzi e Borrmans Alla luce di queste ultime acquisizioni sembra pertinente precisare che l’impresa che stiamo affrontando, per così dire, debba essere al momento circoscritta e indicata anche terminologicamente non come «teologia dell’islam», che rimanderebbe a una compiutezza di elaborazione concettuale e categoriale da cui siamo ancora ben lontani, ma come «discernimento cristiano dell’islam», volendo con esso verificare se «ci sono categorialità bibliche o biblico-teologiche capaci di tradurre per il cristiano la realtà e il senso religioso del fenomeno islamico»; il discernimento consiste in «un processo di risignificazione dell’islam dentro l’economia cristiana, suppone momenti mediani di ricognizione e di contenimento dell’islam dentro categorie propriamente cristiane».23 In tal senso possiamo fare riferimento a due posizioni che richiamo brevemente. La prima è proposta da Giovanni Rizzi. La premessa da cui muove è che una teologia delle religioni non può essere costruita su una base aconfessionale, ma piuttosto a partire dall’economia biblica, nella quale si trovano largamente a convergere giudaismo e cristianesimo. Egli ritiene, in particolare, «decisivo, per una comprensione attenta e articolata dell’esperienza religiosa coranica e dell’islam, una focalizzazione teologica delle categorie bibliche, giudaiche e cristiane che consenta di far luce sul patrimonio spirituale in questione».24 Tra di esse risulta particolarmente illuminante la categoria di nohachismo, adottata soprattutto dal giudaismo. «Il giudaismo ha collocato cristianesimo e islam tra le espressioni più alte di una rivelazione primordiale, costituita dal patto, dalla legge e dalla benedizione divina per Noè e i suoi discendenti: una rivelazione universale, precedente l’elezione di Abramo e d’Israele, che opera lungo l’arco della storia fino alla fine dei tempi, nell’attesa della piena conversione finale di tutti i popoli alla Torah d’Israele. Cristianesimo e islam sarebbero, secondo il giudaismo, espressioni elevate, benché ancora imperfette, di quell’economia divina racchiusa nel nohachismo e destinata a tutti i popoli e culture della terra e della storia, mentre per Israele è riservato il patto speciale di elezione divina. Nell’aderire al nohachismo, seppure in forme imperfette e anche senza esserne pienamente consapevoli, è comunque impossibile che bastino soltanto la cultura e il progresso umano, dal momento che è sempre operante l’azione divina, una certa forma di rivelazione, poiché tale è il senso più profondo dell’impegno che il Signore si è preso attraverso il patto irrevocabile con Noè».25 Già prima del concilio Vaticano II la teologia, con alcuni suoi rappresentanti, aveva visto nel nohachismo una sorta di statuto delle religioni in quanto alleanza cosmica, nel cui ambito ritenere possibile parlare di una rivelazione di Dio nella natura e nella coscienza, senza per questo attribuire alle religioni una valenza salvifica, essendo esse segnate dal peccato. «Dopo il concilio Vaticano II si è ribadito che il peccato, politeismo e idolatria in particolare, inquina l’economia provvisoria del patto nohachico; ma è stato anche sottolineato il fatto che, nonostante il patto in Cristo, quello con Noè non è mai stato revocato: i frutti di questo patto si colgono già in personaggi menzionati anche dall’Antico Testamento, al di fuori del popolo d’Israele, che possono giungere a grandi livelli di santità di vita morale, mentre le strutture del patto nohachico si limiterebbero nell’Antico Testamento a una forma molto semplice di sacrificio, all’invocazione del Nome divino e alla preghiera».26 La rivisitazione analitica della religione musulmana nell’ottica del nohachismo porta a concludere che, a partire dagli «elementi focalizzati nei due documenti conciliari che lo riguardano, e soltanto LXXXIV REGATT 10-2009.qxd 13/05/2009 17.19 Pagina per la portata che tali elementi hanno secondo il senso per essi inteso dai testi conciliari, l’islam appartiene effettivamente al nohachismo, poiché per tali elementi è ancora espressione della potenza operante dell’antica benedizione divina, mai revocata».27 La