complimenti a.... di Vivaverdi FEDERICA DIMITA Ha vinto il Premio ”Siae-Lumsa,Tullio Kezich” consistente in una borsa di studio e una targa d’argento per il miglior saggio sul tema “Il cinema italiano: arte e industria”. Il premio è stato consegnato il 13 maggio presso l’Università Lumsa, alla presenza di Alessandra Levantesi e Carlo Lizzani. Il riconoscimento è stato istituito dalla Siae nell’ambito del progetto formativo dell’Università Lumsa “La Settima Arte – lezioni d’autore” che si propone di avvicinare i giovani alla cinematografia mettendoli in contatto con i grandi professionisti del cinema italiano. Foto Nicolas Guerin FERZAN OZPETEK Il suo ultimo film Mine Vaganti ha ottenuto la menzione speciale al Tribeca Festival di New York, la rassegna di cinema indipendente ideata da Robert De Niro. Mine vaganti è stato acquistato da una casa distributrice americana e sarà quindi proiettato a breve negli Stati Uniti. “Per averci fatto ridere, piangere e immediatamente voler prenotare un viaggio in Italia meridionale ci congratuliamo con Ozpetek e il suo ottimo cast e collaboratori”, recita la motivazione del riconoscimento. MICAELA RAMAZZOTTI Ha vinto il David di Donatello come Miglior attrice protagonista per La prima cosa bella di Paolo Virzì, suo marito (che l’aveva lanciata col precedente Tutta la vita davanti). Il film di Virzì ha avuto anche il riconoscimento per la migliore sceneggiatura (scritta dal regista insieme a Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Giorgio Diritti e Giovanni Galavotti) e il miglior attore protagonista (Valerio Mastandrea). Foto Francesco Ciccone PAOLO SORRENTINO Fa parte -insieme a Marco Tullio Giordana, Fred Breinersdorfer, i fratelli Dardenne, Agnès Jaoui, Roger Michell, Radu Mihãileanu, Bertrand Tavernier e Jaco Van Dormael - del Consiglio della Society of Audiovisual Authors, una nuova organizzazione creata a Bruxelles su iniziativa di registi, autori e lavoratori dell’audiovisivo. Alla Saa ha aderito anche la Siae insieme alle società di autori di Francia (Sacd e Scam), Germania (Bild-Kunst e VG Wort), Spagna (Sgae e Dama), Portogallo (Spa), Repubblica Ceca (Dilia), Estonia (Eaal), Olanda (Vevam), Romania (Dacin-Sara), Svizzera (Ssa e Suisseimage) e Regno Unito (Alcs e Directors UK) per difendere i diritti economici e morali degli autori dell’audiovisivo e assicurare loro un equo compenso per lo sfruttamento delle loro opere. VASCO ROSSI Si è esibito, per la prima volta in carriera, a Londra. Il suo concerto del 4 maggio all’Hammersmith Apollo, tutto esaurito davanti a ottomila fan scatenati in un clima da stadio , è stato l’avvio del tour europeo che ha toccato poi Bruxelles, Zurigo e Berlino. In una intervista, il rocker italiano aveva dichiarato: “Come a Bob Dylan è vietato suonare in Cina, anche a me per 20 anni è stata negata Londra…Ne sono convinto: è uno dei tanti ‘regali’ che ci ha lasciato l’America dopo la seconda guerra mondiale. Favorire qui da noi l’importazione della musica anglosassone e scoraggiare l’esportazione all’estero dei nostri talenti. Comunque sia, adesso ce l’ho fatta”. PUPI AVATI E’ stato premiato per i 40 anni di carriera al Festival Internazionale di Bergamo. Regista, sceneggiatore, scrittore, da ultimo la biografia Sotto le stelle di un film, il cineasta bolognese ha legato fortemente la sua vita alla passione per la musica. Il jazz è stato il suo primo grande amore prima di dedicarsi alla settima arte. Il suo ultimo film, Il figlio più piccolo, è un ritratto amaro della società italiana. VIVAVERDI 1 complimenti a.... di Vivaverdi ROBERTO GUERRAZZI E’ stato eletto, a fine aprile, nuovo presidente Univideo per il biennio 2010/2011. Guerrazzi è uno dei cofondatori dell’Associazione che rappresenta il settore dell’Home Entertainment in Italia e raggruppa al suo interno le principali aziende attive nell’industria dell’audiovisivo. Guerrazzi ha ricoperto già in passato cariche di consigliere e di vicepresidente. PAOLO FRANCHINI Paolo Franchini, già Amministratore Delegato della casa discografica Edel Italia srl, è il nuovo Segretario Generale di FEM, la federazione degli editori musicali. La nomina va a rafforzare l’attività dell’associazione degli editori nella tutela del diritto d’autore e nella promozione dei diritti degli autori ed editori musicali. Il nuovo Segretario Generale affiancherà il presidente Filippo Sugar. “E’ un onore e un privilegio lavorare al fianco dei più grandi editori Italiani e Internazionali” ha dichiarato Paolo Franchini, “il mondo della musica vive un periodo di cambiamenti epocali, un periodo per certi versi difficile, ma anche eccitante, ricco di innovazioni tecnologiche e artistiche e di possibili nuove opportunità che richiedono la capacità di interpretare i cambiamenti , coglierne le potenzialità assicurandosi che i diritti di tutti siano tutelati”. JOVANOTTI Per la prima volta un musicista italiano è stato invitato a tenere una lezione all’università di Harvard. Così, martedì 27 aprile, Jovanotti ha incontrato gli studenti tenendo una relazione su ‘’Musica e Diritti Umani’’, partendo dalla diffusione della musica popolare americana e dalle battaglie per i diritti civili. Il cantante toscano ha compiuto, nell’occasione, una breve tournée negli Stati Uniti e in Canada, con concerti a Boston, Montreal, Toronto e Chicago. E ha vinto il David di Donatello per la migliore canzone originale con Baciami ancora. LINA WERTMULLER E’ stata festeggiata al Quirinale. nella cerimonia dei David di Donatello. La regista ha avuto un riconoscimento speciale alla carriera (insieme a Tonino Guerra, Terence Hill e Bud Spencer) e sta lavorando alla riduzione teatrale del musical Gian Burrasca (scritto e adattato da lei, autrice della serie tv Il Giornalino di Gian Burrasca, 1964). Protagonista Elio delle Storie Tese, musica di Nino Rota, che sarà l’inaugurazione al Festival della letteratura di Mantova, il 9 settembre. ANDREA ROSI E’ il nuovo presidente e amministratore delegato di Sony Music Italia. Ha lavorato nella discografia (Cgd, Warner e Polygram) poi alla fine degli anni ’90 è stato tra gli artefici di Vitaminic, il sito pioniere in Italia della musica digitale e poi è diventato responsabile del business digitale di Sony Bmg nella regione del Mediterraneo. “Trovo un’azienda con grandi prospettive, in un momento storico molto delicato e difficile per il settore”, ha dichiarato Rosi dopo la nomina. “Il cast artistico straordinario e il gruppo di lavoro sono ideali per affrontare i cambiamenti e le innovazioni che sono oggi necessari per un’azienda che produce musica”. ILARIA OCCHINI All’Accademia di Francia, a Villa Medici, l’attrice ha ricevuto il Nastro d’Argento alla Carriera (insieme con Armando Trovajoli e Ugo Gregoretti). Ha debuttato al cinema alla metà degli anni ’50 partecipando a Terza liceo di Luciano Emmer e Il medico e lo stregone di Mario Monicelli. Ha lavorato in molti sceneggiati televisivi e a teatro. E’ tornata sul grande schermo negli anni novanta con Don Milani. Il suo recente ruolo in Mine vaganti, l’ultimo film di Ferzan Ozpetek, ha ottenuto anche il David di Donatello come miglior attrice non protagonista. viale della letteratura 30 VIVAVERDI 3 VITA DIGITALE FATTI SALVI I DIRITTI DEGLI AUTORI, MA... di Sapo Matteucci Seguendo i vari dibattiti che si susseguono attorno al diritto d’autore, sui giornali, nei convegni, nelle dichiarazioni dei politici italiani ed europei, mi verrebbe da dire: “Evviva i pirati digitali dichiarati!”. Almeno loro, non solo hanno le idee chiare (“su Internet si ruba quel che si può”), ma dicono esplicitamente che il diritto d’autore, nell’epoca liquida e senza confini in cui viviamo, non ha più alcun senso e che Internet deve essere lasciata nella più totale deregulation. Non sono d’accordo, ma apprezzo la coerenza di chi non vuole alcuna governance della rete, alcuna regola e quindi ramazza quel che può, gira in lungo e largo senza freni, non rispettando nulla, non solo il diritto d’autore. Quelli che destano il mio sospetto sono invece coloro che iniziano sempre i loro ragionamenti in questo modo: “Fatti salvi i sacrosanti diritti degli autori”…. e poi continuano: “non possiamo imbrigliare la rete, fermare il digitale, censurare gli scambi, bloccare la meraviglia della condivisione spontanea del sapere, porre steccati all’accesso sempre più ampio alla cultura, ecc.” Come se il rispetto dei diritti d’autore, quindi il rispetto d’un lavoro altrui, bloccasse e inibisse la rete. Col principio generale del libero e gratuito scambio, non per la merce, né per le connessioni, sempre profumatamente pagate e rispettate, ma per le cosiddette opere dell’ingegno, i libertari della rete si alleano ai liberisti, come direbbe Daniel Olivennes autore di La gratuità è un furto, senza accorgersene. O meglio forse fanno finta di I libertari della rete peccano spesso d’ipocrisia, talvolta anche di malizia, non volendo affrontare concretamente il problema del download selvaggio e illegale che, da anni, danneggia pesantemente gli autori e l’industria dei contenuti. Ogni volta che si parla di tutela delle opere, contrappongono principi generali di libertà e democrazia, come se il diritto d’autore fosse il maggior ostacolo allo sviluppo digitale. Ma la tecnologia non è neutra, anzi si fa pagare profumatamente e Steve Jobs non è San Francesco. non accorgersene, ma in questo modo, di fatto ogni volta, frantumano il presupposto di far salvo il diritto d’autore. Infatti non dicono mai come si potrebbe intervenire concretamente contro il download selvaggio e illegale, mentre argomentano a iosa sui principi generali della libertà nella rete e sui pericoli dietro l’angolo, insiti in ogni regolamentazione. E’ un modo di ragionare singolare. Se portato alle logiche conseguenze, dovrebbe postulare la gratuità assoluta per tutto ciò che è digitale. Per sviluppare la rete, per diffonderla, per non frenarne l’accesso, non si capisce perché si debbano pagare computer, software, abbonamenti a bande larghe o strette ecc. Se tutto fosse gratuito, infatti, la cosiddetta alfabetizzazione digitale (i contenitori, si sa, ormai contano più dei contenuti) sarebbe molto più semplice. Il problema è che nulla nella rete è gratuito, che la tecnologia non è neutra, ma gli alfieri del libertar-liberismo digitale si guardano bene dal dichiarare che Steve Jobs non è San Francesco e le varie telecom non sono la San Vincenzo de Paoli. Amano paragonare chi giustamente pretende il rispetto del diritto d’autore anche in Internet, ai venditori di biada che all’inizio del XX secolo volevano imporre ai governi la proibizione di viaggiare in automobile. Oppure a quei pittori che avessero preteso di mettere al bando la fotografia. Chi fa questi arditi paragoni dimentica che fin dall’inizio le automobili si pagavano e costavano di più dei cavalli e che i quadri venivano comprati e venduti anche in presenza di dagherrotipi o fotografie. Nessuno si sognava di rubare un’automobile e nemmeno un cavallo. Ben venga dunque come è venuta, l’offerta di musica o cinema legale (cioè scaricata pagando i diritti) in rete. Peccato che gli scaricamenti illegali, anche di fronte all’offerta legale, non si fermino, anzi. Secondo l’Agcom, la pirateria digitale ha causato nel 2008 perdite di 10 miliardi di euro per mancate vendite in Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania e Italia, che potrebbero crescere tra i 32 e i 56 miliardi di euro nel 2015, con una perdita di 610 mila posti di lavoro. Per questo servono regole precise, condivise con tutti i soggetti e con gli Internet service provider in particolare. I diritti delle grandi industrie tecnologiche, sono sempre “fatti salvi” automaticamente: si pagano prima e nessuno si sogna di contestarli. VIVAsommario 6 32 20 42 28 S E R V I Z I VIALE DELLA LETTERATURA 30 3 TEATRO Dario Fo, un grammelot da Nobel LETTERATURA Vincenzo Talarico, un calabrese a Roma 20 6 MUSICA De Angelis, fratelli di successo 24 MUSICA Enrico Riccardi, armonia e canzoni 28 CINEMA Piero Tellini, uno scrittore per lo schermo 32 CINEMA Massimo Sani, l’occhio della Storia 36 RADIO L’isola senza tempo della filodiffusione 38 CINEMA I 60 anni di Filmcritica 40 RADIO Fiamma Satta, 25 anni davanti al microfono 42 MUSICA Fabrizio De Rossi Re, tra jazz e tradizione 46 EDITORIA Ecco il libro virtuale 49 TEATRO Eleonora Danco, una ragazza al muro 52 CULTURA Storia Siae: la sfida di Marco Praga 56 MUSICA Sergio Iodice, artigiano di sogni 60 LIRICA Il dramma barocco di D’Avalos 62 MUSICA Nel rock dei Marlene Kuntz 68 MUSICA Ernesto Bassignano, il ritorno 75 F O T O C R E D I T I In riferimento alle immagini pubblicate, l’editore e la direzione di Vivaverdi dichiarano la propria disponibilità all’assolvimento dei diritti di riproduzione per gli eventuali aventi diritto che non è stato possibile accertare Distribuzione gratuita Le opinioni espresse negli articoli pubblicati su Vivaverdi impegnano esclusivamente i loro autori e non rappresentano la linea editoriale della Società Guido Harari è l’autore della foto di copertina, che fa parte di un ampio servizio in bianconero sulla coppia Dario Fo e Franca Rame.“Fin da piccolo musica e fotografia sono state le mie due grandi passioni” racconta Guido Harari, nato nel 1952 a Il Cairo, gran talento milanese che ha inseguito rockstar per tutta la vita cercando con la macchina fotografica di tiragli fuori un pezzo d’anima, un aspetto autentico e interessante. “A diciannove anni ho avuto la fortuna di intrecciarle in qualcosa che potesse assomigliare ad una professione. Solo più tardi ho capito che usavo la fotografia non come un lavoro, ma più semplicemente come un modo di relazionarmi agli altri. Negli ultimi vent’anni ho allargato il mio orizzonte anche oltre i confini della sola musica, sempre spinto dal bisogno di confrontarmi con persone con una storia da raccontare e di creare una “memoria”, in questo caso visiva, come progetto di definizione del mio mondo interiore. Credo ad un approccio discreto, al dovere, da parte del fotografo, di non sovrapporsi o addirittura sostituirsi al suo soggetto. E' questo, il soggetto, il centro dell'immagine: è lui il cosiddetto "messaggio". Il fotografo ha il dovere di coglierne al meglio l'essenza, di definirne compiutamente l'identità, la personalità, il carattere. Il ritratto è la mia dimensione ideale: fotografo e fotografato si specchiano l’uno nell’altro, ci si cerca, ci si stana quasi. Fino a riconoscersi nell'altro, a perdersi nell'altro e a ritrovarcisi di nuovo. Conta il magnetismo della persona, la sua storia e quello che vuole proiettare di sé”. Sin dall’inizio Harari ha realizzato numerosi libri dai suoi lavori, cominciando con Lindsay Kemp (editoriale Domus, 1982), un reportage fotografico dietro le quinte del leggendario mimo e danzatore, e poi Claudio Baglioni, Paolo Rossi, Pippo Delbono, Vasco Rossi e Fabrizio De André, un sodalizio durato oltre vent’anni, celebrato nel volume Una goccia di splendore (edizioni Rizzoli, 2007), un volume di grande formato, a metà tra pubblico e privato, tra gli scatti “rubati” alla vita quotidiana e gli appunti, considerazioni, aforismi spesso inediti, un’autobiografia per parole e immagini (realizzata con la collaborazione della Fondazione Fabrizio De André onlus di Siena e di Dori Ghezzi). Il suo libro più recente è Mia Martini, l’ultima occasione per vivere (Tea,2009). 68 52 VIVAVERDI 5 V I V A V E R D I 40 Anno 82 – Nuova serie Numero 2 Marzo – Aprile 2010 Bimestrale Direzione, redazione e amministrazione Viale della Letteratura, 30 00144 Roma Centralino: 06.59901 Redazione: 06.5990.2795/2629 Fax: 06.5990.2882 [email protected] www.siae.it 24 Direttore responsabile Sapo Matteucci Comitato editoriale Linda Brunetta, Gianni Minà, Dario Oliveri Oscar Prudente, Mimmo Rafele R U B R I C H E COMPLIMENTI A…. VIVAIDEE 1 Pensieri & Parole. Internet e copia privata ANTEPRIME 17 18 VIVAIDEE Riflessioni Doc. Il contratto di servizio Rai 31 VIVAMITID’OGGI Quando Joyce scriveva in italiano 39 VIVAIDEE Appunti & Contrappunti. La Siae e la comunicazione 45 VIVAHANNODETTO 54 VIVAINBREVE 66 NOVANTANOVENOVITA’ 72 VIVADALL’INTERNO La Responsabilità del Provider 76 Racconti dal carcere 80 Palermo, laboratorio d’autore 82 Biella e Novara, gli slogan antipirateria 83 Concorsi 84 L’ULTIMO APPLAUSO 86 BOLLETTINO SOCIALE 90 Linea e Coordinamento editoriale Stefano Micocci Capo redattore Flaviano De Luca Redazione Antonella Gargiulo (segr. redaz. e ricerca fotografica), Daniela Nicolai Grafica e impaginazione Digitalialab S.r.l. - Roma Stampa Grafica Giorgetti S.r.l. - Roma Registrazione alla Cancelleria del Tribunale di Roma n. 234 del 24.7.1948 Questo giornale è pubblicato ai sensi della normativa della Siae e del Regolamento per l’esecuzione della legge 22 aprile 1941, n. 633, approvato con R. D. 18 maggio 1942, n. 1369 Di questo numero sono state distribuite 99.000 copie Concessionaria di Pubblicità: Argentovivo srl Viale G. da Cermenate, 70 - 20141 Milano Tel. 02/89515424 Fax 02/89515565. [email protected] Chiuso in tipografia il 14 maggio 2010 AVVISO AI LETTORI Si ricorda a tutti coloro che ricevono presso il proprio domicilio più copie di Vivaverdi (perché residenti con altri associati Siae oppure in qualità di rappresentanti di società editoriali associate) che è possibile chiedere la cancellazione di una o più posizioni dalla lista dei destinatari, inviando una mail a [email protected] oppure un fax al n. 06.5990.2882 Hanno collaborato a questo numero: Giorgio Calabrese, Piergiuseppe Caporale, Marco Caselgrandi, Giacomo Ceccarelli, Maurizio Costanzo, Franco Daldello, Daniela d’Isa, Alberto Ferrigolo, Maria Cristina Locori, Corrado Lo Iacono, Valerio Magrelli, Franco Montini, Nicola Ravera, Giovanni Russo, Fiamma Satta, Massimo Tellini, Ferdinando Tozzi, Cristina Wysocki ISSN 1972-6694 Una scena di Lo svitato, un film del 1956, con la regia di Carlo Lizzani. Dario Fo nei panni di Achille, un fattorino della redazione di un giornale milanese che viene scambiato per un giornalista. VIVAVERDI Foto Archivio DuFoto - [email protected] 6 teatro DARIO FO QUANDO LA COMMEDIA DELL’ARTE DIVENTA LETTERATURA DA NOBEL di Gianni Minà Quella di Dario Fo (che racconto in due puntate) è un’avventura artistica che, dopo quasi sessant’anni, non accenna a tramontare. Mentre scrivo questo articolo su un “giullare” premiato nel 1997 con il Nobel della letteratura, a Parigi è stata montata una nuova versione di Mistero buffo: Mystère bouffe et fabulages in scena alla Salle Richelieu della Comédie Française fino al 19 giugno 2010. Bene, Dario, a ottantaquattro anni, ma con la vitalità di un saltimbanco instancabile, a marzo è volato nella capitale francese per perfezionare la messa in scena di quelle sue due opere storiche. Si può dire che è l’eterno omaggio del mondo dei teatranti a chi ha regalato una vita nuova alla commedia dell’arte, alla capacità dell’uomo di rappresentarsi e di ridere di sé, ma è anche il riconoscimento ad un autore che, come Brecht, non si è tirato indietro quando si è trattato di fare del teatro un luogo della politica, rifiutando di non farlo perché “in teoria l’attore, l’artista è una proprietà di tutti, al di sopra delle parti”. Per Fo, invece, non è mai stato così. Emblematico, a proposito del ruolo dell’attore, l’exploit del Nobel Ci vorrebbe almeno un libro per raccontare l’avventura artistica, politica e umana di Dario Fo e di Franca Rame che insieme non hanno solo imposto al mondo una nuova dimensione del teatro, ma hanno ridato vita alla commedia dell’arte, rinnovando un linguaggio e una tradizione profondamente italiani. Gianni Minà propone, per i lettori di Vivaverdi, un loro ritratto inedito in due puntate. dell’8 aprile al teatro Carcano di Milano, con attori migranti, professionisti e dilettanti, in molti casi testimoni di esperienze che frantumavano il pregiudizio su chi arriva da fuori, senza certezze. Uno spettacolo che gli è venuto in mente il primo marzo, quando per la prima volta, in un’ Italia ormai prigioniera di mille contraddizioni e ambiguità, gli immigrati, quelli che nella nostra società attuale assicurano in molti casi la sopravvivenza e l’unità delle nostre famiglie, hanno scioperato. “Quel giorno – mi ha detto Dario Fo – è accaduto qualcosa di straordinario, anche se qualche telegiornale non se ne è accorto. In quella passeggiata da piazza della Scala al castello Sforzesco di Milano c’era anche quell’umanità ritenuta da molti “invisibile”, ma questa volta con il coraggio di mettersi in mostra, di coinvolgere i residenti. Molti quel giorno ci raccontarono le loro storie, con una proprietà di linguaggio inattesa. Un africano aveva perfino citato a memoria Antonio Gramsci. Erano persone con un’inaspettata cultura politica, che non pensavano solo al loro problema, ma ragionavano in modo più vasto e conoscevano il luogo e lo spazio in cui si trovavano. Insomma italiani, anche se molti se lo erano dimenticati e se lo dimenticano. Fu un pomeriggio straordinario, che ci impose, a breve, una rappresentazione teatrale”. “Il teatro di Dario Fo e Franca Rame”, perché Franca, fin dall’inizio, è stata la compagna inseparabile d’arte e di vita di Dario, è sempre stato così, ispirato dal sociale, dalla politica, anche quando usava i modi della farsa, ed ha girato il mondo fino a diventare, con quello di Goldoni, Pirandello e De Filippo il teatro italiano più rappresentato. Australia, Austria, Belgio, Brasile, Giappone, Bulgaria, Russia e Repubbliche ex VIVAVERDI 8 teatro sovietiche, Danimarca, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti: se si fa una ricerca negli scaffali di Flavia Tolnay, componente dell’Assemblea della Siae che li rappresenta con tutti i teatri del mondo, è entusiasmante accorgersi che quasi non c’è posto dove il “mistero buffo” di questa coppia non abbia fatto storia. Non poteva essere altrimenti per una scrittura teatrale, quella di Fo, che, per esempio, alla Comédie Française, il santuario della prosa nel mondo, ha trovato casa, unico italiano, ancora dopo Goldoni, Gabriele D’Annunzio, Pirandello ed Eduardo De Filippo. È singolare, ma anche emblematico, che Dario Fo abbia trovato invece poco spazio al cinema, il linguaggio più moderno per chi scrive rappresentazioni da recitare, ma forse la colpa non è stata solo dell’industria filmica. Fu Dario, come lui stesso ammette, a farsi travolgere dal teatro, nonostante il mondo del cinema, a Roma, lo avesse accolto subito con molta curiosità. L’esordio nel ’56 con Lo svitato di Carlo Lizzani fu, infatti, positivo. Era un’opera che anticipava i tempi della moderna comicità, anche se non risparmiava citazioni a Buster Keaton o Jaques Tati. C’era in quell’opera il piacere del sarcasmo, il gusto della satira sociale e l’inventiva, già prorompente, di un autore–attore che da allora avrebbe segnato il teatro, la televisione, la cultura e, in un certo modo, anche la società del nostro paese. Il suo modo di intendere il teatro traeva le sue origini, come ho già detto, dai giullari, dagli affabulatori della commedia dell’arte, dalle farse, dalla rivista. Io, adolescente, lo ricordo alla radio in trasmissioni come Chicchirichì, e poi con Franco Parenti e Giustino Durano con Il dito nell’occhio e I sani da legare, spettacoli di critica beffarda che in- frangevano i limiti del teatro di rivista. Poi, dopo il matrimonio con Franca, era venuta la parentesi di Cinecittà, come attore ne Lo svitato e poi come sceneggiatore e aiuto di Antonio Pietrangeli, il regista di Io la conoscevo bene. Infine, l’incontro scontro con la televisione democristiana, che cercava nuovi percorsi e nuovi linguaggi ma temeva il sarcasmo tagliente di Fo. “Non gli hai mai dato requie al potere” gli ho fatto notare in una memorabile puntata di Storie per Rai Due. “Ho fatto il possibile per rendere il nostro dialogo vivace” mi ha risposto ridendo. “Hai sempre avuto un irrefrenabile spirito anarchico” ho insistito. “Mi dava fastidio l’ipocrisia, la finzione, la falsificazione – mi ha spiegato A scuola poi ho avuto la fortuna di avere, al liceo artistico di Brera, il più evoluto che ci fosse allora in Italia, dei professori straordinari, che amavano sviscerare, o meglio capovolgere, quelli che erano i luoghi comuni dell’odio, del banale, del risaputo, e mi hanno insegnato così a leggere la storia, i fatti, la politica”. Una vera scuola di libertà. Fo ne è orgoglioso: “Ho qualche merito. Dopo il liceo ho frequentato contemporaneamente a Milano il Politecnico e l’Accademia di Brera. I miei amici sono stati da subito Tadini, Cavaliere, Traccani, Crippa, Trevisani, Lizzani, Morlotti, perfino Vittorini, il meglio dell’invenzione artistica del primo dopoguerra italiano. Frequentavamo latterie e bar e lo scambio intellettuale fra noi era ricchissimo, insieme alle beffe che riempivano molte delle nostre serate”. Ma non venivano solo dall’esperienze con quella “bella gioventù”, assetata di riscatto, gli strumenti di quello che sarebbe stato il suo teatro. Ci fu, fin dal- l’inizio, una ricerca costante, ininterrotta, sulle forme rappresentative della cultura popolare. “Io sono nato in un paesetto del lago Maggiore, Sangiano, e sono cresciuto in un altro paese, poco più grande, Porto Valtravaglia, dove hanno sempre convissuto varie forme di rappresentazione, quasi sempre basate sul racconto. I ‘fabulatori del lago’ erano conosciuti e fin da ragazzino ho sentito da loro storie di pescatori, di contrabbandieri, di soffiatori di vetro. Ognuno aveva la sua chiave, il suo modo di essere. Per me è stata una scuola. Quando andavo al liceo a Milano, il treno dei pendolari è stato il mio primo palcoscenico. Ero figlio di ferrovieri, viaggiavo ogni mattina e sul vagone proponevo storie. Allora nelle vetture non c’erano gli scompartimenti, così io mi mettevo in piedi sul sedile e iniziavo i miei racconti. Chi saliva nelle stazioni successive chiedeva: ‘A che punto siamo della storia? Chi ci fa un sunto?’. Io stesso lo facevo e riprendevo il filo degli accadimenti”. Dario si è sempre divertito molto a ricordare quel tempo: “Arrivavo a Milano, quasi sempre senza voce, tanto che i miei compagni, Tadini, Crippa, per scherzo mi prendevano da parte e mi dicevano “Non ce la racconti una storia anche a noi?”. In tutto questo c’era l’eredità del carnevale, dei giullari, del folle del paese, e quella dei clown, dei travestimenti a vista, che permetteva di provare differenti personificazioni. Ma Fo giura che tutto questo teatro nacque in lui, compresa la maschera burlesca, senza saperlo. “Ho scoperto dopo che tutte quelle storie che raccontavo e che prendevo dalla tradizione popolare, da scritti che cominciavo a cercare e trovare, da tante letture, erano antichissime, provenivano addirittura dal Medioevo e dalla storia greca”. 9 Foto Archivio DuFoto - [email protected] “E il grammelot?” gli chiesi. “Il grammelot l’ho scoperto proprio nel linguaggio dei fabulatori. Qualcuno di loro ogni tanto infilava nel racconto frasi in francese o in tedesco, che in realtà erano espressioni di dialetto, di gergo proprio del mestiere che facevano. Bisogna tener conto, d’altro canto, che dalle mie parti, in provincia di Varese, molte persone avevano radici e nomi stranieri. Erano fonditori, soffiatori di vetro, arrivati lì da tutte le scuole artigianali d’Europa, che conoscevano le chiavi e le strutture del parlare di tutto il nord del continente. Tieni presente che il grammelot è in sostanza un dialetto di gente che tendenzialmente aveva fame, e la fame è sempre stata la base dei racconti popolari, anche se poi il racconto prendeva le forme del buffo o del grottesco, perché la grande comicità popolare trae lo spunto quasi sempre dalla tragedia, cioè dalla fame, dalla disperazione, dalla violenza fisica e morale, dalla mancanza di libertà. Pensa che c’è stato un periodo in cui il grammelot è servito per non essere censurati. Al tempo della repressione in Francia, i comici dell’arte, alla fine del ‘600, si inventarono questo linguaggio per non essere perseguitati a causa dei loro lazzi, delle loro battute. Ma i censori ad un certo punto impararono a capirli e il grammelot non li salvò più”. “Normalmente non si ride dei ricchi?” gli chiesi. Fo fu esplicito: “Si ride se si pompano, se li gonfiamo o li riempiamo di strapotere per poi sgonfiarli. La chiave è sempre quella del grottesco: spingere la situazione sempre più avanti, farli volare, vestirli con mantelli che si riempiono di vento per la gioia, alla fine, di vederli cadere”. VIVAVERDI Il corpo disarticolato, la plastica gestualità contagiosa e carnale, la mimica travolgente, l’uso del grammelot sono alcuni tratti tipici del teatro di Dario Fo abituato fin da ragazzo a esibirsi sui treni locali, che collegavano Milano con Porto Valtravaglio (il suo paese in provincia di Varese) e il resto della Lombardia ne di vita. Ci feci due puntate di Storie, un programma che andava in onda dopo mezzanotte e che, non a caso, aveva come sottotitolo Viaggio nella vita di persone non banali. A ricordare tutti i momenti di quell’incontro con Fo e la Rame, non mi basterebbero due interi numeri di Vivaverdi, Così mi pare giusto riassumerli in piccoli capitoli: la prima parte, quella della nascita del loro teatro, in questo numero e la seconda, quella della loro consacrazione artistica e umana, nel prossimo. MISTERO BUFFO, LA CHIESA E IL GRAMMELOT istero buffo – gli chiesi su- è lo spettacolo che “allaMfinebito degli anni ’60 ti ha reso Quel pomeriggio, negli studi Rai della Dear, con Franca a fianco, Dario ci impartì una vera lezione di teatro, dei meccanismi scenici, del grottesco, della satira, della farsa. E ci suggerì anche una lezio- un drammaturgo famoso e rispettato in tutto il mondo, ma che ti caratterizzò anche come un intellettuale critico nei riguardi della chiesa”. “No – mi corresse - la mia critica è stata sempre e solo contro l’abitudine di leggere il Vangelo in modo scorretto o contro la mercificazione della fede. I giullari, per esempio, non risparmiavano mai il mercato delle indulgenze. Spettacoli come quelli che ricorda Mistero buffo venivano realizzati nelle chiese, specialmente in certe ricorrenze come la Pasqua. Recentemente ho trovato le prove che, a molte di queste feste grottesche, erano VIVAVERDI 10 “Oh, che pacchia, che cuccagna:/bella è la vita per chi la sa far!/ Ma tu, miracolato del ceto medio basso,/tu devi risparmiare, accetta ‘sto salasso:/non devi mangiar carne, devi salvar la lira/e, mentre gli altri fregano, tu fai l’austerità!” è un brano della canzoncina “Tutta brava gente” contenuta in Settimo ruba un po’ meno, una commedia di Dario Fo, scritta nel 1964. In basso, un’immagine dello spettacolo teatrale. teatro invitati clown e fabulatori perché bisognava soddisfare il “risus pascualis”, cioè la possibilità di liberare il popolo con la gioia. Era un modo di concedere un giorno di liberazione ad un’umanità oppressa. Dopo l’angoscia della morte di Cristo, la gioia della Resurrezione vissuta come festa ed allegria totale. E’ assurdo che la chiesa abbia nascosto e poi censurato questi riti, queste abitudini”. “E tu invece, per aver resuscitato queste tradizioni, sei stato più volte denunciato”. “Purtroppo anche fior di storici della religione non avevano capito nulla. Ad un certo momento (mi pare nel ’76, dopo la riforma della Rai e il nostro ritorno in tv) il Vaticano prese addirittura posizione e mandò in azienda tre personaggi in teoria esperti di cultura popolare religiosa. Vennero a vederci. Era- Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo no vescovi o monsignori e ridevano come matti. Uscirono dalla sala con le lacrime agli occhi. Mistero buffo non è per caso una delle opere più rappresentate al mondo. Se dovessi metterlo in scena con tutte le aggiunte, gli aggiornamenti che nel tempo ho fatto avrei bisogno di almeno cinque giorni. La ragione del suo successo credo stia proprio nell’intuizione di recuperare le chiavi della tradizione. E non solo quelle dell’Italia, ma anche quelle del nord e del sud d’Europa, della Spagna, della Grecia. Ti racconto un aneddoto: quando siamo stati in Colombia mi hanno portato a conoscere un contadino inca che, accompagnandosi con il tamburo, raccontava un pezzo del Vangelo. Lo faceva con un linguaggio difficile, aiutandosi con degli spagnolismi. Ad un certo momento mi sono reso conto che era un mio testo. Glielo avevano dato tradotto in spagnolo, lui lo aveva riadattato ed alla fine era diventato un brano della loro tradizione. Pensavano fosse un testo dei padri, ma in realtà lo era solo diventato, perché aveva radici nella loro cultura che aspettavano solo di essere sviluppate”. “E perché – lo interruppi - questo grammelot, con cadenze e accenti diversi, viene inteso ovunque?” “Mi stupisco anch’io – rispose - perché viene capito anche all’estero, in Grecia come negli Stati Uniti. Ridono delle mie battute. Il segreto forse sta nella gestualità e, forse, nella scelta onomatopeica di imitare i suoni, i ritmi. Infine, non bisogna dimenticare che l’argomento di Mistero buffo (episodi di argomento biblico o racconti popolari sulla vita di Gesù ispirati o reinterpretati dai vangeli apocrifi) è una storia che tutti conoscono fin dall’infanzia, insieme ad un ele- Improbabili abiti da gangster, salti acrobatici, contenuti anticonformisti per Il dito nell’occhio, una specie di antirivista, uno spettacolo scritto insieme a Franco Parenti e Giustino Durano nel 1952, che metteva in scena la storia dell’umanità in maniera irriverente e assai poco tradizionale. Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo mento magico che è esplicito. All’inizio, su consiglio di Franca, volevamo proiettare delle immagini sul fondo del palcoscenico, miste ad una scrittura, poi abbiamo capito che il pubblico non aveva bisogno delle didascalie, le capiva prima. E questo è sempre stato un po’ misterioso”. LA RADIO E L’AFFERMAZIONE DELLA COMPAGNIA CON PARENTI, DURANO E FRANCA stata la radio, dove mi trascinò Franco Parenti, a farmi scoprire “È la mia strada definitiva, anche se ancora alternavo il lavoro di raccontatore in teatro con la mia frequenza alla facoltà di Architettura. Per essere sinceri, all’inizio sembrava un insuccesso – mi raccontò Dario divertito – Come mi sono affacciato al microfono mi hanno subito stangato. Recitavo ogni settimana un monologo su Caino e Abele che, tutte le mattine, quando si svegliava, levava le braccia al cielo e diceva cose banali tipo ‘Come sei bravo, Signore, che hai fatto tutto ‘sto creato, che hai inventato il cielo con il vento, l’aria, le nuvole e poi anche il mare, l’acqua, e non ti sei neanche sbagliato, non hai fatto confusione, bravo Deo, alleluja!’. Una retorica senza limiti, quasi a preparare una giustificazione per l’atto inconsulto, il fratricidio, che la storia ha attribuito a Caino. Ma si vede che ho esagerato nel sarcasmo. Così, all’improvviso, una mattina arrivò una comunicazione, anzi, un pezzettino di carta con su scritto ‘Basta Fo’. Non so precisamente chi ordinò quel diktat, ma non ci fu possibilità di replica. Fu il mio primo impatto con la censura, che mi avrebbe perseguitato per tutta la vita”. Era l’epoca anche del poer nano. “Un intercalare che mi dette popolari- tà – mi spiegò Dario - voleva dire “povero cocco, povera creatura”. Un altro suo personaggio dell’epoca era l’impiegato Gorgogliati. Lo ricordavo benissimo: “Eravamo io, Stranghelli, la signorina Trabò quando è passato l’usciere Baracchini...”. Noi innamorati della radio lo avevamo individuato subito. Fu probabilmente l’antenato di Fantozzi. “E’ vero, dava ragione a tutti. In ufficio accettava tutto, senza fiatare. Stava sempre dalla parte dei capi, esprimeva una piaggeria da far schifo. Erano personaggi improvvisati, da me, da Franco Parenti e da Giustino Durano, critici con la società, molto nuovi, moderni, come quelli che negli stessi anni si inventava Alberto Sordi, da Mario Pio ai compagnucci della parrocchietta”. Era un teatro che si scrollava di dosso la retorica e che voleva far ridere non solo con gli equivoci dell’avanspettacolo o della rivista. Fo finì per far compagnia con Franco Parenti e Giustino Durano (indimenticabile zio di Benigni ne La vita è bella) nello stesso tempo in cui Franca Valeri, Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci davano vita alla Compagnia dei Gobbi. “Noi eravamo molto amici loro, specialmente di Alberto Bonucci – ricordò Fo – C’era un grande fermento creativo in quel finale degli anni ‘50 e il nostro trio si distinse subito per l’influenza di Jacques Lecoq, sperimentatore teatrale, mimo e pedagogo francese, con cui lavorammo un po’ di tempo. Era il coordinatore della nostra gestualità, direi meglio della disciplina gestuale che, nei nostri due primi spettacoli Il dito nell’occhio e I sani da legare, aveva un ordine preciso, una sintesi, uno stile. Si improvvisavano dei testi, si recitavano, si distruggevano e poi si ricomponevano e si ordinavano secondo uno stile e una misura. C’era un’improvvisazione in realtà geometrica, molto severa, e questa era la nostra forza. Come la capacità di cambiare. Il dito nell’occhio, ad esempio, all’inizio era molto diverso da come ha finito per essere dopo tre mesi consecutivi al Piccolo Teatro di Milano, un mese a Torino e un mese a Roma e un altro al Piccolo, dove Giorgio Strehler si nascondeva in galleria per ascoltarci, senza disturbare, ma poi si tradiva con i suoi sghignazzi. A Roma entrò in compagnia Franca. Per me fu un evento importantissimo e non solo perchè ci saremmo sposati e, a breve, sarebbe nato Iacopo”. L’INCONTRO CON FRANCA ranca l’avevi conosciuta alla radio?” chiesi ad un certo punto. “F “No, l’avevo conosciuta nella compagnia delle sorelle Nava che all’epoca gareggiavano nei teatri di varietà con Totò, Macario, la Magnani e Billi e Riva. Era una rivista tradizionale e noi eravamo dei numeri, delle speranze, insomma il contorno, così come lo erano per esempio Nino Manfredi o Elio Pandolfi per Wanda Osiris, prima donna indiscussa del varietà dell’epoca. Franco Parenti era il più conosciuto fra i nuovi talenti e riusciva a trovare lavoro anche per noi”. “E Franca cosa faceva in quella compagnia? Era una soubrette o una soubrettina?” “Era una soubrettona – sorrise Dario – Era slanciata, lunga, bella. Ho detto soubrettona perchè oltre a recitare, danzava, cantava, condivideva la passerella con le Nava”. “Fu amore a prima vista?” “No, anche perché appena la vidi mi sono detto ‘E’ troppo, non è possibile, toglitela dalla testa. Non riuscirai mai a conquistare una donna così’. Lei era gentile, sorridente, ma le giravano attorno tanti di quei ‘vesponi’ che era inutile sperare. La adoravano. Le facevano regali che lei respingeva. Se da il giro a questi qua, pensa che corse farà fare a me! E invece, un giorno, a sorpresa, mi ha abbrancato dietro una tenda, mi ha spinto contro un muro e mi ha detto ‘Baciami scemo!’