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Chiesa e islam
Prospettive di dialogo tra teologia cristiana e religione musulmana
L’
accostamento tra teologia cristiana e religione
islamica non è così ovvio come potrebbe apparire a prima vista. Per trattare della loro possibile relazione dobbiamo in ogni
caso chiederci quali siano le condizioni
che legittimano la teologia cristiana a occuparsi dell’islam, al fine di poter validamente indicare e presentare le prospettive di approccio teologico alla religione
LXXXI
musulmana. D’altra parte le posizioni
teologiche cristiane attuali si collocano
in un orizzonte storico che si estende fino all’epoca in cui sorge l’islam. C’è bisogno allora quanto meno di accennare
ai trascorsi storici. La trattazione del tema di questo saggio può essere allora
utilmente articolata in una premessa, in
un richiamo della storia e in una presentazione delle principali prospettive attualmente proposte.
La per tinenza teologica
d i u n d i sco r so s u l l ’ i s la m
La premessa ha un carattere necessariamente teorico e alquanto astratto.
Muove infatti dal concetto, sia pure generalissimo, di teologia cristiana, la quale è
svolgimento dell’intelligenza credente,
sviluppo di un vero sapere – come tale critico – reso possibile e abilitato dalla rivelazione di Dio in Cristo, che si rende presente nella Scrittura e nella tradizione ecclesiale, e dalla luce della fede che accompagna e attua il dono divino. La teologia
ha uno statuto allo stesso tempo critico e
credente, perché si fonda su una parola e
su una presenza personali di Dio che rende possibile un processo di accoglienza, di
comprensione e di conoscenza nell’uomo
grazie alla fede che abilita e avvia tale
processo.
In ordine al nostro tema, va richiamata in particolare la specificità contenutistica del discorso teologico, il quale ha titolo per considerarsi tale fin dove in ultima
analisi si tratti pur sempre della rivelazione di Dio e della risposta di fede da parte
dell’uomo. Ciò non equivale però a una
restrizione secondo cui si debba considerare teologia sempre e soltanto la ripresentazione della «narrazione» – per così
dire – dell’iniziativa di Dio. In realtà il discorso teologico non ha limitazioni contenutistiche, poiché si occupa di tutto ciò
che concerne la vita dell’uomo, la sua
esperienza e la sua storia; la teologia però
ha titolo per occuparsi di qualcosa soltanto in forza e alla luce della rivelazione divina accolta nella fede, e quindi in ragione del rapporto dell’uomo e della sua storia con la rivelazione e la fede.
Considerate le cose in tale ottica,
non è impossibile intravedere la pertinenza teologica di un discorso sull’islam.
La pertinenza è dettata dall’interesse
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teologico che il pluralismo religioso sollecita e il cui svolgimento è affidato a quell’ambito della riflessione da qualche
tempo designato con l’espressione «teologia delle religioni».1
Del resto è la rivelazione stessa, nella
sua dimensione storica e antropologica,
a entrare in dialogo con la storia dell’uomo, per interpellarla e per lasciarsene interrogare. Si può parlare in tal senso di
una variamente sperimentata e insuperabile interlocuzione tra rivelazione cristiana e storia religiosa dell’umanità. La
pretesa di universalità della rivelazione
cristiana si trova a essere sfidata dalla
pluralità delle tradizioni e delle esperienze religiose nel corso della storia. Ci si
chiede, per un verso, che cosa significhi
tale pluralità per la rivelazione cristiana,
e quindi come si collochino e vadano intese le altre religioni nell’unico disegno
di Dio; per altro verso, le singole religioni pongono l’interrogativo circa il significato, il valore e l’originalità delle loro
esperienze e delle loro dottrine nel confronto con la rivelazione cristiana.
Tali questioni di ordine generale hanno prodotto una riflessione – la teologia
delle religioni – il cui esito può essere considerato l’elaborazione di modelli teologici, ovvero di schemi di relazione tra rivelazione-fede cristiana e religioni – solitamente ricondotti a tre, chiamati esclusivismo, inclusivismo, pluralismo. Questi tre
modelli si differenziano tra loro per il modo diverso di spiegare l’articolazione delle due dimensioni richiamate da 1Tm 2,45, e cioè la volontà salvifica universale di
Dio e l’unicità della mediazione dell’uomo Gesù Cristo. La teologia cattolica in
genere viene considerata riconducibile alla posizione inclusivistica,2 che sola riesce
a tenere insieme universalità e unicità,
per quanto anch’essa conosca una varietà
di sviluppi e di posizioni.3
Possiamo allora sollevare il problema
cruciale in rapporto alla questione che
stiamo trattando. Se infatti alla luce dei
brevi cenni svolti appare senza difficoltà
la pertinenza teologica della questione
della pluralità delle religioni in genere,
non risulta altrettanto evidente in che modo una singola religione possa essere tematizzata dalla teologia cristiana. Detto
in altri termini: se è possibile porre in relazione la rivelazione divina accolta nella
fede con il fenomeno delle altre religioni
(e infatti già tutta la Scrittura – oltre che
poi l’intera tradizione cristiana – attesta
l’esperienza, la coscienza e le risposte all’incontro con altre forme religiose),4 non
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altrettanto plausibile appare la necessità
della relazione con le singole altre religioni nel senso di una loro interpretazione e
spiegazione nell’ottica cristiana.
Può essere citato, per la sua unicità e
insieme esemplarità, il caso della religione ebraica, il cui rapporto con Gesù Cristo e con il cristianesimo è insuperabile,
poiché Gesù di Nazaret è un ebreo e le
Scritture ebraiche, nella forma di Antico
Testamento, sono entrate a far parte del
canone cristiano della Bibbia. Questo
caso unico, che consente di parlare di
teologia cristiana dell’ebraismo, lascia
intuire come per ogni singola altra religione non risulta evidente il «perché» e il
«come» la teologia debba interessarsene;
per farlo, comunque, bisognerebbe
quanto meno istituire un quadro specifico d’intelligibilità teologica e un metodo
corrispondente.
