Angelo Rossi Tra Gramsci e Togliatti L’ultimo dibattito: le lettere su Croce di Angelo Rossi 1. Codice Gramsci: la linea è quella di Lione Nel periodo che va dall’agosto 1931 alla primavera del 1932 si sviluppa, con grande impegno delle parti, un tentativo di stabilire un rapporto di collaborazione tra Gramsci e il Partito, con la richiesta, rivolta a Gramsci, di un contributo teorico. La sequenza dei fatti è documentata dall’epistolario Gramsci - Tania Schucht ed è ricostruibile con esattezza soltanto dopo la pubblicazione delle lettere di Tania, insieme a quelle di Gramsci e di Piero Sraffa. Esaminiamola: la premessa è in alcune lettere intercorse tra Sraffa, Tania e Gramsci, riguardanti l’attuazione del programma di studi che Gramsci aveva comunicato con la lettera del 25 marzo 1929.1 Sraffa, certamente d’accordo con Togliatti, con il quale comunicava, scrive a Tania l’11 luglio 1931: Alcuni anni fa Nino [...] vi aveva scritto una lettera in cui esponeva dettagliatamente il suo piano di letture e di studi. Sarebbe interessante conoscere come lo abbia svolto, quel programma. [...] Provate a chiederglielo.2 Gramsci, in una lettera del 3 agosto 19313 dice di non avere più un programma di studi. Nello stesso giorno ha una prima grave crisi, che egli descrive a Tania, sempre per lettera, il 17 agosto.4 Ma Tania e Sraffa sono vigili e intervengono per sostenere il “carissimo Nino”. Non è solo il sostegno materiale, ma anche l’interessamento per le condizioni del suo spirito e l’incoraggiamento a continuare gli studi. Il 28 agosto5 Tania, su indicazione di Sraffa, amorevolmente sprona Gramsci a continuare “la storia degli intellettuali”, pur nelle difficoltà che la condizione carceraria oppone alla ricerca. Gramsci le risponde il 7 settembre6 e dimostra che il suo impe1 Antonio GRAMSCI - Tania SCHUCHT, Lettere 1926-1935, Torino, Einaudi, 1997, p. 353. Piero SRAFFA, Lettere a Tania per Gramsci, Roma, Editori Riuniti 1991, p. 15. 3 GRAMSCI - SCHUCHT, op. cit., pp. 748-751. Il riferimento al programma è tanto più importante, in quanto Gramsci afferma di “sentirsi isolato”. 4 Ibid., p. 762 e segg. 5 Ibid., pp. 776 - 777. 6 Ibid., pp. 790 - 792. Nella lettera, Gramsci, tra l’altro, ricorda che una casa editrice fascista, gli aveva proposto di scrivere un libro sul movimento dell’ “Ordine Nuovo”. Egli aveva rifiutato. Si può benissimo leggere in questo ricordo di Gramsci una domanda rivolta al partito: perché non pubblicate, dal momento che li avete a disposizione, “una raccolta di articoli che in realtà erano stati scritti su un piano organico?”. 2 199 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce gno intellettuale non è venuto meno. La lettera, bellissima, si conclude con due annunci: la preparazione di un “prospetto” della storia degli intellettuali di non meno di cinquanta pagine e l’invio “in una delle prossime lettere [...] di un saggio sul canto decimo dell’Inferno”. Nella lettera di Tania a Gramsci del 5 ottobre 1931, successiva all’invio da parte di Gramsci, in data 20 settembre, del “famigerato schema” relativo al X Canto dell’Inferno si legge: “Ho ricevuto poche righe da Piero alla vigilia della sua partenza [...] Ti raccomanda di mandare il riassunto del tuo lavoro sugli intellettuali, come hai promesso”.7 Ma prima di affrontare l’analisi del nesso fra riflessione sulla filosofia di Benedetto Croce e rapporto con il partito, mi sembra opportuno richiamare la lettera del 2 novembre 1931, nella quale Gramsci si impegna con grande sicurezza e autorità su fondamentali problemi di linea, relativi all’azione politica del partito in Italia. Il riferimento che Gramsci fa è ai motivi dei ricorsi fatti da Umberto Terracini per la revisione del processo. Gramsci scrive: Un altro motivo però, che pure risultava ad Umberto perché io stesso glielo avevo suggerito dopo la condanna, non è stato da lui svolto esattamente né in tutta la sua portata [...] Ecco di che si tratta. Uno dei capi di accusa più importanti contro i supposti membri del Comitato Centrale del Partito Comunista, e cioè l’accusa di tentativi di insurrezione armata nel corso dell’anno 1926 e come conseguenza delle deliberazioni del Congresso di Lione è stato un opuscolo intitolato Regolamento universale della guerra civile. Umberto giustamente ricorda che “tale scritto era stato pubblicato integralmente nella rivista «Politica» diretta dallo stesso ministro di Grazia e Giustizia [...] e afferma che l’opuscolo incriminato non è che una ristampa letterale di quella pubblicazione”. Gramsci a questo punto inserisce una argomentazione che si presenta come una chiara rivendicazione della politica del III Congresso del PCd’I, quello di Lione, e del ruolo che egli ha avuto nella elaborazione di quella politica: “Lo scritto Regolamento universale della guerra civile è stato pubblicato, prima che dalla rivista italiana «Politica», dalla francese «Revue de Paris» alla fine del ’25 o ai primi del ’26. Ma la «Revue de Paris» non fece solo questa pubblicazione: nel 1926, pubblicò un articolo editoriale intitolato La guerre civile et le bolchèvisme in cui riassume la questione in questo modo: lo scritto Regolamento universale è un semplice articolo della rivista «Il pensiero militare» («Voennyj Mysl’») senza nessun carattere ufficiale e di obbligatorietà per i partiti comunisti. Anzi, l’articolo fu aspramente criticato da tutta una serie di scrittori militari russi, che mostrarono il carattere pedantesco, astratto, accademico. La seconda pubblicazione della «Revue de Paris» che appunto riassume questa discussione, prova precisamente che nessun partito comunista, e tanto meno quello italiano, poteva divulgare questo scritto, facendo del suo contenuto un obbligo da osservare dai suoi iscritti. L’opuscolo italiano pertanto non può essere considerato come un documento di partito, la cui responsabilità debba ricadere sui membri del Comitato Centrale, che io penso do- 7 Ibid., p. 831. 200 Angelo Rossi vevano conoscere la questione e non prendere sul serio uno scritto di quel genere, ma come una pubblicazione di elementi irresponsabili, che l’avevano fatta per conto loro. Per ciò che riguarda me personalmente, esiste uno stampato, un numero del «Bollettino del Partito Comunista» uscito nei primi mesi del 1926, nella cui seconda parte è riassunto [...] un mio discorso alla Commissione Politica del Congresso di Lione, in cui io, a nome del Comitato centrale uscente, e come direttiva che doveva essere approvata dal Congresso (come lo fu), affermavo perentoriamente che in Italia non c’era una situazione tale, che il lavoro da fare era quello di “organizzazione politica” e non di “tentativi insurrezionali”. Questo Bollettino non fu contestato al processo, ma penso deve trovarsi nell’incartamento processuale. Penso che tu puoi mostrare questi elementi all’avvocato che si è occupato del ricorso e domandargli un parere. Naturalmente anche un mio possibile ricorso lascerà le cose immutate, ma tuttavia sarà utile forse che rimanga agli atti.8 Il tema, di grande rilievo, è introdotto da Gramsci, com’è accaduto altre volte, come se esso fosse marginale e di secondaria importanza, acquistando forza solo nel corso del suo svolgimento per la perspicuità dell’argomentazione e per la precisione dei riferimenti, che solo un interlocutore informato poteva cogliere. In sostanza, Gramsci rivendica la validità della politica del Congresso di Lione, rinviando per la sua corretta interpretazione all’intervento da lui svolto alla Commissione politica dello stesso Congresso, considerato evidentemente come la più chiara e convincente esposizione della politica del Partito, così come era stata definita in quell’assise. È lo stesso Gramsci a sottolineare che la presentazione di un ricorso, per il motivo da lui esposto, al fine della revisione del processo, è solo un pretesto per ribadire, rivolgendosi a Togliatti e al Partito, la validità della linea di Lione.Tanto vero che Gramsci, usando la stessa espressione che chiude la dura replica a Togliatti nel carteggio del ’26, tiene a precisare che un suo eventuale ricorso lascerà le cose immutate, ma che è utile forse che rimanga agli atti. Quello di Gramsci si presenta come un vero intervento politico, che va necessariamente letto insieme al discorso svolto alla Commissione politica del Congresso. Infatti, nel testo citato, due punti sembrano essere estremamente attuali, e sono quelli che Gramsci introduce, quando ribadisce l’affermazione “perentoria” che in Italia non esisteva una situazione rivoluzionaria, e che il lavoro da fare era quello di organizzazione politica e non di tentativi insurrezionali. Il primo punto è così presentato: È assurdo affermare che non esiste differenza tra una situazione democratica e una situazione rivoluzionaria, e che, anzi, in una situazione democratica sia più disagevole il lavoro per la conquista delle masse. La verità è che oggi si lotta per organizzare il partito, mentre in una situazione democratica si lotterebbe per organizzare l’insurrezione. Il secondo punto, non meno importante per l’esame che andremo a svolgere, è con chiarezza indicato: “La situazione italia8 Ibid., pp. 847- 849. 