. Sono passati sessant’anni”. QUELLO CHE MI HA INSEGNATO IL CINEMA successo di I Sani da legare a Roma a Dario Fo le porte del cinema e Iglilaprìpermise di sperimentare un mezzo espressivo che gli insegnò molte cose, ma non gli regalò un vero successo. Dopo Rosso e nero, antologia della risata di Domenico Paolella, Dario ebbe la possibilità di cimentarsi in un film tutto su di lui diretto da Carlo Lizzani, Lo svitato. Con Dario c’erano anche Franca Rame e Giorgia Moll e Alberto Bonucci e Franco Parenti in due partecipazioni straordinarie. Un film con delle aspirazioni, ma non completamente risolto. “C’erano molte citazioni, come Tempi In basso, da sinistra, Franco Parenti, Giustino Durano e Dario Fo, in una scena di Il dito nell’occhio del 1953. L’anno successivo venne rappresentata al Piccolo Teatro I sani da legare, che racconta con sarcasmo episodi e avvenimenti dell’Italia di allora. Lo spettacolo venne pesantemente censurato e confinato in piccole sale, senza incassi assicurati. Quest’atmosfera determinò la fine della collaborazione tra i tre artisti. 13 Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo moderni di Chaplin o Il cameraman di Jacques Tati, che amò molto questo film tanto da acquistarlo per la Francia. Ma – ricordò Dario - forse quell’opera era prematura per il suo tempo. Il pubblico non era ancora preparato a quel ritmo, a quel gusto. Non a caso, quando a Milano ero andato a vedere per la prima volta Monsieur Hulot di Tati, in sala eravamo non più di dieci persone”. Ne Lo svitato Fo aveva rivelato un passo da atleta vero tanto che, qualche anno prima, aveva rischiato di seguire le orme dei suoi amici Missoni, Siddi, Paterlini, campioni che si allevano con lui al vecchio campo della Gallaratese, che poi finirono in nazionale. Ma lui, come Missoni che lasciò per diventare un grande stilista, aveva altre ambizioni. “Io correvo per davvero – mi rivelò Dario – Avevo una falcata importante. Pensa che nella scena de Lo svitato, dove io ero costretto a rincorrere dei ragazzi, raggiungerli e superarli, avevano scelto come controfigure dei giovani che erano delle vere promesse. Non pensarono nemmeno di risolvere il problema aumentando la velocità delle immagini in moviola. Tutto era tremendamente reale, tanto che ad un certo punto, con il poco fiato che mi era rimasto in gola dopo tanti ciak, li avevo supplicati ‘Andate più piano, altrimenti mi ammazzate!’. Il cinema, che mi ha fatto conoscere persone meravigliose come Rossellini, che viveva con la sua grande famiglia di fronte a noi, mi ha insegnato an- che molte cose. Mi ha dato, per esempio, la possibilità di imparare il mestiere della scrittura, la scansione delle scene, un segreto fondamentale per quello che sarebbe stato nel futuro il mio teatro. In quei due anni di accademia nel cinema come sceneggiatore di Souvenir d’Italie e Nata di marzo, dell’indimenticabile Antonio Pietrangeli, o anche come aiuto di Guido Leoni in Rascel Fifi, ho acuito l’agilità nello scansionare la funzione narrativa delle sequenze, ho appreso la ritmica del montaggio e la sinteticità del messaggio. Quell’esperienza mi ha fatto cambiare anche il modo di concepire il linguaggio teatrale. Ho imparato perfino a dirigere gli sketch pubblicitari per Carosello, dove lavoravo con attori bravissimi, che improvvisavano con me anche battute astratte, metafisiche. Nei caroselli per la benzina Supercortemaggiore del 1958, per esempio, ho formato con Gino Bramieri una coppia esilarante. Bramieri era un allora un uomo grosso ma di una leggerezza incredibile. Io ho visto poche persone massicce come Gino fare salti mortali, rovesciarsi, muoversi con quella agilità”. Mi pareva singolare che tutto questo stesse per convivere con quello che sarebbe stato il suo teatro politico. “Non devi sorprenderti – mi spiegò – nella pubblicità usavo le stesse chiavi che caratterizzavano il nostro teatro che stava crescendo: l’assurdo, il paradosso, il metafisico”. In quel momento della sua vicenda artistica e umana, Fo era alla vigilia del suo storico scontro con la censura della Rai nella Canzonissima del ‘62. Eppure i successivi cinquant’anni avrebbero segnato l’affermazione definitiva del suo teatro e anche il suo riconoscimento come figura preminente della nostra cultura e della nostra società. Ma questo è il racconto che affronteremo nel prossimo numero di Vivaverdi. (1-continua) VIVAVERDI Un brindisi alla Terrazza Martini per Dario Fo e Franca Rame, alla fine degli anni cinquanta. Nello stesso periodo la coppia è protagonista di alcuni famosi filmati pubblicitari (Supercortemaggiore, Zoppas, ecc.) per Carosello, la trasmissione che dava il via alla prima serata televisiva. VIVAVERDI 14 Ambientato in un circo, con personaggi tutti clown, La signora è da buttare (nella foto Franca Rame, in una scena) è una commedia di Dario Fo, scritta nel 1967. La signora è la personificazione degli Stati Uniti d’America, con dialoghi legati alla situazione politica del tempo (in particolare la guerra del Vietnam e l’opposizione pacifista) e critiche alle mire imperialiste e di potenza del gigante economico americano. teatro Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo DARIO FO “IL MIO GRAMMELOT ISPIRATO DAL JAZZ” di Oscar Prudente La prima pièce di Dario Fo a cui ho partecipato (La passeggiata della domenica del francese Georges Michel, di cui Fo aveva riadattato il testo e curato la regia) ritraeva la tranquilla gita di una famiglia borghese sullo sfondo della guerra del Vietnam e le lotte studentesche, la seconda (La signora è da buttare, con Fo autore e interprete) era un’allegoria della storia degli Stati Uniti. Già in molti dei suoi lavori precedenti la poliedrica genialità di Fo si era manifestata nell’aver utilizzato spesso attori anche non professionisti i quali, oltre che nella recitazione, si esibivano in balletti, pantomime e nel canto: in queste due commedie il meccanismo veniva portato alla sua piena espressione con l’utilizzo di un’orchestrina, sempre presente in scena, utilizzata a mo’ di “coro greco”. Nella Passeggiata, assieme al sottoscritto nelle vesti di “cantattore” c’era anche un gruppo beat, i genovesi Bit-Nik che commentavano la trama con i loro interventi; ne La signora, invece, avevo portato con me una band formata da valenti musicisti destinati a un grande carriera (il flauto/sassofonista Claudio Pascoli, il batterista Walter Cal- Non capita a tutti di poter raccontare di aver collaborato con un Premio Nobel della Letteratura, oltretutto nel campo musicale: ma io posso vantarmi di aver scritto (nonché interpretato) alcune canzoni con Dario Fo e di aver partecipato tra il 1967 e il 1968 a due sue importanti commedie: La passeggiata della domenica, del francese Georges Michel e La signora è da buttare. Sono anche abbastanza famose le collaborazioni di Fo, in ambito musicale, con Fiorenzo Carpi ed Enzo Jannacci. loni, il bassista Massimo Spinosa, il tastierista Giuliano Salerni). Ma l’interesse di Fo per la musica è multiforme. Oltre all’invenzione della presenza delle band in scena e le collaborazioni con importanti musicisti (in primis Fiorenzo Carpi ed Enzo Jannacci) vi sono le ricerche musicologiche delle radici della tradizione popolare (vedi le varie edizioni di Ci ragiono e canto) e i numerosi e felici sconfinamenti nel campo sinfonico e operistico: Pierino e il Lupo di Prokof’ev, di cui Fo è stato voce narrante, e l’allestimento e la regia di opere di Rossini, Stravinskij e Weill. Il mio ricordo più vivo è però sicuramente legato a La signora è da buttare e alla sua ambientazione circense (con tanto di veri clown e acrobati, i “Colombaioni”), memorabile fin dalla prima scena. Iniziava con il tuo esilarante ingresso danzato a ritmo di blues, mentre imbracciavi o meglio eri abbracciato da un’antica tuba romana e alternavi vocalizzi e frasi musicali in stile. Da chi hai ereditato la tua esuberante musicalità? Da ragazzino avevo scoperto il jazz, la prima musica che veniva da oltreoceano: mi fece impazzire da subito. Il ritmo, la sintassi di una musica completamente fuori chiave rispetto a quella che conoscevo. Hai ascoltato molto questo genere di musica? Moltissimo. Ho inventato il “Grammelot” imitando il cantare dei neri: prima ancora di sapere cosa volesse dire il suono imitavo i timbri, gli andamenti. Riuscivo a convincere addirittura gli americani che stessi cantando blues. Ti sei mai dedicato allo studio di uno strumento musicale? L’unico per cui ho preso delle lezioni è stato per quella tuba: era in “do”, ed assai difficile perché non si poteva mai uscire da quella tonalità, tant’è vero che l’orchestra che mi accompagnava era impostata su quella tonalità. Che importanza ha avuto la musica per te e come ha influenzato il tuo linguaggio teatrale? Prima di tutto io lavoravo con grandi personaggi del mondo musicale, con tutti quelli che allora facevano jazz e dato che in quel momento lavoravano al- la Rai, abbiamo potuto fare degli spettacoli interi. Per esempio, ce n’era uno che ha anticipato Canzonissima e che si chiamava Chi l’ha visto? (varietà televisivo del 1962 di Dario Fo, Leo Chiosso e Vito Molinari, trasmesso su Rai 2, ndr). Questo spettacolo è andato in onda con grande successo e vi parteciparono molti musicisti importanti, tutti i più grandi jazzisti italiani che suonavano a Milano. C’era Enrico Intra con il suo gruppo, cinque o sei solisti, fra cui Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Dino Piana... E poi c’erano anche alcuni dei giovani jazzisti emergenti, che suonavano in quel locale dietro al Duomo, il “Santa Tecla”. Lì avevo trovato il meglio: ogni sera si andava ad ascoltare, a vedere, arrivavano i primi americani, i primi jazzisti neri. E poi c’erano anche le band locali, quelle che si legavano al nome dei fiumi come l’Original Lambro Jazz Band. Le conoscevo tutte e ogni tanto cantavo con loro, inventandomi andamenti e ritmi. Poi chi traduceva tutto in musica seria era Fiorenzo Carpi, che metteva giù le tonalità e gli arrangiamenti. Una scena di Gli arcangeli non giocano a flipper (1959) commedia in tre atti ispirata a un racconto di Augusto Frassineti. Lo sbaglio anagrafico per cui il protagonista il Lungo (Dario Fo) viene registrato come cane, mette in moto una serie di situazioni paradossali. Si satireggia sulla burocrazia di stato, sulla retorica delle istituzioni e la loro corruzione. Siamo però ancora lontani dalle accuse esplicite alla classe politica di Settimo: ruba un po’ meno del 1964 Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo Uno straordinario musicista e amico col quale hai collaborato per un quarantennio, come spieghi anche nelle note di copertina del cd Fo canta Fo; che cosa ha rappresentato per te? La disciplina e la professionalità. Prima noi eravamo dei “fioristi”, “andavamo alla fiora” (“improvvisavamo”, ndr) e poi ad un certo punto con lui ed altri musicisti, per esempio quello con cui ho fatto moltissime canzoni... Enzo Jannacci? Beh, certamente! Jannacci è un professionista, è uno che sa la musica, che ha studiato... Ed è anche un eccellente jazzista, suona bene il pianoforte... Certo, benissimo! Come nascevano le tue canzoni? A caso, a caso. Per esempio cominciavamo con un motivo... bello, andiamo, oplà! Uno improvvisava un andamento, anche di parole e poi io a casa sul “mascherone” cominciavo a mettere a posto. Poi ci vedevamo con Jannacci e con gli altri e finivamo la canzone. Per gli autori non iniziati, che cos’è il “mascherone”? Il mascherone è la chiave di timbri e di andamenti di metrica fatto con parole anche a vuoto. Ad esempio: “strabullà che non farebbe – neanche il centro ne verrebbe – alla sera nel mangiare – pirimpò che cosa fare…..” Chi ti ha ispirato i versi di Stringimi forte i polsi, brano che contribuì a creare il mito dell’allora 22enne Mina e che io considero la tua più bella canzone d’amore? Mia moglie Franca. Non trovi che questo brano, che poi era la sigla di chiusura della famigerata Canzonissima ’62 (la trasmissione sollevò numerose polemiche, finendo con il licenziamento di Dario e Franca Rame, ndr) si distacchi un po’ per testo e musica dalle altre tue canzoni? No. Quella è una canzone che veniva direttamente da un mio testo teatrale. Era il leitmotiv della commedia... Per caso Gli Arcangeli non giocano a flipper? Sì. Loro sono persone serie! In questa commedia si ascolta, tra le altre, la canzone Non fare tilt, che parla di flipper e biliardini come metafore di una città. E’ vero che hai avuto in casa svariati flipper? No, non svariati. Avevo un solo flipper, che mi cambiavano quando avevo vin- to troppo: lo scaricavamo e me ne davano un altro. Le tue incursioni nella musica includono anche quella “colta”, soprattutto l’opera di Gioacchino Rossini. Da dove deriva quest’interesse per il grande compositore pesarese? La cosa che mi ha divertito è il fatto di essermi accorto che per esempio Rossini era un autore che si rifaceva veramente alla Commedia dell’Arte. Quando è arrivato in Francia - questo bisogna ricordarlo – ha scoperto che là c’era una visione, un modo di leggere la Commedia dell’Arte completamente diverso dal nostro, perché loro erano rimasti all’epoca pre-Goldoni, mentre invece noi siamo arrivati a Goldoni. E allora Rossini ha preso tutti i testi della tradizione francese e li ha tradotti – anche per quanto riguarda le maschere, che poi erano italiane, legate a Molière – in personaggi della sue opere. Meglio, i suoi librettisti si uniformavano a quello che era la macchina teatrale di cui aveva bisogno appunto questo straordinario compositore. Io mi sono accorto di questo e perciò mi sono buttato subito nella Commedia dell’Arte: ho scoperto che era proprio la base, il mascherone fondamentale della musica e dello svolgimento scenico. Ho visto sul tuo blog il disegno Evviva gli orchestrali di Sanremo, in cui rappresenti gli elementi dell’orchestra che buttano per aria spartiti e strumenti in segno di protesta nei confronti del verdetto finale decretato dal televoto. Che ne pensi del loro gesto ? Bellissimo! Ho visto finalmente un atto di dignità straordinaria, di coraggio: questi musicisti hanno rischiato il posto. I dirigenti si sono incazzati moltissimo per questo fatto ed era giusto applaudirli a nostra volta. Foto Giuseppe Ziliotto VIVAidee PENSIERI & PAROLE DALLI ALL’UNTORE... INTERNET E COPIA PRIVATA di Mimmo Rafele La disinformazione o informazione a senso unico si strappa i capelli per il decreto Bondi sull’equo compenso per la copia privata, paventando aumenti e rialzi dei prezzi degli apparecchi tecnologici destinati a registrare musica, video, film, fotografie, ecc.. Ho così mandato un commento a un articolo di una importante testata on line ribadendo che il compenso per la copia privata è un’importante risorsa per gli autori e per tutta l’industria culturale di fronte ai nuovi strumenti di riproduzione digitale. È il sacrosanto riconoscimento del diritto del lavoro degli autori, di chi ha prodotto quei contenuti che arricchiscono broadcaster e internet provider Piccolo aneddoto personale, che può però interessare tutti noi. E rappresenta uno spaccato curioso sulla democrazia della rete, sulla tecnocrazia dilagante e sulla fruizione dei contenuti, creati dagli autori. Su Repubblica.it del 26 aprile scorso esce un articolo a firma di Mauro Munafò in cui si rende conto dei rialzi sul prezzo di listino dei dispositivi di archiviazione dei dati, in seguito al decreto Bondi sull’equo compenso per la copia privata, esteso a ogni apparecchio che possa registrare musica, video, film, ecc. Si tratta, a scorrere l’allegata tabella, di qualche centesimo per le apparecchiature più diffuse, che diventa qualche euro, fino a oltre 20, per gli hard disk con memoria superiore ai 250 gb, ovvero con una capacità davvero enorme. Per l’autore del pezzo non ci sono dubbi: si tratta di un “balzello”, addirittura una “multa preventiva”, una “tassa” a beneficio della Siae, che introita così un centinaio di milioncini rapinati dalle tasche dei consumatori per farne poi non si capisce cosa. Non si fa cenno al fatto che si tratta di un diritto pagato una tantum agli autori di musiche, di video, di film che verranno registrati su centinaia di migliaia di quei dispositivi e “fruiti” milioni di volte senza che agli autori arrivi un centesimo in più. Per chi avesse qualche dubbio, l’autore correttamente indica il link col sito della Siae, ma immagino che non siano stati in molti a consultarlo. Invece i commenti “postati” dai lettori, aizzati dal nostro scopritore di tasse oc- VIVAVERDI 17 culte, sono ovviamente indignati, ancora una volta la Siae viene dipinta come un esattore vampiresco, che succhia soldi ai consumatori. Indignato anch’io, per opposti motivi, “posto” a mia volta un commento, così concepito: “È veramente scandaloso che anche Repubblica definisca ‘balzello’, ‘multa preventiva’ e addirittura ‘tassa sull’innovazione’ (!) quello che è il normalissimo, sacrosanto compenso per chi ha prodotto con la propria creatività quei contenuti su cui broadcaster, provider e altri diffusori campano e di cui usufruiscono milioni di utenti, praticato per di più in tutta Europa. Così non mi stupisco se la gente ‘normale’ si indigni e s’incazzi… Si chiama ‘disinformazione’ ed è una pratica diffusa. La tristezza è che la pratichi il mio giornale”. Non ho ovviamente avuto risposta dall’autore dell’articolo, un lettore invece, che mi ha cortesemente apostrofato “manica di cretino”, si firma “artista siae” e sostiene di non avere alcuna fiducia che la Siae gli ridia indietro il malloppo che intanto incassa a spese di tutti. Il che dimostrerebbe quanto l’immagine della Società sia degradata anche al suo interno. Seguono altre contumelie da altri lettori ancora più inviperiti dal trovare in mezzo a loro uno che si ostina ancora a credere che la creatività debba essere, in qualche modo compensata. È la rete, bellezza… [email protected] VIVAanteprime di Vivaverdi IV EDIZIONE DEL FESTIVAL DINO CIANI Dal 24 luglio al 28 agosto Cortina d’Ampezzo ospiterà il Festival Dino Ciani, dedicato al giovane pianista scomparso nel 1974. Alla rassegna concertistica internazionale si affiancano i corsi estivi dell’Accademia che riuniranno giovani pianisti e cantanti di età compresa tra i 18 e i 35 anni, musicisti e musicologi. Tra le novità di quest’anno la possibilità di studiare e accompagnare i cantanti del Mahler/Schumann Workshop nella seconda settimana del Festival in un Lieder Workshop con Claudio Desderi. ITALIA WAVE, CINQUE GIORNATE DI MUSICA DAL VIVO Un giorno in più per Italia Wave Love Festival 2010: dal 21 al 25 luglio cinque giornate di grande musica dal vivo con tre band in data unica e un’esclusiva estiva. Approdano a Livorno gli Underworld, pionieri della musica elettronica moderna. Vanno ad aggiungersi alla programmazione di Medwave, il progetto musicale dedicato al Mediterraneo che si svolgerà la prima serata del festival (21 luglio) con la produzione inedita di Daniele Silvestri e Orchestra di Piazza Vittorio e con artisti in esclusiva provenienti da Marocco, Francia, Algeria, Spagna e Libano. E poi ancora Italia Wave 2010 propone il concerto-fiesta dei Ojos de brujo e il reggae di Julian Marley, figlio del mitico Bob domenica 25 luglio. Rock, elettronica, musiche dal mondo, reggae e festa per il festival italiano con un cartellone di un centinaio di eventi tra musica e altre arti. VALERIO SCANU IN TUTTI I LUOGHI TOUR Il tour del vincitore di Sanremo 2010, organizzato da Live Nation Italia srl, vedrà il giovane cantante sardo al centro di un palco nato con lo scopo di sottolineare la sua voce e la sua interpretazione anche grazie ad una band (Gabriele Gagliardo alla chitarra, Claudio Ghioni al basso, Giorgio Bellia alla batteria, Francesco Lazzari al pianoforte, Andrea D’Aguì alla chitarra acustica, cori e tastiere) capace di accompagnarlo in questo lungo viaggio musicale durante il quale presenterà al pubblico i brani del suo ultimo disco “Per tutte le volte che” insieme ai successi dei lavori precedenti (“Sentimento” e “Valerio Scanu”). In scaletta oltre ai brani dei suoi album Valerio eseguirà brani di alcuni dei suoi artisti preferiti come “Listen” di Beyonce e “I wanna know what love is” di The Foreigner. Il 10 luglio sarà a Grugliasco (To), il 17 a San Vito lo Capo (Tr), poi il 18 a Carlentini (Sr), il 25 a Delianova (Rc), il 31 a Trinità (Cn), per concludere il 6 settembre a Vicenza. FESTIVAL DI SPOLETO La 53° edizione del Festival dei due Mondi di Spoleto si svolge dal 18 giugno al 4 luglio. Dopo l’inaugurazione, con l’opera di Hans Werner Henze “Gogo No Eiko” ispirata all’omonimo romanzo di Yukio Mishima, un ampio programma ricco di ospiti di fama internazionale anima la manifestazione. “Nell’età dell’incertezza per antonomasia – ha commentato il presidente e direttore artistico Giorgio Ferrara – sempre nuova e multiforme, l’arte non può che essere il rispecchiamento di tale condizione ma è anche, insieme, il solo possibile tentativo di superarla grazie alle virtù del pensiero e alla forza della bellezza. Il pensiero e la bellezza: due prospettive, due vocazioni, che da sempre Spoleto e il suo festival sollecitano, animano, connettono”. La Siae, il 26 giugno, consegna il Premio alla creatività allo scenografo Dante Ferretti e 3 ulteriori riconoscimenti ad un coreografo, uno scenografo e ad un autore teatrale. MARCO MENGONI, RE MATTO TOUR Dopo l’uscita del disco Re matto su etichetta Rca/Sony Music, Marco Mengoni porta sulle piazze d’Italia il “Re matto tour”, nato da un’idea di Marco Mengoni, Luca Tommassini e Stella Fabiani, con la regia di Luca Tommassini, la direzione artistica di Piero Calabrese e la produzione dei Cantieri Musicali. Sul palco accompagnano Marco Mengoni: Aidan Zammit (pianoforte, tastiere e programmazioni), Stefano Calabrese (chitarre), Davide Sollazzi (batteria), Giovanni Pallotti (basso), Peter Cornacchia (chitarre), Mattia Davide Amico, Davide Colomba (cori). Con lui ci sono anche i ballerini Antonio Fiore, Salvatore Dello Iacono, David Cipolleschi, Bruno Centola. Le coreografie sono di Luca Tommassini e Francesco Sarracino. Queste le tappe del tour: il 5 luglio, Ronciglione (Vt), il 15 luglio Genova, Arena del mare, il 18 luglio Marina di Massa, il 24 luglio Sottomarina di Chioggia (Ve), il 12 agosto Agropoli (Sa), e infine, l’8 settembre Luogosanto (Ot). JAPAN ANIME LIVE Per la prima volta fuori dal Giappone le più importanti case di produzione e di edizione giapponesi del genere si sono riunite per realizzare un tour europeo dedicato ai protagonisti del fumetto nipponico. Il tour sarà in Italia il prossimo novembre: il 6, al Mediolanum Forum (Milano), per poi approdare a Firenze l’11 novembre, al Mandela Forum, e a Roma, il 13 novembre, al Palalottomatica. Sulla scena, un mega schermo di 10x5 metri, gli attori giapponesi ufficiali delle serie Anime, tanti costumi, effetti speciali, la recitazione “live” degli episodi da parte dei doppiatori italiani sul palco, e la musica dal vivo, un’occasione unica per cantare tutti insieme con i musicisti giapponesi e con l’aiuto del karaoke, tutte le sigle originali delle serie Tv. VOLTERRA TEATRO Dal 19 luglio al 1° agosto 2010 Volterra e i Comuni di Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina, Montecatini Val di Cecina, e Monteverdi Marittimo ospitano la XXIV edizione del Festival VolterraTeatro, organizzato dall’Associazione Carte Blanche, con la direzione artistica di Armando Punzo. Nuove idee, nuovi fermenti, nuove visioni per l’edizione in arrivo, a partire dall’atteso debutto di Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà, liberamente ispirato all’Alice nel Paese delle meraviglie, ultimo lavoro della nota e pluripremiata Compagnia della Fortezza, composta dai detenuti attori del Carcere di Volterra e presentato lo scorso anno sotto forma di primo studio (Carcere di Volterra 26, 27, 28, 29 luglio e Teatro Persio Flacco 31 luglio). VIVAVERDI Foto Raphael Lemonnier JAZZ ASCONA 2010 Dal 24 giugno al 4 luglio si svolge la 26° edizione del JazzAscona, la più importante rassegna europea dedicata al jazz classico e tradizionale della tradizione afroamericana di New Orleans. Il meglio del panorama americano ed europeo sarà di scena sul lungolago di Ascona per presentare più di 200 concerti con 300 artisti da tutto il mondo. Nutrita la rappresentanza femminile, quella di artisti italiani e le iniziative collegate al Festival. Fra gli artisti che saranno presenti a JazzAscona, China Moses (nella foto), Howard Alden, Nicki Parrott, Attilio Troiano, Biréli Lagrène, la Pasadena Roof Orchestra, Niki Haris e tanti altri. 19 TUSCAN SUN FESTIVAL Dal 30 luglio al 6 agosto Cortona ospita la VIII edizione del Tuscan Sun Festival, che presenta un cartellone di star internazionali che spaziano dal genere rock alla classica. Autentici miti della musica mondiale come Sting, Renée Fleming o Joshua Bell ma anche giovani talenti emergenti come il compositore Anthony Arcaini, il pianista Nobuyuki Tsujii, e il violinista Chad Hoope. Paul Sting con la moglie Trudie Styler rievocheranno in Twin Spirits la storia d’amore tra il compositore Robert Schumann e sua moglie, la pianista Clara Wieck. Ci sarà anche Gabriele Lavia accompagnato dall’arpa di Cecilia Chailly che interpreterà il monologo di Feodor Dostoevskij Il sogno di un uomo ridicolo. I primi ballerini dell’American Ballet Theater, Maxim Beloserkovsky e Irina Dvorovenko danzeranno in Stars of the Bolshoi and Mariinsky. Come di consueto non mancano benessere ed enogastronomia, che affiancheranno gli spettacoli musicali e teatrali. ROCK IN ROMA Si concluderà il 30 luglio con il concerto di Shaggy il Festival Rock in Roma 2010, la rassegna internazionale che si terrà per tutto il mese all’ippodromo delle Capannelle. Un ricco cartellone di star nazionali e internazionali, che vedrà esibirsi The Cranberries, Mika, i 99 Posse, i Baustelle, gli Ska-P, the Hormonauts, Piotta, Nina Zilli, Skunk Anansie, Gossip, ZZTop, Afterhours, Litfiba, Daniele Silvestri e l’Orchestra di Piazza Vittorio, Gary Moore, e The Cult nell’unica data italiana il 26 luglio. Il sito del Festival è www.rockinroma.com. VIVAVERDI A destra, Vincenzo Talarico nei panni dell’avvocato difensore di Raf Vallone, il protagonista di Non c’è pace tra gli ulivi (1950) famoso film neorealista di Giuseppe De Santis. 20 letteratura VINCENZO TALARICO L’INEFFABILE CANTORE DELLA “BELLE EPOQUE ROMANA” di Giovanni Russo Ho conosciuto Vincenzo Talarico in quella comitiva di giornalisti e letterati, a cui giovanissimo venni ammesso anch’io, che si incontrava la sera nei caffè Rosati e Canova in Piazza del Popolo. Erano gli inizi degli anni Cinquanta, quando esisteva ancora una società della conversazione e la televisione non aveva distrutto l’abitudine di intrattenersi insieme senza correre a isolarsi davanti al video. Aveva una collaborazione quotidiana con un giornale del pomeriggio, Momento sera, dove curava la rubrica “Gazzettino romano” e scriveva critiche cinematografiche, teatrali e letterarie. Arrivava dal giornale verso le sette di sera in Piazza del Popolo, dove d’estate occupavamo i tavolini all’aperto con Sandro De Feo, Ercole Patti, Mario Pannunzio, Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati, Alfredo Mezio e Leo Longanesi, ai quali si aggregavano talvolta Sandro Penna e Franco Monicelli, fondatore del giornale satirico, antifascista e anticlericale del dopoguerra, Cantachiaro, di cui Talarico fu condirettore. Era una compagnia di nottambuli sfiorata da quella più contegnosa, che non supera- Amico di Flaiano, Cardarelli, Longanesi e Brancati, fu uno dei protagonisti dei cenacoli letterari capitolini, che si riunivano da Aragno, Rosati e nella Libreria Rossetti di Via Veneto. Ironico e brillante, passava con disinvoltura dal giornalismo alla sceneggiatura, facendo perfino l’attore in film di successo. Scrisse libri che aiutano a conoscere Roma tra gli anni ’40 e i ’60. va mai la mezzanotte, composta da Alberto Moravia, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini ai quali si univano spesso Enzo Siciliano e Alberto Arbasino. Di frequente si aggiungevano Vittorio Gassman insieme a Franco Rosi, Elio Petri e Ettore Scola, registi all’inizio della carriera. Tutti gli amici che erano abituati a ritrovarsi nelle redazioni, nei ristoranti, nei caffè (una vita di società oramai scomparsa), si distinguevano con soprannomi diventati celebri come “il più grande poeta morente” Vincenzo Cardarelli, ”la picassata alla siciliana” Renato Guttuso, ”l’amaro Gambarotta” Alberto Moravia e “il Vecchio Tastamento” Francesco Trombadori, “il brutto addormentato nel basco” Alberto Savinio, “l’incantatore di sergenti” Filippo De Pisis, “la salma” Ercole Patti e “pan- cia competente” o ”il pizzicato” Sandro De Feo. E Mario Pannunzio detto “il piedone” o anche “lo sfaccendato”: quest’ultimo coniato da Talarico, che faceva a gara con lo scultore Marino Mazzacurati nel creare nomignoli che restavano impressi sui personaggi che prendevano di mira. Anch’egli non sfuggiva alla regola del soprannome: il suo era “il lepre” per la fisionomia, occhi strabici, nasone, faccia un po’ storta e labbro superiore sporgente, appioppatogli anche per la rapidità con cui, alto e ben piantato com’era, attraversava con ampie falcate Piazza del Popolo spostandosi dal gruppo che sedeva davanti a Rosati a quello che si trovava da Canova. Talarico ha rotto il conformismo della società letteraria passando disinvolto dal giornalismo, alla sceneggiatura, ai VIVAVERDI Nella foto in basso, Vincenzo Talarico a sinistra, accanto a Mario Soldati nella giuria del 9° Premio Strega. Sul cartellone si vede il titolo Un gatto che attraversa la strada di Giovanni Comisso che si aggiudicò il primo premio. 22 (Le foto sono tratte da Vincenzo Talarico – Un calabrese a Roma Edizioni Rubettino) letteratura soggetti cinematografici non disdegnando di interpretare ruoli comici in alcuni film che l’hanno reso noto al grande pubblico. Erano tempi in cui gli intellettuali, arrivati quasi tutti dalla provincia a Roma, facevano di tutto: come molti, arrotondava in questo modo il compenso allora scarso di giornalista, ed era ricercato almeno quanto Ennio Flaiano per la sua facile vena nella commedia all’italiana in cui primeggiavano Totò e Alberto Sordi. Ha preso parte a numerosi film, tra gli altri di Rossellini, De Sica, Risi e Zampa con cui ha sceneggiato Anni facili per il quale è stato premiato con il “Nastro d’argento”. Il mondo del cinema, del giornalismo, della letteratura viveva in una felice osmosi e Talarico, proprio per la sua fisionomia, era chiamato a inter- pretare parti come quella dell’avvocato che difende Sordi in Un giorno in Pretura e nel Vigile, o quella di un deputato in Un americano a Roma, il suo film di maggiore successo. Nell’episodio Guglielmo il dentone del film I complessi c’è l’esilarante scena di Alberto Sordi che partecipa a un concorso della RaiTv per conduttore del telegiornale e che mostra enormi denti; invano il commissario della giuria, Talarico, cerca di fargli commettere qualche errore per poterlo bocciare, dato che il suo aspetto avrebbe terrorizzato gli spettatori. Forse proprio per questa sua disponibilità a fare l’attore o a partecipare come sceneggiatore a film leggeri, ne erano state sottovalutate le doti di scrittore e la finezza culturale che gli viene riconosciuta da una scrittrice esigente e raffinata come Elena Croce, che lo definisce un “prosatore squisito”. Alcuni suoi libri sulla Roma dagli anni ’40 ai ’60, oggi quasi impossibili a trovarsi, come I passi perduti meriterebbero di essere ripubblicati perché fanno rivivere un mondo altrimenti dimenticato come sarebbe avvenuto per 8 Settembre italiani in fuga, fortunatamente ristampato dalla Fondazione Vincenzo Padula. In esso racconta, con aneddoti divertenti e con un sorriso dietro cui nasconde la drammaticità della situazione, la fuga degli intellettuali da Roma per sottrarsi ai tedeschi. Protagonisti, oltre allo stesso Talarico, sono il poeta Diego Calcagno, gli scrittori Ercole Patti, Vitaliano Brancati, Mario Soldati e Sandro De Feo, gli indivisibili amici che si frequentavano a Roma. Cal- cagno rischia, per la sua incoscienza, di farsi scoprire dai tedeschi ma, cosa ancora più grave, di fare arrestare l’amico Talarico quando al segretario fascista di Sulmona, dove si erano rifugiati, ascoltando alla radio un notiziario in cui si denunciava il tradimento di certi intellettuali e si faceva il loro nome, chiede sfacciatamente: “Se avesse tra le mani Talarico cosa gli farebbe?” al che il fascista risponde: “Lo strozzerei senza esitazione”. Fortunatamente qualcuno viene a chiamare il gerarca e Talarico si salva. Chi legge questi libri si rende conto che Talarico fu molto più di un cronista mondano, uno scrittore che sapeva cogliere gli aspetti della realtà con un umorismo che lo fa paragonare a Ennio Flaiano e allo scrittore che forse più gli somiglia, Giancarlo Fusco, altro indimenticabile protagonista della Roma di allora con i suoi spiritosi e inverosimili aneddoti. Era molto riservato. Poco si sapeva della sua vita privata di scapolo meridionale. Si sussurrava di un amore sfortunato per una famosa attrice, ma nella comitiva non se ne parlava quasi mai, sicché il suo rapporto con le donne è rimasto sempre misterioso. La sua vocazione di osservatore di costume si esprimeva nella rubrica del Momento Sera, che ci ridà l’atmosfera di quegli anni, dal ‘50 al ‘60, dove racconta le persone che frequentavano via Veneto, piazza del Popolo, Trinità dei Monti, i corridoi e la buvette di Montecitorio e Palazzo Madama, le gallerie d’arte, i ritrovi mondani, i salotti letterari. E’ una galleria di scrittori e artisti celebri, divi del cinema, attori di teatro, registi ma anche personaggi poco noti o addirittura oscuri, descritti nelle loro vanità, nelle loro virtù ma anche nei loro “vizietti”. Sullo sfondo c’ è la Roma con le trasgressioni della co- siddetta “gioventù bruciata” e le prime ragazze in minigonna. Chi vuole capire quella Roma, perché si abbandonò il caffè Aragno per i caffè di piazza del Popolo, quali osterie e ristoranti si frequentavano, l’atmosfera del caffè Greco e della libreria Rossetti a via Veneto dove scrittori, giornalisti e registi facevano corona intorno al poeta Vincenzo Cardarelli, non può fare a meno di leggere I passi perduti, in cui Talarico fotografa un periodo che si potrebbe definire la “bell’époque romana”, del quale va considerato a pieno titolo l’unico cantore. Alcuni dei suoi personaggi restano incancellabili come Marino Piazzolla “il Un calabrese a Roma Imparammo a conoscerlo al cinema con quel nasone, gli occhi stralunati e un’ espressività quasi feroce in film come Un americano a Roma, Un giorno in pretura, Il vigile, I mostri. Vincenzo Talarico s’imponeva subito con la sua espressività tra l’arguto e il ferino. Sembrava nato per fare l’attore, il caratterista d’alto rango. In realtà era un giornalista e un critico di talento, brillante e caustico: sue le definizioni di Cardarelli come “L’ultimo poeta morente” e di Sandro De Feo come “Cavaliere del lavoro altrui”; Longanesi, invece, era il “Supercortomaggiore”. Il bel libro Vincenzo Talarico, un calabrese a Roma (Rubettino Editore) a cura di Antonio Panzarella e Santino Salerno nato per conto della Fondazione Vincenzo Padula, ne ripercorre le tappe essenziali. Ricco di contributi scritti e immagini, riporta le testimonianze, tra gli altri, di Raffaele La Capria, Giovanni Russo, Ugo Gregoretti, Ettore Scola, Franca Rame con Dario Fo, Walter Pedullà e Walter Veltroni. Un libro da avere per sentire il polso della Roma vitale, colta e ironica del dopoguerra. sa.m. VIVAVERDI 23 galantuomo” (così chiamato perché con barba e baffi rassomigliava a Vittorio Emanuele II), scrittore di filosofia e di epigrammi, grande ammiratore e affettuoso compagno di serate del poeta Cardarelli. Sono citati episodi che riguardano scrittori come Alberto Arbasino, giornalisti come Silvio Negro o Corrado Sofia, personaggi della politica, della letteratura e dell’arte da Antonello Trombadori a Alba De Cespedes, da Carlo Levi a Renato Guttuso al critico d’arte Alfredo Mezio al poeta Ungaretti e tanti altri. Era nato ad Acri, in Calabria, nel 1909, ma si era trasferito a Roma giovanissimo all’inizio degli anni Trenta. In breve tempo entrò a far parte della società letteraria, tanto è vero che risulta tra i sei soci fondatori del Premio Strega accanto a Maria Bellonci, Guido Alberti, Giambattista Angioletti, Corrado Alvaro ed Ermanno Contini. E’ stato redattore e collaboratore di numerosi quotidiani e settimanali tra i quali L’Europeo, Epoca, Il Messaggero, La Stampa e di settimanali satirici come Il Travaso e ha lavorato per la televisione sceneggiando racconti e romanzi. Tra i suoi libri bisogna ricordare anche Vita romanzata di mio nonno, dopo il 25 luglio 1943 Pasquino insanguinato, che rievoca l’occupazione tedesca a Roma e Mussolini in pantofole, Claretta fiore del mio giardino sugli amori del dittatore che gli attirò le ire di Mussolini, che lo definì nel suo scritto Il bastone e la carota “ignobile libellista” e gli valse da parte di Indro Montanelli l’appellativo di “il colpo di spillo antifascista”. Apparteneva, come Vitaliano Brancati, a quel mondo borghese meridionale di tradizioni liberali che rifiutava il conformismo, non era comunista, era soprattutto ironico. VIVAVERDI Guido (in alto) e Maurizio (in basso), hanno iniziato la carriera come arrangiatori per artisti come Dalla, Morandi, Gabriella Ferri, Nicola di Bari. Hanno poi composto colonne sonore di grande successo e venduti milioni di dischi come “Oliver Onions” 24 musica PERSONAGGI GUIDO E MAURIZIO DE ANGELIS, FRATELLI DI SUCCESSO di Stefano Micocci Fratelli di successo, siete riusciti ad andare sempre d’accordo, a rimanere creativi e allo stesso tempo imprenditori, per più di quarant’anni di collaborazione. È stato difficile? (Guido) Per noi è stato naturale, dagli studi al Conservatorio -Maurizio la chitarra, io il flauto- ad oggi, attraversando la musica, il cinema, la fiction, la nostra fantasia è diventata artigianato e l’artigianato industria. Sempre insieme. Oggi, dopo tanti anni, i ruoli si sono maggiormente delineati, Maurizio adora la musica e continuerà a comporla, concentrandosi su questo aspetto della nostra produzione. Come presidente del gruppo, sono totalmente rapito dalle produzioni televisive e cinematografiche, con il valido aiuto dei miei figli Nicola e Marco e altri valenti collaboratori. Viaggio in continuazione, in tutto il mondo, per i contatti con i nostri partner internazionali. È bello essere fratelli legati anche da una passione in comune… (Maurizio) Abbiamo due caratteri complementari: quando abbiamo cominciato, io non mi ritenevo pronto a produrre ma Guido pensava che avremmo Nati come arrangiatori negli anni ’60 (Lucio Dalla, Gabriella Ferri, Nicola Di Bari, Gianni Morandi), Guido e Maurizio De Angelis hanno composto centinaia di colonne sonore di successo, dal 1970 ad oggi. Hanno vinto dischi d’oro per canzoni come Sandokan, Dune Buggy e Orzowei con lo pseudonimo di “Oliver Onions”. Tanto pe’ cantà, di Petrolini e Simeoni arrangiata da loro e presentata al Festival di Sanremo da Nino Manfredi, e la composizione della colonna sonora di Per grazia ricevuta, rappresentano il momento-chiave di una grande carriera, premiata dalla Siae nel 1986 per le vendite all’estero dei due compositori italiani. Dal 1983, Guido e Maurizio hanno iniziato una seconda carriera come produttori: film e serie televisive per il mercato nazionale e internazionale. In Italia, tra le più popolari, Incantesimo e Elisa di Rivombrosa. Nel 2000 hanno fondato la Dap Italy, nella quale lavorano anche Nicola e Marco, figli di Guido De Angelis. potuto farlo e aveva ragione lui: ha trionfato la sua capacità di guardare avanti. In un team di lavoro, all’esterno, non deve arrivare mai chi ha fatto cosa, quello che conta è il prodotto finale. Tutti e due lavoriamo per il bene comune, lui è sempre stato più imprenditore e organizzatore di me. Io amo la fase della post-produzione, tento di spiegare le immagini, raccontando a mia volta, attraverso la suggestione della musica. Sono a tutt’oggi un entusiasta, e ritengo che la lunga esperienza non debba mai prendere il sopravvento. Come avete iniziato? (Guido) Il primo disco che abbiamo pubblicato si intitolava La goccia d’acqua, per la Dischi Ricordi, nel 1963: abbiamo trovato un discografico di talento, romano a Milano, per due giovani musicisti e autori nati a Rocca di Papa, poco lontano da Roma, partiti per cercare una identità artistica e un po’ di fortuna. In seguito, alla Rca di Roma, Maurizio era un chitarrista richiestissimo, praticamente “viveva” negli studi di re- usavano come sigla e tormentone W S.Eusebio, era come se fosse un canto italiano dialettale sempre esistito, sembrava una marcia ideale per una processione, era come se facesse parte del nostro patrimonio popolare, invece era un brano originale di Guido e Maurizio De Angelis! Si può dire che dal 1970 in poi, vivevate già abbastanza bene di diritti d’autore? (Maurizio) Provenendo da una famiglia meravigliosa, ma modesta dal punto di vista dei mezzi economici, possiamo dire che dal 1970 in poi abbiamo iniziato a vivere abbastanza bene del lavoro che amavamo fare. Anche se già nella seconda metà degli anni sessanta l’attività di session men ci offriva una certa tranquillità economica: eravamo stimati gistrazione…Quando sono andati via arrangiatori come Ennio Morricone e Luis Bacalov, abbiamo iniziato a lavorare noi agli arrangiamenti: tre album di Gabriella Ferri, Itaca di Lucio Dalla, i Ricchi e Poveri, Il cuore è uno zingaro… per citare solo alcuni titoli e nomi di artisti. Quando siete diventati autori? (Guido) Arrangiando e realizzando Tanto pe’ cantà di Ettore Petrolini per Nino Manfredi! Al Festival di Sanremo, Manfredi si accende una sigaretta (del resto era già un attore di successo e non era “in gara”), voleva apparire tranquillo perchè era lì “tanto pe’ cantà, pe’ fa’ quarche cosa…”. Invece si volta verso di me e mi dice: “a Mauri’ tu sarai pure pronto ma io me sto a caca’ sotto!”