Victor-Emilian Dumitrescu* LA SEMANTICA DELLA

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Victor-Emilian Dumitrescu*
LA SEMANTICA DELLA TESTIMONIANZA
ABSTRACT
W
itnessing is an important theological category, which embodies the whole dynamics of the faith
transmission and of the development of theology; theology itself is an interpretation of the
biblical witness. The present article advances a structure of the semantics of witness based on the study
of Paul Ricoeur. It starts with the philosophical meaning of the term and continues discussing its
religious significance. In this context two specific biblical dimensions of the act of witnessing will be
underlined: the prophetic and the kerygmatic one. These two dimensions do not exclude the profane
meaning of witnessing, because God spoke to man not only in his own language (biblical linguistics),
but also according to his understanding (biblical semantics).
La categoria della testimonianza è una nozione di importanza
fondamentale per il cristianesimo, in quanto gli definisce la sua essenza.
Il cristianesimo non è una conoscenza, ma è un’esperienza fatta scattare
da una dinamica interpersonale di comunicazione che è quella della
testimonianza. Ora, la testimonianza va’ accolta o va’ respinta, in base
alla fede che si da o non si da alla testimonianza. In contenuto di una
testimonianza ha un significato (dunque può sviluppare una semantica),
il quale può essere interpretato (dunque sviluppare un’ermeneutica).
L’oggetto di questo articolo è la presentazione della semantica della
testimonianza in chiave filosofica, anche se non mancheranno i
riferimenti biblici, facendo leva sugli studi che P. Ricoeur fece in
merito.
La semantica che si occupa del significato delle parole, sia dal punto di
vista storico che da quello sincronico, contribuisce notevolmente a
comprendere il fenomeno della testimonianza, nel suo lato concettuale,
dunque significativo, così come è enunciato dal segno o dalla parola.
Essa è in uno stretto legame con l’ermeneutica. Infatti, ha «senso» ciò che
«significa qualche cosa», mentre non ha senso invece un fenomeno che
non dà luogo ad alcuna interpretazione. Ora, i singoli segni sono spesso
interpretabili (provocano un’interpretazione) e univoci (regolano cioè la
distinzione tra interpretazioni corrette e interpretazioni sbagliate), ma
*
Pr. Lect. univ. Dr., Institutul Teologic Romano-Catolic Bucuresti.
Caietele Institutului Catolic VII (2008, 1), 157-173.
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Victor-Emilian Dumitrescu
solo in quanto si trovano in un dato contesto e in una certa relazione.
Questo contesto e luogo delle relazioni non è altro che quella struttura
«dotata di senso» costituita da una serie di fenomeni che sola conferisce
il senso (cioè la loro interpretabilità in senso univoco) alle singole
componenti. È questa la strategia metodologica applicata da Ricoeur nel
tentativo di fare un’analisi semantica della testimonianza, la quale, calata
in diversi contesti ordinari di significazione (la situazione linguistica),
rivela i suoi significati e le sue sfumature; e tutto questo costituisce la
materia prima per il discorso ermeneutico portato avanti in seguito.
1. Senso filosofico e condizioni di senso della testimonianza
Prima di entrare in merito dell’esposizione che Ricoeur fa, in base al
suo taglio personale, considero opportuno esporre quei significati
convenzionalmente sanciti e cioè quelli contenuti nelle definizioni della
testimonianza, secondo i diversi tipi che essa abbraccia.
In senso soggettivo, la testimonianza indica l’atto di una persona
qualificata (teste), che comunica come vero, senza che tuttavia ne
fornisca l’evidenza intrinseca, qualcosa di cui ha avuto conoscenza
diretta.
In senso oggettivo, la testimonianza indica il testo o il contenuto di tale
comunicazione. Quest’ultimo significato è il più frequente.
Già dalle definizioni si possono dedurre le due dimensioni della
testimonianza (soggettiva e oggettiva). In conformità a queste due
definizioni, che però, come vedremo non esauriscono il senso della
testimonianza, possiamo individuare diversi tipi. La testimonianza,
perciò, può essere umana e/o divina (come nel caso della testimonianza
dell’assoluto); dottrinale (se viene comunicata una dottrina), storica (se
vengono comunicati dei semplici fatti, soprattutto esterni); orale o scritta
(e anche impressa, p. es. una moneta, un monumento, una pittura);
formale (se è fatta intenzionalmente) o materiale (in caso contrario).
P. Ricoeur parte dalla nozione ordinaria (e non assoluta) della
testimonianza, sottoponendola ad un’analisi semantica, con lo scopo di
circoscrivere le condizioni di senso senza le quali non si può parlare di
testimonianza.