D al la te o lo g ia
al dialogo tra le religioni
È importante qui osservare, solo come chiarificazione, che la questione si pone in termini diversi se spostiamo l’attenzione dalla teologia al dialogo tra le religioni. Anche il dialogo ha un suo rilievo
per la teologia, la quale si occupa del dialogo nel senso di una teologia della prassi
del dialogo. Il dialogo tra due religioni è
infatti l’attività pratica secondo cui l’incontro di due religioni avviene nella convivenza ordinaria dei rispettivi credenti,
nella condivisione delle loro esperienze
spirituali, nella collaborazione per il raggiungimento di obiettivi operativi condivisi, nello studio e nella conoscenza di
questioni dottrinali di comune o reciproco interesse, per richiamare sommariamente le indicazioni della Nostra aetate
del Vaticano II e quelle magisteriali successive.5 La teologia in questo caso ha il
compito di evidenziare le motivazioni, i
criteri e le finalità del dialogo. Si può aggiungere che il dialogo può apportare a
sua volta anche contributi significativi alla riflessione teologica, la quale ha però
come proprio scopo quello di comprendere e spiegare l’altra religione in termini
teologici, cioè nell’orizzonte della rivelazione e della fede cristiane.6
Ora il punto è: quale titolo e quali
strumenti ha la teologia per dare un giudizio, e un giudizio di verità, su un’altra
religione, e su una religione come l’islam?
Se di titolo si deve parlare, esso deve consistere nella necessità che la fede cristiana
presenta di pervenire all’intelligibilità e
integrabilità ermeneutica dell’uomo e
della storia nella propria visione della
realtà. Se si rifiutasse di farlo o si dichiarasse inadeguata, rinuncerebbe non solo a
occuparsi di un ambito tra gli altri, ma
piuttosto rinnegherebbe se stessa, mostrandosi incapace di rispondere alle domande e alle sfide della realtà e denunciando in tal modo l’insostenibilità della
sua pretesa di essere risposta alla rivelazione piena e definitiva di Dio in Cristo.
Entrerebbe insomma in crisi la coscienza
di fede e il concetto di rivelazione cristiana. Accanto a questo aspetto formale, bisogna però aggiungere l’esigenza di ricorrere agli strumenti d’indagine e di conoscenza forniti dalle scienze delle religioni,
e nel caso specifico all’islamologia, per
pervenire a un giudizio di verità competente e pertinente sulla dimensione religiosa dell’islam.
Si vede bene come qui si tratti formalmente dell’autocomprensione cristiana,
non di quella musulmana; ovvero, il giudizio di verità riguarda la fede cristiana, la
quale a tal fine ha bisogno di conoscere e
comprendere adeguatamente l’altra religione per pervenire a un giudizio di verità. Possiamo parlare allora di teologia in
quanto essa ha competenza su ciò che fa
riferimento alla rivelazione e alla fede, e
quindi pone la questione dell’islam nella
misura in cui quest’ultima risulta necessariamente connessa alla rivelazione e alla
fede cristiane. Appartiene alla logica interna della fede cristiana cercare di capire
quale sia il senso delle altre, e singole, religioni per la rivelazione stessa. Una riprova analogica di tale esigenza di fondo
può essere colta nel fatto che anche le altre religioni, ciascuna nella propria ottica,
possono porsi, e di fatto si pongono, la
medesima questione; anche l’islam, per
stare al nostro caso, possiede e ha elaborato una sua teologia islamica, coranicamente formata, delle religioni del libro,
ovvero di ebraismo e cristianesimo.7
Una riflessione teologica cristiana sull’islam cerca risposte a domande come le
seguenti: che cosa la rivelazione divina,
attraverso la Scrittura e la Tradizione, ha
da dire sulla religione musulmana? Qual
è il senso della religione dell’islam per la
fede cristiana? E quindi: è possibile pensare una collocazione di tale religione nel
disegno di Dio così come questo può essere colto nella rivelazione cristiana? Si osservi il passaggio dalla questione generale
– perché esistono tante religioni, secondo
la rivelazione cristiana e quindi nel disegno di Dio? – alla domanda specifica –
che cosa significa l’islam per la rivelazio-
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ne cristiana? Al di là dell’obiettiva complessità degli interrogativi, la fede cristiana è nella necessità di porsi il problema
così enunciato, non solo per le ragioni formali e di ordine generale già espresse, ma
anche perché la religione musulmana
presenta caratteristiche che la legano
strutturalmente al cristianesimo, così che
il rapporto con esso è imposto non da circostanze contingenti, e meno ancora da
mere curiosità accademiche, bensì dall’identità stessa del cristianesimo e dalla sua
storia. Un approccio differenziato alle religioni configura in maniera del tutto peculiare la presenza dell’islam in relazione
al cristianesimo.
Quella musulmana infatti non è solo
un’importante religione postcristiana,
ma una religione postcristiana che nasce prendendo posizione nei confronti
anche del cristianesimo, anzi costituendosi strutturalmente a partire dalla definizione della propria posizione specifica
e differenziata rispetto anche al cristianesimo, sia pure percepito in una forma
storicamente e culturalmente condizionata. Del cristianesimo l’islam si presenta come compimento, assumendone,
anche se parzialmente e in forma rielaborata, testi, figure, storia, o ancora soprattutto correggendone dottrine e atteggiamenti. Il riferimento, sia pure polemico e correttivo, al cristianesimo
rientra nella costituzione originaria dell’islam, oltre che nella sua storia successiva, così che la sua stessa autocomprensione rimanda per definizione alla
realtà cristiana. Accanto dunque all’esigenza propria dell’intelligenza credente
di cercare le ragioni della fede di fronte
a tutto ciò che si presenta sulla strada
della sua esperienza e della sua storia,
lo svolgimento della storia porta la fede
cristiana a incontrarsi con un fenomeno
come l’islam e a lasciarsene interrogare
direttamente ed esplicitamente. Ciò
non equivale a ridurre l’islam a fenomeno paracristiano, come ha tentato di fare la controversia teologica medievale e
successiva, poiché ciò che è sorto con
Muhammad è una realtà religiosa del
tutto autonoma, dotata di una sua coerenza interna e di una sua categoriale
specificità dottrinale e istituzionale.
L’evoluzione teologica
cristiana sull’islam
La storia del cristianesimo e dell’islam8 si intreccia anche dal punto di vista
di un approccio specificamente teologico.
Il rimando a tale storia è d’obbligo, anche
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se qui può essere svolto in termini estremamente sommari.
In una ricostruzione che mutuiamo
da Giuseppe Rizzardi, possiamo utilmente ricondurre a una classificazione gli atteggiamenti e le idee di fondo formulati
nelle diverse fasi storiche dell’evoluzione
teologica cristiana sull’islam.