. Durante la registrazione del disco, dovetti sostenerlo anche con qualche intervento vocale. Fu un successo enorme, di pubblico e di vendite. Poi abbiamo composto la colonna sonora del suo film Per grazia ricevuta, “suo” perché profondamente autobiografico e perché ne era il regista. Arbore e Boncompagni VIVAVERDI 25 VIVAVERDI I fratelli De Angelis sono gli autori delle colonne sonore della fortunata serie cinematografica con Bud Spencer e Terence Hill (nella foto in Doc West). Nel 1973 hanno vinto il Nastro d’Argento per Più forte ragazzi. 26 per le nostre capacità tecniche ma anche per la nostra “cultura” musicale. Nel primo arrangiamento di Una favola blu di Claudio Baglioni, nella melodia italiana tradizionale scorreva un suono nuovo e la nostra voglia di vivere. Abbiamo pensato ad Everybody’s talkin’ cantata da Henry Nilsson, in Midnight Cowboy. Ascoltavamo Bob Dylan, Simon e Garfunkel, usavamo chitarre acustiche, elettriche, banjo, sonorità piene di fascino. Insomma, in quel periodo, eravamo portatori di un gusto nuovo, pur nel rispetto della tradizione italiana. Io suonavo la 12 corde per tutti, non ce n’erano altri, in questa chiave andrebbe riascoltato il nostro arrangiamento de La bambola di Patty Pravo. Quando gli “Oliver Onions” diventano nuovamente Guido e Maurizio De Angelis? (Guido) Quel nome era stata un’idea di Susan Duncan Smith, che lavorava alla Rca, del resto abbiamo sempre cantato e pensato in inglese e aspiravamo al mercato internazionale: Flying to the air, che era nella colonna sonora di Più forte ragazzi con Terence Hill e Bud Spencer, oltre ad averci fatto vincere il Nastro D’Argento come migliori autori di colonne sonore del 1973, è stato un grande successo europeo. Quando siamo andati ad Amburgo, ospiti della televisione tedesca, abbiamo trovato 20 paparazzi all’aereoporto che erano lì solo per noi, non potevamo crederci. Ol- In poche righe... Dal 1970, anno di Tanto pe’cantà di Nino Manfredi, i fratelli di latte, di musica e di cinema compongono la colonna sonora di Per grazia ricevuta nel 1971 e quella di Continuavano a chiamarlo Trinità, con la coppia Hill-Spencer, nel 1972. Nel 1973, premiata con il Nastro d’Argento, quella di Più forte ragazzi. Altrimenti ci arrabbiamo è del 1974. Il 1975 è l’anno di Porgi l’altra guancia, del Zorro con Alain Delon, e di Quaranta giorni di libertà il cui tema conduttore, Verde, viene inciso da ben 54 artisti diversi in Europa e nel mondo. Nel 1976, Il bestione con Giancarlo Giannini, e Sandokan con Kabir Bedi. Ma anche di Piedone lo sbirro, con il solo Bud Spencer. In Rai, ma alla radio, i fratelli conducono Radiodiscoteca. Per non perdere tempo, fra un film e l’altro, nel 1977, le colonne sonore di Due superpiedi quasi piatti, Orzowei, Furia, Piedone a Hong Kong e Il corsaro nero producono anche 1.400.000 copie di dischi venduti. L’anno dopo, Pari e dispari (Hill-Spencer), Lo chiamavano Bulldozer e Piedone l’africano con Bud Spencer. Seguono, anno dopo anno, tra colonne sonore e produzioni cine-televisive, Agenzia Riccardo Finzi, Il cacciatore di squali, Uno sceriffo extraterrestre nel 1979, e poi Viva i re magi, Santamaria, Cenerentola ’80, Iron Masters, Molly ‘O, Dance Academy, nel 1988; Quando ancora non c’erano i Beatles, War Dancing, Passi d’amore, Faith, La storia spezzata, La moglie nella cornice, Il cielo non cade mai, Vite a termine, Un amore rubato, Forte come l’amore, La storia di Chiara, Addio e ritorno, Mia per sempre, la colonna sonora de Il maresciallo Rocca, Il ritorno di Sandokan, Dove comincia il sole. Per quanto riguarda le produzioni televisive, Incantesimo che inizia con 20 puntate co-prodotte da Rai, nel 1997, proseguirà fino a Incantesimo 10, anno di produzione 2008. Ricordiamo il grande successo del primo capitolo della saga Elisa di Rivombrosa per Canale 5, diretta da Cinzia Th. Torrini (anno 2001-2002) mentre il “Capitolo II” di “Elisa” è del 2004, sempre diretto dalla Torrini. Nel 2004, Don Gnocchi, l’anno dopo, La signora delle camelie. Da ricordare la miniserie tv in due puntate, per la Rai, Gli ultimi del Paradiso con Massimo Ghini ed Elena Sofia Ricci, del 2009, e, nello stesso anno, Il falco e la colomba, serie tv in 6 puntate co-prodotte con RTI, con Giulio Berruti e Anna Safroncik. E infine 18 anni dopo, una produzione del 2009, diretta da Edoardo Leo. tre ad essere due compositori affermati eravamo gli “Oliver Onions”, due artisti di successo al loro primo “Disco d’Oro”: in tv ci misero in braccio due giovani ragazze vestite da cipolla! Evidentemente era un nome artistico azzeccato. Ci chiamiamo “Oliver Onions” anche con Dune Buggy tratto da Altrimenti ci arrabbiamo interpretato sempre da Hill e Spencer. Gli anni ’80 sono il tempo dei primi o secondi posti nelle hit parade di Germania, Austria, Olanda, Belgio e Spagna e dei relativi concerti in giro per l’Europa: Santamaria è una grande hit, con moltissime cover-versions. Ma nasce Nicola, mio figlio, e con lui la voglia di fermarmi un po’…Come artista, dico. Con un fratello è stato più facile spiegarmi, e Maurizio mi ha capito perfettamente. Oddio, fermi non siamo stati molto…Componiamo la musica di Cenerentola ’80 con Bonnie Bianco e Pierre Cosso, e Stay, cantata dai due giovani protagonisti, sale ai primi posti della classifica delle vendite in Italia. A quel punto eravamo arrivati a comporre 300 colonne sonore per altrettanti film, 10-15 all’anno, eravamo sempre in moviola. Allora ci siamo detti: “Con l’esperienza che abbiamo, di set e sala, facciamoli noi questi film!”. La prima produzione è stata Dance Academy, un film a cui abbiamo lavorato per più di un anno. Un musical girato negli Stati Uniti con artisti e ballerini americani. Il film diventa un grande hit in molti paesi e specialmente in Germania, anche dal punto di vista discografico. A cosa state lavorando oggi, a più di vent’anni dalla prima produzione cinematografica? 27 (Maurizio) Non so se i titoli siano quelli definitivi, ma sto componendo la musica per due serie televisive che abbiamo in produzione: una è per Mediaset, è intitolata La famiglia Gambardella, con la regia di Claudio Norza, con Marisa Laurito, Lello Arena e Pietro Taricone, una commedia italiana di qualità, ma anche molto divertente; mentre per la Rai, c’è Il commissario Nardone, con la regia di Fabrizio Costa, ispirato ad un personaggio realmente esistito a Milano, negli anni ’40-’50. Amo questo lavoro, e mi piace anche che conti sempre e soltanto quello che sto facendo, di sentirmi comunque sotto esame, perché la tua esperienza e la tua storia personale contano, ma alla fine ti vengono richiesti estro creativo e possibilmente originalità. Seguo le indicazioni dei registi, so ascoltarli, ma mi piace anche riuscire a sorprendere chi mi ha commissionato il lavoro. Non so se è per tutti così, per me è così. Ricordo che per Doc West, girato interamente nel Nuovo Messico, il mio sforzo è stato quello di far rivivere al pubblico quelle sensazioni che ricevevo dai film di John Ford con John Wayne, da quelle figure di cow-boys e nativi indiani, da quei panorami, da quelle visioni di cieli azzurri e sabbie rosse…Era appena morta nostra madre, soffrivo molto, ma sono riuscito a ritrovare momenti di profonda ispirazione. Per tornare ai progetti futuri, The merchant of flowers di Diego Cugia diventerà una serie di 12 ore televisive, sceneggiate dal grande Lionel Chetwynd, supervisionate dallo stesso Cugia. Destinata al mercato internazionale, in Italia sarà trasmessa da Mediaset. VIVAVERDI Una scena di Elisa di Rivombrosa la serie televisiva di successo che Guido e Maurizio De Angelis hanno prodotto per la televisione. In basso Nino Manfredi per il quale i fratelli De Angelis hanno arrangiato Tanto pè cantà e composto la colonna sonora del film di cui l’attore fu regista e protagonista Per grazia ricevuta del 1971 VIVAVERDI 28 Enrico Riccardi è autore, compositore, arrangiatore, produttore; vive attualmente in Gallura. E’ anche membro della Commissione dei Ricorsi della Siae musica ENRICO RICCARDI “UNA BELLA CANZONE NON E’ UN COMPITO D’ARMONIA” di Oscar Prudente Cosa l’ha spinto ad andare a vivere in Gallura? Negli anni Settanta collaboravo con Gianni Saint Just alle produzioni Ricordi (etichetta discografica ora acquisita dalla Sony Music, ndr), di cui il giovane Saint Just era il direttore artistico. Ero responsabile di artisti come Drupi, Milva, Petula Clark (artista britannica che negli anni Sessanta ebbe successo anche da noi con le versioni italiane dei suoi principali hit, ndr), mi affidarono persino la realizzazione di un disco di Patty Pravo; poi però mi sono nauseato: il problema non era tanto il rapporto con gli artisti, quanto quello con i loro parenti. Pensa che praticamente tutti i giorni mi ritrovavo in ufficio Mario Piave, il compagno di Milva: voleva sapere come andava, se guadagnava, cosa faceva... questa cosa mi ha esasperato. Inoltre a un certo punto mi accorsi che l’ambiente scricchiolava; la Ricordi era diventata una casa dai muri di cartone: non vibrava più niente, sentivi che si andava spegnendo. Allora io, che avevo un’esclusiva, mi sono detto: piuttosto che rimanere qui a perdere del tempo, me ne torno a Tortona. “Una cosa da bar”. Enrico Riccardi minimizza, ma la sua collaborazione con Luigi Albertelli – compaesano di Tortona e dirimpettaio – ha prodotto una canzone vincitrice di Sanremo, Zingara (Iva Zanicchi e Bobby Solo, 1969) e altre perle quali Sereno è, Piccola e Fragile (entrambe per Drupi), Io mi fermo qui (Donatello e i Dik Dik a Sanremo ’70, poi Ornella Vanoni). Ciliegina sulla torta, è il caso di dirlo, Ma che bontà, che vede Mina nei panni di una saccente sciura milanese alle prese con la sua ignoranza culinaria, diventata un cult delle trasmissioni di genere: un hit del 1977 di cui Riccardi scrisse testo e musica. Trasferitosi in Sardegna, ha continuato a scrivere: ad esempio, le musiche per la serie televisiva Extralarge, con protagonista Bud Spencer. Finché un amico non le propose di acquistare il club di Portobello, in Gallura, allora in fase di sviluppo. Sentivo che c’era da fare, c’era la possibilità di andare molto avanti. Così sono venuto giù, e dopo ho un anno di prova ho comprato questo carrozzone che nell’arco del tempo ho rimesso a posto. Com’è nata la sua passione per la musica? Nasce da ragazzo: mio padre era un lucidatore di mobili e aveva portato a casa un pianoforte di una famiglia genovese. Io mi ero messo lì a strimpellare e un accordatore di pianoforti amico di mio padre che frequentava il suo laboratorio gli disse: “Questo ragazzo fallo studiare, ha l’orecchio assoluto...”. Avendo l’orecchio assoluto, mi diventava tutto facile: perché riconosco le note, me le ricordo tutte... È nato con questa dote? Sì, credo di averla ereditata dal mio nonno paterno: suonava qualsiasi strumento prendesse in mano. Ma poi ha studiato? Certo! Sono andato a lezione di solfeggio, poi a scuola di pianoforte, ma mi sono trovato in una condizione che non mi piaceva perché non era quello che volevo fare. Finché un giorno Pino Calvi mi presentò Mario Bertolazzi. Lui mi ha insegnato tutto quello che c’era da imparare. Con la musica ha fatto di tutto: autore, compositore, arrangiatore, produttore... Ma cosa le è piaciuto di più? Scrivere le canzoni. Una volta esistevano i compositori puri, gli autori del testo e gli interpreti, che riuscivano a vivere più o meno bene solo, diciamo così, della rispettiva specializzazione. Adesso invece sono diventati tutti cantautori: come spiega questo cambiamento? Ritengo che il fenomeno abbia elementi quasi diseducativi, se parliamo di opera dell’ ingegno, che comunque la Siae deve proteggere. Oggi l’opera arriva attraverso l’editore che, almeno secondo me, ha perso peso. Penso che sia una figura in crisi e il suo compito dovrebbe essere svolto da qualcun altro. Allora ritornerebbero anche gli specialisti, della parte musicale e di quella letteraria. Invece con i cantautori, come ad esempio quelli che nascevano nel Cenacolo (una sorta di campus-studio romano organizzato alla fine degli anni Sessanta dalla Rca e frequentato dai principali songwriters della capitale, ndr) era diverso, tutti facevano tutto: l’ho scritta io, l’ho scritta io... Per esempio? Quando iniziai io la carriera, Alfredo Rossi, il mio primo editore, mi affidò a Corrado Lojacono, che scriveva canzoni popolari per interpreti come Caterina Valente. Canzoni allegrotte com’era lui, per esempio Carina (che nell’interpretazione della Valente e in quella di Nicola Arigliano divenne uno dei maggiori successi a 45 giri degli anni Sessanta, ndr). Un giorno, mentre ero negli studi dell’Ariston (la casa discografica ed editoriale di Rossi, ndr), entrò Bruno Martino che mi chiese: “Hai qualcosa di nuovo?”; io gli feci sentire una canzone, Cammina, che era la mia prima composizione. Martino mi disse: “Per adesso te la registro, ma non servirà a niente: ricordati che questo non è un compito di armonia: deve essere una canzone!”. Aveva ragione, perché ad ogni quarto ci mettevo dentro le settime maggiori, le tredicesime.... Comunque Cammina finì lo stesso in televisione: mentre Bruno Martino cantava in playback, si vedeva Paolo Gozlino (ballerino, coreografo e attore, ndr) che camminava e il regista Enzo Trapani lo faceva girare per tutta la cornice dello schermo, saliva sulla sinistra, a testa in giù, poi a destra, in senso orario. Quindi, quali sono gli elementi fondamentali per scrivere una canzone? Nella costruzione della canzone il pericolo principale è l’involuzione. Su questo tema ho seguito l’esempio del maestro Carlo Donida, il quale mi ha sempre detto una cosa precisa: scrivere cose semplici, armonicamente gradevoli e una melodia che stia bene dentro le armonie; era un concetto che non potevi fare a meno di portare avanti. Poi la canzone nasce anche dalla sensibilità, non solo dalla tecnica. Bisogna far sì che non sia troppo o solo cerebrale: quando si passano delle ore su un testo pur di trovare la parola ad effetto non si dà più nessun senso alla composizione. Invece oggi spesso si tende a privilegiare un discorso soprattutto cerebrale e questo vale anche per l’armonia, che è frutto della sensibilità non dell’aritmetica. Racconto un aneddoto: una volta uscii dagli uffici della Ricordi, ero stanchissimo, passai davanti al Lirico e in cartellone c’era la rivista di Gino Bramieri, Felicibumta. Felici-bum-ta... ma che bontà... ma che bontà...: mi misi in macchina a farne la gag e in un attimo nacque la canzone (Ma che bontà, appunto, sull’lp Mina con Bigné, ndr). Questa è la dimostrazione che la canzone è sorta spontaneamente da dentro. VIVAVERDI 29 VIVAVERDI In basso, Iva Zanicchi e Bobby Solo, vincitori del Festival di Sanremo nel 1969 con la canzone Zingara di Enrico Riccardi su testo di Luigi Albertelli 30 musica Foto Archivio [email protected] Chi le ha dato più soddisfazione nell’interpretare le tue canzoni? Mina in Fiume azzurro, di cui ho curato anche l’arrangiamento. Poi ricordo con piacere Mina e Caterina Caselli ridere come pazze quando gli presentai Ma che bontà. Ci volle un bel coraggio, perché c’era da farsi sbattere fuori dall’ufficio... ecco, è proprio lì che secondo me casca l’asino: oggi nessuno più scrive azzardando, si va sull’onda della moda quando invece bisognerebbe osare. Nel ’91 ha musicato la fortunata serie dell’investigatore privato Jack Costello (Bud Spencer), detto “Extralarge”. Come mai è passato alla sonorizzazione delle fiction e alle commedie musicali, come “i Cavalieri della Tavola Rotonda, storia di Graal e di corna”? Volevo ancora fare musica e mi stavo rendendo sempre più conto che – vivendo in Sardegna – se non sei a Milano o a Roma non hai spazio, non esiste più il contatto con l’ambiente. Nonostante questo, scrivo sempre tutte le canzoni che mi passano per la testa e ogni tanto c’è qualcuno che vuol sentire qualcosa. Come Mònica Naranjo (cantante catalana che nel 2000 ha dedicato un album di cover a Mina, ndr), che reinterpretando in lingua spagnola Fiume azzurro, col nuovo titolo Sobreviviré ha venduto più di un milione di dischi. Ma allora è sempre sulla breccia! Sì. Però, come dicevo prima, mi manca fortemente la figura dell’editore. Di un editore forte: Mariano Rapetti per me era l’Editore. E poi ritengo che la Siae oggi abbia il dovere di spiegare a tutti che il diritto d’autore non è una tassa, ma una difesa del lavoro creativo. VIVAidee RIFLESSIONI DOC IL RITO DEL CONTRATTO DI SERVIZIO di Linda Brunetta Il contratto di servizio Rai-Governo, approvato e aggiornato periodicamente, prevede che l’ente pubblico radiotelevisivo debba realizzare un’offerta complessiva di trasmissioni di qualità. Un precetto che viene rispettato assai poco, guardando il palinsesto quotidiano. Così come viene disapplicata l’altra indicazione che vorrebbe il rispetto dei diritti dei terzi, ossia autori e produttori, nella grande offerta di contenuti sui portali internet. Un business in forte crescita nel nostro paese. Ogni due anni si rinnova il rito del contratto di servizio Rai-Governo in virtù del quale la concessionaria “è tenuta a realizzare un’offerta complessiva di qualità, rispettosa dell’identità, dei valori e degli ideali diffusi nel Paese, della sensibilità dei telespettatori e della tutela dei minori, rispettosa della figura femminile e del- la dignità umana, culturale e professionale della donna, caratterizzata da una ampia gamma di contenuti e da una efficienza produttiva, in grado di originare presso i cittadini una percezione positiva del servizio pubblico in relazione al costo sostenuto attraverso il canone di abbonamento nonché sotto il profilo dell’adeguatezza dei contenuti della programmazione rispetto alla specificità della missione che è chiamata a svolgere”. Era ora di mettere nero su bianco quello che dovrebbe essere la Rai! Accendo la tv e mi sintonizzo su RaiDue: va in onda un sapido dibattito su una puntata dell’ Isola dei Famosi nel programma pomeridiano L’Italia sul Due, perché evidentemente nell’ambito “dell’offerta complessiva di qualità” si ritiene necessario un approfondimento delle tematiche affrontate dai naufraghi dell’isola. Ho scoperto che il figlio di uno dei Pooh ha molto pianto e sofferto e spera di essere stato degno dell’educazione di mamma e papà. Laureandosi in ingegneria? No, arrivando finalista all’isola, dove è approdato, non perché è famoso perché figlio di famosi, ma per meriti personali, che però mi sono sfuggiti. Per quanto riguarda l’efficienza produttiva abbiamo avuto notizia che si è diffusa nell’azienda la pratica del risparmio, proposito encomiabile che si effettua però in esclusiva sulla pelle dei dipendenti più deboli, cioè quelli di fascia più bassa e sui collaboratori esterni più deboli, cioè gli autori. Per esempio si declassano i programmi facendoli uscire dai generi tutelabili Siae e dilazionando quanto è possibile (al momento circa due anni) le trattative del contratto Siae-Rai. L’ immediata conseguenza non può essere che l’abbassamento della qualità dei programmi. Quindi a fronte di un modesto risparmio sul piano economico si produce un grave danno, perché la percezione meno positiva del servizio pubblico da parte del cittadino, provoca una maggiore evasione del VIVAVERDI 31 canone. In questo contratto di servizio però si dà ampio spazio all’offerta multimediale. La Rai si impegna ad incrementare l’offerta di contenuti radiotelevisivi sui propri portali, “compatibilmente con il rispetto dei diritti dei terzi”. Chi sono “i terzi”? Ricorrendo a Lapalisse dovrebbero essere coloro che detengono i diritti dei contenuti, autori e produttori. Inoltre la Rai si accinge a sperimentare, sempre nel rispetto dei diritti dei terzi, la possibilità per gli utenti di scaricare, modificare e ridistribuire i contenuti radiotelevisivi già trasmessi dalle reti televisive e radiofoniche. Noi autori sappiamo bene che ci viene richiesta nei contratti la cessione totale dei diritti, in questo caso il nostro contenuto può essere utilizzato, ma se c’è un’opera commissionata Siae, come spesso avviene per gli sketch comici che si possono trovare su YouTube con il logo Rai sempre preceduti da uno spot pubblicitario, i cui diritti non vengono al momento in alcun modo retribuiti, dovremmo constatare che non vi è “rispetto dei diritti di terzi” come invece recita il Contratto di servizio. Niente paura: “La Rai è tenuta a trasmettere al Ministero, all’Autorità e alla Commissione Parlamentare, per ciascun esercizio, entro i successivi tre mesi, una dettagliata informativa circa il numero dei contenuti pubblicati e del traffico giornaliero generato dall’utenza, con riferimento particolare agli utenti unici, ai tempi medi di fruizione, alle tecnologie impiegate per accedere e alla provenienza degli utenti”. Perfetto, se magari lo facesse sapere anche alla Siae… Possiamo solo aspettare che tutti gli attori di questo nuovo business basato sui contenuti si accordino, speriamo presto dato che secondo l’ e-Media Institute i ricavi degli audiovisivi via internet-web in Italia raggiungeranno i 200 milioni di euro entro due-tre anni, con un tasso di crescita annuo del 65%. [email protected] VIVAVERDI 32 cinema PIERO TELLINI UN PADRE NOBILE DEL NEOREALISMO di Massimo Tellini È uno dei personaggi importanti del neorealismo eppure non ci sono attendibili biografie su di lui e scarseggiano anche le foto. Famoso per quelli della sua generazione e per quelli che l’hanno conosciuto direttamente o attraverso i suoi film, mio padre Piero Tellini era uno scrittore riservato che amava lavorare senza fronzoli, dotato di un’attenzione formidabile al mondo esterno, di una capacità descrittiva scrupolosa e paziente. Un personaggio importante del nostro cinema, della televisione tanto da meritare questo giudizio di un critico degli anni ’50: “Tra gli scrittori di cinema soltanto tre possono considerarsi degni della letteratura. Questi sono: Amidei, Tellini e Zavattini”. Cominciamo dal momento decisivo della sua formazione: la partenza per Roma, appena ventunenne, per vivere nella “città del cinema” e guardarsi intorno. Lui, fiorentino di nascita e cultura, aveva frequentato a Milano le scuole superiori. A Roma s’iscrisse ai corsi di regia del Centro Sperimentale e incontrò una giovanissima allieva delle classi di recitazione, Liliana, che diventerà sua moglie (lei stessa futura at- Uomo di cinema per oltre trent’anni, autore televisivo, saggista, Piero Tellini è oggi poco noto al grande pubblico. I suoi capolavori da sceneggiatore e regista, Uno tra la folla del 1946 con Eduardo De Filippo e Nel blu dipinto di blu del 1958 con Domenico Modugno, sono decisamente famosi anche se lo scrittore fiorentino ha firmato decine di copioni cinematografici importanti, da Campo de’ fiori a Guardie e ladri, collaborando con Fellini, Antonioni, Lattuada. Schivo, generoso, artista dal talento poliedrico che ha segnato un’epoca, era sicuro che la fantasia fosse- come diceva l’amico Leo Longanesi- “la figlia diletta della libertà”. Ne traccia un affettuoso ricordo il figlio. trice di cinema-teatro-radio-tv). Diventa, anche, assistente regista e/o sceneggiatore di Camillo Mastrocinque (L’orologio a cucù, 1938), Julio Flechner de Gomar (Il segreto inviolabile, 1939), Duilio Coletti (Capitan Fracassa, 1940), Alfredo Guarini (Senza Cielo, 1940 e È caduta una donna, 1941). Intanto, nella pensioncina vicino piazza di Spagna, dove alloggia dall’arrivo, matura la sua svolta personale e quella del cinema italiano, forse ignaro che sta producendo qualcosa di nuovo, davvero originale per i “tempi stretti” in cui vive. Il dato di cronaca è: la cameriera della pensione in cui abita che è stata messa incinta e abbandonata dal “fidanzato”. Ha bisogno che qualcuno l’ac- compagni nella sua vecchia casa di campagna e si finga “il marito”, altrimenti i familiari la cacceranno via per sempre. Gli dice di aver perso tutto: l’amore in cui, stupidamente aveva creduto, la fiducia nel prossimo, le motivazioni più forti dell’esistenza. È disperata. Lui solo potrà salvarla! Lei, anche se da poco, lo conosce bene: sta sempre chino sullo scrittoio a lavorare. È buono e generoso: lo può dimostrare ancora una volta! È praticamente, la trama del film: basta aggiungervi che il protagonista, un rappresentante di cioccolatini, ricondotta la giovane in famiglia, riuscirà a convincere i suoi a essere comprensivi e affettuosi. Gino Cervi, protagonista del film, è il commesso viag- giatore che tornerà alla sua grigia vita di sempre. Per lui è stata una parentesi o, forse, un sogno. É nata così Quattro passi tra le Nuvole del 1942, pellicola di cui Alessandro Blasetti, che veniva da ben altre esperienze, curò la regia e che, al di là della sua innegabile dimensione storica, rimarrà profondamente radicata nell’immaginazione di tanti, dai semplici spettatori ai critici più smaliziati. Vanterà, inoltre, svariati tentativi di imitazione e ben due remake (Era di Venerdì 17, con Fernandel, regia di Mario Soldati, 1956 e Il profumo del mosto selvatico, con Keanu Reeves, regia di Alfonso Arau, 1995). In questa storia si possono già rintracciare lo stile e la filosofia del nuovo cinema: la vita prima di tutto. È lei ad essere al centro. La sincerità, l’immediatezza dei sentimenti, le domande che cadono leggere nel vissuto di ognuno, l’amore per i personaggi mediocri, più o meno umili, appassionati o indifferenti, le periferie che rivelano, in modo suggestivo e inconsueto il vero volto della città, riempiono la scena. E poi, la natura come rifugio, ritorno alle forme ancestrali. È questo uno dei momenti della collaborazione con Zavattini che ritroviamo an- che nell’impegno successivo di Avanti c’è posto…:storia di una cameriera che dopo essere stata derubata di una ingente somma, viene aiutata dal bigliettaio dell’autobus su cui è avvenuto il furto, ma s’innamora del suo collega,conducente della stessa vettura. Nello stesso anno Se io fossi onesto, che lo farà incontrare, per la seconda volta (la prima era stato nell’ Orologio a cucù), col giovane De Sica. Non fu l’ultima occasione tra i due: nel 1958 (a poca distanza dal Generale della Rovere) Vittorio sarà un abile, romantico truffatore in Nel blu dipinto di blu, tratto dalla canzone di Modugno, vincitrice del festival di Sanremo. Il 1943 fu un momento denso di partecipazioni a film “neorealisti” (ad alcuni dei quali non appose nemmeno la firma) e segnò il consolidarsi dell’amicizia con Federico Fellini, spesso ospite sia del suo studio che nell’abitazione di via Caroncini, ai Parioli dove il nonno di Piero, Ubaldo fu ritratto in un disegno a matita dello stesso Fellini. Insieme realizzeranno almeno quattro pellicole: Chi l’ha visto?, Quarta pagina, Campo de’ Fiori, Il delitto di Giovanni Episcopo. Il 1944 ed il ‘45 furono anni di transizio- ne. Dopo il 25 luglio e l’ 8 settembre molte cose stavano cambiando. Mio padre si trasferì oltre la linea gotica e scrisse dei testi di sicuro rilievo storico, collocati nello scenario della guerra e delle sue terribili conseguenze: Pian delle Stelle e Uno tra la folla di cui curò anche la regia con Ennio Cerlesi (il film ha ottenuto, tra l’altro, la coppa Volpi nella retrospettiva all’ultimo festival di Venezia).Vi si narra la storia di un modesto impiegato, Paolo Bianchi, a Torino durante l’occupazione nazifascista. Arrestato per aver raccolto un giornale clandestino, viene perquisito, malmenato, ritenuto un pericoloso sovversivo comunista. L’intervento di un influente amico che, per evitargli ulteriori guai, lo doterà di un documento della Gestapo, consente il suo rilascio. Ma, con l’arrivo degli alleati, sarà di nuovo arrestato per “collaborazionismo”. A trarlo d’impaccio “il solito amico”. Scrive anche Il Bandito per Alberto Lattuada e per Luigi Zampa Vivere in pace che ebbe il riconoscimento della critica americana come miglior film straniero e, in Italia, il Nastro d’argento per il soggetto. Un altro film importante, sempre per Zampa (con cui continuerà la collabo- pitan Fracassa, 1940, e poi Uno tra la folla, la sua prima regia, 1946, anno record nel quale firma pure i copioni di Senza Famiglia, Ritorno al nido, Il bandito, Tombolo paradiso nero e Vivere in pace, premiato dalla critica americana come miglior film straniero. Nel 1952 vinse il premio per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes con Guardie e ladri. Praticamente, negli anni sessanta-settanta, a parte la parentesi romana imperniata sul film Roma come Chicago (1968), operò tra Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Spagna dove, nella zona di Malaga, strinse amicizia con alcuni scrittori della “beat generation” (Ferlinghetti, Ginsberg, Gregory Corso,ecc.) che frequentò a lungo anche negli States. Ha lavorato a numerose inchieste televisive, da Giovani d’oggi, 1960 a Giovani in America a Tv7 e Odeon, negli anni settanta. Ha scritto numerosi libri, in particolare sull’amata archeologia, come la cultura di Ansedonia e ha pure insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia e all’Università degli Studi Sociali Pro Deo (oggi Luiss). Il figlio Massimo Tellini ha in mente di rendergli omaggio riprendendo e realizzando il suo ultimo progetto, il film Io, la prossima dimensione, il soggetto al quale stava lavorando, negli anni ottanta, insieme con Michelangelo Antonioni. In poche righe... Piero Tellini è nato il 17 gennaio 1916, a Firenze, la sua città, dove è morto il 22 giugno 1985. Sua madre, il celebre soprano Ines Alfani Tellini, la “prediletta” di Arturo Toscanini, si trasferì con tutta la famiglia ben presto a Milano per motivi professionali. Diplomatosi al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, esordì nel ’38 come aiuto regista per dedicarsi in seguito all’attività di soggettista e sceneggiatore, affermandosi nel dopoguerra tra le personalità più importanti del nostro cinema neorealista. Sono più di 50 i suoi film firmati come soggetto e sceneggiatura (e in molti altri, non compare nei crediti), da Ettore Fieramosca del 1938 a Ca- VIVAVERDI 33 VIVAVERDI Ubaldo, nonno di Piero Tellini, qui in un disegno di Federico Fellini, suo grande amico, che nel 1943, frequentava assiduamente il suo studio e casa a via Caroncini ai Parioli a Roma 34 cinema razione tra il ‘49 e il ‘50 in Campane a Martello e Cuori senza frontiere), è L’Onorevole Angelina, ritratto del doloroso dopoguerra in uno dei quartieri, Pietralata, più poveri di Roma, che si avvale di una carismatica interpretazione di Anna Magnani. Sembra, a questo proposito, che per “Nannarella” Piero Tellini abbia scritto, in assoluto, il maggior numero di copioni. Nel 1946, Tombolo, paradiso nero, regia di Giorgio Ferroni, rivelava un momento drammatico del nostro paese, nell’area tra Pisa e Livorno, ”la famigerata pineta di Tombolo”, attraversata da contrabbandieri, prostitute e delinquenti comuni. Come già in Pian delle stelle, qui, s’incrociò con Indro Montanelli che favorì per mezzo di un articolo-racconto l’origine del soggetto. Qui, ancora, la presenza di Aldo Fabrizi con il quale, da Avanti c’è posto… a Guardie e ladri, costituirà un binomio affiatato e indissolubile. Ritroviamo, di nuovo, la Magnani affiancata da Massimo Girotti in Molti sogni per le strade (1948), regia di Mario Camerini e, l’anno dopo, scopriamo una giovanissima Gina Lollobrigida con Eduardo de Filippo nel citato Campane a martello. Questo è anche il periodo in cui Piero Tellini viene chiamato anche all’estero: Stati Uniti, Inghilterra, Francia.Tornato in Italia sceneggia sia Napoli Milionaria (1950) che Filumena Marturano (1951) per l’amico Eduardo. La Magnani lo vorrà, ancora, tra gli sceneggiatori di Vulcano (1950) con cui, tra l’altro, intendeva “vendicarsi” del tradimento di Rossellini e della Bergman in coppia, oltreché nella vita, nel film Stromboli. Gli si avvicinava, in quell’anno, Michelangelo Antonioni (allora solo documentarista) che, in veste di critico, lo conosceva bene dai tempi in cui era redattore della rivista “Cinema” e che, ora, gli chiederà un contributo fondamentale per il suo primo lungo- metraggio, Cronaca di un amore con Massimo Girotti e Lucia Bosè. L’idea iniziale di Antonioni si trasforma nelle mani di Tellini che aggiunge al soggetto il punto di partenza:l’inchiesta sul passato della moglie del ricco industriale milanese. La storia era lineare: due ex -fidanzati si ritrovano,dopo anni, casualmente e decidono di eliminare il marito di lei. Lui, però, muore in un incidente stradale. Anche il loro amore finisce, così. Piero, in quei momenti, ha, comunque, troppo da fare per fermarsi su un solo progetto: idea, architetta, svolge ogni spunto con umorismo ma pure una passione sottaciuta per l’intreccio complesso, l’intrigo, il “giallo”, dovuta, forse, alla frequentazione del regista Robert Siodmak per cui scrive, non accreditato, il trattamento e la sceneggiatura de Il corsaro dell’isola verde con Burt Lancaster, 1952. E gli sarebbe piaciuto il protagonista del Delitto perfetto di Hitchcock, Ray Milland, per il suo Prima di sera (1953), la vicenda di un assicuratore che, stufo del menage familiare e della routine lavorativa, decide di concedersi “un giorno d’evasione”.Si appropria di una piccola cifra dell’assicurazione presso cui è impiegato per andare in giro o, forse, fuggire con una bella ragazza Ma una serie di equivoci, a cominciare da un veleno preso in farmacia, gli cambieranno la giornata. Oggi questa pellicola, realizzata allora con appena 80 milioni, suscita interesse critico e rischia di diventare un “cult” come Uno tra la folla, il suo primo film da regista. Non arrivò Ray Milland ma Paolo Stoppa (che pur offrì un’ interpretazione memorabile) e, nei ruoli femminili, si puntò su due giovani promesse alle prime prove (Giovanna Ralli e Lyla Rocco). Per una serie di contrattempi il film partecipò, esclusivamente “fuori concorso”, a Venezia dove fu acclamato, alla proiezione, con ol- tre 10 minuti di applausi. Vinse, però, poco tempo dopo, il festival di Edimburgo. Di quel periodo rimane uno splendido ricordo: nel 1951 il soggetto-trattamento di Guardie e Ladri, con cui vinse il festival di Cannes. Guardie e ladri era la storia di un ladruncolo che, dopo aver truffato ai Fori un cittadino americano, inguaiava anche un tutore dell’ordine colpevole, agli occhi dei suoi superiori, di esserselo fatto sfuggire. Per non perdere il posto, quest’ ultimo cercava di riacciuffarlo, insinuandosi nella di lui famiglia, arrivando, perfino, a servirsi della propria, del tutto inconsapevole. Alla fine si generavano, tra i due, sentimenti imprevedibili: simpatia, amicizia, comprensione. Le parti s’invertivano:e, così, era il ladro a farsi “portare in galera” dalla guardia. La pellicola, pur osteggiata dalla censura, divenne campione d’incassi, risultando, anche, il film di Totò più significativo. Veniva, finalmente, rappresentata un’Italia in attesa della ricostruzione e vi si rifletteva un mondo contradditorio sì ma profondamente cambiato. In primo piano si evidenziava il senso della solidarietà, capace di superare gli steccati della situazione personale-sociale. La coinvolgente atmosfera del neorealismo si andava, però, diradando e mio padre cominciava a credere meno nel cinema. Aveva di fronte il quadro delle nuove tecnologie che stavano, rapidamente, avanzando. Cominciava a pensare che la televisione fosse il “mezzo del domani” e già nel 1951, quando ancora il nostro piccolo schermo era lontano dal decollare, redigeva le linee portanti di due programmi davvero avveniristici: ”Qui l’Europa” e “Le Olimpiadi del cervello”. Intanto scriveva e realizzava, insieme a Sergio Palmieri, la struttura narrativa di “Suoni e Luci”, prima per il Foro Romano e, dopo, per Villa Adriana. Si dedicava, inoltre, alle 35 invenzioni di cui la più interessante era una tenda da campeggio, applicabile sopra il tetto delle vetture, che si apriva in 20 secondi e poteva ospitare al suo interno 4 persone. Un’idea rivoluzionaria se si considera che negli anni 50 per montarne una qualsiasi occorrevano circa 3 ore! Veniva anche invitato alla trasmissione ”Siamo tutti inventori” e, in seguito, esponeva la scoperta in uno Stand della Fiera di Milano. Ma rimaneva, sempre, ben radicata in lui la grande passione per l’archeologia. Ne furono contagiati collaboratori e amici, dal professore di topografia italica Castagnoli, al musicista Nascimbene, dal dirigente televisivo Carlo Alberto Chiesa (con cui realizzò per la Rai, il reportage Giova- ni d’oggi, 1960) a Mimmo Modugno che a furia di seguirlo nella zona di Ansedonia finì, su sua indicazione, per comprarvi una villa. Cercava, in un primo