201 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce na è caratterizzata dal fatto che la borghesia è organicamente più debole che in altri paesi e si mantiene al potere solo in quanto riesce a controllare e a dominare i contadini. Il proletariato deve lottare per strappare i contadini alla influenza della borghesia e porli sotto la sua guida politica. Questo è il punto centrale dei problemi politici che il partito dovrà risolvere nel prossimo avvenire. È certo che si debbono esaminare con attenzione anche le diverse stratificazioni della classe borghese. Anzi, occorre esaminare la stratificazione del fascismo stesso perchè, dato il sistema totalitario che il fascismo tende ad instaurare, sarà nel seno stesso del fascismo che tenderanno a risorgere i conflitti che non si possono manifestare per altre vie. E Gramsci conclude il suo discorso affermando orgogliosamente: Sulla situazione attuale del partito non si può essere pessimisti. Il nostro partito è in una fase di sviluppo più avanzata degli altri partiti dell’Internazionale.Vi è in esso un nucleo proletario fondamentale stabile e si sta costituendo un centro omogeneo e compatto [...].9 La citazione, lunghissima, è stata d’obbligo, perché dalla connessione, indicata da Gramsci, tra la lettera e il discorso si comprende l’importanza politica della lettera. Ma il prigioniero questa volta si rivolge non a Bordiga e ai suoi seguaci, come al III Congresso, ma al centro del suo partito, segnato dalla “svolta”e obbligato dalle decisioni del X Plenum dell’IC: un partito non più considerato come una forza politica in una fase di sviluppo più avanzata ma, al contrario, come un partito debole e poco affidabile, addirittura sospettato di simpatie trockijste. Ciò spiega da un lato l’atteggiamento da lui assunto nel carcere di Turi nel confronto con i compagni che ivi sono reclusi, dall’altro l’indicazione sicura, da capo eletto dal partito, che per lui non c’è altra politica valida, se non quella che è stata fissata a Lione e della quale rivendica la paternità. Gramsci definisce e precisa il senso della comunicazione politica contenuta nella lettura del Canto X dell’Inferno, poiché se non si pronuncia sulle decisioni riguardanti Leonetti, Ravazzoli e Tresso, non essendo in grado di valutare i fatti particolari relativi alle persone, è d’altra parte assai fermo nel delimitare il campo della ricognizione teorica e politica alla quale sembra sollecitare il partito, con la ripresa del dialogo attraverso il canale Tania-Sraffa. Ma Gramsci sembra preoccupato, intenzionato a trasmettere qualcosa che resti “agli atti”: qui bisogna approfondire l’indagine, nella direzione che è già stata esplorata da Spriano, nella sua Storia del Partito Comunista Italiano. Nel 1931, dal 14 al 21 aprile, si svolgono a Colonia i lavori del IV Congresso del Partito Comunista. È il Congresso che segue quello di Lione, svoltosi nel 1926 e sarà anche l’ultimo che si terrà fino a quando non sarà caduto il 9 Antonio GRAMSCI, La costruzione del Partito Comunista 1923 -1926, Torino, Einaudi, 1971, pp. 481-488. 202 Angelo Rossi Fascismo e realizzata la Liberazione (il V Congresso si svolgerà a Roma il 29 dicembre 1945 e nei giorni immediatamente successivi). Il Congresso di Colonia è la conferma della ‘svolta’ e della sua piattaforma politica. Il suo riferimento non è la politica di Lione, ma il X Plenum dell’IC e la teoria del “socialfascismo”. Anche Togliatti, che al X Plenum era stato accusato da Kuusinen di aver usato “tatto” nei confronti di Trockij al VII Esecutivo dell’IC (e Ulbricht aveva rincarato la dose: “Forse si tratta di qualcosa di più che di tatto”), ora si dimostra perfettamente allineato: la tendenza in tutti i paesi occidentali è la “unità reazionaria di tutte le forze borghesi”; “il fascismo ne è una espressione, la fascistizzazione della socialdemocrazia è l’altro aspetto dello stesso processo”.10 È Spriano stesso che parla dei documenti congressuali: testimonianza del grido di fede, quasi rabbioso, di un piccolo gruppo perseguitato che agisce in una condizione assai difficile, e che, pur premuto dall’avversario di classe, rivendica tutta l’ampiezza del suo programma rivoluzionario, da attuarsi senza la compromissione di altre forze, additando la meta del governo operaio e contadino come sinonimo della dittatura del proletariato e fornendo un modello di Italia socialista basato su di essa. Gramsci conosce, quando scrive la lettera succitata, le conclusioni di Colonia? Fiori risponde affermativamente,11 e comunque - questo è dato accertato storiograficamente - gli era presente il senso della ‘svolta’. Anche Terracini, che era legato a Gramsci dalla comune esperienza ordinovista, aveva con chiarezza contestato la tesi della fascistizzazione della socialdemocrazia, e dal carcere aveva ammonito: Il Partito riuscirà solo a rendersi incomprensibile alle masse e quindi ad allontanarle; esse, alla nostra affermazione, a tutte le nostre previsioni sugli accordi tra socialdemocrazia e fascismo, risponderanno con una parola sola: “Matteotti”, cui noi nulla avremo di concreto da contrapporre.12 In questo contesto è chiaro che Gramsci intendesse mettere agli atti la sua contestazione alla politica decisa a Colonia come rovesciamento della linea di Lione, da lui considerata come sviluppo delle indicazioni di Lenin contenute nello scritto L’estremismo, malattia infantile del comunismo e che si erano indirizzate polemicamente proprio a Terracini, allora giovanissimo, con l’ironica sollecitazione: “Plus de souplesse, camarade Terracini”. Ma quello che più dolorosamente avvertiva Gramsci era l’emarginazione dal dibattito politico, l’isolamento, il sentirsi come “un sasso gettato nell’oceano”, pro- 10 Paolo SPRIANO, Storia del Partito Comunista Italiano, Torino, Einaudi, 1969, cap. XVI: «Il Congresso di Colonia». 11 Giuseppe FIORI, Gramsci, Togliatti, Stalin, Bari, Laterza, 1991, p. 48. 12 SPRIANO, op. cit., cap. XIV: «Gramsci e il “cazzotto nell’occhio”». 