di Elisa Giovanatti In un episodio satirico di Tonkünstlers Leben

LA SCENA DELLA GOLA DEL LUPO DEL FREISCHÜTZ DI WEBER: MUSICA
E SCENOGRAFIA
di Elisa Giovanatti
Se esiste un potere oscuro e ostile che immette a tradimento un filo nel
nostro cuore col quale poi ci afferra e ci trascina su una via pericolosa
e mortale che altrimenti non avremmo battuto… se un potere siffatto
esiste, deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, deve anzi diventare il nostro io: soltanto così infatti possiamo crederci e concedergli quello spazio di cui ha bisogno per compiere quell’opera segreta.
(E. T. A. Hoffmann, L’uomo della sabbia)
WEBER E DER FREISCHÜTZ: UN QUADRO SINTETICO
In un episodio satirico di Tonkünstlers Leben (Vita di un musicista) – il romanzo
rimasto incompiuto di Weber – il protagonista si trova ad un ballo in maschera durante il quale viene inscenata una farsa inattesa: in essa compaiono in successione
tre figure femminili in cui si condensano allegoricamente i tre modelli d’opera esistenti all’inizio del secolo, e naturalmente le loro degenerazioni. Si susseguono,
fra il tripudio del pubblico, l’opera italiana e quella francese, di cui il compositore
mette in ridicolo, con una scrittura brillante, i rispettivi caratteri. Segue un momento di silenzio. A poco a poco il pubblico si fa irrequieto, ma è ancora silenzio
e l’impazienza degli spettatori si fa sempre più marcata: l’opera tedesca non ne
vuole sapere di andare in scena. Il rumoreggiare del pubblico cresce finché Hanswurst,1 imbarazzato, esausto e madido di sudore spiega:
[…] ad essere onesti, l’opera tedesca non sta affatto bene. Soffre di spasmi nervosi e
non riesce a reggersi bene in piedi. È circondata da soccorritori, ma passa da uno
svenimento all’altro. Per di più, è stata così gonfiata da tutte le ambizioni riposte su
di lei che non entra più in nessun vestito. Inutilmente gli arrangiatori si affannano
per farle indossare un abito francese o italiano; non le si adatta da nessun lato. Più
aggiungono maniche, strascichi, corpetti e via dicendo, peggio diventa.
Alla fine alcuni sarti romantici hanno avuto la felice intuizione di usare della nativa
stoffa tedesca e di cucirvi dentro, ovunque fosse possibile, tutto quanto in materia di
presagi e di fede, conflitti e sentimenti, che si sia mai dimostrato efficace ed emozionante presso le altre nazioni. Ascoltate, signore e signori! Potete sentire il tuono proprio sopra di voi, e non ci vorrà molto prima che la tempesta cominci.2
1
Il corrispettivo dell’italiano Arlecchino, presentatore dello spettacolo.
Cfr. CARL MARIA VON WEBER, Writings on music, traduzione inglese di MARTIN COOPER, a cura e
con introduzione di JOHN WARRACK, Cambridge-London-New York: Cambridge University Press,
2
1
Sullo spettacolo che subito dopo va in scena sorvoliamo. Ciò che qui importa è
quest’impressione di un’opera tedesca ancora in fieri, solo abbozzata, di cui tanto
si parla e dalla quale molto ci si aspetta ma che tarda a manifestarsi, assediata da
due grandi tradizioni dalle quali cerca anche di trarre in prestito dei panni che
spesso non le si adattano.
La situazione in effetti non era delle migliori e la mancanza di un’opera autoctona
era solo uno dei sintomi di un complesso contesto politico e culturale. Sta di fatto
che i teatri tedeschi erano letteralmente invasi dai lavori italiani e francesi, quando
non addirittura guidati da musicisti stranieri, come a Dresda con Morlacchi. Proprio nella capitale sassone giunse nel 1817 Carl Maria von Weber, con l’incarico
di guidare la formazione che si occupava della messinscena di opere in lingua tedesca (molte delle quali, fino ad allora, erano delle traduzioni di lavori stranieri).
Egli era probabilmente il musicista tedesco più dotato della propria generazione,
nonché critico musicale giovane ma autorevole, grandissimo direttore d’orchestra,
scrittore, direttore artistico. Non solo: si occupava in prima persona di ogni aspetto dello spettacolo operistico, dalla scenografia ai costumi e alle luci. Weber era
impegnato in prima persona ed instancabilmente nel processo di nascita della deutsche romantische Oper e cercava, attraverso la sua attività di critico, di promuovere i lavori autoctoni che riteneva meritevoli. Fu inoltre il primo a pubblicare
quelli che oggi sono detti ‘programmi di sala’: a Dresda, e prima a Praga, scriveva
infatti degli articoli divulgati dai giornali locali nei quali presentava gli autori e le
opere che andava a rappresentare, tentando di educare in questo modo (e anche attraverso la stessa scelta del lavori da mettere in scena) il gusto del pubblico e di
prepararlo all’avvento di una nuova opera nazionale.
Weber era in contatto con la maggior parte delle principali personalità dell’epoca,
poeti, filosofi, musicisti (primo fra tutti Hoffmann, a sua volta mente poliedrica
anche se maggiormente noto come scrittore e compositore). Tutti insieme gli intellettuali tedeschi perseguivano con tenacia l’obiettivo ambizioso della creazione
di un’opera autoctona in grado di competere con le tradizioni straniere: si moltiplicarono i dibattiti, le riviste specialistiche, i prontuari estetici, tentativi di libretti
e partiture, in un grandissimo fervore di iniziative che traeva ispirazione dalle
contemporanee correnti letterarie e dal gusto diffuso. La nascente opera romantica
tedesca si trova così abitata da gnomi, fate, vampiri, ondine, cavalieri, persino salamandre; essa tenta di trasferire sul palcoscenico la narrativa fantastica e gotica
in voga a cavallo fra Sette e Ottocento, le fiabe dei fratelli Grimm e le saghe popolari, antiche leggende, romanzi di Walter Scott.
Varie opere tedesche andarono in scena nel primo Ottocento senza ottenere risultati davvero convincenti fino al 1816, anno dell’Undine di Hoffmann – lavoro importantissimo per l’influenza che ebbe su Weber – e anche del Faust di Spohr; il
primo vero grande successo fu tuttavia proprio Der Freischütz (Il franco cacciatore, libretto di Friedrich Kind), rappresentato per la prima volta a Berlino nel 1821.
Nell’epoca di Füssli, Goya e Blake, del romanzo gotico, delle ballate nere di Bürger, dei Grimm, stava andando a ruba un Gespensterbuch (Libro degli spettri) che
offrì a Weber un buon soggetto operistico. Apel e Laun, i due autori, firmarono a
turno le novelle di fantasmi raccolte nei quattro volumi di questo libro, che il
1981, pp. 346-347.
2
compositore divorò subito dopo la sua pubblicazione, nel 1810, traendone immediatamente l’idea di un’opera.
A dire il vero, la leggenda del tiratore che si lascia indurre a pratiche di stregoneria e stringe un patto con le forze del male, per ottenere proiettili o frecce che andranno a colpire ovunque egli scelga, ha origini che si perdono nella notte dei
tempi e se ne trovano tracce nel folklore di vari paesi, dalla Scandinavia all’Africa, anche se è maggiormente diffusa tra le popolazioni dell’Europa centrale, in cui
la foresta è un’inesauribile fonte di vicende mitiche e favolose. Non a caso, tanto
per fare un esempio, nella fiaba Il cacciatore provetto dei fratelli Grimm3 – di cui
è noto l’impegno per il recupero delle tradizioni popolari e del folklore – il protagonista incontra un cacciatore vestito di verde (si ricordi il verde scuro del vestito
di Samiel) che gli dona un archibugio che aveva la virtù di colpire sempre nel segno.