tempo, reperti etruschi spostandosi tra Talamone, Capalbio, Ansedonia, Porto Ercole e Torre in Pietra. Poi fu attratto da i “segni di un’antichissima civiltà, oggi scomparsa”, pietre di varie tipologie e forme che presentavano, a volte, in superficie, profili umani. Raccolse, così, migliaia di oggetti durante numerosi viaggi in varie zone della terra. Da questa esperienza trasse anche due saggi, La cultura di Ansedonia, Il mezzo di espressione e la società umana ed un soggetto-sceneggiatura cinematografici, L’uomo delle pietre (Io, la prossima dimensione), il sogno della parte finale della sua vita. In tale progetto coinvolse lo stesso Antonioni che lo apprezzava moltissimo e aveva sostenuto, in varie occasioni, di considerarlo uno degli scrittori più “immaginifici” e creativi che avesse mai incontrato. Quell’idea, almeno per ora, si è spenta, con la fine di Tellini e di Antonioni. Mio padre Piero Tellini non cercò mai la gloria ma fu, sempre, pieno di attenzione per le vicende, le difficoltà e le sofferenze di quei poveri diavoli, di quei tanti antieroi che da Quattro passi tra le nuvole a Nel blu dipinto di blu, a Giovani d’ America ci appaiono i veri protagonisti delle sue narrazioni. Aveva ”una vera e propria vocazione umanitaria”. Così lo rievocava Alberto Lattuada: “Era un uomo delizioso, uno sceneggiatore spiritoso, capace di ironizzare sui mali della vita. Ho di lui un buon ricordo. Quando scrivemmo insieme il Bandito eravamo usciti dalla guerra, avevamo mille idee e pochi mezzi. E c’eravamo affezionati entrambi alla storia di quell’eroe romantico, quasi un simbolo dell’Italia ferita e confusa del primo dopoguerra. Poi lo persi di vista. So che lavorò a lungo in America. Mi dispiace, mi dispiace molto. E’ un altro pezzo di cinema che se ne va”. VIVAVERDI Aldo Fabrizi e Totò in una scena di Guardie e ladri di Mario Monicelli e Steno, 1951. Fu presentato in concorso al Festival di Cannes nel 1952 e Piero Tellini vinse il premio per la migliore sceneggiatura VIVAVERDI 36 cinema MASSIMO SANI QUANTE VITE IN UNA di Mimmo Rafele Ci sono personalità che è difficile classificare, ingabbiare in una definizione, e Massimo Sani è sicuramente una di queste. Raffinato e profondo documentarista, certo, e al tempo stesso dirigente della più antica associazione degli autori cinematografici italiani, l’Anac. Ma anche, in gioventù, negli anni ’50, ricercatore al Mit, il prestigioso istituto statunitense di ricerche tecnologiche (studiava la gomma sintetica), e poi, una decina d’anni dopo, corrispondente dalla Germania di Epoca di Enzo Biagi… Molte vite in una, un’esistenza invidiabile se si pensa all’attuale immobilità sociale, a quanto ci mette un giovane oggigiorno, a raggiungere un obiettivo, un traguardo, ammesso che ci riesca. Eppure ancora oggi, che non è più esattamente un ragazzino, Massimo Sani parla della sua vita, del suo lavoro, delle sue passioni mai col tono dell’ has been, di chi si adagia sui ricordi di un passato pieno e gratificante, ma con l’entusiasmo e la proiezione verso il futuro di chi ha ancora un sacco da fare… Ed è lui stesso a suggerirmi la chiave, il “segreto” di tanta energia intellettuale e creativa: essere stato un adolescente alla fi- Negli anni cinquanta faceva ricerche sulle gomme sintetiche al Mit, il prestigioso Istituto di ricerca statunitense, poi è stato corrispondente di Epoca allora diretta da Enzo Biagi. Alla fine s’è imposto come un raffinato e profondo autore di magistrali documentari, capaci di divulgare ad alto livello grandi eventi della nostra storia. E da allora si è sempre battuto, in prima fila, per difendere al meglio la dignità e i diritti degli autori cinematografici. ne della guerra, quando tutto è finito e tutto è ricominciato. Sfollato a Verona durante i mesi più duri del conflitto, torna nella natìa Ferrara in tempo per prendere la maturità al liceo Ariosto, con Lanfranco Caretti. All’università si iscrive guardando al futuro, a una carriera che gli apra delle prospettive: sceglie chimica e si laurea brillantemente. Intanto, però, frequenta l’Afu, l’associazione ferrarese universitaria, detta anche 4S, ovvero Siamo Studenti Senza Soldi. Si faceva la fame in senso letterale, all’epoca, ma quei ragazzi erano sicuramente affamati anche di tutto quello che durante gli anni bui del fascismo era stato nascosto, censurato, rimosso. Così, insieme alla letteratura, all’arte, alla filosofia dell’Occidente libero, irrompe anche il cinema, i grandi autori scandinavi (Sjostrom, Mur- nau, Dreyer), quelli sovietici (Ejzenstejn, Pudovkin, Dziga Vertov), l’espressionismo tedesco, i drammi sociali di Renoir… In una piccola sala, l’Apollino, alla domenica mattina, Sani e i suoi amici (tra i quali Florestano Vancini, che sarebbe diventato anche lui un grande regista) guardano a occhi sbarrati tutta quella bellezza. Un impatto che ti può cambiare la vita. Massimo, infatti, comincia a lavorare alla Montecatini, studia il polistirolo, ma coi primi soldi che guadagna si compra una cinepresa 8 mm., una Bauer, poi una Bolex Paillard 16 mm. e usa ogni ritaglio di tempo per cominciare a girare i ‘suoi’ film. Documentari sulla sua città, arricchiti da piccole storie minimaliste. Uno di questi, Incontro sul fiume, lo vede il grande Blasetti e resta stupito dalla grazia e dalla profondità che questo ragazzo dimo- 37 stra. “Tu devi fare il cinema!”, gli dice. Ma l’onda della vita è ancora troppo forte, c’è una borsa di studio per Cambridge, Massachusetts, come si fa a dire di no. Eppure il cinema gli è ormai entrato nel sangue. Quando, al ritorno in Italia, è di nuovo posto di fronte al bivio: diventare uno scienziato e manager di sicuro avvenire (era pronto per lui un ricco contratto della Dunlop canadese), o andare a Roma a girare dei documentari, stavolta non ha dubbi. Sceglie il cinema e non tornerà mai più indietro. Comincia così la sua lunga carriera di documentarista. Lavora con la realtà, Sani, ma la inquadra pensando sempre a quei grandi film che ha visto da ragazzo. Mentre lavora per la Rai in Belgio sull’allora neonata comunità europea, riceve una telefonata da Roma: è appena successo un disastro, una miniera è crollata seppellendo tanta povera gente, la sua è la troupe più vicina, deve andare subito sul posto. Corre, Massimo, verso questo villaggio che nessuno ha mai sentito nominare e che invece da quel momento diventerà tristemente famoso: Marcinelle. E, arrivando, si chiede come farà, lui che non è un reporter, a comunicare con le immagini quella immane tragedia, e gli viene in mente un film tedesco, uno di quelli che ha visto da ragazzo all’Apollino, La tragedia della miniera, di Georg Pabst… E’ a quelle immagini, scabre e rigorose, che si ispira per raccontare l’orrore, per riuscire a racchiuderlo nel rettangolo dello schermo, e prima che una scelta estetica è una scelta etica, contro la pornografia del dolore, che oggi invece, ahimé, infesta tanti talk show. Altri tempi e altre tempre. Quello stesso rigore ispira Sani in tutto il resto della sua carriera. I suoi documentari storici sui grandi eventi del dopo- guerra, i suoi film inchiesta, le sue docufiction su momenti chiave della nostra epoca, sono frutto di mesi di studio, di approfondimento. Il regista si fa storico per poter raccontare col massimo di obiettività e di efficacia. Diventa questa la cifra del suo lavoro: un incrocio virtuoso di realtà e finzione, che consenta una divulgazione ad alto livello dei grandi eventi della nostra storia. Anno dopo anno, la filmografia di Sani si arricchisce di grandi inchieste di questo tipo. Nascono così Persia. Anniversario di un impero, La guerra al tavolo della pace, ricostruzione delle conferenze di pace durante le quali i potenti della terra ridisegnano il mondo, Italia in guerra, grande affresco sulla guerra degli italiani. Prigionieri, sui soldati italiani nei campi di concentramento dal ’40 al ’47, arriva in finale al “Prix Italia” del 1987. Non vince perché il giurato americano, irritato dalla cruda denuncia su come i campi di prigionia statunitensi non avessero molto da invidiare al lager nazisti, rifiuta di votarlo. Ma a Massimo una vita non basta, vuole viverne un altro paio… Così dopo essere stato un po’ scienziato e continuando a fare i suoi documentari, diventa anche giornalista. Gli capita perché, oltretutto, parla anche tre lingue (francese, tedesco e spagnolo) e tra un’inchiesta e l’altra in giro per l’Europa scrive qualche articolo per ‘Epoca’. Enzo Biagi, che lo dirige, gli propone così di diventare il corrispondente dalla Germania del settimanale di Mondadori. Di cui, qualche anno dopo, farà nascere e curerà l’edizione tedesca. Ma la vera vocazione di Sani resta la grande inchiesta filmata. Così la parentesi nella carta stampata si chiude quando la Rai gli dà la possibilità di realizzare, a Monaco, La giustizia tedesca di fronte al nazismo, delicatissimo re- VIVAVERDI Massimo Sani sul set del film-inchiesta Torino mezzo secolo del 1967, controlla l’allestimento e la ripresa insieme al direttore della fotografia Sandro Messina, alla sua sinistra portage su come vengono giudicati i crimini nazisti nella Germania democratica del dopoguerra, vincitore del Premio Nazionale Inchiesta filmata. Torna quindi al suo antico mestiere, Sani, ma naturalmente non gli basta… Ed ecco quindi nascere la sua ultima (per ora) identità: il dirigente dell’associazione dei cineasti italiani, il difensore dei diritti degli autori. Si iscrive all’Anac, l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici nei primi anni ’70 ed è subito in prima linea nella lotta per il diritto d’autore. Sono gli anni eroici delle battaglie contro la censura e per il diritto morale a impedire lo scempio delle opere da parte di produttori e distributori. Insieme con Francesco Maselli, altro autore “prestato” all’associazionismo, Sani capisce che queste battaglie vanno combattute a livello continentale. Nasce così la Fera, Federazione Europea dei Registi dell’Audiovisivo, di cui diventerà vice presidente. Negli anni ’80 promuove una serie di incontri dei grandi registi europei, durante i quali, di fronte alle nuove sfide tecnologiche, viene lanciato un obiettivo ancora più ambizioso: unire tutto il cinema mondiale nella difesa dei propri diritti e della propria identità. Così nel 2007, durante le “Giornate degli autori” della 64.a Mostra di Venezia, Sani firma insieme a Maselli e Monicelli per l’Italia e a Woody Allen, Ken Loach e altri grandi registi di ogni parte del pianeta l’Alleanza Mondiale del Cinema. Chissà se in quel momento Massimo ha ripensato a quelle mattinate all’Apollino di Ferrara, quando il mondo, visto da laggiù, gli sembrava lontano e incantato, eppure poteva guardarlo e addirittura viverci dentro lasciandosi trasportare dalle immagini e dalle storie del grande cinema… RADIO/FILODIFFUSIONE CONTRAPPUNTO BESTIALE di Giacomo Ceccarelli A causa di ripetitori circolari a bassa potenza (perché installati nella città) e della non compressione audio, l’ascolto gratuito via radio della filodiffusione risulta piastrellato di cordiali ronzii e cicalecci. Rognosi walzer interferenziali che sembrano magicamente evocare spazi antichi, vecchi profumi e grammofoni polverosi. La minuzia e i preziosismi del palinsesto sono fiabeschi almeno quanto le voci che lo presentano: annunciatori senza volto e senza tempo con perfette cadenze e funamboliche dizioni d’ogni luogo sono l’unica presenza altra dalla musica. Poche voci posate ma decise, ormai familiari, che tendono all’immutabilità (eccetto rari raffreddori) dirigono e ammorbidiscono la mole di una programmazione quasi fetish per finezza e precisione. Era il 1958 quando la Rai creò il pacchetto Filodiffusione: trasmesso via doppino telefonico fu un balzo tecnologico comparabile all’avvento delle linee digitali ad alta velocità. E ancora oggi sono sei canali. I primi tre sono Radiouno, Radiodue e Radiotre; il quarto, che si chiama Filomusic, è il canale della musica definita “leggera” (pop internazionale, canzone italiana d’autore, successi del rock, qualche pillola di disco music e Round Midnight: novanta minuti di jazz nella notte); mentre il quinto e il sesto si sommano in un unico discorso tecnico e musicale dando vita al suggestivo programma Una giornata ascoltando la “sorella povera” delle onde radio, la filodiffusione, oggi sempre più dimenticata con lo sviluppo delle tecnologie digitali, delle radio via web, dei podcast. Due musicisti, Massimo Di Pinto e la giapponese Kiyomi Nakamura, curano la programmazione, che vanta alcuni titoli noti come Auditorium, 24 ore al giorno di musica classica senza stop, e Round Midnight, selezione jazzistica notturna. stereofonico Auditorium, che irradia musica classica senza spot, ventiquattro ore al giorno, trecentosessantacinque giorni l’anno. E’ quest’ultimo il vero fiore all’occhiello del servizio, un’oasi inalterata nella quale domina la musica, una certezza cristallizzata che non scende a patti con alcun sistema. Due musicisti, Massimo Di Pinto e la giapponese Kiyomi Nakamura, curano la programmazione, mentre le oniriche vocine amiche, più che annunciare, recitano a qualsiasi ora un rullo compressore di titoli organizzati in fior di rubriche e percorsi tematici molto di nicchia dai nomi oscuri e poeticamente anguilleschi: Cantus planus, K come Mozart, Non solo Danubio, Sillabario del Novecento, Contrappunto bestiale, Cantate, ninfe, Soli deo gloria, Dall’aulos alla zampogna e così via. Lo svolgersi del programma sembra svolazzare libero e privo di turbamenti tra opera, musica sinfonica, cameristica, canti gregoriani, avanguardie, musica per bande, da film, commedie musicali e così via. Inoltrandosi nei più remoti angoli della storia, dei luoghi e delle pronunce senza disdegnare occasionali incontri di generi confinanti con il jazz, il folk e la musica elettronica. Chiunque oggi può andare su Internet e seguire in streaming la Filodiffusione scaricando Real Audio, ma solo cinque fortunate città (Roma, Milano, Torino, Napoli e Ancona) hanno il privilegio di poter ascoltare gratis il quinto canale in FM. Spesso capita di sentire capolavori sempiterni da poggiarsi le mani in faccia, così come altrettanto spesso si guerreggia con indigeste sciroppate di Novecento spinto, guarnite di fantasiose forme - o difformità- sonore molto invasive. Ma è benaccetta costumanza di Auditorium donare una rara pregevolezza delle registrazioni proposte, anche delle più aggressive. Tutto sotto l’atipico dettame di emarginare l’illusione pubblicitaria e le dinamiche che ne derivano. La Filodiffusione è un laborioso micromondo, simile ad un vecchio carro armato che procede lento sull’infinito percorso di una maratona cominciata nel ’58, al cospetto di un’Italia ipnotizzata dai teleschermi. Fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia VIVAmiti d’oggi QUANDO JOYCE SCRIVEVA IN ITALIANO di Valerio Magrelli Esiste un’antica tradizione di opere letterarie composte in italiano da narratori stranieri, probabilmente sull’onda delle storiche strette relazioni tra il nostro paese e l’Europa, un omaggio all’Italia tra suggestioni classiche e viaggi da Grand Tour. Se ne occupa un recente libro di Furio Brugnolo intitolato La lingua di cui si vanta Amore. Scrittori stranieri in lingua italiana dal Medioevo al Novecento, che presenta una gran quantità di esempi illustri, da Milton a Quevedo, da Rabelais a Pound e Joyce. La letteratura italiana degli ultimi anni si è arricchita di nuove voci provenienti da paesi europei ed extraeuropei. Si è parlato a questo proposito di “scrittori migranti”, che hanno cioè attraversato l’esperienza dell’integrazione all’interno di una realtà culturale e linguistica diversa da quella di origine. Sarebbe improprio stabilire paragoni con quanto accade in Gran Bretagna o in Francia, paesi dove il passato coloniale ha favorito un sostanziale incremento del patrimonio letterario nazionale: basti pensare all’apporto fornito da autori asiatici da un lato (Rushdie, Naipul, Kureishi), caraibici o africani dall’altro (da Senghor fino a Glissant o Marie Ndaye). Certo, in area italiana la documentazione risulta ancora scarsa. Rispetto a questa apertura sull’avvenire, però, esiste anche un’antica tradizione che affonda le sue radici nel Medioevo, e che consiste nella formazione di un piccolo tesoro fatto di opere che vennero redatte in italiano da scrittori stranieri. Esiste insomma un “italiano in Europa” nato dalle fittissime relazioni fra il nostro paese e il continente. Proprio a questo sorprendente serbatoio poetico e narrativo si rivolge un acutissimo studio di Furio Brugnolo uscito da Carocci con il titolo La lingua di cui si vanta Amore. Scrittori stranieri in lingua italiana dal Medioevo al Novecento. Non che mancassero precedenti illustri, a cominciare dalle ricerche di Gianfranco Folena sull’italiano di Voltaire o di Mozart. Illuminante, d’altronde, fu già l’intuizione di Leopardi, deciso ad attirare l’attenzione sul “Menagio, Regnier Desmarais, Milton ecc. che scrissero e poetarono in lingua italiana”. Ma si trattò di semplici tasselli, mentre Brugnolo offre la prima sistematica presentazione del fenomeno. Dopo una ricca introduzione (in cui spiccano un inserto italiano di Ra- VIVAVERDI 39 belais e la pagina oscena che Diderot incluse, sempre in italiano, nei Gingilli indiscreti), il saggio passa a esaminare undici casi esemplari. Si comincia dal trovatore provenzale Raimbaut de Vaqueiras, con un contrasto bilingue (in provenzale e in genovese) e un discordo plurilingue (in provenzale, italiano, francese, guascone e galegoportoghese). Seguono due francesi, Louise Labé e Michel de Montaigne, una con il ricorso alla forma-sonetto, l’altro con alcuni stralci del suo Viaggio in Italia. E’ poi la volta del sommo Quevedo, con un “soneto en toscano”, cui segue John Milton. Se altri nomi saranno meno noti al grande pubblico, come quelli di Christina Rossetti, Viaceslav Ivanov, Ghiorgos Sarandaris o Murilo Mendes, restano impressionanti le ultime due presenze, quelle di James Joyce e di Ezra Pound. Nel primo caso, con l’autotraduzione di due passi di Finnegans Wake (l’inizio e la fine di Anna Livia Plurabella), siamo di fronte, osserva Brugnolo, alla testimonianza forse più celebre e stupefacente di letteratura italiana fuori d’Italia: “Trasponendo nella nostra lingua l’arduo e composito tessuto linguistico della sua opera estrema, Joyce fornisce un inarrivabile esempio di come si possa rinnovare radicalmente la lingua d’arrivo restando profondamente fedele alla lingua di partenza”. Quanto ai due canti di Pound, il 72 e il 73, Brugnolo li definisce addirittura come il più notevole esempio, nella letteratura italiana del Novecento, di poesia epica, “ma si tratta, né più né meno, di epica fascista”. Al di là del giudizio politico, rimane il fatto che questi scrittori volessero rendere omaggio alla nostra lingua, e insieme, così facendo, le recassero doni tanto inattesi quanto preziosi. VIVAVERDI La copertina del primo numero della famosa rivista cinematografica fondata e diretta fino ad oggi da Edoardo Bruno. Sui 60 anni della rivista è uscita in questi giorni una bella antologia dal titolo Il senso come rischio Le mani editore 40 cinema I 60 ANNI DI FILMCRITICA DA GODARD A CAMERON di Franco Montini Quando nel dicembre 1950 uscì il primo numero di Filmcritica, che in copertina aveva una fotografia di Farley Granger e Adele Jergens, tratta dal film La porta dell’inferno di Mark Robson, Edoardo Bruno aveva 22 anni. Da allora la direzione della rivista non è mai cambiata e anche oggi il fondatore continua a lavorare alla sua creatura con l’entusiasmo di un ragazzino. “Il segreto della longevità di Filmcriticaspiega Edoardo Bruno, docente universitario di storia del cinema ed autore nel 1969 di un film come regista, intitolato La sua giornata di gloria- sta proprio nella voglia e nella scelta di dedicare la maggior parte del mio tempo e delle mie energie creative alla rivista. Confesso che Filmcritica è la cosa che più mi ha interessato e alla quale ho sacrificato, senza alcun rimpianto, numerose occasioni di lavoro e di carriera. Ma naturalmente -prosegue BrunoFilmcritica non sarebbe potuta vivere tutti questi anni e continuare a godere di buona salute, se non avessimo potuto contare sull’apporto di molti collaboratori illustri e prestigiosi, a cominciare proprio dalla nascita. La rivista, infatti, poté avvalersi della protezione e dell’incitamento di tre Per il cinema sessant’anni rappresentano uno spazio temporale equivalente ad un’era glaciale. Fra il cinema del 1950 e quello di oggi le differenze sono abissali, sia sul versante artistico, che tecnologico, che economico. In questi sessant’anni è cambiato il linguaggio del cinema; sono tramontati generi di successo e ne sono nati di nuovi ed inediti; si è registrata una rivoluzione per ciò che riguarda le tecniche di ripresa e le modalità produttive; sono profondamente mutate le forme di consumo dei film. Insomma qualsiasi confronto è impossibile, perché ci troviamo di fronte a due mondi distanti anni luce, senza alcun elemento in comune, tranne l’eccezione di una rivista, Filmcritica; perché la pubblicazione, fondata da Edoardo Bruno, che nacque proprio in quel cinematograficamente lontanissimo 1950, continua regolarmente ad uscire ed ha brillantemente superato il seicentesimo numero. Ne parliamo col suo direttore. sacri numi tutelari: il regista Roberto Rossellini, il filosofo Galvano Della Volpe e il critico Umberto Barbaro. La presenza di queste tre figure, tre intellettuali difficilmente etichettabili, tutti nel proprio campo in qualche modo eretici, prefigura la caratteristica saliente della politica culturale di Filmcritica, che si batte per il buon cinema, aborrendo ogni ideologismo, spaziando a 360° in tutti i continenti, mescolando interessi e attenzione per la produzione di Hollywood e per quello che fu il cinema sovietico; per il classicismo e la sperimentazione; con una particolare sensibilità a cogliere il nuovo e l’emergente”. In effetti consultando anche sommaria- mente la collezione di Filmcritica, ci si accorge che gli autori di culto della rivista sono numerosi e assai diversi fra loro. Sul fronte del cinema italiano, i registi sicuramente più amati sono stati e sono Rossellini, Pasolini, Bellocchio; per ciò che riguarda gli stranieri si va da Robert Bresson e Jean-Luc Godard, ad Alfred Hitchcock e Clint Eastwood; da Orson Welles e Manuel de Oliveira, a Straub/Huillet e Raoul Ruiz; da Blake Edwards ad Amos Gitai. A conferma delle predilezioni di Filmcritica basterebbe, del resto, scorrere l’elenco del premio “Maestri del Cinema”, ideato dalla rivista con l’appoggio del Comune di Roma, che, in tredici anni, ha premiato anche Billy Wilder, Vincent Minnelli, Stanley Donen, Roman Polanski e Martin Scorsese. “Filmcritica- fa notare Bruno- ha sempre preferito assumere il rischio di una critica militante, esercitata sui film, senza troppi salvagenti teorici, nella convinzione che i film siano parte integrante e determinante della teoria stessa, che essi, anzi, possano contribuire a fondarla, più che riceverne legittimazione a posteriori”. Come scrive Alessandro Cappabianca, uno dei più assidui collaboratori della rivista nella postfazione al volume Senso come rischio/60 anni di Filmcritica, appena pubblicato da Le Mani, in occasione dell’ anniversario: “Questo spiega perché, nel periodo di maggior virulenza accademica di mode tipo ‘semiotica e/o psicanalisi’, la rivista non se ne lasciasse sommergere, pur ospitando importanti contributi di C.Metz (Sulla connotazione), Bellocchio (Cinema come terapia), Sainati (La semiotica del film e il problema del sentire), ecc. Sul piano della psicanalisi, l’incontro con certe formulazioni lacaniane era in una certa misura inevitabile, ma teniamo a sottolineare il contributo originale apportato in proposito da un outsider come Matte Blanco (come si evince dal suo intervento Sulla creazione artistica). Analogamente all’infatuazione per il presunto ‘cinema politico’, che aveva portato a sopravvalutazioni e grosse cantonate, la rivista era sfuggita grazie alla nozione di cinema ‘poetico-politico’, che intendeva significare l’illusorietà di veicolare qualunque contenuto progressista o rivoluzionario senza contemporaneamente modificare o rivoluzionare le forme del linguaggio”. Come si legge nel numero 1 della rivista, la prima redazione di Filmcritica era ubicata a Roma in via Aurelio Saffi 20. “Eraspiega ancora Bruno- la casa di mia madre e in una stanzetta ci riunivamo per discutere dei film e impostare il timone di ciascun numero. Fra i primi e più assidui collaboratori ricordo Callisto Cosulich, Nino Ghelli, Virgilio Tosi, Enrico Rossetti. La distribuzione e la diffusione della rivista era affidata alla Federazione dei Circoli del Cinema, all’epoca un circuito di cineclub e cineforum, legato al PCI, assai attivo e diffuso su tutto il territorio nazionale. Da molti anni la redazione, sempre romana, si è trasferita in piazza del Grillo 5, mentre lo storico archivio della rivista, ricchissimo di immagini, documenti e materiali vari, è stato recentemente donato al Museo del Cinema di Torino, che sta provvedendo alla sua catalogazione e digitalizzazione. L’importanza culturale di Filmcritica è fuori discussione; anche se le riviste cinematografiche italiane non hanno avuto lo stesso peso e la stessa importanza di analoghe pubblicazioni prodotte in altri paesi, si pensi solo ai Cahiers du cinema in Francia, è grazie a Edoardo Bruno e al suo gruppo che nel nostro paese si sono potuti conoscere testi altrimenti destinati a restare ignoti. Fu proprio Filmcritica a pubblicare in un apposto quadernetto negli anni ’50 Il verosimile filmico, un fondamentale testo di Della Volpe e La poesia del film di Barbaro, titolo quasi sacrilego per un testo a firma di un giornalista che all’epoca era il critico de L’Unità. Ma sulla rivista sono apparse anche illuminanti interventi di André Bazin; di Sergej Eizenstejn quando in Italia non sia era ancora pubblicato nulla; di Tullio Kezich, che, con un articolo sul western, suscitò un lungo dibattito a proposito del realismo nel cinema americano. Un’altra firma che ricorre spesso sulla rivista è quella di Pier Paolo Pasolini: “Lo incontrai per la prima volta -ricorda Bruno- alla festa per il numero 100 della rivista, che organizzammo presso la galleria d’arte di Mario Penelope a via Margutta. Non so come, arrivò anche Pasolini, il quale ci esternò tutta la sua ammirazione e il suo interesse per il no- stro lavoro e si offrì di scrivere qualcosa per noi. Da allora ci fu sempre molto vicino e si mostrò assai disponibile a intervenire anche per incontri, dibattiti, tavole rotonde. Non posso dimenticarne una assai interessante organizzata con lui e con Mauro Bolognini”. Ma la redazione di Filmcritica è stata anche una palestra di serrati confronti culturali, dove si sono formati e sono cresciute intere generazioni di critici destinati a più vari e diversi approdi. Negli anni più intensi della contestazione, poco prima del mitico 1968, si registrò anche una sorta di fuoriuscita dalla rivista con un gruppo di allora giovani critici, Adriano Aprà, Luigi Faccini, Maurizio Ponzi, Stefano Roncoroni, che abbandonarono polemicamente Filmcritica per dar vita all’intensa e breve stagione di un’altra rivista di tendenza Cinema e Film. Infine sarebbe interessante sapere come, dal 1950 ad oggi, si sia modificato il rapporto fra Filmcritica e il proprio pubblico. “E’ una domanda alla quale- fa notare Edoardo Bruno- non è affatto semplice rispondere. Filmcritica, come del resto tutte le riviste italiane di cinema, ha avuto e continua ad avere una diffusione limitata. Da tempo immemorabile abbiamo dovuto rinunciare ad una distribuzione nelle edicole ed oggi sta diventando sempre più complicato essere presenti anche nelle librerie. Direi che il rapporto con i lettori è cambiato nella misura in cui si è trasformata la cinefilia, fino a qualche anno fa, molto rigorosa, oggi per fortuna, più aperta, più spensierata, più disponibile al confronto, senza più l’ostracismo nei confronti di tutto ciò che raggiunge un successo popolare, come se questa cosa fosse necessariamente sinonimo di scarsa qualità e nessun interesse. In uno degli ultimi numeri della rivista, ci siamo ampiamente occupati di un film come Avatar; in tempi passati, riuscire a scrivere del film di Cameron sarebbe stato meno scontato”. VIVAVERDI 41 Fiamma Satta coautrice e conduttrice insiema a Fabio Visca della notissima trasmissione radiofonica Fabio e Fiamma in onda su Radio Rai 2 dal 1987 VIVAVERDI Foto Patrizia Savarese 42 personaggi RADIO I MIEI VENTICINQUE ANNI DAVANTI A UN MICROFONO di Fiamma Satta Il primo programma cui presi parte (La strana casa della formica morta) fu frutto di sperimentazione estiva (luglio, agosto e settembre) fortemente voluta dal Direttore di allora, Corrado Guerzoni e dalla sig.ra Lidia Motta, storico capostruttura di Radio2. Affidarono tre ore di diretta pomeridiana, fra parole e musica a cinque ragazzi che avrebbero dovuto fingere di essere rinchiusi in una casa di campagna, lontani da amici e parenti. Lì avrebbero messo alla prova la loro compatibilità, le loro idiosincrasie, le loro capacità o incapacità nella preparazione di idee e materiali audio per un programma che sarebbe andato in onda in ottobre. Inoltre le loro personali unicità, così lontane le une dalle altre in fatto di scelte musicali e non, avrebbero composto tendenze e gusti giovanili, tutto all’insegna della diversità come valore. I cinque erano “inconsapevoli” di essere continuamente spiati dalla rete con microfoni nascosti nella casa, in modo che quel loro stare insieme e quei loro goffi tentativi di preparazione del futuro programma autunnale rappresentavano in realtà la diretta del programma stesso. Oggi è inevitabile trovare in quell’idea assoluta- Mi son seduta per la prima volta in vita mia davanti ad un microfono di Radio2 il primo luglio 1985 e mi sono alzata il primo gennaio 2010: venticinque anni dopo. Una semplice informazione che non serve ad introdurre anniversari o autocelebrazioni, ma la mia obiettiva opportunità di osservare sul campo alcuni cambiamenti radiofonici di questi ultimi venticinque anni. Ad esempio la scomparsa dei rumori, importante ausilio dell’immaginazione e la mancanza di pause nella conduzione, due dei tanti fattori di un’omologazione dei programmi radiofonici che puntano ormai, invariabilmente, sull’intervento quotidiano degli ascoltatori tra mail, sms e telefonate. mente folle un’eco anticipatrice del Grande fratello, ma allora la follia di quello strampalato programma aveva un nome: sperimentazione. Ma un po’ di ardimento, di ottimismo e di follia non sono forse alla base di ogni esperimento? All’epoca, dunque, davanti ai miei occhi avvenivano continuamente sperimentazioni fra i giovani aspiranti autori-conduttori, con la consapevolezza che i giovani costituiscono energia vitale che spinge in avanti il mondo, rivoluzionandolo. Ricordo bene come storcevo la bocca davanti ai suggerimenti di chi pretendeva tra uno spazio e l’altro, una situazione e l’altra, i cosiddetti “siparietti”. Solo la parola mi faceva rabbrividire. E allora spingevamo, noi giovani di allora, sempre un poco più in là la volontà di annullare quei benedetti “siparietti” considerandoli reperti di antiquariato. E venivano inventati nuovi modi di rivolgersi al pubblico, magari anche con la rappresentazione di un finto privato che fosse in grado di esprimere i cambiamenti reali della società. Ed è così che sono nate le sit-com quotidiane di Fabio e Fiamma che hanno raccontato, per esempio, lo stato dei single e successivamente la crisi della coppia, in varie formule: dalla litigiosa convivenza in casa di due amici non legati sentimentalmente, alla litigiosa convivenza dei medesimi davanti ai microfoni di uno studio radiofonico, alle prese con una folle e surreale “Posta del cuore”, in cui i loro problemi tragicomici (fiction) erano preponderanti rispetto a quelli degli ascoltatori (realtà). Così, sotto lo sguardo attento di Sergio Valzania, a lungo direttore di Radio2, Fabio e Fiamma e la trave nell’occhio ha raccontato una lunga storia seguendo il filo continuo delle 1800 puntate di una sit-com a due voci e centinaia di personaggi, e scritta quotidianamente. Senza mai perdere di vista una lontana ma ben precisa provenienza: conservo ancora molto gelosamente una cassetta audio che la signora Motta, nel febbraio del 1987, ci consegnò con aria solenne alla vigilia del primo Fabio e Fiamma, suggerendoci di ascoltarla (in realtà era un ordine!). Conteneva un paio di formidabili sketch interpretati da Rina Morelli e Paolo Stoppa nei panni di “Eleuterio e Sempre mia”, nel Gran Varietà di Radio2. E’ banalmente vero che ogni rivoluzione si trasforma pian piano, ma inesorabilmente, in tradizione, però ritengo che nella radiofonia, di rivoluzione in rivoluzione, forse qualcosa di prezioso si sia comunque perso per strada. Per esempio i rumori. Ma è un vero peccato averne fatto a meno perché essi sono fondamentali per evocare un’atmosfera e per stimolare l’immaginazione di chi ascolta, che non può e non deve essere esclusivamente riservata e relegata alla domanda: “che aspetto avrà quel conduttore, quella conduttrice?”. Proprio perché viviamo in un mondo stracolmo di immagini sarebbe stato forse opportuno mantenerne privo lo spazio radiofonico (webcam permettendo!). I rumori sono in grado di mostrare davvero quel che sta avvenendo in quel momento, in quello spazio radiofonico. A questo proposito mi viene in aiuto il teatro: la versione televisiva del 1962 di Sabato, Domenica e Lunedì di Eduardo De Filippo andò irrimediabilmente perduta per la disattenzione di un funzionario che registrò, su quel nastro prezioso, altro materiale. Fortunatamente ne esiste una versione radiofonica conservata gelosamente dalle Teche Rai. Alla fine del primo atto Rosa, la straordinaria Regina Bianchi, è sola in cucina. Nel testo della commedia Eduardo scrisse questa didascalia: “Ora va alla dispensa e trae da essa una cartata di maccheroni di zita e una grande insalatiera. Sempre lentamente si avvicina al tavolo e si dispone a spezza- VIVAVERDI 44 personaggi re i maccheroni. Il sipario scende lentamente e allontana insieme ai singhiozzi repressi della donna e qualche frase mozza, pure quel tinnire allegro e promettente degli ziti spezzati che la mano esperta lascia cadere nella grande stoviglia di porcellana.” E davvero, ascoltando la versione radiofonica di Sabato, Domenica e Lunedì, quel “tinnire allegro”, quel piccolo rumore cadenzato nel vuoto radiofonico, diventa straordinario e mostra tutta la solitudine e la tristezza della protagonista. Tornando all’oggi, ricordo sempre con piacere l’uso geniale che Fiorello ha sempre fatto del rumore in radio. Ne ebbi la netta percezione un giorno che ho assistito in sala B ad una puntata di Viva RadioDue: era ospite Daniel Ezralow, il noto ballerino-coreografo che fu convinto da Fiorello a inscenare con lui un balletto “radiofonico” salendo insieme su fogli di giornale stesi per terra. Un paio di microfoni erano stati abbassati all’altezza delle loro scarpe e quando i due hanno cominciato a ballare tenendo i piedi più incollati possibile a terra, i giornali strusciati in quel modo producevano una particolarissima sonorità... Ricordo bene anche quella volta che Fiorello irruppe in studio mentre eravamo in diretta portando in dono un grande uovo di Pasqua in segno di augurio. Mi sedette accanto e volle stropicciare vicino al microfono la carta stagnola con cui era avvolto l’uovo “per far sentire agli ascoltatori” il rumore prodotto e farli partecipare così alla “verità” e all’atmosfera di quel momento gioioso. A parte Fiorello, la percezione del valore del rumore in radio è andata quasi completamente perduta, e i rumori sono stati archiviati, e addirittura sconsigliati come inutili accessori. C’è anche un altro elemento che è pian piano sparito dall’etere: le pause durante un discorso, un dialogo, un semplice commento. Ovviamente in radio il vuoto è spaventoso, ma la pausa, quando non è eccessivamente prolungata, non è sempre un vuoto perché può rappresentare un momento di riflessione, un ripensamento, può far immaginare un tormento interno, può precedere uno scoppio di risa, può essere voluta per sottolineare ironia o disappunto, può far intendere intenzioni nascoste o far immaginare un sottotesto, può insomma far trapelare il reale stato d’animo del conduttore. Una giusta pausa può concorrere quindi a rafforzare la magnifica e auspicabile intimità con gli ascoltatori, attenti e ben attrezzati ad interpretare anche il significato di un sospiro. Eppure ormai la parola d’ordine per i conduttori sembra essere “chi si ferma è perduto”, in una ricerca spasmodica e frenetica di ritmo, rapidità, velocità. Il risultato è un’omologazione del cosiddetto “sound” in cui tutti parlano con gli stessi ritmi, con cadenze simili, con la stessa velocità. Ciò che è invece aumentato a dismisura è l’uso pubblico del privato. Mi riferisco all’intervento massiccio degli ascoltatori che, attraverso mail, sms e telefonate, si raccontano, determinano tendenze e rappresentano ormai l’ossatura sostanziale dei programmi che sono fatti da loro e non più scritti da autori, per loro. Così il lavoro stesso degli autori risulta notevolmente ridotto ma, ancora una volta, si rischia un’ulteriore omologazione dei programmi la cui struttura risulta molto simile (lancio del tema, interventi degli ascoltatori) e il risultato è una certa uniformità della programmazione. Credo che fra i compiti di un autore, soprattutto quelli che lavorano nel servizio pubblico, ci dovrebbe essere l’impegno di mettere la propria creatività e professionalità proprio al servizio del pubblico, e non il contrario. Dal 2005 anche l’ultima formula di Fabio e Fiamma si è dovuta adeguare a questa tendenza (mi viene in mente lo slogan arboriano “non capisco ma mi adeguo”) e son stati abban- donati personaggi, situazioni surreali e non, storie, ambientazioni, rumori per dedicarsi esclusivamente alla posta del cuore, con i relativi commenti telefonici degli ascoltatori. Per concludere, nel corso di questi 25 anni davanti ai microfoni di Radio2 qualcosa invece non è cambiato mai: la mia convinzione che la radio non è assolutamente mai stata “la sorella povera della televisione” e mai lo sarà, ma se proprio deve pregiarsi di una parentela allora sì, è quella con il teatro. Anche per questo mi ha sempre fatto un po’ sorridere chi ha pensato di rivoluzionare la radio portandovi dentro “i televisivi”. Il percorso è sempre stato poco fruttuoso perché la radio possiede ciò che alla tv mancherà sempre, la capacità di stimolare nel pubblico l’immaginario. E perché chi vive di sola immagine si troverà forse un po’ a disagio nel regno della parola. Anche il percorso inverso mostra notevoli difficoltà, per questo è stato spesso molto difficile trasportare in tv programmi radiofonici di successo, a volte impossibile. E’ riuscito a pochissimi, forse solo a Fiorello, ma lui è un caso a parte, un’eccezione che conferma non solo la sua indiscutibile bravura (sia davanti ad un microfono, ad una telecamera o alla platea di un teatro) ma anche la regola dei difficili travasi dalla radio alla tv e viceversa. Vorrei finire esprimendo una mia convinzione nata dall’esperienza di autrice e conduttrice: gli ascoltatori radiofonici non sono affatto un “pubblico bue” ma, al contrario, sanno ben apprezzare l’intrattenimento intelligente, divertito e divertente, fatto da creatività, cultura, poesia, garbo e ironia. E che sia perciò fondamentale responsabilità dell’autore radiofonico (e televisivo) offrire tutto questo. E poi, in fondo, è risaputo che scrivere è facilissimo: basta sedersi davanti al computer finché la fronte non comincia a sanguinare… foto Paolo Ranzani VIVAidee APPUNTI & CONTRAPPUNTI SE LA SIAE MANCA DI COMUNICAZIONE E NON SE NE ACCORGE di Gianni Minà Nell’ultima riunione dell’Assemblea della Siae è stato deciso il passaggio della periodicità di Vivaverdi, da bimestrale a trimestrale, per ridurre i costi. Io ho votato contro e qui provo a spiegare perché. Ad un certo punto dell’ultima Assemblea della Siae, in un momento di stanca dopo quasi tre ore di discussioni snervanti sugli assetti futuri e i problemi attuali dell’azienda, è stato posto in votazione anche l’argomento riguardante la riduzione dei costi di Vivaverdi. Noi del comitato editoriale ne avevamo parlato nelle settimane precedenti con il direttore generale, dott. Blandini, facendo l’elenco di tutte le iniziative che si potevano intraprendere per raggiungere questo obiettivo. Riduzione del formato, incontro con la direzione delle Poste per possibili agevolazioni, visto che quella della spedizione è la spesa più alta del bilancio della nostra rivista, razionalizzazione delle spese grafiche e tipografiche, ricerca di sponsor, riduzione delle uscite di Vivaverdi da bimestrale a trimestrale. Quest’ultima era da parte nostra l’eventualità meno auspicabile, per tanti e chiari motivi che più avanti spiegheremo, e che quindi reputavamo dovesse essere l’ultima delle azioni da intraprendere. La riduzione delle uscite è stata invece votata, con il voto contrario del sottoscritto e l’astensione di Antonella Bolelli-Ferrera, senza che ci fosse una preventiva discussione, credo per stanchezza di tutti, anche mia che sono l’unico del comitato editoriale ad essere membro dell’Assemblea. Pochi minuti dopo questa votazione ho, però, recuperato e riproposto il tema interrompendo la discussione già in corso sul successivo argomento all’ordine del giorno e ho capito che molti degli stessi membri che avevano votato quella diminuzione alla circolazione di Vivaverdi erano già perplessi su una decisione che penso di poter definire autolesionistica. Avevamo già attuato, nell’ultimo numero, la riduzione del formato e delle spese di tipografia e grafica. Pensavamo, così, di dover aspettare il risultato degli incontri con le Poste o con i possibili sponsor prima di prendere qualunque altra decisione, ma evidentemente non c’è stata possibilità di chiarire adeguatamente ai membri dell’Assemblea il nocciolo del problema. Un nocciolo che, come iscritto a cinque sezione dell’azienda, come componente dell’Assemblea per la sezione Olaf e come militante da cinquant’anni del mondo dei media, ho individuate, in sintonia con i colleghi del comitato editoriale, proprio nella mancanza di una adeguata comunicazione della Siae con l’esterno. Ma come? Siamo un’azienda assediata, che non riesce a chiarire con l’esterno i sacrosanti diritti di chi produce opere di inge- VIVAVERDI 45 gno e la prima cosa che facciamo è quella di diminuire la circolazione della nostra rivista, che non è solo l’unico mezzo di informazione sulla vita e sulle esigenze della Siae, ma anche l’unica rivista di cultura musicale, cinematografica, letteraria, televisiva, teatrale, e di arti grafiche e figurative che affronta con un tono elevato il racconto di questo mondo. Oltretutto la difesa della cultura, al di là di qualunque interesse, è la risorsa indiscutibile che giustifica la nostra stessa esistenza come Società Autori ed Editori. Siamo infatti un’associazione che, semmai, avrebbe bisogno di un incremento più consistente, di investimenti nella comunicazione e non di una riduzione degli spazi. Ci sono tanti altri settori dove si può risparmiare o tanti altri modi di farlo, come ad esempio tentare di far uscire Vivaverdi allegato ad un quotidiano nazionale. Infine, per esperienza diretta, come piccolo editore, voglio segnalare che nel caso in cui si pensasse di mettere Vivaverdi nel web, bisognerebbe prendere atto che questa scelta presupporrebbe, attualmente, un incremento e non una riduzione di costi a causa del personale necessario ad una simile operazione. Ridurre ora le uscite di Vivaverdi, insomma, significherebbe trasmettere un segnale di precarietà, non di buona salute dell’azienda. I media già ci ignorano o ci indicano incorrettamente come sfruttatori dei giovani clienti del nostro prodotto. Vi sembra opportuno, chiedo allora alla base associativa, rinunciare anche solo a due numeri in più all’anno dell’unica pubblicazione che spiega il nostro mondo, i nostri problemi e racconta parte della storia della cultura italiana con una tiratura, ogni numero, di centomila lettori di partenza? [email protected] VIVAVERDI 46 musica INTERVISTA A FABRIZIO DE ROSSI RE TRA JAZZ E TRADIZIONE di Cristina Wysocki Mio padre, avvocato, era anche un pianista di jazz. Stimolato da lui come jazzista, sono molto legato all’improvvisazione, a una artigianalità di famiglia un po’ spicciola, su cui però si è innestato il fattore tecnico, dato dal conservatorio: le due strade hanno una forza viva, che mi serve a realizzare quello che più mi interessa. La pratica artigianale legata all’improvvisazione e la scrittura fatta di nozioni tecniche, di strutture, di forma, mi hanno messo nelle condizioni di crearmi una strada originale, che può essere bella, può piacere o no, ma essere comunque personale, per cui scrivo sempre più spesso musica che è vicina a quella che improvviso. Ho dei grandi predecessori sotto quest’aspetto, a partire da Chopin, la cui musica è tutta una trascrizione delle sue improvvisazioni, strutturate poi in un tema e uno sviluppo, o anche Debussy, in grado di improvvisare tranquillamente per ore. Compositori che hanno un certo spirito jazzistico. La scrittura musicale, da metà dell’800 in poi, ha fatto un po’ da padrona, con una scuola intimamente legata alla partitura, mentre in tutti i secoli precedenti la pratica improvvisati- Ha scritto lavori cameristici e opere radiofoniche, teatro musicale e colonne sonore di scena. Più che di ricerca, nel caso di Fabrizio De Rossi Re, bisogna parlare della realizzazione effettiva di uno stile personalissimo, di una sintesi che innesta il jazz sulla tradizione, l’improvvisazione sulla notazione in partitura, il teatro antico su un teatro dinamico, ‘performativo’. Un talento multiforme che si esprime in tante diverse proposte concrete per il futuro della composizione musicale. va era fondamentale. Tutto ciò mi ha aiutato anche per il teatro musicale. Più che a un teatro museale come si usa fare, cioè l’opera con tutti gli orpelli tipici, come i cantanti e l’orchestra, credo in un teatro che fa paradossalmente riferimento al teatro più antico. Nelle partiture della scuola napoletana, Leo, Jommelli, Paisiello, c’erano degli spazi immensi per l’improvvisazione e per l’armonizzazione al basso continuo. Io ho adottato questa pratica in tutto il mio teatro abbastanza recente, dal 2002 in poi, sempre con musicisti dentro alla scena, proprio per permettere questo spirito performativo. Lei dimostra un certo interesse per i timbri degli strumenti a fiato, un timbro che si collega alla voce, quindi alla vocalità e al teatro… Il filo rosso è assolutamente giusto. Vi- sta la mia formazione di base jazzistica, il suono dello strumento a fiato è una componente importante della mia logica musicale. Nel jazz l’uso della voce è abbastanza strumentale e le grandi cantanti, come Ella Fitzgerald, hanno una duttilità grandissima, piegano anche una canzone semplice a una drammaturgia. Questo, per me, è già teatro puro. Sono un musicista che si muove nelle pieghe di un mondo che offre una tavolozza estremamente ricca. Il teatro è un passo immediatamente successivo, perché un teatro che funziona, oggi, ha bisogno di uno spirito performativo. Abbiamo tali e tanti monumenti nel teatro musicale passato, lavori scritti straordinariamente bene, che hanno un po’ esaurito il genere…Oggi è assolutamente necessario trovare un’altra strada, fatta di una mescolanza di lin- guaggi. Le mie opere sono piene di suggestioni varie, possono esserci improvvisi tanghi, poi situazioni astrattissime, poi magari una canzone…tutto questo richiede però una particolare scelta degli interpreti. Ho lavorato splendidamente con Paola Cortellesi, un’attrice che gioca tutto sulle voci, sulle imitazioni, sui suoni, per Musica senza cuore, tratta dal libro Cuore di Edmondo de Amicis, su libretto di Francesca Angeli, dove lei faceva tutti i personaggi con le varie voci: la maestra, l’insegnante, il bimbo, tutte al femminile. Il teatro andrebbe proprio creato in questa dimensione, sfruttando le attitudini particolari, improvvisando in un certo modo, prendendo questo dato e immettendolo all’interno del discorso di un’opera. Parliamo anche dell’interesse e dell’intervento sui testi da musicare, testi tradizionali che vengono rimanipolati… Anzi trasgressivamente trasformati… Una delle esperienze per me più interessanti è stata un’opera radiofonica, Terranera, tratta da un libro splendido, Esercizi di Tiptologia di Valerio Magrelli, e commissionata da Rai Radiotre. In quell’occasione mi sono veramente reso conto del peso del testo: quando scrive un’opera, il compositore cambia, taglia, sposta, toglie l’aggettivo…poi in scena il canto fa funzionare tutto. Pensavo che il testo dovesse essere schiavo della musica, che non solo è un valore aggiunto, ma anzi può aprire un mondo. Ma dal testo di Magrelli non ho tolto una virgola, c’era un flusso di suono poetico assolutamente musicale! Un linguaggio musicale e una ricerca espressiva che si stanno indirizzando verso… Anche se oggi è una parola abusata, parlerei di contaminazione…può voler dire tutto o niente, ma è difficilissimo rispondere bene se non con delle frasi fatte. Al di là della mia formazione jazzistica sono sempre stato molto legato alla musica barocca, con uno strano innesto delle due forme. Sento di essere alla ricerca di questa fusione tra musica estremamente tradizionale, con idee che invece siano estremamente trasgressive, riuscendo a mettere l’uno dentro l’altro con consequenzialità, senza giustapporli ma creando quasi dei linguaggi paralleli tra uno e l’altro: questo per me è un vero divertimento! Così mi trovo a scrivere pezzi che ab- biano anche una dimensione ludica, con una voglia di fare al di là delle convenzioni, anche dal punto di vista della ricerca musicale. Come viene accolta la musica “seria” attuale da parte delle istituzioni? All’estero c’è una vitalità che purtroppo noi non abbiamo. Non è tanto il solo fatto economico, è anche una mentalità. Ho scritto sempre con grandissimo piacere musica per i documenta- Paola Cortellesi in Musica senza cuore, azione musicale grottesca per attrice, voce femminile, flauto, pianoforte, tastiera ed elettronica del compositore Fabrizio De Rossi Re, liberamente tratta dal Cuore di Edmondo De Amicis su libretto di Francesca Angeli. Festival I Concerti nel Parco, Estate 2003 ri, sceneggiati, serial tv: anche questo significa esistere nella musica. Ma volendo incontrare qualche direttore artistico era un settore un po’ da nascondere, cosa che ho riscontrato solo nel nostro Paese. In Inghilterra o in America, soprattutto, un compositore può da una parte scrivere la musica per lo spot pubblicitario e dall’altra un’opera per la Carnegie Hall, perché è un musicista! Qui invece no. Perché questa schizofrenia dei due mondi? Spero che le cose in Italia stiano cambiando e non ci sia più l’idea del musicista con la M maiuscola, che compone solo cose di un certo tipo, e poi c’è la musica di serie a, b, c, d…Secondo me tutto parte dalla formazione musicale che abbiamo in Italia, il problema è sempre lì. Il pubblico americano o inglese, anche di generazioni diverse, è abituato a mettere sullo stesso piano Schönberg e Ray Charles o Stravinskij e Frank Zappa. Qui abbiamo invece un pubblico falsamente indirizzato a pensare che ci sia la musica seria, quella leggera, eccetera. Ecco perché poi abbiamo dei vuoti impressionanti, un enorme distacco dal pubblico. Solopiano, l’ultima fatica, fatto di memoria, di immaginazione… E’ una composizione particolarissima, nata in uno studio di registrazione. Ho suonato per due ore di fila… ne è stato tratto un montaggio stranissimo in 1011 pezzi, dando una forma a una serie di In poche righe... Fabrizio De Rossi Re è nato il primo agosto 1960 a Roma. Si è diplomato al conservatorio di Santa Cecilia ma nella sua formazione sono stati importanti anche gli incontri con Sylvano Bussotti, Salvatore Sciarrino e Luciano Berio. Iscritto alla Siae dal 1979, attualmente insegna Elementi di composizione per didattica della musica presso il Conservatorio Giovan Battista Pergolesi di Fermo. Nella sua copiosa produzione (che comprende collaborazioni illustri con il Teatro dell’Opera di Roma, l’Accademia Filarmonica Romana e l’Accademia Nazionale S.Cecilia) si segnalano opere di teatro musicale come Biancaneve ovvero il perfido candore, su libretto proprio (1993), Cesare Lombroso o il corpo come principio morale, su libretto di Adriano Vianello (2001), Musica senza cuore, azione musicale grottesca liberamente tratta dal libro Cuore su libretto di Francesca Angeli con Paola Cortellesi, rappresentata a Roma nel 2003, le opere radiofoniche Terranera (radiofilm su testo di Valerio Magrelli prodotto dalla Rai per la regia di Giorgio Pressburger, 1994) e Orti di guerra (striscia quotidiana di musica e poesia su testi di Edoardo Albinati, prodotta da Rai RadioTre, 1995) e la musica scritta per la danza, L’ombra dentro la pietra (gruppo Entr’acte - produzione di Roma Europa Festival 1996 e del Teatro Hebbel di Berlino 1997). Ha scritto ed interpretato le musiche di scena per lo spettacolo Elettrotauri, su testo di Luis Gabriel Santiago (Spoleto, 2004). improvvisazioni che spesso erano una dentro all’altra. Mentre suono il pianoforte faccio riferimento a canti popolari tratti da un libro dell’ etnomusicologo Roberto Leydi: tanti canti siciliani, come quelli delle tonnare, o del carrettiere, canti per issare le vele, frammenti di canto, che ho messo dentro a questo viaggio del solopiano che gioca un po’ sugli estremi opposti. Partendo dal canto del carrettiere siciliano, che è estremamente sgraziato, tutto si trasforma piano piano in un canto quasi mozartiano. Questo gioco dello sfalsamento dei due registri crea un percorso molto incidentato, come un viaggio che ha ogni tanto delle trasgressioni, delle situazioni inattese. Ora sto scrivendo un’opera che si intitola King Kong amore mio, su libretto di Luis Gabriel Santiago su cui punto molto perché gli elementi teatrali vi si trovano inseriti tutti insieme, attori, danzatori…un tipo di teatro che è antichissimo e modernissimo allo stesso tempo. Non ci si inventa nulla, ma ci si distacca dal solito museo. Mi auguro che questo prenda sempre più piede, non solo per me, ma anche perché una generazione si apra un po’ a questo. Ho degli allievi al conservatorio che sono molto orientati verso composizioni in cui c’è il musical, poi addirittura la canzone, o l’aria finto-ottocentesca, segno che c’è una necessità in questo senso, una sorta di lettura della storia ormai sedimentata che bisogna ritirare fuori per creare cose nuove, altrimenti saremo sempre legati a stilemi che anche per i grandi musicisti sono senza via d’uscita. Si dice che il teatro è in crisi, specialmente oggi che non ci sono fondi da nessuna parte, ma finché il teatro resta quello che era per Donizetti, è normale che non ci sia più niente da dire, anche con opere splendide, scritte benissimo, con un libretto straordinario, che però rimane lì, è un qualcosa che è fuori dalla vita di oggi. E non è certamente il momento di gettare l’ancora. editoria DIGITALE LIBRO VIRTUALE, ECOLOGIA DIGITALE di Alberto Ferrigolo Nel mondo dell’editoria arriva un altro protagonista, il libro virtuale, ossia quel volume che vive e si acquista solo online. Un centinaio di pagine scaricabili da Internet e leggibili esclusivamente sullo schermo ma con la remota possibilità di stamparle o di richiederle anche in formato libro tradizionale. È il caso di Noi, robot di Diego Pierini, pubblicato dalla Cooper editore, che abbatte pesantemente i costi industriali e ha anche il vantaggio di poter essere aggiornato progressivamente, tenendo conto dei blog e del dialogo in rete. Dalla carta al web, dal reale al virtuale. Il libro, per come l’abbiamo conosciuto finora, passa la mano alla nuova realtà e ai nuovi “supporti” tecnologici. Così, dopo teorie e infiniti dibattiti sul- l’argomento – la libreria online di Amazon, la piattaforma Kindle, l’iPhone, il nuovo iPad di Apple, il Pc… – arriva finalmente in Italia (dove? non in libreria…) il primo libro virtuale. Niente carta, solo online. Uscito a metà marzo, per i tipi della Cooper editore, piccolo marchio di qualità dell’editrice romana Banda Larga, s’intitola Noi, robot, e l’argomento di cui tratta non poteva esser più in sintonia di così con la sua materiale sperimentazione. Interrogativo di fondo: “Un giorno le macchine saranno umane?” Domanda da un milione di dollari, per un pamphlet che indaga l’individuo artificiale tra scienza e fantascienza, ma anche storia, filosofia, tecnologia, cibernetica e neuroscienze, immaginazione allo stato puro, in un mix di discipline & saperi. Scritto, per altro, da un giovane posato quanto ta- lentuoso autore – Diego Pierini, trent’anni, precoce e coriaceo collezionatore di titoli accademici, due lauree, una terza in gestazione, appassionato cinefilo ma non solo, culturalmente onnivoro e anche autore televisivo d’un programma cult come Parla con me di Serena Dandini su Raitre –, che ha accettato, soi malgré, di fare da cavia rinunciando al piacere tattile, visivo e al fascino narcisista che ha il libro “di carta” per uno scrittore. Tanto più se alla sua opera prima. Noi, robot è solo online. Vive in una terza dimensione, quasi un ologramma. Non ha visibilità in questo mondo ma solo in quello web. Immateriale. Totalmente ed esclusivamente leggibile su schermo, acquistabile e scaricabile da Internet. Meglio, dal sito della casa editrice (www.coopereditore.it) o da quello di Lampi di VIVAVERDI 49 Diego Pierini, scrittore e autore televisivo. La sua opera prima Noi Robot è solo on-line. E’ possibile scaricarla dal sito www.coopereditore.it stampa (www.lampidistampa.it) primo editore italiano di print on demand. Stampa su richiesta. Qui, dunque, non parleremo di contenuti (il lento, inarrestabile, forse tragico e sorprendente reciproco avvicinamento tra uomini e robot…) – con presumibile disappunto dell’autore –, bensì parleremo solo di “contenitore”, perché mai come in questo caso è vero e tangibile il sillogismo di McLuhan che “il medium è il messaggio”. In sé Noi, robot è un libro del genere “pilota”, destinato a inaugurare una nuova frontiere dell’editoria italiana. Un titolo che precorre i tempi, perché nelle intenzioni del suo editore “è destinato a prefigurare la possibile nascita di una collana tutta e-book” spiega Emanuele Bevilacqua, socio di maggioranza di Cooper. Di fatto, in Italia qualcosa di simile non esiste. I principali editori producono, per lo più, ancora libri “tradi- zionali” su carta, che poi mettono in vendita anche attraverso i rispettivi siti. Ciò che, di fatto, li rende per lo più “negozi online”. E mentre i colossi editoriali appaiono guardinghi nello sfruttare le possibilità online offerte da una library come Amazon.com, più disinvolto è l’approccio dei piccoli editori, i cui “numeri” – tirature, distribuzione, vendite - restano tutto sommato sempre piuttosto contenuti: “Mettere il nostro catalogo in Internet – spiega Bevilacqua – ci aiuta ad allargare il bacino di utenza del marchio, contribuisce a farlo conoscere e a realizzare in termini economici e pubblicitari qualcosa in più rispetto alla libreria, essendo ormai lo strumento telematico decisamente in espansione, soprattutto tra una fascia di pubblico medio-alta che legge e fa pure acquisti online”. E veniamo ora agli aspetti più prettamente pratici di un libro solo online. Tecnicamente Noi, robot si scarica in pdf dal sito di Cooper editore o da Amazon.com al costo di 1,90 euro, prezzo davvero basso o ridotto all’essenziale perché si tratta di un prodotto immateriale: oltre ai contenuti, al lavoro dell’autore e all’impaginazione, l’apporto d’un grafico, non c’è null’altro. Niente carta, niente stampa, niente rilegatura, nessuna distribuzione. Tolto tutto ciò, il prezzo di copertina inevitabilmente s’abbatte da sé. Ma possibile che un libro possa costare così poco? E come si calcolano i diritti? Rispettati oppure no? Bevilacqua non si sottrae all’interrogativo, e con matita e taccuino alla mano fa con noi un po’ di conti: “Quando offro a un autore il 10% sul prezzo di copertina, in realtà gli sto proponendo circa il 25% dei miei ricavi” calcola Bevilacqua. “Questo perché circa il 60% del prezzo al pubblico va alla distribuzione e non all’editore. Se un libro costa 10 euro, a me editore vanno 4 euro per ogni copia venduta mentre all’autore un euro”. E su 1,90 euro? “Su 1,90 euro, il dieci per cento è il dieci per cento... cioè 19 centesimi…”. “La verità – dice Bevilacqua – è che adesso si apre un interessante dibattito che nessuno ha ancora affrontato: quello di ridisegnare le regole del gioco dell’editoria italiana. Ci saranno, già ci sono, più opportunità per l’autore, che può diventare un editore in proprio con un maggiore controllo sul distribuito e sul venduto”. In che senso? “A parte il bollino Siae, che sui grandi numeri di tiratura è e resta garanzia di certificazione per l’autore sulle copie effettivamente distribuite e vendute, in verità ciascun editore potrebbe dichia- 51 rare quel che gli pare, e non sono infrequenti infatti i contenziosi…, ma con il download la certificazione è precisa quanto immediata: tanti click, tante copie scaricate, tante copie vendute, tante copie effettivamente pagate”. Più certezza dei diritti…? “In cosa consiste il mestiere dell’editore?” si chiede Bevilacqua. “Nello scegliere i libri, definire il packaging, decidere il prezzo, istruire il canale di distribuzione e, dimenticavo, fare l’editing del libro, cioè suggerire modalità di scrittura, consigliare tagli, aggiunte, ecc… Con l’e-book ci sono i costi della creatività, fino all’impaginato, mentre spariscono del tutto i costi industriali”. Quindi il lettore scarica dal sito della casa editrice il suo libro e poi lo può leggere come un qualsiasi documento sul Pc oppure su Kindle, l’iPad, etc. Però, se lo vuole, lo può anche stampare con la sua stampante casalinga, ma dovrà mettere in conto il costo della risma di carta in formato A4, l’inchiostro delle cartucce. Oppure può averlo in formato libro tradizionale con copertina e al costo di 15 euro ordinandolo attraverso il sito Lampidistampa.it, che opera però in maniera indipendente dalla casa editrice d’origine del prodotto, cioè Cooper. “Per un libro più complesso – spiega Elena Giacchino, responsabile dell’ufficio stampa Cooper – con iconografie, ecc, sarebbe certamente più difficile poterselo stampare da sé, per tutti i costi conseguenti, fogli, cartucce del colore… Ma l’idea che sta alla base di questo nostro progetto è quella di sfruttare i nuovi sistemi di lettura come Kindle o l’iPad che considerano la stampa un passaggio superato”. In poche righe... Classe ’53, Emanuele Bevilacqua – cultore della Beat Generation – è giornalista e manager editoriale. Ha lavorato alla Curcio editore, al Gruppo Benetton, spostando la rivista Colors da New York in Italia, al Gruppo Espresso, Einaudi Stile Libero. Ha contribuito alla progettazione e al successo di numerosi periodici come National Geographic, Darwin, Limes, MicroMega. È amministratore delegato del settimanale Internazionale ed editore in proprio con l’editrice Cooper-Banda Larga, che dal 2005 offre una produzione fortemente caratterizzata dalla grande attenzione per i temi della geopolitica e della cultura americana, di tanto in tanto contaminati da brevi incursioni nella narrativa di qualità. Non è tutto. Noi, robot sarà anche il primo libro work in progress. Diego Pierini avrà la possibilità di aggiornare il suo lavoro continuamente, consegnando all’editore le nuove versioni di passi e capitoli, aggiungendone di nuovi o togliendone altri che ritiene superati, rinverdendo bibliografia e note. “È un libro che procede di pari passo con l’innovazione tecnologica – aggiunge la Giacchino –, editoria X.0”. Cioè, possibilità editoriali infinite o all’ennesima potenza per qualsiasi piattaforma digitale. E l’autore che dice? A parte l’ovvia soddisfazione, anche nel far da “cavia”, Diego Pierini introduce un’ulteriore nota di riflessione: “Grazie al compendio del blog e degli aggiornamenti, l’opportunità è poter sviluppare teorie e argomentazioni a partire da commenti, critiche, confronto con l’esterno, i lettori: viene a cadere anche la sostanziale autoreferenzialità dello scritto classico, in cui il processo di analisi e controargomentazione è comunque appannaggio solo dell’autore. Il libro diviene quindi una sorta di scintilla per la creazione di una teoria più vasta generata dal dialogo in Rete: supponendo la partecipazione al dibattito, il testo risulterà frutto di contributi innumerevoli. E poi, in ogni caso – conclude Pierini – il cartaceo non rimane escluso dal novero delle possibilità. Acquistare il libro in formato tradizionale, su carta, si può sempre, attraverso il sistema on demand, che ha un suo senso non soltanto in termini di costi e distribuzione, ma anche sul piano degli sprechi, perché la carta è sempre più un bene prezioso”. Ecologia, nel corpo e nella mente. Per editoria e autori un test importante. VIVAVERDI Emanuele Bevilacqua, scrittore, docente universitario e fondatore della Cooper edizioni. Attualmente è docente di Marketing dei media presso la facoltà di Scienze della Comunicazione di Lugano VIVAVERDI Eleonora Danco in una scena dello spettacolo teatrale Sabbia, di cui è autrice ed interprete 52 teatro INTERVISTA A ELEONORA DANCO ME VOJO SARVA’! di Linda Brunetta Qual è stato il percorso che l’ha portata alla scrittura per il teatro? A scuola ho fatto un corso di teatro e mi piaceva moltissimo, sebbene tutti gli spettacoli che avevo occasione di vedere non mi piacevano. Poi sono andata a vedere la Carmen di Peter Brook in francese, non capivo, ma capivo tutto: i personaggi sembrava volassero. Ho scoperto che quello era il teatro che avrei voluto fare: universale. Ho iniziato a fare l’attrice per il cinema e la televisione, ma non mi bastava. Avevo un mio modo di vedere le cose. Facendo la scuola di Proietti nell’85 avevo scritto un testo per due donne che si perdevano in un supermercato e riempivano i carrelli di cose inutili. Poi ho scritto Ragazze al muro, la cui protagonista è una ragazza-adulta che non riesce ad uscire dall’adolescenza, che non ha coscienza di sé, non si rende conto della sua condizione, ma semplicemente la vive. Nel quartiere la chiamano il “10 di denari”, cioè la matta. Ho interpretato questo testo insieme ad una ragazzetta di San Lorenzo, che non aveva mai recitato, in un locale sotto casa mia ed è stato un successo che non avrei mai immaginato, tanto che l’ho portato in giro a lungo per tut- “Vorei prende ‘e sembianze de ‘n uccello...un giorno solo...du’ minuti, aprì l’alette e annamene lontano...me vojo sarvà, me vojo sarvà!” . Ho conosciuto Eleonora Danco quando, alla Tv delle Ragazze, interpretava il ruolo comico della perenne “provinante” ogni volta respinta per palese incapacità. Oggi con il suo corpo efebico, adolescenziale e il sorriso disarmante da bambina, è sempre “una ragazza al muro”, una ragazza arrabbiata che racconta la condizione umana degli invisibili e degli emarginati, con un originale senso dell’umorismo. ta Italia. La prima recensione fu di Nico Garrone, a cui devo molto. E infatti ha scritto: “Scatenata energia, profonda palpabile disperazione, contagiosa euforia, un raro e mai comune senso dell’umorismo”. Perché utilizzare lo slang romano? In quel periodo vivevo a San Lorenzo, dove passavo ore da una fruttivendola. Ascoltandola ho assorbito naturalmente il dialetto romano. Io sono di Terracina e credo che non essere nata in una città possa aiutarti a capire meglio una lingua, a cogliere dall’esterno le sfumature e i comportamenti. Il dialetto romano ha un’arroganza poetica, non ha mediazioni, è poetico nel senso che è infantile, se lo usi in questo modo, non legato alla battuta. Il successo ha costituito la spinta per continuare a scrivere? Al contrario, mi sono fermata e per un lungo periodo molto intenso dal punto di vista della vita vissuta, ho fatto solo piccoli lavori, anche la comparsa. Quando finalmente ho ripreso a scrivere, non mi sono fermata più. Ho scritto un atto unico in italiano Nessuno ci guarda, dove il personaggio ha invece una coscienza: entra ed esce dall’infanzia, mette in discussione tutto, non riesce ad uscire di casa, perché ogni volta c’è un ricordo che la riporta indietro. E’ stato scrivendo questo testo che ho cominciato ad ispirarmi alla pittura di Jackson Pollock, una pittura in apparenza casuale, scarabocchi infantili all’apparenza, ma io ci vedo un percorso ossessivo, matematico. Un suo quadro mi sembrava cervello schizzato su una parete. Secondo me l’essere umano è apparente casualità in una coazione a ripetere: entrare e usci- In poche righe... Attrice per Moretti, Bellocchio, Scola, Muccino, Avati, nel 1998 debutta con il suo primo spettacolo Ragazze al muro. Inizia una collaborazione con il regista napoletano Mario Martone per cui scrive Mignotta ’56. Nel 1999 su commissione dello Stabile di Parma scrive Bocconi amari. Nel 2000 vince il festival di Casalbuttano sulla nuova drammaturgia con il monologo Nessuno ci guarda ispirato alla pittura di Jackson Pollock. Per Radio Rai Tre realizza il documentario Il vuoto e il monologo Non parlo di me. Nel 2005 scrive, dirige ed interpreta Me vojo sarvà al Teatro Piccolo Jovinelli di Roma. Nel 2007 debutta al Teatro Palladium di Roma con Sabbia, per la rassegna Garofano Verde, e al Piccolo Eliseo con il monologo La giornata infinita. Per 4 settimane è al Teatro India con Ero purissima, titolo del libro che ha pubblicato per Minimum Fax. Sta ultimando la lavorazione del documentario Il collo e la collana da lei scritto e diretto e la serie di corti Centocretine. In maggio è andata in onda su Sat2000 una monografia sul suo lavoro. Il giudizio della critica sul lavoro di Eleonora Danco è unanime: “Un vero talento, i suoi monologhi fanno ridere e fanno male, sono crudi e struggenti…”, scrive Marco Lodoli. “Le sue parole sono getti di colore, getti umani, sofferti e vitali”, secondo Mario Martone. “E’ un fenomeno di culto, come scrittrice e interprete di testi corsari…Bravissima” , per Rodolfo di Giammarco, che l’ha sempre sostenuta e incoraggiata. Noi ci auguriamo, come Renato Nicolini, di vedere i suoi spettacoli anche nei musei d’arte contemporanea. re da se stessi. Negli spettacoli l’uso del corpo è così importante ed estremo che potrebbero essere definiti performance artistiche? Uso molto il mio corpo, ma il mio tipo di scrittura è classico, non è scrittura scenica, non uso il corpo improvvisando e trovando così il testo. Prima scelgo la condizione che voglio rappresentare, poi scrivo il testo, che deve avere una sua architettura. Scavo nei personaggi per farli arrivare in modo diretto, senza dover spiegare, né fare morali, con l’aiuto del suono, del ritmo. Sono molto rigorosa, tolgo tutto quello che non mi sembra necessario per arrivare ad un’essenza, una verità. Devo prima convincere me stessa, il mio primo spettatore, poi lavoro sul corpo durante le prove. Anche se i miei spettacoli sembrano in apparenza casuali, sono molto costruiti, non cambio mai niente, i movimenti sono come delle coreografie. In Nessuno ci guarda volevo usare il corpo come colore. Le luci sono molto importanti nel mio lavoro. Per me la luce rappresenta l’inconscio, è come un altro personaggio, come la musica, che ha sempre montato per me Marco Tecce, utilizzando musiche già esistenti. L’impressione è che le emozioni vengano vissute con l’intensità di una trance, è vero? É una trance lucida. In scena io controllo tutto, vedo tutto, ma secondo me non si deve mai spegnere l’ispirazione, anche quando scrivi devi “andare sotto botta”. C’è un testo commissionato da Martone nel 2003 per una rassegna di autori che venne molto lodato. Si può considerare Pasolini un punto di riferimento, sia per l’utilizzazione del dialetto che per l’umanità periferica, disperata ma anche comica dei personaggi ? Ho visto Accattone a 25 anni e sono rimasta folgorata. Ammiro Pasolini, per il modo passionale, diretto, erotico di raccontare le cose, perché è ironico e leggero, ma anche fortemente lirico. Lo ammiro perché si è sporcato le mani con la realtà. Seguire l’esempio di Pasolini è incoraggiante, ti dà molta libertà, ma ti induce ad assumerti anche tutte le responsabilità. Per quella rassegna scelsi di ispirarmi ad un pezzo in cui attraverso due personaggi Pasolini racconta come stava cambiando la periferia. La trasformazione della periferia è un tema che mi interessa molto, spesso scrivo i miei testi dopo una serie di interviste a ragazzi che vivono nelle periferie. Non voglio giudicare se prima fosse meglio o peggio, ma mi rendo conto che oggi la felicità delle persone passa attraverso “i negozi”. Sono i nuovi punti di riferimento. Non si dice più dietro la chiesa, ma dietro la Standa, l’Upim. Su questo tema sto realizzando Centocretine, una serie di flash filmati in cui un personaggio recita all’interno di una vetrina di un negozio mentre la gente passa senza sentire quello che dice. La sua vita è la vetrina, ma lei non lo sa. È l’unica esperienza nel campo dell’audiovisivo? La mia è una scrittura visiva, per immagini e mi è venuto naturale iniziare un docu-film su mio padre che vive con una badante rumena, ispirandomi per le inquadrature alla poetica metafisica di De Chirico. È un’esplorazione sul tema della vecchiaia. Qual è la storia del libro, Ero purissima pubblicato di recente da Minimum Fax? É un testo che nel 2007 Albertazzi, direttore del Teatro di Roma, mi diede la possibilità di rappresentare al Teatro India. E’ stata per me una grande opportunità e devo ringraziare Albertazzi per aver creduto nella mia scrittura. Nel libro non c’è Scroscio rappresentato all’Ambra Jovinelli, in cui una donna questa volta borghese ottusa e anche violenta invischiata in un enorme barattolo di crema, né Sabbia un monologo sull’omosessualità, commissionato da Rodolfo Di Giammarco, in cui non volevo partire dall’accettazione della diversità, ma affermando che siamo tutti “diversi”, parlando di chi si nasconde, chi reprime l’omosessualità. Sono flash, come disegni sulla sabbia che poi svaniscono. Il nostro rapporto con il corpo è segnato dal senso di colpa, spesso condizionato dalla religione, mentre viviamo in un mondo in cui il corpo viene continuamente esibito, soprattutto in televisione. E’ un messaggio contrassegnato dall’ipocrisia, perché non è liberatorio, è una continua allusione al sesso di cui però non si può parlare correttamente. Gli scrittori di teatro sono spesso commissionati? Ho avuto molte occasioni fortunate, ma sempre casuali. A differenza della Francia, dove i teatri pubblici sostengono i drammaturghi contemporanei, sovvenzionando sia la scrittura che la messa in scena, per gli autori italiani non c’è questa possibilità. All’inizio un artista deve lottare, rimanendo il più possibile un tiratore libero, provocare parlando dell’essere umano, mettere in discussione per far riflettere, divertire, non deve passare per forza dall’istituzione, perché l’istituzione non crea i talenti, ma deve dare loro la possibilità che questo diventi un lavoro vero, serio, non casuale. É difficilissimo far girare un testo di drammaturgia contemporanea, vendere spettacoli di scrittura contemporanea agli Stabili, senza un produttore importante alle spalle. Mario Martone ha provato a Torino l’anno scorso un cartellone di drammaturgia contemporanea. Speriamo che sia andato bene. VIVAhanno detto a cura di Daniela Nicolai Foto Sophie Bassouls-Sigma SYLVANO BUSSOTTI Nei linguaggi del suono e della musica non vedo grandi differenze. A volte la canzonetta, che viene banalmente presentata come una cosa minore, è in realtà assai più bella e riuscita di tante pretenziose opere della grande musica. Lo capì perfettamente Proust che a proposito della musica popolare disse: è la grazia e il pensiero per milioni di persone. La Repubblica, 7 aprile 2010 ANNA OLIVERIO FERRARIS, PSICOLOGA La parola lascia uno spazio da riempire. La mente è libera di creare, pescando anche dalle proprie esperienze. Questo è utile soprattutto nella fase evolutiva perché sviluppa tutte le potenzialità del cervello. Quando un bimbo legge silenziosamente è più attivo che quando si dimena davanti ad un videogame. Corriere della Sera, 10 aprile 2010 ROSSANA CARRETTO (sulla lotta alla pirateria) di certo il giovane non ama che gli si punti il dito, preferisce invece che il concetto gli venga comunicato attraverso il proprio linguaggio ed essere trattato come individuo responsabile… A mio avviso bisognerebbe potenziare sia l’aspetto didattico-formativo che il supporto che permetterà loro di inserirsi nel mondo del lavoro, creare un vero e proprio “ponte” che possa collegare l’autore di talento con l’industria dello spettacolo e delle arti in genere. E’ anche vero che oggi un certo tipo di televisione ha abituato il giovane a pensare che per fare l’artista basta avere successo in un qualche talent show. In realtà per l’arte non è cambiato nulla: per vivere di questo mestiere ci vuole, oltre che il talento, tanta gavetta e tanto sudore per non sapere, alla fine, dove si arriverà. www.siae.it, 27 aprile 2010 LUCA RONCONI Il conformismo è più forte, i tempi non sono felici per il teatro, c’è disattenzione da parte del potere politico ma anche della stampa. Si danno alcune notizie, poche, e si abbandona una qualsiasi analisi, anche critica. Ma sotto la cappa dell’indifferenza istituzionale, il pubblico è numeroso e in cerca di qualità. Peccato che sia penalizzato, è un potenziale che non va fatto deperire. La Stampa, 20 aprile 2010 OSCAR MAGI GIUDICE DELLA IV SEZIONE PENALE DEL TRIBUNALE DI MILANO Internet è un formidabile strumento di comunicazione fra le persone, ma non può essere una prateria sconfinata dove tutto è permesso e niente può essere vietato pena la scomunica mondiale del popolo del web, anche perché non c’è peggior dittatura di quella esercitata in