Victor-Emilian Dumitrescu* LA SEMANTICA DELLA TESTIMONIANZA ABSTRACT W itnessing is an important theological category, which embodies the whole dynamics of the faith transmission and of the development of theology; theology itself is an interpretation of the biblical witness. The present article advances a structure of the semantics of witness based on the study of Paul Ricoeur. It starts with the philosophical meaning of the term and continues discussing its religious significance. In this context two specific biblical dimensions of the act of witnessing will be underlined: the prophetic and the kerygmatic one. These two dimensions do not exclude the profane meaning of witnessing, because God spoke to man not only in his own language (biblical linguistics), but also according to his understanding (biblical semantics). La categoria della testimonianza è una nozione di importanza fondamentale per il cristianesimo, in quanto gli definisce la sua essenza. Il cristianesimo non è una conoscenza, ma è un’esperienza fatta scattare da una dinamica interpersonale di comunicazione che è quella della testimonianza. Ora, la testimonianza va’ accolta o va’ respinta, in base alla fede che si da o non si da alla testimonianza. In contenuto di una testimonianza ha un significato (dunque può sviluppare una semantica), il quale può essere interpretato (dunque sviluppare un’ermeneutica). L’oggetto di questo articolo è la presentazione della semantica della testimonianza in chiave filosofica, anche se non mancheranno i riferimenti biblici, facendo leva sugli studi che P. Ricoeur fece in merito. La semantica che si occupa del significato delle parole, sia dal punto di vista storico che da quello sincronico, contribuisce notevolmente a comprendere il fenomeno della testimonianza, nel suo lato concettuale, dunque significativo, così come è enunciato dal segno o dalla parola. Essa è in uno stretto legame con l’ermeneutica. Infatti, ha «senso» ciò che «significa qualche cosa», mentre non ha senso invece un fenomeno che non dà luogo ad alcuna interpretazione. Ora, i singoli segni sono spesso interpretabili (provocano un’interpretazione) e univoci (regolano cioè la distinzione tra interpretazioni corrette e interpretazioni sbagliate), ma * Pr. Lect. univ. Dr., Institutul Teologic Romano-Catolic Bucuresti. Caietele Institutului Catolic VII (2008, 1), 157-173. 158 Victor-Emilian Dumitrescu solo in quanto si trovano in un dato contesto e in una certa relazione. Questo contesto e luogo delle relazioni non è altro che quella struttura «dotata di senso» costituita da una serie di fenomeni che sola conferisce il senso (cioè la loro interpretabilità in senso univoco) alle singole componenti. È questa la strategia metodologica applicata da Ricoeur nel tentativo di fare un’analisi semantica della testimonianza, la quale, calata in diversi contesti ordinari di significazione (la situazione linguistica), rivela i suoi significati e le sue sfumature; e tutto questo costituisce la materia prima per il discorso ermeneutico portato avanti in seguito. 1. Senso filosofico e condizioni di senso della testimonianza Prima di entrare in merito dell’esposizione che Ricoeur fa, in base al suo taglio personale, considero opportuno esporre quei significati convenzionalmente sanciti e cioè quelli contenuti nelle definizioni della testimonianza, secondo i diversi tipi che essa abbraccia. In senso soggettivo, la testimonianza indica l’atto di una persona qualificata (teste), che comunica come vero, senza che tuttavia ne fornisca l’evidenza intrinseca, qualcosa di cui ha avuto conoscenza diretta. In senso oggettivo, la testimonianza indica il testo o il contenuto di tale comunicazione. Quest’ultimo significato è il più frequente. Già dalle definizioni si possono dedurre le due dimensioni della testimonianza (soggettiva e oggettiva). In conformità a queste due definizioni, che però, come vedremo non esauriscono il senso della testimonianza, possiamo individuare diversi tipi. La testimonianza, perciò, può essere umana e/o divina (come nel caso della testimonianza dell’assoluto); dottrinale (se viene comunicata una dottrina), storica (se vengono comunicati dei semplici fatti, soprattutto esterni); orale o scritta (e anche impressa, p. es. una moneta, un monumento, una pittura); formale (se è fatta intenzionalmente) o materiale (in caso contrario). P. Ricoeur parte dalla nozione ordinaria (e non assoluta) della testimonianza, sottoponendola ad un’analisi semantica, con lo scopo di circoscrivere le condizioni di senso senza le quali non si può parlare di testimonianza. La semantica della testimonianza 159 Lungo l’analisi che fa, Ricoeur individua tre significati maggiori della testimonianza e cioè: il significato quasi empirico, il significato quasi giuridico e il significato esistenziale o religioso della testimonianza. In tutti e tre i significati si conservano le condizioni di senso, anche se l’accento si sposta da un elemento all’altro di significatività. Ora, «queste condizioni di senso non possono essere abolite, ma devono essere conservate nel concetto ulteriore di testimonianza assoluta»1. 