203 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce prio lui che aveva segnato, con l’originalità delle sue idee, una fervida partecipazione alla nascita dell’ «Ordine Nuovo» e del comunismo italiano e all’ultima, libera stagione, prima dell’avvento del Fascismo, della cultura italiana. E più doveva bruciargli dover essere ridotto ad icona, un santino senza pensiero, senza volontà e senza sentimento. Questo era il rischio: a Colonia, il primo atto del Congresso fu quello di nominare, su proposta di Togliatti, un praesidium d’onore. Al primo posto Stalin, capo dell’Internazionale Comunista e poi Gramsci. Non dobbiamo però nulla concedere ad una interpretazione che insista nell’analisi degli stati d’animo di Gramsci e sulla sua condizione carceraria. La sua cultura storicistica, il suo stoicismo, maturato attraverso tante prove, o spingevano a cercare sempre un “noi” cui riferirsi; e la sua preoccupazione maggiore, quella che lo spinse a cercare un dialogo con il partito e con Togliatti, nei durissimi mesi tra la crisi del 3 agosto ’31 e la lettera del 12 luglio ’32, riguardò la sorte del suo partito, quale orientamento dovesse assumere il movimento comunista, quale fosse l’evoluzione del suo paese, l’Italia, quale contributo potesse egli dare alla rivoluzione italiana intesa anche come “riforma intellettuale e morale”. Questa fu la motivazione, mentre si interrogava sulla sua sorte, del poderoso sforzo di elaborazione dei Quaderni, che si sviluppò con particolare intensità in quel periodo, ma anche del contemporaneo, politico tentativo di dialogare con il partito, dallo “schema sul Canto X” sino alle lettere su Croce. Ora andiamo all’interlocutore, a Togliatti, il vero destinatario del messaggio di Gramsci. Non percepì il senso della lettera di Gramsci e perciò non lo rivelò? Non mi pare una tesi plausibile: troppo chiaro era stato Gramsci e Togliatti era uomo così fine ed intelligente che non gli poteva essere sfuggito il dissenso di Gramsci. D’altra parte, le notizie e i resoconti già pervenutigli dovevano già averlo edotto della sostanza delle posizioni dell’amico e maestro. Allora? Togliatti decise di celare il messaggio di Gramsci. La ragione è chiara: rendere di pubblico dominio ed ufficiale la contestazione di Gramsci avrebbe portato quest’ultimo diritto fuori del partito, con conseguenze incalcolabili per il partito, per la famiglia, per Gramsci stesso. Gramsci era un uomo di un’altra stagione: la sua formazione era avvenuta nel libero dibattito che aveva caratterizzato la nascita e lo sviluppo del movimento comunista sotto la guida di Lenin. Il suo modello di confronto era quello dell’elevata discussione scientifica: i suoi riferimenti erano Marx e Lenin, ma anche Croce ed Hegel, Labriola e Gentile. Ora i tempi erano cambiati: l’affermazione di Stalin comportava delle scelte ultimative, o si era con questi o contro. Non esistevano alternative. Se Gramsci era uno stoico, la cui visione era rivolta fondamentalmente ai fini, “la costruzione della società socialista”, Togliatti era un figlio di Machiavelli, una mente fredda e spregiudicata nella valutazione dei mezzi. E non c’era per lui alcun fine, per quanto nobilissimo, al cui raggiungimento non dovesse rapportarsi un insieme di mezzi, che non solo in rapporto al fine, ma anche nel loro reciproco connettersi dimostrassero di essere adeguati. La sua scelta fu chiara: non parlò con nessuno del dissenso di Gramsci, non confermò i dubbi, i sospetti, ma ufficialmente ribadì la primogenitura di Gramsci come capo del partito, anzi si preoccupò di 204 Angelo Rossi tenere fuori Gramsci dalle polemiche.13 Un atteggiamento che confermò, anche dopo la morte di Gramsci, di fronte alle tentazioni di chi, mettendo sotto accusa il carteggio del ’26, pensava di evitare l’accusa tremenda di “trockijsmo”.14 2. L’ “amico crociano” Dopo la presa di posizione sulla linea del partito, precisata da Gramsci nella lettera del novembre 1931, il dialogo prosegue: Sraffa scrive a Tania il 27 dicembre,15 Tania trasmette a Gramsci il 31 dicembre, risponde Gramsci il 4 gennaio 1932. Nelle lettere a Gramsci, ritorna insistente la richiesta dello “schema sugli intellettuali”, e “se 50 pagine sono troppe, comincia a mandare una prima puntata di 10 pagine” (Tania a Gramsci, lettera del 16 febbraio ’32). Gramsci si schermisce: Per ciò che riguarda le noterelle che ho scritto sugli intellettuali italiani, non so proprio da che parte incominciare: esse sono sparse in una serie di quaderni, mescolate con altre note varie e dovrei raccoglierle tutte insieme per ordinarle. Questo lavoro mi pesa molto, perché ho spesso delle emicranie che non mi permettono la concentrazione necessaria: anche praticamente la cosa è molto faticosa per il modo e le restrizioni in cui occorre lavorare. (Gramsci a Tania, lettera del 22 febbraio ’32). Ben altra sorte ha la richiesta di una recensione della Storia d’Europa di Croce, avanzata da Tania, sempre su suggerimento di Sraffa (e Togliatti), nella successiva lettera del 12 aprile. Sull’argomento Gramsci si impegna subito e risponde già il 18 aprile, con la prima, illuminante lettera su Croce. Seguono con una cadenza settimanale le altre lettere sullo stesso tema del 25 aprile, del 2 maggio, del 9 maggio e poi un’ultima lettera del 6 giugno. Ad altre lettere di Tania del 15 giugno e del 5 luglio, che sollecitano la prosecuzione dell’analisi della filosofia e della funzione del Croce, Gramsci non risponde; ne spiegherà in seguito la ragione. C’è da notare che Sraffa, nello scrivere a Tania il 21 aprile,16 raccomanda di “insistere”; evidentemente non sa che Gramsci ha già risposto. Dopo la lettera del 25 aprile, il dialogo diventa più stringente, e c’è ancora un interlocutore anonimo. Ecco Sraffa, il 30 aprile: [...] Un amico del Croce, che lo ha visto recentemente, mi riferisce che questi gli ha detto di essere ormai convinto che “il materialismo storico non ha nessun valore, neppure come canone pratico d’interpretazione”: l’amico, che è un crociano quarantenne, non riesce ad adattarsi a quest’ultimo cambiamento e 13 Cfr. Palmiro TOGLIATTI, Scritti su Gramsci, a cura di G. Liguori, Roma, Editori riuniti, 2001: «In memoria di Gramsci» (1937), cit. pp. 45-57 e «Antonio Gramsci capo della classe operaia italiana», cit. pp. 92-96. 14 FIORI, op. cit., pp. 92-96. 15 SRAFFA, op. cit., pp. 41-43. 16 Ibid., pp. 58-59 e nota con asterisco. 205 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce vorrebbe almeno riservare un posticino all’economia. Questo è del resto evidente dalla Storia d’Europa: ma se il Croce se ne rende conto lui stesso, come potrà adesso giustificare la continuità del suo pensiero revisionista?.17 Immediatamente Tania il 5 maggio gira il quesito a Gramsci, negli stessi termini espressi da Sraffa. Ma chi è questo “amico crociano”, del quale si sente la necessità di evocare l’esistenza, addirittura con l’indicazione dell’età - “quarantenne”- cosa che sarebbe del tutto superflua se non si trattasse di richiamare l’attenzione di Gramsci su persona da lui conosciuta? D’altra parte è logico supporre che Sraffa, per scriverne a Tania, affinchè riferisse a Gramsci, deve aver parlato dell’argomento con l’amico, il quale addirittura collabora proponendo un quesito di pregnante valore politico, quello appunto relativo alla continuità del ruolo revisionistico del Croce. Ma Sraffa custodiva rigorosamente il segreto della sua missione, e non avrebbe parlato di argomenti estremamente riservati con persona che non fosse fidatissima. D’altra parte, dovendo discutere di un argomento storico che bisogno c’era di informare Gramsci che c’era un tale “crociano” che si interessava al ruolo “revisionistico” del Croce? È chiaro quindi che Sraffa volontariamente introduce questo anonimo interlocutore per sottolineare all’attenzione di Gramsci che la discussione aveva un interlocutore importante, anche se anonimo. Si può quindi fondatamente supporre che il riferimento all’ “amico crociano” fosse voluto, anche se era mimetizzato, per impedirne l’identificazione, attraverso il controllo del censore, alla polizia fascista. Sulla scorta di questi elementi, si può ritenere che “l’amico crociano, quarantenne” fosse lo stesso “amico piemontese”, cioè Togliatti. L’identificazione dell’ “amico crociano” di due anni più giovane (Togliatti appunto era nato nel 1893) doveva risultargli facile, nel ricordo delle comuni frequentazioni e degli interessi culturali maturati nel segno dell’idealismo crociano. Infatti è lo stesso Gramsci a darci una chiave di lettura in questo senso quando, riferendosi agli articoli che scriveva su «La Città futura», nel febbraio 1917 a Torino, aveva affermato: “in quel tempo [...] io ero tendenzialmente piuttosto crociano”.18 L’individuazione di Togliatti nell’ “amico crociano” ci aiuta a comprendere, da un lato, come Gramsci, nelle lettere su Croce, intendesse svolgere un intervento di “linea politica”con un originale approccio metodologico e con l’uso degli strumenti analitici messi a punto nella reclusione a Turi; d’altra parte, come i rapporti tra Gramsci e Togliatti, nonostante le gravi divergenze sull’esito della vittoria staliniana del’26 e sulla svolta del partito italiano, fossero ripresi, nel periodo del carcere, in modi segreti e fossero continuati almeno fino all’estate del ’32, cioè fino a quando si interrompe improvvisamente, per la perquisizione dell’OVRA, il carteggio su Croce.19 17 Ibid., p. 62. Antonio GRAMSCI, Quaderni dal carcere, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 1233. 