La semantica della testimonianza
159
Lungo l’analisi che fa, Ricoeur individua tre significati maggiori della
testimonianza e cioè: il significato quasi empirico, il significato quasi giuridico e
il significato esistenziale o religioso della testimonianza. In tutti e tre i
significati si conservano le condizioni di senso, anche se l’accento si
sposta da un elemento all’altro di significatività. Ora, «queste condizioni
di senso non possono essere abolite, ma devono essere conservate nel
concetto ulteriore di testimonianza assoluta»1.
1.1. Il significato quasi empirico
Il significato quasi empirico della testimonianza è riferito da Ricoeur, o
meglio, «designa», l’azione stessa del testimoniare: ciò che si è visto e
sentito. Non è però da attribuire un significato totalmente empirico a
questa azione di testimoniare, ma uno quasi empirico «perché la
testimonianza non è la percezione stessa ma la relazione, cioè il
racconto, la narrazione degli avvenimenti»2. Si tratta dunque di un
«transfert» perché la testimonianza «traspone le cose viste sul piano
delle cose dette». Le «cose viste» costituiscono quell’avvenimento che
«attraverso la testimonianza, non è solo trasportato da un senso
all’altro, dal vedere all’udire», ma è sottoposto al giudizio in ultima
istanza, riguarda il «senso di ciò che è accaduto»3.
Ci risulta così che per la costituzione di una testimonianza non è
sufficiente la presenza del carattere oculare di essa, o, detto in un altro
modo, la semplice constatazione, «ma anche racconto di un fatto che
serva a provare un’opinione o una verità»4, di modo che la
testimonianza possa essere «invocata come prova di riferimento di un
giudizio che sorpassa la semplice registrazione dei fatti»5.
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 37, a
cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della
testimonianza, in Francesco Franco (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione,
Dehoniane, Roma 1997, p. 76.
2
Ibidem, p. 38; p. 77.
3
Ibidem, p. 38; p. 78.
4
Ibidem.
5
Ibidem, p. 39; p. 78.
1
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1.2. Il significato quasi giuridico
Nel linguaggio corrente la testimonianza possiede dei tratti distintivi
che orientano il suo significato verso un ambito prevalentemente
giuridico. Osserva Ricoeur che «non si chiama testimonianza ogni
rapporto su un fatto, un avvenimento, una persona; l’azione del
testimoniare ha un rapporto intimo con – una istituzione: la giustizia; –
un luogo: il tribunale; – una funzione sociale: l’avvocato, il giudice; –
un’azione: fare causa, cioè essere attore o difensore in un processo»6. La
testimonianza dunque è una delle prove che l’accusa o la difesa
avanzano per cercare di influire sulla sentenza del giudice.
Inoltre, dentro un’azione giuridica, la testimonianza si presenta con
una certa solennità in quanto messa in risalto da uno speciale rito di
giuramento o di promessa che qualifica come testimonianza la
dichiarazione del testimone. Il fatto che il testimone deve essere
ascoltato sotto la fede del giuramento, nonostante il fatto che la sua
testimonianza non sarà considerata se non accostata ad un’altra, in base
al principio: unus testis, nullus testis, è una contraddizione. Infatti, da una
parte non si presta fede al testimone perché la sua testimonianza vale
solo in quanto accostata a delle altre; dall’altra gli viene chiesto
solennemente ad attestare la sua fede per mezzo del giuramento e
qualsiasi spergiuro è passibile di punizione. L’atto del giuramento è
necessario perché l’aspetto oggettivo della testimonianza non prevalga
del tutto su quello soggettivo. Lo stesso nel senso inverso, di modo che
la testimonianza non si riduca solamente all’aspetto soggettivo.
Comunque si può notare una certa ambiguità della nozione di
testimonianza nell’ambito giuridico7.
Tutti questi tratti giuridici «sono suscettibili di una generalizzazione
analogica che contribuisce ad instaurare il significato dei vocaboli
testimone e testimonianza nel linguaggio ordinario»8, perché la situazione di
discorso chiamata processo serve da modello per situazioni meno
codificate dai rituali sociali, ma nelle quali si possono riconoscere i
Ibidem, p. 38; p. 78.
Cfr. ALPHONSE DE WAELHENS , Ambiguïté de la notion de témoignage, in «Archivio di
filosofia», 1-2 (1972) 474-475, a cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova
1972.
8
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 39.
6
7
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161
lineamenti del processo. Ricoeur, passa ad analizzare questi lineamenti
o tratti fondamentali del processo, riducendoli praticamente a tre: l’idea
di controversia e di parte, la nozione di decisione di giustizia e la prova del
dibattito.
a) Idea di controversia e di parte si ritrova laddove c’è contestazione tra
parti. Qui la testimonianza si presenta come una prova pro o contro. La
nozione di controversia e di parte «è generalizzabile in modo eminente»
e concerne sia quelle situazioni che richiedono un giudizio o una
decisione come conclusione (e la maggior parte delle cose umane sono
di quest’ordine), sia la scienza storica. Quest’ultima istanza si riferisce ad
ogni specie di documento (e non solo la relazione personale fatta dai
testimoni oculari) che può acquistare «valore di testimonianza sempre
in riferimento ad un dibattito tra opinioni avverse»9. Si può notare qui
un transfert dal giuridico allo storico, che consiste in «uno scambio tra i
tratti giuridici e i tratti storici della testimonianza»10.
b) Nozione di decisione di giustizia è un secondo tratto fondamentale del
processo che ci permette ancor di più a qualificare la testimonianza.