Possiamo in tal senso parlare di un
primo modello, quello medievale, dell’alterità cristiana rispetto all’islam. Questo
modello, ben oltre l’epoca di riferimento,
consiste in «quella lettura particolare che
riconduce l’islam a fenomeno religioso
paracristiano, quindi leggibile grazie al
senso di fede cristiana e ad alcune categorie teologiche», quali quella di eresia, come sostenuto per primo da Giovanni Damasceno.9 Qui viene colta l’alterità dell’identità religiosa islamica più che la sua
novità; a dirimere il giudizio è la preoccupazione di evangelizzazione missionaria –
da parte di ordini religiosi – o la pretesa di
realizzare un’ecumene universalmente
cristiana (Nicola di Cusa). Risulta acquisita la sostanziale diversità a livello di fede e
di religione e la «superiorità» – questo è il
linguaggio della controversia – della verità cristiana; l’approccio di comparazione tra verità dogmatiche si basa sulla convinzione che la verità religiosa islamica sia
un «meno di verità» cristiana e non un
«diverso di verità», quindi recuperabile
grazie a un supplemento di aggiornamento teologico. Un effetto implicito è anche
la rimozione della «novità» cristiana alla
quale l’islam non partecipa e che dovrebbe costituire il criterio di giudizio dell’islam stesso.10
Questo modello di fatto persiste ben
oltre l’epoca medievale, così che possiamo
individuare un ulteriore modello soltanto
in epoca di tarda modernità, anzi di contemporaneità, e precisamente con Louis
Massignon, che considera l’islam una sorta di praeparatio evangelica. Massignon
muove da una domanda di questo genere:
«Come giustificare alcune esperienze spirituali dei sufi musulmani, che raggiungono stati spirituali elevatissimi, senza ipotizzare una sorta di orientazione cristica,
una sorta di praeparatio evangelica di questa porzione dell’islam, e ancor di più,
senza ipotizzare che nell’islam siano presenti componenti cristiane?».11 La sua risposta è che non solo in termini di disegno di Dio, ma anche in termini strutturali, l’islam presenta elementi che orientano al cristianesimo. Per questo egli fa ricorso alle categorie di «semi del Verbo» e
di praeparatio evangelica per applicarle al-
l’islam, raccogliendo così spunti del filone
tomista della teologia e della nuova ecclesiologia del primo Novecento. In particolare egli rileva tre collegamenti tra islam e
cristianesimo: innanzitutto la figura di
Abramo, con la discendenza di Ismaele
(l’islam come scisma abramitico); poi un
rapporto con il mistero di Cristo grazie alla presenza della figura di Maria (mistero
mariano); infine il collegamento tra alcune esperienze sufi di compassione e di sostituzione e l’esperienza sostitutivo-riparatrice della passione di Cristo. Per Massignon, dunque, l’islam presenta i caratteri di una vera e propria fede, e non solo di
una religione, e può trovare compimento
nell’economia biblica a partire dai riferimenti a essa che si riscontrano nei testi
coranici.
In continuità con quest’ultimo, un
terzo modello può essere definito biblico,
perché vede inserito l’islam nell’economia
delle sacre Scritture, sia in riferimento ancora alla figura di Abramo, sia in riferimento al valore profetico della parola di
Dio recitata nel Corano.
Sul primo filone si colloca Youakim
Moubarac. Egli, svolgendo i parallelismi
delle due discendenze (Isacco e Ismaele)
da Abramo, sottolinea la natura insieme
abramitica e ismaeliana dell’islam. Dal
punto di vista storico-religioso, Abramo
viene considerato come l’istitutore (non il
fondatore) della struttura religiosa dell’islam, poiché prescrive le verità, determina le basi delle istituzioni islamiche e legittima la rivendicazione di elezione divina con la benedizione di Ismaele. All’interno del modello abramitico si svolge
tutta la dimensione religiosa dell’islam; si
potrebbe in tal senso parlare di abramocentrismo. Ismaele viene considerato incluso nella posterità abramitica. Sulla
stessa linea di Moubarac si possono collocare Jean Mohammed Abd-el-Jalil e Giulio Basetti-Sani.12 Robert Caspar avanza
delle riserve su questa impostazione. Su
base islamologica, Abramo rappresenta
una figura precaria.13 E anche il Vaticano
II esclude d’inserire l’islam nell’economia
biblica.14
Il secondo filone è assunto dai congressi di Cordova (1977) e Tunisi-Cartagine (1979) e poi ripreso da Claude Geffré, il quale ritiene che il Corano abbia
un posto privilegiato rispetto alle altre rivelazioni, in ragione della sua relazione
con la tradizione e la cultura biblica; esso trasmetterebbe «una» vera parola di
Dio che interpella i cristiani, anche se
non si può dire che esso è «la» parola di
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Dio. Anche il Gruppo di ricerca islamocristiano (GRIC) afferma che nel Corano si riscontra una rivelazione autentica
seppure formalmente diversa da quella
cristiana e non semplicemente equiparabile con essa.15
Il Vaticano II e le re lazioni
cristiano-musulmane
Oltre questi modelli, il «concilio Vaticano II si staglia come evento di cruciale
importanza, segnando in modo irreversibile quella che è stata chiamata “la rivoluzione copernicana nelle relazioni cristiano-musulmane”».16 Esso menziona i musulmani – e non l’islam – in Lumen gentium n. 16 (EV 1/326), e in Nostra aetate
n. 3 (EV 1/859s), due testi emanati a distanza di un anno (rispettivamente 1964 e
1965) e largamente omogenei quanto a
contenuti e intenzionalità. Intanto non
prendono in considerazione la religione
islamica nella sua globalità, ma solo nei
suoi membri e in alcuni segmenti del suo
patrimonio religioso, morale, rituale. In
Nostra aetate n. 3, in particolare si esprime un atteggiamento di stima; si parla di
Dio non nel senso strettamente coranico,
ma in modo compatibile con la tradizione biblica e cristiana. «Rimane una risignificazione cristiana di alcuni elementi
relativi all’unicità divina»,17 come anche
alla risurrezione e al giudizio escatologico. Va osservato il completo silenzio del
Concilio sul Corano, su Muhammad, sulla natura della rivelazione nell’islam. Un
discorso analogo vale per la figura di
Abramo, su cui si sofferma il testo: «I testi conciliari in realtà non si sbilanciano
oltre a un puntuale richiamo alle concezioni islamo-coraniche su Abramo, che
non possono essere omologate completamente in una corretta risignificazione cristiana».18 Se si tiene poi conto dell’analoga trattazione dei valori morali e del culto divino esercitato in alcune pratiche rituali, la presenza di Gesù e di Maria nella devozione musulmana, che rivelano ulteriori silenzi su aspetti di rimarchevole rilievo dell’islam, si deve concludere che è
«troppo lacunosa la base teologica sulla
quale fondare un’improbabile interpretazione dell’islam alla luce della teoria dei
“semi del verbo” o di una “praeparatio
evangelica”: formule quali “religioni
abramitiche”, “religioni profetiche”, “religioni del libro”, “religioni monoteistiche”, “religioni rivelate”, che vorrebbero
stabilire un asse tra giudaismo, cristianesimo e islam, in realtà si rivelano del tutto
asimmetriche e non possono fondarsi su
nessun punto di Nostra aetate n. 3».19
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Dal Concilio allora raccogliamo la stima verso i musulmani, insieme ad alcuni
elementi della loro religione assunti in
una rispettosa risignificazione cristiana di
alcuni loro aspetti. Il testo di Nostra aetate fa appello a una comprensione che
«implica una percezione completa, che
ingloba le varie componenti storiche, dottrinali, culturali in un contesto anche di
positività, di riconoscimento di un’alterità
percepita non negativamente, ma per le
sue diversità e per eventuali risignificazioni almeno in parte omologabili».20
Basti a questo punto fare un semplice
cenno alla visione dell’islam elaborata
nelle tradizioni teologiche dell’ortodossia21 e della Riforma.22 Mentre la prima è
rimasta sostanzialmente fedele all’orientamento polemico della controversia cristiana coeva ai primi secoli dell’islam, la
seconda, pur avendo alle spalle giudizi
molto negativi in Lutero e nella teologia
protestante dei secoli successivi, conosce
di recente autori come Kenneth Cragg,
Wilfred Cantwell Smith e Reinhard Leuze che evolvono verso una considerazione
positiva dell’islam e delle religioni non cristiane in genere.