19 GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit., pp. 1043-1044 e nota. 18 206 Angelo Rossi 3. Croce e i più moderni teorici della filosofia della praxis La ragione per la quale la recensione della Storia d’Europa si era caricata di tanto significato politico può essere individuata, sulla scorta di quel che scrive Gramsci nel Quaderno 7, § 26 sul Saggio popolare: Registro degli intellettuali la cui filosofia viene combattuta con qualche diffusione e annotazione del loro significato e importanza scientifica. Accenni a grandi intellettuali fugacissimi. Si pone la questione: non occorreva invece riferirsi solo ai grandi intellettuali e magari ad uno solo di essi e trascurare i secondari? Si ha l’impressione appunto che si cerchi di combattere contro i più deboli e magari contro le posizioni più deboli (o più inadeguatamente espresse dai più deboli) per ottenere una facile vittoria [...] Illusione che ci sia somiglianza (altro che formale) tra un fronte ideologico e un fronte politico-militare. Nella lotta politica e militare può convenire la tattica di sfondare nei punti di minor resistenza per essere in grado di investire il punto più importante col massimo delle forze reso appunto più disponibile dall’aver eliminato gli “ausiliari” più deboli ecc. La vittoria politica e militare, entro certi limiti è permanente, il fine strategico può essere raggiunto in modo, entro certi limiti, decisivo. Sul fronte ideologico, invece, la sconfitta degli ausiliari e dei minori seguaci ha importanza infinitamente minore: in esso bisogna lottare contro i più eminenti e non contro i minori.20 Gramsci critica l’impostazione che Bucharin, nel Manuale popolare di sociologia marxista, dà alla lotta ideologica, lotta che Bucharin propone sia svolta con gli stessi metodi messi in atto nella lotta politica e sul piano militare. Per Gramsci è illusorio stabilire una “somiglianza” tra i due “fronti di lotta”. Da questa fondamentale posizione di metodo bisogna partire per un paziente lavoro filologico che ricostruisca, attraverso la verifica delle concordanze tra il Quaderno 8 e le Lettere dal carcere sull’argomento Croce, non solo la gestazione del pensiero di Gramsci su un punto centrale dei Quaderni, la filosofia di Benedetto Croce, ma anche il valore di pregnante attualità politica che egli attribuiva alla questione. Vediamo: § 225: Punti per un saggio su Benedetto Croce. Quali sono gli interessi intellettuali e morali (e quindi sociali) che predominano oggi nell’attività culturale del Croce? Per comprenderli occorre ricordare l’atteggiamento del Croce verso la guerra mondiale. Egli lottò contro l’impostazione popolare (e la conseguente propaganda) che faceva della guerra una guerra di civiltà e quindi a carattere religioso. Dopo la guerra viene la pace e la pace può costringere a aggruppamenti ben diversi da quelli della guerra; ma come sarebbe possibile una colla- borazione tra popoli dopo lo scatenamento dei fanatismi “religiosi” della guerra? Il Croce vede nel momento della pace quello della guer- 20 GRAMSCI, Quaderni dal carcere, cit. p. 875. 207 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce ra, e nel momento della guerra quello della pace, e lotta perché la (possibilità di) mediazione tra i due momenti non sia mai distrutta. Nessun criterio immediato di politica può essere innalzato a principio universale.21 Lettera a Tania del 18 aprile 1932: [...] La prima questione da porre potrebbe essere questa: quali sono gli interessi culturali oggi predominanti nell’attività letteraria e filosofica del Croce, se essi sono di carattere immediato, e di portata più generale e rispondenti a esigenze più profonde che non siano quelle nate dalle passioni del momento. La risposta non è dubbia; l’attività del Croce ha origini lontane e precisamente dal tempo della guerra. Per comprendere i suoi ultimi lavori occorre rivedere i suoi scritti sulla guerra.[...] Il loro contenuto essenziale può essere brevemente riassunto così: lotta contro l’impostazione data alla guerra sotto l’influenza della propaganda francese e massonica, per la quale la guerra divenne una guerra di civiltà, una guerra tipo “Crociata” con lo scatenamento di passioni popolari a carattere di fanatismo religioso. Dopo la guerra viene la pace, cioè al conflitto deve succedere una ricollaborazione dei popoli non solo, ma ai raggruppamenti bellici succederanno raggruppamenti di pace e non è detto che i due coincidano; ma come sarebbe possibile questa ricollaborazione generale e particolare, se un criterio immediato di politica utilitaria diventa principio universale e categorico? Occorre, quindi, che gli intellettuali resistano a queste forme irrazionali di propaganda e, pur non indebolendo il loro paese in guerra, resistano alla demagogia e salvino il futuro. Il Croce vede sempre nel momento della pace il momento della guerra e nel momento della guerra quello della pace e rivolge la sua operosità a impedire che sia distrutta ogni possibilità di mediazione e di compromesso tra i due momenti.22 Fin qui i due testi concordano, poi Gramsci nella lettera riprende: Praticamente la posizione del Croce ha permesso agli intellettuali italiani di riannodare i rapporti con gli intellettuali tedeschi, cosa che non è stata e non è facile per i francesi e i tedeschi, quindi l’attività crociana è stata utile allo Stato italiano nel dopoguerra quando i motivi più profondi della storia nazionale hanno portato alla cessazione dell’alleanza militare franco-italiana e a uno spostamento della politica contro la Francia per il riavvicinamento alla Germania. Così il Croce, che non si è mai occupato di politica militante nel senso dei partiti, è diventato ministro dell’Istruzione Pubblica nel governo Giolitti del 1920-21. Ma è finita la guerra? ed è finito l’errore di innalzare indebitamente criteri particolari di politica immediata a principi generali, di dilatare le ideolo- 21 22 Ibid., p. 1082. GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit. pp. 974-975. 208 Angelo Rossi gie fino a filosofie e religioni? No, certamente; quindi la lotta intellettuale e morale continua, gli interessi permangono ancora vivaci ed attuali e non bisogna abbandonare il campo. Ancora nel § 225 Quaderno 8: Croce come leader delle tendenze revisionistiche: nel primo momento (fine dell’800, ispiratore del Bernstein e del Sorel); e in questo secondo momento, non più di revisione ma di liquidazione (storia etico-politica contrapposta a storia economico-giuridica). Il punto viene ripreso nella stessa lettera del 18 aprile nel modo seguente: La seconda questione è quella della posizione occupata dal Croce nel campo della cultura mondiale. Il Croce già prima della guerra occupava un posto molto alto nella stima dei gruppi intellettuali di tutti i paesi. Ciò che è interessante è che nonostante l’opinione comune, la sua fama era maggiore nei paesi anglosassoni che in quelli tedeschi [...]. Il Croce [...] ha un alto concetto di questa sua posizione di leader della cultura mondiale e delle responsabilità e dei doveri che essa porta con sé. È evidente che i suoi scritti presuppongono un pubblico mondiale di élite. Occorre ricordare che negli ultimi anni del secolo scorso gli scritti crociani di teoria della storia (e precisamente Materialismo storico ed economia marxista) hanno dato le armi intellettuali ai due massimi movimenti di “revisionismo” del tempo, di Edoardo Bernstein in Germania e del Sorel in Francia. Il Bernstein ha scritto egli stesso di essere stato indotto a rielaborare tutto il suo pensiero filosofico ed economico dopo aver letto i saggi del Croce. L’intimo legame del Sorel col Croce era noto, ma quanto fosse profondo e tenace è apparso dalla pubblicazione delle lettere del Sorel, il quale si mostra spesso intellettualmente subordinato al Croce in modo sorprendente. Ma il Croce ha portato ancora più oltre la sua attività revisionistica e ciò specialmente durante la guerra e specialmente dopo il 1917.