Questa, per sua essenza è una attestazione (a-testis) che ha in vedere un
atto che decide in favore di…, che condanna o assolve, che imputa o
riconosce un diritto. Dunque, un giudizio legale. A questo punto,
Ricoeur fa un riferimento a Hart che si occupò del carattere
generalizzabile del giudizio legale11. Egli osservò che le enunciazioni
giuridiche possono essere contestate sia attraverso la negazione dei fatti
annessi, sia invocando delle circostanze che affievoliscono, attenuano e
perfino annullano la rivendicazione di un diritto o l’imputazione di un
crimine. La sua tesi, si fonda sul termine ascrizione costruita sul modello
di descrizione, concludendo che le azioni suscettibili di essere ascritte,
sono suscettibili di essere anche annullate, invalidate, abrogate. Per
Ricoeur «questa caratteristica è la pietra di paragone del ragionamento e
del giudizio legale stesso»12.
Ibidem, p. 40.
Ibidem.
11
Cfr. H. L. A. HART, The Ascription of Responsability and Rights, in «Proceedings of the
Aristotelian Society», 49 (1948) 171-194.
12
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 40.
9
10
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«Il vocabolo testimonianza, osserva Ricoeur, è impiegato in modo
significativo tutte le volte che si fa valere la differenza tra discorso
descrittivo e discorso ascrittivo»13. Per comprendere questo occorre
rifarci ad un ulteriore studio di Ricoeur14 che riprende questa intricata
analisi semantica quando riflette, sulla scia di Hart, circa lo statuto
dell’ascrizione in rapporto alla descrizione. Hart, per interpretare le
proposizioni del linguaggio ordinario del tipo: «egli ha fatto questo»,
propone di accostarle alle decisioni giuridiche mediante le quali un
giudice decreta che questo è un contratto valido, che questo è un
omicidio, non un assassinio, ecc. Secondo l’autore, la transizione fra le
proposizioni del linguaggio ordinario, senza colorazione morale o
giuridica, e le decisioni giuridiche, è assicurata da proposizioni dallo
statuto intermediario della forma: questo è mio, vostro, suo, cioè
proposizioni che rivendicano, conferiscono, trasferiscono, riconoscono,
in breve, attribuiscono dei diritti. «Da questo accostamento fra
imputazione e attribuzione di diritti – afferma Ricoeur –, risulta, per
contrasto, la completa cesura fra ascrivere e descrivere»15. Possiamo
così renderci conto, da un punto di vista semantico, quale sia il posto
della testimonianza che «viene sempre a sostegno del buon diritto
di…»16.
c) La testimonianza come prova di argomentazione è un terzo tratto
fondamentale che si iscrive tra dibattimento e giudizio. Come prova di
argomentazione viene considerata da Aristotele stesso nella I parte della
Retorica dedicata alle «prove» (p…steij), cioè ai mezzi di persuasione
impiegati nel genere deliberativo, nel genere giudiziario e nel genere
epidittico (encomi e panegirico). Così la logica della testimonianza è
inquadrata dalla retorica, considerata come «replica» della dialettica, la
cui tecnica è definita dal «persuasivo», mettendo in condizione di
Ibidem.
P. RICOEUR, Soi-même comme un autre, Ed. du Seuil, Paris 1990; tr. it. a cura di Daniela
Iannotta, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993.
15
Ibidem, p. 186.
16
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 40, a
cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della
testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma
1997, p. 80.
13
14
La semantica della testimonianza
163
«persuadere i contrari». Ma, «la retorica non si confonde con la
dialettica; le tecniche di persuasione, in effetti, non si riducono all’arte
della prova; esse tengono conto delle disposizioni dell’uditorio e del
carattere dell’oratore; nello stesso tempo esse mescolano le prove
morali alle prove logiche»17. La retorica «è in vista di un giudizio» (›neka
kr…sewj)18 e «in rapporto ad un ascoltatore» (prÕj tÕn ¢kroat»n)19.
Alla luce di queste considerazioni, la testimonianza «è così
presa nella rete della prova e della persuasione (la radice in greco è
identica: p…stij – pisteÚein) caratteristiche del livello propriamente
retorico del discorso»20. Nonostante questo, Aristotele non dà molto
credito alla testimonianza stessa, mettendola tra le prove «extratecniche» della retorica, per diverse ragioni.
