Tesi di Daniele Zanzi, A.A. 2007/2008 - INFN

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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI
Corso di Laurea in Fisica
SVILUPPO DEI DATABASE
PER IL RIVELATORE TOF
DELL’ESPERIMENTO ALICE
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa
LUISA CIFARELLI
Presentata da:
DANIELE ZANZI
Sessione II
Anno Accademico 2007/2008
Introduzione
Per questa tesi si sono sviluppati degli strumenti grafici e delle interfacce
web a supporto delle banche dati (database) del rivelatore Time Of Flight
(TOF) dell’esperimento A Large Ion Collider Experiment (ALICE) allestito
lungo l’anello del Large Hadron Collider (LHC). Il lavoro ha riguardato sia
la parte costruttiva sia la parte elettronica del rivelatore e per ognuna sono
state sviluppate delle routine dedicate. In particolare per la parte costruttiva
si sono create delle applicazioni per disegnare grafici personalizzati in modo
da poter confrontare velocemente grandi quantità di dati. In questo modo
è possibile fare valutazioni di controllo sulle caratteristiche generali del rivelatore. Per la parte elettronica si sono sviluppati un database, con relativa
interfaccia web, per raccogliere tutti i dati relativi ai moduli installati ed una
interfaccia utente per configurare velocemente il rivelatore.
Per quanto riguarda la struttura della tesi la parte iniziale è costituita
da due capitoli introduttivi. Nel primo vengono schematicamente presentati
alcuni punti essenziali circa la fisica che è possibile investigare con ALICE e
alcuni significativi segnali sperimentali che si cerca di osservare. Grazie allo
studio delle collisioni tra ioni pesanti che avvengono nel cuore del rivelatore si
può sperimentare la materia adronica in condizioni di temperatura estreme e
ciò dovrebbe permettere di verificare la transizione, prevista dalle simulazioni
numeriche, da gas di adroni a Quark-Gluon Plasma (QGP). Questa nuova
fase è caratterizzata da numerose osservabili come per esempio l’aumento
della stranezza dovuto all’alta energia media alla quale si forma il QGP.
Nel secondo capitolo vengono descritte le caratteristiche principali dell’esperimento necessarie per lo studio degli eventi generati dalle collisioni e le parti
che compongono il rivelatore. Per raggiungere le prestazioni richieste è stata progettata una macchina estremamente complessa costituita da numerose
componenti, ciascuna ottimizzata per svolgere compiti specifici, e una di queste è il TOF.
Nel terzo capitolo vengono presentate la tecnica di misura della massa attraverso il tempo di volo e le scelte adottate per il rivelatore TOF di ALICE.
i
ii
INTRODUZIONE
Le richieste di sostenere elevati flussi di particelle e, allo stesso tempo, avere
un’ottima risoluzione temporale su una regione di 160 m2 hanno portato alla
scelta di particolari rivelatori a gas: le Multi-gap Resistive Plate Chamber
(MRPC). In questo capitolo vengono descritti i processi fisici e gli accorgimenti tecnologici che caratterizzano questi dispositivi, ponendo particolare
attenzione sulle quelle proprietà che influenzano maggiormente la qualità del
rivelatore.
Il lavoro svolto per la tesi viene presentato nel quarto e ultimo capitolo. La
prima metà riguarda la parte costruttiva: vengono descritte le applicazioni grafiche sviluppate per il database che raccoglie le informazioni riguardo
questa parte del rivelatore assieme con la loro utilità. Si tratta di routine
che permettono di aggregare grandi quantità di dati con l’obiettivo di fare
un’analisi complessiva sulle caratteristiche del rivelatore. In tal modo si possono verificare l’omogeneità nelle proprietà delle varie componenti e valutare
la presenza di particolari correlazioni o eventuali “tendenze” legate alla fase
di produzione. Sempre per la parte costruttiva è stato sviluppato un altro
strumento, una sorta di motore di ricerca, che restituisce l’elenco delle MRPC che soddisfano i requisiti richiesti dall’utente. Con queste informazioni
è possibile confrontare i dati raccolti da gruppi omogenei di componenti e
valutare quali sono le caratteristiche delle MRPC che hanno le migliori prestazioni anche in vista della costruzione di nuovi rivelatori.
La seconda metà del capitolo riguarda la parte elettronica del TOF. Per prima cosa viene presentato il database dell’elettronica di front-end. Si tratta
di un database sviluppato con l’obiettivo di raccogliere tutte le informazioni
e la “storia” relative a ciascun modulo elettronico. Successivamente viene
descritta l’interfaccia utente per il database di configurazione dell’elettronica
di front-end che permette di configurare velocemente interi settori di moduli elettronici. A causa dell’elevato numero di componenti, senza questo
strumento la modifica dei parametri avverrebbe per un modulo alla volta e
richiederebbe tempi lunghi per ogni operazione di aggiornamento.
Indice
Introduzione
1 QCD e QGP
1.1 Modello standard . . .
1.2 Cenni di QCD . . . . .
1.3 Il QGP . . . . . . . . .
1.4 La rivelazione del QGP
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2 ALICE
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2.1 Il rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
3 Il TOF di ALICE
3.1 Tecniche di misura della massa
3.2 Time of Flight . . . . . . . . . .
3.3 Il rivelatore TOF . . . . . . . .
3.4 MRPC . . . . . . . . . . . . . .
3.5 Dettagli costruttivi . . . . . . .
3.6 L’elettronica . . . . . . . . . . .
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4 Sviluppo di banche dati per il TOF
4.1 Database per i parametri costruttivi . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Sviluppo delle routine . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.2 Descrizione di “ALICE TOF Construction Database” .
4.2 Banche Dati e interfacce per l’elettronica di Front-End . . . .
4.2.1 Descrizione di “ALICE-TOF Database” . . . . . . . . .
4.2.2 Descrizione di “ALICE-TOF Front-End Electronics Configuration Database” . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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29
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32
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44
Conclusioni
53
Bibliografia
55
iii
48
Capitolo 1
QCD e QGP
Al CERN di Ginevra sta per entrare in funzione il più grande acceleratore
mai costruito: il Large Hadron Collider (LHC). La sua funzione è quella di far
luce sui problemi irrisolti della fisica delle alte energie, verso i quali il Modello
Standard (MS), il quadro teorico di riferimento, non riesce a dare una risposta
definitiva. Queste domande riguardano le componenti ultime della materia
e come queste interagiscano per formare la realtà che percepiamo. I risultati
ottenuti permetteranno di capire meglio le leggi fondamentali dell’Universo e
avranno importanti ripercussioni in molti campi della fisica, dalle proprietà
microscopiche della materia fino alle leggi macroscopiche della cosmologia.
1.1
Modello standard
La teoria comunemente accettata per spiegare le componenti fondamentali della materia e le loro interazioni è il Modello Standard. All’interno di
questo quadro trovano posto due famiglie di particelle, al momento ritenute
prive di struttura interna: i quark e i leptoni. Entrambe sono suddivise in tre
generazioni e ogni generazione è costituita da un doppietto. I leptoni sono
formati da elettrone, muone e tau, ciascuno con il rispettivo neutrino, mentre
i quark sono formati dalle coppie up e down, charm e strange, top e bottom.
Queste dodici particelle, quindi, rappresentano i mattoni di cui è composta
la materia. Le loro interazioni possono essere di quattro tipi differenti, forte,
debole, elettromagnetica e gravitazionale, ma il meccanismo con cui si propagano è sempre attraverso scambi di particelle mediatrici.
I risultati predittivi sono molteplici e rendono il MS una solida teoria, ma
rimangono aperte molte domande. In effetti ci sono parametri fondamentali,
come le masse dei quark, che non sono definiti e alcuni meccanismi, necessari
per mantenere consistente la teoria, che richiedono l’esistenza di particelle,
1
2
1. QCD e QGP
come il bosone di Higgs, non ancora osservate. Il lavoro di ricerca, oltre che
tentare di rispondere a queste domande, cerca anche di verificare i tanti fenomeni previsti dalla teoria ma non ancora osservati come, per esempio, le
transizioni di fase della materia adronica.
1.2
Cenni di QCD
La famiglia degli adroni include un gran numero di particelle, tra i quali
protoni e neutroni, tutte costituite da stati legati di quark interagenti tramite
la cosiddetta forza forte.
All’interno del MS l’interazione forte viene trattata dalla Cromo-Dinamica
Quantistica (QCD). Per comprendere le caratteristiche e i limiti di questa teoria è utile descriverla in analogia con l’Elettro-Dinamica Quantistica (QED),
che invece descrive il campo elettromagnetico. Le due teorie hanno molti
punti in comune, specialmente per quanto riguarda la struttura dell’interazione, ma, dal punto di vista del potere predittivo sono molto diverse dato
che è possibile utilizzare l’approccio perturbativo solo nella QED. Per questa
teoria è possibile prendere come parametro per lo sviluppo in serie la costante
di accoppiamento αem che rappresenta la carica del campo o, in altri termini,
l’intensità di interazione. Dato che il suo valore è αem ≈ 1/137 ogni termine
dello sviluppo è due ordini di grandezza meno significativo del precedente
permettendo, quindi, di raggiungere facilmente grandi precisioni.
Nel caso della QCD questo approccio non è possibile poiché αs , la costante
di accoppiamento per il campo forte, è αs ≈ 1 e questo rende ogni termine confrontabile con quelli precedenti. Per ottenere delle previsioni bisogna
utilizzare metodi numerici estremamente complessi e dispendiosi che impediscono di raggiungere grandi precisioni. Questa caratteristica ha reso difficile
lo studio della QCD e, ad oggi, manca ancora una spiegazione di come le
caratteristiche degli adroni emergano dinamicamente dall’aggregazione dei
quark.
In realtà quanto è stato detto in precedenza non è del tutto esatto. Le costanti di accoppiamento αem e αs non hanno un valore definito, anche se
alla scala di energia ordinaria i valori sono quelli sopraindicati. Per avere
un quadro più generale bisogna pensare queste costanti come running constant il cui valore dipende dal quadrato del momento trasferito e quindi
dalla distanza di interazione. In effetti, la carica del campo elettromagnetico diminuisce con il diminuire del momento trasferito e quindi al crescere
della distanza di interazione. Questo comportamento è dovuto al fatto che,
sebbene in QED l’interazione sia interpretata, all’ordine più basso, come lo
scambio di un fotone, se si considerano i diagrammi di Feynman agli ordini
1.2 Cenni di QCD
3
superiori, si possono aggiungere loop fermionici il cui effetto viene tenuto in
conto nell’approssimazione dei leading log 1 :
α(|q|2 ) =
α(0)
1−
α(0)
|q|2
ln (mc)
2
3π
h
i
(1.1)
L’effetto netto, quindi, è quello di schermare la carica elettrica all’aumentare
della distanza o al diminuire del momento trasferito.
Questo fenomeno interessa anche l’interazione forte ma la QCD oltre ai loop
fermionici prevede anche loop bosonici. Il gluone, il bosone vettore della forza
forte, a differenza del fotone, il bosone vettore del campo elettromagnetico,
trasporta una carica e, conseguentemente, è sensibile al campo forte. Non
si tratta di carica elettrica bensı̀ di carica di “colore”. Esistono tre cariche
di colore (mentre esiste una sola carica elettrica) e sia quark sia gluoni sono
“colorati”. Di conseguenza, il gluone può interagire con un altro gluone al
contrario del fotone che non può “vedere” gli altri fotoni non essendo portatore di carica.