discussione su questa proposta, che l’autore considera completata, quanto alla sua elaborazione, in una sua recente pubblicazione,28 si può considerare aperta. Essa chiede di riflettere ulteriormente, per un verso, sul significato teologico del nohachismo nella storia della salvezza e, per altro verso, sulla rispondenza della religione musulmana alle sue strutture essenziali. Una più consolidata ricezione segnala la posizione di Maurice Borrmans, il quale innanzitutto non ritiene adeguato inserire la religione musulmana in una «rivelazione speciale», e dunque nel disegno di salvezza particolarizzato in Abramo, che rischia di sminuire la pienezza di rivelazione in Cristo; e nemmeno farne una «via parallela» di salvezza, autonoma e distinta, da far risalire a prima di Gesù e di Mosè. Egli constata che l’islam «risponde alle attese dell’anima umana “naturalmente religiosa”; vista la sua “naturalità” o “creaturalità”, la sua “razionalità” e la sua “semplicità”, esso appare soddisfacente per molti uomini che si accontentano delle sue “credenze” e della sua “etica”».29 In ciò si riscontra una corrispondenza con l’apologetica islamica, che insiste sul carattere umano delle sue esigenze religiose e morali. «A nome della partecipazione dell’islam alla “rivelazione cosmica”, in Noè o piuttosto in Adamo, è allora possibile riconoscere in esso una realizzazione quasi perfetta della “virtù naturale di religione”, la quale è l’espressione della “virtù naturale di giustizia” nei riguardi di Dio, dato che l’uomo, in quanto creatura, ha dei doveri nei riguardi di Dio».30 In questo senso l’islam corrisponde alle attese dell’«uomo naturalmente religioso». Ciò consente di considerarlo «quella “religione naturale”, con linguaggio parabiblico, che corrisponde quasi perfettamente ai suoi requisiti “razionali”»;31 nello stesso tempo però il carattere soprannaturale della sua rivelazione del Dio unico e trascendente, come afferma Charles Journet, conduce al riconoscimento di una «religione naturale rivelata», anche se la rivelazione riguarda la sola esistenza del Dio unico e l’espressione della sua volontà sugli uomini. Il linguaggio biblico dell’islam spinge il musulmano a credere nel Dio della rivelazione non soltanto «cosmica» ma anche LXXXV 319 «profetica», sebbene i profeti non possano aggiungere molto al contenuto della «religione naturale rivelata». Ciò induce a distinguere un doppio aspetto, oggettivo e soggettivo, della religione musulmana, di cui il discernimento cristiano deve tener conto nella sua valutazione globale; in essa c’è anche «tutta una storia in cui si accumulano le esperienze dei suoi seguaci che ne arricchiscono il contenuto sotto l’influsso dello Spirito Santo, che opera in tutte le coscienze sincere per dar loro un “patrimonio di santità” dal quale molti possono attingere, soprattutto se la sfida positiva di presenze cristiane li aiuta a fare un loro proprio discernimento del patrimonio religioso dell’islam».32 Infine la «formulazione biblica» rende i musulmani disponibili a svilupparne le potenziali ricchezze ricorrendo al modello di fede di un Abramo islamico che non è senza legami con l’Abramo biblico. Proprio la «veste biblica» del Corano e della Tradizione dell’islam offre ai musulmani una «mediazione indiretta» che permette loro di andare al di là della semplice «religione naturale», tanto più che molti sono stati i mistici (i sufi) e i membri delle confraternite religiose che si sono incamminati in tale direzione nella ricerca del «volto di Dio» per essere tra i suoi più vicini. L e n u ove p ros p e t t i ve di Gäde e Rizzardi Merita ora prendere in considerazione due ulteriori posizioni che si muovono su prospettive nuove nella riflessione teologica intorno all’approccio cristiano alla religione musulmana. Mi riferisco innanzitutto a quella di Gerhard Gäde, che egli designa come «interiorismo»,33 categoria con la quale egli affronta in prospettiva teologico-fondamentale il problema teologico del pluralismo religioso. Egli considera i tre paradigmi di esclusivismo, inclusivismo e pluralismo un vicolo cieco. Reputa errore fondamentale di tutti e tre la congettura