Italian Jews, political discourse and National experience in Eretz Israel before 1948 La ricerca; i quesiti; risultati raggiunti e attesi Il progetto è uno studio sulla riflessione e sulla prassi della questione nazionale ebraica di quel segmento dell'ebraismo italiano che tra i tardi anni Venti (1927), fino al 1948, scelse la strada dell'emigrazione in Palestina. Il tema dell'elaborazione dell'identità nazionale nel mondo ebraico italiano è stato ampiamente approfondito da differenti prospettive, ritengo, tuttavia, che scarsa attenzione sia stata riservata a coloro che scelsero la strada dell''alyià1 come soluzione identitaria nazionale, problematizzando pertanto la categoria di "nazione" (Umà) non solo semplicemente da un punto di vista di collocazione "geografica" ma anche, e fondamentalmente, da un punto di vista ideologico. Forse tutto ciò è anche legato al fatto che l'ebraismo italiano non fosse "Palestine oriented", oltre che alla sua limitata consistenza numerica? Si può correttamente obiettare, infatti, che la ridotta attenzione rivolta a questo settore dell'ebraismo italiano sia del tutto concorde alla sua scarsa rilevanza quantitativa 2, ciononostante credo si tratti di un orizzonte interessante sia per i quesiti di natura storica che solleva, sia per le diverse metodologie d'indagine a cui si presta. Da un lato, infatti, studiare il concetto di nazione così come concepito dalla prima generazione di emigrati italiani in Eretz Israel significa ricercare comunanze e peculiarità di quel discorso rispetto a quello prodotto dai correligionari rimasti in Italia, cogliendo la suggestione avanzata, per esempio, da Gelber, secondo la quale lo Yishuv3 in Palestina adottò «national characteristics» differenti rispetto a quelle del sionismo della diaspora4. Significa ragionare sulla portata dello iato ideologico prodottosi nel 1938 e valutare l'equilibrio che dominò la semantizzazione di quel concetto, individuando i meccanismi di negoziazione dei paradigmi teorici ed esperienziali 1 Emigrazione 2 Per il decennio 1935-1945 le stime indicano 1154 cittadini italiani e 1985 persone provenienti dall'Italia (S. Della Pergola, A. Tagliacozzo, Gli italiani in Israele, Milano, FSI, 1978, p. 24). 3 Insediamento ebraico in Eretz Israel 4 Y. Gelber, Nation and History. Israeli Historiography between Zionism and post-Zionism, LondonPortland, Valentine Mitchell, 2011, p. 142. italiani con quelli peculiarmente ebraici e sionisti, domandandosi entro quali termini il discorso sulla "nazione ebraica" si sia configurato anche come discorso sull'Italia. Selezionare come campo d'indagine quella frangia che spinse la propria riflessione a un punto di profondità tale da tramutarla in una scelta di vita concreta, inoltre, permette di declinare il discorso anche sul piano della prassi della nazione; di stimare il valore epistemologico dell'esperienza e, al netto dell'indubbio compromesso imposto dalle necessità ambientali e sociali locali, considerare in che modo e fino a che punto la pratica e i modelli di insediamento in Palestina abbiano corrisposto alla concretizzazione dell'idea di nazione. Ho deciso innanzitutto di concentrarmi su due esponenti del sionismo italiano, Enzo Sereni5 e Alfonso Pacifici6, che rivestirono un ruolo centrale dal punto di vista ideologico e pragmatico: essi furono teorici di riferimento del movimento sionista tra gli anni Venti e Quaranta e anche suoi pionieri, dal momento che, rispettivamente nel 1927 e nel 1934, optarono per l'emigrazione in Palestina. Per tali ragioni, la loro eredità intellettuale da un lato e il modello insediativo prescelto dall'altro funsero da matrici di riferimento costanti per gli olim italkim7 fino al 1948. Così si spiega anche la periodizzazione, che circoscrive una generazione di emigranti, la prima, che connotò la propria scelta in ottica fortemente e completamente utopico-ideologica8. Dopo il 1948 la natura del fenomeno mutò: la spinta ideologica permase, ma ne scolorì la carica pionieristica originaria, tanto più a seguito dell'istituzionalizzazione sopraggiunta con la fondazione dello Stato e l'emanazione della Legge del Ritorno nel 1953. Anche l'eco delle formulazioni dei capostipiti perse mordente ed entrambi, seppur per vie differenti, giunsero a una sostanziale revisione dell'interpretazione originaria del sionismo, e in questo senso il decremento nel ricorso all'opzione kibutzistica che si registrò tra gli italkim9 a partire dagli anni Cinquanta mi sembra un fattore indicativo10. Va aggiunto inoltre che Sereni morì nel 1944 a Dachau prima di poter assistere al compimento del 5 Si vedano le biografie di C. Urquhart, Enzo Sereni. A Hero of our Times, London, Hale, 1967; R. Bondy, The emissary. A life of Enzo Sereni, London, Robson Books, 1978. 6 Si veda il profilo in M. Molinari, Ebrei in Italia. Un problema di identità (1870-1938), Firenze, Giuntina, 1998, p. 47 ssg. 7 Emigrati italiani 8 M. Simoni, Gli ebrei e lo Stato di Israele. Appunti per un ritratto di due generazioni, in A. Marzano, M. Simoni (a c. di), Roma e Gerusalemme. Israele nella vita politica e culturale italiana (1949-2009), Genova, ECIG, 2010, pp. 47-73. 