La correzione che i loop bosonici apportano alla costante di accoppiamento
forte è di un aumento in corrispondenza dell’aumento della distanza o, in
modo equivalente, della diminuzione del momento trasferito, una sorta di
anti-schermaggio. Loop bosonici e loop fermionici danno, quindi, contributi
opposti alla costante forte. La teoria non può prevedere quale dei due prevalga a causa di un parametro libero: il numero di generazioni dei quark, o più
precisamente, dei doppietti (up-down, charm-strange, top-bottom). Attualmente questo valore è stato misurato con precisione ed è pari a 3. Fissando
allora questo parametro risulta che il contributo prevalente sia quello dei loop
bosonici e che, quindi, la costante di accoppiamento cresca all’aumentare della distanza di interazione2 .
L’andamento di αs è essenziale per comprendere lo stato di aggregazione in
cui si presenta la materia fortemente interagente alla scala ordinaria di energia e temperatura: il gas di adroni. In effetti, se consideriamo distanze molto
piccole e momenti trasferiti molto grandi, l’intensità di interazione diventa
trascurabile e i quark sono liberi di muoversi, “Libertà Asintotica”. Non appena si superano le distanze caratteristiche della forza forte e cioè il fm, la
costante di accoppiamento assume valori molto alti impedendo ai quark di
potersi ulteriormente allontanare.
1
α(0) si riferisce ad un impulso trasferito tendente a zero e l’espressione vale
nell’approssimazione |q|2 (me c)2 .
2
La prevalenza del contributo di anti-schermaggio dei loop bosonici sul contributo dovuto ai loop fermionici si mantiene nell’ipotesi che nf ≤ 16 dove nf è il numero di flavour
cioè il numero di tipi di quark.
4
1. QCD e QGP
Con queste considerazioni si giustifica il fatto che i quark sono permanentemente confinati all’interno degli adroni e si può anche comprendere una delle
ipotesi su cui si basa la QCD, cioè il fatto che in Natura la materia si presenta
solo in stati di singoletto di carica di colore. Se, infatti, fosse presente una
carica forte manifesta, questa sarebbe sorgente di un campo la cui intensità
all’infinito sarebbe divergente, una evidente condizione di instabilità non accettabile.
A temperature e densità ordinarie per la materia fortemente interagente il
gas di adroni è la forma di aggregazione sperimentata da quark e gluoni,
ma non è l’unica. In effetti, attraverso le simulazioni numeriche si è previsto che questi mattoni fondamentali possano organizzarsi anche in altre fasi,
tra le quali il cosiddetto QGP. Tali previsioni hanno finora trovato un certo
riscontro a livello sperimentale nello studio delle collisioni tra ioni pesanti [2].
1.3
Il QGP
In particolari condizioni, ci si attende che la tendenza della costante di
accoppiamento di crescere all’aumentare della distanza venga invertita permettendo quindi la formazione di stati deconfinati di quark e gluoni, il QuarkGluon Plasma (QGP). Se si segue l’andamento dell’intensità di interazione
in funzione della distanza facendo variare la temperatura (figura 1.1) si può
riconoscere un valore critico oltre il quale il vincolo che costringeva i quark
allo stato confinato si affievolisce permettendo la transizione dal gas di adroni
al plasma di quark e gluoni.
Il valore della temperatura al quale avviene questo passaggio è stimato in
Tc = (173 ± 15) MeV ad una densità ≈ 0.7 GeV/fm3 [2]. A questa scala
di energie un ruolo cruciale di regolazione è giocato dalle masse dei quark
più leggeri come quella del quark strange. Sebbene all’interno degli adroni
la massa stimata di questo quark sia maggiore di Tc , nello stato deconfinato
del QGP questa si modifica passando ad una massa “nuda” con un valore
stimato leggermente inferiore alla temperatura a cui avviene la transizione.
Un altro fattore regolatore molto importante è il numero di gradi di libertà
del sistema che influisce sulla densità di energia ed è legato al numero di
sapori presenti nella transizione.
Lo studio del QGP è importante perché interessa molteplici campi della fisica.
A parte la rilevanza all’interno del MS, la comprensione delle caratteristiche
di questa fase è importante anche nel campo cosmologico. In accordo con il
modello di Big Bang caldo, l’Universo, nei primi istanti, doveva avere una
temperatura media estremamente alta, superiore alla temperatura critica necessaria per la transizione. Le fasi iniziali della sua evoluzione devono, quindi,
1.4 La rivelazione del QGP
Figura 1.1: Andamento di αs in funzione di distanza e temperatura [8].
essere studiate prendendo come gradi di libertà non gli adroni bensı̀ quark e
gluoni. Solo quando l’espansione e il conseguente raffreddamento hanno abbassato l’energia media al di sotto della temperatura critica si sono formati
gli adroni.
Inoltre queste ricerche trovano applicazione anche nel campo dell’astrofisica
dato che è plausibile che nel nucleo delle stelle di neutroni ci siano condizioni
tali da permettere l’esistenza del QGP.
1.4
La rivelazione del QGP
Per poter osservare questa nuova fase è necessario portare la materia nucleare a condizioni di temperatura estreme. Una delle tecniche possibili è
attraverso la collisione tra ioni pesanti, in cui un gran numero di nucleoni
viene concentrato in regioni molto piccole.
La successione di eventi che ci si aspetta di osservare parte dall’aumento
della temperatura e della densità di energia a seguito dell’urto. Una volta
raggiunte le condizioni per la transizione si crea un equilibrio termico in cui
i quark up, down e strange sono perfettamente simmetrici dato che le loro
masse sono tutte inferiori alla temperatura critica. In questa situazione ci
si aspetta un aumento del tasso di produzione della stranezza rispetto agli
eventi in cui non si forma il QGP.
L’evoluzione del sistema procede con la fase di espansione dovuta alla pressione interna che riduce la densità di energia fino al valore critico in cui
5
6
1. QCD e QGP
Figura 1.2: Diagramma di fase della materia fortemente interagente in cui
si possono riconoscere le due fasi, gas di adroni e QGP, le condizioni ipotizzate per le stelle di neutroni e per i primi istanti dopo il Big Bang e le
regioni esplorate dai vari esperimenti. La grandezza utilizzata in ascissa µB
è il potenziale chimico barionico ed è pari all’energia minima necessaria per
incrementare il numero barionico totale del sistema. µB è un indicatore della
densità barionica. In particolare, µB 6= 0 segnala uno sbilanciamento tra barioni e antibarioni. A LHC, nelle collisioni a piccolo parametro d’impatto, la densità di barioni e
antibarioni sarà talmente elevata da poter considerare µB ≈ 0.
1.4 La rivelazione del QGP
avviene la transizione da QGP a gas di adroni. Questa fase è chiamata adronizzazione ed è caratterizzata dalla formazione di stati legati che congelano
le abbondanze relative dei vari sapori (freeze-out chimico). Nonostante le
interazioni anelastiche si siano fortemente ridotte, continuano ad esserci interazioni elastiche che modificano gli spettri cinematici delle particelle. Una
volta che gli adroni hanno raggiunto distanze tali da impedire sia interazioni
forti sia urti elastici, allora anche le distribuzioni cinematiche delle particelle
vengono congelate (freeze-out cinematico).
Per studiare questi eventi e determinare se sia avvenuta o meno la formazione
del QGP sono stati individuati numerosi parametri e osservabili sperimentali.
Una prima classe è costituita da grandezze come il parametro d’impatto, la
densità di energia e l’entropia che permettono di caratterizzare indirettamente l’evento per verificare se sono state raggiunte le condizioni necessarie per
la transizione. Inoltre, sfruttando sempre queste grandezze, è possibile studiare le variazioni di temperatura e dei gradi di libertà (figura 1.3), altri due
parametri da cui si possono ricavare prove indirette. Le osservabili fisiche che
Figura 1.3: Il grafico riporta la previsione ottenuta con metodi numerici
dell’andamento di /T 4 , dove è la densità di energia, in funzione di T. La
grandezza in ordinata è legata al numero dei gradi di libertà e dovrebbe avere
una grande variazione al momento della transizione di fase [8].
sono correlate con queste grandezze sono principalmente l’impulso trasverso
pT , la distribuzione in rapidità, o pseudo-rapidità, degli adroni dN/dy e la
distribuzione in rapidità dell’energia trasversa dET /dy.
La rapidità è una grandezza fisica che mette in luce quanto sia grande la fra-
7
8
1. QCD e QGP
zione di impulso trasverso sull’impulso totale e a velocità relativistiche viene
anche utilizzata per parametrizzare l’angolo polare. Per essere più precisi la
definizione è:
!
E + pz
1
(1.2)
y = ln
2
E − pz
Ad alte energie, β ≈ 1 e la rapidità si può approssimare con la pseudo-rapidità
η, più facilmente misurabile perché legata solo alla misura dell’angolo polare
θ:
!
1
p + pz
1 η = ln
= − ln tan2 (θ/2)
(1.3)
2
p − pz
2
Un’altra classe di prove sperimentali è quella legata alla produzione di fotoni e coppie leptoniche che, non interagendo fortemente, attraversano la fase
di adronizzazione senza esserne influenzati. Le osservabili elettromagnetiche
sono, quindi, considerate dei segnali diretti della transizione di fase. Questo
tipo di osservazione però risulta estremamente complesso a causa dell’elevata
molteplicità che si raggiunge nelle collisioni e del conseguente fondo da eventi
γ → e+ e− per gli elettroni e π 0 → γγ, η → γγ, η → π 0 π 0 π 0 per i fotoni. È
stato stimato che un chiaro segnale da fotoni diretti possa essere osservato
solo a temperature molto più elevate di Tc e per impulsi trasversi maggiori
di 2 GeVc−1 .
Infine ci sono le prove sperimentali legate alla molteplicità di particelle prodotte come, per esempio, l’aumento della stranezza rispetto ad eventi in cui
non si forma il QGP. Nei processi adronici la presenza di questo sapore è
fortemente svantaggiata a causa della massa “effettiva” del quark strange
superiore a quella dei quark up e down. Nel QGP, invece, in cui l’energia
corrispondente alla temperatura critica è superiore alla massa “nuda” del
quark strange (∼100 MeV) le considerazioni energetiche vengono meno e la
probabilità che questo tipo di quark si materializzi aumenta. Una volta che
i quark vengono congelati in stati legati, il numero quantico di stranezza nei
processi forti si conserva. Solo l’interazione debole viola questo principio di
conservazione, ma le vite medie legate ai decadimenti deboli sono molto maggiori rispetto ai tempi caratteristici dei processi forti. Ciò dà la possibilità al
rivelatore di valutare l’eventuale aumento della stranezza attraverso lo studio
dell’abbondanza di particelle strane ossia dei rapporti K/π o φ/π confrontati
con gli stessi rapporti nelle collisioni p-p dove non avviene la transizione di
fase.