La prima consiste nel fatto che per Aristotele, i testimoni (m£rturej)
non sono tanto quelli che narrano le cose viste, ma sono le autorità
morali (poeti o uomini illustri, maestri di oracoli, autori di proverbi)
assunte come testimoni dell’autore. Vediamo qui come Aristotele
«sposta la credibilità della testimonianza su quella del testimone e rivela
un carattere importante […]: la qualità del testimone, la sua buona fede
a cui non può supplire nessuna logica della testimonianza; ora di ciò
l’oratore […] non è padrone» 21. Salta fuori così, in questo contesto,
l’elemento principale, che conferisce alla testimonianza ogni valore e
cioè, l’autorità, che è quella qualità del testimone che induce a ritenere
vera la sua affermazione; essa è fondata essenzialmente sulla scienza e
veracità, da cui risulta che il testimone né poteva ingannarsi, né voleva
ingannare. Occorre fare attenzione per non confondere l’autorità con
l’autorevolezza. Quest’ultima è solamente una competenza riconosciuta
dall’istanza sociale, mentre l’autorità è qualcosa di più, che io definirei
come: presenza che si impone nonostante tutto22. Ma qui siamo oltre la
Ibidem, p. 41; p. 81.
ARISTOTELE, Retorica, I, 1377 B, 20-22, in Opere, X, Laterza, Bari 1991.
19
Ibidem, III, I, 6.
20
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 41.
21
Ibidem, p. 42.
22
Per vedere la differenza tra autorità ed autorevolezza è sufficiente il testo evangelico
che descrive la differenza di insegnamento esistente tra Gesù e gli scribi: «Ed erano
stupite [le folle] del suo insegnamento perché insegnava loro come uno che ha autorità e
non come gli scribi» (Mc 1, 22), dotati appunto di autorevolezza nelle Scritture.
17
18
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retorica, oltre la dialettica e oltre il significato empirico o giuridico,
indirizzati verso una dimensione esistenziale che vedremo in seguito.
Una seconda ragione per cui la testimonianza viene messa da
Aristotele tra le prove «extra-tecniche» viene dal fatto che la retorica è
regolata su una logica. Ora, dentro una siffatta retorica «la
testimonianza anche concepita come una relazione sui fatti accaduti,
occupa necessariamente un posto inferiore»23. Al primo posto, infatti,
stanno le cose dette e solo al secondo posto stanno le cose da lui viste.
Anche se Aristotele si impegna a collegare quanto più è possibile la
logica della testimonianza alla logica dell’argomentazione, insistendo sui
criteri di verosimiglianza che gli possono essere applicati, le prove
tecniche restano l’asse principale di un trattato dell’argomentazione.
Nella retorica, la testimonianza non sta tra le prove (p…stij) tecniche, ma
tra quelle para-tecniche. Ora, afferma Ricoeur, «l’esteriorità della
testimonianza è ciò che la mantiene tra le prove para-tecniche […]; è
precisamente l’esteriorità della testimonianza che farà problema per
un’ermeneutica»24.
Si può concludere che, in senso giuridico, il termine testimonianza
indica la precisa certificazione dei fatti quale elemento per rendere
possibile il giudizio.
23
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 42, a
cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della
testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma
1997, p. 82.
24
Ibidem, p. 42; pp. 82-83. Questo problema cui allude qui Ricoeur tiene di un’altra
analisi che farà sull’ermeneutica della testimonianza. Da tenere presente che la categoria
dell’«esteriorità» è una delle categorie basilari di una filosofia della testimonianza e che
trova il suo massimo esponente in Lévinas (Cfr. P. RICOEUR, Lectures 3. Aux frontières de
la philosophie, Seuil, Paris 1994, pp. 83-105).
La semantica della testimonianza
165
1.3. Il significato esistenziale della testimonianza (testimonianza come verifica)
I due sensi sui quali ci siamo soffermati (il quasi empirico e il quasi
giuridico) non rendono conto in pienezza del significato ordinario della
parola testimonianza. Essa ha anche una dimensione esistenziale che si
scopre quando l’accento si sposta dalla prova-testimonianza al
testimone e al suo intervento. E qui interviene la problematica del testimone,
soprattutto quando ci si domanda sulla sua identità.
Infatti, presa in senso esistenziale, la testimonianza assume un
carattere di attestazione irriducibile a qualsiasi procedimento oggettivo,
in quanto fondata su degli elementi squisitamente personali del
testimone che, vivendo ciò che crede, impegna totalmente o mette in
gioco se stesso e paga di persona (p. es., la fede del «martire» è «teste»
qualificato). In questa prospettiva, il testimone non è solo colui che
enuncia la testimonianza, ma è soprattutto colui che si identifica con
una giusta causa, mettendo a repentaglio la sua propria vita. La
testimonianza stessa prende dei connotati nuovi perché «questo
impegno, questo rischio assunto dal testimone, si riflette sulla
testimonianza stessa che, a sua volta, significa altro che una semplice
narrazione di cose viste; la testimonianza è anche impegno di un cuore
puro sino alla morte. Appartiene al destino tragico della verità»25.