9 Italiani 10 Si vedano i dati in Della Pergola, Tagliacozzo, Gli italiani in Israele, cit., p. 58. progetto sionista, mentre Pacifici, dopo la fondazione dello Stato, portò il proprio pensiero di ortodosso a un estremismo tale da abbracciare l'antisionismo dei Neturei Karta. Gli itinerari teoretici di Sereni e Pacifici furono senza dubbio diversi, ricorrendo il primo alla tradizione del sionismo socialista del lavoro di Gordon, Borochov e Beilinson e il secondo al sionismo cultural-religioso mittleuropeo11. L'approfondimento delle elaborazioni, in special modo di quella di Alfonso Pacifici, lasciata maggiormente in ombra dalla storiografia12 rispetto a quella del sionista romano, suggerisce una modulazione parzialmente differente della comparazione, orientata ad attestare, oltre la distonia, anche i punti di contatto esistenti. La complementarietà emerge da diverse prospettive, al di là di quella palese della convergenza nella scelta di ‘alyià: ritengo che per entrambi si possa parlare di un pensiero nazionale "integrale", sia perché ebbe la carica di trasformarsi da sistema concettuale a esperienza pratica, sia perché finalizzato, al di là della territorializzazione di un modello, alla trasformazione culturale, sociale e politica dell'ebraismo. Tale comunanza si motiva, peraltro, alla luce di un percorso condiviso alle origini, come dimostrano il plauso di Pacifici all'iniziativa del gruppo "Avodà" animato a Roma da Sereni13 e la sua memoria che, ancora nel 1970, non dimenticò come: «Enzo Sereni [che] era stato in un certo momento della sua giovanissima vita il più vicino a quell'idea di Eretz Israel, il primo tra noi che venne qui in Eretz Israel e che per primo entrò in kibbutz dando molto di sé alla sua fondazione»14. Altra comunanza è il radicamento del discorso sulla nazione ebraica in un contesto italiano, sia perché costanti furono i richiami al sostrato intellettuale italiano, sia perché la riflessione sorse in coincidenza di una temperie fortemente permeata dal dibattito sulla "nazione" come quella degli anni Dieci e Venti del Novecento, di per sé fervida per l'universo ebraico dopo la Dichiarazione Balfour. La duplice ascendenza della concezione, del resto, rifrange lo sviluppo storico dell'identità dell'ebraismo 11 D. J. Goldberg, To the Promised Land. A history of Zionist Thought from its Origins to the Modern State of Israel, London, Penguin, 1996. 12 Eccetto D. Bidussa, Tra avanguardia e rivolta. Il sionismo italiano nel primo quarto del Novecento, in Id., Luzzatto G., Luzzatto Voghera G., Oltre il ghetto. Momenti e figure della cultura ebraica in Italia tra l'Unità e il fascismo, Brescia, Morcelliana, 1992, pp. 195-213. 13 Central Archives for the History of Jewish Peopole [CAHJP], P 172/59, Alfonso Pacifici a Moshe Beilinson, 24 gennaio 1922. 14 Pacifici A., Risposta a P. S. Bassi, Lettera a Pacifici. Libro lettera di Shaul Bassi, Gerusalemme, Taoz, 1970, p. 141. italiano: un'identità dicotomica, e internamente pressoché non antinomica, di ebrei e di italiani. L'idea di nazione di Enzo Sereni15 si dipana in una molteplicità di scritti risalenti al periodo tra i tardi anni Dieci e gli anni Quaranta, e si compendia nello studio Le origini del fascismo16, elaborato tra il 1939 e il 1940. Il titolo in sé e l'analisi riflettono quella "genesi italiana" a cui si alludeva precedentemente, trattandosi di una "retrospettiva diagnostica" sulla storia italiana dal Risorgimento alla marcia su Roma alla ricerca degli errori politici che condussero all'instaurazione del fascismo. In altre parole, un flashback sul passato nazionale italiano che, se letto in ottica speculare, ribaltata, avrebbe dischiuso - e dischiude in sede di analisi - il flashforward sul futuro possibile della nazione ebraica. Sereni individuò nel proletariato l'attore della missione nazionale e, à la Sorel, concepì la "nazione" come mito, come sistema di immagini capace di mobilitare una comunità prima ancora che un'impresa affidata all'entità istituzionale statale. Nella sua impalcatura teoretica, infatti, si possono distinguere tre diverse dimensioni costruttive paligenetiche connesse alla realizzazione della nazione, che fecero dell'esperienza insediativa una vera e propria Bildung: la dimensione culturale personale; la dimensione sociale di popolo e la dimensione pacifista universale. La realizzazione della nazione attraverso la scelta di emigrazione avrebbe innanzitutto determinato una ripresa di consapevolezza culturale, in primis linguistica 17, da parte degli ebrei. Da idioma di cultura e religione nella diaspora, l'ebraico si sarebbe trasformato in Eretz Israel, attraverso un uso quotidiano e laico, nella lingua madre delle generazioni successive di sabres (nativi), caratterizzando così gli ebrei come nazione territorializzata, e in questa stretta connessione tra questione linguistica e definizione dell'identità nazionale echeggia fortemente l'ascendente gramsciano. 15 Ho considerato le riflessioni di D. Bidussa, Radicalità e politica. Su Enzo Sereni, in E. Sereni, Le origini del fascismo, a cura di Y. Viterbo, Firenze, La Nuova Italia, 1998. Id, La nostalgia del futuro, premessa a E. Sereni, E. Sereni, Politica e utopia. Lettere 1926-1943, Firenze, La Nuova Italia, 2000. V. Pinto, Ebraismo inter homine o in interiore judaeo? Educazione e politica nel socialismo nazionale di Enzo Sereni, "Studi Storici", aprile-giugno 2009, pp. 459-79; A. Confino, Enzo ed Emilio Sereni fra sionismo e comunismo. Il cammino della storia, in A. Alinovi, Emilio Sereni. Ritrovare la memoria, Napoli, Guida, 2010, pp. 199-219. Si veda anche D. Carpi, A. Milano, U. Nahon, Scritti in memoria di Enzo Sereni. Saggi sull'ebraismo romano, Gerusalemme, Fondazione Sally Mayer, 1970; U. Nahon (a c. di), "Per non morire". Enzo Sereni: vita, scritti, testimonianze, Milano, FSI, 1973. 16 E. Sereni, Le origini del fascismo, a cura di Y. Viterbo, Firenze, La Nuova Italia, 1998. 