I primi esperimenti in cui si è studiato il QGP risalgono a 20 anni fa e sono
stati condotti al BEVALAC di Berkeley, all’AGS del Brookhaven National
Laboratory e√al SPS del CERN, tutti con acceleratori a bersaglio fisso e con
energie fino s ≈ 5 GeV. I risultati ottenuti hanno portato allo sviluppo
1.4 La rivelazione del QGP
di una nuova classe di esperimenti tra i quali i più importanti sono quelli
tuttora in corso presso il Relativistic Heavy Ion Collider (RHIC) del Brookhaven National Laboratory. Grazie al passaggio da acceleratori a bersaglio
fisso
√ a collisionatori si è potuto raggiungere l’energia nel centro di massa di
s ≈ 200 GeV.
Gli ultimi esperimenti saranno quelli condotti con il rivelatore A Large Ion
Collider Experiment (ALICE) installato lungo l’anello del Large Hadron Collider (LHC) del CERN. Grazie ai grandi numeri che caratterizzano il nuovo
acceleratore di Ginevra sarà possibile non solo aumentare di circa un fattore 30 l’energia nel centro di massa, ma anche fare un salto di un ordine di
grandezza nella molteplicità di particelle prodotte.
Oltre ad ALICE, l’acceleratore LHC ospiterà altri tre esperimenti con finalità
complementari:
• ATLAS e CMS, i due rivelatori più grandi, sono alla ricerca del bosone di Higgs, la particella ritenuta responsabile della massa dei bosoni
vettori W + , W − e Z 0 , mediante un meccanismo di rottura spontanea
della simmetria di gauge elettrodebole;
• LHCb è specializzato in misure di precisione per studiare i processi in
cui viene violata la simmetria CP ed in cui emerge il disallineamento
tra gli autostati di massa e quelli di gauge.
9
10
1. QCD e QGP
Capitolo 2
ALICE
Gli eventi che ALICE [1, 2] osserverà
√ sono collisioni fra ioni pesanti (PbPb) con energia nel centro di massa s = 5.5 TeV per coppia di nucleoni.
Lo scopo principale sarà l’analisi delle variazioni negli stati finali in funzione
della densità di energia del sistema generato dalla collisioni e, quindi, della
possibile formazione del QGP. Le grandezze fisiche rilevanti per l’esperimento
saranno principalmente:
• molteplicità relative delle particelle adroniche;
• gli spettri di impulso trasverso;
• fluttuazioni nelle distribuzioni delle particelle;
• fotoni diretti;
• decadimenti di mesoni vettori in coppie leptoniche o in coppie adroniche;
• produzione di stati open charm e open beauty;
• correlazioni tra particelle e jet;
• distribuzione dei momenti trasversi di π, K e p.
Per poter effettuare questo tipo di studi il rivelatore dovrà avere alte prestazioni nell’identificazione delle particelle (PID) cioè nella capacità di riconoscere le specie delle particelle prodotte, compito reso particolarmente difficile
per questo tipo di eventi dall’elevata molteplicità attesa. Il rivelatore, infatti, è progettato per poter osservare una molteplicità di particelle cariche fino
a 8000 per unità di rapidità. La figura riporta la complessità degli eventi
previsti.
11
12
2. ALICE
Figura 2.1: Simulazione di un evento atteso nell’esperimento ALICE.
2.1
Il rivelatore
Le scelte adottate in fase di progettazione si sono indirizzate verso un
rivelatore sufficientemente onnicomprensivo con diverse ottimizzazioni per
riuscire a tracciare ed identificare particelle su un grande intervallo di pT , a
partire da ∼ 100 MeV c−1 fino a ∼ 100 GeV c−1 .
Adroni, elettroni e muoni vengono studiati tramite un sistema di rivelatori
che sfrutta un campo magnetico medio di 0.5 T, generato dal magnete dell’esperimento L3 del LEP, e che copre l’intervallo di pseudo-rapidità |η| < 0.9.
Questa complessa macchina è costituita da due gruppi di rivelatori che, insieme, svolgono le funzioni di tracciamento e identificazione. Il primo gruppo
si basa su rivelatori ad alta granularità ed è formato da:
• Inner Tracking System, ITS: è il rivelatore più vicino al vertice di interazione ed è costituito da sei strati di rivelatori al silicio. L’ITS svolge
numerosi compiti tra i quali quello di individuare il vertice primario
con una risoluzione di 100 µm, di ricostruire i vertici secondari delle
particelle a breve vita media come i mesoni D e B, tracciare e identificare particelle a basso impulso e migliorare la risoluzione del rivelatore
TPC. A causa della elevata densità di particelle che si raggiunge nelle
regioni prossime al vertice di interazione e che diventa sempre meno
2.1 Il rivelatore
critica all’aumentare del raggio si è deciso di suddividere il rivelatore
in tre settori: i silicon pixel layer, i silicon drift layer e i silicon strip
layer.
• Time Projection Chamber, TPC: è il più grande rivelatore mai costruito di questo tipo e costituisce la componente principale nel sistema di
tracciamento. La necessità di un rivelatore di questo genere è dovuta
alla richiesta di efficienza nel tracciamento e di accuratezza nella misura
degli impulsi in condizioni di elevatissima molteplicità. Questo obiettivo è raggiunto anche grazie all’accoppiamento tra le tracce ricostruite
da TPC e quelle ricostruite da ITS.
• Transition Radiation Detector, TRD: la funzione di questo rivelatore
è quella di identificare elettroni con impulsi superiori a 1 GeV c−1 ,
provenienti dal decadimento di mesoni vettori, che la camera TPC non
è in grado di riconoscere, e migliorare la misura dei momenti fatta
dagli altri due rivelatori (ITS e TPC). Le tracce ricostruite vengono
anche correlate con i segnali ottenuti dai rivelatori più esterni (TOF e
HMPID) per ottenere misure più precise.
L’identificazione delle particelle è ottenuta, oltre che dalla misura della perdita di energia dE/dx negli apparati ITS e TPC, anche da un sistema di tre
rivelatori:
• Time of Flight, TOF: questo rivelatore verrà descritto in dettaglio nel
capitolo successivo ed è dedicato alla misura del tempo di volo delle
particelle cariche a basso e medio impulso coprendo l’intera regione
azimutale.
• High-Momentum Particle Identification Detector, HMPID: questo rivelatore, invece, è progettato per identificare particelle ad alto impulso
tramite la rivelazione di radiazione Cherenkov. HMPID, quindi, rafforza la capacità di ALICE di identificazione delle particelle, alzando il
limite superiore in impulso ottenibile dalle misure della perdita di energia (ITS e TPC) e dalle misure del tempo di volo (TOF). La copertura
angolare è però notevolmente ridotta rispetto al TOF.
• PHOton Spectrometer, PHOS: ha principalmente il compito di rivelare
i fotoni diretti ad alto impulso. Questo apparato permette di studiare
fotoni generati nel QGP e, per poter ridurre al minimo i disturbi dovuti
al fondo di fotoni provenienti dal decadimento dei π 0 , si è puntato
sull’elevata granularità.
13
14
2. ALICE
Per quanto riguarda i muoni, la loro rivelazione può contare anche su uno
spettrometro dedicato posto in avanti, ad elevata rapidità. Lo scopo è quello
di studiare i decadimenti leptonici dei quark massivi.
All’interno di ALICE trovano posto anche altri rivelatori più piccoli che completano la parte centrale e che contribuiscono a caratterizzare gli eventi, in
particolare attraverso la misura del vertice e del tempo assoluto di interazione. Infine, a zero gradi rispetto all’asse del fascio è posizionato lo Zero
Degree Calorimeter, ZDC, che ha il compito di misurare la centralità dell’urto attraverso la misura del numero di ioni spettatori che non partecipano
all’interazione.
Figura 2.2: ALICE: (1) Magnete; (2) HMPID; (3) TOF e TRD; (4), (5), (6),
(7) Rivelatori e assorbitori per muoni; (8) TPC; (9) PHOS; (10) ITS.
Capitolo 3
Il TOF di ALICE
3.1
Tecniche di misura della massa
La misura della massa è estremamente importante perché permette, insieme alla misura della carica, di identificare le particelle, ma non può essere
fatta direttamente. Richiede, infatti, la conoscenza di almeno due grandezze,
misurate simultaneamente e in modo indipendente, delle quali almeno una
sia dipendente dalla massa. Questo è il caso della coppia velocità e impulso.
Tipicamente la misura dell’impulso viene effettuata attraverso la ricostruzione della traiettoria e il calcolo della curvatura in un campo magnetico
di intensità nota (TPC). Nel caso in cui le linee di forza del campo siano
ortogonali alla direzione di volo la formula per ricavare l’impulso è:
p = qRB
(3.1)
dove q è la carica, R è il raggio di curvatura e B è l’intensità del campo
magnetico.
Per quanto riguarda la misura della velocità le tecniche comunemente usate
sono due: mediante la rivelazione con luce Cherenkov o attraverso la misura
del tempo di volo. La prima tecnica presenta il limite di funzionamento
β ≥ 1/n, dove n rappresenta l’indice di rifrazione del materiale attraversato
dalla particella e β = v/c. Se una particella ha un β inferiore a questo limite,
allora non può essere rivelata con questa tecnica. I rivelatori Cherenkov
diventano efficienti solo per impulsi superiori al GeVc−1 , ma è stato stimato
che nelle collisioni di ioni pesanti del LHC il 97% delle particelle prodotte
avranno impulsi inferiori ai 2 GeVc−1 . Questo tipo di rivelatori presenta
anche degli svantaggi per quanto riguarda gli alti costi e i piccoli flussi di
particelle sostenibili. Per questo motivo nell’esperimento ALICE al rivelatore
a luce Cherenkov (HMPID), che copre solo una piccola regione azimutale, è
15
16
3. Il TOF di ALICE
stato abbinato un altro strumento che utilizza la seconda tecnica possibile
per la misura della velocità e permette di raggiungere la copertura completa:
il TOF.
3.2
Time of Flight
I rivelatori Time of Flight misurano l’intervallo di tempo necessario alla
particella per percorrere una distanza nota, calcolata dalla ricostruzione della
traiettoria grazie ai tracciatori. Conoscendo distanza e intervallo temporale,
è possibile ricavare la velocità della particella. Per arrivare a determinare
la massa basta applicare la seguente formula che deriva dalla definizione
relativistica dell’impulso:
s
ctT OF 2
−1
(3.2)
mc = p
L
dove p è l’impulso misurato, tT OF è il tempo di volo e L è la lunghezza della
traiettoria percorsa dalla particella.
Per quanto verrà discusso in seguito è interessante fare alcune considerazioni
sulla precisione che si può ottenere con questa tecnica. La seguente formula
indica i vari contributi alla risoluzione in massa:
dm
=
m
dove γ = √ 1
1−β 2
v
u
u
u
t
dp
p
!2

dtT OF
+ γ4 
tT OF
!2
dL
+
L
!2 

(3.3)
. Già da questa formula è evidente quanto sia importante
rendere la precisione sul tempo di volo più piccola possibile, dato che è pesata
dal fattore γ 2 che per particelle relativistiche diventa molto grande.