che una pretesa di verità debba essere in concorrenza con tutte le altre, così che o si dichiarano nulle tutte le altre, o si relativizzano le altre, o infine si dichiara relativa anche la propria pretesa di verità.34 Una vera alternativa dovrebbe rendere possibili diverse pretese di verità in quanto riferite all’unica insuperabile verità. Questa verità, intesa e promessa da ogni religione, consiste in una salvezza che coincide con la comunione con Dio.35 Il punto è che nessuna religione è in grado di garantire l’effettività di una tale promessa, poiché solo Dio stesso può com- piere e manifestare il conseguimento della salvezza. Tanto più che il concetto di rivelazione, a ben vedere, è intrinsecamente contraddittorio dal punto di vista strettamente razionale, dal momento che, presentando un Dio che pronuncia parole umane, ne tradisce – antropomorficamente – la trascendenza e finisce con il renderlo parte di una totalità più grande che lo abbraccia; ma Dio non può stare sul prolungamento della realtà del mondo, egli non fa parte della nostra realtà empirica, egli è di per sé assolutamente trascendente e inconcepibile.36 La pretesa di risalire a una rivelazione divina, che troviamo per esempio anche nell’ebraismo e nell’islam, in realtà può risultare fondata solo là dove non solo una parola umana si legittima come parola di Dio – ciò che avviene in realtà nell’uomo Gesù –, ma lo fa in modo tale da permettere di entrare nella relazione di Dio con Dio – ed è precisamente ciò che Gesù, in quanto parola personale di Dio, rivela e compie – relazione che non è altro che lo Spirito Santo. Dunque solo la dottrina trinitaria consente di spiegare e di legittimare la pretesa di una rivelazione divina.37 La portata di tali considerazioni sul problema del pluralismo religioso si coglie nel rapporto di Gesù Cristo con la propria religione, l’ebraismo.38 Esso ha un valore paradigmatico in riferimento al canone delle Scritture cristiane che comprende Antico e Nuovo Testamento, il quale nella sua stessa costituzione presenta il cristianesimo come «l’unica religione che ha assunto il corpo completo della sacra Scrittura di un’altra religione nel canone della propria Bibbia».39 Il messaggio cristiano si rivolge a persone già religiose, fin dall’inizio si riferisce alla religione (ebraica) e, assumendo la Scrittura ebraica, stabilisce una regola ermeneutica della fede e avvia un processo ermeneutico che fa di essa un documento di fede in Gesù Cristo, in questo modo riferendosi a quella religione, ma anche distinguendosi da essa.40 Ciò che tale regola ermeneutica opera è la possibilità di rendere intelligibile l’alleanza tra Dio e il popolo, che senza l’evento Cristo resterebbe un enigma, poiché non potrebbe spiegare l’alleanza come assunzione di un popolo nell’unica relazione possibile con Dio, ovvero nell’alleanza trinitaria intradivina. In questa maniera la Scrittura ebraica risulta relativizzata, ma insieme anche universalizzata e adempiuta.41 Questo rapporto teologico-ermeneutico del messaggio cristiano con la Scrittura ebraica – che non è di tipo esclusivista, ma nemmeno inclusivista, IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 319 REGATT 10-2009.qxd L 13/05/2009 17.19 Pagina ibri del mese perché il messaggio cristiano le riconosce tutto ciò che è necessario per la salvezza, né di tipo pluralista, poiché non si limita a giustapporsi a essa – è denominato interiorismo, e diventa così un modello di rapporto con le religioni. La verità intera e insuperabile viene riconosciuta presente in esse, ma solo il Cristo (e non il cristianesimo) la legittima e la universalizza nella sua intangibile pretesa.42 «Il messaggio cristiano non pretende di mettersi in concorrenza nei confronti di quella religione [ebraica, come di ogni altra religione], ma di dischiudere la sua verità più profonda e intima e di rendere così intelligibile definitivamente il suo carattere di parola di Dio».43 L’applicazione di questo modello all’islam è svolto in modo da mostrare che il Corano può essere considerato parola di Dio, sebbene la cristologia e la concezione trinitaria rimangano punti conflittuali tra