Prospet tive di ricerca:
Rizzi e Borrmans
Alla luce di queste ultime acquisizioni
sembra pertinente precisare che l’impresa
che stiamo affrontando, per così dire,
debba essere al momento circoscritta e indicata anche terminologicamente non come «teologia dell’islam», che rimanderebbe a una compiutezza di elaborazione
concettuale e categoriale da cui siamo ancora ben lontani, ma come «discernimento cristiano dell’islam», volendo con esso
verificare se «ci sono categorialità bibliche
o biblico-teologiche capaci di tradurre
per il cristiano la realtà e il senso religioso
del fenomeno islamico»; il discernimento
consiste in «un processo di risignificazione dell’islam dentro l’economia cristiana,
suppone momenti mediani di ricognizione e di contenimento dell’islam dentro categorie propriamente cristiane».23
In tal senso possiamo fare riferimento
a due posizioni che richiamo brevemente.
La prima è proposta da Giovanni Rizzi.
La premessa da cui muove è che una teologia delle religioni non può essere costruita su una base aconfessionale, ma
piuttosto a partire dall’economia biblica,
nella quale si trovano largamente a convergere giudaismo e cristianesimo. Egli ritiene, in particolare, «decisivo, per una
comprensione attenta e articolata dell’esperienza religiosa coranica e dell’islam,
una focalizzazione teologica delle categorie bibliche, giudaiche e cristiane che consenta di far luce sul patrimonio spirituale
in questione».24 Tra di esse risulta particolarmente illuminante la categoria di
nohachismo, adottata soprattutto dal giudaismo. «Il giudaismo ha collocato cristianesimo e islam tra le espressioni più alte di una rivelazione primordiale, costituita dal patto, dalla legge e dalla benedizione divina per Noè e i suoi discendenti:
una rivelazione universale, precedente l’elezione di Abramo e d’Israele, che opera
lungo l’arco della storia fino alla fine dei
tempi, nell’attesa della piena conversione
finale di tutti i popoli alla Torah d’Israele.
Cristianesimo e islam sarebbero, secondo
il giudaismo, espressioni elevate, benché
ancora imperfette, di quell’economia divina racchiusa nel nohachismo e destinata a tutti i popoli e culture della terra e
della storia, mentre per Israele è riservato
il patto speciale di elezione divina. Nell’aderire al nohachismo, seppure in forme
imperfette e anche senza esserne pienamente consapevoli, è comunque impossibile che bastino soltanto la cultura e il
progresso umano, dal momento che è
sempre operante l’azione divina, una certa forma di rivelazione, poiché tale è il
senso più profondo dell’impegno che il Signore si è preso attraverso il patto irrevocabile con Noè».25
Già prima del concilio Vaticano II la
teologia, con alcuni suoi rappresentanti,
aveva visto nel nohachismo una sorta di
statuto delle religioni in quanto alleanza
cosmica, nel cui ambito ritenere possibile
parlare di una rivelazione di Dio nella natura e nella coscienza, senza per questo attribuire alle religioni una valenza salvifica,
essendo esse segnate dal peccato. «Dopo il
concilio Vaticano II si è ribadito che il
peccato, politeismo e idolatria in particolare, inquina l’economia provvisoria del
patto nohachico; ma è stato anche sottolineato il fatto che, nonostante il patto in
Cristo, quello con Noè non è mai stato revocato: i frutti di questo patto si colgono
già in personaggi menzionati anche dall’Antico Testamento, al di fuori del popolo d’Israele, che possono giungere a grandi livelli di santità di vita morale, mentre le
strutture del patto nohachico si limiterebbero nell’Antico Testamento a una forma
molto semplice di sacrificio, all’invocazione del Nome divino e alla preghiera».26
La rivisitazione analitica della religione musulmana nell’ottica del nohachismo
porta a concludere che, a partire dagli
«elementi focalizzati nei due documenti
conciliari che lo riguardano, e soltanto
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per la portata che tali elementi hanno secondo il senso per essi inteso dai testi conciliari, l’islam appartiene effettivamente al
nohachismo, poiché per tali elementi è
ancora espressione della potenza operante dell’antica benedizione divina, mai revocata».27 La discussione su questa proposta, che l’autore considera completata,
quanto alla sua elaborazione, in una sua
recente pubblicazione,28 si può considerare aperta. Essa chiede di riflettere ulteriormente, per un verso, sul significato
teologico del nohachismo nella storia della salvezza e, per altro verso, sulla rispondenza della religione musulmana alle sue
strutture essenziali.
