M. Guerra – Storia e unità del sapere
MAURO GUERRA
STORIA E UNITÀ DEL SAPERE
Indubbiamente la storia è una forma di sapere. Si impone però la definizione del
sapere storico per il suo speciale rapporto con le altre forme di sapere, in quanto
occorre distinguere il carattere operativo proprio della preparazione alla ricerca da
quello problematico della ricerca stessa.
La storia presuppone intanto una visione. Ove consideriamo gli avvenimenti come
apparizioni sull'orizzonte della storia, chiediamo allo storico di registrare questi
avvenimenti e di preservare intatta il più possibile la loro stabilità in una successione
cronologica. Potremmo utilizzare la parola tedesca Geschehenzusammenhang, per
intendere questa serie di accadimenti, in quanto la successione richiede a sua volta
una connessione.
Ma qui sorge il grosso problema: come porre in connessione fra loro gli accanimenti, se risulta pressoché impossibile una registrazione rigorosamente obiettiva di
essi?
Un evento in quanto tale si pone da solo, ma acquista per noi valore storico se lo
consideriamo degno di essere registrato. Non esiste perciò una unità dei fatti storici
se essi non sono intesi nella loro storicità. In questo luogo, però, l'unità dei fatti
serve a costituire un'unità delle visioni in quanto tali, cioè i fatti sono la base di una
unificazione ulteriore che possiamo chiamare storicizzazione o, ricorrendo ancora
alla lingua tedesca, Vergeschichtlichung. E qui è d'obbligo la considerazione sulla
differenza fra questi due atteggiamenti della ricerca, perché la descrizione degli
eventi è di per sé impossibile se non si presuppone la specificazione della storicità.
Certamente si può obiettare che gli eventi hanno in sé una loro unicità, e che lo
storico rigoroso deve essere in grado di conservare questa unicità; così come si
potrebbe aggiungere che in un secondo momento lo storico, per essere scienziato, è
invitato a cogliere i caratteri comuni dei dati e formulare delle generalizzazioni,
senza le quali sarebbe impossibile una spiegazione della connessione dei dati fra
loro, ciò che chiamiamo appunto storicizzazione. Resta il fatto che va individuata la
storicità degli eventi e va distinta questa loro capacità o possibilità dall'operazione di
chi userà questa peculiare unità per connetterla alla molteplicità degli eventi e
ricomporla quindi nell'unità della legge universale.
Joynt e Rescher sostengono che “lo storico... si interessa alle generalizzazioni e vi
dedica attenzione, ma non perché esse rappresentino il fine e l'obiettivo della sua
disciplina, quanto perché lo aiutino a chiarire i singoli fatti di cui si occupa”1. Ma qui
sta il punto. Questa unicità, necessaria a porre l'evento, non può da sola garantire
l'unità degli eventi storici, cosicché un evento è storico se viene colta la sua
possibilità di essere compreso.
Perciò, anche se “la storiografia non raccoglie i fatti per stabilire le leggi, ma
1 C.B. JOYNT - N. RESCHER, Il problema dell'unicità nella conoscenza storica, in AA.VV., Filosofia
analitica e conoscenza storica, trad. ital., La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 70.
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cerca piuttosto di servirsi delle leggi per spiegare i fatti” 2, il problema della unificazione ultima si pone nella sua evidenza quando lo storico, per spiegare ed
interpretare un evento, deve ricorrere alla generalizzazione. Dobbiamo quindi
ammettere che la storicità degli eventi sta nella loro possibilità di essere intesi come
tali, ma questa storicità è solo in seguito confermata dalla rilevanza che assume la
serie di eventi cui si riferisce e per una adeguata spiegazione richiede la
comprensione e il ragionamento.
Il discorso storico si attua quindi come espressione generale della ricerca storica e
come tale intende rappresentare a sua volta un campo di indagine soggetto alle regole
e alle leggi del procedimento scientifico. La problematicità emerge tuttavia
nell'analisi dell'oggetto proprio della ricerca, in quanto l'evento tende a superare la
serie causale ed a porsi come tale, in rapporto ad un soggetto che lo considera come
significante. Questa constatazione ci spinge ad esaminare la ricerca storica dal punto
di vista del metodo.
Date le condizioni dell'induzione, l'esame dei fatti potrebbe in qualche modo
prefigurare la possibilità della raccolta completa dei dati. Le tecniche moderne di
indagine e i mezzi sofisticati a disposizione dello storico, il quale potrà evitare in
futuro la fatica della decrittazione e della catalogazione, gli permetteranno di
dedicarsi al compito esclusivo di interpretare i fatti. Anche in una situazione di
questo tipo, tuttavia, egli dovrà indirizzare la sua ricerca seguendo linee interpretative che dipenderanno ancora e sempre da una ipotesi.