Nel caso, per esempio, di una particella che percorre la distanza di circa 3
m tra il vertice di interazione e il rivelatore ad una velocità prossima a c in
circa 10 ns, se si vuole ottenere una precisione dell’1% su tT OF , è necessario
che il TOF abbia una risoluzione temporale di 100 ps.
Passando ora a considerazioni sulla capacità di identificare le particelle di
ALICE, si può valutare il caso di due particelle di massa diversa ma con
stesso impulso e stessa lunghezza di traccia. In questo caso la differenza nel
tempo di volo è1 :
c∆t1−2
1
1
1
−
=L
β1 β2
!
=
v
u
u

L t1 +
m21 c2
p2
v
u
u
− t1 +

m22 c2  Lc2 (m21 − m22 )
≈
p2
2p2
(3.4)
Approssimazione valida per particelle relativistiche per le quali m2 c2 /p2 1.
3.3 Il rivelatore TOF
17
Per poter distinguere le due particelle è necessario che i segnali siano ben
separati e questo si traduce al livello quantitativo in un numero di deviazioni
standard contenute in ∆t almeno maggiore di 3:
n=
∆t
Lc (m21 − m22 )
=
δt
2p2 δt
(3.5)
dove δt = dtT OF è la risoluzione temporale del rivelatore. Per avere, per
esempio, una separazione di almeno 3 deviazioni standard tra π e K per impulsi fino a 2.5 GeVc−1 è necessario, anche in questo caso, che il rivelatore
abbia una risoluzione temporale complessiva non superiore ai 100 ps. Il rivelatore costruito soddisfa ampiamente questa richiesta riuscendo a raggiungere
risoluzioni di 80 ps (§3.6).
3.3
Il rivelatore TOF
Il rivelatore [3, 4] si trova a 3.7 m dall’asse del fascio coprendo l’intero
angolo azimutale ed una accettanza polare |θ − 90◦ | < 45◦ . È progettato per
l’identificazione di particelle cariche (PID) nella regione di pseudo-rapidità
|η| < 0.9 per impulsi intermedi, da 0.2 a 2.5 GeVc−1 . Come è già stato accennato, la maggior parte delle particelle prodotte avranno impulsi proprio
nell’intervallo coperto dal TOF e quindi le capacità di questo strumento diventano cruciali.
Quello che è stato costruito è un rivelatore con una grande copertura ed
elevata granularità, in modo da poter sostenere gli elevati flussi di particelle
attesi. Queste caratteristiche richiedono un grande numero di canali indipendenti, circa 160 000, che insieme con la necessità di coprire una grande
superficie, 160 m2 , hanno portato a scegliere un rivelatore a gas, ed in particolare un rivelatore con la tecnologia a Multi-gap Resistive-Plate Chamber,
MRPC.
3.4
MRPC
Il processo fisico alla base del funzionamento dei rivelatori a gas è quello della ionizzazione al passaggio di una particella carica. In dettaglio, alle
estremità della regione dove è contenuto il gas è applicata una differenza di
potenziale elettrico. Quando la particella ionizza gli atomi del gas (ionizzazione primaria) vengono liberati elettroni che, accelerati dal campo elettrico,
ionizzano a loro volta altri atomi (ionizzazione secondaria) generando un
effetto a valanga. Le nubi di elettroni e ioni positivi, attratti dal campo,
18
3. Il TOF di ALICE
subiscono un moto di deriva verso i due poli dove inducono due distribuzioni
di carica che generano il segnale elettrico. Il TOF di ALICE sfrutta quello
indotto dalla nube di cariche negative per poter avere i tempi di risposta
migliori dato che gli elettroni hanno una mobilità maggiore rispetto agli ioni
positivi.
La scelta dell’intensità della differenza di potenziale è fondamentale perché,
a seconda della pressione del gas, deve permettere agli elettroni di acquisire
l’energia di ionizzazione in una distanza minore del libero cammino medio.
Se questo non avviene, non si può innescare la ionizzazione secondaria, fondamentale per amplificare le cariche elettriche liberate dal passaggio della
particella ed essenziale per produrre un segnale intenso e distinguibile dal
rumore di fondo.
Ci sono diversi regimi di funzionamento per i rivelatori a gas a partire dalla
semplice ionizzazione primaria fino alla saturazione. Per quello che verrà
spiegato in seguito il TOF lavora in un regime in cui il segnale indotto è
notevolmente amplificato dalle valanghe ma mantiene la proporzionalità con
la carica depositata dalla particella che ha attraversato il rivelatore.
Le Multi-gap Resistive-Plate Chamber sono rivelatori a gas derivati dallo sviluppo tecnologico delle Resistive-Plate Chamber, RPC. Quest’ultima classe di
rivelatori ha una geometria formata da due elettrodi resistivi piani e paralleli
che delimitano la regione in cui è contenuto il gas. La necessità di utilizzare
elementi resistivi è dovuta al fatto che se si utilizzassero strati conduttivi
questi schermerebbero completamente le valanghe e non sarebbe possibile
raccogliere il segnale indotto.
Il salto tecnologico oltre le RPC deriva dalla necessità di costruire un rivelatore in grado di sostenere elevati flussi di particelle e che abbia una ottima
risoluzione temporale, insieme alle ovvie richieste di bassa potenza dissipata
e semplicità di costruzione a causa delle dimensioni dello strumento.
I punti critici sono legati al tipo di valanga che si produce. La carica totale
dipende dal punto in cui avviene la ionizzazione primaria, mentre la forma
dipende dalla differenza di potenziale (ddp). Si può stimare che il numero di
elettroni prodotti sia:
N = Ni eαx
(3.6)
dove Ni è la carica iniziale prodotta per ionizzazione primaria, α = 1/λ
è il coefficiente di Townsend, pari all’inverso del libero cammino medio e
direttamente proporzionale alla ddp, mentre x è la distanza dall’anodo.
Per poter essere registrato il segnale indotto dalla valanga deve superare
una soglia. Questo richiede un numero minimo di ionizzazioni secondarie
indipendentemente dal punto in cui è avvenuta la prima ionizzazione. Per
cui, per avere una buona risoluzione temporale, è necessario che il tempo
3.4 MRPC
19
richiesto per il superamento della soglia abbia una dispersione molto piccola.
In prima approssimazione:
δt ≈
λ
vdrif t
=
1
αvdrif t
(3.7)
dove vdrif t è la velocità di deriva degli elettroni nel gas.
Ci sono quindi delle fluttuazioni δt legate al libero cammino medio degli elettroni che possono essere ridotte lavorando a coefficienti di Townsend molto
alti.
Su α però bisogna mettere dei limiti superiori per avere alti flussi di particelle osservate. La carica totale prodotta da una valanga non può essere
troppo grande altrimenti i tempi morti legati alla sua diffusione sugli elettrodi resistivi diventano considerevoli. Si preferisce avere segnali più piccoli, ma
una migliore capacità di sostenere alti flussi. Il regime di funzionamento con
queste caratteristiche è quello di “limitata proporzionalità” in cui N < 108 .
Da questa richiesta deriva
eαD < 108 → αD < 18
(3.8)
dove D è la larghezza dell’intercapedine di gas (gap) tra i due elettrodi.
Per ottenere una buona risoluzione temporale bisogna scegliere α grandi e
quindi ddp elevate, ma mantenere gap piccoli per evitare saturazioni e scariche. Queste considerazioni mettono in luce i motivi che hanno richiesto una
nuova tipologia di RPC. La caratteristica innovativa delle MRPC è quella di
avere una struttura a multi-gap formata da vetri elettricamente flottanti che
sono inseriti tra quelli a cui è applicata la ddp. Quello che si realizza non
è una RPC multipla poiché la lettura dei segnali avviene solo sui due vetri
più esterni e quindi le singole valanghe prodotte all’interno di ogni gap si
sommano a dare un segnale unico.
I piccoli gap permettono di avere α elevati in un regime di piccoli segnali. Allo stesso tempo viene sfruttata l’intera regione occupata dal gas, sommando
i vari gap, in modo da ridurre la probabilità che una particella attraversi il
rivelatore senza ionizzare. A questi vantaggi se ne aggiungono altri. Grazie al
fatto che il segnale viene prodotto dalla somma di più valanghe indipendenti,
esso assume una forma molto più regolare rispetto al caso di gap unico. Il
picco diventa più netto permettendo una migliore analisi, le code si riducono
aumentando il flusso di particelle osservabili e la risoluzione temporale migliora perché vengono sommati eventi di ionizzazione indipendenti.
Un altro fattore che permette di diminuire ulteriormente l’incertezza sul tempo è il fatto che il rivelatore al contrario delle normali RPC lavora in un
regime in cui la carica della valanga è proporzionale a quella depositata dalla
20
3. Il TOF di ALICE
particella. Questa informazione permette di fare una importante correzione. L’istante che viene registrato per il passaggio della particella è quando
il segnale supera una determinata soglia, ma l’intervallo temporale tra la ionizzazione primaria e il superamento della soglia può variare a seconda di
quanta carica viene depositata (time slewing), come mostra la figura 3.1.
Sfruttando la proporzionalità tra carica totale e segnale indotto è possibile
Figura 3.1: Time slewing: nonostante i segnali di due particelle abbiano inizio
nello stesso istante il superamento della soglia avviene per il più piccolo con
un ritardo ∆t. Grazie alle informazioni sulla carica totale ossia sull’ampiezza
del segnale ottenute in base agli istanti in cui i segnali tornano sotto soglia è
possibile stimare il ∆t.
correlare tempo e carica migliorando la precisione dello strumento.
L’ultimo fattore critico che influisce sulle prestazioni delle MRPC è la resistività dei vetri, sia quelli interni sia i due esterni. Questo è un parametro critico
perché, se è basso, allora la carica depositata si diffonde troppo velocemente
sul vetro inducendo un segnale esteso e peggiorando, di conseguenza, la risoluzione spaziale. Se, invece, è troppo alto, da una parte non si produce un
guadagno nella localizzazione del segnale, dato che la valanga ha comunque
una sua propria estensione, dall’altra la carica non si disperde abbastanza
velocemente aumentando i tempi morti del rivelatore e diminuendo il flusso
di particelle che questo può sostenere.
Per questi motivi si è scelto il vetro, un materiale che concilia sia le richieste sulla resistività sia le richieste di economicità. I due strati più esterni
sono stati trattati con una vernice acrilica che forma delle pellicole resisti-
3.5 Dettagli costruttivi
ve a cui viene collegata l’alta tensione in modo da realizzare i due elettrodi
piani necessari per il funzionamento delle MRPC. Questa operazione è stata
fatta con molta cura sia per l’importante ruolo giocato dalla resistività sulle
prestazioni del rivelatore sia perché il trattamento stesso si è rivelato molto
delicato.
Dopo una fase di sviluppo delle MRPC si è scelto di utilizzare una configurazione a double-stack in cui le due MRPC sono disposte simmetricamente
attorno ad un unico anodo. I vantaggi di questo accorgimento derivano dal
fatto che per poter avere molti gap bisogna applicare tensioni molto alte alle
estremità e i segnali si riducono a causa della distanza tra gli elettrodi sui
quali si trovano i sensori di lettura dei segnali e le valanghe stesse. Nelle
double-stack MRPC, invece, a parità di distanza tra gli elettrodi esterni, si
ottengono sui sensori dei segnali sufficientemente elevati e le tensioni richieste
si riducono di un fattore 2. È, quindi, anche possibile aumentare il numero
di gap.