1.1. Il significato quasi empirico Il significato quasi empirico della testimonianza è riferito da Ricoeur, o meglio, «designa», l’azione stessa del testimoniare: ciò che si è visto e sentito. Non è però da attribuire un significato totalmente empirico a questa azione di testimoniare, ma uno quasi empirico «perché la testimonianza non è la percezione stessa ma la relazione, cioè il racconto, la narrazione degli avvenimenti»2. Si tratta dunque di un «transfert» perché la testimonianza «traspone le cose viste sul piano delle cose dette». Le «cose viste» costituiscono quell’avvenimento che «attraverso la testimonianza, non è solo trasportato da un senso all’altro, dal vedere all’udire», ma è sottoposto al giudizio in ultima istanza, riguarda il «senso di ciò che è accaduto»3. Ci risulta così che per la costituzione di una testimonianza non è sufficiente la presenza del carattere oculare di essa, o, detto in un altro modo, la semplice constatazione, «ma anche racconto di un fatto che serva a provare un’opinione o una verità»4, di modo che la testimonianza possa essere «invocata come prova di riferimento di un giudizio che sorpassa la semplice registrazione dei fatti»5. P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 37, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della testimonianza, in Francesco Franco (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 76. 2 Ibidem, p. 38; p. 77. 3 Ibidem, p. 38; p. 78. 4 Ibidem. 5 Ibidem, p. 39; p. 78. 1 160 Victor-Emilian Dumitrescu 1.2. Il significato quasi giuridico Nel linguaggio corrente la testimonianza possiede dei tratti distintivi che orientano il suo significato verso un ambito prevalentemente giuridico. Osserva Ricoeur che «non si chiama testimonianza ogni rapporto su un fatto, un avvenimento, una persona; l’azione del testimoniare ha un rapporto intimo con – una istituzione: la giustizia; – un luogo: il tribunale; – una funzione sociale: l’avvocato, il giudice; – un’azione: fare causa, cioè essere attore o difensore in un processo»6. La testimonianza dunque è una delle prove che l’accusa o la difesa avanzano per cercare di influire sulla sentenza del giudice. Inoltre, dentro un’azione giuridica, la testimonianza si presenta con una certa solennità in quanto messa in risalto da uno speciale rito di giuramento o di promessa che qualifica come testimonianza la dichiarazione del testimone. Il fatto che il testimone deve essere ascoltato sotto la fede del giuramento, nonostante il fatto che la sua testimonianza non sarà considerata se non accostata ad un’altra, in base al principio: unus testis, nullus testis, è una contraddizione. Infatti, da una parte non si presta fede al testimone perché la sua testimonianza vale solo in quanto accostata a delle altre; dall’altra gli viene chiesto solennemente ad attestare la sua fede per mezzo del giuramento e qualsiasi spergiuro è passibile di punizione. L’atto del giuramento è necessario perché l’aspetto oggettivo della testimonianza non prevalga del tutto su quello soggettivo. Lo stesso nel senso inverso, di modo che la testimonianza non si riduca solamente all’aspetto soggettivo. Comunque si può notare una certa ambiguità della nozione di testimonianza nell’ambito giuridico7. Tutti questi tratti giuridici «sono suscettibili di una generalizzazione analogica che contribuisce ad instaurare il significato dei vocaboli testimone e testimonianza nel linguaggio ordinario»8, perché la situazione di discorso chiamata processo serve da modello per situazioni meno codificate dai rituali sociali, ma nelle quali si possono riconoscere i Ibidem, p. 38; p. 78. Cfr. ALPHONSE DE WAELHENS , Ambiguïté de la notion de témoignage, in «Archivio di filosofia», 1-2 (1972) 474-475, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972. 8 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 39. 