Pare che la prima fonte storica a menzionare una vicenda riconducibile a quella di
cui ci stiamo qui occupando sia il noto Malleus maleficarum (1486), il trattato dei
domenicani Sprenger e Institor sulla stregoneria, diffuso per tutto il Cinquecento e
gran parte del Seicento – ne furono fatte trentaquattro edizioni. Qui si narra la storia di un arciere che fu trovato vicino al castello di Hohenzorn, presso Costanza,
immobile di fronte ad un crocifisso sanguinante al lato di una strada: egli l’aveva
trafitto credendo di poter ottenere così delle frecce fatate che avrebbe potuto guidare a suo piacimento. Simili storie cominciano presto a diffondersi, come quella
di un Lanzichenecco che in Ungheria trova un monaco che adopera frecce fatate
ogni giorno (1529). Il termine «Freischütz» sembra comparire per la prima volta
in forma scritta in un processo a Rostock nel 1586 contro Hans Cröpelin e Cersten
Sasse, accusati di aver tentato di fabbricare delle «Freikugeln»,4 delle pallottole
magiche. Altre testimonianze sono documentate e nella storia cominciano ad
emergere dei tratti comuni; la data dell’incantesimo varia – anche se spesso ricorre il 30 luglio, o genericamente un giorno di mezza estate – così come le condizioni, ma due modi di ottenere i proiettili sono citati più frequentemente di altri: uno,
come nel Malleus maleficarum, prevede l’atto blasfemo di colpire un crocifisso o
un’immagine sacra; l’altro richiede più complessi e macabri riti, in cui ricorre la
menzione dell’uso del teschio di una giovane donna morta di parto – nel qual caso
le pallottole sarebbero forgiate attraverso le vuote cavità oculari, con del piombo
rubato da una chiesa – ma soprattutto si ripete l’ambientazione notturna del rituale
presso un crocevia: qui la fusione è accompagnata da un gran fragore e suoni sinistri, dalla figura di un demone, dal rumore di uccelli maligni e da altre apparizioni. I proiettili ottenuti saranno infallibili ma il tiratore sarà dannato e schivato dai
suoi stessi compagni. Il diavolo potrebbe inoltre decidere di indirizzare un colpo
su di lui: avrà allora una fine orribile per poi riapparire sotto forma di fantasma
condannato a cacciare in eterno.
Fra i riferimenti ai tentativi di fabbricazione di pallottole magiche, uno viene ad
assumere una particolare importanza per il nostro discorso: quello del diciottenne
scrivano Georg Schmid, processato nel 1710 in Boemia per la blasfema fusione di
3
Cfr. JACOB e WILHELM GRIMM , Fiabe, prefazione di GIUSEPPE COCCHIARA, traduzione di CLARA
BOVERO, Torino: Einaudi, 1992, pp. 386-389.
4
«Per ‘Freikugeln’ si intendono proiettili da fucile che colpiscono il bersaglio con mira infallibile
in conseguenza di un sortilegio che grava su di loro»: questa è la definizione tratta dal Manuale
della superstizione in Germania (Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, Berlino-New
York: de Gruyter, 19872) e riportata in FAVA 2006, p. 106, nota 252.
3
proiettili. La vicenda fu sufficientemente nota da essere inclusa nelle Conversazioni dal regno dello spirito di Otto von Graben zum Stein, pubblicate mensilmente nel 1729-30 e poi in tre volumi a Lipsia nel 1731. Proprio questa fu la fonte
diretta della storia di Apel. Il racconto di quest’ultimo è ambientato in una cornice
naturale che deve molto all’allora nascente letteratura romantica: le apparizioni al
crocevia sono calate in una natura descritta nel suo lato terribile ed ostile, mentre i
personaggi vengono circondati da sinistri uccelli notturni, civette e pipistrelli svolazzano e rovistano rumorosamente fra teschi e ossa, compaiono figure spettrali.
Kind, il librettista, si ispirò a sua volta alla novella di Apel, introducendo naturalmente alcune modifiche: su tutte, «il relativamente ordinario crocevia diventa una
delle più famose invenzioni dell’opera romantica, la gola del lupo, l’abisso leggendario nelle profondità dell’Urwald dove si nasconde tutto ciò che è abietto, orribile e maligno».5 La novità poi non sta solo nell’ambientazione, ma anche in una
scelta gravida di conseguenze sceniche e musicali: tra le versioni per palcoscenico, quella di Weber-Kind è l’unica ad inscenare in maniera ‘realistica’ – o, meglio, ‘visivamente esplicita’ – la fusione dei proiettili.
GLI AVVENIMENTI DELLA GOLA DEL LUPO E LA LORO VESTE SONORA
«Spaventosa voragine nella foresta, in gran parte coperta di nera vegetazione,
circondata tutt’attorno da alte cime. Da una di queste precipita una cascata. La
luna piena appare pallida. Due temporali sono in arrivo da opposte direzioni.
Avanti, più lontano, un albero schiantato da un fulmine e disseccato, internamente marcio, tanto che sembra ardere senza fiamma. Dall’altro lato, su un ramo nodoso, una grossa civetta con occhi rotondi e fiammeggianti. Su altri alberi corvi e
altri uccelli di bosco».6 È qui, nella gola del lupo, che si svolge il finale del secondo atto del Freischütz di Carl Maria von Weber (1821). Nella scena più celebre e
impressionante di tutta l’opera il compositore sceglie di far tacere, gradualmente,
il canto, e di adottare la forma del Melodram, o melologo: l’orchestra quindi si alterna o si sovrappone alla recitazione degli attori, evoca e contemporaneamente
descrive l’ambiente, mostra le emozioni dei personaggi e tutto ciò che la parola
umana non riesce più a dire, dà voce alle più profonde inquietudini. «Giunti nella
gola del lupo, in braccio al demonio, dove il nero della più cupa foresta di Germania si mostra, il canto, la voce del cuore, tace e non ha più suono. Cantano i cori di
demoni, gli alberi, le nubi e gli animali notturni, ma gli uomini no. Nella gola del
lupo gli uomini parlano».7
Dapprima Kaspar, solo, è intento a tracciare un cerchio sul terreno con delle pietre
nere attorno ad un teschio. La musica descrive magistralmente l’atmosfera iniziale
della scena: nelle prime battute il tremolo degli archi, le note lunghe di clarinetti e
5
Cfr. JOHN WARRACK, Carl Maria von Weber, Cambridge: Cambridge University Press, 19762, p.
216. Il termine Urwald è traducibile in italiano con «foresta vergine»; è noto che il prefisso tedesco ur- esprime un senso di primordialità, antichità, originarietà, primarietà.
6
Si adotta qui la traduzione italiana del libretto di Citton e Cavagnoli: CARL MARIA VON WEBER ,
«Der Freischütz». Il franco cacciatore, libretto di FRIEDRICH KIND , introduzione di RAFFAELE
MELLACE, traduzione italiana con testo a fronte di EMPEDOCLE CITTON e VIVIANO CAVAGNOLI , Milano:
Ariele, 1995.
7
Cfr. Der Freischütz, libretto e guida all’opera a cura di DAVIDE DAOLMI , Venezia: Teatro La Fenice, 2004, p. 48.