3.5
Dettagli costruttivi
Le MRPC sono l’unità di base della struttura che costituisce il TOF. Ne
sono state installate 1638 e le loro caratteristiche tecniche principali sono:
• area attiva pari a 7.4 × 120 cm2 ;
• 5 gap di 250 µm in ciascuno dei due stack;
• 96 sensori di lettura, detti pad, cascuno con un’area di 2.5 × 3.7 cm2 ;
• rivestimento resistivo sui vetri esterni ottenuto con una pittura acrilica
specificamente sviluppata;
• miscela di gas non infiammabile (90% freon, 5% isobutano, 5% esafloruro di zolfo).
La struttura e le caratteristiche delle componenti hanno permesso di utilizzare materiali commerciali e procedimenti di costruzione molto semplificati.
Le MRPC, che per comodità vengono chiamate strip, data la loro forma geometrica, sono alloggiate in numero variabile all’interno dei cosiddetti moduli.
Per ridurre la quantità di traiettorie oblique di particelle, che aumentano la
dispersione temporale e possono generare un segnale condiviso da due pad
adiacenti (elevata occupancy 2 ), le strip sono state installate a diverse ango2
L’occupancy è il numero totale di pad per evento che danno segnali. Questa grandezza deve ovviamente restare contenuta anche in caso di elevata molteplicità di particelle
prodotte.
21
22
3. Il TOF di ALICE
Figura 3.2: Sezione di una double-stack MRPC: (A) honeycomb, pannello a
nido d’ape per dare rigidità alla struttura; (B) e (G) Printed Circuit Board,
PCB, circuiti stampati con pad di lettura; (C) viti in plexiglas; (D) vetri
esterni con pellicola resistiva; (E) vetri interni; (F) gap; (H) spinotti metallici;
(L) fili di nylon per creare i gap.
3.5 Dettagli costruttivi
lazioni, da 0◦ fino a 45◦ , in modo da minimizzare l’angolo di impatto per
particelle provenienti dal vertice di interazione. Inoltre, per mantenere bassa
la superficie morta del rivelatore, le strip vengono leggermente sovrapposte
ai bordi.
I moduli che contengono le strip sono di tre tipi differenti: centrale, intermedio ed esterno. Sono composti da una camera dove sono contenuti il gas e
le strip ed un’altra regione separata in cui si trovano le schede elettroniche.
La tensione viene distribuita alle varie strip a gruppi di 3 o 4 parallelamente.
In totale sono stati inseriti 90 moduli a gruppi di 5 (1 centrale, 2 intermedi
Figura 3.3: Sezione di un modulo: nella metà superiore sono alloggiate le
schede elettroniche, mentre la metà inferiore contiene le strip e il gas.
e 2 esterni) all’interno di 18 supermoduli, o settori, disposti parallelamente
al fascio a definire la forma cilindrica del TOF. Ogni componente è stata
Figura 3.4: Foto di un settore assemblato ma non ancora installato.
testata e misurata in dettaglio e ogni dato è stato raccolto in un database di
cui si parlerà in seguito.
Le misure fatte sulle MRPC riguardano:
• la dimensione dei gap, per controllare che i valori siano sufficientemente
omogenei;
23
24
3. Il TOF di ALICE
• la resistività dei vetri con pittura acrilica, per verificare che si sia
formata una pellicola con i valori di resistività richiesti;
• i valori di resistenza globali in seguito all’assemblaggio della MRPC.
Questa è l’unica misura che può essere eseguita sui vetri resistivi a
questo punto della fase costruttiva per verificare che non ci siano difetti
nel funzionamento della MRPC;
• i test con l’alta tensione, per verificare ulteriormente l’omogeneità nelle
caratteristiche delle varie MRPC.
Per i moduli si è misurata:
• la capacità dei vari gruppi di strip connessi allo stesso canale di alta
tensione, per verificare che una volta costruito il modulo tutti i collegamenti e le varie componenti funzionino correttamente. Se, infatti, ci
sono dei difetti le misure di capacità non dovrebbero corrispondere al
parallelo tra le strip ma a valori diversi;
• la corrente ottenuta quando viene applicata l’alta tensione. Anche
questa misura ha funzioni di controllo;
• la perdita di gas, sempre per verificare che i moduli siano stati assemblati correttamente.
I test eseguiti con fasci di particelle sui prototipi di double-stack Multi-gap
Resistive-Plate Chamber in condizioni controllate hanno dimostrato che questo tipo di rivelatore è in grado di raggiungere una risoluzione temporale
intrinseca di circa 40 ps ed una efficienza prossima al 100% come dimostrato
dal grafico 3.5. Considerando l’intero rivelatore TOF si può stimare una risoluzione media maggiore ma comunque contenuta all’interno dei 50 ps valutati
in fase di progettazione.
3.6
L’elettronica
Le caratteristiche del TOF di ALICE hanno richiesto uno sviluppo anche
dell’Elettronica di Front-End, FEE. Questa parte del rivelatore è costituita
da tutte quelle schede elettroniche che hanno il compito di registrare i dati
provenienti dalle strip e farne una prima analisi. Questo livello di raccolta
dati è cruciale perché deve avere prestazioni tali da non peggiorare la risoluzione temporale raggiunta con lo sviluppo delle MRPC e allo stesso tempo
deve essere sufficientemente veloce da riuscire a fare una prima scrematura
dei segnali provenienti da ciascuno dei circa 160 000 pad. Se tutte le letture
3.6 L’elettronica
Figura 3.5: I due grafici mostrano l’efficienza (a sinistra) e la risoluzione
temporale in ps (a destra) ottenute nei test su fascio per 159 pad. Per
quanto riguarda la precisione temporale, nel grafico è inglobata anche una
parte dovuta all’elettronica di lettura, quindi la risoluzione intrinseca delle
MRPC è stimabile in 40 ps.
25
26
3. Il TOF di ALICE
effettuate dovessero essere inviate alla unità centrale di controllo si avrebbe
un flusso di dati ingestibile. Seguendo il segnale generato da un pad (figura
Figura 3.6: Sistema di lettura dei segnali del TOF di ALICE.
3.6), questo per prima cosa viene inviato alla Front-End Analogue card, FEA,
che ha il compito di amplificare e discriminare quanto ha ricevuto, producendo un segnale la cui larghezza è legata alla carica totale che ha indotto il
segnale. Queste schede sono installate in ciascun modulo del TOF, all’esterno della camera contenente il gas.
Il segnale elaborato viene inviato ad un secondo livello di elettronica costituito dai TDC Readout Module, TRM, (figura 3.7) posizionati in appositi crate
a gruppi di 10 o 9. Il TRM è una scheda VME responsabile della digitalizzazione temporale dei segnali ricevuti. Grazie a 30 chip ASIC HPTDC (High
Performance Time Digital Converter ) con in totale 240 canali vengono misurati l’istante iniziale, leading edge, e quello finale, trailing edge, dell’intervallo
in cui il segnale rimane sopra soglia con una precisione di 25 ps. Il processo di lettura dei segnali, readout, si basa su due livelli di trigger, L1 e L2
(figura 3.8). Quando viene ricevuto il segnale L1 gli HPTDC controllano se
sono presenti dei segnali nel loro buffer, cioè nella loro memoria temporanea
interna, in una finestra temporale, matching window, di durata programmabile, e li registrano nella memoria della scheda TRM. Il secondo segnale di
trigger può essere di due tipi: all’arrivo di un L2 reject il buffer viene pulito
e i dati registrati eliminati; con il segnale L2 accept le informazioni vengono
trasmesse al Data Readout Module, DRM, e successivamente il buffer viene
svuotato.
Il DRM è la scheda VME responsabile del readout dei TRM e ce n’è uno in
ogni crate. Rappresenta la principale interfaccia tra l’elettronica del TOF
e il sistema di acquisizione dati centrale (DAQ) di ALICE. È dotato di un
3.6 L’elettronica
27
Figura 3.7: Foto di una scheda TRM.
Figura 3.8: Schema di lettura di un HPTDC in presenza dei segnali di trigger
L1 e L2 di ALICE.
28
3. Il TOF di ALICE
Tabella 3.1: stima della risoluzione temporale del TOF di ALICE
σT 0
σM RP C
σT DC
σClock
σT OT
Descrizione
incertezza su T0
incertezza delle MRPC
incertezza degli HPTDC
incertezza sul clock
Risoluzione Media (ps)
50
50
25
21
82
Massimo (ps)
50
80
50
21
120
collegamento a fibre ottiche, con cui riceve i trigger e invia i dati, di un
microprocessore ARM raggiungibile via Ethernet e di un collegamento, link,
ottico addizionale. Quest’ultimo link è collegato a dei PC attraverso delle
schede PCI A2818 ed è utilizzato per la lettura dati via slow control 3 .
I crate VME dove sono alloggiate queste schede si chiamano SY2390 e hanno
delle caratteristiche speciali. Sono installati a coppie ai lati di ciascun settore
del TOF e per evitare il riscaldamento del rivelatore sono dotati di un sistema di raffreddamento ad acqua. Grazie a tre alimentatori, due A1395 (3.3
V a 100 A) e un A1396 (5 V), ogni crate fornisce tensione alle schede FEA e
alle schede VME. Al suo interno oltre ai TRM e al DRM si trovano un Local
Trigger Module, LTM, che elabora i segnali di OR da gruppi di 24 FEA e li
invia al trigger centrale del TOF e che inoltre imposta le soglie di discriminazione alle FEA, ed un Clock and Pulse Distribution Module, CPDM, uno
per ogni coppia di crate, responsabile della distribuzione del clock (il segnale
di sincronizzazione di LHC) e dell’invio di un segnale per la calibrazione a
sezioni dei moduli del TOF.
Se si valutano insieme le incertezze dovute alle MRPC e quelle dovute all’elettronica si ottiene la stima complessiva di 80 ps per l’intero TOF (tabella
3.1):
2
2
2
(3.9)
σT2 OF = σT2 0 + σM
RP C + 2σT DC + σClock
dove T 0 è l’istante in cui è avvenuta l’interazione ed è fornito dall’apposito
rivelatore T0 di ALICE. Per quanto è stato scritto finora a proposito delle
MRPC, dell’elettronica, della struttura globale e delle prestazioni del TOF,
è possibile intuire il grado di complessità di questo strumento e la necessità
di avere la conoscenza approfondita e il controllo su ogni sua componente.
3
Sistema di controllo “lento”, un insieme di controlli di monitoraggio che non richiedono
aggiornamenti in tempo reale, paragonabili cioè ai tempi di risposta tipici del rivelatore.
Capitolo 4
Sviluppo di banche dati per il
TOF
Il lavoro svolto per questa tesi è stato quello di sviluppare banche dati,
database, e strumenti, tool, per poter organizzare le informazioni sulle singole
componenti, sia costruttive che elettroniche del rivelatore. La necessità di
questi strumenti deriva dalla grande complessità del TOF e dal numero di
elementi che lo costituiscono. Con il loro utilizzo sarà possibile sia rintracciare
le singole componenti sia effettuare considerazioni sulle caratteristiche globali
dei settori o dell’intero rivelatore.