nome della libertà assoluta. Adnkronos, 12 aprile 2010 Foto Attilio Marasco MOGOL L’Italia ha vissuto per anni di snobismo accademico, ora si sta scoprendo che Battisti e De André erano importanti. Il secondo errore è che si apre troppo al mondo amatoriale. Si cerca il petrolio dove non ci può essere. Una volta non c’erano le scuole, ma c’era una discografia che lavorava. Uno come Dalla, quanto ci ha messo a diventare quello che è? Oggi non è possibile. Al secondo disco, se non funziona,vai già a casa. La Repubblica, 8 aprile 2010 ROBERTO MARONI Non rinuncio mai alla musica: in aereo ho sempre l’iPod e anche in ufficio c’è sempre musica di sottofondo. Fra lo stupore dei tecnici del ministero, mi sono fatto anche installare eMule sul pc per scaricare gratis. La mia è e vuole essere una provocazione, perché credo che la soluzione non sia quella francese di tagliare il collegamento a chi scarica illegalmente canzoni. La soluzione è creare un sito protetto, sicuro e legale, dove i ragazzi possano scaricare brani i cui diritti d’autore sono garantiti dall’intervento di uno o più sponsor. Questa è la via maestra per tutelare sul serio i diritti di tutti. Altrimenti, diventa difficile convincere mio figlio di 13 anni a non prendersi la musica da internet. La situazione di oggi è come scendere in strada e trovare un banchetto con la scritta “frutta gratis”. Panorama.it, 13 aprile 2010 MALIKA AYANE Nei reality show ci sono luci ed ombre. La cosa interessante è che vengono offerte chance reali a ragazzi seri e preparati. Ma spesso passa l’idea che avere un minimo di talento vocale conduca automaticamente a una carriera di cantante. Ecco, questo non è vero e fa male a tutti. Alla musica e a chi si illude. Panorama, 22 aprile 2010 LORIN MAAZEL E’ grave il comportamento di quei critici che fanno una guerra spietata contro tutti i giovani con idee originali, mentre non dicono una parola contro gli affaristi senza scrupoli che girano intorno al mondo della musica classica. Mi sembrano come quei poliziotti che si concentrano sulle multe agli automobilisti e chiudono gli occhi di fronte alla mafia. La Repubblica, 21 aprile 2010 Foto Bill Bernstein Foto Basso Cannarsa GILLO DORFLES E’ tempo che i critici ritornino a fare il loro mestiere. Nella mia mostra milanese recente, a Palazzo Reale, mi ha colpito come non mi sia stato mosso nessun rilievo veramente critico: né in positivo, né in negativo. Niente. Solo entusiasmo di facciata senza il coraggio di formulare un vero giudizio. Il che è una abitudine sempre più frequente. Corriere della Sera, 11 aprile 2010 RENZO ARBORE Oggi si è andati troppo oltre e la trasgressione è diventata una parola conformista. Tutti fanno trasgressione pur di andare sui giornali oppure per guadagnare di più al botteghino e per conquistare un punto di share in più in tv. La colpa è del mercato: oggi si fa tutto rigorosamente in funzione del mercato. Noi facevamo umorismo goliardico, scherzavamo con i tabù, sapevamo ridere delle nostre stesse battute perché era l’umorismo dell’ingegnere che scherza con chi sta in basso per ridere della sua stessa battuta. Oggi invece la goliardia è diventata sinonimo di volgarità. Oggi esiste solo l’umorismo usa e getta basato sull’attualità che ti fa andare sui giornali ma che tra dieci anni non farà più ridere nessuno. Agi news on, 20 aprile 2010 Foto A. Primavera LEOPOLDO LOMBARDI Non credo di fare della demagogia rivendicando il diritto di poter proteggere la proprietà intellettuale di fronte alla pirateria su internet. In termini di normative internazionali, non c’è solo l’Hadopi francese che punisce chi scarica illegalmente musica, film, serie Tv e software. Già a fine 2009 la Spagna aveva inserito la violazione della proprietà intellettuale fra i motivi che possono giustificare l’interruzione del servizio da parte degli ISP. Ora anche il Regno Unito ha la sua nuova legge anti P2P illegale. Segno che ovunque si avverte la necessità di garantire PIL e posti di lavoro soprattutto in un momento come l’attuale. Comunicato AFI del 12 aprile 2010 GABRIELE MUCCINO Il più grande limite di Roma, e di tutto il paese, è che non si guarda fuori. Ci accontentiamo di quello che il nostro compagno di banco sta facendo, siamo in competizione solo col vicino. Questo restringe molto la qualità del prodotto finale. I prodotti nostrani, quindi, rischiano di essere ingenui e poco competitivi; chi deve fare cinema si impigrisce, perché sa che il competitor è alla portata. Quando ho fatto film negli Usa mi sono confrontato con i giganti del cinema internazionale: una dimensione angosciosa e agonistica, che mi ha costretto a tirare fuori tutto il talento e tutte le armi possibili. Il Sole 24 Ore Roma, 14 aprile 2010 VIVAVERDI 55 ROBERTA TORRE Da spettatrice mi sembra che il nostro cinema si sia un po’ involuto, sono pochissimi i film che sceglierei di vedere. Uno dei maggiori problemi è l’autocensura preventiva legata al rapporto coi produttori… Mi sembra che certi argomenti siano considerati tabù, di morte di malattia, di sesso, di violenza non si può parlare. E poi si tende a riciclare gli stessi attori all’infinito, sempre gli stessi, negli stessi ruoli, sia in tv che al cinema. Insomma, non mi pare che questo sia, per la nostra cinematografia, un momento meraviglioso. La Stampa, 27 aprile 2010 VIVAVERDI 56 cultura STORIA DELLA SIAE/4 LA SFIDA DI MARCO PRAGA di Maria Cristina Lòcori Nella scorsa puntata si è parlato della natura giuridica della Società degli Autori, che nata a Milano nel 1882 come associazione approda nel 1891 al riconoscimento come ente morale. Negli anni a cavallo fra ‘800 e ‘900 la Società Italiana degli Autori comincia a strutturarsi come organizzazione in un Paese dall’economia ancora prevalentemente agricola. Migliaia di italiani varcano l’Oceano in cerca di fortuna. E’ l’Italia umbertina delle carrozze a cavallo e delle mongolfiere, ma anche dei primi tranvai e delle ferrovie; delle innovative encicliche di Leone XIII, il primo Papa senza potere temporale, che fonda la moderna dottrina sociale cristiana, affrontando il problema dei diritti e dei doveri del capitale e del lavoro, e di Pio X, fiero avversario delle teorie moderniste e socialiste. Il corpo elettorale del paese si amplia: se con la riforma elettorale Depretis del 1882 era passata dal 2% al 7% della popolazione, con la legge giolittiana del 1912 raggiungerà il 23%, ma le Camere respingeranno all’unanimità il suffragio femminile. Nel frattempo in tutta l’Europa si afferma il positivismo con l’esaltazione del All’inizio del Novecento la Società Italiana degli Autori opera a pieno titolo in un mondo culturale in grande fermento. Dalla sua sede di Milano la Sia muove con passo deciso verso una organizzazione più complessa, radicandosi sul territorio e stabilendo contatti proficui con le istituzioni e con gli utilizzatori. La nuova figura del Direttore Generale è affidata a Marco Praga, che pone le basi per la Siae del futuro. metodo scientifico e del progresso, che porta benefici nella vita quotidiana (dall’energia elettrica ai servizi igienici, fino alla sconfitta delle malattie) e un conseguente ottimismo. Molti scienziati, in qualità di autori delle proprie pubblicazioni, aderiscono alla Sia: dall’antropologo Paolo Mantegazza a Cesare Lombroso, discusso padre della criminologia forense, e all’astronomo Giovanni Schiaparelli; dall’abate Antonio Stoppani, geologo, paleontologo ed archeologo a Francesco Brioschi, genio indiscusso del calcolo algebrico; fino ai medici Malachia De Cristoforis, che dà dignità di disciplina autonoma alla ginecologia e combatte battaglie per l’igiene e per la cremazione, e Gaetano Pini, impegnato nel sociale per contenere la mortalità. Accomunati da una vicenda particolarissima i sacerdoti Roberto Ardigò, fondatore della psicologia italia- na, e Gaetano Trezza, scrittore e filologo, che, posti di fronte al dilemma fra i dogmi della Chiesa cattolica e il positivismo e l’evoluzionismo di Darwin, abbracciano entrambi queste ultime correnti di pensiero e dismettono l’abito ecclesiastico. Le tecnologie dei mezzi di diffusione della stampa registrano innovazioni tali da consentire la costruzione di nuove tipografie; libri e giornali diventano maggiormente accessibili a più ampi strati sociali: quotidiani, periodici, collane di poesia, narrativa e teatro sono distribuiti con una rapidità senza precedenti. E’ il momento degli editori che sanno adeguarsi alle nuove esigenze di mercato. Fra i Soci più attivi della Sia troviamo i nomi illustri dell’editoria libraria e musicale, da Giulio Ricordi (Consigliere dal 1889) a Emilio Treves (primo Vicepresidente della Sia), da Er- 57 VIVAVERDI Il libretto di La Bohème rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino il primo febbraio 1896, diretta dal ventinovenne Arturo Toscanini. manno Loescher ad Annibale Rechiedei. Tra questi Ulrico Hoepli (più volte Vicepresidente), l’inventore dei celebri manuali, che consentono per poca spesa di documentarsi su ogni materia. Anche Edoardo Sonzogno, importante editore nel settore delle collane economiche, dei quotidiani e dell’editoria musicale, dove è diretto concorrente della ditta Ricordi: mentre la Scala è considerata un feudo di Ricordi, Edoardo Sonzogno rifinanzia e fa restaurare il Teatro Lirico di Milano, le cui stagioni sono per lo più improntate al melodramma verista. Aveva fondato Il Secolo che per molti anni era stato il quotidiano italiano a più alta tiratura, con un’impronta democratica, in contrapposizione con il conservatore La Perseveranza, diretto da un altro socio della Sia, Ruggero Bonghi. Entrambi i giornali subiscono però il crescente successo del Corriere della Sera, fondato e diretto da un altro aderente alla Sia, Eugenio Torelli Viollier. Quest’ultimo, giornalista e politico, ex-garibaldino e poi conservatore moderato, ideatore e co-fondatore nel 1876 del Corriere della Sera, è personaggio fiero della indipendenza del suo giornale innovativo sotto diversi aspetti. Parola d’ordine: “ Informare prima di tutto ”, anche quando, a costo di far perdere copie al suo foglio, si affretta ad anticipare alla cittadinanza le notizie più importanti (come l’esito delle elezioni) affiggendo cartelli alle finestre della redazione e battendo sul tempo i concorrenti. In un contesto così articolato e composito, nel 1896 interviene a porre le basi della Sia quel Marco Praga che riunisce in sé molte caratteristiche spesso considerate incompatibili: la creatività del commediografo di successo, la for- VIVAVERDI I problemi economici degli autori sono talmente diffusi e conosciuti da ispirare la pittura di genere, legata ad una concezione aneddotica della realtà. Questa arguta rappresentazione dell’artista bohémien di Karl Spitzweg (Il poeta povero, Monaco. Collezioni statali bavaresi), richiama le iniziative anche solidaristiche della Società degli autori 58 cultura mazione tecnico-contabile (ama definirsi “ragioniere milanese”), la capacità di leggere i segnali provenienti dalla realtà sociale che, in Italia e all’estero, è in continua evoluzione. Il nuovo Direttore generale – che lascerà l’incarico solo nel 1911, optando per la direzione della Compagnia stabile del Teatro Manzoni di Milano, salvo poi tornare in veste di Presidente nel primo dopoguerra - si attiva prima di tutto per sanare il deficit di bilancio e per organizzare quella rete territoriale capillare che sarà in futuro una delle più preziose peculiarità della Sia, di cui evidenzia la funzione di Agenzia intermediaria. Lavora indefessamente per questi obiettivi, con “cure assidue, vigili e minuziose”, condividendo con gli agen- ti distribuiti sul territorio (il cui numero cresce in modo esponenziale) gli elogi che gli provengono dagli Autori, soddisfatti dei tangibili progressi nelle funzioni di riscossione dei diritti. Inflessibile con gli impresari e i capocomici, ma anche con i Soci Autori se provano a forzare le regole, ottiene visibilità per la struttura e fiducia personale: basti pensare che alcuni Soci gli accordano prestiti anche cospicui per sanare provvisoriamente il bilancio del 1896 e dare nuovo impulso alla Società. Non mancano, naturalmente, occasioni per polemiche con i soggetti danneggiati dalla sua determinata volontà di promuovere il repertorio nazionale e di effettuare energici controlli sulle produzioni francesi importate in Italia: dopo anni di acceso confronto con Adolfo Re Riccardi (principale importatore di opere drammatiche francesi) e con la Società degli Autori d’Oltralpe, si pongono le basi per i rapporti di reciprocità con quest’ultima, mentre la gestione dell’intero repertorio del primo è assunta dalla Sia nel 1904. Avvalendosi poi della conquistata stabilità, Praga dà attuazione ad un fine statutario che – fino a quel momento – era stato accantonato per motivi economici: dal 1903 la Società istituisce il Mutuo Soccorso, attraverso il quale il Consiglio Direttivo elargisce, con grande oculatezza, sussidi e prestiti ai Soci in difficoltà, oltre a coprire le spese processuali in occasione di procedimenti a difesa della violazione del diritto d’au- tore degli associati. Sotto la presidenza di Leopoldo Pullè (dal 1906 al 1913) e di Arrigo Boito (dal 1913 al 1916), il Consiglio Direttivo della Sia vede l’alternanza di nomi illustri che subentrano ai Fondatori: fra i Consiglieri figurano nomi di spicco come, fra gli altri, Antonio Fogazzaro, Giaco- mo Puccini, Sabatino Lopez, Tito Ricordi, Pietro Mascagni. Con il passare degli anni anche il testo dello Statuto si evolve in funzione delle esigenze della base associativa e delle loro priorità: modifiche sono apportate dall’Assemblea nel 1900 (R.D. 21 febbraio 1901, n. LV) e nel 1905 (R.D. WAGNER E PUCCINI Alla fine del XIX secolo il diritto d’autore è regolato in Europa in modo ancora disomogeneo, anche relativamente alla sua durata. In Austria il diritto di rappresentazione o esecuzione di un’opera drammatica o musicale è accordato, oltre all’Autore, agli eredi per soli dieci anni dalla sua morte. Accade così che con il 31 dicembre del 1893, a dieci anni dalla scomparsa di Richard Wagner, la moglie e i figli rischino di perdere ogni diritto sul repertorio del grande maestro, ancora richiesto da tutti i più grandi teatri. Il Governo austriaco, sensibilizzato sul problema, coll’assenso delle due Camere dell’Impero, provvede, con una legge generale, a prorogare per tutti di due anni la durata dei diritti d’autore. Analoga situazione si presenta in Italia, alla scadenza dei diritti d’autore su Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, il cui beneficiario è il Liceo Musicale di Pesaro. “La legge vigente (L. 19 settembre 1882, n.1012) fissa in ottanta anni la durata del diritto di proprietà delle opere adatte a pubblico spettacolo, di azioni coreografiche e di qualunque composizione musicale e stabilisce che tale durata abbia principio dal giorno in cui ebbe luogo la prima rappresentazione o la prima pubblicazione dell’opera. Il Re Umberto I, ritenuto che l’opera musicale Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini (…) cadrebbe nel dominio pubblico il 16 febbraio 1896 e che il Liceo Musicale di Pesaro vive in gran parte cogli utili che ricava dalle rappresentazioni dell’opera suddetta, e che tali utili cesserebbero col passaggio di essa nel dominio pubblico, turbando per tal modo l’andamento di questo nobile Istituto creato dalla munificenza dell’immortale Gioacchino Rossini, interviene con un Decreto Reale (che non richiede il previo esame delle Camere) e proroga di due anni il termine della durata del diritto di proprietà stabilito per l’opera Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini”. Il sommo giurista Enrico Rosmini confronta i due casi su “I diritti d’autore – Bollettino degli atti e notizie della SIA”, anno XV, aprile 1896, n.4, pag. 31, e commenta: “..e così si provvide agli interessi della famiglia Wagner; le opere del grande alemanno non dovevano in Austria cadere nel dominio pubblico prima che in Germania e negli altri Stati, ma ciò fu fatto con una disposizione d’ordine generale ed estesa a tutti gli abitanti dello Stato che potevano trovarsi nelle medesime condizioni. Successivamente, con la nuova legge austriaca 26 dicembre 1895 concernente i diritti d’autore sulle opere di letteratura, d’arte e di fotografia, §43, si portò la durata di questi diritti fino a 30 anni dopo la morte dell’autore. Il nostro Decreto-legge del 10 febbraio 1896, invece, non ha osservato le forme dell’art. 3 dello Statuto (Albertino, ndr), il quale dice il potere legislativo esercitarsi collettivamente dal Re e dalle due Camere: è una legge ad personam, che potrà invocare le attenuanti delle buone intenzioni”. VIVAVERDI 59 1° febbraio 1906). Con quest’ultimo Statuto è introdotta la distinzione fra Soci effettivi e aderenti. I Soci effettivi pagano una tassa di ammissione, un contributo annuo, l’aggio, prendono parte alle Assemblee generali, sono eleggibili alle cariche sociali, hanno i diritti di tutela stabiliti dallo Statuto e fruiscono del Mutuo Soccorso. I Soci aderenti sono esonerati dalla tassa di ammissione e dal contributo annuo, ma non dall’aggio; hanno i diritti di tutela stabiliti dallo Statuto ma non intervengono alle Assemblee, non fruiscono del Mutuo Soccorso e non sono eleggibili alle cariche sociali (salvo per la Commissione per i Piccoli Diritti Musicali). Sfogliando il Partitario (ovvero il registro nel quale si annotavano coloro che maturavano proventi) dei primi 15 anni del secolo, si trovano Soci effettivi dai nomi ancora noti, come Ferdinando Bideri e Carisch&Janichen, ma colpisce che avessero optato per la qualifica di aderenti, almeno in quegli anni, personaggi del calibro di Ildebrando Pizzetti, Libero Bovio, Luigi Illica, Salvatore Di Giacomo, Edoardo Di Capua e persino Giacomo Puccini. Tra gli autori di opere drammatiche o letterarie, ecco iscriversi Matilde Serao, Annie Vivanti Chartres, Gabriele D’Annunzio, Aldo De Benedetti, Sem Benelli, Ettore Petrolini, Luigi Pirandello, Ermete Zacconi, e le regine delle scene Adelaide Ristori ed Eleonora Duse. Di fatto la base associativa nel 1906 è rifondata sulla base dei nuovi criteri: da circa 300 Soci nel 1906, il traguardo dei mille è superato nel 1910 fino a raggiungere 1500 nel corso della I Guerra mondiale: interessante notare che il dato non deflette in corrispondenza dell’evento bellico. VIVAVERDI Sotto, la copertina del 45 giri Champagne in edizione francese, con la fascetta “n. 1 en Italie” su una bottiglia di una famosa marca . A fianco, Antonio Pecci Filho in arte Toquinho con Sergio Iodice, suo collaboratore fin dal 1997 60 musica INTERVISTA A SERGIO IODICE “SONO UN ARTIGIANO DI SOGNI, COI PIEDI PER ARIA” di Flaviano De Luca Chi l’ha dimenticato lo scialle della mamma? La prima timida copertura dello spogliarello di una ragazza ( E lo scialle della mamma/ guarda un po’ che fine fa… La camicia di velluto/ lentamente cade giù, poi mi dici/” Non sta bene tu non puoi veder di più”). Era la strofa acchiappa uditorio, il gancio verbale di Non lo faccio più, la canzone vincitrice del Festival di Sanremo 1976, cantata da Peppino di Capri ( al suo secondo successo sulla riviera ligure) e scritta da Sergio Iodice per il testo e Depsa (Salvatore De Pasquale) per la musica. “Quello è stato un grande riconoscimento pubblico del nostro lavoro – confessa Sergio Iodice, napoletano, per tanti anni avvocato di un importante istituto di credito, profondamente innamorato del pentagramma e delle parole giuste - Eravamo un gruppo di ragazzi, animati da un grumo di passioni, innanzitutto la musica, instancabili ascoltatori di Sanremo e del Festival di Napoli, e le poesie, i bigliettini che scrivevamo alle ragazze, poi quello che ci succedeva intorno, le trasformazioni della nostra società meridionale. Venni in contatto con Peppino Di Capri, al- Ha scritto centinaia di canzoni compresi grandi successi come Champagne per Peppino Di Capri, Balliamo per Fred Bongusto e Vola per Eduardo De Crescenzo, brani che sono diventati classici dei locali notturni e dei pianobar. Eppure Sergio Iodice, autore di testi da oltre trent’anni, si entusiasma a raccontare del suo ultimo progetto, titolo provvisorio Opere d’arte, la versione italiana del nuovo disco di Toquinho, dodici canzoni con le liriche del poeta cileno Antonio Skarmeta, quello di Il Postino, che verrà pubblicato in autunno contemporaneamente in spagnolo, portoghese e italiano. lora in un periodo di stanca della sua carriera, e gli detti un parere spassionato su alcuni brani che aveva in pre- parazione. A me non piacevano granché. Lui apprezzò la mia sincerità e cominciammo a collaborare… Il primo brano fu Barbara, un 45 giri del 1970, uno dei primi per l’etichetta discografica fondata proprio da Peppino, la Splash. Un brano nato sulle ali dell’entusiasmo e scritto per la moglie del cardiologo Christian Barnard, in quel periodo in vacanza a Capri. Il primo grande successo fu, invece, Champagne, un singolo del 1973, scritto con Di Francia e Depsa, che inizialmente stentò, poi si affermò in Italia e in Europa”. La leggenda racconta che il motivo cominciò a farsi largo in un taxi, sulla tortuosa via Tasso che collega il Vomero alla città storica, Sergio era in compagnia di Mimmo Di Francia che aveva in men- te questo motivo da giorni. “Un brano che espone un po’ la mia filosofia. Il titolo è importante e farà sì che la canzone verrà associata alle feste e ai brindisi. Ma è il secondo verso che dà il senso giusto e indirizza l’andamento. Champagne/ per brindare a un incontro/ con te che già eri di un altro/ …./ Champagne/ per un dolce segreto/per noi/ un amore proibito” . Peppino di Capri lo portò a Canzonissima ma si classificò solo quinto poi negli anni il brano è diventato un classico con milioni di copie vendute in tutto il mondo (ed è la canzone italiana più eseguita nei night club e locali notturni all’estero). Fino al 1979, l’anno in cui le strade dei due amici si separano, Iodice scrive decine di canzoni per Di Capri, tra cui Auguri, Magari, Incredibile voglia di te, Fiore di carta (la versione italiana di How deep is your love dei Bee Gees), Ammore scumbinato (in napoletano) .” Il secondo grande personaggio della sua carriera è Fred Bongusto, “ meticoloso, appassionato, grande giocatore di tennis”. Nacque un po’ per caso, “gli portai Facciamo pace, scritta insieme con Paolo Moscarelli”. Da subito la collaborazione produsse buoni frutti come Balliamo (1977), un classico del pianobar, grande successo nei locali notturni, la canzone tipica per un tenero guancia a guancia (Balliamo, è da tanto tempo che non lo facciamo/ balliamo, c’è la musica che piace pure a te/ andiamo, questa sera sono in vena di follie/, noi due stretti stretti come tanto tempo fa) alcuni brani della colon- na sonora di La cicala, di Alberto Lattuada (che vince il Nastro d’Argento per la migliore colonna sonora, nel 1980), Cantare (1986) e Scusa (1989), entrambe presentata al festival di Sanremo. Negli anni novanta scrive Vola per Edoardo De Crescenzo, sulla musica di Maurizio Morante. “Fu abbastanza piacevole mettere su il tour Due ragazzi irresistibili (una produzione dell’impresario Fausto Paddeo) con Bongusto e Di Capri, uno spettacolo davvero entusiasmante, una raffica di canzoni melodiche davvero importanti tra il tono confidenziale di Bongusto e la voce carezzevole di Peppino. Si erano trovati sul palco l’uno accanto all’altro d’estate a Sant’Angelo di Ischia, in una magica serata d’agosto e proprio lì nacque l’idea di fare una tournée insieme. Ognuno con la propria band, scambiandosi i brani, così Bongusto cantava Nun è peccato e Peppino Doce doce, raccontando la nascita e la fortuna delle varie canzoni, fino a Fatti così, cantato insieme dai due (scritta da Iodice insieme a un giovane musicista, Giovanni Di Gennaro,ndr), che diventerà anche un cd live, registrato nel 1996. Un vero trionfo di spettatori, con date anche all’estero”. Successivamente ci fu anche il tour insieme di Fred Bongusto con Toquinho, il chitarrista e cantante brasiliano che ha lavorato lungamente con Vinicius de Moraes, e ha lontane origini molisane. Da quell’incontro venne fuori Brasiliando, una canzone e un album di successo. (Io che sono nato brasiliano/ potrei essere ita- liano/differenza non ce n’è/ Noi che abbiamo il mare nelle vene/ siamo frutti di stagione, siamo uguali a te/ quanti innamorati sogneranno/ quante notti balleranno se tu canti insieme a me) e un rapporto d’amicizia, duraturo nel tempo. Così , dopo aver scritto Aeroplani di Toto Cutugno (su musica di Claudio Romano e dello stesso Cotugno, presentato all’ultimo Sanremo), Iodice è al lavoro sulla dozzina di canzoni scritte da Toquinho, col testo di Skarmeta in spagnolo, un album prodotto da RaiTrade che uscirà in autunno. ”Ho passato un’intera giornata con un ragazzo di madrelingua brasiliana per decifrare il testo di Toquinho. Ci vuole grande attenzione perché una cosa è il senso della canzone che si può riprendere e va bene, un’altra cosa la scelta delle parole per adattare le sonorità originali. Ma è un lavoro entusiasmante, un’abilità manuale da artigiano dei sogni, uso la penna invece del bulino per far venire fuori situazioni e frasi che trasmettano emozioni, che funzionino con la musica”. Ma esiste un segreto per afferrare il momento e l’ispirazione per mettere giù le liriche di una canzone? “Nel nostro mestiere quello che conta è l’entusiasmo e la passione, anche e sopratutto nei momenti di stanca perché poi arrivano sempre nuove emozioni. Tra queste attualmente c’è la collaborazione musicale con mia figlia Vanina che alterna il suo lavoro di scrittrice, ha appena pubblicato il suo primo romanzo, (Il broncio, per Kairos Edizioni) con quello di autrice. Proprio in questi giorni abbiamo ultimato un nuovo brano che già amo da morire su musiche di Gabriella Barbagallo, giovane e valente musicista siciliana. Scrivere con la propria figlia è un’esperienza magica. La magia che ci rende uguale ai bambini quando sono seduti: non stiamo mai con i piedi per terra”. VIVAVERDI 61 VIVAVERDI Francesco d’Avalos, compositore e direttore d’orchestra, autore del dramma musicale Maria di Venosa sulla figura della sfortunata principessa, che fu sua antenata 62 lirica FRANCESCO D’AVALOS MARIA E FABRIZIO, IL PIU’ TRAGICO ADULTERIO DEL BAROCCO di Dario Oliveri Genio e follia: questo binomio si adatta perfettamente all’esperienza del “principe dei musici” Carlo Gesualdo di Venosa (1566-1613), le cui ultime opere tra cui il Quinto e il Sesto libro dei madrigali a cinque voci e i Tenebræ Responsoria, tutti pubblicati nel 1611 - riflettono il furore e le ombre del Barocco italiano al pari dei versi iperbolici di Giambattista Marino (È del poeta il fin la meraviglia/.../chi non sa far stupir, vada alla striglia”), delle colonne vitinee concepite da Bernini per il baldacchino di San Pietro, delle immagini affioranti dal buio di Caravaggio, enfant prodige e artista maledetto del suo tempo, colpevole - come Gesualdo - di omicidio e costretto alla fuga. A Malta e in Sicilia il Caravaggio realizza alcune delle sue opere più drammatiche (La decollazione di San Giovanni Battista, La sepoltura di Santa Lucia, La resurrezione di Lazzaro), che vedono la luce tra il 1608 e il 1609, negli stessi anni cioè che Gesualdo trascorre in solitudine nel suo Castello dell’Irpinia, “arroccato su un monte”. Poco più di vent’anni prima, egli aveva sposato la bellissima cugina Maria d’Avalos (1560-1590): “Il matrimo- A Napoli, a pochi passi dalla Chiesa di san Domenico Maggiore, basilica gotica e luogo di sepoltura dei nobili aragonesi, c’è la misteriosa, inquietante e sublime Cappella Sansevero, ricca di opere d’arte di valore inestimabile, e l’imponente e cupo palazzo dei principi di Sansevero. Nel Seicento fu teatro di un terribile delitto, organizzato da Carlo Gesualdo di Venosa, aristocratico e proprietario terriero che coltivò la musica per diletto, diventando un eccezionale madrigalista. L’uccisione dei due amanti Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa, nobili di famiglia e di celebrata bellezza, si è impressa profondamente nella coscienza del popolo napoletano ed è stata ricordata, per diversi secoli, da cantastorie di strada come da autori colti. Un posto di rilievo merita il dramma in due parti Maria di Venosa, scritto nel 1992 dal compositore e direttore d’orchestra Francesco d’Avalos, discendente della sfortunata principessa. nio”, scrive Giovanni Iudica, “fu celebrato nel 1586 nella chiesa di San Domenico Maggiore con magnificenza. Il cardinale di Napoli e il cardinale d’Aragona concelebrarono l’uffizio. Era presente, a fianco dei parenti degli sposi, il viceré, duca di Ossuna. [...] Quando Carlo e Maria si affacciarono sul sagrato, il popolo restò per un attimo senza fiato e poi uno scroscio di applausi e di grida accolse gli sposi”. Assediata da complimenti e galanterie di ogni genere, Maria riuscì a respingere perfino la corte dello zio del marito Giulio Gesualdo, che pure tentò varie volte di “farla pieghe- vole alle sue voglie”, ma cedette alla corte del duca Fabrizio Carafa, incontrato per la prima volta a una festa da ballo. Nell’ottobre del 1590, quando “la storia di quell’adulterio era ormai sulla bocca di tutti” e il popolino già “si eccitava in racconti scurrili di crapule amorose“, Gesualdo decise di tendere una trappola ai due amanti e di ucciderli con l’aiuto dei suoi fedelissimi. L’istruttoria del processo durò meno di un giorno e si concluse con un’annotazione del viceré, conte Miranda, in cui si ordinava l’archiviazione del caso “stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mos- so don Carlo Gesualdo principe di Venosa ad ammazzare sua moglie e il duca d’Andria come sopra”. Dopo un anno di volontario esilio nel suo castello, Gesualdo fece ritorno a Napoli, “attratto e come calamitato da quella casa [...] in cui si era consumata la sua tragedia” e nel febbraio del 1594 sposò Eleonora d’Este, nipote di Alfonso II duca di Ferrara e di Urbino (che a sua volta era nipote di Lucrezia Borgia e aveva sposato in prime nozze una figlia di Cosimo de’ Medici): un mese prima delle nozze, a Gesualdo venne recapitata una lettera di congratulazioni e di augurio del re di Spagna Filippo II. La tragica fine di Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa si impresse profondamente nella coscienza del popolo napoletano (che prese fin dall’inizio le parti dei due amanti) e fu cantata sia da artisti popolari come Giovanni della Carriola e lo Sbruffapappa, “un omone gigantesco [...] e dal passato burrascoso, che intonava rime tenere e delicate”, che da autori ben più colti come Ascanio Pignatelli e in seguito Giambattista Marino e persino Torquato Tasso, “l’amico di famiglia, il beneficiato, il mantenuto di casa Gesualdo”, che scrisse un sonetto in cui piangeva la sorte dei due amanti, ma non certo del marito. Tra i compositori del nostro tempo che hanno portato sulle scene l’amara vicenda, si ricordano invece Gino Negri, autore dell’atto unico Diario dell’assassinata (1978), interpretato a suo tempo da Milva; Arthur Schnittke, al quale si deve un controverso Gesualdo (1995) in cui la tragedia cinquecentesca si trasforma un semplice fatto di cronaca nera; Salvatore Sciarrino, che al “principe dei musici” rende un doppio, raffinatissimo omaggio: quasi cifrato il primo, l’opera in due atti Luci mie traditrici (1996-98), in cui 63 la “Malaspina brucia d’amore per l’Ospite / il suo sposo sa del tradimento / mostra alla donna di perdonare / tuttavia si vendica sanguinosamente”; più esplicito (seppure stilizzato) il secondo, la Terribile e spaventosa storia del Principe di Venosa e della bella Maria (1999), nel quale i pupi siciliani e il cunto di Mimmo Cuticchio svelano gli aspetti più “eroici, patetici e farseschi” del tema. In questo scenario di evocazioni, occupa tuttavia una posizione assolutamente unica il dramma in due parti Maria di Venosa, ultimato nel 1992 dal compositore e direttore d’orchestra Francesco d’Avalos (Napoli 1930), discendente della sfortunata principessa. Allievo di Francesco Vitale al Conservatorio di San Pietro a Majella e di Paul van Kempen, Sergiu Celibidache e Franco Ferrara al- VIVAVERDI Carlo Gesualdo, sorretto da San Carlo Borromeo, riceve il perdono dei suoi peccati. Un particolare della “ Pala del perdono” (1609), il dipinto di Giovanni Balducci che si trova nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie di Gesualdo, il paese in provincia di Avellino. Torquato Tasso scrisse a proposito della tragica sorte di Maria e Fabrizio,” Piangi, Napoli mesta, in bruno ammanto/ Di beltà, di virtù l’oscuro occaso/E in lutto l’armonia rivolga il canto” VIVAVERDI 64 lirica l’Accademia Chigiana di Siena, Francesco d’Avalos ha scritto alcune pagine di musica da camera (tra cui un bel quaderno di Composizioni per pianoforte, recensito da Quirino Principe sul “Sole 24 Ore” e inciso da Francesco Libetta) e varie partiture per orchestra: Sinfonia n. 1 (1957), Hymne an die Nacht (“Inno alla notte”, 1958), Studio sinfonico (1956-82), Lines (1963) e Die stille Stadt (“La città silenziosa”, 1994). Inoltre, ha realizzato due importanti opere di teatro musicale, Maria di Venosa e Qumrãn (2002), in cui sviluppa una sua personalissima concezione drammaturgica: “Ritengo”, scrive l’autore, “che l’opera abbia raggiunto nel Settecento il suo equilibrio nella divisione tra Recitativo e Aria. Si dava così spazio da un lato all’azione e dall’altro all’espressione. [...] Con l’opera romantica e poi con quella verista, il libretto, tutto musicato, è passato in secondo piano e non sempre è rimasto comprensibile all’ascolto. [...] Per chi non è informato in precedenza, è quasi impossibile dare un senso, se non per ipotesi, all’azione scenica: è difatti difficile riuscire a percepire le parole cantate. [...] Queste considerazioni, mi hanno spinto a concepire un Dramma musicale per teatro senza un effettivo libretto in senso tradizionale. L’azione scenica si svolge così come in un film muto e l’orchestra, il coro e alcune parti soliste si sostituiscono alle parole che non vi sono, ma che, se vi fossero, egualmente (come avviene per tutte le opere) non si riuscirebbero a comprendere. Nella mia visione del teatro musicale, i personaggi agiscono ma non cantano. Quando cantano, significa che lo farebbero anche nella realtà: così, per esempio, avviene nella Maria di Venosa con la cantilena di Maria, con il canto della veggente e con il Requiem æternam, così come tutti i cori maschili del mio dramma Qumrãn“. Pubblicata dalla Casa Musicale Sonzogno e sino ad oggi “colpevolmente trascurata da qualsiasi programmazione teatrale” (Principe), Maria di Venosa è stata eseguita e incisa in forma di concerto a Londra nell’agosto 1994, insieme con Susan Bullock (soprano), Hilary Summers (contralto), il quintetto Apollo Voices e la Philharmonia Orchestra and Chorus diretti da Francesco d’Avalos (Chandos). I personaggi dell’azione sono Carlo Gesualdo, Maria d’Avalos, Fabrizio Carafa, Giulio Gesualdo zio di Carlo, un Prete musico al servizio del principe, Laura Scala cameriera di Maria e Una Veggente. L’esecuzione musicale prevede due voci femminili, un ensemble a cinque voci (due soprani, contralto, tenore e basso), un gruppo strumentale (con due violini, due flauti dolci, viola, viola da gamba, violoncello, liuto e clavicembalo), grande orchestra e un coro misto di 46 elementi. La struttura formale, con due parti simmetriche di sette scene/sequenze ciascuna, ambientate in luoghi diversi e collegate da intermezzi, allude forse all’architettura del Wozzeck (1925) di Berg, che d’altronde racconta anch’esso di un tradimento e un delitto: l’omicidio di un’altra Maria. Del maestro viennese, Francesco d’Avalos rievoca d’altronde anche la tensione espressiva e l’esigenza di porre l’orchestra al centro dell’azione, facendo emergere dal flusso sonoro materiali remoti: in questo caso le opere di alcuni autori minori del tempo (Andrea Ansalone, Jean de Macque, etc.), insieme con una Gagliarda e due madrigali dello stesso Gesualdo: “Moro lasso al mio duolo” e “Io pur respiro in così gran dolore” (dal Sesto libro). La prima e l’ultima scena si svolgono entrambe nel castello di Gesualdo, la notte dell’8 settembre 1613: il principe “è Libri, cd e dvd su Gesualdo La bibliografia in lingua italiana su Gesualdo si è arricchita nel 2010 di due nuovi titoli, che si aggiungono dunque al volume di Pietro Misuraca, Carlo Gesualdo da Venosa. Principe dei musici (L’Epos, Palermo 2000). Si tratta di Gesualdo da Venosa di Orsola Tarantino Fraternali e Katy Toma (pubblicato da Luciano de Venezia) e della Giostra del principe. Il dramma di Carlo Gesualdo di Salvatore La Vecchia (pubblicato da Mephite, con una bella prefazione di Ruggero Cappuccio). Sul piano della ricostruzione biografica, con particolare riguardo alla “triste vicenda” dell’ottobre 1590, va inoltre segnalato, quale testo di assoluto riferimento, il libro di Giovanni Iudica Il principe dei musici. Carlo Gesualdo di Venosa, pubblicato per la prima volta nel 1993 e riproposto quattro anni dopo con l’aggiunta di un’ampia documentazione iconografica e d’archivio (Sellerio, Palermo 1997). Il regista tedesco Werner Herzog (Nosferatu, Fitzcarraldo...) ha dedicato a Gesualdo il film-documentario Death for Five Voices (“La morte a cinque voci”, 1995) in cui descrive, con il suo sguardo tipicamente visionario, i luoghi in cui ha vissuto il principe-musicista, portando sullo schermo anche Milva, Alan Curtis e Francesco d’Avalos, che esegue al pianoforte alcuni frammenti da Maria di Venosa. Tra le incisioni delle opere di Gesualdo, rimangono tutt’oggi imperdibili l’ormai storica registrazione del Quinto libro dei madrigali realizzata nel 1983 dal Consort of Musicke diretto da Anthony Rooley (L’Oiseau Lyre) e la più recente, magnifica esecuzione dei Tenebræ Responsoria realizzata dall’Hilliard Ensemble (Ecm New Series). Tra le rarità, si segnala infine la registrazione del Monumentum pro Gesualdo di Venosa ad CD annum (1960) di Igor Strawinsky, diretta dall’autore con la Columbia Symphony Orchestra (Sony Classical): si tratta della trascrizione per orchestra di tre madrigali dal Quinto e Sesto libro, da cui emerge una “forza d’espressione cromatica” che non riusciamo più a comprendere “perché le nostre orecchie sono state corrotte dalla musica successiva” (Strawinsky). da. o. 65 seduto in poltrona, le forze l’abbandonano, sente che la morte è vicina, ma ancora prova a comporre musica. Va al cembalo e inizia a suonare (un gruppo di musicisti, al lato della scena, suona un breve frammento che va inteso come realizzazione del pensiero musicale di Gesualdo); ma in quel momento egli vede, nel quadro che effigia la sua seconda moglie, Eleonora d’Este, la figura viva della prima moglie Maria d’Avalos, vestita di bianco”. Durante la notte, il principe “rievoca in se stesso il corso drammatico della sua vita” di cui si costituisce il soggetto del dramma vero e proprio: le ore successive al matrimonio con Maria, il canto melanconico di lei, la violenza dei rapporti con la moglie, una tempesta in cui “ambedue avvertono un presagio di tragici eventi”, il primo incontro di Maria con Fabrizio Carafa a una festa nel palazzo del viceré di Napoli. Nella parte iniziale, s’impone soprattutto il blocco drammaturgico formato dalla terza e dalla quarta scena, che inizia con un madrigale a cinque voci, cui fa eco il canto struggente di Maria che si dispiega, come limpida linea di luce, sui glissando degli archi con sordina, e prosegue in un cupo, tenebroso crescendo. Tra gli episodi conclusivi appare invece magnifica l’ottava scena: “Sul balcone del palazzo del viceré Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa iniziano i loro primi colloqui d’amore. Sulla spiaggia circostante [...] alcuni uomini portano a braccio un uomo e una giovane donna morti, accoltellati, che vengono adagiati sulla rena; alcune donne, che seguono i due uccisi, piangono la loro morte con un lugubre canto. [...] Una donna sola ammantata, una veggente, discosta di poco dalle altre donne, profetizza un’altra morte tragica per amore [...]”