4
fagotti in registro basso e la lenta linea discendente di violoncelli e contrabbassi ci
trasportano in una notte che si preannuncia spaventosa; gli archi continuano il loro
tremolo mentre nel ‘silenzio’ si odono le voci di spiriti invisibili (bassi) pronunciare sinistre profezie su nota ribattuta in ossessive rime baciate, interrotte da vere
e proprie grida demoniache (sulla nota La) delle altre voci del coro:
Milch des Mondes fiel aufs Kraut!
Uhui! Uhui!
Spinnweb’ ist mit Blut betaut!
Uhui! Uhui!
Eh’ noch wieder Abend graut –
Uhui! Uhui!
Ist sie tot, die zarte Braut!
Uhui! Uhui!
Eh’ noch wieder sinkt die Nacht,
Ist das Opfer dargebracht!
Uhui! Uhui! Uhui!
Il latte della luna è caduto sull’erba!
Uhui! Uhui!
La ragnatela è intrisa di sangue!
Uhui! Uhui!
Prima che la sera nuovamente ingrigisca…
Uhui! Uhui!
sarà morta, la tenera sposa!
Uhui! Uhui!
Prima che nuovamente cali la notte,
la vittima sarà immolata!
Uhui! Uhui! Uhui!
In corrispondenza delle grida del coro i legni ottengono uno straordinario effetto
di terrore: coprendo un’estensione di tre ottave, saltano da La a Fa diesis con un
sibilo in fortissimo.
Completato il cerchio e scoccata in lontananza la mezzanotte, Kaspar chiama Samiel, il cacciatore nero, e gli offre l’anima di Max in cambio della propria: i colpi
dei timpani e il pizzicato dei contrabbassi accompagnano l’invocazione, finché
alla comparsa di Samiel irrompe l’orchestra in fortissimo con un accordo di Do
minore (archi e timpani in tremolo). In questo frangente Kaspar, tremante e impaurito, riesce ancora a cantare le proprie richieste, seppur con una certa esitazione. Samiel, dal canto suo, recita, e ad ogni suo intervento interrompe il decorso
della musica, che prima si immobilizza sul tremolo delle viole e le note lunghe di
flauti e clarinetti, poi quasi tace. Samiel acconsente infine alle richieste di Kaspar,
offrirà sette pallottole magiche in cambio dell’anima di Max, e sigilla perentoriamente il patto («Sechse treffen, sieben äffen», «Sei colpiscono, la settima inganna»), mentre si ode il timbro che lo contraddistingue fin dall’inizio dell’opera, la
percussione dei timpani e il pizzicato dei contrabbassi. Aumenta quindi il rumoreggiare dell’orchestra, finché Samiel scompare e risuona un tuono cupo.
Ottenuta la temporanea salvezza Kaspar è ormai terrorizzato: «si rialza lentamente, sfinito, e si asciuga il sudore dalla fronte. Il teschio col coltello da cacciatore
è sparito, al suo posto scaturisce dall’abisso una piccola fornace con carboni ardenti, e accanto alcune fascine di arbusti secchi»; il cacciatore prepara il necessario per il rito col quale si appresta a fondere i proiettili fatati senza più riuscire ad
articolare una melodia. Il veloce crescendo degli archi ed il loro movimento
ascendente dipingono l’emergere dagli abissi degli strumenti rituali mentre Kaspar beve un sorso dalla borraccia e dei trilli sinistri seguono le parole «Benedicilo Samiel!». Egli è ansioso e in attesa di Max aggiunge arbusti secchi ai carboni
ardenti e soffia; nello stesso momento la civetta e gli altri uccelli battono le ali
«come a voler attizzare il fuoco», che crepita e fuma. La scrittura orchestrale dipinge anche questo nuovo istante, con una sestina di ottavi staccati in pianissimo
degli archi che restituisce qualcosa del soffio, dell’aria, facendo sentire il suo effetto anche mentre i suoni lunghi del corno crescono (e salgono) a poco a poco;
interviene poi (ff), sul tremolo degli archi, un richiamo di tutti e quattro i corni.
5
Non è solo pittura sonora: Max, nel frattempo, è comparso su uno spuntone roccioso.
Il tenore riesce ancora a cantare, anche se solo per esprimere tutto il proprio sgomento di fronte ad un tale orrore, perché «il canto tace gradualmente, a mano a
mano che la corruzione demoniaca si compie».8 L’orchestra segue il recitativo di
Max rappresentando non soltanto l’addensarsi delle nubi ma soprattutto l’agitarsi
del suo animo: in questa fase, infatti, ciò che realmente accade si confonde con le
visioni del giovane, i rami nodosi che si protendono verso di lui non sono altro
che le grinfie di Samiel. Egli tuttavia trova il coraggio di scendere di alcuni passi,
mentre flauti e violini precipitano.
Kaspar a quel punto lo vede e gioisce del suo arrivo, ma Max presto si ferma: lo
spirito di sua madre, velato di bianco, appare su una roccia ed implorandolo con lo
sguardo lo mette in guardia e gli fa cenno di tornare indietro, fra tremoli di archi e
figure ascendenti ma contemporaneamente statiche nel loro ripetersi – quasi un
ostinato – di violoncello, contrabbasso e fagotto. Kaspar, tra sé, invoca l’aiuto di
Samiel e subito appare la figura di Agathe, coi capelli sciolti e l’aspetto di una folle, in procinto di gettarsi nel fiume. Max allora si precipita in suo soccorso, e
come lui corrono scendendo flauti e violini, che disegnano poi i gorghi della corrente, ma anche la forza travolgente che trascina Max nella gola del lupo e tutta la
sua agitazione. Archi e flauti si inabissano in due profonde cadute alla sua decisione di scendere per salvare la ragazza («Agata! Si getta nella corrente! / Giù! Giù!
Io devo!»).
Max scende fino in fondo mentre la figura scompare e la luna comincia ad oscurarsi. Qui ormai nemmeno lui potrà più esprimersi cantando: «[…] nella gola, svanite le visioni, sono svaniti anche i suoi dubbi. La musica cessa, e Kaspar e Max si
parlano, usano il linguaggio infido delle parole, quelle che possono mentire, che
sanno nascondere i sentimenti veri».9 I due dialogano e la luna si oscura a questo
punto quasi completamente. Max accetta di aiutare il compagno a fondere le pallottole magiche in vista della gara di tiro dell’indomani. Comincia così il rito vero
e proprio, la scena che Weber intitola Melodram, in cui sarà la musica ad esprimere il non detto, mentre gli uomini potranno solo parlare o urlare atterriti.
Kaspar getta gli ingredienti nella fornace; poi, chinandosi a terra in tre riprese:
«Ed ora la benedizione alle pallottole!», e tre rintocchi di timpano uniti al pizzicato del contrabbasso, i segni di Samiel, rendono ben chiara la sua vigile presenza.
Kaspar recita la formula magica ed il libretto impiega di nuovo, come nel coro di
spiriti invisibili, le martellanti rime baciate dell’antico Knittel-vers, un verso popolare, che cadono sul tempo forte di ogni battuta musicale:10
Schütze, der im Dunkeln wacht,
Samiel, Samiel, hab acht!
Steh mir bei in dieser Nacht,
Bis der Zauber ist vollbracht!
Salbe mir so Kraut als Blei,
Segn’es sieben, neun und drei,
Daß die Kugel tüchtig sei!
Samiel, Samiel, herbei!
Proteggi, tu che vegli nell’oscurità,
Samiel, Samiel, presta attenzione!
Stammi vicino in questa notte
finché l’incantesimo è compiuto!
Consacrami erbe e piombo,
benedicile sette, nove e tre volte,
perché le pallottole siano valide!
Samiel, Samiel, qui!
8
Cfr. DAOLMI in Der Freischütz 2004, p. 49.