Una più consolidata ricezione segnala la posizione di Maurice Borrmans, il
quale innanzitutto non ritiene adeguato
inserire la religione musulmana in una
«rivelazione speciale», e dunque nel disegno di salvezza particolarizzato in Abramo, che rischia di sminuire la pienezza di
rivelazione in Cristo; e nemmeno farne
una «via parallela» di salvezza, autonoma
e distinta, da far risalire a prima di Gesù
e di Mosè. Egli constata che l’islam «risponde alle attese dell’anima umana “naturalmente religiosa”; vista la sua “naturalità” o “creaturalità”, la sua “razionalità” e la sua “semplicità”, esso appare
soddisfacente per molti uomini che si accontentano delle sue “credenze” e della
sua “etica”».29 In ciò si riscontra una corrispondenza con l’apologetica islamica,
che insiste sul carattere umano delle sue
esigenze religiose e morali. «A nome della partecipazione dell’islam alla “rivelazione cosmica”, in Noè o piuttosto in
Adamo, è allora possibile riconoscere in
esso una realizzazione quasi perfetta della
“virtù naturale di religione”, la quale è
l’espressione della “virtù naturale di giustizia” nei riguardi di Dio, dato che l’uomo, in quanto creatura, ha dei doveri nei
riguardi di Dio».30 In questo senso l’islam
corrisponde alle attese dell’«uomo naturalmente religioso». Ciò consente di considerarlo «quella “religione naturale”, con
linguaggio parabiblico, che corrisponde
quasi perfettamente ai suoi requisiti “razionali”»;31 nello stesso tempo però il carattere soprannaturale della sua rivelazione del Dio unico e trascendente, come afferma Charles Journet, conduce al riconoscimento di una «religione naturale rivelata», anche se la rivelazione riguarda
la sola esistenza del Dio unico e l’espressione della sua volontà sugli uomini.
Il linguaggio biblico dell’islam spinge
il musulmano a credere nel Dio della rivelazione non soltanto «cosmica» ma anche
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«profetica», sebbene i profeti non possano
aggiungere molto al contenuto della «religione naturale rivelata». Ciò induce a distinguere un doppio aspetto, oggettivo e
soggettivo, della religione musulmana, di
cui il discernimento cristiano deve tener
conto nella sua valutazione globale; in essa c’è anche «tutta una storia in cui si accumulano le esperienze dei suoi seguaci
che ne arricchiscono il contenuto sotto
l’influsso dello Spirito Santo, che opera in
tutte le coscienze sincere per dar loro un
“patrimonio di santità” dal quale molti
possono attingere, soprattutto se la sfida
positiva di presenze cristiane li aiuta a fare un loro proprio discernimento del patrimonio religioso dell’islam».32
Infine la «formulazione biblica» rende i musulmani disponibili a svilupparne
le potenziali ricchezze ricorrendo al modello di fede di un Abramo islamico che
non è senza legami con l’Abramo biblico.
Proprio la «veste biblica» del Corano e
della Tradizione dell’islam offre ai musulmani una «mediazione indiretta» che
permette loro di andare al di là della semplice «religione naturale», tanto più che
molti sono stati i mistici (i sufi) e i membri
delle confraternite religiose che si sono incamminati in tale direzione nella ricerca
del «volto di Dio» per essere tra i suoi più
vicini.
L e n u ove p ros p e t t i ve
di Gäde e Rizzardi
Merita ora prendere in considerazione due ulteriori posizioni che si muovono
su prospettive nuove nella riflessione teologica intorno all’approccio cristiano alla
religione musulmana. Mi riferisco innanzitutto a quella di Gerhard Gäde, che egli
designa come «interiorismo»,33 categoria
con la quale egli affronta in prospettiva
teologico-fondamentale il problema teologico del pluralismo religioso. Egli considera i tre paradigmi di esclusivismo, inclusivismo e pluralismo un vicolo cieco.
Reputa errore fondamentale di tutti e tre
la congettura che una pretesa di verità
debba essere in concorrenza con tutte le
altre, così che o si dichiarano nulle tutte le
altre, o si relativizzano le altre, o infine si
dichiara relativa anche la propria pretesa
di verità.34 Una vera alternativa dovrebbe
rendere possibili diverse pretese di verità
in quanto riferite all’unica insuperabile
verità. Questa verità, intesa e promessa
da ogni religione, consiste in una salvezza
che coincide con la comunione con Dio.35
Il punto è che nessuna religione è in grado di garantire l’effettività di una tale promessa, poiché solo Dio stesso può com-
piere e manifestare il conseguimento della salvezza. Tanto più che il concetto di rivelazione, a ben vedere, è intrinsecamente contraddittorio dal punto di vista strettamente razionale, dal momento che, presentando un Dio che pronuncia parole
umane, ne tradisce – antropomorficamente – la trascendenza e finisce con il
renderlo parte di una totalità più grande
che lo abbraccia; ma Dio non può stare
sul prolungamento della realtà del mondo, egli non fa parte della nostra realtà
empirica, egli è di per sé assolutamente
trascendente e inconcepibile.36 La pretesa
di risalire a una rivelazione divina, che
troviamo per esempio anche nell’ebraismo e nell’islam, in realtà può risultare
fondata solo là dove non solo una parola
umana si legittima come parola di Dio –
ciò che avviene in realtà nell’uomo Gesù
–, ma lo fa in modo tale da permettere di
entrare nella relazione di Dio con Dio –
ed è precisamente ciò che Gesù, in quanto parola personale di Dio, rivela e compie – relazione che non è altro che lo Spirito Santo. Dunque solo la dottrina trinitaria consente di spiegare e di legittimare
la pretesa di una rivelazione divina.37
La portata di tali considerazioni sul
problema del pluralismo religioso si coglie
nel rapporto di Gesù Cristo con la propria religione, l’ebraismo.38 Esso ha un
valore paradigmatico in riferimento al canone delle Scritture cristiane che comprende Antico e Nuovo Testamento, il
quale nella sua stessa costituzione presenta il cristianesimo come «l’unica religione
che ha assunto il corpo completo della sacra Scrittura di un’altra religione nel canone della propria Bibbia».39 Il messaggio
cristiano si rivolge a persone già religiose,
fin dall’inizio si riferisce alla religione
(ebraica) e, assumendo la Scrittura ebraica, stabilisce una regola ermeneutica della fede e avvia un processo ermeneutico
che fa di essa un documento di fede in
Gesù Cristo, in questo modo riferendosi a
quella religione, ma anche distinguendosi
da essa.40 Ciò che tale regola ermeneutica
opera è la possibilità di rendere intelligibile l’alleanza tra Dio e il popolo, che senza