Se la spiegazione causale, infatti, potrà essere facilitata da strumenti più
perfezionati, spetterà sempre allo storico sottolineare i fatti che dovranno servire a
spiegare o a smentire le congetture dalle quali muoverà la sua ricerca.
Evidenziamo, perciò, come è strettamente connesso al carattere di storicità proprio
degli eventi, un metodo che potremmo chiamare storicistico. Da Dilthey, che cercò di
stabilire l'empatia come caratteristica dello storico di professione 3, a Simmel, a
Rickert, a Windelband, a Meinecke, a Weber, a Croce, per citarne alcuni, lo
storicismo non riuscì a sottrarsi alla tentazione di considerare la storia come posta
dal soggetto e come in definitiva inattingibile dal soggetto se non come ricostruzione
del mondo umano, intesa come prima fase di una ricostruzione del mondo 4. E non
manca a costoro la consapevolezza dell'importanza del metodo induttivo. Per essi è
non solo inevitabile ma doveroso per la comprensione adeguata della realtà storica
distinguere
quelle
che
furono
indicate
come
scienze
della
natura
(Naturwissenschaften), dalle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften). Per
questa categoria di storici, l'oggetto di ricerca non può divenire una copia di una
realtà sussistente al di fuori delle scienze dello spirito, ma lo spirito stesso si è
oggettivato nel mondo. Secondo Windelband, ad esempio, le scienze della natura si
valutano e differiscono per gli scopi concreti che si prefiggono, mentre le scienze
della cultura si specificano per la distinzione dei valori 5. Weber, dal canto suo,
dimostra come, pur considerando l'esplicito carattere di oggettività delle scienze
2
Ibidem, p. 71.
Cfr. W. DILTHEY, Critica della ragione storica, trad. ital., Einaudi, Torino 1954, p. 322 sgg.
4
Cfr. al riguardo K. LOEWITH, Critica dell'esistenza storica, trad. ital., Morano, Napoli 1967.
5
Per una descrizione delle varie proposte qui citate cfr. J. TOPOLSKI, Metodologia della ricerca storica, trad.
ital., Il Mulino, Bologna 1975.
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storico sociali, in esse nessuna analisi scientifica può svolgersi indipendentemente da
punti di vista specifici o unilaterali che condizionano, a loro volta, gli oggetti di
ricerca, i quali vengono pertanto scelti, organizzati e analizzati secondo ipotesi 6.
La “serendipità” della famosa favola di Walpole 7 aiuta a riflettere sulle caratteristiche del metodo induttivo. A parte la questione che, al di là delle apparenze
di casualità, giungere alla legge significa verificare una ipotesi, e la scoperta dei dati
deve soggiacere alle regole della scienza statistica - ma in questa operazione sorgono
nuove ipotesi - il momento esplicativo, nel quale consiste alla fine il compito dello
storico, richiede una distinzione anche metodologica fra aspetto quantitativo e
aspetto qualitativo della ricerca. Per quanto riguarda la quantificazione, in tanta parte
delle ricerche che noi esaminiamo emerge soltanto questo aspetto, il quale è
perlomeno indicativo di capacità organizzative o di spirito di osservazione e bisogna
aggiungere che sono qualità che permettono di proseguire nella ricerca.'Questa però
deve inoltrarsi qualitativamente nella identificazione del sostrato al quale applicare il
metodo della deduzione.
A parte la distinzione, già operata da Kant, fra uso reale ed uso logico dei
concetti 8, secondo cui la costruzione di un discorso è soggetta al vincolo delle
esigenze di pensiero, nella considerazione dei fatti noi siamo costretti a mettere in
relazione i vari dati. Come già accennato, il problema sta nell'individuare un sistema
di relazione dei dati adeguato all'ipotesi. Secondo Reichenbach, basterebbe l'uso di
un modello o struttura concettuale, nei cui confronti sia il metodo induttivo che
quello deduttivo o, come egli preferisce, ipotetico-deduttivo, potessero avere uguale
importanza 9. Anch'egli però propone la costruzione di una teoria; ritiene cioè
legittima la fondazione di una scienza che segua uno sviluppo teoretico.