Il testimone diventa martire (m£rtuj), mettendo così in evidenza che
c’è uno stretto legame tra il testimone e il martire. Ricoeur avverte sul
rischio a cui potrebbe portare questo nesso tra il testimone e il martire,
perché «una causa che ha dei martiri non è necessariamente una causa
giusta»26, e dunque, una testimonianza. Bisogna perciò chiarire il
significato del «martire», che «non è un argomento, ancor meno una
prova (preuve). È una verifica (épreuve), una situazione limite. Un uomo
diventa martire perché prima di tutto è un testimone»27. La verifica della
convinzione è diventata prezzo della vita.
25
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 43, a
cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della
testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma
1997, p. 84.
26
Ibidem, p. 43; pp. 83-84.
27
Ibidem.
166
Victor-Emilian Dumitrescu
La verità non testimonia qui la certificazione dei fatti e non è il
risultato di un giudizio concluso con rigore logico; non testimonia
sull’esteriorità. La testimonianza che «riceve dai confini della morte ciò
che si potrebbe chiamare la sua interiorità […], è l’azione stessa in
quanto attesta nell’esteriorità l’uomo interiore stesso, la sua convinzione
e la sua fede»28. La dimensione esistenziale che rivela il significato
religioso della testimonianza implica un passaggio: «dalla testimonianza
intesa nel senso del rapporto sui dei fatti, si passa, attraverso passaggi
codificati, all’attestazione mediante l’azione e la morte»29. Nonostante il
fatto che il senso della testimonianza sembri invertito, tuttavia non c’è
rottura di senso. Ciò lo si vedrà meglio nell’analisi semantica operata da
Ricoeur negli scritti della Bibbia. La chiave dell’interpretazione è
l’impegno del testimone nella testimonianza, intorno al quale ruota l’insieme
dei significati.
2. Le dimensioni profetica e kerygmatica
del senso religioso della testimonianza
Parlando del senso religioso e delle dimensioni profetica e
kerygmatica della testimonianza significa superare la filosofia ed aprirsi
ad una novita’ che, nel complesso semantico della nozione che stiamo
affrontando, non può essere spiegata a partire solamente dall’uso
profano della parola. Occorre perciò calarsi nell’ambito dei testi sacri
per analizzare la semantica della radice m£rtuj. Ora, addentrarsi in degli
argomenti di natura religiosa e teologica può suscitare qualche sospetto,
dato il contesto filosofico in cui ci troviamo e nel quale vogliamo
rimanere. Ma un’esauriente analisi semantica non può far a meno dei
testi sacri e dei significati anche teologici che ne derivano. La parola
singola considerata in sé ed isolata dal suo contesto ha un certo
significato lessicale, ma fortemente indeterminato e potenziale.
L’espressione linguistica è significativa soltanto dentro un contesto
concreto e appartenente ad una lingua e ad un modo di parlare (gioco
linguistico).
28
29
Ibidem, p. 43; pp. 84-85.
Ibidem.
La semantica della testimonianza
167
Per quanto riguarda la testimonianza, nel caso della scrittura, ci
troviamo ad una situazione di significazione nuova, perché la categoria
della relazione che abbiamo assunto come metodo, si configura
diversamente circa il rapporto tra testimone e destinatario. «La scrittura è
la parola depositata in testimonianze. Essa perciò ha un senso (capacità
di svolgere la funzione di trasmettere un significato) primariamente in
quelle forme del discorso che sono oggettivamente determinate in
ordine al deposito e presuppongono formalmente quelle situazioni
linguistiche in cui l’ascoltante e destinatario della cosa detta non
coincidono»30. Non è dunque indifferente l’analisi semantica che
Ricoeur fa nell’ambito della Scrittura, tenendo conto del fatto che
«qualora la parola, depositata nella scrittura, venga avulsa della sua
situazione linguistica originale, c’è da supporre un cambiamento di
senso, c’è da temere una perdita di senso»31.
2.1. Analisi semantica della testimonianza nella Sacra Scrittura
Con il senso religioso della testimonianza ci troviamo di fronte ad
uno «slittamento semantico». Anche se questa nuova dimensione non si
può spiegare a partire dall’uso profano del termine, il senso profano
non viene abolito, anzi è «conservato ed anche esaltato». «Dirò dunque
insieme dell’irruzione del senso nuovo e della conservazione dell’antico
nel nuovo»32.
La ricerca di Ricoeur sulla semantica delle parole della radice m£rtuj
ha come oggetto di analisi la categoria degli scritti profetici e quella
degli scritti neotestamentari.
R. SCHAEFFLER, Senso, in H. KRINGS (a cura di), Handbuch philosophischer Grundbegriffe,
III, München 1974; trad. it. a cura di Giorgio Penzo, Concetti fondamentali di filosofia, III,
Queriniana, Brescia 1982, p. 1915.