islam e cristianesimo. «Ma questi punti conflittuali in una visione interiorista dell’islam non sono e non dovranno più essere motivo per contestare a questa religione la verità della parola di Dio e delle sue promesse di salvezza».44 L’assenza di alcuni elementi essenziali della verità rivelata non toglie valore al dato non meno costitutivo della possibilità di riconoscere, grazie a un’ermeneutica cristologica, una vera rivelazione divina. In relazione a questa affermazione e secondo un concetto di rivelazione come autocomunicazione, Gäde pone il problema se l’islam possa essere considerato una via di salvezza. Conclude al riguardo: «In un’ermeneutica interiorista risulta comunque veramente possibile considerare anche l’islam come via di salvezza e riconoscergli una verità insuperabile, senza per questo dover relativizzare anche solo minimamente la propria verità cristiana».45 Si può osservare che siamo di fronte a un tentativo rigoroso di cogliere la relazione «interiore» di Cristo alle altre religioni; di un Cristo che non si ha la pretesa di ritrovare tale e quale la fede cristiana lo professa in una religione come quella musulmana, e che nel suo essere «interiore» all’altra religione non viene sminuito rispetto a come la fede cristiana integralmente lo professa; Gesù Cristo, piuttosto, proprio in forza di tale integra professione, viene considerato anche come criterio ermeneutico per cogliere la verità rivelatrice e salvifica propria dell’altra religione, e, nel caso specifico in discussione, dell’islam. In ultimo si potrebbe identificare un modello detto pastorale ovvero di evangelizzazione dell’islam. Alla luce dell’insegnamento magisteriale, soprattutto a partire dall’Ecclesiam suam di Paolo VI e poi con il Sinodo sull’evangelizzazione e i documenti del Segretariato per i non cristiani, l’attenzione è stata portata sull’evangelizzazione e sul dialogo, quest’ultimo inteso come parte integrante della missione della Chiesa. «Il dialogo è subordinato all’evangelizzazione, missione della Chiesa, quindi l’islam interessa principalmente alla Chiesa in quanto destinatario dell’evangelizzazione. Si apre dunque un capitolo abbastanza nuovo nell’ambito della pastorale ecclesiale che è tutto da inventare: quali le modalità, le forme, i contesti di un’evangelizzazione che porti l’islam (che si ritiene la “religione” di Dio) a cogliere la novità cristiana, che si ripropone come “compiutezza” di parola di Dio in Cristo in risposta all’istanza religiosa dell’uomo?».46 Con questa domanda e su questa esi- * Il saggio «Islam e cristianesimo: prospettive per una lettura teologica dell’islam» di mons. Mariano Crociata fa parte del volume: A. PACINI (a cura di), Chiesa e islam in Italia. Esperienze e prospettive di dialogo, Paoline, Milano 2008, 216-239. Ringraziamo l’editore per la gentile concessione; sottotitoli redazionali. La salvezza degli altri. Soteriologia e religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, 103-141; G. GÄDE, Cristo nelle religioni. La fede cristiana e la verità delle religioni, Borla, Roma 2004; M. CROCIATA, Teologia delle religioni. La questione del metodo, Città nuova, Roma 2006; A. COZZI, Gesù Cristo tra le religioni. Mediatore dell’originario, Cittadella, Assisi 2005; G. CANOBBIO, Chiesa religioni salvezza. Il Vaticano II e la sua recezione, Morcelliana, Brescia 2007. Cf. anche, tra i documenti del magistero: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, «Il cristianesimo e le religioni», 30.9.1996, in La Civiltà cattolica 148(1997) 1, 146-183; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione «Dominus Iesus». Documenti e studi, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2002. 2 Cf. W. KASPER, «Unicità e universalità di Gesù Cristo», in M. SERRETTI (a cura di), Unicità e universalità di Gesù Cristo. In dialogo con le religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 1733. 3 Da diversi autori questo triplice paradigma è considerato per varie ragioni inadeguato e superato; cf. J.-M. AVELINE, «Evolution des problématiques en théologie des religions», in Recherches de science religieuse 94(2006) 4, 497-522. 