l’evento Cristo resterebbe un enigma, poiché non potrebbe spiegare l’alleanza come assunzione di un popolo nell’unica relazione possibile con Dio, ovvero nell’alleanza trinitaria intradivina. In questa
maniera la Scrittura ebraica risulta relativizzata, ma insieme anche universalizzata
e adempiuta.41 Questo rapporto teologico-ermeneutico del messaggio cristiano
con la Scrittura ebraica – che non è di tipo esclusivista, ma nemmeno inclusivista,
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perché il messaggio cristiano le riconosce
tutto ciò che è necessario per la salvezza,
né di tipo pluralista, poiché non si limita
a giustapporsi a essa – è denominato interiorismo, e diventa così un modello di
rapporto con le religioni. La verità intera
e insuperabile viene riconosciuta presente in esse, ma solo il Cristo (e non il cristianesimo) la legittima e la universalizza
nella sua intangibile pretesa.42 «Il messaggio cristiano non pretende di mettersi
in concorrenza nei confronti di quella religione [ebraica, come di ogni altra religione], ma di dischiudere la sua verità
più profonda e intima e di rendere così
intelligibile definitivamente il suo carattere di parola di Dio».43
L’applicazione di questo modello all’islam è svolto in modo da mostrare che
il Corano può essere considerato parola
di Dio, sebbene la cristologia e la concezione trinitaria rimangano punti conflittuali tra islam e cristianesimo. «Ma questi punti conflittuali in una visione interiorista dell’islam non sono e non dovranno più essere motivo per contestare
a questa religione la verità della parola di
Dio e delle sue promesse di salvezza».44
L’assenza di alcuni elementi essenziali
della verità rivelata non toglie valore al
dato non meno costitutivo della possibilità di riconoscere, grazie a un’ermeneutica cristologica, una vera rivelazione divina. In relazione a questa affermazione
e secondo un concetto di rivelazione come autocomunicazione, Gäde pone il
problema se l’islam possa essere considerato una via di salvezza. Conclude al riguardo: «In un’ermeneutica interiorista
risulta comunque veramente possibile
considerare anche l’islam come via di salvezza e riconoscergli una verità insuperabile, senza per questo dover relativizzare
anche solo minimamente la propria verità cristiana».45
Si può osservare che siamo di fronte
a un tentativo rigoroso di cogliere la relazione «interiore» di Cristo alle altre religioni; di un Cristo che non si ha la pretesa di ritrovare tale e quale la fede cristiana lo professa in una religione come
quella musulmana, e che nel suo essere
«interiore» all’altra religione non viene
sminuito rispetto a come la fede cristiana
integralmente lo professa; Gesù Cristo,
piuttosto, proprio in forza di tale integra
professione, viene considerato anche come criterio ermeneutico per cogliere la
verità rivelatrice e salvifica propria dell’altra religione, e, nel caso specifico in discussione, dell’islam.
In ultimo si potrebbe identificare un
modello detto pastorale ovvero di evangelizzazione dell’islam. Alla luce dell’insegnamento magisteriale, soprattutto a
partire dall’Ecclesiam suam di Paolo VI e
poi con il Sinodo sull’evangelizzazione e
i documenti del Segretariato per i non
cristiani, l’attenzione è stata portata sull’evangelizzazione e sul dialogo, quest’ultimo inteso come parte integrante della
missione della Chiesa.
«Il dialogo è subordinato all’evangelizzazione, missione della Chiesa,
quindi l’islam interessa principalmente
alla Chiesa in quanto destinatario dell’evangelizzazione. Si apre dunque un
capitolo abbastanza nuovo nell’ambito
della pastorale ecclesiale che è tutto da
inventare: quali le modalità, le forme, i
contesti di un’evangelizzazione che porti l’islam (che si ritiene la “religione” di
Dio) a cogliere la novità cristiana, che si
ripropone come “compiutezza” di parola di Dio in Cristo in risposta all’istanza religiosa dell’uomo?».46
Con questa domanda e su questa esi-
* Il saggio «Islam e cristianesimo: prospettive
per una lettura teologica dell’islam» di mons. Mariano Crociata fa parte del volume: A. PACINI (a cura di), Chiesa e islam in Italia. Esperienze e prospettive di dialogo, Paoline, Milano 2008, 216-239.
Ringraziamo l’editore per la gentile concessione;
sottotitoli redazionali.
La salvezza degli altri. Soteriologia e religioni, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, 103-141; G.
GÄDE, Cristo nelle religioni. La fede cristiana e la verità delle religioni, Borla, Roma 2004; M. CROCIATA, Teologia delle religioni. La questione del metodo,
Città nuova, Roma 2006; A. COZZI, Gesù Cristo tra
le religioni. Mediatore dell’originario, Cittadella, Assisi 2005; G. CANOBBIO, Chiesa religioni salvezza. Il
Vaticano II e la sua recezione, Morcelliana, Brescia
2007. Cf. anche, tra i documenti del magistero:
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, «Il
cristianesimo e le religioni», 30.9.1996, in La Civiltà cattolica 148(1997) 1, 146-183; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione
«Dominus Iesus». Documenti e studi, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2002.
2
Cf. W. KASPER, «Unicità e universalità di
Gesù Cristo», in M. SERRETTI (a cura di), Unicità
e universalità di Gesù Cristo. In dialogo con le religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 1733.
3
Da diversi autori questo triplice paradigma
è considerato per varie ragioni inadeguato e superato; cf. J.-M. AVELINE, «Evolution des problématiques en théologie des religions», in Recherches de
science religieuse 94(2006) 4, 497-522.
4
Cf. J. DUPUIS, Verso una teologia cristiana
del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997;
G. ODASSO, Bibbia e religioni. Prospettive bibliche
per la teologia delle religioni, Urbaniana University
Press, Roma 1998.
5
Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO, Il dialogo interreligioso nell’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica dal concilio
Vaticano II a Giovanni Paolo II (1963-2005), a cura di F. Gioia, Libreria editrice vaticana, Città del
Vaticano 2006.
6
Cf. M. CROCIATA, «La teologia delle religioni tra specializzazioni metodologiche, teologia fon-
damentale e dogmatica», in M. CROCIATA (a cura
di), Teologia delle religioni. La questione del metodo,
279-299.
7
Cf. per un’essenziale visione d’insieme, M.
BORRMANS, Islam e cristianesimo. Le vie del dialogo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 19-84.
8
Cf. sul rapporto tra cristianesimo e islam,
M.A. AYUSO GUIXOT, «Cristianesimo e islam: dalla frontiera all’incontro», in M. CROCIATA (a cura
di), Per un discernimento cristiano sull’islam. Storia
e teologia, Città nuova, Roma 2006, 47-67.