[...] Mi pare che il Croce tiene più di tutto a questa sua posizione di leader del revisionismo e che in ciò egli intenda essere il meglio della sua attuale attività. In una breve lettera scritta al prof. Corrado Barbagallo e pubblicata nella «Nuova Rivista Storica» [...] egli esplicitamente dice che tutta l’elaborazione della sua teoria della storia come storia etico-politica [...] è rivolta ad approfondire il suo revisionismo di quaranta anni fa. E prosegue così il discorso in parallelo nel Quaderno 8 e nelle Lettere: Quaderno 8 §225 “Perchè il Croce è “popolare” e come e per quali vie si diffonde non il suo pensiero centrale, ma determinate sue soluzioni di problemi particolari. Stile del Croce - paragone errato con Manzoni - la prosa del Croce deve essere riattaccata alla prosa scientifica del Galilei - atteggiamento goethiano nel dopoguerra, cioè mentre tanta gente perde la testa, il Croce è imperturbabi209 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce le nella sua serenità e nella sua credenza che metafisicamente il male non può prevalere e che la storia è razionalità. Perciò Croce popolare tra gli anglosassoni che hanno sempre preferito una concezione del mondo non a grandi sistemi, come i tedeschi, ma che si presenti come espressione del senso comune, come soluzione di problemi morali e pratici. Il Croce fa circolare il suo pensiero idealistico in tutti i suoi scritti minori, ma ognuno di essi si presenta come a se stante, e sembra accettabile anche se non si accetta il sistema [...]. Lettera del 25 aprile ’32: [...] Ti scrivo un paragrafo anche questa volta [...] Una questione molto interessante mi pare quella che si riferisce alle ragioni della grande fortuna che ha avuto l’opera di Croce, ciò che non avviene di solito ai filosofi durante la loro vita. [...] Una delle ragioni mi pare da ricercare nello stile. È stato detto che il Croce è il più grande prosatore italiano dopo il Manzoni. [...] La prosa di Croce non deriva da quella del Manzoni, quanto invece dai grandi scrittori di prosa scientifica, e specialmente dal Galilei. La novità del Croce, come stile, è nel campo della prosa scientifica, nella sua capacità di esprimere con grande semplicità e con grande nerbo insieme, una materia che di solito, negli altri scrittori, si presenta in forma farraginosa, oscura, stiracchiata, prolissa. Lo stile letterario esprime uno stile adeguato nella vita morale, un atteggiamento che si può chiamare goethiano di serenità, compostezza, sicurezza imperturbabile. Mentre tanta gente perde la testa e brancola tra sentimenti apocalittici di panico intellettuale, Croce diventa un punto di riferimento per attingere forza interiore per la sua incrollabile certezza che il male metafisicamente non può prevalere e che la storia è razionalità [...].23 Nella stessa lettera sono evidenti i riferimenti ai punti 3 e 7 del richiamato §225. Gramsci non richiama i punti 4, 5 e 6, perché tiene a sviluppare l’argomentazione, con grande forza di persuasione, concentrandosi sull’essenziale. Infatti esamina il concetto di storia “etico-politica” nel § (227) dello stesso Quaderno 8: Cosa significa storia “etico-politica”? Storia dell’aspetto, “egemonia” nello Stato e, poiché gli intellettuali hanno la funzione di rappresentare le idee che costituiscono il terreno in cui l’egemonia si esercita, storia degli intellettuali, anzi dei grandi intellettuali, fino al massimo, a quell’intellettuale che ha espresso il nucleo centrale d’idee che in un dato periodo sono dominanti. Poiché “egemonia “ significa un determinato sistema di vita morale (concezione della vita) ecco che la storia è storia “religiosa”, secondo il principio “Stato-Chiesa “ del Croce.24 23 24 Ibid., pp. 983-984. GRAMSCI, Quaderni dal carcere, cit. p. 1084. 210 Angelo Rossi Di fondamentale importanza è la lettera del 2 maggio, nella quale Gramsci, scrivendo alla cognata, ma in realtà rivolgendosi al suo vero interlocutore, Togliatti, precisa: Non so se ti manderò mai lo schema che ti avevo promesso sugli intellettuali italiani. Il punto di vista da cui osservo la questione muta talvolta: forse è ancora presto per riassumere e sintetizzare. Si tratta di materia ancora allo stato fluido, che dovrà subire una elaborazione ulteriore.25 In realtà Gramsci sta lavorando alla redazione dello “schema”, che si può, sulla base della ricostruzione e dei riscontri della edizione critica dei Quaderni curata dal Gerratana, individuare nel Quaderno 12. Gramsci continua quindi su un punto molto delicato relativo al dialogo apertosi, per “via letteraria” con il partito. Egli chiarisce che il suo contributo dal carcere deve avere un carattere politico, pur investendo fondamentalmente la sfera teorica e la strategia del partito; in quanto allo schema sulla storia degli intellettuali ribadisce che questo non è un impegno specialistico di ricerca storica, ma un tema che fa parte dell’elaborazione complessiva che egli sta sviluppando nel carcere di Turi. Da quanto scrive alla cognata si può trarre un’altra utile indicazione: che il materiale dei Quaderni, nelle intenzioni di Gramsci, dovesse essere destinato ad una comunicazione tematica, secondo modi e tempi determinati dalla condizione carceraria, legati all’eventuale conclusione del periodo di detenzione e al possibile ritorno all’attività politica, nonché all’evolversi dei rapporti con il partito. Dopo la premessa relativa allo schema sugli intellettuali, Gramsci sviluppa il suo discorso, in continuità non solo con le lettere precedentemente inviate sull’argomento Croce, ma anche in coerenza con l’indicazione metodologica del Quaderno 7 (§ 26), con la rivendicazione della validità della linea del Congresso di Lione e del saggio Alcuni temi sulla questione meridionale scritto nel ’26, pubblicato su «Stato operaio» solo nel gennaio del 1930.26 Ti posso ancora fissare qualche punto di orientamento [...] - scrive Gramsci alla cognata - [...] anche se queste note sono un po’ scucite, penso che ti potranno essere utili lo stesso. [...] Ho già accennato alla grande importanza che il 25 GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit., pp. 993-994. GRAMSCI, La costruzione del Partito Comunista, cit. pp. 137-158. Anche la pubblicazione di questo saggio ha avuto una sua storia: Gramsci ne segnala l’importanza alla cognata in una lettera del 19 marzo 1927, quando è rinchiuso nel carcere di S.Vittore a Milano, in attesa di processo. Infatti, esponendo i suoi programmi di studio, inserisce una domanda apparentemente insignificante: “Ricordi il rapidissimo e superficialissimo mio scritto sull’Italia meridionale e sull’importanza di Benedetto Croce?” Mi sembra evidente che Tatiana, avendo interessi e conoscenze in campi tutt’affatto diversi e non essendosi certamente mai occupata né della questione meridionale, né della filosofia di Benedetto Croce, dovesse reperire la domanda del cognato come una segnalazione a rintracciare lo scritto e ad indicarne l’importanza al partito. La pubblicazione del saggio su «Stato operaio» fu certamente una decisione redazionale in cui si diceva che l’articolo veniva pubblicato, “così come è venuto in nostro possesso, dopo mille vicende”. 