Cfr. DAOLMI in Der Freischütz 2004, p. 51.
10
Lo nota Raffaele Mellace nell’introduzione a WEBER 1995, p. 16.
9
6
Tutto ormai è pronto: «La massa nel cucchiaio da fonditore comincia a ribollire e
a sibilare e manda un bagliore verde-bianco. Una nube copre la striscia della
luna, così che l’intera scena è illuminata soltanto dal fuoco della fornace, dagli
occhi della civetta e dal legno marcescente dell’albero». Non è soltanto la massa
a fermentare e gorgogliare, ma anche l’orchestra, con viole e violini che con rapidi sedicesimi cominciano ad agitarsi. Kaspar fonde la prima pallottola: uccelli notturni sopraggiungono volando, disponendosi poi intorno al cerchio, saltellando e
svolazzando intorno. Mentre gli archi proseguono il movimento precedente i legni
(flauti, oboi e clarinetti in ottava) simulano in una sorprendente onomatopea il
batter d’ali.
Kaspar continua a contare («Zwei!», con l’eco che ogni volta ripete il numero del
proiettile) e un cinghiale irrompe attraverso la boscaglia e corre via: l’andatura
dell’animale è resa da una tremenda e dissonante oscillazione degli archi gravi e
dei fagotti (Si bemolle-Fa diesis), cui si aggiunge il timbro ‘infernale’ del trombone basso11 e del clarinetto in registro profondo, mentre viole e violini mantengono
il tremolo.
Al terzo proiettile si scatena una tempesta che crea scompiglio sulla scena: legni e
corni tengono note lunghe in crescendo mentre gli archi corrono con figurazioni
ascendenti e discendenti in sedicesimi, tutto ciò in conformità con il topos settecentesco della musica di tempesta; all’inizio rullano anche i timpani, i flauti poi si
uniscono agli archi, mentre gli altri legni ed i corni sottolineano, intensificano ed
appesantiscono picchi e cadute – già di per sé fortemente accentati – dell’incessante movimento.
Kaspar, impaurito, conta di nuovo («Vier!») e si sente uno scalpiccio di cavalli,
insieme a schiocchi di frusta e al fragore di ruote infuocate, che attraversano la
scena velocissimamente sprigionando scintille. Violoncelli, viole e secondi violini
cominciano in fortissimo una cavalcata di terzine di ottavi, scandita ed accentuata
dai colpi regolari di oboi, clarinetti, fagotti, contrabbassi e primi violini, che poi si
uniscono ai flauti quando questi saltano in istantanee figurazioni che mimano forse fulmini e scintille.
«Fünf!», e nell’aria si odono latrati di cani e nitriti di cavalli, mentre spettri di cacciatori a piedi e a cavallo, cani e cervi passano sullo sfondo: è la schiera selvaggia.
I latrati dei cani sono resi magistralmente, in una smorfia deformante, dalle acciaccature12 dei corni, rinforzati da fagotti e trombone basso, accentati, sempre
tutto fortissimo possibile; ne risulta una «grossolana caricatura di una fanfara di
caccia».13 All’orchestra si aggiunge poi un coro invisibile, dietro la scena, di bassi
e tenori, i cacciatori erranti, che cantano all’unisono in una spettrale immobilità,
su nota fissa, con una scarsissima articolazione ritmica. Il loro intervento si conclude con un verso costituito per intero da onomatopee, con fagotti, corni e trombone basso che rafforzano potentemente il grido dell’orda.
11
Il trombone è uno strumento tradizionalmente associato alle ambientazioni infere.
L’acciaccatura è un tipo di ornamentazione musicale che consiste nella rapida esecuzione di una
o più note accessorie a ridosso della principale; può essere eseguita come un veloce scivolamento
sulla nota che segue, come in questo caso, oppure sottraendo una porzione di durata dalla nota
principale.
13
Cfr. JÜRGEN MAEHDER, Poesia del suono e natura demoniaca. Sulla drammaturgia dei timbri nel
Freischütz di Carl Maria von Weber, in Der Freischütz 2004, p. 127.
12
7
Kaspar è sempre più angosciato («Sechs! Wehe!», «Sei! Ahimé!»): l’intero cielo è
immerso in una profonda oscurità, i due temporali si uniscono scatenando tuoni,
fulmini e pioggia, da terra scaturiscono fiamme, fuochi fatui compaiono sulle
montagne, alberi sradicati cadono con fragore, la terra stessa sembra vacillare. È il
momento del tema delle forze demoniache, già sentito nell’ouverture, che prorompe in tutta la sua potenza, con l’orchestra al completo (Do minore). Mentre ancora
risuona, in una scrittura agitatissima, Kaspar e Max sono terrorizzati e gettati qua
e là dalla tempesta; entrambi, il primo a terra ed il secondo aggrappato ad un ramo
disseccato, gridano ed invocano l’aiuto di Samiel. Quando Kaspar fonde l’ultima
pallottola («Sieben!») e Samiel finalmente compare, manifestandosi con voce terribile («Hier bin ich!», «Eccomi!»), il tema volge repentinamente al Fa# minore
con un accordo fortissimo. In quello stesso momento al posto dell’albero disseccato si erge il cacciatore nero che afferra la mano di Max. Poi si fa subito un improvviso silenzio e tutto si spegne con un accordo di archi e timpani in pianissimo.
Così costruito questo finale interno si sviluppa allora in una maniera molto lontana dalle convenzioni del tradizionale finale d’atto. Vi si susseguono in un ritmo
incalzante immagini, avvenimenti, parole e suoni, e tutto ciò nelle più varie combinazioni, in un continuo crescendo di effetti teatrali che in ultimo muta nel suo
contrario, un inaspettato silenzio. La natura della scena è di per sé dinamica – i
personaggi stanno agendo, si sta svolgendo un rituale e varie manifestazioni ultraterrene intervengono in ogni sua fase – e un grosso contributo in questa direzione,
quella della dinamicità, del ritmo incalzante, è dato dal conteggio stesso delle pallottole che, anche se è interrotto dai più diversi fenomeni soprannaturali, rende di
per sé ben evidente l’inesorabile trascorrere del tempo passando continuamente,
nella mente dello spettatore-ascoltatore, dal primo piano allo sfondo della propria
attenzione e viceversa, senza però mai permettere, nemmeno per un istante, che
vada persa la coscienza dell’inesorabile temporalità (sottolineata ulteriormente, all’inizio e alla fine del rituale, dai rintocchi dell’orologio).
Ad ogni fase del rito è associata una musica di volta in volta differente e per questo motivo non prevedibile, di modo che l’ascoltatore rimane col fiato sospeso
fino alla conclusione della scena; non vi sono soste ed è fortissima la percezione
di uno sbilanciamento verso un punto culminante finale, creata anche attraverso
un continuo crescendo di effetti della messinscena. La partitura, insomma, è integralmente composta, cioè priva di simmetrie e ripetizioni, dalla forma estremamente irregolare: si tratta di una musica che in superficie può apparire caotica,
proprio per creare l’illusione realistica di casualità e irregolarità. Essa segue l’azione ad ogni passo ed è concepita in strettissima connessione con gli accadimenti
scenici, gli effetti speciali, gli elementi visivi dello spettacolo, muovendosi verso
ciò che più tardi sarà chiamato Gesamtkunstwerk (in accordo con i contemporanei
orientamenti dell’estetica, della critica e del gusto musicale tedesco). La mancanza di ripetizioni fa sì che la musica della scena della gola del lupo non sia prevedibile, tenendo lo spettatore costantemente col fiato sospeso, in attesa di una pausa,
un respiro, una sosta, che non giunge se non alla fine.