. Tenue, delicatissima, notturna è anche la scena undicesima; mentre la sequenza del delitto viene sottratta agli sguardi del pubblico e si svolge quando la veggente intona alcuni versi dello stesso Francesco d’Avalos. Nella scena finale, in cui l’azione ritorna nel castello di Gesualdo, fiorisce tra i suoni tenuti degli archi il testo del sonetto composto da Torquato Tasso in memoria dei due amanti: “Alme leggiadre a meraviglia e belle / Che soffriste morendo aspro martirio”. La voce del contralto s’intreccia ai vocalizzi soavi del soprano, mentre d’un tratto il coro intona sommesso “Requiem æternam dona eis Domine”: “Gesualdo è in poltrona, sul punto di morire. [...] Come una visione, egli vede la cerimonia funebre della prima moglie Maria, allestita dai monaci nella chiesa di San Domenico [...]. Al termine di questa visione, Gesualdo ha un tremito e muore. Nell’attimo in cui Gesualdo spira la stanza diventa buia. Dal fondo appare un giardino fantastico e luminoso dove la prima moglie Maria, vestita di bianco, insieme con altre persone anch’esse vestite di bianco, chiama Gesualdo per condurlo in un mondo remoto senza tempo e senza passioni”. La musica rallenta gradualmente e infine s’arresta, perdendosi nel nulla. VIVAVERDI La copertina del disco Maria di Venosa, registrato in forma di concerto a Londra nel 1994 con Susan Bullock (soprano), Hilary Summers (contralto), il quintetto Apollo Voices e la Philarmonia Orchestra and Chourus diretta da Francesco d’Avalos VIVAin breve a cura di Alberto Ferrigolo za di Coinstar e Netflix, affermatisi con gli ordini online e consegna a domicilio dei film. I PIRATI ALL’ARREMBAGGIO DI MONTECITORIO Si sono spinti fin sotto la Camera dei deputati, a volto scoperto e svelando le proprie identità, i “pirati digitali” che a marzo si sono riuniti al Teatro Capranica in una “festa del peer-to-peer”. Ladri di guadagni da copyright, che si trincerano dietro “la battaglia per la libera circolazione delle idee”. L’iniziativa ha sollevato le proteste di Tullio Camiglieri, responsabile Comunicazione di DGTVi, associazione per la promozione della tv digitale terrestre, già alle Relazioni esterne di Sky, e coordinatore del Centro studi per la difesa dei diritti degli Autori: “La festa dei pirati lascia sbigottiti, senza i ricavi non avrà più senso destinare risorse alla realizzazione di film, documentari o produzioni musicali”. IL DECLINO DELL’IMPERO BLOCKBUSTER La grande catena mondiale di videonoleggio (6.500 negozi, 4.000 sedi solo negli States) sta per chiudere i battenti sotto il peso di 1 miliardo di dollari di debiti e della concorrenza di rivali tecnologicamente agguerriti, primo tra tutti Internet e la pirateria. Nel 2009 le perdite sono state pari a 558,2 milioni di dollari, le vendite crollate di un quinto a 4,06 miliardi. Forte la concorren- MUSICA UK, PIU’ ROYALTY DAL DIGITALE? Il condizionale è d’obbligo, la cautela pure. Tuttavia Robert Ashcroft, a.d. della società di autori britannica PRS For Music, conferma che per la prima volta nel Regno Unito le royalty incassate nel 2009 da autori ed editori grazie alla musica digitale hanno più che compensato il calo dei diritti fonomeccanici sul mercato tradizionale, per un fatturato pari a 623 milioni di sterline (+2,6%). SPAGNA, UNA LEGGE ANTIDOWNLOAD… Anche in Spagna è stata approvata una legge per la creazione di una Commissione per la proprietà intellettuale con pieni poteri per chiedere la chiusura rapida dei siti attraverso cui si scaricano illegalmente contenuti protetti da copyright. BOLLY&HOLLY UNITI NELLA LOTTA Bollywood e Hollywood, le due principali industrie cinematografiche del mondo hanno unificato i propri sforzi contro i Dvd piratati e i film scaricati dalla Rete. L’accordo è avvenuto tra la Motion Picture Association of America e 7 produttori cinematografici indiani che hanno formato un alleanza su un tema spinoso ma cruciale per l’industria. JAMES MURDOCH JR: “IL FILESHARING È UN FURTO” Durante l’Abu Dhabi Media Summit il figlio del magnate Rupert, chief executive di News Corporation per Europa e Asia è stato esplicito contro la pirateria: “Far p2p è come andare a rubare una confezione di Pringles o una borsetta. Non vi è nessuna differenza tra pirateria digitale e fisica. Dovrebbe esserci lo stesso livello di protezione dei diritti di proprietà, sia che si parli di una casa che di un film”. GLI USA VANNO A CACCIA DI PIRATI Lo Us Copyright Group si prepara a perseguire decine di migliaia di “pirati” e quanti utilizzano il p2p via internet di film protetti dal diritto d’autore. Più di 20 mila utenti sono già stati denunciati a Washington e almeno altri 30 mila si aggiungeranno a breve. Appare al tramonto la strategia dell’Mpaa per colpire solo i pochi condivisori a scopo “educativo”. zare il prezzo dei libri elettronici per il lettore Kindle. Attraverso due specifici accordi rinuncerà a tenere il prezzo delle nuove uscite sotto i 10 dollari. Alcuni nuovi best seller continueranno a costare 9,99 dollari ma la maggior parte oscillerà tra i 12,99 e i 14,99 dollari. NUOVO IMAIE, PUBBLICATO IL DECRETO Il decreto legge 30 aprile 2010, n.64, “Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30-42010 contiene, tra l’altro, disposizioni sull’Imaie, l’ente mutualistico degli artisti, interpreti ed esecutori. Il nuovo istituto ha personalità giuridica di diritto privato, disciplinata dal Codice Civile. “Il nuovo Imaie - secondo l’art. 7 – opera sotto la vigilanza congiunta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l’informazione e l’editoria, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ne approvano lo statuto e ogni successiva modificazione, il regolamento elettorale e di attuazione dell’articolo 7 della legge n. 93 del 1992, assicurando che l’assetto organizzativo sia tale da garantire efficaci forme di tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nomina il presidente del collegio dei revisori, il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell’economia e delle finanze nominano un componente ciascuno del collegio”. E-BOOK A VARIO PREZZO Con l’iPad alle porte, Amazon – il più grande portale internazionale di vendita di libri online – ha deciso di fare uno strappo alle regole e alla sua politica commerciale, consentendo a due dei principali editori degli Stati Uniti di al- LA NUOVA FRONTIERA DEI LIBRI DIGITALI Con un’intervista al Corriere della Sera del 24 marzo l’a.d. di Mondadori, Maurizio Costa, ha annunciato che “il 2010 è l’anno della svolta e del darsi una bella mossa e chi lo farà avrà un bel vantaggio perché ci sarà la selezione della specie”. L’annuncio è epocale: “Per questo contiamo di fare un’operazione di apertura di mercato: in ottobre sbarcheremo sul segmento degli ebook con 400 novità e 800 best-seller degli ultimi mesi” dichiara Costa. Secondo l’a. d. di Segrate, “l’ereader sarà il regalo di Natale 2010”. Sarà iPad o Kindle? “Certo, ci saranno barriere psicologiche per il costo. L’iPad costerà tra i 4-600 euro. Ma arriveranno quelli più economici e ognuno conquisterà la sua quota di mercato. Quello che è sicuro è che non ci sarà uno standard unico, e infatti il nostro obiettivo è essere fruibili su tutti”. VIVAVERDI 67 I TRECENTO ANNI DEL COPYRIGHT Correva l’anno 1710 e in Inghilterra diventò legge. Attribuiva agli autori ed ai “loro aventi causa” il diritto esclusivo di stampare le proprie opere per una durata di 14 anni, con la possibilità di un rinnovo per altri 14. La Regina istituì anche un pubblico registro nel quale gli autori dovevano anche indicare il titolo delle opere per le quali chiedevano la protezione. Qualche decennio dopo, nel 1790, anche gli Stati Uniti adottarono – dopo la guerra di Indipendenza – una disciplina del tutto analoga a quella inglese. DIGITAL ECONOMY BILL, LA HADOPI INGLESE Anche il Regno Unito ha la sua legge antipirateria sul modello francese. In particolare contro la pirateria digitale, approvata dalla House of Lords con 189 voti favorevoli e 47 contrari a poche ore dallo scioglimento delle Camere prima delle elezioni politiche del 6 maggio. Le nuove disposizioni approvate in Gran Bretagna, prevedono la collaborazione tra major, internet provider e società di gestione collettiva dei diritti per l’invio di “lettere di avvertimento” ai downloaders incalliti, nella speranza che questo tipo di “persuasione/dissuasione” possa bastare a mettere un freno alla pirateria online. Qualora il tasso di download illegali non dovesse regredire, allora la Ofcom passerà a introdurre direttamente nuove misure tecniche più efficaci, quali la sospensione della linea telefonica, così come previsto dalla legge francese. VIVAVERDI 68 musica INTERVISTA A CRISTIANO GODANO NUOTANDO NEL ROCK DEI MARLENE KUNTZ di Nicola Ravera Fin dal loro disco d’esordio, quel Catartica che nel 1994 diventa rapidamente oggetto di culto tra gli appassionati, i Marlene portano una scossa di novità, che proietta nel futuro le atmosfere del rock italiano dei primi ’90. Si sente nelle tessiture scure di chitarra, in quelle sferzate elettriche che richiamano alla mente i newyorchesi Sonic Youth, caposcuola delle nuove sonorità noise e post-punk d’oltreoceano, come nelle dolcezze improvvise di ballate come Nuotando nell’aria, una energia e una consapevolezza che pochi dischi d’esordio hanno avuto. In questi 15 anni, i Marlene Kuntz (Luca Bergia, Cristiano Godano e Riccardo Tesio) sono diventati grandi. Sono usciti dalla nicchia della musica indipendente per passare alla Virgin record, hanno raccolto per strada collaboratori del calibro di Warren Ellis (violinista di Nick Cave), Rob Ellis (collaboratore di P.J.Harvey), Greg Cohen (già con Tom Waits) e Skin, il cui duetto con Cristiano Godano su La canzone che scrivo per te ha forse più di ogni altra cosa sancito il successo commerciale della band. Oggi i Marlene sono un gruppo consa- Quella dei Marlene Kuntz è una storia a lieto fine. In un paese dove la musica è sempre più prigioniera dei reality, il box office cinematografico è in mano ai comici televisivi, e dove spesso il talento si perde in territori lontani dal grande pubblico, i Marlene Kuntz sono una piacevole eccezione. In quindici anni di carriera, hanno portato originalità e voglia di sperimentare nel panorama del nuovo rock italiano. crato, uno dei punti di riferimento del panorama del rock italiano, hanno preso il volo, ma per farlo non si sono alleggeriti della voglia di sperimentare, del coraggio, dell’originalità della scrittura. Per questo la loro è una storia a lieto fine, la storia di un gruppo che è riuscito a trovare il grande successo senza fare mediazioni, ma via via calibrando sempre meglio una voce originale e profonda. Ne parliamo con Cristiano Godano, classe ’66, che dei Marlene Kuntz è anima, autore dei testi e cantante. Parliamo di questi 15 anni di musica, e non solo. Perchè Cristiano nel frattempo ha pubblicato un libro di racconti (I Vivi, Rizzoli, 2008), e ha esordito al cinema con Tutta colpa di Giuda, di Davide Ferrario, di cui i Marlene hanno pure firmato parte della colonna sonora. Partiamo dal presente: siete in studio a registrare... Ancora per qualche giorno siamo in fase creativa, poi registreremo i pezzi. Sarà un disco più rock, più vigoroso del precedente (Uno, 2007). Questo perché stiamo cercando di riportare in studio l’amalgama che abbiamo trovato nei due anni di tour, anche con i due nuovi acquisti Davide Arneodo (violino e tastiere) e Luca “Lagash” Saporiti (basso). Stiamo lavorando molto in fretta. La realtà di oggi, in cui sta sparendo la fruizione del disco come la conoscevamo, impone di lavorare con maggiore rapidità. In effetti oggi alcuni artisti propongono nuovi tipi di fruizione, come la pubblicazione di brani direttamente su internet, magari 3 o 4 pezzi “sfusi”, invece del classico formato da 10/12 brani del cd. Che ne pensa? Penso che sia una deriva. Tra i ragazzi si è perso il gusto di ascoltare un disco co- 69 me collezione di canzoni, come percorso che va ascoltato dall’inizio alla fine, in un certo ordine. L’ascolto frazionato di due o tre pezzi infilati in una compilation da iPod è molto diverso. Per questo oggi diventa complicato pensare a un disco fatto nei modi e nei tempi con i quali si lavorava prima. Voi nascete in un biennio (93/94) d’oro per la musica rock in Italia. Oltre al vostro primo disco, esce Ko de mondo dei Csi, esce Stanze dei Massimo Volume, e poi Afterhours, La Crus, eccetera. Sembra, quello, uno degli ultimi momenti in cui c’è stato un vero e proprio movimento culturale. Oggi cosa è cambiato? E’ vero, le cose sono molto cambiate. In parte ha a che fare con la crisi del disco, e poi è cambiata la fruizione sociale della musica. All’inizio de- gli anni ’90 una delle priorità dei ragazzi era andare ai concerti. Era un modo diffuso di divertirsi, c’era una frenesia, un’eccitazione che oggi si è persa. Oggi i concerti sono diventati per appassionati. E poi negli ultimi anni si è ecceduto nella moda, da parte di molti gruppi, di cantare in inglese. Una scelta che ha allontanato il pubblico. Ecco. Ha parlato del cantare in inglese. Come vede la situazione produttiva della musica in Italia, per esempio rispetto all’Inghilterra? Ha la sensazione che qui da noi sia più difficile arrivare al grande pubblico senza fare mediazioni? Che a Londra ci sia più curiosità per determinate sonorità? Sì. Le differenze sono parecchie. Semplicemente l’Italia non è un paese rock. Anche in Inghilterra, o in America, non è facile passare dalla scena underground alle grandi vendite, se si resta sé stessi. Penso a un grandissimo come Nick Cave, che è molto amato, ma certo non vende come i Coldplay. Però in Inghilterra o in America c’è più rispetto per la figura del musicista rock. Quando in Italia dico che faccio il musicista, mi rispondono: “Sì, va bene. Ma qual è il tuo lavoro vero?”. Questo a Londra è impensabile. In Italia abbiamo una straordinaria tradizione musicale anche di musica classica e contemporanea. Penso a Berio, Scelsi, Maderna, a Busoni. Gente che all’estero è più famosa che qui. Del resto guardi qual è l’atteggiamento del governo verso la musica. Basta pensare all’Iva sui dischi: non viene favorita la musica come cultura, viene VIVAVERDI Da sinistra Riccardo Tesio (chitarra), Luca Bergia (batteria), Cristiano Godano (voce e chitarra) Foto Nicola Garzetti Nella pagina accanto, Cristiano Godano, voce solista dei Marlene Kuntz, nel 2008 ha pubblicato I vivi (Rizzoli). VIVAVERDI In basso, il loro ultimo disco Cercavamo il silenzio, live dal Teatro Sannazzaro di Napoli 70 musica considerata come opera di intrattenimento, e quindi penalizzata da un iva mortificante. (L’Iva sui cd è al 20%, la più alta d’Europa, mentre quella sui libri, considerati cultura, è al 4%. Ci sono varie proposte di equiparazione). In molti parlano di una cesura all’interno del vostro percorso: una prima parte più noise, e una seconda più cantautorale. Lei che ne dice? Come cambia l’approccio verso la canzone dopo 15 anni di carriera? Noi non abbiamo mai fatto mediazioni, abbiamo fatto un percorso, il più onesto possibile. Poi ovviamente le cose cambiano. Io sono cresciuto, non ho più voglia di andare tutto il giorno in sala prove e massacrarmi le orecchie con pezzi violenti. Secondo me, la grande chance della musica popolare sta nella forma canzone. Quando il rock si intellettualizza perde di senso, finendo per banalizzare un linguaggio usato meglio da chi fa musica contemporanea o classica. Il rock si muove su percorsi tonali, poi si può lavorare sui suoni, sulle dissonanze, ma il senso della musica popolare sta nella melodia. Agli esordi con i Marlene Kuntz sicuramente “picchiavamo” di più, c’era più distorsione, un suono più noise, ma anche allora tra i miei punti di riferimento c’era prima di tutto Neil Young. Non ho mai pensato che la musica potesse essere solo aggressione e distorsione. Il punto di partenza è sempre un buon songwriting. Sicuramente un filo rosso vi lega ai CCCP/CSI, che vi hanno fatto esordire nel 1994. Come, musicalmente, qualcosa vi lega ai Sonic Youth. Ma negli ultimi lavori il vostro “segno” sembra sempre più sicuro. Come funziona il percorso di affrancamento di un artista dai propri “padri”? Maroccolo (bassista dei Csi oggi nei Pgr e con i Marlene Kuntz, ndr) è la nostra chioccia da sempre, anche se adesso suona meno con noi...Quello che mi ha influenzato di più è sicuramente Giovanni Lindo Ferretti (Cccp/Csi), ma da subito ho cercato di allontanarmi dalle cose che faceva lui. Ferretti è inimitabile, proprio perché non è un cantante nel senso stretto del termine: è un interprete marziano delle sue composizioni. Un incredibile giocoliere con le In poche righe... I Marlene Kuntz sono composti da Cristiano Godano (voce e chitarra), Riccardo Tesio (chitarra), Luca Bergia (batteria), Luca Lagash Saporiti (basso) e Davide Arneodo (tastiere e violino). La loro carriera inizia nel 1994 con Catartica, prodotto dal Consorzio Produttori Indipendenti di G.L. Ferretti. Parte da qui, da questo disco per intenditori, la scalata di Cristiano Godano e soci verso l’olimpo della musica italiana. Le tappe della scalata sono Il vile (1996), Ho ucciso paranoia (1999), Che cosa vedi (2000), Senza Peso (2003), Bianco Sporco (2005), e Uno (2007). A questi vanno aggiunti tre album live, con la recente uscita di Cercavamo il silenzio (novembre 2009, cd + dvd), e un Best of (2009). parole, che ha inventato un modo nuovo di usare la lingua italiana in un contesto rock. In questo è stato davvero un maestro. Poi proprio la mia passione per Neil Young, o per Nick Cave mi ha spinto verso strutture melodiche più variegate. I Sonic Youth sono un altro mio grande amore. Ancora oggi li adoro, anche se forse da troppi anni sono abbarbicati ad un’idea di guitar band un po’ ripetitiva. Ha cantato cover spaziando da Gaber, a Mina, dalla Pfm ai Diaframma. Come si approccia all’opera di un altro artista? La vostra versione de La libertà di Gaber è molto bella... Di quella sono molto contento, anche perché abbiamo ricevuto i complimenti di persone che conoscevano bene Gaber. Ci hanno detto che abbiamo centrato l’anima del pezzo. All’epoca Gaber non era molto felice dell’uso che era stato fatto di quella canzone: era diventato un inno politico sulla partecipazione popolare, mentre nella sua mente quel discorso sulla libertà e sulla partecipazione era più intimo, meno celebrativo. Per questo abbiamo abbassato il ritornello, rendendolo, appunto, più “privato”. Nel caso di Non gioco più di Mina invece abbiamo stravolto il brano, perché eravamo alla ricerca di qualcosa da prendere e fare nostro. Ma anche lì abbiamo cercato di non tradire lo spirito originale della canzone. Una cover è sempre un atto d’amore di rispetto verso il lavoro di un altro artista. Nel 2008 ha pubblicato il libro di racconti I vivi. Come cambia la scrittura e Foto Annalisa Russo come cambia l’immaginario tra musica e letteratura? Con la prosa hai più spazio. Sei meno costretto dagli schemi poetici, dai versi. Sei meno legato alla ricerca della parola preziosa, la parola poetica, che deve suonare e significare al tempo stesso. Io ho usato la letteratura per concedermi più ironia. La musica dei Marlene difficilmente è ironica, nella scrittura musicale viriamo sempre su una chiave “drammatica”, intensa. Avevo bisogno di tirare fuori la mia anima più leggera, allegra. Del resto i Marlene sono stati anche un po’ imprigionati in un cliché di gruppo che fa musica “scura”, cupa, rabbiosa. Non è affatto così, sono etichette un po’ fastidiose. Quali sono i suoi riferimenti letterari, gli scrittori che ama di più? Vladimir Nabokov, sicuramente, per il voluttuoso piacere della parola che è capace di evocare. Poi John Updike, Martin Amis, John Banville tra i contemporanei. Tra gli italiani il libro che mi influenzato di più è La cognizione del dolore di Gadda, a cui abbiamo anche dedicato una canzone (in Bianco Spor- co, 2005). Nell’ultimo anno ha fatto l’attore per Davide Ferrario, in Tutta colpa di Giuda. Avete scritto una canzone per i titoli di coda del film, ma le piace- rebbe scrivere una vera e propria colonna sonora? Mi piacerebbe, ma solo potendo lavorare in piena libertà. Magari scrivendo prima delle riprese, capendo lo spirito del film e apportando un mio contributo di sensibilità alle immagini. Nel frattempo avete musicato dei film muti... Sì, ed è stata un’esperienza fantastica. Tra l’altro da poco è uscito un dvd delle nostre sonorizzazioni de La signorina Else, un film muto del 1928, di Paul Czinner, tratto da un’opera di Schnitzler. Un’ora e mezza completamente improvvisata. Torniamo alla musica. Nel 2009 sono usciti un live e un best of. E’ un po’ un modo per tirare le somme della prima parte della carriera dei Marlene? Direi di no. Le somme le tiriamo da sempre, disco dopo disco. Certo, ormai abbiamo un bel pezzo di strada alle spalle, cosa rara per un gruppo rock in Italia. Trovo molto bello che gruppi come il nostro, o gli Afterhours, siano riusciti a fare un percorso così lungo, che continua, nonostante, come si diceva, fare il musicista rock in Italia sia un’avventura un po’ folle. Legge Vivaverdi? Sì, voi di Vivaverdi fate un lavoro bellissimo, perché riuscite a dare la giusta visibilità a tutto, dal rock alla musica classica. VIVAnovantanovenovità di VivaVerdi Paolo Sorrentino HANNO TUTTI RAGIONE Feltrinelli Lo avevano definito “un best seller annunciato”, questo Hanno tutti ragione del Paolo Sorrentino regista e sceneggiatore (L’uomo in più, 2001, Le conseguenze dell’amore, 2004, L’amico di famiglia, 2006 e Il divo, 2008, Prix du Jury al Festival di Cannes). Il Paolo Sorrentino romanziere è strabiliante, del resto è già considerato tra i più bravi scrittori italiani, e il suo Tony Pagoda “cantante melodico con tanto passato alle spalle” è un personaggio letteralmente straordinario: “come un Falstaff contemporaneo svela con comica ebbrezza di cosa è fatta la sostanza degli uomini, di quelli che vincono e di quelli che perdono. Perché questo è il gioco. Bisogna comprendere gli altri anche nel momento in cui ti stanno uccidendo. Senza mai sottovalutare la forza sbilenca dell’ironia”. Quando le leggerete, vedrete aleggiare inevitabilmente l’immagine di Toni Servillo, anche perché è il suo viso, sormontato da una parrucca rossiccia e da RayBan azzurrati, che ha guidato la creazione di Tony Pagoda. Ma sappiate che è anche merito della famiglia di questo nuovo grande autore italiano (i figli Anna e Carlo e la moglie Daniela “motori e guida” della sua vita), se Sorrentino ha potuto dare libero sfogo alla sua creatività, superare tempi bui e oggi permettersi “il lusso” di crogiolarsi “nel facile, impagabile ruolo del portapacchi che si gode il venticello sul tetto”. Chi ama gli aggettivi sconosciuti e le metafore impossibili, il cinema e la musica, deve leggere questo romanzo. Patrizia Debicke van der Noot L’UOMO DAGLI OCCHI GLAUCHI Corbaccio Autrice di romanzi a sfondo storico, Patrizia Debicke (cognome lussemburghese ma fiorentina) ci trasporta nell’Europa della Controriforma, sconvolta dalle tensioni fra protestanti e cattolici. Un enigmatico giovane aristocratico inglese appassionato dell’Italia, chiede al grande Tiziano di fargli un ritratto. Ma chi sia veramente quest’uomo, nessuno lo sa. In un susseguirsi di colpi di scena, di fughe e scoperte, si scoprirà che il giovane misterioso è Lord Templeton, figlioccio del potente Duca di Norfolk, finito in Italia per una missione segreta. Una specie di spy-story del Rinascimento, che parte dal meraviglioso dipinto conservato nel museo di Palazzo Pitti di Firenze e si dipana nell’intricata selva d’intrighi della corte inglese di Enrico VIII e quella del Papa. Zibba e Almalibre UNA CURA PER IL FREDDO Universal Il nuovo terzo album del cantautore ligure considerato una rivelazione per il pubblico e la critica. Un cappello, un bicchiere di vino, l’abbraccio di un amico. Tutte cure per il freddo, sia quello dell’anima, sia quello atmosferico. Per il cantautore sono due gli aspetti più importanti della musica: la capacità di creare emozioni e quella di far sorridere. Ha scritto viaggiando in giro per il mondo queste quindici canzoni che parlano d’amore e portano la fantasia a volare dai ghetti del Mississipi fino al quartiere San Lorenzo a Roma, passando per le strade bagnate di Dublino e le terrazze in riva al mare della Liguria. L’amore è vissuto in ogni singola parola come uno specchio di esperienze e nuove amicizie, incontri e amori. Marco Taggiasco THIS MOMENT Mr.T Records Ha cominciato coi Fulltime Dance, un supergruppo romano dai fiati jazz, negli anni ’80 ma oggi il lavoro di Marco Taggiasco – compositore, arrangiatore e produttore – è molto apprezzato negli States e in Giappone, un po’ meno conosciuto in Italia. Probabilmente il suo stile, molto pop-rock oriented con tastiere in primo piano, suoni eleganti e armonie complicate, rispecchia quel classico prodotto americano - da Elmer Bernstein a Burt Bacharach, i suoi amati punti di riferimento- non troppo in voga nel paese di Amici e X Factor. Recentemente ristampato dall’etichetta giapponese Vivid Sound Corporation, il suo second album solista This Moment, registrato tra Roma, Copenhagen e Los Angeles, contiene nove brani, tutti molto originali e accattivanti, con due inediti di Eric Tagg e un remake di You’ve Been Runnin’ che viene dal repertorio degli Orleans. La maggior parte delle canzoni, tutte prodotte e arrangiate da Taggiasco, è interpretata da Andrea Sanchini, che firma anche due tracce dell’album, continuando così un sodalizio artistico che dura ormai da anni. Oltre ad Eric Tagg che regala un cameo nel brano di apertura - tra gli special guest spicca il nome di David Pack, interprete della title track e vincitore di un Grammy Award, e la cantante danese/americana Anne Marie Bush, coautrice e interprete di una suggestiva ballad dagli splendidi intrecci vocali. Ligabue ARRIVEDERCI, MOSTRO! Warner Music “Ognuno di noi ha i propri mostri, i propri fantasmi. Li si possono chiamare ossessioni, paure, condizionamenti, senso di inadeguatezza, aspettative e chissà in quali altri modi ancora. Sappiamo, però, che sono vivi e sono il filtro attraverso cui chiunque matura la propria, personale visione del mondo” dice Ligabue. “Credo di conoscere abbastanza bene i miei ‘mostri’, mi fanno compagnia da tanto tempo… Alcuni di loro li ho affrontati in questo album ma era solamente per fargli sapere che li stavo salutando. Loro come tutti gli altri. So benissimo che sarebbe fin troppo bello che fosse un saluto definitivo. Infatti non mi sono permesso di dire: ‘Addio, mostro’ ma un più prudente e realistico:’Arrivederci, Mostro!’ “. L’album è prodotto da Corrado Rustici, che ha inciso anche diverse parti di chitarra; ingegnere del suono è Chris Manning. Gli altri musicisti coinvolti nel progetto sono gli stessi che hanno accompagnato Ligabue in tour in questi ultimi anni: Michael Urbano (batteria), Kaveh Rastegar (basso), Fede Poggipollini (chitarre), Niccolò Bossini (chitarre), Luciano Luisi (tastiere). A questi si aggiungono alcuni ospiti presenti in un paio di pezzi: il Solis String Quartet in Quando mi vieni a prendere, José Fiorilli alle tastiere e Lenny, il figlio undicenne di Luciano, alla batteria in Taca banda. Piero Montanaro CANTE’ MIA TERA Autoproduzione Un cd che contiene dieci canzoni che l’autore ha composto dopo anni dedicati alla televisione per rivalutare le canzoni della lingua piemontese. “E’ un album importante – dichiara Montanaro – con testi intrisi di ricordi, frutto di numerose collaborazioni musicali con colleghi della sua regione e con altri che si esprimono nelle diverse parlate. I brani sono firmati con autori storici come l’astigiano Remigio Passarino, Luciano Ravasio, Piergiorgio Graglia, Bruno Conti. I temi sono quelli dell’amore per la propria terra, la giovinezza nel proprio paese. L’autore dice di sentirsi come un panda in via di estinzione che scrive in piemontese “contro i mulini dell’indifferenza” coltivando, come gli ultimi contadini, le vigne di Langa e Roero che crescono in un terreno erto e difficile come il dialetto di quei luoghi. L’album si apre con 2000, una data simbolica che segna il rinnovo per un’intera generazione. Mario Brunello BACH, SEI SUITES A VIOLONCELLO SOLO SENZA BASSO Egea Un elegante cofanetto per i tre cd pubblicati da parte di Egea con le suites di Bach interpretate da Mario Brunello. Una pubblicazione che risulta particolarmente gradita. Brunello fissa per la seconda volta, dopo 15 anni, su cd, una nuova ed originalissima interpretazione della grande opera di Bach. In secondo luogo Egea, etichetta dedita alla frequentazione di generi non rigorosamente classici, si cimenta nel difficile compito di realizzare una produzione che possa competere con quelle presenti sul mercato. Le suites sono state eseguite e pubblicate innumerevoli volte, ma in questo caso una particolare attenzione del grande Maestro ha generato una versione davvero preziosa. Scrive Brunello: “Mi piace paragonare le Suites a delle galassie sonore, infinitamente piccole nella forma rispetto alla loro sterminata profondità”. VIVAVERDI 73 Sveva Antonini - Josep Coll i Rodriguez MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER MUSICISTI Paolo Emilio Persiani Una guida fondamentale per tutti i musicisti e i professionisti del settore con desiderio di conoscere i propri diritti, approfondire gli aspetti legati alla prassi, alla contrattualistica e le informazioni necessarie per prodorre, promuovere e distribuire musica autonomamente. E’ incluso un formulario con interviste ad autorevoli musicisti, editori, etichette discografiche, managers, agenzie di comunicazione. L’idea del libro nasce dal gemellaggio di Idealex, centro di consulenza per tutela e promozione delle arti a Bologna e Asesoria Juridica de las Artes di Barcellona, studio specializzato in diritto d’autore. L’avv. Sveva Antonini, partner di Idea lex con la collaborazione del collega spagnolo avv. Josep Coll i Rodriguez ha pensato di offrire uno strumento equipollente a quello spagnolo adattandolo alla normativa italiana. Algebra JL Ams Gli Algebra, band beneventana nata nel periodo buio del rock progressive degli anni Ottanta, anticipò tra alti e bassi, scioglimenti e riunioni la rinascita del neoprogressive. Pubblica, 16 anni dopo, il suo secondo disco che si intitola JL ed esce su etichetta Ams. E’ un concept album liberamente ispirato al romanzo di Richard Bach Il gabbiano Jonathan Livingston. Gli Algebra sono composti dal cantante-chitarrista Mario Giammetti ed il tastierista Rino Pastore a cui si aggiungono il batterista Francesco Ciani, la sassofonista Maria Giammetti, il fisarmonicista Roberto Polcino. Mario Giammetti, musicista di lungo corso, è più conosciuto come giornalista e saggista, senz’altro il massimo esperto dei Genesis. E sta lavorando ad un nuovo volume, un dizionario delle canzoni della mitica band inglese, che verrà pubblicato da Arcana Editrice. L’idea di partenza, i testi e le musiche elaborate all’epoca sono di Giammetti, ma il disco può considerarsi in tutto e per tutto un lavoro di gruppo. VIVAnovantanovenovità di VivaVerdi Diego Mondella SGRADEVOLE È BELLO Edizioni Pendragon “Il mondo nel cinema di Todd Solondz”, è il sottotitolo del libro di Diego Mondella dedicato ad una delle voci più provocatorie del cinema indipendente americano. “Il suo cinema è un coraggioso atto di ribellione culturale nei confronti dell’imperante società dell’immagine, in cui vige la regola della bellezza a tutti i costi” scrive il giovane giornalista e critico cinematografico, che ha già pubblicato due saggi dedicati al cinema di Michael Powell e Paul Thomas Anderson. Mondella ci racconta come da De Sica a Comencini, da Truffaut a Van Sant il cinema abbia avuto sempre uno sguardo privilegiato sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche come nessun autore più di Todd Solondz, sia riuscito a comprendere quali “sommovimenti tellurici” si agitino all’interno del cuore e della mente delle generazioni più giovani. Grazie a film controversi come Fuga dalla scuola media, Happiness, Storytelling, Palindromi e Life During Wartime, Solondz “ha composto negli ultimi quindici anni un grottesco e surreale romanzo costellato di disperazione e infelicità”. Joanna Rimmer DEDICATED TO JUST ME Sam Production Egea L’etichetta britannica Sam Production presenta Dedicated To… Just me!, distribuito da Egea, il primo disco di Joanna Rimmer un’artista che, dopo la carriera di modella, è approdata al mondo del jazz. Nel 2000 esordisce come cantante nell’ambiente jazz Italiano e nel 2001 registra 12 sigle per la trasmissione televisiva “Zelig” (Italia 1) con Claudio Bisio, realizzando due dischi di jazz “tradizionale” e varie tournée in tutta Italia. Il suo disco d’esordio, che ha voluto produrre, curare, arrangiare, registrare e mixare da sola, vede la presenza di alcuni dei migliori jazzmen internazionali: Charlie Mariano, Paolo Fresu, Stefano Bollani, che assieme a lei interpretano bellissimi standard, come Monk’s Mood, Midnight Sun, All Of You, Just You, Just Me ed alcuni brani originali di Joanna. Alibia MANUALE APOCRIFO DELLE GIOVANI MARMOTTE Emi Music Publishing / Cni / Venus Suonato dal vivo e registrato in presa diretta da Daniele Grasso al The Cave di Catania, mixato al Kitchen Studio da Lorenzo Caperchi e masterizzato da Claudio Giussani al Nautilus di Milano, Manuale Apocrifo delle Giovani Marmotte (Emi Music Publishing / Cni / Venus) è il terzo album degli Alibia. Un lavoro compatto ed elegante, in costante equilibrio tra provocazione e citazione, potenza e sensualità, ironia e rabbia, melodia e rumore, uomo e donna. In uscita anche il videoclip Fondamenti di immoralità, regia di Luca Granato, un divertente e ironico remake del Frankenstein Jr. di Mel Brooks che vede protagonisti gli Alibia, impegnati in tutta Italia con il loro Tour Multisensoriale. Nini Giacomelli OCCHI DI RAGAZZO Rugginenti Editore “Sergio Bardotti, un artista che non ha mai smesso di sognare” è il sottotitolo di questo volume dedicato alla figura di uno dei più importanti autori della musica leggera italiana, che ha scritto centinaia di canzoni e tanti successi come Occhi di ragazzo, Piazza Grande, E io tra di voi, Canzone per te. A tre anni dalla sua scomparsa, lo ricordano personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura che hanno percorso un tratto di strada con lui: Luis Bacalov, Massimo Ranieri, Pippo Baudo, Vincenzo Mollica, Ornella Vanoni, Sergio Cammariere, Gino Paoli, Sergio Secondiano Sacchi, Mauro Pagani e molti altri ancora. Ne emerge il ritratto a più colori di un artista colto, sensibile e raffinato, ma allo stesso tempo divertente e divertito, autoironico e sorridente, che, tutto sommato, non si è mai preso troppo sul serio e che, forse, proprio a questo deve la sua grandezza. Il libro, reperibile anche nelle librerie, verrà presentato al Premio Bindi nel prossimo luglio. Mama.in.inca LENZUOLA IN DISORDINE CinicoDisicanto L’album è prodotto dalla Cinico Disincanto di Fabrizio Brocchieri (Premio Pimi come miglior produttore discografico). Sono undici tracce ispirate dall’arte e impreziosite dai ricordi, dai film preferiti, dai quadri, dalla poesia, in un sorprendente equilibrio. E’un album da ascoltare d’un fiato per coglierne appieno le capacità descrittive; pagine di vita preziose e intime. Un progetto curato nei minimi particolari fin dalla copertina disegnata da Emilio Baracco con l’intento di rappresentare la doppia anima, delicata e aggressiva, della musica che si esprime con linee sottili e sfumate alternate a colpi energici, tipici del rock sincretico di matrice inglese. musica DISCHI ERNESTO BASSIGNANO UN RITORNO ALDILADELMARE di Piergiuseppe Caporale C’è da dire che questa volta è riuscito a tirar fuori una dozzina di canzoni (per l’esattezza sono 13) che, forse in altri tempi (stiamo parlando di quando la canzone d’autore era considerata il miglior prodotto nazionale e l’aria non era ancora impestata dei moderni, mortiferi suoni dell’hip hop, dell’industrial, ecc.), dicevamo, in altri tempi avrebbe fatto parte della schiera dei brani più amati dal pubblico. Oggi, quindi, con ogni probabilità, si dovrà accontentare di entrare nel manipolo “razza protetta”, cui appartengono le buone idee, le buone realizzazioni, la vera poesia e, soprattutto, la vera ispirazione. Completamente libero, quindi, questo Aldiladelmare, fatto di poesia e musica, entrambe pure, forse a volte ingenuamente cantate da uno che cantante non è mai stato ma che ci crede. Che ci prova, riuscendo a trasmettere, al di là della tecnica, sensazioni che sembravano dimenticate. O smarrite per strada. Ad uno come chi scrive, che, ormai, per continuare ad ascoltare musica, si è buttato a corpo morto sul jazz e sulla musica classica, l’apparizione di un pugno di canzoni che lo riportano… ai bei tempi, non può fare che bene. E qui il discorso si farebbe lunghissimo. Quin- Non ricordo da quanto tempo l’amico Ernesto fosse lontano dalla musica attiva (quella degli altri la sfiora quotidianamente insieme a Ezio Luzi su Rai Radiouno quasi tutti i giorni). Sta di fatto che questo cd – titolo Aldiladelmare, etichetta RaiTrade – arriva, almeno per chi scrive, abbastanza a sorpresa. Collega e compagno d’avventure, da tempo ha al suo attivo un vero e proprio geniaccio artistico cantautorale che, già più di una volta, ebbe a lasciare a bocca aperta amici, parenti, e, perché no, anche i disistimatori. Ernesto Bassignano ha cominciato al Folkstudio nel 1969, da allora ha inciso un pugno di album e il suo Compagno dove vai ha goduto di una certa popolarità negli ambienti politicizzati degli anni ’70. di evitiamo e torniamo a Bassignano ed alle sue canzoni. Indubbiamente è stato aiutato dagli arrangiamenti di Alberto Antinori, poliedrico personaggio che abbiamo già notato con gente come Bindi, Bungaro, Castelnuovo, Grazia Di Michele, Tosca (fra gli altri) e che qui troviamo come coautore (in un paio di brani), pianista, contrabbassista, chitarrista ecc. Il tutto per un prodotto musicale che oseremmo definire estremamente… pulito. Fatto apposta, insomma, per sottolineare dei testi poetici (finalmente) comprensibili, ispirati, intelligenti, evocativi