26 211 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce Croce assegna alla sua attività teorica di revisionista e come, per sua stessa ammissione esplicita, tutto il suo lavorio di pensatore in questi ultimi venti anni sia stato guidato dal fine di completare la revisione fino a farla diventare liquidazione. Come revisionista egli ha contribuito a suscitare la corrente della storia economico-giuridica [...]; oggi ha dato forma letteraria a quella storia che egli chiama etico-politica, di cui la Storia d’Europa dovrebbe essere il paradigma”. Qui Gramsci entra nel vivo della sua contestazione alla linea dell’IC (siamo nel ’32) e alla subordinazione del PCd’I; riprende in sostanza il filo della sua lettera al PC russo, scritta nel ’26, a nome del PC d’I., senza però mai richiamare questo precedente e dando al suo discorso un indirizzo positivo di ricerca e di costruzione di una risposta teorica e politica al tempo stesso, valida per il partito e per l’intiero movimento. Seguiamo Gramsci, nella sua illuminante argomentazione: In che consiste l’innovazione portata dal Croce, ha essa quel significato che egli le attribuisce e specialmente ha quel valore “liquidatore” che egli pretende? Si può dire concretamente che il Croce, nell’attività storico-politica, fa battere l’accento unicamente su quel momento che in politica si chiama dell’ “egemonia”, del consenso, della direzione culturale, per distinguerlo dal momento della forza, della costrizione, dell’intervento legislativo e statale o poliziesco. In verità non si capisce perché il Croce creda alla capacità di questa sua impostazione della teoria della storia di liquidare definitivamente ogni filosofia della praxis. È avvenuto proprio che nello stesso periodo in cui il Croce elaborava questa sua sedicente clava, la filosofia della praxis, nei suoi più grandi teorici moderni,veniva elaborata nello stesso senso e il momento dell’ “egemonia” o della direzione culturale era appunto sistematicamente rivalutato in opposizione alle concezioni meccanicistiche e fatalistiche dell’economismo. È stato anzi possibile affermare che il tratto essenziale della più moderna filosofia della praxis consiste appunto nel concetto storico-politico di “egemonia”. È necessario a questo punto analizzare questo straordinario passo di Gramsci, e confrontarlo con la lettera indirizzata al CC del Partito comunista sovietico nell’ottobre 1926 e la successiva lettera a Togliatti del 26 ottobre 1926, scritte appena pochi giorni prima dell’arresto di Gramsci.27 Tra questi scritti di Gramsci c’è una stretta relazione, che è tutta sviluppata intorno al concetto di “egemonia”, o della “direzione culturale”, come Gramsci insistentemente sottolinea e richiama. La funzione di Lenin, come “grande teorico moderno della filosofia della praxis”si era manifestata, contro le interpretazioni meccanicistiche e fatalistiche del 27 Ibid., pp. 124-137. 212 Angelo Rossi marxismo, nell’affermare un nesso volontà-intelligenza, fondamentale per l’azione rivoluzionaria: “la rivoluzione contro Il Capitale era stata possibile, perché Lenin e il partito bolscevico che si esprimeva attraverso il suo sperimentato gruppo dirigente, avevano individuato la sfera del politico, come la sfera della creazione rivoluzionaria, cioè della costruzione, autonoma rispetto alle condizioni materiali, della “egemonia”, della realizzazione di un blocco storico imperniato sull’alleanza fra il proletariato e i contadini, possibile solo perché fondata sulla direzione “culturale” e quindi politica della classe operaia. Questa alleanza aveva caratteri di espansività tali, da svilupparsi sia attraverso l’impegno degli intellettuali organici”, sia di buona parte di quelli tradizionali, immessi in un rapporto positivo con “la dittatura del proletariato” proprio per la egemonia culturale che essa esprimeva. Viene da qui l’insistenza di Gramsci sul valore della Rivoluzione d’ottobre per le classi lavoratrici. E una distinzione rispetto a Lenin. Il ’17 non era stato l’innesco di una rivoluzione mondiale, ma piuttosto la manifestazione della concreta possibilità di avviare, nel contesto di un’economia mondializzata, processi di trasformazione delle società nazionali, se si fosse formato un soggetto rivoluzionario, che di questa trasformazione si fosse fatto carico per i contenuti, per i modi e i tempi, in una costruzione non schematicamente predisposta, ma verificata nella lotta politica e sociale e nell’impegno per l’egemonia culturale. A questo punto si comprende perché Gramsci scriva nel ‘26, nel serrato scontro con Togliatti: oggi, dopo nove anni dall’ottobre 1917, non è più il fatto della presa del potere da parte dei bolscevichi che può rivoluzionare le masse occidentali, perché esso è già stato scontato ed ha prodotto i suoi effetti; oggi è attiva, ideologicamente e politicamente, la persuasione (se esiste) che il proletariato, una volta preso il potere, può costruire il socialismo. La questione che pone Gramsci è essenziale: non è la conquista del potere da parte dei bolscevichi (il partito) che produce la spinta propulsiva per le masse occidentali, ma la convinzione che il proletariato (la classe rivoluzionaria) possa costruire il socialismo. Ciò è possibile solo se si esercita l’egemonia, cioè solo se si abbandona il terreno del corporativismo, se il proletariato si pone dal punto di vista degli interessi generali della società, facendosi portatore di una riforma morale e intellettuale di questa. Questo è il filo rosso che lega il carteggio del ’26 ai Quaderni, e che carica di significato politico la prosecuzione di quel lontano carteggio, che è la serie di lettere su Croce, indirizzate a Tania, ma dirette al partito, attraverso il canale ben noto del passaggio da Tania a Sraffa e da questi a Togliatti. Naturalmente la redazione degli appunti su Croce, sia coeva allo scambio di lettere che successiva, assume un rilievo diverso, non di solo contraddittorio con una grande figura del pensiero filosofico contemporaneo, ma di linea alternativa rispetto a quella imposta da Stalin all’IC e ai partiti comunisti, a quella perseguita in Unione Sovietica, “la realizzazione del socialismo in un solo paese”. Che questo 213 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce dovesse essere il senso della lettera appare anche da altri due riferimenti che a Togliatti dovevano sembrare chiarissimi: l’insistenza di Gramsci sull’importanza della “direzione culturale” rispetto al “momento della forza, dell’intervento legislativo e statale o poliziesco” e il fatto che “la filosofia della praxis, nei suoi più grandi teorici moderni, veniva elaborata nel senso della rivalutazione del momento dell’ “egemonia” o della direzione culturale. Gramsci procede ad una affermazione perentoria: “È stato anzi possibile affermare che il tratto essenziale della più moderna filosofia della praxis consiste appunto nel concetto storico politico di “egemonia”. Che significano queste espressioni? Certo Gramsci non vuole indicare Lenin e Stalin come i più grandi teorici moderni della filosofia della prassi, ma vuole richiamare all’attenzione dell’interlocutore la necessità che, di fronte alla complessità del mondo moderno e alle sue inedite sfide, vi sia un ulteriore sviluppo del marxismo teorico. Il procedimento è quello indotto dall’esempio de Il Principe di Machiavelli. Con il suo linguaggio allusivo e metaforico Gramsci non si riferiva a persone, ma voleva indicare una nuova frontiera dell’impegno teorico e dell’azione rivoluzionaria. E la domanda a Togliatti è implicita nel ragionamento: “Ti pare che con i metodi fin qui perseguiti nell’URSS, si stia sviluppando l’egemonia della classe operaia, che la costruzione del socialismo possa attuarsi in questo modo?”. La domanda risulterebbe tanto più pertinente in quanto Gramsci tende a salvare la Rivoluzione d’ottobre, anzi a porre la sua elaborazione come legittima continuazione dell’impresa di Lenin; e quindi è possibile riconoscere senz’altro come “il più grande teorico moderno della filosofia della prassi”sia Lenin e che lo sviluppo storico deve avvenire nel senso del cammino da Lenin indicato. Tenendo conto delle osservazioni di G. Francioni (Proposte per una nuova edizione dei “Quaderni del carcere Prima stesura”) circa i rapporti esistenti tra i Punti per un saggio su Croce del Quaderno 8, le lettere del 18 aprile, del 25 aprile del 1932, e la successiva redazione de La filosofia di Benedetto Croce-Quaderno 10, si può constatare che le argomentazioni che Gramsci sviluppa sulla funzione di Croce sono già contenute nel § 225 del Quaderno 8. Nella lettera del 2 maggio, Gramsci introduce un elemento nuovo, non sviluppato nella prima stesura dei Punti per un saggio su Benedetto Croce del Quaderno 8, che ha un carattere più immediatamente politico (come abbiamo già visto) e che assume un grande rilievo nel dibattito politico, di contestazione, in riferimento alla politica di Lione, delle scelte successive adottate dal PCI al Congresso di Colonia, che aveva accettato l’indirizzo impresso da Stalin alla politica dell’IC. Questo elemento non ha un carattere polemico, ma è strutturale nell’impianto della elaborazione gramsciana, tanto da essere ripreso e approfondito nella posteriore redazione del Quaderno 10 e segnatamente nel paragrafo 12.28 Ma a conferma diretta che il canale della “via letteraria” stava funzionando benissimo ai fini della comunicazione politica c’è la lettera di Gramsci a Tania del 23 maggio 1932, nella quale Gramsci dice alla cognata di comunicare a Sraffa (e 28 GRAMSCI, Quaderni dal carcere, cit. pp. 1234-1235. 