Le due parti principali in cui si suddivide il TOF sono la parte costruttiva e
quella elettronica. Per entrambe sono stati sviluppati strumenti dedicati.
Per quanto riguarda la prima parte l’obiettivo è quello di avere a disposizione
dei tool con cui poter effettuare analisi globali e mettere in luce correlazioni,
omogeneità o altre caratteristiche che riguardano l’intero rivelatore o solo
una sua parte. In questo modo è possibile avere una maggiore comprensione
del comportamento del TOF in vista di una migliore analisi off-line dei dati
raccolti.
Per la parte elettronica si sono sviluppati database e interfacce con cui gestire
il grande numero di schede lungo la vita dell’esperimento e modificare i loro
parametri di configurazione. Quest’ultima capacità sarà sfruttata nella fase
on-line, cioè quando il rivelatore è in presa dati.
4.1
Database per i parametri costruttivi
La parte costruttiva del TOF è composta dalle 1638 strip installate, dai
90 moduli e dai 18 settori, oltre che dalle componenti costruite ma tenute
come riserve. Su ognuna di queste parti sono stati effettuati numerosi test e
29
30
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
misure che sono stati raccolti in un unico database.
Verso la fase terminale della costruzione ci si è accorti che il modo in cui
venivano organizzate le informazioni era inefficace per avere una visione globale della produzione dei rivelatori. Già durante la costruzione e i test sono
emerse alcune correlazioni e “tendenze”, che però visualizzando i dati di ogni
singola strip non riuscivano ad emergere chiaramente.
Per questo motivo si è completato il database già esistente aggiungendo delle
routine grafiche per poter fare analisi più generali ed aggregare i dati di strip
e moduli. Per avere uno strumento veramente efficace non era sufficiente
realizzare tanti grafici “statici” e si è, quindi, sviluppata una interfaccia web
in cui poter visualizzare grafici “dinamici” in base alle richieste avanzate dall’utente. In tal modo è possibile, per esempio, selezionare i dati provenienti
da particolari gruppi di strip piuttosto che dall’intero TOF.
A questi strumenti grafici ne è stato affiancato un altro molto importante. Si
tratta di un “motore di ricerca” per le strip. Grazie a questo tool è possibile
ottenere i codici identificativi delle strip che soddisfano i requisiti richiesti.
4.1.1
Sviluppo delle routine
Il punto da cui è partito il lavoro è stata l’interfaccia del database già
presente. Questa è sviluppata con linguaggi Html e PHP e comunica con
un database MySql. Html è il linguaggio standard utilizzato per creare pagine web, mentre PHP [5] è un linguaggio di programmazione utilizzato per
costruire pagine web dinamiche. La necessità di utilizzare, oltre che Html,
anche PHP è dovuta al fatto che con il primo linguaggio è possibile fare solo
la descrizione statica della pagina web che il server (computer di rete) invia
al browser (programma per interpretare i contenuti web) e che viene poi visualizzata dall’utente. Questo comporta la creazione di tanti file quante sono
le pagine che si vogliono visualizzare. PHP, invece, aggiunge una componente dinamica. In base al codice PHP e alle eventuali informazioni inviate dal
browser, il server produce il relativo codice Html. In questo modo un unico
file contenente codice PHP può produrre differenti pagine web. Questa versatilità, che viene sfruttata dall’interfaccia web originaria del database per
visualizzare le differenti informazioni riguardo alle singole parti del TOF, è
stata utilizzata anche nelle routine grafiche e nel motore di ricerca dove il
lato server è ancora più accentuato. In questi casi, infatti, oltre all’accesso
alle informazioni del database, viene richiesta anche una loro elaborazione da
parte del server.
Il tipo di database scelto è quello più diffuso al mondo e utilizza il software
MySql [6], che ha licenza open source ed un’alta compatibilità con il linguaggio PHP. In effetti l’abbinamento PHP/MySql è molto utilizzato e testato,
4.1 Database per i parametri costruttivi
costituendo un semplice e efficiente strumento di lavoro.
Per lo sviluppo delle routine grafiche a questi linguaggi si è affiancato anche
JpGraph [7]. Si tratta di una libreria object-oriented per PHP sviluppata appositamente per la creazione di grafici. Grazie alla sua impostazione
orientata agli oggetti, il codice necessario per disegnare un grafico, anche
abbastanza complesso, è semplice e sintetico.
Lo schema standard con cui sono stati scritti i codici per le routine grafiche
sfrutta la terna MySql/PHP/JpGraph:
1. il primo passo è l’accesso al database MySql in cui sono archiviati i
dati. Per far questo vengono utilizzate funzioni di PHP che creano
la connessione tra il server e il database, tra le quali citiamo le più
importanti che sono mysql connect() e mysql select db(). Una volta
aperta la connessione è permesso l’accesso ai dati;
2. per ottenere le informazioni cercate si invia una query al database con
la funzione mysql query(). I risultati restituiti dalla funzione vengono raccolti in una matrice, array, a due dimensioni con la funzione
mysql fetch array();
3. a questo punto il server, sempre attraverso codice PHP, può elaborare
i dati ottenuti;
4. per disegnare i grafici è necessario includere le librerie di JpGraph e
creare un primo oggetto con l’inizializzazione $graph = new Graph().
Questo può essere personalizzato con metodi come Graph::title() e Graph::legend(), mentre per inserire i dati si crea un secondo oggetto in
base al tipo di grafico desiderato: LinePlot, ScatterPlot, BarPlot, ecc.
Il metodo Graph::Add() inserisce il secondo oggetto nel primo ed infine
Graph::Stroke() invia al browser tutte le informazioni per disegnare il
grafico voluto.
Il punto importante è che questa serie di operazioni viene eseguita ogni volta
che si carica o si aggiorna la pagina web. Questo permette, personalizzando
la query iniziale, di elaborare insiemi ogni volta diversi di dati e di produrre
differenti grafici utilizzando sempre lo stesso codice. Inoltre ciò che viene
disegnato è sensibile alle modifiche che vengono fatte sui dati, permettendo
di avere grafici aggiornati in tempo reale.
31
32
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
4.1.2
Descrizione di “ALICE TOF Construction Database”
La pagina web originaria (home page) del database [9] è stata arricchita
aggiungendo i link a tutte le routine sviluppate, organizzandoli secondo la
struttura del TOF (figura 4.1). La prima riga riguarda i tool per le strip con,
Figura 4.1: Pagina web iniziale di ALICE-TOF Construction Database
a partire da sinistra, il vero e proprio database, in cui vengono visualizzate
tutte le informazioni di ciascuna strip, e a seguire le analisi grafiche. Nella
seconda riga si ripete la stessa impostazione ma questa volta per i moduli.
Nell’ultima riga ci sono i settori, per i quali non c’è stata la richiesta di sviluppare dei grafici, e il motore di ricerca Strip Search.
Segue la descrizione dettagliata del database e dei suoi link di accesso, riga
per riga.
MRPC Strips permette di accedere a tutti i dati raccolti su ciascuna strip.
Come si può vedere nella figura 4.2, sono stati effettuati numerosi test e
4.1 Database per i parametri costruttivi
misure che forniscono una dettagliata conoscenza di ogni MRPC, anche
se risulta molto complicato a questo livello fare confronti con altre strip.
Figura 4.2: MRPC Strips: a sinistra si può scegliere la strip i cui dati
vengono visualizzati a destra. I numerosi link in blu permettono di accedere
ad informazioni più dettagliate.
Gaps permette di fare l’analisi, attraverso istogrammi e grafici bidimensionali, scatterplot, delle dimensioni dei gap. Questo strumento è molto
importante perché permette di valutare come e quanto variano le dimensioni degli spazi tra i vetri in vista di un tentativo di ridurre i
margini di errore dello strumento. Se si trovano gruppi di strip omogenee e con una piccola dispersione nella larghezza dei gap, allora i
segnali da loro raccolti potranno essere considerati più precisi rispetto
alla media dello strumento.
Per ogni strip sono state eseguite otto misure di ogni gap in posizioni
differenti. L’analisi di questi dati, quindi, può essere fatta sia selezionando un gap specifico sia scegliendo una posizione. Inoltre è possibile
33
34
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
graficare i dati di particolari gruppi di strip, indicandone il numero della prima e dell’ultima.
Si può scegliere fra tre tipi di grafici (figura 4.3): gli istogrammi che
riportano le misure per le varie posizioni, gli istogrammi con invece
le misure di ciascun gap ed, infine lo scatterplot delle misure del gap
scelto in funzione del numero della strip. Per rendere l’analisi non solo
qualitativa, ma anche quantitativa, per ogni istogramma viene calcolato valor medio e dispersione.
Attraverso lo scatterplot è anche possibile controllare la componente
temporale. I codici identificativi delle strip, infatti, sono stati assegnati sequenzialmente in base all’ordine di costruzione e, quindi, questo
tipo di grafico può mettere in luce eventuali correlazioni o tendenze
nella fase costruttiva.
Glasses Point Resistance visualizza i dati raccolti sulla resistività dei vetri rossi, cioè i vetri esterni trattati con la vernice resistiva. L’analisi
delle caratteristiche di interi gruppi di vetri si è resa importante non
solo per il ruolo critico svolto dalla pellicola, ma anche perché il trattamento che questi vetri hanno dovuto subire si è rivelato molto delicato.
Si è, per esempio, dovuto modificare nel tempo la composizione della
vernice poiché si ottenevano valori di resistività differenti a seconda che
il trattamento fosse stato eseguito in inverno o in estate.
Grazie agli scatterplot e agli istogrammi dedicati a questo tipo di vetri
(figura 4.4) è possibile valutare l’omogeneità nei valori medi di resistività e nelle loro dispersioni. In aggiunta, confrontando le distribuzioni
ottenute tra differenti produzioni è possibile comprendere meglio gli
effetti di particolari cambiamenti apportati nella fase costruttiva.
Global Resistance raccoglie i dati relativi ai test di resistività globali delle
strip eseguiti sui due catodi e sull’anodo (figura 4.5). Queste misure
sono state effettuate due volte, a distanza di tempo, e si è registrata
una diminuzione dei valori. Per valutare questa evoluzione temporale
i dati sono raccolti in tre istogrammi distinti, uno per ogni elettrodo,
e in due scatterplot, uno con le tre ultime misure fatte su ciascuna
strip e l’altro con la differenza tra le due misure pesata sull’intervallo
temporale. Per avere un maggiore dettaglio, si è aggiunta la possibilità
di scegliere il valore massimo delle ordinate.
HV è il link per visualizzare i grafici relativi ai test con l’alta tensione in cui
si è misurata la corrente sull’anodo e sul catodo di ogni strip (figura
4.6). Si è scelto di disegnare due scatterplot. Il primo grafica le due
misure in funzione del numero della strip per mettere in luce eventuali
4.1 Database per i parametri costruttivi
Figura 4.3: Gaps: le tre schermate riportano tutti i tipi di grafici disponibili.