17 E. Sereni, Jiddish e ebraico, "Israel", 16 luglio 1925, p. 29. La prassi insediativa palestinese avrebbe determinato anche un cambiamento nella struttura sociale dominante dell'ebraismo, trasformando il proletariato, che nella diaspora aveva rappresentato un ristretto apice, nella base del nuovo ordinamento associativo. Sarebbe sorta così una nazione non nazionalista; democratica; esperimento tutto in fieri di socialismo nazionale concretizzantesi nel modello cooperativo18. L'idea di inclusione veicolata da tale modello nazionale rimanda alla valenza pacifista universale connessa al compimento della nazione ebraica in Eretz Israel, che il sionista romano affrontò dalla prospettiva dei rapporti tra popolazione ebraica e popolazione araba in Palestina. Abbracciando la posizione del movimento pacifista di Brit Shalom, Sereni sostenne che la sola concretizzazione del disegno nazionale ebraico fosse quella di uno stato bi-nazionale, fondato su basi di «cooperazione e non di sofferenza di due popoli»19 e sul riconoscimento del diritto nazionale arabo. Lungi dall'essere questione di pura sovranità territoriale, l'insediamento diventava questione di maturazione delle fondamenta per una società universale democratica, e non a caso la base essenziale per la collaborazione con l'elemento arabo fu individuata nel presupposto assolutamente politico, e non culturale, del mutamento delle forme di proprietà agraria, che avrebbe conferito autonomia economica e sociale a entrambe le parti20. L'opzione nazionale di Sereni si concretizzò nel 1928 nella partecipazione alla fondazione del kibbutz di Givat Brenner, collocato nella rete del movimento laburista del Kibutz HaMeuchad, che per una parte cospicua degli olim rappresentò il primo punto di riferimento una volta sbarcati in Eretz Israel. Dall'altra parte la concezione di Alfonso Pacifici 21, assolutamente religiosa e attraversata da una tensione spirituale ma che, sottoposta ad un'analisi più profonda, mi pare sveli una carica fattiva assai forte in grado di qualificarla in maniera più articolata e complessa rispetto a quanto fatto fino ad ora. La "forma" parrebbe costituire un limite alla veridicità dell'ipotesi, visto che per la maggior parte si tratta di opere di riflessione 18 CAHJP, P 145/14, appunti di Sereni dell'11 ottobre 1940. 19 P 172/64, Lo Stato ebraico, manoscritto s.d ma 1925. 20 E. Sereni, Towards a new orientation of Zionist Politics, in Id., E. Ashery, Jews and Arabs in Palestine. Studies in a National and Colonial Problem, New York, Hechalutz Press, 1936, pp. 261-303. 21 Si veda il profilo di B. Di Porto in "Hazman Veharaion", XXV (2007), n. 24, p. 3 (gentilmente suggeritomi dal prof. Alexander Roifer) e A. Roifer, Diversità ideologiche nel sionismo italiano: Cassuto, Pacifici, Artom, Sciacky, in "Hazman Veharaion", XX (2012), n. 1-2, p. 4; A. Piattelli, Alfonso Pacifici e il giornale "Israel" edizione di Gerusalemme (1935-1941), "Segulat Israel", 9 (2012), pp. 73-92. religiosa. Tuttavia il valore concreto, politico, si staglia fortemente tra le righe, e grazie all'apporto della documentazione personale anche le "radici italiane" del discorso emergono con chiarezza. Alcuni dei contributi fondamentali di Pacifici videro la luce tra il 1911 e il 1916 22, pertanto nel periodo tra la partecipazione dell'Italia alla campagna di Libia e l'ingresso nel primo conflitto mondiale, un contesto pregno della retorica di "nazione" che incise, secondo un meccanismo di scostamento, sulla sua elaborazione. Opponendosi evidentemente alla contestuale fenomenologia nazionale italiana, all'«esercito che con la sua disciplina è la larva meglio riuscita di un sistema di vita che lo Stato sa offrire» 23, Pacifici stabilì di non associare a Israele gli appellativi, e pertanto neanche le concezioni, di "nazione" e "Stato", bensì quello religioso di Mamlechet HaCohanim ve Goy Kadosh, vale a dire di "reame di sacerdoti e nazione santa"24. Una genesi più fortemente italiana e una risposta altrettanto marcata in senso religioso ebbe la serie di articoli sullo Shemà pubblicata sul settimanale "Israel"25: «nel 1929 scrissi gli articoli sullo Shemà per coprire la merce con qualcosa di apparentemente inattuale ma con la testata di Mamlechet HaCohanim ve Goi Kadosh che era destinata direttamente a Mussolini come risposta alla sua stupida insolenza a noi venditori di cose vecchie il giorno del Ratto delle Sabine, nel discorso al Senato contro il Papa»26. La formale equiparazione dell'identità nazionale italiana con il cattolicesimo dopo il 1929 accentuò l'indirizzo religioso e tradizionalista del sionista fiorentino: contro ogni sconfinamento, e tentativo di fagocitazione, della "nazione" a scapito della sfera del sacro, Pacifici ribadì la propria proposta nazionale in termini religiosi. Differentemente dall'Italia, nazione e comunità religiosa, nell'ebraismo, coincidevano autenticamente, in ragione della tradizione, e non per concessione della prima nei confronti della seconda. La formulazione religiosa non cristallizzò la proposta: il compimento della missione nazionale coincise senza dubbio, e in prima istanza, con il recupero della 22 Israele l'Unico. Ricerca di una definizione integrale dell'ebraismo, Firenze, Franceschini,1912; La questione nazionale ebraica e la guerra europea, Firenze, Collini e Cencetti, 1917; La Nostra Sintesi. Programma. Contributo alla storia del movimento di rinascita spirituale in Italia nei primi decenni del Novecento, Gerusalemme, Taoz, 1955 (pubblicazione postuma; la genesi è del 1911), Interludio. Cinquant'anni attorno a un'idea, Gerusalemme, Taoz, 1959. 23 A. Pacifici, La Nostra Sintesi, originale dattiloscritto in CAHJP, P140 A, p. 60. 24 L'affermazione ricorre in molti punti; si veda per esempio ivi, p. 5. 25 Raccolti in A. Pacifici, Discorsi sullo Shemà, Gerusalemme, Taoz, 1953. 