6 7 La semantica della testimonianza 161 lineamenti del processo. Ricoeur, passa ad analizzare questi lineamenti o tratti fondamentali del processo, riducendoli praticamente a tre: l’idea di controversia e di parte, la nozione di decisione di giustizia e la prova del dibattito. a) Idea di controversia e di parte si ritrova laddove c’è contestazione tra parti. Qui la testimonianza si presenta come una prova pro o contro. La nozione di controversia e di parte «è generalizzabile in modo eminente» e concerne sia quelle situazioni che richiedono un giudizio o una decisione come conclusione (e la maggior parte delle cose umane sono di quest’ordine), sia la scienza storica. Quest’ultima istanza si riferisce ad ogni specie di documento (e non solo la relazione personale fatta dai testimoni oculari) che può acquistare «valore di testimonianza sempre in riferimento ad un dibattito tra opinioni avverse»9. Si può notare qui un transfert dal giuridico allo storico, che consiste in «uno scambio tra i tratti giuridici e i tratti storici della testimonianza»10. b) Nozione di decisione di giustizia è un secondo tratto fondamentale del processo che ci permette ancor di più a qualificare la testimonianza. Questa, per sua essenza è una attestazione (a-testis) che ha in vedere un atto che decide in favore di…, che condanna o assolve, che imputa o riconosce un diritto. Dunque, un giudizio legale. A questo punto, Ricoeur fa un riferimento a Hart che si occupò del carattere generalizzabile del giudizio legale11. Egli osservò che le enunciazioni giuridiche possono essere contestate sia attraverso la negazione dei fatti annessi, sia invocando delle circostanze che affievoliscono, attenuano e perfino annullano la rivendicazione di un diritto o l’imputazione di un crimine. La sua tesi, si fonda sul termine ascrizione costruita sul modello di descrizione, concludendo che le azioni suscettibili di essere ascritte, sono suscettibili di essere anche annullate, invalidate, abrogate. Per Ricoeur «questa caratteristica è la pietra di paragone del ragionamento e del giudizio legale stesso»12. Ibidem, p. 40. Ibidem. 11 Cfr. H. L. A. HART, The Ascription of Responsability and Rights, in «Proceedings of the Aristotelian Society», 49 (1948) 171-194. 12 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 40. 9 10 162 Victor-Emilian Dumitrescu «Il vocabolo testimonianza, osserva Ricoeur, è impiegato in modo significativo tutte le volte che si fa valere la differenza tra discorso descrittivo e discorso ascrittivo»13. Per comprendere questo occorre rifarci ad un ulteriore studio di Ricoeur14 che riprende questa intricata analisi semantica quando riflette, sulla scia di Hart, circa lo statuto dell’ascrizione in rapporto alla descrizione. Hart, per interpretare le proposizioni del linguaggio ordinario del tipo: «egli ha fatto questo», propone di accostarle alle decisioni giuridiche mediante le quali un giudice decreta che questo è un contratto valido, che questo è un omicidio, non un assassinio, ecc. Secondo l’autore, la transizione fra le proposizioni del linguaggio ordinario, senza colorazione morale o giuridica, e le decisioni giuridiche, è assicurata da proposizioni dallo statuto intermediario della forma: questo è mio, vostro, suo, cioè proposizioni che rivendicano, conferiscono, trasferiscono, riconoscono, in breve, attribuiscono dei diritti. «Da questo accostamento fra imputazione e attribuzione di diritti – afferma Ricoeur –, risulta, per contrasto, la completa cesura fra ascrivere e descrivere»15. Possiamo così renderci conto, da un punto di vista semantico, quale sia il posto della testimonianza che «viene sempre a sostegno del buon diritto di…»16. c) La testimonianza come prova di argomentazione è un terzo tratto fondamentale che si iscrive tra dibattimento e giudizio. Come prova di argomentazione viene considerata da Aristotele stesso nella I parte della Retorica dedicata alle «prove» (p…steij), cioè ai mezzi di persuasione impiegati nel genere deliberativo, nel genere giudiziario e nel genere epidittico (encomi e panegirico). Così la logica della testimonianza è inquadrata dalla retorica, considerata come «replica» della dialettica, la cui tecnica è definita dal «persuasivo», mettendo in condizione di Ibidem. P. RICOEUR, Soi-même comme un autre, Ed. du Seuil, Paris 1990; tr. it. a cura di Daniela Iannotta, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993. 15 Ibidem, p. 186. 16 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 40, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 80. 