9
Cf. G. RIZZARDI, «Teologia e islam: componenti costanti del dibattito religioso», in Teologia
28(2002), 325.
10
Cf. RIZZARDI, «Teologia e islam», 328; ID.,
Domande cristiane sull’islam nel Medioevo, Lussografica, San Cataldo (CL) 2001; J .M. GAUDEUL,
Encounters and clashes: Islam and Christianity in
History, 2 voll., PISAI, Roma 2000.
11
RIZZARDI, «Teologia e islam», 329.
12
Cf. L. MASSIGNON, J.M. ABD-EL-JALIL, Parrain et filleul 1926-1962. Correspondance, Cerf, Paris 2007; G. RIZZARDI, «Giulio Basetti-Sani (19122001). Tra teologia e islamologia cristiana», in M.
CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 129-144.
13
Ancora di recente Kuschel fa di Abramo il
perno di un nuovo «ecumenismo» fra le tre religioni cosiddette monoteistiche; cf. K.J. KUSCHEL, La
controversia su Abramo. Ciò che divide e ciò che unisce ebrei, cristiani, musulmani, Queriniana, Brescia
1996.
14
Cf., in riferimento al rapporto tra islam ed
economia biblica, C. VAN NISPEN, E. FARAHIAN,
«Note sullo statuto teologico dell’islam», in La Civiltà cattolica 147(1996) 1, 327-336.
15
Cf. GRUPPO DI RICERCA ISLAMO-CRISTIANO
(GRIC), Bibbia e Corano. Cristiani e musulmani di
fronte alle Scritture, Cittadella, Assisi 1992.
l
Cf. per un primo orientamento, in ordine di
pubblicazione, J. HICK, P.F. KNITTER (a cura di),
L’unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralistica delle religioni, Cittadella, Assisi 1994; G.
D’COSTA (a cura di), La teologia pluralista delle religioni: un mito? L’unicità cristiana riesaminata,
Cittadella, Assisi 1994; A. AMATO, «L’unicità della
mediazione salvifica di Cristo: il dibattito contemporaneo», in M. CROCIATA (a cura di), Gesù Cristo
e l’unicità della mediazione, Paoline, Milano 2000,
13-44; P. CODA, «Per un’ermeneutica cristologicotrinitaria del pluralismo delle religioni», in M.
CROCIATA (a cura di), Gesù Cristo e l’unicità della
mediazione, 45-69; M. CROCIATA (a cura di), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline, Milano 2001; M. AEBISCHER-CRETTOL, Vers un aecuménisme interreligieux. Jalons pour une théologie
chrétienne du pluralisme religieux, Cerf, Paris 2001;
J. DUPUIS, Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana, Brescia 2001; A. COZZI, «Le religioni nel magistero postconciliare. Problemi ermeneutici», in Teologia 28(2002), 267-309;
P. CODA, Il logos e il nulla. Trinità religioni mistica,
Città nuova, Roma 2003; C. GEFFRÉ, «Verso una
nuova teologia delle religioni», in R. GIBELLINI (a
cura di), Prospettive teologiche per il XXI secolo,
Queriniana, Brescia 2003, 353-372; J. RATZINGER,
Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni
del mondo, Cantagalli, Siena 2003; M. CROCIATA,
«La fede e la salvezza degli altri nella teologia cattolica postconciliare», in M. GRONCHI (a cura di),
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genza si misura lo stesso Giuseppe Rizzardi, il quale si ispira a Louis Massignon
per spiegare che cosa intenda per evangelizzazione: «Testimoniare la perfezione
della regola evangelica (...). Evangelizzare
non vuol dire fare i missionari presso i
musulmani e neanche instaurare con loro
un dibattito teologico, ma mostrare la
perfezione spirituale realizzata nella e
dalla comunità cristiana».47 Insieme a
questa vengono poste altre premesse, come «l’esatta ricognizione del vocabolario
religioso dell’islam e la sua qualificazione
nel quadro del linguaggio teologico»,48
che comporta in generale il ricorso rigoroso all’islamologia, non intesa solo in termini scientifici, ma portata fino alla necessità di «acquisire un’anima essenzialmente islamologica»,49 non solo dunque
al livello storico-culturale, ma fino al livello della sensibilità religiosa. Ciò significa,
per esempio, in riferimento alla teologia
islamica, che «l’interrogazione teologica
deve raggiungere l’ambito dei significati
che stanno dietro a quel nome di Dio, a
quel teo-linguismo, cioè l’intuizione, oserei dire la “pre-comprensione” di una
particolare modalità di relazione tra credente musulmano e Dio, che passa attra16
C.W. TROLL, «La teologia cristiana verso
una nuova comprensione dell’islam», in Rassegna
di teologia 40(1999) 5, 720.
17
G. RIZZI, «Nostra aetate 3; il concilio Vaticano II e i musulmani», in Islamochristiana
32(2006), 40.
18
RIZZI, «Nostra aetate 3», 43.
19
RIZZI, «Nostra aetate 3», 48.
20
RIZZI, «Nostra aetate 3», 56.
21
Cf. F.S. CUCINOTTA, «L’islam secondo la
teologia ortodossa», in M. CROCIATA (a cura di),
Per un discernimento cristiano sull’islam, 69-88.
22
Cf. J. SPERBER, «Concezioni teologiche sull’islam nelle Chiese della Riforma», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 89-106.
23
G. RIZZARDI, «Verso un discernimento cristiano dell’islam», in Ho Theológos 19(2001) 3, 331.
Cf. M. CROCIATA, «Introduzione», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam, 5-10 e M. CROCIATA, M. DI TORA, «Teologia delle religioni e islam», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano sull’islam,
183-195. Cf. anche il documento della CONFERENZA EPISCOPALE SICILIANA e FACOLTÀ TEOLOGICA DI
SICILIA, Per un discernimento cristiano sull’islam.
Sussidio pastorale, Paoline, Milano 2004; pubblicato anche in Regno-doc. 9,2004,277ss.
24
G. RIZZI, A. CAGLIONI, R. REDAELLI, Il
patto con Noè. Tradizioni bibliche, giudaiche, cristiane e coraniche a confronto, Centro studi Cammarata – Lussografica, Caltanissetta 2001, 350.
25
G. RIZZI, «“Tutti i popoli cammineranno
ciascuno sulla propria strada”. La benedizione per
Noè e i suoi figli e il discernimento cristiano sull’islam», in M. CROCIATA (a cura di), L’immigrazione
islamica tra diversità religiosa e integrazione sociale,
Lussografica, Caltanissetta 2006, 82. Cf. G. RIZZI, A.