L'interdipendenza, infatti, che si costituisce fra dati e teoria, porta alla dimostrazione
di una corrispondenza fra di essi, tanto che la ricerca, ad un certo stadio, si identifica
con la posizione stessa di questa corrispondenza e il metodo scientifico assume
valore di domanda continua sulla propria validità e oggettività.
Nell'esaminare le possibilità poi della statistica, che potrebbe delinearsi come
scienza oggettiva riguardante i dati, è ormai evidenziato come essa sia una scienza
della variabilità, pertanto alla fine una ricerca che sia critica deve giungere alla
verifica dell'ipotesi. E non basterà mai porre come termine ultimo di essa l'ideale
traguardo di una sola interpretazione dei dati.
Più efficace potrebbe essere la considerazione del valore dell'ipotesi. Sappiamo
che ci sono infatti ipotesi indotte e ipotesi dedotte. Ma anche Geymonat sottolinea
che l'ipotesi prima che ad una prova sperimentale deve sottostare ad una prova
logica 10. E qui rispunta la questione se questo tipo di verifica, in fondo, tralasciando
il problema della validità di tale procedimento, non sia solamente l'inizio della
ricerca e stia alla base pertanto di ogni valutazione sulla esperienza.
Detto questo, occorre delimitare l'ambito della ricerca dello storico all'interno
delle varie scienze, stabilendo una differenza fra sapere storico e sapere scientifico in
6
Cfr. M. WEBER, Il metodo delle scienze storico-sociali, trad. ital., Einaudi, Torino 1974.
Ci si riferisce all'acquisizione di conoscenze del tutto casuali.
8
Cfr. I. KANT, Scritti precritici, trad. ital., Laterza, Bari 1953, p. 263 sgg.
9
Cfr. H. REICHENBACH, La nascita della filosofia scientifica, trad. ital., Il Mulino, Bologna 1961.
10
Cfr. L. GEYMONAT, Filosofia e filosofia della scienza, Feltrinelli, Milano 1961.
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genere, individuandone i reciproci rapporti.
Il sapere storico pretende di costruirsi come un sapere scientifico. Esso quindi
basa la propria struttura sul modello della dimostrazione. Come già Hempel ha
spiegato, la dimostrazione così come è usata dal sapere storico, strutturato a sua volta
logicamente, deve poggiare su un controllo empirico delle leggi generali. Qui però
cominciano le difficoltà. Se l'evento è assunto in quanto significativo di una ipotesi,
è impossibile una spiegazione completa, perché gli aspetti di un evento sono
teoricamente infiniti. È quella che Marino Gentile chiama “molteplicità dianoetica
del sapere scientifico” 11, e che dovrebbe di per sé garantire le capacità descrittive e
misurabili dell'oggetto di indagine. Nell'ambito del sapere storico, come spiega a sua
volta Medawar, “il ragionamento scientifico è un dialogo esplorativo che può sempre
risolversi fra due episodi di pensiero, l'uno immaginativo e l'altro critico, che si
alternano l'uno sull'altro” 12. Se attribuiamo all'attività dianoetica il procedimento per
ipotesi,
identificando
in
questo
procedimento
il
fondamento
stesso
dell'argomentazione scientifica, per cui “nel sapere scientifico la dimostrazione è
sostenuta da una premessa che è sottratta al processo dimostrativo” 13, ci accorgiamo
che per quanto riguarda il sapere storico la posizione dell'ipotesi è soggetta ad una
continua verifica, tale che spesso “l'originalità dello storico sta proprio nel trovare
una nuova prospettiva che permetta di utilizzare, ai fini di un nuovo problema, un
gruppo di documenti che si credevano già esaurientemente analizzati” 14.
Non si tratta però solamente di immaginare la congerie di ipotesi su cui costruire
una serie di possibili modelli interpretativi. La nostra convinzione è che fondamento
dell'esperienza nella sua immediatezza è la diversità, ma soprattutto che fondamento
dell'intelligenza è la realtà come tale nella sua continuità, pertanto non basta allo
storico l'uso della dimostrazione, ma si impone volta a volta una domanda sulla
stessa ipotesi.