13 14 La semantica della testimonianza 163 «persuadere i contrari». Ma, «la retorica non si confonde con la dialettica; le tecniche di persuasione, in effetti, non si riducono all’arte della prova; esse tengono conto delle disposizioni dell’uditorio e del carattere dell’oratore; nello stesso tempo esse mescolano le prove morali alle prove logiche»17. La retorica «è in vista di un giudizio» (›neka kr…sewj)18 e «in rapporto ad un ascoltatore» (prÕj tÕn ¢kroat»n)19. Alla luce di queste considerazioni, la testimonianza «è così presa nella rete della prova e della persuasione (la radice in greco è identica: p…stij – pisteÚein) caratteristiche del livello propriamente retorico del discorso»20. Nonostante questo, Aristotele non dà molto credito alla testimonianza stessa, mettendola tra le prove «extratecniche» della retorica, per diverse ragioni. La prima consiste nel fatto che per Aristotele, i testimoni (m£rturej) non sono tanto quelli che narrano le cose viste, ma sono le autorità morali (poeti o uomini illustri, maestri di oracoli, autori di proverbi) assunte come testimoni dell’autore. Vediamo qui come Aristotele «sposta la credibilità della testimonianza su quella del testimone e rivela un carattere importante […]: la qualità del testimone, la sua buona fede a cui non può supplire nessuna logica della testimonianza; ora di ciò l’oratore […] non è padrone» 21. Salta fuori così, in questo contesto, l’elemento principale, che conferisce alla testimonianza ogni valore e cioè, l’autorità, che è quella qualità del testimone che induce a ritenere vera la sua affermazione; essa è fondata essenzialmente sulla scienza e veracità, da cui risulta che il testimone né poteva ingannarsi, né voleva ingannare. Occorre fare attenzione per non confondere l’autorità con l’autorevolezza. Quest’ultima è solamente una competenza riconosciuta dall’istanza sociale, mentre l’autorità è qualcosa di più, che io definirei come: presenza che si impone nonostante tutto22. Ma qui siamo oltre la Ibidem, p. 41; p. 81. ARISTOTELE, Retorica, I, 1377 B, 20-22, in Opere, X, Laterza, Bari 1991. 19 Ibidem, III, I, 6. 20 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 41. 21 Ibidem, p. 42. 22 Per vedere la differenza tra autorità ed autorevolezza è sufficiente il testo evangelico che descrive la differenza di insegnamento esistente tra Gesù e gli scribi: «Ed erano stupite [le folle] del suo insegnamento perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mc 1, 22), dotati appunto di autorevolezza nelle Scritture. 17 18 164 Victor-Emilian Dumitrescu retorica, oltre la dialettica e oltre il significato empirico o giuridico, indirizzati verso una dimensione esistenziale che vedremo in seguito. Una seconda ragione per cui la testimonianza viene messa da Aristotele tra le prove «extra-tecniche» viene dal fatto che la retorica è regolata su una logica. Ora, dentro una siffatta retorica «la testimonianza anche concepita come una relazione sui fatti accaduti, occupa necessariamente un posto inferiore»23. Al primo posto, infatti, stanno le cose dette e solo al secondo posto stanno le cose da lui viste. Anche se Aristotele si impegna a collegare quanto più è possibile la logica della testimonianza alla logica dell’argomentazione, insistendo sui criteri di verosimiglianza che gli possono essere applicati, le prove tecniche restano l’asse principale di un trattato dell’argomentazione. Nella retorica, la testimonianza non sta tra le prove (p…stij) tecniche, ma tra quelle para-tecniche. Ora, afferma Ricoeur, «l’esteriorità della testimonianza è ciò che la mantiene tra le prove para-tecniche […]; è precisamente l’esteriorità della testimonianza che farà problema per un’ermeneutica»24. Si può concludere che, in senso giuridico, il termine testimonianza indica la precisa certificazione dei fatti quale elemento per rendere possibile il giudizio. 23 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 42, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 82. 24 Ibidem, p. 42; pp. 82-83. Questo problema cui allude qui Ricoeur tiene di un’altra analisi che farà sull’ermeneutica della testimonianza. Da tenere presente che la categoria dell’«esteriorità» è una delle categorie basilari di una filosofia della testimonianza e che trova il suo massimo esponente in Lévinas (Cfr. P. RICOEUR, Lectures 3. Aux frontières de la philosophie, Seuil, Paris 1994, pp. 83-105). La semantica della testimonianza 165 1.3. Il significato esistenziale della testimonianza (testimonianza come verifica) I due sensi sui quali ci siamo soffermati (il quasi empirico e il quasi giuridico) non rendono conto in pienezza del significato ordinario della parola testimonianza. Essa ha anche una dimensione esistenziale che si scopre quando l’accento si sposta dalla prova-testimonianza al testimone e al suo intervento. E qui interviene la problematica del testimone, soprattutto quando ci si domanda sulla sua identità. Infatti, presa in senso esistenziale, la testimonianza assume un carattere di attestazione irriducibile a qualsiasi procedimento oggettivo, in quanto fondata su degli elementi squisitamente personali del testimone che, vivendo ciò che crede, impegna