CAGLIONI, R. REDAELLI, Il patto con Noè, 351-357.
LXXXVII
321
verso un’etica dell’obbedienza, della sottomissione».50 Infine, sempre in sede di
premesse, Rizzardi si chiede se non sia il
caso di una nuova definizione dello spazio
dialogico tra cristianesimo e islam, non
attorno alle risposte religiose, che saranno
sempre obbligatoriamente diverse (cosa
che ha evidenziato il dialogo dogmatico)51
in quanto dipendenti dalle rispettive «rivelazioni» e «tradizioni», bensì attorno al
nascere delle interrogazioni religiose, della domanda religiosa alla ricerca del senso dell’esistenza umana.52
In riferimento a questi temi, già evocati più sopra, mi sembra utile accennare
anche a un tentativo approdato al più recente convegno promosso dal Dipartimento di teologia delle religioni della Facoltà teologica di Sicilia.53 In esso si è voluto riprendere il tema del discernimento
cristiano dell’islam, ma seguendo un percorso metodologico differente, attento all’esperienza cristiana e alla sua dimensione spirituale, oltre lo studio delle dottrine
e delle istituzioni islamiche. Si è voluto
approfondire la riflessione specificamente
teologica cristiana sulla religione musulmana attraverso l’ermeneutica teologica
dell’esperienza spirituale cristiana a con-
tatto con l’islam o, in altri termini, attraverso la lente, il filtro dell’esperienza cristiana condotta in mezzo all’islam. Così è
stata presentata, in quest’ottica, una galleria di figure che comincia con Charles de
Foucauld e prosegue con Louis Massignon, Jean Mohammed Abd-el-Jalil, Paul
Mulla Zade, Albert Peyriguère, i monaci
di Tibhirine, Afif Osseiran, e si è conclusa anche con un resoconto di esperienza
contemporanea. Ancora presto per parlare di risultati, ma certo si profila un percorso in grado di arricchire la riflessione
teologica a partire dagli elementi che
emergono da un vissuto credente cristiano nel cuore dell’islam.
Tutte le piste così segnalate delineano
un ampio panorama nella riflessione in
corso sul tema del rapporto tra teologia
cristiana e religione musulmana e lasciano
sperare che una conoscenza e una riflessione teologica sempre più attenta affini
innanzi tutto la stessa teologia cristiana nel
suo rapporto con le nuove sfide dell’esperienza umana e religiosa e inoltre contribuisca sia a una fede più matura e responsabile sia a una convivenza più consapevole, rispettosa e solidale.
Mariano Crociata*
26
RIZZI, «Tutti i popoli…», 103.
RIZZI, «Tutti i popoli…», 119.
28
G. RIZZI, G. BELLIA, Per un discernimento
cristiano sull’islam, s.e., Roma 2007.
29
M. BORRMANS, «Per un discernimento
cristiano della religione musulmana», in M. CROCIATA (a cura di), Per un discernimento cristiano
sull’islam, 162.
30
Ivi.
31
BORRMANS, «Per un discernimento cristiano della religione musulmana», 163.
32
BORRMANS, «Per un discernimento cristiano della religione musulmana», 166.
33
G. GÄDE, «Offinbarung in den Religionen? Anselmianische Uberlegungen zum Dialog
mit den Religionen», in Münchener Theologische
Zeitschrift 45(1994), 11-24; ID., Viele Religionenein Wort Gottes. Einspruch gegen John Hicks pluralistische Religionstheologie, Chr. Kaiser, Gütersloh
1998; ID., «Da Ernst Troeltsch a Hans Küng. Un
itinerario teologico tedesco», in M. CROCIATA (a
cura di), Teologia delle religioni, 105-129; ID., «Sapientia crucis. Conoscenza di Dio, rivelazione cristiana e religioni», in P. CODA, M. CROCIATA (a
cura di), Il crocifisso e le religioni. Compassione di
Dio e sofferenza dell’uomo nelle religioni monoteistiche, Città nuova, Roma 2001, 313-334; ID., «Interiorismo: un’alternativa per la teologia delle religioni all’esclusivismo, all’inclusivismo e al pluralismo», in Ho Theológos 20(2002) 3, 347-366; ID.,
Christus in den Religionen: der christlichè Glaube
und die Wahrheit der Religionen, Schöningh, Paderborn 2003 (trad. it. Cristo nelle religioni. La fede cristiana e la verità delle religioni, Borla, Roma
2004).
34
GÄDE, Christus in den Religionen, 81.
35
GÄDE, Christus in den Religionen, 94ss.
36
Cf. GÄDE, Christus in den Religionen,
101-106.
27
37
118.
Cf. GÄDE, Christus in den Religionen, 106-
38
Cf. GÄDE, «Sapientia crucis», 313-334.
GÄDE, Christus in den Religionen, 137.
GÄDE, Christus in den Religionen, 145.
41
GÄDE, Christus in den Religionen, 151-153.
42
GÄDE, Christus in den Religionen, 161.
43
GÄDE, Christus in den Religionen, 177.
44
G. GÄDE, «Adorano con noi il Dio unico»
(Lumen gentium 16). Per una comprensione cristiana della fede islamica, Borla, Roma 2007, 263.
45
GÄDE, «Adorano con noi il Dio unico»,
280.
46
G. RIZZARDI, «Teologia ed Islam», 334.
47
G. RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche” a partire da L. Massignon», in Rassegna di
teologia 41(2000) 4, 587.
48
RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche”...», 587. Di seguito anche: «Va denunciata la
grossa adulterazione della controversia cristiana
dai suoi inizi a oggi nei confronti del vocabolario
religioso islamico come se fosse carico di spessore
teologico e come tale comparato e giudicato dalla
teologia cattolica. Il linguaggio coranico e in parte
anche quello della tradizione apologetica (kalam) è
per sua natura “linguaggio pratico”, che mira a insegnare alcuni comportamenti e alcune scelte operative, individuali e collettive».
49
RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche”...», 588.
50
Ivi.
51
Cf. C. VAN NISPEN, E. FARAHIAN, «Note
sullo statuto teologico dell’islam. II», in La Civiltà
cattolica 147(1996) 1, 541-551.
52
RIZZARDI, «Islam: prospettive “teologiche”...», 589.
53
Cf. M. CROCIATA, «Esperienza spirituale
cristiana e teologia delle religioni. Nel cuore dell’islam», in Ho Theológos 25(2007) 2, 327-331.
39
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