Fa parte della sapiente costruzione della scena della gola del lupo non soltanto l’ideazione di un particolarissimo mondo sonoro, quello della tensione soprannaturale, del demoniaco, ma anche l’impiego di innumerevoli strategie volte a sottolineare l’individualità del finale interno e al tempo stesso ad integrarlo adeguata-
8
mente nel resto dell’opera. Fra queste, si può osservare il manifestarsi in più punti
del Freischütz di segnali funesti, quasi di segni premonitori, che contribuiscono
essi stessi alla creazione di un immaginario sonoro negativo che pervade così tutta
l’opera. All’apertura del sipario un coro festante si prende gioco di Max, che ha
appena perso in una gara di tiro. Il primo numero dell’opera ritrae il gioioso ambiente campestre e restituisce il clima festoso dello scherzo, dietro cui però si
scorgono presto degli elementi di disturbo: l’esultanza del coro ha un che di militaresco ed aggressivo, così come la successiva marcia, «nella sua ottusità un po’
rétro, suona ritmicamente orgogliosa, come spesso sono le soldatesche dissennate,
capaci di portare peste e lutti ovunque passino».14 Ma è soprattutto nell’arietta
strofica seguente che Weber dissemina abilmente elementi di inquietudine. Tra
questi, il più vistoso è la risata delle voci femminili, tanto criticata da Hegel per il
suo essere «senza ritegno»: su un prolungato ritardo della fondamentale scoppia il
riso delle donne, in intervallo di seconda, dissonante, che in un certo qual modo
disturba e come nota ancora Daolmi fa pensare ad una ridda di streghe più che alla
leggerezza di uno scherzo; il risultato è un’atmosfera decisamente tesa e nella derisione si ha la sensazione di avvertire qualcosa di pericoloso.
Col procedere della trama si infittiscono i timori e i presentimenti di Max, le cui
espressioni di dubbio sono sempre accompagnate dal tremolo degli archi; quasi sistematico è l’impiego da parte di Weber di figurazioni discendenti ogni volta che
si accenni alla sorte imperscrutabile del ragazzo. Si fa sempre più buio, la sera
avanza, e con essa le forze oscure. Moltissimi dei temi musicali che si ascoltano
nel corso del primo atto – come quelli associati ai pezzi cantati da Kaspar (il trillo
della macchinazione demoniaca, vari incisi melodici legati all’esternazione della
sua dionisiaca filosofia di vita e del suo diabolico trionfo dopo che ha convinto
Max) o alle espressioni di esitazione da parte del protagonista – riappariranno fra i
materiali impiegati nella scena della gola del lupo. Un impasto timbrico, in particolare, viene ad assumere sempre più importanza: si tratta del tremolo degli archi
unito ai colpi di timpano e al pizzicato del contrabbasso. Si tratta della cifra sonora di Samiel, il cacciatore nero, che si ode sempre più spesso, in relazione all’insorgere di dubbi, presentimenti, paure riguardo alla sorte di Max. La sonorità associata a Samiel appare fin dall’ouverture, che del resto accoglie anche il tema solitamente detto ‘delle forze oscure’ (anch’esso presente nel finale interno), nonché
il motivo dell’amore di Agathe. Il primo numero musicale del Freischütz si configura infatti come manifesto filosofico dell’opera: nel cuore puro di un giovane si
insinua inaspettatamente il diavolo scatenando una lotta tremenda fra Bene e
Male, che si concluderà con la vittoria del Bene. Alle stesse strategie di integrazione e differenziazione sono inoltre soggetti i timbri e le armonie della scena della gola del lupo, in una rete fittissima di rimandi e significati simbolici impossibili
da illustrare in questa sede.
Venendo allora a quanto accade sul palcoscenico, si noti che le didascalie che descrivono e manifestazioni del soprannaturale nel corso del rituale sono molto estese e dettagliate. Di tali manifestazioni ciò che forse sorprende di più è la misura in
cui molte di queste immagini appartengono alla stessa mitologia della caccia che
informa la quotidianità del Freischütz: il nero cinghiale che corre nella foresta, i
14
Le parole sono di nuovo di Daolmi (Der Freischütz 2004, p. 18) che sottolinea inoltre come l’uso del termine «Viktoria» si porti dentro risonanze mitologiche, riecheggiando quasi il clima pagano di chiassosi e corrotti baccanali.
9
cavalli al galoppo, la schiera selvaggia, i cani e i cervi, e soprattutto il cacciatore
nero stesso sono l’inversione maligna delle gioie della caccia celebrate nel coro di
cacciatori del terzo atto e nel resto dell’opera. L’immaginario venatorio aveva
un’enorme risonanza nella Germania del primo Ottocento e delle guerre di liberazione dal dominio napoleonico, in cui il cacciatore finì per diventare un modello
eroico maschile ed un emblema del nazionalismo; naturalmente però l’universo
della caccia aveva anche un lato oscuro, rintracciabile in canzoni di fine Settecento e inizio Ottocento che descrivono la sua ferocia o raccontano di situazioni in
cui la preda finisce per rivelarsi la donna amata dal cacciatore. Verrà in mente allora Agathe, che nel finale dell’opera di Weber grida «Schieß nicht! Ich bin die
Taube!», «Non sparare! Io sono la colomba!». La musica della dimensione della
caccia, del resto, è così ben integrata nel lavoro di Weber da poter essere parodiata
nella scena della gola del lupo con un effetto drammatico molto potente: dopo la
fusione del quinto proiettile non solo il suono dei corni viene brutalmente deformato, ma il metro passa a 6/8 (tipico della musica di caccia); Weber impiega insomma il metro e la strumentazione di cori di cacciatori presenti in altri momenti
del suo lavoro distorcendo deliberatamente sonorità e armonie: ne risulta, si diceva, una incisiva caricatura.
Forse, andando un po’ più a fondo, si può sostenere che Max e il cacciatore nero
non possono esistere come entità completamente separate, tant’è che il loro stesso
ruolo le unisce. Samiel è una sorta di ombra dell’eroe positivo, che si origina
quindi nel protagonista stesso; Bene e Male sfumano l’uno nell’altro, ma qui vengono scissi e la parte malefica viene incarnata dal personaggio antagonista, che
con la sua appartenenza allo stesso immaginario di partenza ricorda però l’effettiva inscindibilità delle due entità. Max insomma è una figura più sfaccettata di
quanto sembra, il lato oscuro viene relegato ad un altro personaggio ma in realtà è
suo. Il Male, del resto, si insinua nel suo cuore, e se fosse stato così separato non
turberebbe, non potrebbe attirare, catturare, sconvolgere.