26 CAHJP, P172/78, Alfonso Pacifici a Yoseph Colombo, 11 gennaio 1968. consapevolezza culturale e tradizionale, del resto quello della rinascita intellettuale in Italia aveva da sempre costituito il campo d'azione precipuo del sionista toscano; ma non solo. Il "ritorno" all'ebraismo, più pragmaticamente, fu concepito come una scelta "integrale", un «ritorno a tutto, alla terra, al lavoro e alla Torà»27. L'ordine in cui si presenta questa definizione, con "terra" e "lavoro" in testa, mi pare di per sé emblematico: "terra", da intendersi innanzitutto come Eretz Israel, e "lavoro", come principi concreti, in grado condurre alla Wiedergeburt28, al rinnovamento, sociale oltre che culturale, dell'ebraismo. Pertanto Pacifici auspicò per Eretz Israel, e in Eretz Israel, l'avvento di un nuovo «tipo che ci prefiggiamo di plasmare, [è] quello del chalutz talmid chacham, dell'agricoltore educato e colto […]. Agricoltore, sì, contadino, lavoratore della terra, cosciente del proprio lavoro e della propria missione ebraica» 29: il "tipo nazionale" come pioniere e lavoratore oltre che come profeta. Pacifici si fece promotore dell'iniziativa del kibbutz religioso come locus della realizzazione nazionale, e nei suoi scritti, dietro ma anche attraverso la chiave del commento esegetico, non solo sostenne quell'opzione ma la costruì differenziandola dall'equivalente socialista. Basti, a titolo d'esempio, il commento al verso della preghiera Shemà Israel «e raccoglierai il tuo grano, il tuo vino e il tuo olio» in cui rimarca: «Dio dice raccoglierai e non raccoglierete perché si sarebbe potuto pensare all'intenzionale indicazione di qualche collettivismo»30. Come l'omologo socialista, anche Pacifici si impegnò nella concretizzazione della propria idea nazionale e già dal 1932, prima della partenza, sostenne la fondazione del villaggio di Cfar Margalioth31, che secondo i suoi progetti avrebbe dovuto costituire «il villaggio tutto nostro, di ebrei italiani […] che avrebbero potuto svilupparsi al lavoro baaretz32 in piena continuazione delle mitzvoth33 a cui erano abituati»34. Va sottolineato che Pacifici personalmente non optò per la scelta collettivista bensì per quella cittadina, 27 28 29 30 31 32 33 34 P. S. Bassi, Lettera a Pacifici, cit., p. 140. Rigenerazione; concetto teorizzato dal sionismo culturale mittleuropeo. A. Pacifici, Risposta a P. S. Bassi, Lettera a Pacifici, cit., p. 143. A. Pacifici, Discorsi sullo Shemà, cit., p. 198. Si veda l'incarto in CAHJP, P172/122. In terra di Israele Precetti CAHJP, P 172/108, Alfonso Pacifici a Nino Hirsch s. d ma 1945. stabilendosi a Gerusalemme, ove si dedicò intensivamente all'opera di potenziamento dell'iniziativa educativa della Doresh Zion School35. Scelta indubbiamente indicativa quella della città santa e dell'impegno culturale, che condensò l'intento di "rinascita ebraica" da sempre coltivato. La convergenza nell'attualizzazione, o perlomeno nel tentativo di attualizzazione, della proposta nazionale, fa da ponte all'altro nucleo della ricerca, vale a dire al case study della storia dello Yishuv italiano in Eretz Israel fino al 1948. La sfida, in primis metodologica, è quella di inferire una prospettiva aggiuntiva e alternativa sulla concezione nazionale della prima generazione di olim italkim, oltre che di fare luce su un'esperienza ancora poco indagata, specialmente per gli anni 1940-1948. Si tratta di dare conto della polifonia interna a un ristretto gruppo al fine di comprendere le dinamiche di introiezione, rielaborazione e persecuzione dell'idea di nazione. Si tratta, inoltre, di seguire i percorsi individuali e comuni lungo due decenni con l'intento di tracciare la storia istituzionale dell'Yishuv e la parabola personale e ideologica dei suoi protagonisti, intrecciate a doppio filo sia storicamente sia dal punto di vista documentario, fattore che pertanto sollecita a interrogare le fonti in diversi modi e secondo diversi piani. Il contesto storiografico La ricerca si rapporta e interseca fondamentalmente due filoni storiografici. Il primo relativo agli studi sui nazionalismi, sulle teorie di nazione e sul sionismo come forma di Jewish Nationalism. Il secondo comprendente i contributi relativi alla negoziazione dell'identità nazionale degli ebrei italiani in età contemporanea e al sionismo italiano36; infine le analisi di carattere sia demografico sia storico già prodotte 35 Si veda la documentazione in CAHJP, P192/228-298. 36 Mi limito a A. Cavaglion, Tendenze nazionali e albori sionistici, in C. Vivanti (a c. di), Storia d'Italia. Gli ebrei in Italia. Vol II. Dall'emancipazione a oggi, Torino, Einaudi, 1997; F. Del Canuto, Il movimento sionistico in Italia dalle origini al 1924, Milano, FSI, 1972; T. Eckert, Il movimento sionisticochaluzistico in Italia nella prima metà del XX secolo, Tel Aviv, Kevutzath Yavne, 1970; M. Toscano, Ebraismo, sionismo, società: il caso italiano, in F. Sofia, M. Toscano (a c. di), Stato nazionale ed emancipazione ebraica, Roma, Bonacci, 1992; Id., L'uguaglianza senza diversità. Stato, società e questione ebraica nell'Italia liberale, in "Storia Contemporanea", a. XXV, n. 5, ottobre 1994; Id, Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei sei giorni, Milano, Angeli, 2003 E. Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana. Comunità e istituzioni tra Ottocento e Novecento, Roma, Carocci, 1999; Ead., Gli ebrei italiani dal Risorgimento alla scelta sionista, Milano, Mondadori, 2004; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1993; M. Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi, 2007; G. Romano, Il sionismo in Italia fino alla seconda guerra mondiale, in "Rassegna Mensile di Israel", vol. 42, nn. 7-8, luglio-agosto 1976, pp. 341-354. in tema di emigrazione e vita italiana in Palestina, con peculiare riferimento agli importanti lavori di Marzano e di Della Pergola e Tagliacozzo37. Ho approfondito innanzitutto il filone di studi sulle teorie di nazione, trovando in particolare nei lavori di Anthony Smith e di Miroslav Hroch suggestioni feconde circa l'opportunità di considerare in generale i nazionalismi come movimenti generati dall'incontro tra la modernità, vale a dire una precisa temperie storica, e la «collective ethnic consciousness», intesa come portato cultural-tradizionale distintivo di una comunità e il ruolo cardinale degli intellettuali nell'articolazione e nella diffusione di tali elaborazioni38. D'altro canto, l'intento di affrontare lo studio di questa forma di nazionalismo anche da una prospettiva che potremmo definire "fenomenologica", fattuale, mi ha spinto a confrontarmi con la proposta di metodo di Rogers Brubaker, che promuove un approccio ai nazionalismi non solo come «concept of nation» ma anche come sistema che «informed and influenced thoughts and experiences», e le riflessioni in tema di nazione non solo come «discourses» ma anche come «practices»39. D'altro canto ho esaminato gli studi incentrati sull'analisi del sionismo come Jewish nationalism40, ponderando attentamente le chiavi interpretative fornite, poiché si tratta di contributi relativi a realtà per certi versi differenti da quella italiana. Non si vuole affermare l'assoluta unicità dell'orizzonte italiano né alcuna impermeabilità nei 37 A. Marzano, Una terra per rinascere. Gli ebrei italiani e l'immigrazione in Palestina prima della guerra (1920-1940), Milano, Marietti, 2003; S. Della Pergola, A. Tagliacozzo, Gli italiani in Israele, cit; Di taglio analogo A. Fano L'aliah dall'Italia dal 1928 al 1955, "Rassegna Mensile di Israel", n. 7, 1955, p. 270 ssg. Importanti anche i lavori di M. Toscano, La "Porta di Sion". L'Italia e l'immigrazione clandestina ebraica in Palestina (1945-1948), Bologna, il Mulino, 1990; Id., L'immigrazione ebraica dopo il 1938, in "Storia Contemporanea", n. 6, 1988, pp. 1287-1314; 38 A. Smith, The Ethnic Origins of Nations, Oxford, Blackwell, 1986; Id., Nationalism and Modernism. A Critical Survey of Recent Theories of Nations and Nationalism, London, Routledge, 1998; M. Hroch, Social precondition of National Revival in Europe, New York, Columbia University Press, 2000. 39 R. Brubaker, Nationalism Reframed. Nationhood and the National question in the New Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, p. 7; Id., Rethinking nationhood: nation as institutionalized form, practical category, contingent event, in "Contention", vol. IV, n. 1, fall 1994, pp. 312. 40 Ricordo S. Almog, Zionism and history. The rise of a new Jewish consciousness, Jersualem, Magnes Press, 1987; S. Avineri, The making of modern Zionism, New York, Basic Books, 1981; D. Aberbach, Jewish Cultural Nationalism. Origins and influences, London, Routledge, 2008; M. Berkowitz (a. c. di), Nationalism, Zionism and the Ethnic Mobilization of the Jews in 1900 and Beyond, Leidem, Brill, 2004; G. Shimoni, The Zionist Ideology, Hanover, Brandeis University Press, 1995; M. Suzman, Ethnic nationalism and state power: the rise of Irish nationalism, Afrikaner nationalism and Zionism, Basingstoke, MacMillan, 1999. confronti delle influenze continentali, tuttavia, come sottolineato anche da Berkowitz, è indubbio che «Zionists in different countries acted and reacted differently»41. Ho trovato particolarmente stimolanti, tra gli altri, i lavori di Bartal, Mosse, Stanislawsky e Meyers, accomunati dall'interpretazione del sionismo come sintesi tra paradigmi rappresentativi ebraici ed ethos scientifico europeo42, come soluzione possibile alla sfida indotta dal contatto con la modernità43, e non solo come reazione all'antisemitismo. Questo discorso, peraltro, si addice al contesto italiano, perlomeno fino allo spartiacque del 1938: la riflessione in tema nazionale e la scelta migratoria furono frutto precipuo della radicalità del pensiero, di un'arditezza ideologica maturata dalla sfida del contatto dell'ebraismo italiano con la contestualità e dalla formulazione di una risposta fatta di una profonda introiezione dei paradigmi storici e concettuali italiani oltre che ebraici. Tra i moventi sicuramente un "disagio", ma non scaturito da ondate antisemite; un disagio proveniente per Pacifici dalla constatazione della regressione valoriale e tradizionale dell'ebraismo della diaspora; per Sereni dal riscontro da un lato della cristallizzazione sociale dell'ebraismo italiano e dall'altro dal fallimento dell'edificazione di un ordine sociale nazionale (italiano) su basi socialiste, democratiche e popolari. La legislazione antisemita del 1938 e la persecuzione costituirono indubbiamente un crinale devastante e determinante per la (ri)definizione dell'identità nazionale, poiché quello fu per gli ebrei italiani il momento del "collasso della nazione" 44. Tuttavia anche in quella temperie, come rimarca per esempio Anna Foa, la scelta sionista in sé, e quella d i ‘alyià aggiungo io, fu tutt'altro che automatica 45. La professione di sionismo non costituì la risposta naturale alla persecuzione; la partenza, se non nei primissimi mesi del dopoguerra, come sottolinea anche Schwartz46, non fu concepita come la via per la 41 M. Berkowitz, Western Jewry and the Zionist project, 1914-1933, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, p. 2. 42 D. Meyers, Re-inventing the Jewish past: European Jewish intellectual and the Zionist Return to History, New York, Oxford University Press, 1995; G. Mosse, Confronting the Nation. Jewish and Western Nationalism, Hanover, University Press of New England, 1993. 43 Israel Bartal, The Jews of Eastern Europe 1772-1881, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2005; Michael Stanislawaky, Zionism and Fin de Siècle: Cosmopolitanism and Nationalism from Nordau to Jabotinsky, London, University of California Press, 2001 44 P. Di Cori, Le leggi razziali, in M. Isnenghi, I luoghi della memoria. Simboli e miti dell'Italia unita, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 467. 