214 Angelo Rossi quindi al Partito) la sua volontà contraria ad ogni iniziativa diretta ad ottenere la grazia. Anche qui Gramsci fa riferimento ad un libro, a un autore, a un personaggio: il libro è Certezze di Silvio D’Amico; il personaggio al quale ricorre per riferimenti autobiografici è Federico Confalonieri: “[...] si parla di una domanda di grazia, inviata da Federico Confalonieri all’imperatore d’Austria [...] Il D’Amico [...] ne dà cenni come dello scritto di un uomo ridotto al massimo grado di avvilimento e di abiezione”. In quel cruciale anno 1932 il prigioniero di Turi, solo, malato, sottoposto alla lima di una durissima condizione carceraria, impostagli dal regime fascista, mentre con grande vigore intellettuale si impegna nel dibattito su Croce, manda al Partito un chiaro messaggio: egli non chiederà mai la grazia a Mussolini e al fascismo, perchè questo significherebbe per lui “ridursi al massimo grado di avvilimento e di abiezione”. 4. Gramsci, Croce e Stalin: la necessità di un anticroce e di un nuovo antiduhring Ritorniamo alla sequenza cronologica delle lettere e al raffronto tra queste e gli appunti contenuti nel Quaderno 8, e poi sviluppati organicamente nel Quaderno 10. Nella lettera del 9 maggio 1932, dopo la improvvisa torsione politica, con il richiamo ai “più moderni teorici della filosofia della praxis”, che l’argomentazione ha presentato nella precedente lettera citata del 2 maggio, Gramsci sviluppa ampiamente il tema. Non dobbiamo dimenticare che Gramsci ha approfondito le sue critiche al saggio popolare di Bucharin, cioè La théorie du materialisme historique-Manuel populaire de sociologie marxiste, considerato da Gramsci come indicativo di una interpretazione deformata in senso materialistico “volgare” e positivistico del marxismo, ma diffuso in URSS come opera canonica: precisamente negli Appunti di Filosofia: Prima serie del Quaderno 4, scritto negli anni ’30-’32, negli Appunti di Filosofia: Seconda serie del Quaderno 7, redatto negli stessi anni, negli Appunti di Filosofia: Terza serie del Quaderno 8, tra i quali si trovano anche quelli relativi ai Punti per un saggio su Benedetto Croce coevi alle lettere sullo stesso argomento. A scanso di equivoci, occorre precisare che Gramsci scriveva su un testo considerato esemplare, molto prima che il suo sfortunato autore, Bucharin, figura peraltro di grande rilievo politico e culturale, cadesse vittima delle repressioni staliniane nel 1938. D’altra parte, si può esaminare il celebre scritto Materialismo dialettico e materialismo storico attribuito a Stalin e inserito nella Storia del PC(b) dell’URSS, oggetto di studio, ancora negli anni ’50, nelle scuole di partito del PCI, per capire la distanza esistente tra le due interpretazioni del marxismo, quella di Gramsci e quella ufficialmente dichiarata nell’Unione Sovietica, il “marxismo-leninismo”. Gramsci risponde all’ “amico crociano”, “quarantenne”, che attraverso Sraffa e Tania, gli ha chiesto quale fosse il posto dell’economia nella “storia” del Croce. 215 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce Ti ho già scritto che tutto il lavoro storiografico del Croce negli ultimi venti anni è stato rivolto ad elaborare una teoria della storia come storia eticopolitica in contrapposizione alla storia economico-giuridica che rappresentava la teoria derivata dal materialismo storico dopo il processo revisionistico, che esso aveva subito ad opera del Croce stesso. Ma la storia del Croce è poi etico-politica? Mi pare che la storia del Croce non possa essere chiamata che storia “speculativa” o “filosofica” e non etico-politica e in questo suo carattere e non nell’essere etico-politica è la sua opposizione al materialismo storico. Gramsci prosegue: Una storia etico-politica non è esclusa dal materialismo storico in quanto essa è la storia del momento “egemonico”, mentre è esclusa la storia “speculativa” come ogni filosofia “speculativa”. Nella sua elaborazione filosofica il Croce dice di aver voluto liberare il pensiero moderno da ogni traccia di trascendenza, di teologia e, quindi, di metafisica in senso tradizionale. [...] Ma la sua filosofia è una filosofia “speculativa”e in quanto tale continua in pieno la trascendenza e la teologia con un linguaggio storicistico. Il Croce è così immerso nel suo metodo e nel suo linguaggio che non può giudicare che secondo essi; quando egli scrive che nella filosofia della praxis la struttura è come un dio ascoso, ciò sarebbe vero se la filosofia della praxis fosse una filosofia speculativa e non uno storicismo assoluto, liberato davvero e non solo a parole, da ogni residuo trascendentale e teologico.29 La lunga citazione della lettera del 9 maggio ci permette di approfondire il senso della discussione da Gramsci sviluppata. Abbiamo visto che le considerazioni sulla filosofia di Benedetto Croce erano state sollecitate da Sraffa (e da Togliatti); che Gramsci aveva colto l’occasione che gli dava l’apertura della “via letteraria” per sviluppare un intervento politico, partendo però dalla teoria della storia, nel confronto tra l’idealismo crociano e la filosofia della praxis. Ma c’è un terzo termine di questa discussione e Gramsci lo introduce in questa lettera, rispondendo all’ “amico crociano”, cioè a Togliatti che gli chiedeva quale fosse il posto dell’economia nella storia. Questo terzo termine è appunto quello che poi sarebbe stato chiamato il diamat, “il materialismo dialettico”, ovvero il marxismo-leninismo, cioè la “ideologia”, la interpretazione materialistica realistica e positivistica della filosofia della praxis. L’economia, la struttura non hanno un posto a sé, predeterminato e determinante, ma si risolvono, sono nella storia degli uomini, fanno blocco con essa, e quindi chiedersi quale posto vi debba essere per l’economia nella storia significa ricadere nella vecchia filosofia della trascendenza anche se con un linguaggio materialistico che fa da pendant al linguaggio storicistico, con il quale Croce ammanta la sua filosofia speculativa. 29 GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit., p. 1000. 216 Angelo Rossi E chiarisce il doppio senso della polemica gramsciana il § 225 del Quaderno 8, scritto contemporaneamente ai Punti per un saggio su Croce che, ripetiamo, sono serviti da promemoria per la stesura delle lettere: [...] Sono da rivedere e da criticare tutte le teorie storicistiche di carattere speculativo. Da questo punto di vista bisognerebbe scrivere un nuovo Antiduhring che potrebbe essere un Anticroce, poiché in esso potrebbe riassumersi non solo la polemica contro la filosofia speculativa, ma anche implicitamente, quella contro il positivismo e le teorie meccanicistiche, deteriorazione della filosofia della praxis.30 Continuiamo nel raffronto tra il testo delle lettere e quello del Quaderno 8. Gramsci, nella stessa lettera del 9 maggio così prosegue: Legata a questo punto è un’altra osservazione che più da vicino riguarda la concezione e la composizione della Storia d’Europa. Può pensarsi una storia unitaria dell’Europa che si inizi dal 1815, cioè dalla Restaurazione? Se una storia d’Europa può essere scritta come formazione di un blocco storico, essa non può escludere la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, che del blocco storico europeo sono la premessa ‘economico-giuridica’, il momento della forza e della lotta. Il Croce assume il momento seguente, quello in cui le forze scatenate precedentemente si sono equilibrate, “catartizzate” per così dire, fa di questo momento un fatto a sé e costruisce il suo paradigma storico. Lo stesso aveva fatto con la Storia d’Italia: incominciando