4 Cf. J. DUPUIS, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997; G. ODASSO, Bibbia e religioni. Prospettive bibliche per la teologia delle religioni, Urbaniana University Press, Roma 1998. 5 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica dal concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II (1963-2005), a cura di F. Gioia, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2006. 6 Cf. M. CROCIATA, «La teologia delle religioni tra specializzazioni metodologiche, teologia fon- damentale e dogmatica», in M. CROCIATA (a cura di), Teologia delle religioni. La questione del metodo, 279-299. 7 Cf. per un’essenziale visione d’insieme, M. BORRMANS, Islam e cristianesimo. Le vie del dialogo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 19-84. 8 Cf. sul rapporto tra cristianesimo e islam, M.A. AYUSO GUIXOT, «Cristianesimo e islam: dalla frontiera all’incontro», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam. Storia e teologia, Città nuova, Roma 2006, 47-67. 9 Cf. G. RIZZARDI, «Teologia e islam: componenti costanti del dibattito religioso», in Teologia 28(2002), 325. 10 Cf. RIZZARDI, «Teologia e islam», 328; ID., Domande cristiane sull’islam nel Medioevo, Lussografica, San Cataldo (CL) 2001; J .M. GAUDEUL, Encounters and clashes: Islam and Christianity in History, 2 voll., PISAI, Roma 2000. 11 RIZZARDI, «Teologia e islam», 329. 12 Cf. L. MASSIGNON, J.M. ABD-EL-JALIL, Parrain et filleul 1926-1962. Correspondance, Cerf, Paris 2007; G. RIZZARDI, «Giulio Basetti-Sani (19122001). Tra teologia e islamologia cristiana», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 129-144. 13 Ancora di recente Kuschel fa di Abramo il perno di un nuovo «ecumenismo» fra le tre religioni cosiddette monoteistiche; cf. K.J. KUSCHEL, La controversia su Abramo. Ciò che divide e ciò che unisce ebrei, cristiani, musulmani, Queriniana, Brescia 1996. 14 Cf., in riferimento al rapporto tra islam ed economia biblica, C. VAN NISPEN, E. FARAHIAN, «Note sullo statuto teologico dell’islam», in La Civiltà cattolica 147(1996) 1, 327-336. 15 Cf. GRUPPO DI RICERCA ISLAMO-CRISTIANO (GRIC), Bibbia e Corano. Cristiani e musulmani di fronte alle Scritture, Cittadella, Assisi 1992. l Cf. per un primo orientamento, in ordine di pubblicazione, J. HICK, P.F. KNITTER (a cura di), L’unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralistica delle religioni, Cittadella, Assisi 1994; G. D’COSTA (a cura di), La teologia pluralista delle religioni: un mito? L’unicità cristiana riesaminata, Cittadella, Assisi 1994; A. AMATO, «L’unicità della mediazione salvifica di Cristo: il dibattito contemporaneo», in M. CROCIATA (a cura di), Gesù Cristo e l’unicità della mediazione, Paoline, Milano 2000, 13-44; P. CODA, «Per un’ermeneutica cristologicotrinitaria del pluralismo delle religioni», in M. CROCIATA (a cura di), Gesù Cristo e l’unicità della mediazione, 45-69; M. CROCIATA (a cura di), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline, Milano 2001; M. AEBISCHER-CRETTOL, Vers un aecuménisme interreligieux. Jalons pour une théologie chrétienne du pluralisme religieux, Cerf, Paris 2001; J. DUPUIS, Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana, Brescia 2001; A. COZZI, «Le religioni nel magistero postconciliare. Problemi ermeneutici», in Teologia 28(2002), 267-309; P. CODA, Il logos e il nulla. Trinità religioni mistica, Città nuova, Roma 2003; C. GEFFRÉ, «Verso una nuova teologia delle religioni», in R. GIBELLINI (a cura di), Prospettive teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 2003, 353-372; J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003; M. CROCIATA, «La fede e la salvezza degli altri nella teologia cattolica postconciliare», in M. GRONCHI (a cura di), 320 320 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 LXXXVI REGATT 10-2009.qxd 13/05/2009 17.19 Pagina genza si misura lo stesso Giuseppe Rizzardi, il quale si ispira a Louis Massignon per spiegare che cosa intenda per evangelizzazione: «Testimoniare la perfezione della regola evangelica (...). Evangelizzare non vuol dire fare i missionari presso i musulmani e neanche instaurare con loro un