31
Ibidem.
32
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 44, a
cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972; tr. it. L’ermeneutica della
testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma
1997, p. 85.
30
168
Victor-Emilian Dumitrescu
2.1.1. Il senso profetico della testimonianza
Come testo per l’analisi semantica, Ricoeur prende Is 44, 8-1333 in cui
si troverebbero sia gli aspetti vecchi che quelli nuovi del significato del
termine m£rtuj.
Dal testo risulta che l’irruzione del senso è quadruplice:
– Il testimone non è chiunque si fa avanti e depone, ma colui che è
inviato per testimoniare. «La testimonianza per sua origine viene da
altro»34.
– Il testimone testimonia sul senso radicale e globale dell’esperienza
umana e non su dei fatti contingenti; la testimonianza è resa da Jahvé
stesso.
– «La testimonianza è orientata verso la proclamazione, la
divulgazione, la propagazione»35; la testimonianza di uno è a favore di
tutti.
– Questa professione implica un impegno totale nei fatti più che in
parole, sino al sacrificio supremo della vita.
Questa quadruplicità del senso della testimonianza in questo scritto
profetico, ci permette di individuare un significato nuovo che lo separa
da tutti i suoi usi nel linguaggio ordinario, perché «la testimonianza non
appartiene al testimone. Essa procede da una iniziativa assoluta, quanto
alla sua origine e al suo contenuto»36.
A questo livello ci si configurano due relazioni alle quali accennavo
nell’introduzione di questo lavoro e cioè, la relazione tra il testimone e
l’«assoluto» (o l’«altro») e la relazione tra il testimone e la testimonianza
33
«Fa’ uscire il popolo cieco, ma che ha gli occhi, e i sordi che pure hanno le
orecchie. Tutte le nazioni si radunino insieme e si raccolgano i popoli. Chi tra essi ha
potuto annunciare questo e ci ha fatto intendere il passato? Presentino i loro testimoni
per essere giustificati, perché si ascolti si dica: “È vero”. Voi siete i miei testimoni,
oracolo del Signore, voi siete i miei servi, che ho eletto, perché sappiate, crediate in me
e comprendiate che sono io. Prima di me non fu fatto alcun dio e dopo di me non vi
sarà alcuno. Io, io sono il Signore e all’infuori di me non c’è alcun salvatore! Io ho
annunciato, salvato e proclamato, non un dio straniero tra voi! Voi siete i miei
testimoni, oracolo del Signore, ed io sono Dio, dall’eternità sempre lo stesso. Nessuno
può liberare dalla mia mano: agisco e chi lo può cambiare?»
34
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, p. 44.
35
Ibidem.
36
Ibidem.
La semantica della testimonianza
169
che deve dare, che non ha l’origine nel testimone ma viene da un
“altro”, e il cui valore a volte supera quello della vita stessa del
testimone e che viene sacrificata.
Come osservava anche Ricoeur, né il senso profano (evidente nel
tema dell’impegno), né il senso giuridico (il tema del processo), e né
l’aspetto quasi empirico (c’è il racconto delle cose viste), vengono
aboliti. Ora, «questa ripresa del tema del processo all’interno del tema
della confessione-professione è, ai miei occhi, la nota maggiore del
concetto profetico di testimonianza»37.
Abbiamo, dunque, sia la congiunzione del momento profetico con
quello giuridico, e sia la congiunzione del momento profetico con
quello storico. Infatti, «là dove una „storia“ di liberazione può essere
raccontata, un „senso“ profetico può essere non solamente confessato,
ma attestato. Non si può testimoniare per un senso, senza testimoniare
che qualcosa è accaduto che significhi questo senso»38.
2.1.2. Il senso neotestamentario del testimone e della testimonianza
Il senso neotestamentario del testimone e della testimonianza contiene
tutta la tensione del senso profetico, ma è arricchito anche con dei tratti
innovativi. Questi tratti innovativi segnano il passaggio dal discorso
profetico al discorso evangelico. Il centro intorno al quale gravita tutto
è il nucleo «confessionale» della testimonianza, anzi «la confessione che
„Gesù è il Cristo“ costituisce la testimonianza per eccellenza» 39. Ma
anche qui il testimone è inviato e la sua testimonianza non gli
appartiene (cfr. Atti 1, 7-8), non è solo sua.
La testimonianza, nel suo nucleo di senso, è confessionale, ma essa
non può essere ridotta a semplice confessione di fede perché «tutti i
tratti del senso ordinario sono ripresi, assunti e trasformati, al contatto
Ibidem, p. 45.
P. RICOEUR, L’ermeneutica della testimonianza, in F. FRANCO (a cura di), Testimonianza,
parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, p. 88: «La congiunzione del momento
profetico: „Io sono Jahvé“, e del momento storico: „Io sono il Signore, tuo Dio, che ti
ho fatto uscire dalla terra dell’Egitto, da una casa di schiavitù“ (Es 20, 2)».