Non si tratta naturalmente di negare efficacia alla ricerca. Ambito e metodi della
ricerca storica debbono essere preservati dalla malattia del dubbio radicale e
comunque dall'approssimazione; però, così come Croce aveva già distinto cronaca da
storia, dobbiamo pretendere dallo storico una considerazione dei temi e problemi
connessi alla sua indagine in una forma diversa dagli altri campi del sapere. “Agli
storici non si chiede mai una pura cronaca o una catalogazione dove gli eventi sono
disposti in ordine cronologico senza altre forme di collegamento, ma una descrizione
che ne metta in evidenza le connessioni e le dipendenze. E si può affermare che,
quando gli storici sono in grado di fornire un quadro di questo tipo, sono riusciti ad
'attribuire un senso' o a 'comprendere' i dati su cui lavorano” 15. In fondo, “qualunque
sia la misura in cui gli elementi filosofici entrano nella prospettiva generale di uno
storico, non c'è dubbio che nella sua attività operativa ci si aspetti da lui la stessa
imparzialità di uno scienziato” 16. Ma qui si palesa l'insufficienza del metodo
11
M. GENTILE, Breve trattato di filosofia, CEDAM, Padova 1974, p. 122. Qui è richiamata la distinzione della
metafisica classica fra “diànoia” e “noùs” identificando la prima (ragione) come propria della scienza, la seconda
(intelligenza) come propria della filosofia.
12
P.B. MEDAWAR, Induzione e intuizione nel pensiero scientifico, trad. ital., Armando, Roma 1970, p. 76.
13
M. GENTILE, Breve trattato..., cit., p. 32.
14
H.I. MARROU, La conoscenza storica, trad. ital., Il Mulino, Bologna 1962, p. 72.
15
W.H. WALSH, Il significato della storia, in AA.VV., Filosofia analitica..., cit. pp. 419-420.
16
Ibidem, p. 423.
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dimostrativo, ed è richiesta un'attività noetica, cioè l'attività propria dell'intelligenza,
che mantenendo il carattere anipotetico serve a condurre la ricerca stessa dell'ipotesi.
Abbiamo più volte dovuto constatare che “gli storici che hanno cercato di
raggiungere l'oggettività sforzandosi di lasciare che i fatti parlassero da soli sono
riusciti soltanto a celare i presupposti che dovevano essere resi espliciti per poter
essere esaminati” 17. Occorre quindi rilevare la necessità dell'uso dell'intelligenza
filosofica (noùs), più che della ragione scientifica (diànoia), nell'ambito della forma
di sapere che è il sapere storico, nella persuasione che “qui l'intelligenza è storia nel
senso pregnante della istorìa classica, dove il vedere è insieme un sapere, perché non
vi è cosa che si presenti, la quale non manifesti insieme la richiesta del perché del
suo esserci” 18.
Certamente nel suo carattere di problematicità, la ricerca storica trova difficoltà ad
evitare la distinzione fra scienze della natura e scienze dello spirito, pur tendendo ad
un'unica forma logica di spiegazione. Ciò chiarisce come spesso si ritenga che la sua
credibilità risieda nella capacità di pervenire ad una unità metodologica con le altre
scienze. E' evidente infatti la consapevolezza che “la storiografia si differenzi dalla
scienza non perché tratti di eventi di generi diversi e non perché faccia uso di
modelli di spiegazione che differiscono dal modello di spiegazione accettato dalle
scienze naturali oppure lo superano, ma perché sviluppa quella forma specifica di
comprensione che trasforma delle congerie di eventi in concatenazioni, accentua e
accresce l'importanza del giudizio sinottico nella nostra riflessione sull'esperienza” 19.
Ciò che legittima più che la storia la storiografa e fa essere la storia soprattutto
storiografia, è questa preoccupazione di comporre una descrizione della realtà che
possa essere ricondotta all'unità, ma è questo aspetto della questione che pone la
storiografa sotto accusa e rinvia ad una domanda continua sulla storia.
È propriamente attraverso il materiale raccolto dalla storiografia che si evidenzia
come il tutto non è la somma delle parti. “È lo stesso apparire del fatto la sua
visibilità, la quale non ne è l'intelligibilità intrinseca, di cui, considerato come fatto,
è invece privo. Il suo essere è il suo venire visto, la sua posizione è passività del suo
venire posto. Dove non sia punto di vista, che è limitazione implicante altri punti di
vista, non vi sono fatti né storiografa empirica” 20.
Resta pertanto la consapevolezza che si lavori comunque sullo sfondo del tutto il
quale a volte esplicitamente viene riproposto come campo di indagine autonomo,
anche se la storiografa attualmente privilegia soprattutto un ordine di successione
basato su una mera possibilità. Questo tipo di successione non può rappresentare un
modello autenticamente conoscitivo, perché in questo caso, come rileva M. Gentile
nella sua critica a questo concetto di storia, “la considerazione storica viene fatta
consistere, anziché nello studio del conoscere il tema all'infuori e al di qua di ogni
costruzione concettuale, nella sollecitudine di collocarlo in una concezione generale
del divenire dell'umanità, e infine dell'universo, e di situarlo nella posizione che gli
spetta in tale panorama” 21. Ma è qui che si chiarisce il carattere unitario che da
17
H.M. LIND, La natura dell'oggettività storica, in AA-VV., Filosofia analitica... cit., p. 121.