totalmente o mette in gioco se stesso e paga di persona (p. es., la fede del «martire» è «teste» qualificato). In questa prospettiva, il testimone non è solo colui che enuncia la testimonianza, ma è soprattutto colui che si identifica con una giusta causa, mettendo a repentaglio la sua propria vita. La testimonianza stessa prende dei connotati nuovi perché «questo impegno, questo rischio assunto dal testimone, si riflette sulla testimonianza stessa che, a sua volta, significa altro che una semplice narrazione di cose viste; la testimonianza è anche impegno di un cuore puro sino alla morte. Appartiene al destino tragico della verità»25. Il testimone diventa martire (m£rtuj), mettendo così in evidenza che c’è uno stretto legame tra il testimone e il martire. Ricoeur avverte sul rischio a cui potrebbe portare questo nesso tra il testimone e il martire, perché «una causa che ha dei martiri non è necessariamente una causa giusta»26, e dunque, una testimonianza. Bisogna perciò chiarire il significato del «martire», che «non è un argomento, ancor meno una prova (preuve). È una verifica (épreuve), una situazione limite. Un uomo diventa martire perché prima di tutto è un testimone»27. La verifica della convinzione è diventata prezzo della vita. 25 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 43, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 84. 26 Ibidem, p. 43; pp. 83-84. 27 Ibidem. 166 Victor-Emilian Dumitrescu La verità non testimonia qui la certificazione dei fatti e non è il risultato di un giudizio concluso con rigore logico; non testimonia sull’esteriorità. La testimonianza che «riceve dai confini della morte ciò che si potrebbe chiamare la sua interiorità […], è l’azione stessa in quanto attesta nell’esteriorità l’uomo interiore stesso, la sua convinzione e la sua fede»28. La dimensione esistenziale che rivela il significato religioso della testimonianza implica un passaggio: «dalla testimonianza intesa nel senso del rapporto sui dei fatti, si passa, attraverso passaggi codificati, all’attestazione mediante l’azione e la morte»29. Nonostante il fatto che il senso della testimonianza sembri invertito, tuttavia non c’è rottura di senso. Ciò lo si vedrà meglio nell’analisi semantica operata da Ricoeur negli scritti della Bibbia. La chiave dell’interpretazione è l’impegno del testimone nella testimonianza, intorno al quale ruota l’insieme dei significati. 2. Le dimensioni profetica e kerygmatica del senso religioso della testimonianza Parlando del senso religioso e delle dimensioni profetica e kerygmatica della testimonianza significa superare la filosofia ed aprirsi ad una novita’ che, nel complesso semantico della nozione che stiamo affrontando, non può essere spiegata a partire solamente dall’uso profano della parola. Occorre perciò calarsi nell’ambito dei testi sacri per analizzare la semantica della radice m£rtuj. Ora, addentrarsi in degli argomenti di natura religiosa e teologica può suscitare qualche sospetto, dato il contesto filosofico in cui ci troviamo e nel quale vogliamo rimanere. Ma un’esauriente analisi semantica non può far a meno dei testi sacri e dei significati anche teologici che ne derivano. La parola singola considerata in sé ed isolata dal suo contesto ha un certo significato lessicale, ma fortemente indeterminato e potenziale. L’espressione linguistica è significativa soltanto dentro un contesto concreto e appartenente ad una lingua e ad un modo di parlare (gioco linguistico). 28 29 Ibidem, p. 43; pp. 84-85. Ibidem. La semantica della testimonianza 167 Per quanto riguarda la testimonianza, nel caso della scrittura, ci troviamo ad una situazione di significazione nuova, perché la categoria della relazione che abbiamo assunto come metodo, si configura diversamente circa il rapporto tra testimone e destinatario. «La scrittura è la parola depositata in testimonianze. Essa perciò ha un senso (capacità di svolgere la funzione di trasmettere un significato) primariamente in quelle forme del discorso che sono oggettivamente determinate in ordine al deposito e presuppongono formalmente quelle situazioni linguistiche in cui l’ascoltante e destinatario della cosa detta non coincidono»30. Non è dunque indifferente l’analisi semantica che Ricoeur fa nell’ambito della Scrittura, tenendo conto del fatto che «qualora la parola, depositata nella scrittura, venga avulsa della sua situazione linguistica originale, c’è da supporre un cambiamento di senso, c’è da temere una perdita di senso»31. 