Queste dinamiche, poi, non funzionano soltanto ad un livello interno all’intreccio,
ma anche nello spettatore stesso che incontra in questo soggetto un immaginario
molto familiare – quello della caccia, appunto, con tutta la risonanza che aveva all’epoca. Chi guarda il Freischütz vede allora due personaggi, se deve raccontare la
storia parla di un cacciatore buono e del suo antagonista, di un demone, ma probabilmente a livello inconscio percepisce Max nella sua totalità, coglie le innumerevoli contaminazioni tra i due aspetti della vicenda; è questo anche uno dei motivi
della risonanza che essa ha nello spettatore, della sua immedesimazione nel protagonista, che non funzionerebbe se questi fosse percepito come completamente
buono, privo di qualsiasi incrinatura. Anche chi guarda insomma scinde eroe ed
antagonista perché non è in grado di vedere quelle due entità conciliate in uno
stesso soggetto, ma poi coglie anche, attraverso il sistema di rimandi simbolici
disseminato in tutta l’opera, che in realtà lo sono. È questo, in fine dei conti, uno
dei tanti motivi del successo e della diffusione in quell’epoca di certe tematiche,
del romanzo gotico, delle pitture nere di Goya piuttosto che dei dipinti di Füssli o
di Blake, o delle ballate di Bürger. Si tratta anche, a ben guardare, di caratteristiche che si ritrovano spesso nelle fiabe – e si pensi alle raccolte di quegli anni dei
fratelli Grimm: non è un caso dato che, come si sa, esse sono particolarmente rappresentative di certe motivazioni e pulsioni antropologiche di fondo. Si riconosce-
10
ranno anche nel Freischütz, del resto, molti tratti della fiaba (per esempio la simbologia atavica o la netta scissione di Bene e Male, appunto).15
Ciò che turba è quindi familiare, ci appartiene, non viene dall’esterno. Si sta parlando, in definitiva, del concetto di ‘perturbante’ (unheimlich, termine che abbiamo già adoperato). Nel saggio omonimo del 1919,16 in cui tra l’altro analizza il
racconto L’uomo della sabbia di Hoffmann, Freud in un primo momento passa in
rassegna i diversi significati del termine tedesco e del suo contrario, heimlich, cioè
patrio, nativo, abituale, familiare, e nota un fenomeno particolarmente interessante: quest’ultimo termine mostra, tra le molteplici sfumature di significato, una che
coincide con il suo contrario, unheimlich; si verifica insomma, anche a livello linguistico, ciò di cui stiamo parlando, la profonda commistione e compenetrazione
di familiare e spaventoso, inquietante, di due aspetti solo apparentemente separati.
Heimlich sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere con il
suo opposto.
Tutto ciò si riflette anche, in una certa misura e probabilmente anche al di là della
consapevolezza dello stesso Weber, nella realizzazione musicale del Freischütz: si
pensi, in generale, all’importanza di una contemporanea integrazione e differenziazione della scena della gola del lupo, che adopera motivi, timbri, armonie, simboli che agiscono nel corso di tutta l’opera.
Tornando infine all’immaginario della caccia, esso è ovviamente parte del più vasto simbolismo della natura, ‘personaggio’ fondamentale del Freischütz, presente
in ogni scena, fonte e sfondo talora di una gioia rumorosa, o di un sentimento di
pace, altre volte scenario di manifestazioni soprannaturali terribili, cui anzi essa
stessa ‘partecipa’ – si pensi ai due temporali della scena della gola del lupo. Della
natura la musica evoca allora l’aspetto più temibile, minaccioso, ma anche quello
genuino e ingenuo della vita popolare che in essa si sviluppa in totale simbiosi.
Ciò che bisogna qui precisare è che essa non è di per sé né buona né cattiva: la natura romantica è di fatto irriducibile a qualsiasi dimensione e misura umana, e tuttavia su di essa l’uomo proietta il proprio riflesso. Eloquenti in questo senso sono
alcuni bozzetti della scena della gola del lupo: vi compaiono, nelle rocce o nei
tronchi, volti umani, smorfie mostruose e deformanti, forme antropomorfe che
fanno vedere ciò che in natura di per sé non c’è – e che se ci fosse non sarebbe necessario mostrare in questo modo – il lato inquietante, demoniaco. Ecco allora
cosa si intende dire quando si afferma che l’umore del personaggio trasforma il
paesaggio, o che nella natura si rispecchia il suo carattere: è l’uomo ad aggiungere
connotazione ad uno sfondo neutrale, a proiettarvi le proprie categorie, la propria
morale, la divisione fra Bene e Male, ed è questo del resto l’unico suo modo di
rapportarsi col mondo. Così, quando nel corso di queste pagine ci riferiamo alla
natura come a qualcosa di malvagio, o al contrario di buono, innocente, lo facciamo solamente in questo senso, volendo cioè parlare di ciò che in un dato momento
un personaggio o lo spettatore possono percepire, e non di un’intenzionalità della
natura stessa.
15
Si trovano inoltre nel Freischütz molte caratteristiche riconoscibili negli scrittori minori del tempo, e che in questo senso sono ugualmente significative: si pensi alla fede nelle coincidenze fatali,
al forte sentimento della natura, all’intervento di una figura di autorità spirituale a risolvere la vicenda.
16
SIGMUND FREUD, Il perturbante, traduzione di SILVANO DANIELE, in ID., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Torino: Boringhieri, 1969 (rist. 1986), vol. 1, pp. 267-307.
11
FRA COLTO E POPOLARE: LA STRATEGIA SCENOGRAFICA
La concezione scenografica del Freischütz, e della scena della gola del lupo in
particolare, da un lato strizza l’occhio ai più consumati espedienti teatrali per una
spettacolarità di successo, dall’altro è indubbiamente consonante con la contemporanea pittura romantica tedesca. L’aspetto cinetico, dinamico, del finale weberiano fa sì che la sua stessa pianificazione musicale sia indissolubilmente legata
alla fisica e materiale realizzazione sul palco di determinati movimenti, effetti,
emozioni; al medesimo tempo l’ambientazione naturale e l’atmosfera creata attraverso la musica tendono ad una realizzazione teatrale del concetto di sublime. I
punti di riferimento dell’autore erano in effetti estremamente differenti: da una
parte, uno spettacolo popolare che sfruttava tematiche alla moda per inscenare,
con una serie di illusioni ottiche, la materializzazione di spettri e fantasmi davanti
agli occhi dello spettatore; dall’altra, una pittura colta, frutto di una nuova sensibilità e di una assimilazione del pensiero filosofico ed estetico contemporaneo, filtrata da personali inclinazioni e riflessioni, che mette sulla tela forme e colori di
un paesaggio trasfigurato da un soggetto, e che spinge l’osservatore oltre l’immagine stessa col pensiero e la propria emotività. Weber, uomo di teatro, difficilmente riusciva a rinunciare all’effetto, pur biasimando una spettacolarità fine a se stessa. Tuttavia, era sensibile al nuovo clima culturale romantico con cui certamente
si accordavano le sue disposizioni personali, come si può evincere da numerosi
passi dei suoi scritti e in particolare del suo romanzo incompiuto. Egli, del resto,
tentava poi di realizzare l’unità di carattere dei propri lavori, un’unità spirituale,
concettuale, attraverso i mezzi che gli erano più congeniali, vale a dire quelli musicali.
Il parallelo tra certe pagine di Weber e la pittura di Friedrich giunge in effetti quasi spontaneo, anche per via di una coincidenza biografica: entrambi vissero a Dresda negli stessi anni (Friedrich fin dal 1798) e lì videro la luce i loro capolavori.
Warrack, uno dei maggiori studiosi di Weber, notando l’apparente stranezza di
opere così nuove che nacquero in una società conservatrice come quella della capitale sassone, ipotizza che paradossalmente fu proprio l’inerzia dell’ambiente
della città a favorire, indirettamente, tali creazioni, provocando nei due artisti una
tendenza alla ribellione contro il mondo filisteo che è tipica degli spiriti romantici.17 Su pittore e musicista agirono insomma le stesse influenze filosofiche e letterarie ed entrambi trovarono poi ispirazione sia nei paesaggi dei dintorni di Dresda,
sia in certe resistenze mostrate dall’ambiente sociale e culturale cittadino.