dibattito teologico, ma mostrare la perfezione spirituale realizzata nella e dalla comunità cristiana».47 Insieme a questa vengono poste altre premesse, come «l’esatta ricognizione del vocabolario religioso dell’islam e la sua qualificazione nel quadro del linguaggio teologico»,48 che comporta in generale il ricorso rigoroso all’islamologia, non intesa solo in termini scientifici, ma portata fino alla necessità di «acquisire un’anima essenzialmente islamologica»,49 non solo dunque al livello storico-culturale, ma fino al livello della sensibilità religiosa. Ciò significa, per esempio, in riferimento alla teologia islamica, che «l’interrogazione teologica deve raggiungere l’ambito dei significati che stanno dietro a quel nome di Dio, a quel teo-linguismo, cioè l’intuizione, oserei dire la “pre-comprensione” di una particolare modalità di relazione tra credente musulmano e Dio, che passa attra16 C.W. TROLL, «La teologia cristiana verso una nuova comprensione dell’islam», in Rassegna di teologia 40(1999) 5, 720. 17 G. RIZZI, «Nostra aetate 3; il concilio Vaticano II e i musulmani», in Islamochristiana 32(2006), 40. 18 RIZZI, «Nostra aetate 3», 43. 19 RIZZI, «Nostra aetate 3», 48. 20 RIZZI, «Nostra aetate 3», 56. 21 Cf. F.S. CUCINOTTA, «L’islam secondo la teologia ortodossa», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 69-88. 22 Cf. J. SPERBER, «Concezioni teologiche sull’islam nelle Chiese della Riforma», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 89-106. 23 G. RIZZARDI, «Verso un discernimento cristiano dell’islam», in Ho Theológos 19(2001) 3, 331. Cf. M. CROCIATA, «Introduzione», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 5-10 e M. CROCIATA, M. DI TORA, «Teologia delle religioni e islam», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 183-195. Cf. anche il documento della CONFERENZA EPISCOPALE SICILIANA e FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA, Per un discernimento cristiano sull’islam. Sussidio pastorale, Paoline, Milano 2004; pubblicato anche in Regno-doc. 9,2004,277ss. 24 G. RIZZI, A. CAGLIONI, R. REDAELLI, Il patto con Noè. Tradizioni bibliche, giudaiche, cristiane e coraniche a confronto, Centro studi Cammarata – Lussografica, Caltanissetta 2001, 350. 25 G. RIZZI, «“Tutti i popoli cammineranno ciascuno sulla propria strada”. La benedizione per Noè e i suoi figli e il discernimento cristiano sull’islam», in M. CROCIATA (a cura di), L’immigrazione islamica tra diversità religiosa e integrazione sociale, Lussografica, Caltanissetta 2006, 82. Cf. G. RIZZI, A. CAGLIONI, R. REDAELLI, Il patto con Noè, 351-357. LXXXVII 321 verso un’etica dell’obbedienza, della sottomissione».50 Infine, sempre in sede di premesse, Rizzardi si chiede se non sia il caso di una nuova definizione dello spazio dialogico tra cristianesimo e islam, non attorno alle risposte religiose, che saranno sempre obbligatoriamente diverse (cosa che ha evidenziato il dialogo dogmatico)51 in quanto dipendenti dalle rispettive «rivelazioni» e «tradizioni», bensì attorno al nascere delle interrogazioni religiose, della domanda religiosa alla ricerca del senso dell’esistenza umana.52 In riferimento a questi temi, già evocati più sopra, mi sembra utile accennare anche a un tentativo approdato al più recente convegno promosso dal Dipartimento di teologia delle religioni della Facoltà teologica di Sicilia.53 In esso si è voluto riprendere il tema del discernimento cristiano dell’islam, ma seguendo un percorso metodologico differente, attento all’esperienza cristiana e alla sua dimensione spirituale, oltre lo studio delle dottrine e delle istituzioni islamiche. Si è voluto approfondire la riflessione specificamente teologica cristiana sulla religione musulmana attraverso l’ermeneutica teologica dell’esperienza spirituale cristiana a con- tatto con l’islam o, in altri termini, attraverso la lente, il filtro dell’esperienza cristiana condotta in mezzo all’islam. Così è stata presentata, in quest’ottica, una galleria di figure che comincia con Charles de Foucauld e prosegue con Louis Massignon, Jean Mohammed Abd-el-Jalil, Paul Mulla Zade, Albert Peyriguère, i monaci