2.1. Analisi semantica della testimonianza nella Sacra Scrittura Con il senso religioso della testimonianza ci troviamo di fronte ad uno «slittamento semantico». Anche se questa nuova dimensione non si può spiegare a partire dall’uso profano del termine, il senso profano non viene abolito, anzi è «conservato ed anche esaltato». «Dirò dunque insieme dell’irruzione del senso nuovo e della conservazione dell’antico nel nuovo»32. La ricerca di Ricoeur sulla semantica delle parole della radice m£rtuj ha come oggetto di analisi la categoria degli scritti profetici e quella degli scritti neotestamentari. R. SCHAEFFLER, Senso, in H. KRINGS (a cura di), Handbuch philosophischer Grundbegriffe, III, München 1974; trad. it. a cura di Giorgio Penzo, Concetti fondamentali di filosofia, III, Queriniana, Brescia 1982, p. 1915. 31 Ibidem. 32 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 44, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 85. 30 168 Victor-Emilian Dumitrescu 2.1.1. Il senso profetico della testimonianza Come testo per l’analisi semantica, Ricoeur prende Is 44, 8-1333 in cui si troverebbero sia gli aspetti vecchi che quelli nuovi del significato del termine m£rtuj. Dal testo risulta che l’irruzione del senso è quadruplice: – Il testimone non è chiunque si fa avanti e depone, ma colui che è inviato per testimoniare. «La testimonianza per sua origine viene da altro»34. – Il testimone testimonia sul senso radicale e globale dell’esperienza umana e non su dei fatti contingenti; la testimonianza è resa da Jahvé stesso. – «La testimonianza è orientata verso la proclamazione, la divulgazione, la propagazione»35; la testimonianza di uno è a favore di tutti. – Questa professione implica un impegno totale nei fatti più che in parole, sino al sacrificio supremo della vita. Questa quadruplicità del senso della testimonianza in questo scritto profetico, ci permette di individuare un significato nuovo che lo separa da tutti i suoi usi nel linguaggio ordinario, perché «la testimonianza non appartiene al testimone. Essa procede da una iniziativa assoluta, quanto alla sua origine e al suo contenuto»36. A questo livello ci si configurano due relazioni alle quali accennavo nell’introduzione di questo lavoro e cioè, la relazione tra il testimone e l’«assoluto» (o l’«altro») e la relazione tra il testimone e la testimonianza 33 «Fa’ uscire il popolo cieco, ma che ha gli occhi, e i sordi che pure hanno le orecchie. Tutte le nazioni si radunino insieme e si raccolgano i popoli. Chi tra essi ha potuto annunciare questo e ci ha fatto intendere il passato? Presentino i loro testimoni per essere giustificati, perché si ascolti si dica: “È vero”. Voi siete i miei testimoni, oracolo del Signore, voi siete i miei servi, che ho eletto, perché sappiate, crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me non fu fatto alcun dio e dopo di me non vi sarà alcuno. Io, io sono il Signore e all’infuori di me non c’è alcun salvatore! Io ho annunciato, salvato e proclamato, non un dio straniero tra voi! Voi siete i miei testimoni, oracolo del Signore, ed io sono Dio, dall’eternità sempre lo stesso. Nessuno può liberare dalla mia mano: agisco e chi lo può cambiare?» 34 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 44. 35 Ibidem. 36 Ibidem. La semantica della testimonianza 169 che deve dare, che non ha l’origine nel testimone ma viene da un “altro”, e il cui valore a volte supera quello della vita stessa del testimone e che viene sacrificata. Come osservava anche Ricoeur, né il senso profano (evidente nel tema dell’impegno), né il senso giuridico (il tema del processo), e né l’aspetto quasi empirico (c’è il racconto delle cose viste), vengono aboliti. Ora, «questa ripresa del tema del processo all’interno del tema della confessione-professione è, ai miei occhi, la nota maggiore del concetto profetico di testimonianza»37. Abbiamo, dunque, sia la congiunzione del momento profetico con quello giuridico, e sia la congiunzione del momento profetico con quello storico. Infatti, «là dove una „storia“ di liberazione può essere raccontata, un „senso“ profetico può essere non solamente confessato, ma attestato. Non si può testimoniare per un senso, senza testimoniare che qualcosa è accaduto che significhi questo senso»38. 2.1.2. Il senso neotestamentario del testimone e della testimonianza Il senso neotestamentario del testimone e della testimonianza contiene tutta la tensione del senso profetico, ma è arricchito anche con dei tratti innovativi. Questi tratti innovativi segnano il passaggio dal discorso profetico al discorso evangelico. Il centro intorno al quale gravita tutto è il nucleo «confessionale» della testimonianza, anzi «la confessione che „Gesù è il Cristo“ costituisce la testimonianza per eccellenza» 39. Ma anche qui il testimone è inviato e la sua testimonianza non gli appartiene (cfr. Atti 1, 7-8), non è solo sua. La testimonianza, nel suo nucleo di senso, è confessionale, ma essa non può essere ridotta a semplice confessione di fede perché «tutti i tratti del senso ordinario sono ripresi, assunti e trasformati, al contatto Ibidem, p. 45. P. RICOEUR, L’ermeneutica della testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 88: «La congiunzione del momento profetico: „Io sono Jahvé“, e del momento storico: „Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra dell’Egitto, da una casa di schiavitù“ (Es 20, 2)». 