Il primo in alto mostra gli istogrammi con le misure di tutti i gap delle
strip selezionate per le diverse posizioni, al centro sono presentati istogrammi
analoghi a quelli precedenti ma con i dati raggruppati in base al gap, in
basso si può vedere lo scatterplot per il primo gap in cui è stata sfruttata la
possibilità di considerare solo un particolare gruppo di strip.
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4. Sviluppo di banche dati per il TOF
Figura 4.4: Glasses Point Resistance: nello scatterplot viene graficata la
dispersione delle misure fatte su un vetro in funzione del loro valor medio
e i due istogrammi rappresentano le proiezioni sui due assi. I dati vengono
raggruppati in base alle diverse produzioni, riconoscibili per la lettera dopo
la S. In questo caso sono visualizzati i dati dei vetri SN.
4.1 Database per i parametri costruttivi
Figura 4.5: Global Resistance: gli istogrammi si riferiscono ai valori della
misura più recente fatta sui due catodi e sull’anodo, lo scatterplot centrale
grafica queste tre misure in funzione del numero della strip, mentre quello
in basso ha in ordinata la differenza tra i valori della prima e della seconda
misura diviso l’intervallo di tempo in giorni trascorso. In alto nella schermata
sono visibili i campi utilizzabili per scegliere sia il gruppo di strip, sia i valori
massimi delle ordinate per gli ultimi due grafici.
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4. Sviluppo di banche dati per il TOF
correlazioni, analogamente ai grafici dello stesso tipo visti in precedenza. Il secondo conferma un legame tra corrente misurata e umidità
dell’aria (al momento della misura) di cui si era ipotizzata l’esistenza già durante la costruzione mediante valutazioni su piccoli gruppi
di strip. Grazie a questo grafico che riporta l’umidità in ascissa e la
corrente in ordinata la relazione emerge palesemente.
Figura 4.6: HV: nel primo grafico sono visibili i valori delle due misure in
funzione del numero di strip, nel secondo viene riportato il legame tra la
corrente e l’umidità. La linea continua unisce le medie tra i valori presi alla
stessa percentuale di umidità.
Nella seconda riga della figura 4.1 troviamo ulteriori link di grande utilità
per il controllo dei moduli del TOF.
4.1 Database per i parametri costruttivi
Modules contiene tutti i dati relativi ai singoli moduli (figura 4.7). Insieme
alla pagina MRPC Strips costituisce la parte originaria dell’interfaccia del database a cui sono stati affiancati i tool di analisi grafica.
Figura 4.7: Modules: in questa schermata sono raccolti i dati di ogni modulo. A sinistra si possono distinguere i tre tipi: TE modulo esterno, TI
modulo intermedio, TC modulo centrale.
Capacitance è il primo dei link alle routine dedicate ai moduli. I grafici
presentati in questa pagina raccolgono i risultati dei test di capacità
(figura 4.8). Questo tipo di controllo è in grado di verificare che il modulo sia stato assemblato correttamente ed in particolare che le strip
siano tutte collegate. Sfruttando il fatto che l’alta tensione viene distri-
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40
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
buita alle strip in gruppi di quattro, se dalla misura della capacità si
ottiene come valore quello di quattro strip in parallelo, allora il modulo
è correttamente funzionante.
Queste, come le altre routine grafiche sviluppate, hanno il compito
principale di controllare che non ci siano stranezze nei dati raccolti.
Per questo motivo si è cercato di aggregare tutti i dati e verificarne
l’omogeneità. Ci sono cinque istogrammi, relativi ai cinque gruppi di
strip alimentati separatamente, e due scatterplot, in cui tutte le misure
vengono riportate in funzione dell’umidità e in funzione del nome del
modulo. Grazie a questi grafici si può verificare che, nonostante una
dispersione abbastanza significativa nelle misure di capacità per ogni
gruppo di strip, globalmente i valori sono omogenei e presentano una
leggera tendenza a diminuire negli ultimi moduli costruiti.
HV fornisce un ulteriore link a grafici che hanno una funzione di controllo.
Le misure che vengono riportate in questa schermata si riferiscono alle
correnti misurate in ogni modulo sia per la tensione positiva che per
quella negativa (figura 4.9). Nella prima riga ci sono gli istogrammi con
le correnti misurate per ogni canale di alimentazione (gruppo di quattro
strip) con la tensione positiva, mentre nella seconda riga abbiamo gli
stessi grafici riferiti alle misure con la tensione negativa. Più in basso ci
sono due coppie di scatterplot relativi ai valori medi delle misure fatte
su ciascun modulo, anche in questo caso distinguendo tra i due valori
di tensione. Il primo grafico riporta i dati in funzione dell’umidità e
il secondo in base al numero del modulo. Valutando la correlazione
abbastanza forte tra corrente misurata e umidità è stato possibile riconoscere come gli alti valori misurati non fossero da imputare a dei
difetti ma all’alta umidità presente al momento della misura.
Gas permette di ottenere grafici contenenti i dati delle misure di perdita di
gas. Si è verificato quanto le camere presenti in ogni modulo riescano
a tenere in pressione il gas e i grafici (figura 4.10) mostrano un valore
medio di perdita molto basso.
Nell’ultima riga della figura 4.1, oltre a informazioni generali sulle componenti installate in ciascun settore del TOF, c’è il link ad un altro strumento
molto importante.
Strip Search è una sorta di motore di ricerca per le strip che verrà principalmente utilizzato durante la fase off-line, cioè durante l’analisi dei
dati raccolti da ALICE.
Questo strumento (figura 4.11) permette di ottenere l’elenco delle strip
4.1 Database per i parametri costruttivi
Figura 4.8: Capacitance: grafici relativi alle misure di capacità.
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42
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
Figura 4.9: HV: grafici relativi alle correnti misurate con alimentazione a 3
KV.
4.1 Database per i parametri costruttivi
Figura 4.10: Gas: grafici relativi alla perdita del gas nei moduli.
43
44
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
che soddisfano i requisiti richiesti. I parametri sui quali si può esprimere una preferenza sono: la larghezza dei gap, le misure di resistenza
globale e la tipologia di strip. Quest’ultimo criterio è dovuto al fatto che le MRPC sono state costruite in due modi diversi: in alcune
il filo di nylon, che crea il gap tra un vetro e l’altro, è stato deposto
seguendo i bordi dei pad e quindi con un profilo a greca detto rettangolare (∼ 70%), mentre nelle altre seguendo un profilo a dente di sega
chiamato triangolare. Quest’ultimo metodo potrebbe avere vantaggi
meccanici.
Lo scopo principale pensato per questo metodo di ricerca è quello di
capire quali sono state le caratteristiche costruttive che hanno dato
le migliori prestazioni all’interno del TOF. Grazie, infatti, agli elenchi
restituiti da Strip Search, sarà possibile, nella fase off-line, valutare
separatamente i dati raccolti da differenti gruppi di strip e studiare se,
per esempio, le strip con gap mediamente piccoli sono risultate più efficienti rispetto alle altre o capire quale tra le due tipologie, triangolare
o rettangolare, sia migliore. Le conclusioni di questi confronti forniranno inoltre delle informazioni molto utili per la progettazione di nuovi
rivelatori.
4.2
Banche Dati e interfacce per l’elettronica
di Front-End
Riguardo all’elettronica di front-end digitale sono stati sviluppati due
strumenti: un database, in cui sono raccolte e organizzate tutte le informazioni relative alle schede installate, e una interfaccia web per modificare i
parametri di configurazione delle schede stesse.
4.2.1
Descrizione di “ALICE-TOF Database”
La componente elettronica del TOF è molto complessa: all’interno di
ciascuno dei 18 settori sono installate diverse tipologie di moduli distribuite
in 4 crate differenti che, assieme alle schede di scorta, totalizzano circa un
migliaio di elementi. Per avere una dettagliata conoscenza del TOF è necessario che ogni componente sia velocemente rintracciabile all’interno della
struttura dello strumento e le informazioni che la riguardano siano facilmente reperibili. Per raggiungere questo obiettivo si è sviluppato uno strumento
centralizzato e distribuito: centralizzato perché è lo strumento di riferimento
in cui raccogliere e cercare le informazioni; distribuito perché grazie all’accesso via web sarà raggiungibile anche da remoto.
4.2 Banche Dati e interfacce per l’elettronica di Front-End
Figura 4.11: Strip Search: in alto si può vedere la pagina in cui vengono impostati i parametri della ricerca, mentre in basso c’è un esempio del
risultato restituito dove vengono riportati le caratteristiche cercate, i codici
identificativi delle strip, i valori che hanno soddisfatto i criteri di ricerca e la
posizione all’interno del TOF.
45
46
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
Per sviluppare questo strumento si sono utilizzati linguaggi e procedure analoghi a quelli usati nel database costruttivo, cioè Html, PHP e MySql.
Il punto di partenza per il lavoro di sviluppo è stato un database per le schede TRM con una prima interfaccia web che non permetteva ricerche veloci.
La versione [10] che è stata sviluppata (figure 4.12 e 4.13) contiene 8 database distinti, uno per ogni tipo di scheda elettronica. La struttura della loro
interfaccia è la stessa, ma ognuno accede ad una propria tabella di MySql
che differisce dalle altre per il tipo di dati contenuti. Alle funzioni base di
inserimento e visualizzazione della versione iniziale si è aggiunta anche la
possibilità di cercare singole schede o gruppi di esse attraverso il codice identificativo o specificando la collocazione all’interno del TOF.
Per quanto riguarda le tipologie di dati inseriti alcune sono comuni a tutte le
schede e sono numero seriale, settore, crate (quando necessario), collocazione
(installato, da riparare o di riserva), giorno di consegna e note. A queste
si aggiungono informazioni specifiche come, per esempio, Mac Address e IP
Address nel caso delle DRM oppure i numeri seriali degli alimentatori collegati ai crate SY2390.
Figura 4.12: Pagina web iniziale di ALICE-TOF Database per l’elettronica digitale di front-end. Per ogni tipo di scheda è possibile vedere tutti
gli elementi archiviati, cercare singoli elementi o gruppi di essi e inserirne di
nuovi.
4.2 Banche Dati e interfacce per l’elettronica di Front-End
Figura 4.13: Queste due schermate mostrano come sono organizzate e visualizzate le informazioni. Ogni tipo di modulo ha dei dati specifici. Nel caso
delle DRM sono archiviati Mac Address e IP Address che servono per comunicare con il microprocessore presente in ciascuna scheda. I numeri seriali
sono dei link per modificare i dati di ogni circuito.
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48
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
4.2.2
Descrizione di “ALICE-TOF Front-End Electronics Configuration Database”
Il database di configurazione contiene tutte le informazioni relative ai
parametri di regolazione di ciascuna scheda elettronica. È una raccolta di
dati molto importante perché è direttamente connessa con il funzionamento
del TOF. I metodi di accesso a queste informazioni devono essere efficienti
e veloci poiché sono utilizzati soprattutto nella fase on-line, cioè quando lo
strumento è in funzione, per programmare tutta l’elettronica del rivelatore.