di Tibhirine, Afif Osseiran, e si è conclusa anche con un resoconto di esperienza contemporanea. Ancora presto per parlare di risultati, ma certo si profila un percorso in grado di arricchire la riflessione teologica a partire dagli elementi che emergono da un vissuto credente cristiano nel cuore dell’islam. Tutte le piste così segnalate delineano un ampio panorama nella riflessione in corso sul tema del rapporto tra teologia cristiana e religione musulmana e lasciano sperare che una conoscenza e una riflessione teologica sempre più attenta affini innanzi tutto la stessa teologia cristiana nel suo rapporto con le nuove sfide dell’esperienza umana e religiosa e inoltre contribuisca sia a una fede più matura e responsabile sia a una convivenza più consapevole, rispettosa e solidale. Mariano Crociata* 26 RIZZI, «Tutti i popoli…», 103. RIZZI, «Tutti i popoli…», 119. 28 G. RIZZI, G. BELLIA, Per un discernimento cristiano sull’islam, s.e., Roma 2007. 29 M. BORRMANS, «Per un discernimento cristiano della religione musulmana», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 162. 30 Ivi. 31 BORRMANS, «Per un discernimento cristiano della religione musulmana», 163. 32 BORRMANS, «Per un discernimento cristiano della religione musulmana», 166. 33 G. GÄDE, «Offinbarung in den Religionen? Anselmianische Uberlegungen zum Dialog mit den Religionen», in Münchener Theologische Zeitschrift 45(1994), 11-24; ID., Viele Religionenein Wort Gottes. Einspruch gegen John Hicks pluralistische Religionstheologie, Chr. Kaiser, Gütersloh 1998; ID., «Da Ernst Troeltsch a Hans Küng. Un itinerario teologico tedesco», in M. CROCIATA (a cura di), Teologia delle religioni, 105-129; ID., «Sapientia crucis. Conoscenza di Dio, rivelazione cristiana e religioni», in P. CODA, M. CROCIATA (a cura di), Il crocifisso e le religioni. Compassione di Dio e sofferenza dell’uomo nelle religioni monoteistiche, Città nuova, Roma 2001, 313-334; ID., «Interiorismo: un’alternativa per la teologia delle religioni all’esclusivismo, all’inclusivismo e al pluralismo», in Ho Theológos 20(2002) 3, 347-366; ID., Christus in den Religionen: der christlichè Glaube und die Wahrheit der Religionen, Schöningh, Paderborn 2003 (trad. it. Cristo nelle religioni. La fede cristiana e la verità delle religioni, Borla, Roma 2004). 34 GÄDE, Christus in den Religionen, 81. 35 GÄDE, Christus in den Religionen, 94ss. 36 Cf. GÄDE, Christus in den Religionen, 101-106. 27 37 118. Cf. GÄDE, Christus in den Religionen, 106- 38 Cf. GÄDE, «Sapientia crucis», 313-334. GÄDE, Christus in den Religionen, 137. GÄDE, Christus in den Religionen, 145. 41 GÄDE, Christus in den Religionen, 151-153. 42 GÄDE, Christus in den Religionen, 161. 43 GÄDE, Christus in den Religionen, 177. 44 G. GÄDE, «Adorano con noi il Dio unico» (Lumen gentium 16). Per una comprensione cristiana della fede islamica, Borla, Roma 2007, 263. 45 GÄDE, «Adorano con noi il Dio unico», 280. 46 G. RIZZARDI, «Teologia ed Islam», 334. 47 G. RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche” a partire da L. Massignon», in Rassegna di teologia 41(2000) 4, 587. 48 RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche”...», 587. Di seguito anche: «Va denunciata la grossa adulterazione della controversia cristiana dai suoi inizi a oggi nei confronti del vocabolario religioso islamico come se fosse carico di spessore teologico e come tale comparato e giudicato dalla teologia cattolica. Il linguaggio coranico e in parte anche quello della tradizione apologetica (kalam) è per sua natura “linguaggio pratico”, che mira a insegnare alcuni comportamenti e alcune scelte operative, individuali e collettive». 49 RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche”...», 588. 50 Ivi. 51 Cf. C. VAN NISPEN, E. FARAHIAN, «Note sullo statuto teologico dell’islam. II», in La Civiltà cattolica 147(1996) 1, 541-551. 52 RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche”...», 589. 53 Cf. M. CROCIATA, «Esperienza spirituale cristiana e teologia delle religioni. Nel cuore dell’islam», in Ho Theológos 25(2007) 2, 327-331. 39 40 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2009 321