39 Ibidem. 37 38 170 Victor-Emilian Dumitrescu con questo nucleo „confessante“»40. Questo aspetto si può osservare nei diversi scritti neotestamentari. La chiave di lettura di questa analisi neotestamentaria è l’integrazione del vecchio nel nuovo, l’integrazione dell’aspetto ordinario: empirico e giuridico, nell’aspetto religioso: profetico e kerygmatico. a) Il senso ordinario di testimonianza come racconto di cose viste o sentite. L’intenzione di «ricucire la testimonianza-confessione alla testimonianza-narrazione» è operata in modo diverso dai quattro evangelisti, avendo agli estremi da una parte Luca e dall’altra Giovanni. In Luca, l’essere testimone di cose viste e sentite comprende: l’insegnamento, i miracoli, la passione e la risurrezione di Gesù. Un interrogativo si impone a questo livello: Si è testimoni del fatto accaduto o del senso di quel fatto? Ora, il fatto è inseparabile dal suo senso, ma il senso se è iscritto nella storia, è avvenuto, è accaduto. Di questo ci si rende testimonianza, una testimonianza che è narrazione e confessione insieme. Questa dialettica del senso e del fatto, della confessione e della narrazione, in Luca, si gioca principalmente sulla confessione essenziale della risurrezione (il ruolo decisivo delle «apparizioni»), prolungamento della manifestazione al di là della morte. «Il momento di immediatezza della manifestazione è essenziale per la costituzione della testimonianza come testimonianza»41. L’integrazione del fatto e del senso, della narrazione e della confessione è da riscontrare anche nella predicazione dell’apostolo Paolo (cfr. Atti 13, 30-31), testimone oculare del Risorto grazie ad una estensione della nozione di apparizione, ma sempre in linea con coloro che testimoniano su ciò che «le nostre mani hanno toccato…» (cfr. 1 Gv 1, 1 ). Tutto questo dimostra che «tra le testimonianze oculari della vita di Gesù e l’incontro col Risorto, il cristianesimo primitivo non ha mai percepito differenze fondamentali. […] È per una mentalità moderna, formata dalla critica storica, che la compagna di Gesù e l’incontro col Risorto sono cose distinte. L’unità profonda tra testimone dei fatti, degli eventi e testimone del senso, della verità, ha 40 P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 46, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; 41 Ibidem, p. 47. La semantica della testimonianza 171 potuto così essere protetta per un certo tempo»42. Paolo, a differenza di Luca, non predica le apparizioni ma il “Cristo crocefisso”, di cui egli non è stato testimone oculare. Ma egli ha visto la croce di Cristo nel martirio (testimonianza) di Stefano. Anche questo è un accostamento tra un fatto (il martirio di Stefano) e il senso (il Cristo crocefisso). A mio parere, la stessa dinamica della testimonianza si conserva e si perpetua in seguito tramite i testimoni di Lui. Ricoeur però intravede da questo momento in poi una svolta: «i testimoni della Risurrezione saranno sempre meno dei testimoni oculari, nella misura in cui la fede si trasmetterà nell’ascolto della predicazione; la „voce“ fa fatica a rinviare alla „vista“; ora la fede viene dall’ascolto»43. In Giovanni il quadro narrativo del Vangelo è conservato, ma si può notare la presenza di una certa oscillazione dell’equilibrio dal polo della narrazione al polo della confessione. Giudicando in base alle occorrenze delle parole m£rtuj e martur…a, Giovanni è l’araldo per eccellenza della testimonianza. Ricoeur nota qui uno slittamento di significato della parola testimonianza, dovuto ad un nuovo significato congiunto alla definizione del testimone. La testimonianza «non è prima di tutto ciò che l’uomo fa quando rende testimonianza, ma ciò che fa il Figlio manifestando il Padre […], „testimonianza (martur…a) di Gesù Cristo“ come sinonimo di „rivelazione (¢pok£luyij) di Gesù Cristo“. Ed ecco qui lo slittamento «dalla confessione-narrazione verso la manifestazione stessa alla quale si rende testimonianza», di modo che «l’esegesi di Dio e la testimonianza del Figlio sono la stessa cosa»44. Compare in Giovanni un altro discepolo-testimone, ma in un senso meno storico e più teologico di «testimone della luce» (cfr. Gv 1, 7), cioè Giovanni Battista. Ma la sua testimonianza non manca di carattere oculare («E io l’ho visto e ho testimoniato che lui è il Figlio di Dio: 1, 34) e ciò che ha visto è stato un segno (lo Spirito discendente come colomba) il cui senso gli è stato indicato da una parola interiore (cfr. Gv 1, 33). Ibidem, pp. 47-48. Ibidem, p. 48. 