Inizialmente il database aveva come interfaccia utente solo un programma
Tcl/Tk1 che permette aggiornamenti dei parametri solo per una scheda alla
volta. In questo modo non è possibile fare modifiche collettive, indispensabili per configurare velocemente l’intero rivelatore. Questa interfaccia è stata
mantenuta per le modifiche “fini” delle singole componenti e ad essa è stato
aggiunto un nuovo strumento (figura 4.14) che permette di aggiornare i parametri più importanti di interi gruppi di schede. Anche in questo caso si è
utilizzato il linguaggio PHP particolarmente adatto per lavorare in abbinamento con il database di configurazione che è di tipo MySql.
I tipi di schede per le quali si è sviluppata questa nuova interfaccia sono TRM,
DRM e LTM. Per ciascuno è possibile modificare i parametri più importanti
e che si prevede di dover aggiornare più frequentemente selezionando o un
particolare crate o un settore o tutte le schede che si trovano nel TOF.
Per ogni tipo di scheda (TRM, DRM e LTM) illustriamo il dettaglio dei
parametri modificabili e le loro funzioni.
TRM (figura 4.15):
• Active permette di attivare o disattivare le TRM selezionate. È una
delle parti più importanti dell’interfaccia perché permette di accendere
o spegnere interi settori del rivelatore. Senza questo strumento per fare
operazioni del genere si sarebbe dovuto selezionare lo stato attivo per
ciascuna delle decine o centinaia di schede con una grande perdita di
tempo.
• Latency Window è la finestra temporale di latenza in cui vengono mantenuti i segnali dei pad colpiti (hit) per il readout all’interno dell’HPTDC in attesa di ricevere un trigger;
1
Tcl è un linguaggio di programmazione che, abbinato con il programma Tk utile per
le realizzazione di interfacce utente grafiche, viene comunemente usato per prototipizzare
rapidamente e testare applicazioni.
4.2 Banche Dati e interfacce per l’elettronica di Front-End
Figura 4.14: Pagina web iniziale del database di configurazione per
l’elettronica digitale di front-end.
• Matching Window rappresenta la finestra temporale in cui gli HPTDC cercano gli hit relativi al trigger ricevuto a partire dall’inizio della
latency window ;
• Trigger Level Config permette di scegliere i livelli di trigger che si
vogliono utilizzare, L1 e L2 o solo L2;
• Trigger Subtraction è un parametro di configurazione utile in fase di
test che influenza il formato dati;
• Edge Detection permette di decidere se registrare il tempo del fronte
di salita o di discesa dell’impulso di segnale o entrambi;
• Packing Flag viene utilizzato per scegliere se registrare i tempi dei fronti
di un medesimo segnale in modo completo (64 bit) o in modo compatto
(32 bit).
DRM (figura 4.16):
• Active attiva o disattiva le DRM selezionate analogamente a quanto
detto per le TRM;
• Select TTC programma il numero di bunch crossing (ossia di incroci
dei pacchetti di particelle dei fasci di LHC) attesi tra L02 e L1;
2
L0 è il primo segnale di trigger, meno elaborato e più veloce, che però non viene
utilizzato dal TOF.
49
50
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
Figura 4.15: Schermata per modificare i parametri di configurazione delle
schede TRM. Con i tre campi in alto è possibile scegliere il gruppo di schede.
• Ghost DDL è un’opzione di ricerca di errori;
• Pulser Section 0, Pulser Section 1 e Pulser Section 2 vengono utilizzati
per scegliere in quali parti dei settori inviare degli impulsi per i test delle
strip;
• Select Mode è una variabile a 32 bit a disposizione dell’utente per impostare particolari configurazioni. Il bit 0 alto abilita la lettura dei dati
via slow control per il monitoraggio.
LTM (figura 4.17):
• Active attiva o disattiva le LTM selezionate;
• Threshold configura il livello di soglia che i segnali devono superare per
essere registrati.
Per la scelta delle schede sono disponibili tre opzioni: whole per selezionare tutte le schede, sector per scegliere tutte le schede di un settore, oppure
crate. Come è già stato detto, non è prevista la scelta di una singola scheda
perché per questo tipo di operazioni si può utilizzare l’interfaccia Tcl/Tk.
All’interno del codice PHP che implementa lo strumento di aggiornamento
è stato inserito uno comando che, ricaricando il database, rende immediatamente operativi gli aggiornamenti nell’elettronica.
Per verificare che le operazioni desiderate siano andate a buon fine, una volta
4.2 Banche Dati e interfacce per l’elettronica di Front-End
Figura 4.16: Schermata per l’aggiornamento delle schede DRM.
Figura 4.17: Schermata per l’aggiornamento delle schede LTM.
51
52
4. Sviluppo di banche dati per il TOF
dato il segnale di invio, sullo schermo viene visualizzato il numero di schede
i cui parametri sono stati modificati e attraverso il link show è possibile visualizzare tutte le schede con il loro stato aggiornato (figura 4.18).
A differenza delle altre applicazioni quest’ultima è stata installata nell’ambito della rete LAN dell’esperimento sul server primario per la configurazione
dell’elettronica ed è utilizzata dagli operatori presso il sito sperimentale di
ALICE.
Figura 4.18: Con il comando show è possibile controllare i valori dei
parametri di configurazione aggiornabili grazie a questa interfaccia.
Conclusioni
Ripercorrendo quanto è stato scritto in questa tesi è possibile apprezzare
l’utilità del lavoro svolto.
Il punto di partenza è l’ambizioso obiettivo che si vuole raggiungere grazie
all’esperimento ALICE e cioè lo studio della transizione di fase della materia fortemente interagente, che richiede per essere osservata la ricostruzione
di eventi estremamente complessi. Per poter ricavare dei segnali significativi della formazione del QGP bisogna avere a disposizione uno strumento in
grado di sostenere un altissimo flusso di particelle e, allo stesso tempo, di
identificare in modo non ambiguo ciascuna traccia rivelata.
Una delle componenti di ALICE che determinano maggiormente la capacità
di PID è il TOF. A causa di questo compito critico il rivelatore deve avere ottime prestazioni per quanto riguarda il flusso di particelle accettate, la
risoluzione temporale e l’estensione della regione coperta. Tutte queste caratteristiche hanno portato alla costruzione di un rivelatore estremamente
complesso che ha come unità base le MRPC.
Affinché il rivelatore abbia la precisione voluta è necessario che ogni singola
componente venga attentamente esaminata e ciò è stato fatto grazie ad una
grande quantità di misure anche se questo tipo di informazioni non si è rivelato sufficiente. La complessità e le dimensioni del rivelatore hanno portato
alla produzione di una gran numero di strip e di moduli e ciò comporta la
necessità di effettuare delle valutazioni sulle caratteristiche globali del rivelatore.
È a questo punto che si inserisce la parte di lavoro svolto sul database dedicato ai parametri costruttivi. A fianco dell’interfaccia web del database dove
sono archiviate tutte le misure fatte su strip e moduli si sono aggiunti degli
strumenti per organizzare le informazioni più significative in grafici di vario
tipo. La caratteristica principale di queste applicazioni è l’elevata flessibilità:
è possibile personalizzare gli insiemi di dati da graficare scegliendo opportuni
gruppi di strip, in alcuni casi è possibile scegliere il valore massimo delle ordinate per poter avere un maggior dettaglio ed inoltre, per il fatto che i dati
vengono aggiornati ogni volta che si carica la pagina web, i grafici non sono
53
54
CONCLUSIONI
statici ma sono sensibili alle modifiche apportate nel database. Tutte queste
caratteristiche rendono questi strumenti degli ottimi metodi di controllo sulle
caratteristiche costruttive globali del rivelatore. Attraverso l’analisi grafica è
possibile valutare facilmente il grado di omogeneità delle misure, individuare
se ci sono valori che si discostano significativamente dalla media e mettere in
luce delle correlazioni come quella trovata tra i valori di corrente misurata
con l’alta tensione e l’umidità presente al momento della misura.
Un altro strumento sviluppato a supporto del database dei parametri costruttivi è Strip Search, motore di ricerca con il quale è possibile individuare
gruppi di strip con particolari caratteristiche. In questo modo in fase off-line
sarà possibile separare i dati raccolti da differenti gruppi e verificare quali
hanno dato i risultati migliori. Le conclusioni saranno interessanti per la
progettazione di nuovi rivelatori.
Un’altra parte molto importante per la determinazione della precisione del
rivelatore è quella dell’elettronica di front-end. Per poter raggiungere risoluzioni temporali sufficientemente piccole da non peggiorare significativamente
quella intrinseca delle MRPC, dei particolari chip sono stati sviluppati direttamente al CERN. L’elettronica inoltre deve svolgere un altro compito critico
che è quello di filtrare i dati provenienti dalle strip per poter far arrivare al
sistema di acquisizione dati (DAQ) di ALICE un flusso gestibile di informazioni. Per far ciò si è progettata una complessa struttura costituita da più
livelli di lettura dei dati che grazie a due segnali di trigger riesce a trasmettere in tempi estremamente veloci solo i segnali “interessanti”. All’interno
di questa struttura trovano posto differenti tipi di moduli ed un totale di
componenti che supera il migliaio.
Come nel caso delle parte costruttiva, anche qui si è sentita la necessità di sviluppare un database dove raccogliere tutte le informazioni riguardo ad ogni
scheda elettronica. L’intento è quello di avere un database centralizzato da
dove poter rintracciare ciascun elemento e dove poter annotare la “storia” di
ogni scheda lungo la vita dell’esperimento. Oltre a questo strumento è stata
sviluppata anche un’interfaccia utente per un altro database già esistente.
Si tratta del database di configurazione dell’elettronica di front-end che contiene i dati relativi ai parametri per il funzionamento delle schede. Prima
dello sviluppo della nuova interfaccia tutte le modifiche dovevano essere fatte singolarmente per ciascun modulo elettronico con un evidente spreco di
tempo. Ora invece è possibile aggiornare interi settori o l’intero rivelatore
con un unico comando. Questo vantaggio risulterà importante nella fase online quando bisognerà modificare nel minor tempo possibile i parametri di
configurazione per far funzionare correttamente il rivelatore.
Bibliografia
[1] ALICE Collaboration 2004 ALICE: Physics Performance Report, Volume I, J. Phys. G: Nucl. Part. Phys. 30 1517-1763 e bibliografia
riportata.
[2] ALICE Collaboration 2006 ALICE: Physics Performance Report, Volume II, J. Phys. G: Nucl. Part. Phys. 32 1295-2040 e bibliografia
riportata.
[3] ALICE Collaboration 2000 Time of Flight System, Technical Design
Report CERN/LHCC 2000-12, ALICE TDR 8 (16 February 2000) e
bibliografia riportata.
[4] ALICE Collaboration 2002 Time of Flight System, Technical Design
Report, Addendum CERN/LHCC 2002-016, Addendum to ALICE TDR
8 (24 April 2002) e bibliografia riportata.
[5] PHP Manual: http://www.php.net/docs.php
[6] MySql Manual: http://dev.mysql.com/doc/
[7] JpGraph Manual: http://www.aditus.nu/jpgraph/index.php
[8] http://www.ccsem.infn.it/issp2006/ J. W. Harris’s lectures
[9] http://www.bo.infn.it/alice-tof-hw/tofdbnew/
[10] https://www.bo.infn.it/alice-tof-hw/dbhw/index.html
55
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