dal 1870 essa trascurava il momento della lotta, il momento economico, per essere apologetica del momento puro etico-politico, come se questo fosse caduto dal cielo.31 Ora è evidente che Gramsci continua il suo intervento di linea, ricorrendo ad una analogia tra Rivoluzione francese e Rivoluzione d’ottobre. L’analogia non è esplicita, ma è trasparente, perché si legge, “non si può escludere dalla storia d’Europa considerata come “blocco storico” la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche”, non può non istituire un parallelo con la Rivoluzione d’ottobre e il periodo successivo. Ma che Gramsci, in questa lettera, abbia voluto indurre l’interlocutore ad istituire un riferimento analogico è dimostrabile; nel Quaderno 8 §236: Punti per un saggio su Croce. Gramsci arricchisce le considerazioni poi riportate nella lettera del 9 maggio 1932 con un “riferimento attuale “come egli stesso afferma. Vale la pena riportare il passo gramsciano: Posto che la Storia d’Europa è come un paradigma per la cultura mondiale di storia etico-politica, la critica del libro necessaria: si può osservare che la “gherminella fondamentale” del Croce, consiste in ciò: nell’iniziare la sua storia dopo la caduta 30 31 GRAMSCI, Quaderni dal carcere, cit. p. 1088. GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit., p. 1001. 217 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce di Napoleone. Ma esiste il sec. XIX senza la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche? Gli avvenimenti dal Croce possono essere concepiti organicamente senza questi precedenti? Il libro del Croce è un trattato di rivoluzioni passive, per dirla con l’espressione del Cuoco, che non possono giustificarsi e comprendersi senza la Rivoluzione francese, che è stata un evento europeo e mondiale e non solo francese. (Può avere questa trattazione un riferimento attuale? Un nuovo “liberalismo”, nelle condizioni moderne, non sarebbe poi precisamente il “fascismo”? Non sarebbe poi il fascismo precisamente la forma di “rivoluzione passiva” propria del sec. XX come il liberalismo lo è stato del sec. XIX? [...] Si potrebbe così concepire: la rivoluzione passiva si verificherebbe nel fatto di trasformare la struttura economica “riformisticamente” da individualistica a economia secondo un piano (economia diretta) e l’avvento di una “economia media” tra quella individualistica pura e quella secondo un piano in senso integrale permetterebbe il passaggio a forme politiche e culturali più progredite senza cataclismi radicali e distruttivi in forma sterminatrice. Il “corporativismo” potrebbe essere o diventare, sviluppandosi, questa forma economica media di carattere “passivo”). Questa concezione potrebbe essere avvicinata a quella che in politica si può chiamare “guerra di posizione “in opposizione alla guerra di movimento: così nel ciclo storico precedente la Rivoluzione francese sarebbe stata “guerra di movimento” e l’epoca liberale nel sec. XIX una lunga “guerra di posizione.32 Come si vede nella lettera del 9 maggio Gramsci suggerisce l’analogia tra le due Rivoluzioni, ma non sviluppa il tema che viene invece affrontato politicamente per la prima volta nel § 236 del Quaderno 8. È questo un punto di estrema difficoltà interpretativa. Perché Gramsci nello scrivere a Tania (ma, lo sappiamo, dietro Tania c’erano Sraffa e Togliatti) lascia “nella penna” la nuova, sconvolgente definizione del fascismo come “rivoluzione passiva”, quale invece si trova in quei Punti per un saggio su Croce del Quaderno 8 che sono stati la linea guida per la stesura delle lettere su Croce e quindi per lo sviluppo dell’ultimo grande dibattito con Togliatti, attraverso la “via letteraria” che di lì a poco sarà interrotta? Perché Gramsci non procede ad esporre, nella lettera ed in quelle successive, le conclusioni alle quali è giunto nella trattazione del Quaderno 8, che saranno riprese e sviluppate organicamente nel Quaderno 10, La filosofia di Benedetto Croce? È trattenuto dalla considerazione degli effetti negativi quali, con ogni probabilità, sarebbero stati prodotti nel partito dall’audacia della sua concezione dei processi storici in atto nella società italiana? Avverte che la comunicazione è già andata troppo avanti e che da un momento all’altro i suoi carcerieri potrebbero rendersi conto che, sotto i loro occhi, si sta svolgendo una comunicazione tra i massimi dirigenti del partito comunista? Oppure ritiene opportuno che la comunicazione si svolga in modo più mediato, più “filosofico”, che sono necessari tempi più lunghi? Non lo sappiamo, perché di lì a poco e precisamente con la lettera del 12 luglio 1932, Gramsci annunzia alla 32 GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit., pp. 1088-1089. 218 Angelo Rossi cognata, con termini inequivocabili, che la comunicazione è stata interrotta per l’intervento della censura carceraria: Carissima Tania, questa settimana non ho potuto leggere nessun tuo scritto. Una tua lettera raccomandata è certamente giunta, perché è stata aperta in mia presenza per vedere se vi fossero contenuti dei valori, ma non mi è stata ancora consegnata. E qui Gramsci rimbrotta la cognata in un modo che risulterebbe inspiegabile, se non fosse un tentativo di evitare il peggio. Infatti per tutto il periodo riguardante il carteggio su Croce il dialogo con la cognata era stato caratterizzato da grande intesa, comprensione, elevata sensibilità. Il duro, incredibile rimprovero è un segnale di allarme, che deve essere captato immediatamente: Carissima, parecchie volte ti ho scritto che spesso non ti rendi conto perfettamente di quali siano le mie condizioni di esistenza e che dimentichi che cosa è un carcerato. Così altre volte ti ho scritto che il troppo zelo è nocivo invece di essere giovevole. Forse avrei dovuto insistere un po’ di più, ma talvolta mi faceva cader le braccia il vedere come tu non riuscissi a comprendere le mie insistenze. Credo utile perciò di insistere ancora una volta, avvertendoti: 1° Che nelle tue lettere è bene che tu non mi parli di altro che delle cose familiari, nella forma più chiara e perspicua che è possibile. Naturalmente devi pensare che chiarezza deve essere intesa non solo per me, ma per chiunque altro può leggere la lettera, senza conoscere i fatti a cui ti riferisci, chiaro significa appunto che non presenti niente che non possa apparire come tale.33 Vi fu leggerezza o ingenuità da parte di Tatiana in quegli accenni ad una recensione sulla Storia d’Europa, o vi fu qualcosa di più grave, e non certo da parte di Tatiana? Ancora dubbi. Di certo, aveva così termine il più significativo ed impegnato tentativo di stabilire una comunicazione su questioni relative alla linea politica del partito comunista e della stessa IC. Ma Gramsci se dovrà rinunciare a comunicare per la “via letteraria” le implicazioni politiche della sua analisi del fascismo come forma moderna della “rivoluzione passiva”, continuerà a riflettere e ad elaborare sulla strategia. Mentre ancora nell’ultimo Congresso del PCI a Colonia si prevedeva una futura, prossima crisi del regime fascista e si annunciava la rivoluzione proletaria, quando la soggezione alla direzione staliniana inchiodava l’azione dei partiti comunisti alla nefasta formula del “socialfascismo”e nello stesso tempo si profilava l’agonia della Repubblica di Weimar e il nazismo era alle porte, Gramsci analizzava le ragioni del consenso nei confronti del regime fascista, ragioni economiche, sociali, politiche, culturali; ricercava il dialogo con il suo partito, perché l’obiettivo della Costituente fosse al centro dell’azione del partito comunista, in 33 GRAMSCI-SCHUCHT, op. cit., p. 1044. Cfr. anche nota alla stessa pagina e la testimonianza di Fontana e Garuglieri sull’improvviso inasprimento dei controlli nel carcere. 219 Tra Gramsci e Togliatti. L’ultimo dibattito: le lettere su Croce quanto capace di incidere sul blocco che si esprimeva nel fascismo e di romperlo: questo era, nel pensiero di Gramsci, il passaggio necessario per avviare una nuova fase democratica, in cui tornassero ad essere protagoniste le classi lavoratrici, svegliate dalla “rivoluzione passiva”. 220