Così, se da un lato Weber sfrutta le suggestioni o le tecniche di una teatralità popolare, dall’altro trasferisce sul palcoscenico le connotazioni della pittura romantica di paesaggio. E non v’è dubbio che proprio nella scena della gola del lupo si
concentri il massimo affidamento su entrambi questi opposti riferimenti, con da
una parte una drammaturgia e una serie di effetti visivi che prevedevano accadimenti rapidissimi, apparizioni e sparizioni in successione, movimenti di spettri e
così via, e dall’altra uno scenario naturale in cui si riflette proprio il gusto di Frie17
Cfr. JOHN WARRACK, Carl Maria von Weber, Cambridge: Cambridge University Press, 19762, pp.
208-209. In diverse circostanze, in effetti, sia Weber che Friedrich si ritrovarono a lottare contro il
conservatorismo locale.
12
drich per paesaggi rocciosi, di montagna, avvolti da nebbie e da nubi basse, opprimenti, in cui la natura sembra rendere i personaggi – presenti quasi sempre di
spalle – più piccoli, a volte minuscoli. Un quadro di Friedrich che potrebbe fare da
scenario alla scena della gola del lupo è Crepaccio nell’Elbsandsteingebirge (figura 1): esso mostra un paesaggio terribile, che trasmette una sensazione di pericolo imminente nel basso tronco spezzato, al centro, nell’albero caduto, con le radici visibili, nella nebbia e nelle strane formazioni rocciose, che appaiono instabili, precarie, come il resto dello scenario. Come sempre in Friedrich, non si tratta di
un paesaggio reale, ma di una scena filtrata dalla memoria, dalla fantasia, dalle
proprie sensazioni, un paesaggio ideale.
Procedimenti di riflessione e penetrazione fra soggetto e natura sono ugualmente
riscontrabili nella relazione tra l’interiorità dei personaggi e il mondo fenomenico
nel Freischütz, e in massimo grado nel finale interno e nella grande scena di Agathe. Un passo di Tonkünstlers Leben, del resto, ci dice quanto Weber fosse vicino
a tali concezioni. Si tratta delle righe immediatamente precedenti a quelle in cui si
descrive l’insorgere delle idee musicali al cospetto di un paesaggio (parole esse
stesse significative in questo senso):
gli spazi aperti della natura hanno sempre uno straordinario effetto su di me, un effetto piuttosto dissimile da quello suscitato in altri spiriti. Sia esso talento, vocazione, genio o che dir si voglia, l’oggetto verso cui tutte le vostre facoltà convergono
avvolge le vostre capacità di contemplazione in un cerchio magico. Non è solo l’occhio corporeo ad avere il proprio campo visivo, ma anche l’occhio dello spirito. Potete naturalmente spostare entrambi cambiando punto di vista, ed è felice colui che
riesce a continuare ad ampliare questa visione; ma non potete mai stare al di fuori di
essa. E questo non è tutto. La colorazione in cui un oggetto appare è inconsapevolmente determinata dalla tonalità della vostra vita e dei vostri sentimenti; e dal momento che parlo di tonalità, non negherò che nel mio specifico caso tutto sprofonda
in forme musicali.18
Le manifestazioni delle potenze oscure nella gola del lupo pongono probabilmente
qualche interrogativo che coinvolge i meccanismi di riflessione e penetrazione: da
un lato tali eventi sembrano emergere da stati emozionali particolarmente tormentati, come quello di Max – tant’è che Weber impiega tracce della musica inquieta
in Do minore, sentita nell’ouverture e in una sezione dell’aria del protagonista, nel
momento in cui egli vede Agathe sul punto di gettarsi nel fiume; dall’altro lato,
però, il libretto sembra dire chiaramente che gli accadimenti della gola del lupo
hanno una loro reale esistenza ed un effetto fisico, dal momento che Kaspar è
ugualmente atterrito dalle manifestazioni demoniache e che nella prima scena del
terzo atto due cacciatori parlano dei terribili temporali che hanno avvertito la notte
precedente proprio in quella zona della foresta. Il fatto che la sola musica possa
difficilmente distinguere gli eventi che ‘davvero accadono’ da quelli che sono solamente immaginati dai personaggi non è di per sé svantaggioso in alcun modo.
Questo perché, in fin dei conti, nel Freischütz non c’è una reale distinzione fra riflessione e penetrazione: la relazione fra paesaggio interiore ed esteriore nel Freischütz, e in modo particolare nella gola del lupo, è una relazione di identità, ed è
indiscutibilmente uno dei nuclei centrali e più originali dell’intera opera.
18
Cfr. CARL MARIA VON WEBER, Writings on music, traduzione inglese di MARTIN COOPER, a cura e
con introduzione di JOHN WARRACK, Cambridge-London-New York: Cambridge University Press,
1981, pp. 323-324.
13
Non solo: proprio tutte le caratteristiche sopra illustrate della scena della gola del
lupo (come la disgregazione formale, lo sbilanciamento della forma, la percezione
della temporalità e l’interdipendenza di musica ed elementi visivi) si stavano affermando in quegli anni come mezzi idonei per la rappresentazione musicale del
sublime, di scene spaventose di natura, come tempeste o valanghe, e di eventuali
loro implicazioni morali.19 Nel Freischütz, anzi, si aggiunge a tutto ciò la dimensione soprannaturale.
Un’altra fruttuosa indagine è quella volta a rintracciare generi spettacolari che
hanno offerto al teatro musicale specifiche tecniche per la realizzazione di determinati effetti, o, ancora, suggestioni di altro tipo, come un certo modello di concezione scenografica e drammaturgica. In entrambi i sensi, allora, ha influito sull’opera la fantasmagoria.20 Quando si parla di fantasmagoria nel suo senso originario,
letterale, referenziale, si fa riferimento ad un genere di spettacolo inventato dal
belga Etienne-Gaspard Robertson derivato da una serie di perfezionamenti applicati alla tecnica della lanterna magica, e diffusissimo negli anni a cavallo tra Sette
e Ottocento. Le modifiche apportate da Robertson consentivano alle forme proiettate di muoversi, avanzare ed arretrare, ingrandirsi e rimpicciolirsi, di venire insomma sottoposte a trasformazioni; le figure prodotte, inoltre, potevano succedersi l’una con l’altra in rapide serie di immagini che apparivano e scomparivano all’improvviso. In più, era possibile proiettare personaggi e oggetti su del fumo appositamente creato, in modo che essi sembrassero fluttuare nell’aria. Lo show necessitava di una stanza buia di modeste dimensioni, che contenesse da quaranta a
sessanta spettatori, dal momento che la scarsa intensità della luce che illuminava
le diapositive non avrebbe permesso il loro ingrandimento in ampi spazi. Il belga,
che fin dagli anni ‘80 si era cimentato in esperimenti di ottica, fisica e galvanismo,
intuì le potenzialità illusionistiche e spettacolari della sua innovazione ed in particolare la sua idoneità alla rappresentazione di soggetti magici, spettrali, soprannaturali, e trovò a Parigi il luogo perfetto per il suo show: la cripta di un convento
cappuccino abbandonato, vicino a Place Vendôme, con antiche tombe e monumenti sepolcrali, molti dei quali violati e rimossi dai rivoluzionari. Fu un immediato e strepitoso successo.
Le memorie di Robertson ed un programma sopravvissuto ci informano riguardo a
quello che doveva essere lo svolgimento tipico di queste serate. Gli spettatori entravano prima nelle stanze principali del convento e lì venivano loro mostrati intrattenimenti preliminari come illusioni ottiche, esperimenti di galvanismo, scene
di panorama (sul quale ritorneremo), effetti di trompe l’oeil ed altro ancora. Solo
dopo aver attraversato queste stanze si scendeva nella «Salle de la
Fantasmagorie». Qui presto le candele venivano spente, strumenti come la glass
harmonica, dal suono immateriale, ed il tamtam creavano l’atmosfera (altri effetti
sonori erano garantiti da macchine che simulavano il rumore della pioggia, del
vento e del tuono) e l’esibizione di Robertson iniziava.