39
Ibidem.
37
38
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con questo nucleo „confessante“»40. Questo aspetto si può osservare
nei diversi scritti neotestamentari. La chiave di lettura di questa analisi
neotestamentaria è l’integrazione del vecchio nel nuovo, l’integrazione
dell’aspetto ordinario: empirico e giuridico, nell’aspetto religioso:
profetico e kerygmatico.
a) Il senso ordinario di testimonianza come racconto di cose viste o sentite.
L’intenzione di «ricucire la testimonianza-confessione alla
testimonianza-narrazione» è operata in modo diverso dai quattro
evangelisti, avendo agli estremi da una parte Luca e dall’altra Giovanni.
In Luca, l’essere testimone di cose viste e sentite comprende:
l’insegnamento, i miracoli, la passione e la risurrezione di Gesù. Un
interrogativo si impone a questo livello: Si è testimoni del fatto
accaduto o del senso di quel fatto? Ora, il fatto è inseparabile dal suo
senso, ma il senso se è iscritto nella storia, è avvenuto, è accaduto. Di
questo ci si rende testimonianza, una testimonianza che è narrazione e
confessione insieme.
Questa dialettica del senso e del fatto, della confessione e della
narrazione, in Luca, si gioca principalmente sulla confessione essenziale
della risurrezione (il ruolo decisivo delle «apparizioni»), prolungamento
della manifestazione al di là della morte. «Il momento di immediatezza
della manifestazione è essenziale per la costituzione della testimonianza
come testimonianza»41.
L’integrazione del fatto e del senso, della narrazione e della
confessione è da riscontrare anche nella predicazione dell’apostolo
Paolo (cfr. Atti 13, 30-31), testimone oculare del Risorto grazie ad una
estensione della nozione di apparizione, ma sempre in linea con coloro
che testimoniano su ciò che «le nostre mani hanno toccato…» (cfr. 1
Gv 1, 1 ). Tutto questo dimostra che «tra le testimonianze oculari della
vita di Gesù e l’incontro col Risorto, il cristianesimo primitivo non ha
mai percepito differenze fondamentali. […] È per una mentalità
moderna, formata dalla critica storica, che la compagna di Gesù e
l’incontro col Risorto sono cose distinte. L’unità profonda tra
testimone dei fatti, degli eventi e testimone del senso, della verità, ha
40
P. RICOEUR, L’herméneutique du témoignage, in «Archivio di filosofia» 1-2 (1972) 46, a
cura di E. Castelli, La testimonianza, CEDAM, Padova 1972;
41
Ibidem, p. 47.
La semantica della testimonianza
171
potuto così essere protetta per un certo tempo»42. Paolo, a differenza di
Luca, non predica le apparizioni ma il “Cristo crocefisso”, di cui egli
non è stato testimone oculare. Ma egli ha visto la croce di Cristo nel
martirio (testimonianza) di Stefano. Anche questo è un accostamento
tra un fatto (il martirio di Stefano) e il senso (il Cristo crocefisso). A
mio parere, la stessa dinamica della testimonianza si conserva e si
perpetua in seguito tramite i testimoni di Lui. Ricoeur però intravede da
questo momento in poi una svolta: «i testimoni della Risurrezione
saranno sempre meno dei testimoni oculari, nella misura in cui la fede si
trasmetterà nell’ascolto della predicazione; la „voce“ fa fatica a rinviare
alla „vista“; ora la fede viene dall’ascolto»43.
In Giovanni il quadro narrativo del Vangelo è conservato, ma si può
notare la presenza di una certa oscillazione dell’equilibrio dal polo della
narrazione al polo della confessione. Giudicando in base alle
occorrenze delle parole m£rtuj e martur…a, Giovanni è l’araldo per
eccellenza della testimonianza. Ricoeur nota qui uno slittamento di
significato della parola testimonianza, dovuto ad un nuovo significato
congiunto alla definizione del testimone. La testimonianza «non è prima
di tutto ciò che l’uomo fa quando rende testimonianza, ma ciò che fa il
Figlio manifestando il Padre […], „testimonianza (martur…a) di Gesù
Cristo“ come sinonimo di „rivelazione (¢pok£luyij) di Gesù Cristo“. Ed
ecco qui lo slittamento «dalla confessione-narrazione verso la
manifestazione stessa alla quale si rende testimonianza», di modo che
«l’esegesi di Dio e la testimonianza del Figlio sono la stessa cosa»44.
Compare in Giovanni un altro discepolo-testimone, ma in un senso
meno storico e più teologico di «testimone della luce» (cfr. Gv 1, 7), cioè
Giovanni Battista. Ma la sua testimonianza non manca di carattere
oculare («E io l’ho visto e ho testimoniato che lui è il Figlio di Dio: 1,
34) e ciò che ha visto è stato un segno (lo Spirito discendente come
colomba) il cui senso gli è stato indicato da una parola interiore (cfr. Gv
1, 33).