F. CHIEREGHIN, La metodologia della storiografia filosofica, in Iam Rude Donatus. Nel settantesimo
compleanno di Marino Gentile, Antenore, Padova 1978, p. 189.
19
L.O. MINK, L'autonomia della comprensione storica, in AA.VV., Filosofia analitica..., cit., p. 113.
20
G.R. BACCHIN, Anypotheton. Saggio di filosofia teoretica, Bulzoni, Roma 1975, p. 161.
21
M. GENTILE, Breve trattato..., cit., p. 55-56.
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sempre ha assunto la filosofia, di fronte alle scienze particolari. Noi constatiamo,
infatti, che al di là della differenza che è evidenziata in varie occasioni fra res gestae
e historia rerum gestarum, lo storico deve affrontare ogni volta la discussione sulla
legittimità e la portata della sua disciplina, ma anche e soprattutto in rapporto
all'ipotesi stessa che sottende la costruzione del suo sapere.
Per la specificità problematica che assume la storia nel suo intervento sulla realtà,
potremmo osservare che essa tende ad identificarsi con la filosofia, anche se storici
come Carr, Bloch, Marrou o i nostri Chabod e Cantimori hanno cercato di dimostrare
come si possa fare ricerca tralasciando di porre sistematicamente delle domande che
investano ragioni e cause.
Il problema, infatti, si evidenzia quando, anche da punti di vista rigorosamente
oggettivi si è portati, nella negazione del tutto e nell'evidenziazione delle parti, a
presupporre - per esempio nella considerazione del lungo periodo - una unità del
sapere. Non solo: anche se riteniamo che i due ambiti del sapere siano distinti fra di
loro, si perviene, prima o poi, all'esigenza di verificare secondo parametri generali il
carattere proprio della ricerca empirica perché possa assumere valore autenticamente
conoscitivo, ossia le conoscenze dello storico divengano universali e necessarie.
“Mentre la commistione delle due forme di sapere (filosofico e scientifico) è di
danno sia per la scienza sia per la filosofia, un sapere di tipo filosofico è necessario
in due momenti capitali per lo sviluppo intrinseco del sapere scientifico: l'uno è
costituito dal rapporto tra le articolazioni del sapere scientifico, l'altro dal momento
genetico delle singole scienze” 22.
Un esempio dell'impossibilità di una costruzione storica che possa ricondursi alla
ricostruzione adeguata del mondo umano sulla base di pure linee interpretative, è la
storiografa deterministico-meccanicistica. Non è possibile qui esaminare le varie
applicazioni pratiche della teoria; è comunque nota la critica che muove Popper a
questo storicismo, quando viene sottolineato il carattere essenzialmente pro
babilistico delle ipotesi, o quando viene dichiarato che “non vi può essere alcuna
teoria scientifica dello sviluppo storico che possa servire di base per la previsione
storica” 23. Poiché lo storicismo confonde interpretazioni e teorie, la storia secondo
Popper deve caratterizzarsi “dal suo interesse per gli avvenimenti reali, singolari o
specifici, piuttosto che per le leggi o le generalizzazioni” 24.
È forse questo disagio che ha reso fortunata una storiografia che, a parte
l'esperienza delle “Annales”, di per sé articolata, è recentemente rappresentata da noi
negli studi di storia locale. Rinunciamo apparentemente a chiederci le ragioni del
lungo periodo e ci accontentiamo del limite. Ma anche la storia “événementielle” o
l'insieme delle “microstorie” 25 rinviano comunque, specialmente per quanto riguarda
il discorso storico, a un continuum, e ripropongono a loro modo, e forse in maniera
più efficace, una considerazione sull'effettivo imparentamento fra sapere storico e
sapere filosofico.
22
Ibidem, p. 89. Cfr. sull'argomento M. GENTILE, Come si pone il problema metafisico, Liviana, Padova 1965,
capp. 6-7-8.
23
K.R POPPER, Miseria dello storicismo, trad. ital., Feltrinelli, Milano 1975, p. 14.
24
Ibidem, p. 127.
25
Cfr. M. POGATSCHNIG, Costruzioni nella storia. Sul metodo di Carlo Ginzburg, in "AUT-AUT" 181
(1981).
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