45 A. Foa, Rimodellare la cittadinanza. Spunti per una riflessione, in "Rassegna Mensile di Israel", vol. 76, nn. 1-2, gennaio-agosto 2010, pp. 351-358. 46 G. Schwartz, Ritrovare se stessi. Gli ebrei nell'Italia postfascista, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 104. salvezza fisica e materiale né si configurò come una scelta maturata per un senso di repulsione nei confronti della nazione italiana testimone dello sterminio 47. Non a caso la maggioranza assoluta degli ebrei italiani rimase in Italia 48; a optare per la strada dell'emigrazione furono i giovani, coloro che solo per poco avevano sperimentato l'osmosi con l'ambiente italiano; coloro per i quali il 1938 aveva costituito veramente una lacerazione identitaria irreparabile nella patria nativa; coloro che scorsero nella formazione nelle Hachsharoth49 prima, e nell'alyià poi, la sola cornice possibile per la ricostituzione di una dimensione nazionale, ebraica e italiana, del tutto nuova. Esiste quindi forte continuità nella natura del "richiamo palestinese" tra il pre e il post 1938: a muovere gli olim fu, in entrambi i casi, l'esigenza di ripensarsi come ebrei e come italiani. Nell'esperienza in, e di, Eretz Israel emergono i dati di tale dicotomica riconsiderazione: così, per esempio, nel luglio 1947 Angelo Fano, presidente dell''Irgun Olè Italia (l'associazione di rappresentanza degli italiani in Palestina), vide nelle tensioni tra ebrei e arabi in Palestina «quel che è avvenuto dal 1919 al 1922 in Italia. […] io vedo oggi qui quello che con altri pochi ho visto e previsto in Italia, senza attendere il 10 giugno 1924 o il 25 luglio 1943»50. Così, ancora, l'incremento del ricorso all'opzione collettivista negli anni Quaranta e la semantizzazione dei kibutzim come realtà che «rispondono completamente all'ideale mazziniano»51 rispecchiano, a mio avviso, l'attribuzione di un valore antifascista all'esperienza palestinese e la permanenza di una chiave di significazione marcatamente italiana. Un ulteriore riferimento bibliografico è costituito dai contributi sul sionismo nella forma di Diaspora Nationalism, che apparentemente poco parrebbero avere in comune con il mio progetto, dal momento che si definisce come Diaspora Nationalism il "Gegenswartarbeit", il lavoro hic et nunc, cioè quella variante sionista fondata prevalentemente sull'opera di rivitalizzazione spirituale e culturale delle comunità ebraiche in Europa e sulla rivendicazione dei diritti per e nella Diaspora, che demandò il 47 F. Barozzi, l'uscita degli ebrei di Roma dalla clandestinità, in M. Sarfatti (a cura di), Il ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda guerra mondiale, Firenze, Giuntina, 1998. 48 Parla di "inerzia del sionismo" A. Finkielkraut, L'ebreo immaginario, Genova, Marietti, 1990, p. 117. 49 Centri di addestramento agricolo sorti in Italia a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. Si veda per esempio S. I. Minerbi, Un ebreo fra D'Annunzio e il sionismo: Raffaele Cantoni, Roma, Bonacci, 1992, p. 51; 57; 159. 50 CAHJP, P 207/13, Angelo Fano a Raffaele Cantoni, 7 luglio 1947. 51 CAHJP, P192/31, Angelo Fano a Francesco Sannio, 9 giugno 1959 in risposta a un'inchiesta sulla vita degli italiani nei kibutzim. "Zukunftarbeit", vale a dire l'emigrazione in Palestina, appunto, al futuro, come opzione perseguibile innanzitutto da quelle comunità maggiormente afflitte dall'urgenza umanitaria52. In realtà ho trovato fecondo questo filone perché associa l'approfondimento del sostrato teorico sionista con casi di studio concreti e mi limito a ricordare, tra i più recenti, il lavoro di Joshua Shanes sulla realtà sionista in Galizia 53 e la curatela di Rabinovitch comprendente saggi relativi a diverse realtà europee54. Le fonti La ricerca si avvale di fonti bibliografiche, archivistiche, giornalistiche e letterarie. Per delucidare le riflessioni di Sereni e Pacifici mi baso innanzitutto sulle loro opere edite, comprendenti sia testi sia saggi e articoli. Ho incrociato queste fonti con altri due tipi di documentazione: nel caso di Pacifici con le carte riguardanti l'impresa di pubblicazione delle opere negli anni Cinquanta, per verificare l'eventuale ricalibratura del pensiero dopo il 1948; nel caso di Sereni con gli scritti e gli appunti preparatori55. Per ricostruire la loro esperienza in Palestina ho attinto alle loro carte personali e alla corrispondenza, conservate presso i Central Archives for the History of Jewish People di Gerusalemme56. Nella stessa struttura ho raccolto anche la gran parte del materiale per il caso di studio, esaminando innanzitutto l'archivio dell'Irgun Olé Italia, che testimonia in maniera ricca e con una pluralità di fonti (lettere dei migranti, bollettini, circolari, in lingua sia italiana sia ebraica) la vita italiana in Eretz Israel. Da quel repertorio ho esteso la ricerca ad altri fondi personali di esponenti di spicco della comunità italiana in loco, per mappare in modo quanto più approfondito quell'esperienza57. Le fonti personali dei migranti, come già accennato, si prestano una lettura, e a un impiego, duplice: da un lato si fungono a ricostruire la "storia", il côté istituzionale, 52 A. Smith, Zionism and Diaspora Nationalism, "Israel Affairs", II, n. 2, winter 1995, pp. 1-19. 53 J. Shanes, Diaspora Nationalism and the Jewish Identity in Habsburg Galicia, New York, Cambridge University Press, 2012. 54 S. Rabinovitch (a c. di), Jews and Diaspora Nationalism. Writings on Jewish Peoplehood in Europe and the United States, Hanover, Brandeis University Press, 2012. 