Ibidem, pp. 47-48.
Ibidem, p. 48.
44
Ibidem.
42
43
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Victor-Emilian Dumitrescu
Ecco dunque come «la nozione di testimone oculare è così
profondamente rivoluzionata dal duplice tema di Cristo, testimone
fedele, e della testimonianza, testimonianza alla luce»45.
Possiamo dire che c’è uno scarto tra la testimonianza in senso
giovanneo e la testimonianza nel senso di Luca. Secondo l’adagio
ebraico sono richieste due testimonianze. La duplice testimonianza in
Giovanni è costituita: primo, da quella che Cristo si rende da sé (cfr.
Gv 8, 14); secondo: quella di Dio stesso (cfr. Gv 5, 36-37).
Giovanni va così fino in fondo e noi assistiamo ad una
interiorizzazione quasi completa della testimonianza (cfr. 1 Gv 5, 9-10:
«Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé»). «Questa
testimonianza che il testimone ha in se stesso, non è altro se non la
testimonianza dello Spirito Santo, nozione che denota il punto estremo
d’interiorizzazione della testimonianza» (Gv 15, 26-27)46.
La testimonianza così interiorizzata non perde però il riferimento alla
testimonianza oculare. Infatti, la nozione di opere denota
l’esteriorizzazione della testimonianza (cfr. Gv 10, 25; 10, 37-38).
«Questa martur…a tîn œrgwn, dalla parte del Cristo, fa sì che la
testimonianza che gli è resa non è la testimonianza a un’idea, a un logos
intemporale, ma ad una persona incarnata. […]. La testimonianzaconfessione non potrebbe staccarsi dalla testimonianza-narrazione,
pena la trasformazione in gnosi»47. Perciò, l’aver visto e testimoniare
devono essere strettamente associati. Luca e Giovanni, per quanto si
differenzino, si ritrovano in questo punto.
b) Il senso ordinario di testimonianza come elemento di prova in un processo.
Secondo Ricoeur, questo aspetto del significato presente in Giovanni,
«da una parte, assicura il ricupero del senso profano nel senso religioso,
ma, dall’altra, imprime anche la sua particolare sfumatura al concetto
teologico di testimonianza»48. Il rapporto tra testimonianza e processo
può essere visto non solo nel processo intentato a Gesù (con l’accusa di
falsa testimonianza e l’uso di falsi testimoni), ma «tutto il ministero di
Gesù è un processo». La testimonianza si proietta così sull’orizzonte del
Ibidem, p. 49.
Ibidem.
47
Ibidem, p. 50.
48
Ibidem.
45
46
La semantica della testimonianza
173
«grande processo». «È nel quadro di una contestazione del diritto che la
prima testimonianza, la martur…a del Figlio, acquista valore di
attestazione. Fin dal Prologo (di Gv), questa opposizione drammatica
tra contestare e attestare è messa al centro»49.
Nell’orizzonte di questa contestazione, di questo grande processo, il
testimone è per eccellenza un inviato, cioè è come colui che lo invia,
possedendo «l’autorità di un plenipotenziario». Questo testimone è
Cristo «perché egli suscita la „crisi“, il giudizio delle opere del mondo.
[…] La funzione del testimone si innalza qui al livello del Giudice della
Fine. […] Per il Cristo, essere testimone significa congiungere i due
ruoli di accusato terrestre e di giudice celeste; è anche essere re secondo
la confessione davanti a Pilato»50.
Questo rapporto tra testimonianza e processo può essere visto anche
nella testimonianza resa dagli apostoli, grazie alla testimonianza
interiore dello Spirito che loro hanno ricevuto e che «prende tutto il suo
significato nella contestazione tra Cristo e il mondo che prosegue
davanti al tribunale della storia»51.
Inoltre, ci si rende anche conto che la testimonianza al livello umano,
è duplice: «c’è la testimonianza interiore, il sigillo della convinzione; ma
c’è anche la testimonianza delle opere, cioè, sul modello della passione
di Cristo, la testimonianza della sofferenza (cfr. Ap 1, 11). Nella
prospettiva del processo, dunque, il martire designa ancora il sigillo
supremo della testimonianza»52.
A conclusione di questa analisi semantica, si può affermare che la
testimonianza, interpretata in termini puramente mistici, si riduce alla
confessione della verità; interpretata invece in termini giuridici è
l’attestazione che rende vincenti sulla contestazione. I due momenti che
sembravano dissociarsi: la testimonianza come confessione (di fede) e la
testimonianza come narrazione (di fatti), sono tenuti insieme dal
momento giuridico.
Ibidem, p. 51.
Ibidem.
51
Ibidem, p. 52.
52
Ibidem.
49
50
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