44 Ibidem. 42 43 172 Victor-Emilian Dumitrescu Ecco dunque come «la nozione di testimone oculare è così profondamente rivoluzionata dal duplice tema di Cristo, testimone fedele, e della testimonianza, testimonianza alla luce»45. Possiamo dire che c’è uno scarto tra la testimonianza in senso giovanneo e la testimonianza nel senso di Luca. Secondo l’adagio ebraico sono richieste due testimonianze. La duplice testimonianza in Giovanni è costituita: primo, da quella che Cristo si rende da sé (cfr. Gv 8, 14); secondo: quella di Dio stesso (cfr. Gv 5, 36-37). Giovanni va così fino in fondo e noi assistiamo ad una interiorizzazione quasi completa della testimonianza (cfr. 1 Gv 5, 9-10: «Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé»). «Questa testimonianza che il testimone ha in se stesso, non è altro se non la testimonianza dello Spirito Santo, nozione che denota il punto estremo d’interiorizzazione della testimonianza» (Gv 15, 26-27)46. La testimonianza così interiorizzata non perde però il riferimento alla testimonianza oculare. Infatti, la nozione di opere denota l’esteriorizzazione della testimonianza (cfr. Gv 10, 25; 10, 37-38). «Questa martur…a tîn œrgwn, dalla parte del Cristo, fa sì che la testimonianza che gli è resa non è la testimonianza a un’idea, a un logos intemporale, ma ad una persona incarnata. […]. La testimonianzaconfessione non potrebbe staccarsi dalla testimonianza-narrazione, pena la trasformazione in gnosi»47. Perciò, l’aver visto e testimoniare devono essere strettamente associati. Luca e Giovanni, per quanto si differenzino, si ritrovano in questo punto. b) Il senso ordinario di testimonianza come elemento di prova in un processo. Secondo Ricoeur, questo aspetto del significato presente in Giovanni, «da una parte, assicura il ricupero del senso profano nel senso religioso, ma, dall’altra, imprime anche la sua particolare sfumatura al concetto teologico di testimonianza»48. Il rapporto tra testimonianza e processo può essere visto non solo nel processo intentato a Gesù (con l’accusa di falsa testimonianza e l’uso di falsi testimoni), ma «tutto il ministero di Gesù è un processo». La testimonianza si proietta così sull’orizzonte del Ibidem, p. 49. Ibidem. 47 Ibidem, p. 50. 48 Ibidem. 45 46 La semantica della testimonianza 173 «grande processo». «È nel quadro di una contestazione del diritto che la prima testimonianza, la martur…a del Figlio, acquista valore di attestazione. Fin dal Prologo (di Gv), questa opposizione drammatica tra contestare e attestare è messa al centro»49. Nell’orizzonte di questa contestazione, di questo grande processo, il testimone è per eccellenza un inviato, cioè è come colui che lo invia, possedendo «l’autorità di un plenipotenziario». Questo testimone è Cristo «perché egli suscita la „crisi“, il giudizio delle opere del mondo. […] La funzione del testimone si innalza qui al livello del Giudice della Fine. […] Per il Cristo, essere testimone significa congiungere i due ruoli di accusato terrestre e di giudice celeste; è anche essere re secondo la confessione davanti a Pilato»50. Questo rapporto tra testimonianza e processo può essere visto anche nella testimonianza resa dagli apostoli, grazie alla testimonianza interiore dello Spirito che loro hanno ricevuto e che «prende tutto il suo significato nella contestazione tra Cristo e il mondo che prosegue davanti al tribunale della storia»51. Inoltre, ci si rende anche conto che la testimonianza al livello umano, è duplice: «c’è la testimonianza interiore, il sigillo della convinzione; ma c’è anche la testimonianza delle opere, cioè, sul modello della passione di Cristo, la testimonianza della sofferenza (cfr. Ap 1, 11). Nella prospettiva del processo, dunque, il martire designa ancora il sigillo supremo della testimonianza»52. A conclusione di questa analisi semantica, si può affermare che la testimonianza, interpretata in termini puramente mistici, si riduce alla confessione della verità; interpretata invece in termini giuridici è l’attestazione che rende vincenti sulla contestazione. I due momenti che sembravano dissociarsi: la testimonianza come confessione (di fede) e la testimonianza come narrazione (di fatti), sono tenuti insieme dal momento giuridico. Ibidem, p. 51. Ibidem. 51 Ibidem, p. 52. 52 Ibidem. 49 50