55 Tutta la documentazione si trova presso i Cenral Archives for the History of Jewish People di Gerusalemme 56 Presso i due omonimi fondi. 57 Ho esaminato i fondi Nahon, Bonfiglioli, Cividalli, Roifer, Ottolenghi, Minerbi, Sereni, Pacifici, Viterbo, Fano, Da Fano, Prato, Levi, Bonaventura dell'insediamento italiano in Palestina, aiutando a calarsi quanto mai nella dimensione del quotidiano e del locale. Dall'altro, invece, sostengono l'intento di tratteggiare le "storie", la dimensione ideologica personale attribuita all'esperienza, dal momento che la testimonianza, specialmente quella affidata alle carte private, si presenta inscindibilmente intrecciata alla significazione concettuale. Vi è poi da aggiungere anche una considerazione riguardante la "forma" di queste fonti, specialmente delle lettere personali dei migranti, vale a dire l'uso della lingua. A fronte della permanenza dell'italiano, si riscontra non solo l'alternanza frequente con l'ebraico (oppure con la traslitterazione dell'ebraico in caratteri occidentali), ma anche il ricorso a tale codice per alcuni concetti, eventi o realtà specifiche, quasi rappresentassero le "immagini", l'"essenza" della nazione, non mediabile in italiano. Ho condotto la ricerca anche presso il Central Zionist Archive di Gerusalemme 58, l'Archivio del Centro Bibliografico dell'Unione delle Comunità ebraiche Italiane di Roma59, presso l'INSMLI60 e presso l'Archivio Storico Diplomatico dell'Ministero degli Esteri, seppur con limitati esiti in quest'ultimo istituto61. A sostegno delle fonti archivistiche figurano quelle giornalistiche: ho passato in rassegna la fondamentale testata ebraica "Israel", sia nella versione italiana sia nella versione cosiddetta "di Gerusalemme", pubblicata in un ristretto numero di copie tra il 1935 e il 1941 su iniziativa di Alfonso Pacifici; mi sono dedicata alle riviste specialistiche "Hazofè" (1945), "Dapé Hechalutz" (1945), "Hechalutz" (1946-1948), "Karnenu" (1948), "Shofar HaChamorim" (1946), che forniscono contributi utili dal momento che alternano sia articoli di carattere politico sia cronache e testimonianze di vita da Eretz Israel redatte dagli olim, che costituiscono degli spaccati vivaci e diretti. Nel corso della ricerca archivistica sono emerse anche altre pubblicazioni, squisitamente locali, come i bollettini "Le iedidenu", "Igheret laGolà", "Madregot" e il foglio del kibutz di "Ghivat Brenner", pubblicazioni circoscritte nel tempo e talvolta non regolari ma che aiutano a radicare la ricerca nel vivo dell'esperienza. 58 Ho esaminato i fondi Correspondence Italy; Jews, letters Israel-Italy, Immigration and preparation 59 Ho esaminato i fondi Attività dal 1934 e Attività dal 1948 60 Ho esaminato il fondo Valabrega 61 Ho esaminato i fondi "Palestina" nelle serie Affari politici 1931-1945 e Affari politici 1946-1950 ma vi ho reperito per lo più documenti attinenti i rapporti politici col governo mandatario e con lo Stato di Israele. A corredo delle fonti archivistiche e giornalistiche ho considerato anche quelle memorialistiche, rappresentate da volumi integrali o anche solo da riferimenti circoscritti in opere di più ampio respiro che traspongono in letteratura l'esperienza dell'emigrazione62. Si tratta di fonti da considerare con accortezza e da incrociare con i riscontri della ricostruzione documentaria, tanto più perché redatte ex-post. Ad ogni modo reputo che questo corpus vada valorizzato in quanto foriero di suggestioni presentate in maniera altrettanto perspicua, quando non addirittura più metodica e organica, rispetto ai documenti. Sollecitazioni e spunti di riflessione a seguito della discussione del progetto con la professoressa Tullia Catalan Al fine di delineare in maniera più completa il profilo ideologico e, più specificamente, la fisionomia identitaria nazionale della prima generazione di olim italkim è auspicabile retrodatare l'analisi, soffermandosi sulle dinamiche caratteristiche dell'ebraismo italiano degli anni Dieci e Venti. Quella temperie, infatti, fu determinante per il discorso nazionale ebraico: la ripresa culturale sollecitata dal movimento della Pro Cultura, la campagna di Libia con il montare dell'antisemitismo politico, la Grande Guerra come banco di prova della fedeltà nazionale degli ebrei italiani, la dichiarazione Balfour come tornante decisivo per la politicizzazione più accentuata del sionismo italiano rappresentarono marcatori generazionali fondamentali e snodi storici rilevanti per la definizione dell'identità nazionale ebraica. Basti solo ricordare, per esempio, che Alfonso Pacifici, tra i primi ad emigrare in Palestina, non solo prese parte alle attività della sezione fiorentina della Pro Cultura, ma nel 1916 partì al seguito delle truppe come coadiutore per i prigionieri ebrei e proprio in quel contesto elaborò alcune delle sue riflessioni più importanti a proposito di nazione e identità ebraica. 62 G. Cividalli., Dal sogno alla realtà. Lettere ai figli combattenti. Israele, 1947-1948, Firenze, Giuntina, 2005; C. I. De Benedetti, I sogni non passano in eredità. Cinquant'anni di vita in kibbutz, Firenze, Giuntina, 2001; Id, Anni di rabbia e di speranze. 