19
Non mi soffermo in questa sede sugli aspetti tecnici di questo discorso. Per chi lo volesse approfondire suggerisco un saggio fondamentale: DAVID CHARLTON , Storms, Sacrifices: the ‘Melodrama
Model’ in Opera, in ID., French Opera 1730-1830: Meaning and Media, Aldershot: Ashgate-Variorum, 2000, capitolo X (pp. 1-61).
20
Inoltre, se lo studio di determinati dipinti e artisti può offrire utilissimi spunti per analizzare atmosfere, pose, gesti, temi e idee comuni in teatro e in arte, la fantasmagoria aggiunge, vedremo, un
elemento in più: il movimento, e quindi la temporalità.
14
Per le complesse apparizioni che produceva in queste occasioni il belga pescava a
piene mani dall’iconografia sepolcrale e gotica così popolare in quegli anni. Fin
dalle prime esibizioni una parte della serata era costituita da singole apparizioni di
fantasmi, solitamente quelli dei rivoluzionari Marat, Robespierre, Voltaire, Rousseau, inserite tra scene più complesse, che contenessero preferibilmente una metamorfosi, una trasformazione: tra le altre, Le tre Grazie, che si trasformano in
scheletri, L’incubo (scena tratta dal famoso dipinto di Füssli), La morte di lord
Lyttelton, Macbeth e il fantasma di Banquo, La monaca sanguinante (episodio
tratto dal celebre romanzo gotico di Lewis, Il monaco), un Sabba di streghe (completo di gatti, pipistrelli ed un eremita che alla fine compare ad esorcizzare la scena), una Danza della morte,21 La strega di Endor (che divenne presto uno dei soggetti preferiti),22 La testa di Medusa, L’agonia di Ugolino, e così via.
Il successo della fantasmagoria fu immediato e straripante ed essa si diffuse ovunque, migrando innanzitutto a Londra, nella terra del romanzo gotico, incontrando
un successo altrettanto clamoroso, e poi in Germania – dove chiari segni della sua
presenza e diffusione si trovano in alcuni resoconti pubblicati sui periodici dell’epoca. Si può supporre23 che la scena della gola del lupo riecheggi e giochi su questo genere di intrattenimento popolare. Le possibilità della fantasmagoria in termini non solo di apparizioni ma più in generale di movimento e trasformazione suggerirono a Weber un modo inedito di rappresentare la scena della fusione delle
pallottole e di rinforzare le immagini e i rapidi cambiamenti temporali con la musica.
Le precedenti versioni rappresentate della storia del Freischütz contengono ciascuna la propria resa della scena della fusione delle pallottole, ma nessuna mette
fisicamente in scena, nel centro del palco, la rapida successione, apparizione e
scomparsa di immagini voluta nella versione di Weber e Kind (l’unico movimento
visibile è quello su/giù dal palcoscenico). Nel più recente predecessore, la «romantische tragödie» in cinque atti Der Freischütz di Franz von Caspar (1812-13),
con musiche di Carl Neuner, il corrispettivo della scena della gola del lupo si ha
nella scena IV del quarto atto, costruita come una grande pantomima che rappresenta la preparazione della fusione delle pallottole: una macchina di scena fa sì
che un serpente esca strisciando da un albero vuoto, le macchine per il vento urlano e personaggi in costumi spettrali si muovono su e giù dal palco per mezzo del
consueto meccanismo della botola (spiritelli danzano su e giù nella foschia, una
figura avvolta in un lenzuolo compare da una tomba che si apre). Il personaggio di
Agathe però interviene a rompere l’incantesimo diabolico e la vera e propria fusione delle pallottole non avviene. Fin qui arrivava l’evidenza visiva di questa e
delle altre versioni che precedono quella di Weber e Kind.
Weber insistette sul bisogno di una rappresentazione dello spettrale, del misterioso, che fosse il più possibile concreta, fisicamente presente e visibile sulla scena.
21
Si tratta della rappresentazione della Morte, sotto forma di scheletro, che solitamente presso un
cimitero guida una danza di spettri e scheletri: la storia è diffusa nell’immaginario da tempi antichissimi. Per riferimenti bibliografici ed iconografici si veda la voce «Dance of death» nel New
Grove Dictionary of Music and Musicians.
22
Si può leggere l’episodio biblico nel Primo libro di Samuele (1 Sam. 28, 3-25).
23
L’ipotesi è sostenuta ed argomentata in particolare in ANTHONY NEWCOMB, New light(s) on Weber
Wolf’s Glen Scene, in Opera and the Enlightenment, a cura di THOMAS BAUMAN e MARITA PESTZOLDT
MCCLYMONDS, Cambridge-New York: Cambridge University Press, 1995, pp. 61-88.
15
Un chiaro documento del coinvolgimento di Weber nel disegno della scena della
gola del lupo è il foglio delle didascalie di scena scritto di suo pugno presumibilmente per guidare la messinscena di Dresda del 1822. Si tratta di istruzioni che
quasi mai si trovano nelle partiture o nei libretti dati alle stampe: effetti scenici
così innovativi, e tecnologicamente impegnativi, sarebbero stati molto difficili da
produrre per teatri dalle limitate risorse. Non a caso, laddove l’opera andò in scena senza la diretta supervisione di Weber l’episodio della scena della gola del lupo
venne considerevolmente espurgato, adattandolo liberamente alle proprie disponibilità tecniche. Tornando alle didascalie di scena, nulla secondo le disposizioni del
compositore rimane indeterminato, si sfruttano anzi tutte le risorse all’epoca disponibili per ottenere il massimo effetto visivo possibile. Per ragioni tecniche non
si poterono riprodurre per diverso tempo i metodi della fantasmagoria sui ben più
grandi palchi operistici, soprattutto perché non esistevano luci abbastanza forti da
permettere un tale ingrandimento di una diapositiva; sembra però che, tra le altre
cose, Weber avesse in mente di simulare alcuni dei suoi effetti, per esempio attraverso l’uso di immaginosi squarci di luce dietro pannelli semi-trasparenti sui quali
erano state dipinte delle figure, o per mezzo di personaggi fantastici, dipinti e cuciti su pannelli semi-trasparenti, illuminati frontalmente e fatti fluttuare dall’alto.
Si ricordi, del resto, l’entusiasmo del compositore quando a Dresda fu disponibile
un nuovo e più potente sistema di illuminazione.
Molti degli elementi presenti nella scena comparivano già nelle sue fonti letterarie, una parte di questi effetti era rappresentata anche nel Freischütz di Caspar e
Neuner, ma l’innovazione di Weber fu quella di essere così fermamente intenzionato a rendere tutto ciò visivamente presente sul palcoscenico e di concepire un
modo per farlo. Non solo: la decisione di rappresentare la vera e propria fusione,
che era stata concepita come una rapida successione di manifestazioni del soprannaturale associate ciascuna ad una fase del rituale, imponeva di pensare sia la musica sia gli effetti scenici in una maniera nuova. Così la partitura, con la sua disgregazione formale, seguì ogni fase del rituale associando una musica diversa a
ciascun fenomeno ultraterreno, mentre la fantasmagoria fornì a sua volta l’esempio per la realizzazione di tali manifestazioni. Ancora di più: la fantasmagoria fu
probabilmente un modello proprio in termini di possibilità teorica di concepire
questo finale d’atto come concatenazione di singoli, rapidi eventi e manifestazioni
soprannaturali ad essi associate.
16