1938-1949, Firenze, Giuntina, 2003, pagg. 91 e sgg., Id, Racconti di Israele, Aosta, Le Château Edizioni, 2011; D. Lattes., M. Varadi., Racconti palestinesi, Firenze, Israel, 1946; V. D. Segre, Storia di un ebreo fortunato, Milano, Garzanti, 1985; A. Sereni, I clandestini del mare. L'emigrazione ebraica in terra d'Israele dal 1945 al 1948, Milano, Mursia, 20074, pp. 33-42; 63-64; 68; 103; 151-154; 160; 172; 180-181; 229; 249-250; 277; M. Varadi, L'arca, Firenze, Giuntina, 1983; G. Voghera, Quaderno di Israele, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1967. Nell'ampliare il contesto storico della ricerca, non si possono escludere anche altri determinanti fattori come le differenze geografiche che caratterizzarono l'ebraismo italiano, le trasformazioni istituzional-spirituali degli anni Venti e Trenta e le reti di relazioni locali e personali. Nella Firenze centro della rinascita culturale ebraica del primo decennio del Novecento e culla del nazionalismo italiano, il discorso e l'identità nazionale della componente ebraica locale si modularono in maniera diversa, per esempio, rispetto a Roma, dove a influire erano un passato comunitario specifico e un peculiare rapporto di "vicinato" con la Chiesa. Sullo sfondo di queste fondamentali varianti locali vi è da considerare inoltre la trasformazione, perlomeno istituzionale, attraversata dall'ebraismo italiano con la legislazione del 1930: quanto le nuove disposizioni comunitarie influirono sull'identità ebraica di chi partì? E quanto, più in generale, la prima generazione di olim italkim portò riflessi in sé i caratteri dell'ebraismo post-emancipato? Questo quesito suggerisce una nuova chiave di lettura del fenomeno migratorio palestinese: il tendenziale laicismo dell'ebraismo italiano si rispecchia in qualche modo nella scelta insediativa dei migranti? Il binomi kibbutz religioso/kibbutz socialista e città/kibbutz e la propensione per l'una o l'altra opzione ripropongono in qualche modo il diverso orientamento spirituale dell'ebraismo post-emancipato? A questo quesito, peraltro, se ne connette un altro più specifico relativo all'eredità spirituale di Alfonso Pacifici: quanto della sua vocazione, del suo "integralismo ebraico" si può ritrovare riflesso nell'identità di chi partì per Eretz Israel? La risposta a tale interrogativo emergerà in sede di ricostruzione del case study, tuttavia i dati riguardanti le città di provenienza dei migranti, con Firenze tra i centri in testa, suggerisce l'idea se non di una diffusa adesione toto corde al credo pacificiano, perlomeno di un certo seguito e di una partecipazione allo spirito di "rinascimento ebraico" così alacremente sostenuto dall'intellettuale fiorentino. Vanno infine considerate le relazioni – epistolari in primis e, in senso lato, culturali - tessute dai migranti sia prima sia dopo l''alyià, valutando le possibili influenze di natura ideologico-politica che tali contatti possono aver esercitato. Limitandosi alla sola esperienza di Enzo Sereni, interlocutori costanti come il fratello Emilio, Eugenio Colorni, Moshé Beilinson o Alfonso Pacifici rappresentarono indubbiamente riferimenti di confronto e di scambio intellettuale il cui valore necessita di essere messo in rilievo in sede di ricostruzione. Il valore delle relazioni è un dato meritevole di considerazione e valutazione anche per i casi non eccezionali come quello del sionista romano. I contatti dei singoli emigranti con le famiglie e/o con elementi connessi al movimento sionista italiano costituivano tratti di continuità con il passato e fornivano elementi ulteriori nella negoziazione della propria identità nazionale: radicati ormai in Palestina ma sempre connessi all'Italia. Per rispondere a queste fruttuose sollecitazioni ho deciso di ampliare la ricerca e, di conseguenza, ho rivisto la struttura generale della dissertazione. In particolare, ho deciso di sviluppare in maniera compiuta il suggerimento di approfondire i prodromi istituzionali, ideologici e storici del fenomeno che mi propongo di esaminare nel capitolo di apertura. Intendo affrontare il discorso soffermandomi sui termini in cui la questione sulla nazione e sull’identità nazionale si inserì e venne declinata nel dibattito ebraico nei primi decenni del Novecento, prestando inoltre peculiare attenzione al momento e ai modi in cui, per una sorta di effetto metonimico, il termine “nazione” venne a coincidere con quello di “Palestina”. Si tratta di un excursus prettamente storiografico, che tuttavia ho deciso di arricchire in maniera originale approfondendo quello che potrebbe definirsi “l’immaginario di Palestina” presso l’ebraismo italiano di inizio Novecento, cioè l’immagine della Terra dei Padri diffusa nella penisola grazie a immagini, racconti di viaggio e cronache giornalistiche. Si tratta di un approccio, nello specifico per quanto concerne l’aspetto visuale, parzialmente inedito nella storiografia italiana in materia, per perseguire il quale ho dovuto estendere le mie ricerche archivistiche e giornalistiche alla ricerca di immagini, discorsi ufficiali o articoli che consentissero la ricostruzione dell’immagine “figurale” della Palestina. Alla luce di questa revisione, ho apportato alcune modifiche alla struttura della dissertazione, che, al momento, è articolata come segue Introduzione 1. The nation between political discourse and figural representation 1.1 Ricostruzione del dibattito storico e storiografico sull’identità nazionale ebraica, con particolare riferimento alla Grande Guerra come cesura determinante. 1.2 La Palestina nel dibattito sionista italiano 1.3 L’immagine e immaginario della Palestina 2. Alfonso Pacifici and Enzo Sereni: from the conceptualization of "nation" to ‘alyià. 2.1 L'idea di nazione di Alfonso Pacifici; il paragrafo sarà diviso in due sottoparagrafi per segnare il tornante dell'emigrazione 2.2 L'esperienza di Pacifici 2.3 L'idea di nazione di Sereni; il paragrafo sarà diviso in due sottoparagrafi per segnare il tornante dell'emigrazione 2.4 L'esperienza di Sereni 2.5 Riflessione comparativa 3. Practicing the nation. The National experience of the Italian Yishuv in Eretz Israel before 1948 3 .1Definizione de gruppo di riferimento 3.2 L'esperienza prima del 1938 3.3 L'esperienza tra il 1938-1948 Conclusione