e contemporaneamente attuali. Come Il bel paese, ad esempio, o come i due avventurosi Moby Dick e Capitani coraggiosi, o, ancora, come il bra- no che da il titolo al cd. Una nota a parte per il solito, magnifico piano di Marco Spiccio nel live Sentirti dire (Teatro Brancaccio dicembre 1995). Inutile, a questo punto, insistere sui brani uno per uno: l’opera ha un corpus che, paradossalmente, pur essendo composto di differenti sensazioni, gode di una temperie unica, dettata soprattutto dal cuore, oltre che da una buona conoscenza anche della tecnica, sia poetica che musicale. Inutile dire, poi, che Ernesto Bassignano non è un cantante, e si nota. Ed è forse proprio questa caratteristica che conferisce al prodotto finale quella spontaneità, non naïve ma effettiva, che ne potrebbe fare un prodotto di successo. Insomma Ernè, ca custa l’on ca custa ce l’hai fatta. VIVAVERDI 75 VIVAdall’interno DIRITTO D’AUTORE LA RESPONSABILITA’ DEI PROVIDER di Ferdinando Tozzi* Il diritto d’autore è nel ciclone delle nuove sfide tecnologiche. Oggi è più facile l’uso illecito di contenuti creativi navigando in rete, un Far West digitale dove Internet, benché esistano norme di tutela, è troppo spesso una terra di nessuno con libertà assoluta e mancanza totale di controlli. Un tema importante da affrontare è quello della responsabilità del provider ossia il dovere di correttezza e buona fede nell’agire da parte del prestatore di servizi che è tenuto “a informare senza indugio l’Autorità qualora sia a conoscenza di illeciti riguardanti un suo destinatario”. In questo senso va anche una recente ordinanza del Tribunale di Roma riguardante YouTube. Appare ormai inconfutabile come il diritto di autore, nel nuovo contesto tecnologico, deve, sempre di più, essere una norma regolatrice per un corretto accesso ai contenuti creativi. Allo stesso tempo l’efficacia e l’utilità del suo ruolo è inversamente proporzionale agli spazi normativi indeterminati e dunque all’arbitrio del singolo. Il diritto d’autore, insomma, deve continuare ad operare con continuità sistematica, in armonia con le evoluzioni tecnologiche: va infatti compreso che utilizzare abusivamente un’opera dell’ingegno, in qualsiasi ambito, equivale ad utilizzare abusivamente un qualsivoglia bene di proprietà altrui. Solo così si potrà ottenere una corretta accessibilità alle opere dell’ingegno nel web ed avere un diritto di autore che – pur mantenendo intatta la sua funzione di tutela dei diritti – non sia di ostacolo, ma di incentivo ad un equilibrato sviluppo della cultura e dell’innovazione, garantendo un necessario, doveroso riconoscimento dei diritti degli autori e titolari sulle proprie opere e prodotti. Proprio la sfida portata dalle nuove tec- nologie al diritto di autore fa sì che detta normativa debba perseguire, ad avviso di chi scrive, un duplice, fondamentale, compito: garantire e preservare il corretto accesso alla conoscenza ed al contempo salvaguardare i diritti e la remunerazione delle attività creative, con piena coscienza che ogni opera è frutto di lavoro e professionalità ed è dunque doveroso salvaguardare il bene intellettuale che genera proventi economici. Proventi che rappresentano non solo la retribuzione dell’ingegno degli autori ma, soprattutto, l’incentivo alla futura creatività ed alla ulteriore produzione culturale del nostro Paese. E’ perciò necessario che, soprattutto, nell’on line venga fatta chiarezza su ciò che è vietato e ciò che conseguentemente è lecito e che se ne dia informazione al mercato in modo che tutti gli operatori abbiano piena consapevolezza del discrimen tra uso lecito ed illecito di contenuti creativi, evitando opzioni di “congelamento” della normativa. Il più delle volte la violazione dei diritti sulle opere dell’ingegno avviene attraverso la loro immissione in un sistema di reti telematiche, perciò è necessaria un’applicazione più aderente alle esigenze di tutela del diritto di autore della normativa vigente a disciplina della responsabilità del provider (il c.d. prestatore di servizi). Si tratta di valorizzare le possibilità offerte dagli strumenti attuali e dunque, nell’attesa di eventuali interventi normativi ad hoc, cui pure si sta lavorando, ragionare al presente in punto di diritto positivo. Il Decreto Legislativo del 9 aprile 2003 n° 70 emanato in attuazione della Direttiva UE n° 31 del 2000, contiene una serie di elementi che devono necessa- riamente essere valorizzati attraverso una interpretazione ed applicazione orientata proprio a sopperire allo stato di asimmetria funzionale e di squilibrio attuali. Uno squilibrio che, con l’avvento delle nuove tecnologie, si è venuto a cristallizzare nel “sistema” del diritto di autore. Come noto, in relazione al criterio di imputazione della responsabilità civile del prestatore, si possono configurare tre principali ipotesi: a) il caso in cui il prestatore è autore dell’illecito; b) il caso in cui ha una responsabilità concorrente; c) il caso in cui è responsabile per negligenza. Nel caso a), è lo stesso prestatore ad essere autore dell’illecito e quindi si tratta della responsabilità da illecito extracontrattuale, senza particolari problematiche dovute al contesto in rete. Nell’ipotesi b), per aversi responsabilità del prestatore occorre la conoscenza del fatto illecito compiuto da un terzo attraverso la propria infrastruttura tecnologica e la fornitura con- VIVAVERDI 77 sapevole dell’accesso ai dati illeciti. L’ipotesi c) ricalca un caso di responsabilità indiretta: il provider non vigila o non adotta le misure di sicurezza necessarie a garanzia della liceità dei contenuti immessi dall’esterno sul server da lui gestito, con l’inquadramento alternativo di una responsabilità oggettiva per difetti di sicurezza del servizio prestato oppure nella fattispecie dell’articolo 2050 c.c. sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. In generale può sostenersi che non ci sono responsabilità sui contenuti, a meno che non vi siano modifiche degli stessi ad opera del provider. L’esenzione da responsabilità è infatti condizionata al fatto che il prestatore: non dia origine alla trasmissione; non selezioni il destinatario della trasmissione; non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse. La normativa pone dunque una limitazione generale di responsabilità, in quanto statuisce che nel prestare i servizi di mere conduit, caching ed hosting, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Però il legislatore aggiunge che il prestatore è comunque tenuto a: “informare senza indugio l’Autorità, qualora sia a conoscenza di illeciti riguardanti un suo destinatario” nonché a “fornire, sempre senza indugio, a richiesta dell’Autorità competente le informazioni in suo possesso che consentano di individuare il suo destinatario, ai fini di una attività preventiva degli illeciti”. La Direttiva prevede dunque che i fornitori dei servizi web rispondano quando siano consapevoli della illiceità delle attività del destinatario del servizio o dell’informazione da VIVAdall’interno esso fornita ovvero di fatti e di circostanze che rendano manifesta l’illiceità. Inoltre, la Direttiva consente ai singoli Stati membri cui è diretta di prevedere possibili azioni inibitorie che possano imporre ai provider di “porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima” (si pensi al metodo c.d. del notice and take down). Ancora, è da precisare come laddove il provider non presti meri servizi ancillari, ma collabori alla commissione di illeciti oppure presti servizi ulteriori a quelli previsti dalla Direttiva o anche che non adempia al dovere di diligenza, non può godere delle esenzioni previste dalla citata normativa. Proprio in tale direzione, valorizzando principi cardine del nostro ordinamento giuridico, pare allora possibile leggere una recente ordinanza del Tribunale di Roma (del 15 dicembre 2009 e confermata in sede di reclamo l’11 gennaio 2010) in cui è stata riconosciuta la responsabilità del provider (nello specifico “YouTube”) con una innovativa applicazione del dettato normativo che, per inciso, ad avviso di chi scrive, da un punto di vista strettamente giuridico ha poco di innovativo perché segue uno dei brocardi del nostro ordinamento, cioè il dovere di correttezza e di buona fede nell’agire (dunque innovativa la pronuncia lo è solo in relazione a quello che era il pregresso approccio sul tema medesimo). La Corte capitolina ha motivato la condanna del provider in quanto, nonostante numerose diffide, si è avuta una reiterazione di atti illeciti in rete e dunque il provider obiettivamente a conoscenza di una grave situazione illecita nulla ha fatto. Per di più il medesimo soggetto, pur avendo un potere di monitoraggio sulla attività degli utenti non si è mai premurato di escludere la pubblicazione dei file illeciti; per meglio comprendere la decisione è utile riportare un estratto del provvedimento del Tribunale di Roma, in particolare ove si deduce che: “[…] a fronte di una condotta così palesemente e reiteratamente lesiva dei diritti non è sostenibile la tesi delle resistenti su una presunta as- soluta irresponsabilità del provider […vi è una] valutazione caso per caso della responsabilità del provider che seppur non è riconducibile ad un generale obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile responsabilità oggettiva, tuttavia assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione alla rete ma eroghi servizi aggiuntivi (p. es. caching o hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole della presenza di materiale sospetto si astenga dall’accertare la illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole della antigiuridicità ometta di intervenire […]” aggiungendo a margine che “non possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all’art. 65 lda relative all’esercizio del diritto di cronaca o dell’art. 70 lda della utilizzazione di brani o di parti di opera ad uso di critica e discussione in quanto è evidente il fine puramente commerciale […]”. Dunque è l’informazione, la conoscenza, ad apparire il vero discrimen tra la responsabilità e la non responsabilità dei provider. Secondo un parallelo con le teorie economiche dei giochi (in particolare del c.d. moral hazard) si può sostenere che l’agente che, conoscendo o dovendo conoscere l’illiceità dei contenuti immessi in rete, e, perciò, trovandosi in stato di simmetria informativa, abusa di tale informazione (insomma, non agisce per rimuovere tali contenuti), tiene una condotta opportunistica non meritevole di tutela, per cui è responsabile. L’agente, che invece non conosce e non può conoscere con la diligenza richiesta, lo stato di illiceità (trovandosi dunque in condizione di asimmetria informativa) è tutelato e dunque, secondo i citati articoli del Ma il provider non puo’ stare a guardare …. Eppur si muove. Anche se lentamente, nel campo del Peer to peer, per ciò che riguarda la condivisione illegale on line di file con opere protette (causa di ingenti danni per tutta l’industria dei contenuti) qualcosa si muove. L’ordinanza del Tribunale Civile di Roma del 15 aprile rispetto all’istanza (a cui si era associata anche la Siae) della FAPAV (Federazione Anti-Pirateria Audiovisiva) contro la Telecom, stabilisce che quest’ultima non ha l’obbligo di sospendere il servizio di accesso ai siti venendo a conoscenza di illeciti. In pratica non ha l’obbligo d’impedire il servizio a fronte di pratiche illecite non essendo “responsabile delle informazioni trasmesse”. La stessa ordinanza però, stabilisce che, in caso di conoscenza di attività illecita a danno degli autori e degli aventi diritto, il prestatore dei servizi internet (ISP) ha il dovere d’informare senza indugio l’Autorità giudiziaria o Amministrativa di Vigilanza, affinché possano essere attivati gli ulteriori obblighi di protezione che, appunto, spettano agli autori e a tutti gli aventi diritto. Quindi i fornitori di servizi on line non possono stare a guardare, limitandosi ad incassare gli abbonamenti, contemplando il libero arbitrio degli utenti. Bisogna aggiungere che l’Agcom ritiene che per poter contrastare la pirateria digitale, siano essenziali accordi condivisi con gli stessi provider. (sa.m.) D.Lgs 70/2003 non sarà responsabile. Certo è che non intelligere quod omnes intelligunt significa violare un dovere di informazione riflessiva a carico di ogni agente del mercato e della rete. Deve dunque applicarsi il principio di responsabilità per combattere così l’abuso di informazione e le condotte opportunistiche, salvaguardando solo chi in buona fede ha svolto una attività che altrimenti, con la sussistenza del presupposto della conoscenza, determinerebbe punibilità. Le brevi considerazioni fin qui esposte permettono così di sostenere come attraverso una attenta esecuzione della normativa vigente, si potrebbe ugualmente garantire una tendenzialmente piena tutela al diritto di autore nell’on line con un equilibrato contemperamento degli (apparentemente) opposti interessi in gioco: diritto alla diffusione della cultura e dell’informazione e diritto a vedere garantita la proprietà intellettuale. Poiché le nuove sfide tecnologiche al diritto di autore sono state poste proprio dalla convergenza tra informatica e telecomunicazioni - che consente la riproduzione digitale delle opere ed il trasferimento dei dati in maniera capillare ed a costi sempre decrescenti, permettendo così a chiunque di “impadronirsi” delle opere altrui - appare chiaro come bisogna ricondurre a sistema il ruolo e dunque la responsabilità dei provider. L’offerta lecita – a discapito della c.d. pirateria – potrà infatti trovare concreto sviluppo solo quando sarà possibile avere un corpus omogeneo di previsioni normative a tutela degli autori ed a garanzia dei diritti di accesso alla conoscenza per i fruitori. Al contempo bisogna poi che, non solo il giurista ma anche, il cittadino in quanto tale si ponga in una diversa prospettiva, facendo sì che la rete non sia una selvaggia terra di nessuno ma venga considerata quale una delle tante espressioni dell’essere umano, soggetta alle normali regole del vivere civile. Quanto sopra potrebbe portare ad una generale presa di coscienza con un mutamento radicale nell’approccio al problema non solo da parte dei Tribunali (che, si è visto, hanno sufficienti basi per un nuovo indirizzo di efficace contrasto a chi abusa delle nuove tecnologie) ma anche dei consumatori che potranno comprendere come la tutela della cultura risieda anche nella salvaguardia della proprietà intellettuale e nella remunerazione degli autori e dei loro aventi causa. Fino a che non vi sarà tale mutamento, culturale prima che giuridico, non sarà infatti possibile risolvere efficacemente alcuna problematica del diritto d’autore nel web. *Avvocato, Esperto del comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, Dottore di Ricerca Università Federico II di Napoli. ([email protected]). Le presenti considerazioni esprimono opinioni personali dell’autore. VIVAVERDI 79 VIVAdall’interno SALONE DEL LIBRO DI TORINO LA VOCE DEGLI ULTIMI COI “RACCONTI DAL CARCERE” di Daniela d’Isa Ecco gli autori e scrittori che hanno offerto la loro penna per scrivere insieme ai detenuti di tutta Italia i “Racconti dal carcere”. Si tratta di Barbara Alberti, Edoardo Albinati, Gianni Bisiach, Giordano Bruno Guerri, Massimo Carlotto, Vincenzo Consolo, Maurizio Costanzo, Giuseppe D’Agata, Giancarlo De Cataldo, Erri De Luca, Daniele Del Giudice, Nicola Lagioia, Franca Leosini, Massimo Lugli, Liliana Madeo, Gianni Minà, Federico Moccia, Adriana Pannitteri, Sandra Petrignani, Lidia Ravera, Franco Scaglia, Susanna Tamaro, Enrico Vaime, Marcello Veneziani e Renato Zero. Tra tutti i racconti pervenuti (il termine è fissato al 15 giugno) ne saranno selezionati 20 cui verrà affiancato un tutor d’eccezione tra gli autori che hanno aderito. Altri di loro andranno a far parte della giuria che sarà presieduta dal poeta e scrittore Elio Pecora. “La Siae ha anche il compito di assecondare la creatività. Credo che la solitudine e l’introspezione della vita in carcere possa facilitare la nascita di una creatività vera - ha dichiarato il Presidente della Siae, Giorgio Assumma, cui ha dato la parola il coordinatore del- Nel nome di Goliarda Sapienza, attrice e scrittrice che ha conosciuto la prigione e la reclusione, è stato presentato, al Salone del Libro di Torino, il premio letterario “Racconti dal carcere” ideato da Antonella Bolelli Ferrera, realizzato in collaborazione tra la Siae e il Dap. Detenuti che raccontano di sé, che esplorano la propria esistenza attraverso la scrittura e che potranno avere l’occasione di farlo con dei tutor d’eccezione, scrittori affermati che li aiuteranno a dare più compiuta espressione letteraria al racconto della propria vita. Il singolare concorso ha per madrina una scrittrice che nel corso della sua carriera si è spesso occupata di carceri, Dacia Maraini. l’incontro al Salone del libro, Mario Baudino, scrittore e giornalista de La Stampa - viviamo un tempo di svolta epocale per la creatività intellettuale. Internet fornisce occasioni inedite agli scrittori esordienti, ma rappresenta anche un pericolo: il rischio dell’uniformità di domanda ed offerta culturale con la conseguenza ultima dell’appiattimento culturale. E tale condizione è il presupposto per le tirannie delle industrie produttrici dei contenuti culturali”. “Ringrazio il Presidente Siae della opportunità che il Premio rappresenta per i detenuti- ha aggiunto il Capo del Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta- Per inciso: l’anno scorso il Dap ha pubblicato i rac- conti del Personale dell’Amministrazione Penitenziaria. Condivido il pericolo del pensiero unico, omogeneizzato. Dare voce agli ultimi, creando un pensiero diverso e più vero. Da questa esperienza mi auguro vengano fuori non solo storie dure, dolorose ma anche di speranza. La detenzione è anche sforzo educativo. I detenuti hanno diritto a una seconda chance. Si spera che il passaggio da uomo di azione a uomo di riflessione conduca fino a uomo reintegrato, anche attraverso lo strumento della cultura, che è prima di tutto condivisione di valori”. “Da quando è stato bandito il concorso sono pervenuti numerosissimi racconti dalle carceri di tutt’Italia- ha detto 81 Foto Filippo Gasparro Antonella Bolelli Ferrera- La cosa che più mi ha stupito è che ci abbiano scritto anche diversi stranieri in un italiano pressocchè perfetto. Un italiano imparato in carcere”. Grande suggestione nel folto pubblico che ha partecipato all’incontro hanno suscitato tre testimonianze: due interviste esclusive realizzate dalla Ferrera nel carcere romano di Regina Coeli (grazie alla collaborazione tecnica di Giovanni Balestriere) ed una testimonianza diretta di un detenuto in semilibertà. Nel filmato d’apertura la storia di un uomo di circa 70 anni, che ha approfondito proprio in carcere la sua passione per la lettura e la scrittura fino a poter scrivere lettere d’amore per conto dei compagni di detenzione così belle da conquistarsi il soprannome di “poeta”. Ha catturato l’attenzione del pubblico poi Marco, 32 anni: ha avuto il permes- so di venire al Salone dal direttore del carcere dove ancora deve rimanere due anni. Attualmente è in semilibertà e lavora come bibliotecario nella scuola torinese di scrittura Holden. “La scrittura consente, davanti a privazioni di ogni genere, di avere una alternativa. Chi guarda solo la televisione non pensa. La scrittura diventa un strumento di battaglia, una forma di comunicazione tra coloro che sono isolati dal mondo”. Massimo Lugli scrittore e giornalista, cronista di nera di Repubblica (il suo ultimo libro, edito da Newton &Compton si chiama Il carezzevole), dopo aver raccontato di essere stato giovanissimo qualche giorno in carcere, ha lodato l’iniziativa, ricordando anche un altro “tutor”, Massimo Carlotto, che dalla propria esperienza in carcere ha tratto la spinta per diventare un grande scrittore. “I detenuti- ha dichiarato in altre oc- casioni Dacia Maraini- hanno dato la precedenza nella loro vita all’azione. Costretti al regime carcerario, riscoprono la loro vita interiore: riflessione, lettura, scrittura possono essere ottimo veicolo per il loro reinserimento sociale”. Infatti tra coloro che stanno inviando i racconti alla segreteria del Premio c’è chi ha preso la licenza media in carcere e ha cominciato la sua opera di scrittura dedicandosi alle lettere d’amore per gli altri detenuti; c’è l’extracomunitario che lì ha imparato l’italiano e ha voglia di raccontarsi; c’è chi, dopo essere passato da esperienze eversive, spiega come si è perso pur venendo da una famiglia borghese e apparentemente senza problemi. Per tutti la scrittura è non solo sfogo, ma anche fuga con la mente dalla situazione difficile che sta realmente vivendo e soprattutto “luogo” di riflessione interiore. VIVAVERDI Nella pagina accanto, la giornalista e scrittrice Antonella Bolelli Ferrera, ideatrice del premio letterario. Sotto da sinistra, il capo del Dap Franco Ionta, Mario Baudino de La Stampa, il detenuto Marco, Massimo Lugli di Repubblica e il Presidente Siae, Giorgio Assumma VIVAdall’interno I vincitori della rassegna Rock 10 e Lode, la band Ingram con il brano Over the gate/Helldorado PALERMO LABORATORIO D’AUTORE PER BAND MUSICALI di Corrado Lo Iacono “La creatività è passione pura, non connessa a facili guadagni; il successo artistico è una bestia difficile da cavalcare e resti in sella soltanto se il pubblico ti vuole”. Questo il messaggio che Gino Paoli, cantautore eclettico che da circa 50 anni ci emoziona con la sua poesia musicale, ha indirizzato agli studenti siciliani. Un numeroso gruppo di ragazzi che, dopo essere stati coinvolti in seminari nell’ambito del “Progetto Laboratorio d’Autore” quale iniziativa didattico/informativa promosso dalla Sede Regionale della Siae di Palermo di concerto con l’Ufficio Organizzazione Eventi di Roma e realizzata dalla Lab Servizi Formativi, hanno preso parte il 5 maggio scorso presso il Teatro Orione/Pippo Spicuzza di Palermo alla IV Edizione della Rassegna “Rock 10 & Lode”. L’evento ha visto esibirsi 12 band musicali formate quasi esclusivamente da studenti delle scuole superiori siciliane. Davanti ad un numeroso pubblico sono state eseguite 12 canzoni inedite e composte dagli stessi esecutori. Una apposita giuria presieduta dal Maestro Marco Betta e costituita da autori, compositori e rappresentanti dello spettacolo e della cultura ha decretato quale vincitore il brano Over the gate/Helldorado (autori: A. Tripi, A. Alessandro, G. Croce, M. Schilleci, M. Signorino) eseguito dalla band Ingram. Secondo classificato Cut the plug eseguito dalla Nel capoluogo siciliano quarta edizione della rassegna Rock 10 & Lode, all’interno del Progetto Laboratorio d’Autore, organizzato dalla sede Siae. La giuria, presieduta dal maestro Marco Betta, ha premiato la canzone Over the gate/Helldorado del gruppo Ingram che ha vinto anche la targa ricordo per il miglior testo. I primi tre classificati hanno partecipato al Festival della Legalità, tenutosi a fine maggio a Capaci. band La Ventunesima Fobia e terzo classificato il brano strumentale Invisibili eseguito dalla band Vo hinh che ha vinto anche la targa speciale offerta dalla Provincia Regionale di Palermo. Infine la canzone prima classificata ha vinto un ulteriore targa ricordo per il migliore testo, assegnata dalla giuria composta dai giornalisti. Il conduttore della rassegna, Filippo Marsala, ha invitato sul palco alcuni ospiti particolari della serata. Piero Alongi, vicepresidente della Provincia Regionale di Palermo, nell’affermare che i giovani attraverso l’estro musicale possono veicolare valori etici e morali, ha confermato che le predette tre band parteciperanno al Festival della Legalità in programma a fine maggio a Capaci (Pa), mentre il brano Over the gate/Helldorado sarà inserito nel cd che la Provincia produrrà per la successiva distribuzione nelle scuole. Raul Russo, assessore alle Politiche Giovanili del comune di Palermo, ha annunciato l’imminente avvio del progetto “Acchiappasogni”, che contribuirà ad au- mentare la creatività dei giovani palermitani riscoprendo adeguati spazi per i progetti musicali e utilizzando alcuni beni immobili confiscati alla mafia. Marco Betta, noto compositore, ha detto semplicemente che la musica, quale alta forma dell’arte, rende libera la persona e aiuta a migliorare la società. Othello Man, cantautore e direttore artistico del Festival della Legalità, ha apprezzato i brani musicali in gara, eseguiti con sincera passione. Brani i cui testi hanno spaziato dal dramma del terremoto in Abruzzo al dilemma etico del “fine vita”. Creativi fuori concorso sul palco: Manuel Morgavi, studente dell’Itc di Stato “Fr Ferrara” di Palermo che ha letto il proprio componimento dal titolo Ma se io avessi un mondo … e Simona e Luca Trentacoste (vincitori dell’edizione 2009 di “Rock 10 e lode”) che hanno eseguito il loro brano Soltanto noi. Hanno concluso la serata i Kolymbetra, gruppo musicale che accompagna il Progetto Laboratorio d’Autore dalla nascita. La premiazione dei Seaward, vincitori del concorso musicale di Novara VIVAVERDI VIVAdall’interno 83 BIELLA E NOVARA IN UN MARE DI MUSICA NON VOGLIAMO I PIRATI di Marco Caselgrandi Nella manifestazione di Biella del 15 aprile, si sono svolte le fasi finali di due concorsi riservati agli studenti, il primo musicale, il secondo riguardante lo slogan antipirateria più originale. All’evento, hanno partecipato il sindaco di Biella Dino Gentile, il provveditore agli studi della Provincia di Biella Piergiorgio Giannone, il direttore della Sede Siae di Torino Filippo Gagliano e i testimonial della manifestazione, gli attori e autori Manuel Negro e Rossana Carretto, oltre a Massimiliano Scuriatti e Giorgio Pezzana. Nei brevi messaggi di saluto iniziali, il Sindaco Dino Gentile ha invitato i ragazzi ad amare la musica e ad esprimere al meglio la loro creatività però sempre nel rispetto del lavoro degli autori, la cui tutela rappresenta un baluardo fondamentale per lo sviluppo culturale del Paese. Ha inoltre elogiato la Siae evidenziando come tali importanti iniziative ne rafforzino l’immagine e il ruolo istituzionale. Il Provveditore Piergiorgio Giannone, ha sottolineato il carattere educativo della manifestazione. Filippo Gagliano, direttore della Sede Siae di Torino ha spiegato ai giovani che il diritto d’autore non è né un balzello, né una gabella ma, semplicemente, lo stipendio dell’autore e la Siae non è altro che la casa di tutti gli autori. Il concorso musicale è stato vinto dal Il 15 ed il 28 aprile a Biella e a Novara, si sono svolte due manifestazioni organizzate dalla Sede Siae di Torino e dall’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte, in collaborazione con i Comuni delle due città piemontesi per sensibilizzare i giovani sulle tematiche del rispetto del diritto d’autore e della lotta alla pirateria e per valorizzare il talento e la creatività dei giovani. Sono stati premiati gli slogan più originali e interessanti contro la pirateria. gruppo Playladies formato da Giulia Osservati, Vittoria Atta, Jessica Briasco, Micol e Miriam Ottina del liceo scientifico Avogadro di Biella, con il brano Fight. Il concorso per lo slogan più originale è stato vinto da Martina Piga e Martina Barresi con lo slogan “La musica è emozione, la pirateria è illusione”. Il 28 aprile a Novara, la formula della manifestazione contro la pirateria si è ripetuta con successo. Presso il Teatro Coccia erano presenti, fra gli altri, l’assessore alle politiche giovanili del Comune di Novara Matteo Maranti, il provveditore agli studi della Provincia di Novara Giuseppe Bordonaro, Filippo Gagliano, Rossana Carretto, Massimiliano Scuriatti, Marina Crescenti, Massimo Negro e Giorgio Pezzana. Nei messaggi di saluto iniziali, l’assessore Matteo Maranti, dopo aver ringraziato la Siae per aver scelto Novara, ha sottolineato l’impegno dell’amministrazione municipale nel sostenere manifestazioni che valorizzino talento e creatività dei giovani, aggiungendo che, secondo lui, quella intrapresa dalla Siae è la strada giusta per avere i giovani al proprio fianco nella lotta alla pirateria. Il provveditore Giuseppe Bordonaro, ha affermato di aver collaborato con convinzione soprattutto per l’importanza del risvolto educativo dell’iniziativa, confessando di essere egli stesso musicista per diletto. Filippo Gagliano, direttore della Sede Siae di Torino ha dichiarato di aver constatato con grande piacere l’attenzione che gli studenti riservano ai problemi del mondo autorale e che, pertanto, la via della sensibilizzazione è da ritenere di grande importanza nell’azione di contrasto alla pirateria. La giuria ha decretato la vittoria del concorso musicale del gruppo Seaward, formato da Lorenzo Familiari, Martina e Marco Picaro, Daniele Bassi dell’istituto Omar e del liceo scientifico Antonelli di Novara con il brano Beher not di Lorenzo Familiari. Il concorso per il miglior slogan antipirateria è stato vinto da Martina Rosati con lo slogan “In un mare di musica non vogliamo i pirati”. VIVAconcorsi a cura di Daniela Nicolai Tutte le segnalazioni di concorsi e premi riportate in queste pagine sono fatte a scopo puramente informativo e senza alcuna responsabilità da parte della Siae. Per i testi integrali dei bandi e per conoscere le modalità di partecipazione è necessario rivolgersi agli organizzatori delle singole manifestazioni. Gli organizzatori di premi e concorsi sono pregati di inviare, a corredo del bando o del regolamento, un’illustrazione e, se possibile, una rassegna stampa relativa alla manifestazione, nonché una comunicazione circa i risultati della stessa. I concorsi che compaiono in questa rubrica saranno pubblicati anche in una apposita sezione del sito Internet della Siae (www.siae.it) insieme a quelli che non è stato possibile segnalare a causa dei tempi redazionali. CANTAMUSIC SHOW 2010 La NV Records indice il festival nazionale Cantamusic Show 2010 ideato da Nello Villa, al quale possono partecipare cantanti, cantautori e gruppi a partire dal 16° anno di età. Si partecipa con un brano edito o inedito di durata massima di 4 minuti. Le domande di iscrizione, con le modalità previste dal bando, devono essere inviate entro il 15 luglio 2010 a: Nello Villa, Località Boeri 32, 17043 Plodio (Sv). E’ prevista una quota di partecipazione. Il primo premio consiste in un contratto discografico della durata di un anno. Per informazioni: tel. 019519643, [email protected]. CONCORSO DI COMPOSIZIONE LAVAGNINO 2010 L’Orchestra Classica di Alessandria bandisce il Concorso Internazionale di Composizione Lavagnino 2010, che si svolgerà a Gavi e Alessandria nell’ambito del Festival Internazionale Angelo Lavagnino. Sono ammessi a partecipare compositori di ogni nazionalità nati dopo il 1° gennaio 1965. Il termine per l’iscrizione scade il 2 agosto 2010. I partecipanti dovranno realizzare il commento musicale per una sequenza cinematografica della durata di 4-5 minuti circa, scelta fra due inviate preventivamente dall’organizzazione. Gli elaborati, con le modalità previste dal bando,devono pervenire entro il 9 ottobre 2010 a “Concorso Internazionale di Composizione “Lavagnino2010”, c/o Associazione Alexandria Classica, Via U. De Foro 4, 15100 Alessandria, oppure via mail a [email protected]. E’ prevista una quota di iscrizione. Per richiedere il bando completo e per ulteriori informazioni: tel. e fax: 347.8006826, 340.8194806, 0131.226202, [email protected], [email protected], www.lavagninofestival.it CONCORSO DI COMPOSIZIONE ANTONIO MANONI L’associazione Musica Antica e Contemporanea di Senigallia indice il Concorso di composizione Antonio Manoni. Gli organici per questa edizione sono: organo solista, clarinetto in Sib, pianoforte, duo cl e organo, duo cl e pianoforte. Le domande di iscrizione, con la documentazione richiesta dal bando, dovranno essere inviate tramite raccomandata entro il 25 agosto 2010: Associazione Musica Antica e Contemporanea, Concorso Antonio Manoni, Via della Marina 16, 60019 Montignano di Senigallia (An). E’ prevista una quota di iscrizione. La composizione vincitrice sarà edita dalle Edizioni Berben e sarà eseguita in prima assoluta nell’ambito della rassegna Musica Nuova Festival di Senigallia. Per informazioni: 071.9190503, 071.69215, 338.3886704, [email protected]. TROFEO DEL BERGAMOTTO L’associazione culturale Universum Calabria bandisce il concorso letterario internazionale Trofeo del Bergamotto suddiviso in quattro sezioni: poesia in lingua italiana a tema “il bergamotto”; poesia in lingua italiana a tema libero; poesia in vernacolo a tema libero; alunni delle scuole elementari e medie. E’ prevista una quota di iscrizione. Gli elaborati, con le modalità previste dal bando, dovranno pervenire, entro il 30 agosto 2010, a Universum Calabria, via Trapezi 19 trav. Priv., 89134 Croce Valanidi (Reggio Calabria). Per informazioni: 0965.641256, 328.1244802, [email protected], www.ilsaggio.it, associazione [email protected]. zione, per ensemble strumentale e piccolo coro, dovrà essere della durata massima di 7 minuti, inedita e mai eseguita. E’ prevista una quota di iscrizione. Al vincitore andrà un premio di 1.500 euro e la targa d’argento Siae. Gli elaborati, con la documentazione richiesta dal bando dovranno essere inviati online tramite il sito www.musicaearte.it oppure tramite mail a [email protected] entro il 18 settembre 2010. Per informazioni: [email protected], tel. 06.58209051. DE MUSICA, CONCORSO DI COMPOSIZIONE PIANISTICA L’associazione culturale “De Musica” di Savona bandisce il nono concorso nazionale di composizione pianistica con la direzione artistica del M° Giusto Franco. La composizione classica, per pianoforte solo, dovrà essere inedita e della durata di 7 minuti. Gli elaborati, con le modalità previste dal bando, dovranno pervenire entro il 30 settembre 2010 a: Associazione De Musica, via Corridoni 5-7, 17100 Savona. E’ prevista una quota di iscrizione. Per informazioni: tel. 019.853990, 329.4730217, [email protected], http://web.tiscali.it.demusica. PREMIAZIONI CONCORSO DI COMPOSIZIONE MUSICA E ARTE Ogni compositore, di qualsiasi età e nazionalità, potrà partecipare al Concorso Musica e Arte con un’unica partitura. La composi- LONDON SCHUBERT PLAYERS Il 31 marzo 2010, presso la Royal Academy of Music di Londra, si è svolto il lancio ufficiale del progetto “Invitation to Composers” indetto dal gruppo London Schubert Players e finanziato dalla Commissione Europea. Le composizioni scelte per quest’occasione sono state: “Crystals” di Bjørn Bolstad Skjel- bred , “Evocations Rituelles” di Roberto Brisotto, “Quator pour Marguerite” di Carmen Maria Cârneci e “Clouds. Homage to Messiaen” di Salvador Torre tutte scritte per violino, violoncello clarinetto e pianoforte ed ispirate al “Quator pour la Fin du Temps” di Olivier Messiaen. CANTAUTORI BITONTO SUITE Carolina Da Siena e Pasquale Delle Foglie si sono aggiudicati la IV edizione di Cantautori Bitontosuite, premio nazionale di musica d’autore. PREMIO LETTERARIO I FIUMI I vincitori del Premio Letterario I Fiumi sono, per la poesia Vincenzo Antonucci, per la narrativa Monica Tavarner, per il teatro Guido Nahum, per la musica leggera Giorgio Simoni, per il premio cultura e futuro Eleonora Marin, per il premio Unità produttive Salvatore Nicolosi, Anita Peloso e Diana Villardi. Per il Festival del Piave sono stati premiati Paola Canino, Luca Tessarolo e Mauro Faravelli. PREMIO LETTERARIO MICHELE GINOTTA L’edizione 2009 del concorso letterario in forma chiusa del Cenacolo Studi Michele Ginotta si è conclusa con l’assegnazione del primo premio a Paolo Bezzi e del secondo premio a Giangiacomo Amoretti. ACCADEMIA DI SANTA CECILIA Il vincitore del Concorso internazionale di composizione 2009 bandito dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e riservato quest’anno a una composizione originale per orchestra da camera è stato vinto da Christian Cassinelli con l’opera “Halak”. VIVAVERDI 85 l’ultimo applauso RAIMONDO VIANELLO GRAZIE PER 50 ANNI DI IRONIA Foto TecheRai di Maurizio Costanzo Quando cinquant’anni fa cominciai a fare il giornalista il primo personaggio che conobbi fu Raimondo Vianello (Roma 7 maggio 1922- 15 aprile 2010) e da allora per 50 anni siamo stati amici e talvolta complici come quando nel ‘62 volle dare a me che lavoravo in un settimanale della Mondadori l’esclusiva del matrimonio con Sandra. L’anno dopo, nel ’63, in occasione del mio primo matrimonio, gli chiesi e lui accettò di farmi da compare d’anello. Raimondo, portatore sano d’ironia. Nel 1998 con Enrico Mentana realizzammo a Milano uno speciale dal titolo I tre tenori e cioè Raimondo Vianello, Corrado e Mike Bongiorno. Con la morte di Raimondo quello speciale diventa archivio ma andrebbero ricordati sempre gli sguardi senza proferire parola di Vianello con Corrado quando Mike si abbandonava a qualche tirata un po’ retorica. In questo momento di mio personale dolore, condiviso lo so da tanti italiani, penso con malinconia a Sandra che ha condiviso con quest’uomo 48 anni di matrimonio e ha consegnato Casa Vianello che rimane un bel momento di televisione. Ma penso anche e con soddisfazione che finalmente la coppia Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello si è ricomposta. Come quando dal 1954 al ‘59 condussero il primo varietà della televisione italiana Un due tre. Continuando a pensare a Tognazzi e a Vianello chissà come staranno commentando le nostre parole, frasi anche di circostanza, archivi messi a soqquadro per proporre immagini. E forse staranno anche ripercorrendo gli anni delle riviste teatrali quando trionfavano i doppi sensi o quando un colpo di batteria copriva la parola licenziosa. Una volta Vianello disse: “Io, in vacanza, sono stato ad Ischia dove si canta, si balla, e si fischia” e Tognazzi di rimando: “Io, invece, sono stato a Giava, dove si balla, si canta e si …” break di batteria a coprire la rima. Erano molto divertenti le liti fra Sandra e Raimondo quando c’erano i mondiali di calcio o le Olimpiadi in quanto Raimondo si autosequestrava in casa, non voleva essere disturbato per nessun motivo e correva dietro al fuso orario per seguire anche lo sport più modesto trasmesso alle 5 di mattina. Perché non molti ricordano che Vianello fu Presidente di una piccola squadra di calcio che si chiamava Samo ovvero Sandra Mondaini e vi giocava anche lui e se è arrivato gagliardamente agli 88 anni lo si deve anche a questa passionaccia del gioco del pallone. Grazie Raimondo, per questi 50 anni, per tutti noi sarà impossibile dimenticarti. l’ultimo applauso NICOLA ARIGLIANO QUELL’ESTATE DEL’59 di Giorgio Calabrese Estate 1959. “ ‘Rijàa! (Arigliano) Canta Singapore!” Cercare di spiegare all’ignoto “fan” che Nicola Arigliano (Squinzano 6 dicembre 1923- 30 marzo 2010) che canta I sing ammore e Singapore non c’entra niente sarebbe tempo perso. La voce stentorea cavalca brusii e risate di “Riva Fiorita”, caffè, giardino e dancing di Porto San Giorgio. Poi, la stessa voce commenta: “quanno che viene Arigliano a cantà’, Marcotulli (il proprietario) mette li tavoli pure sopra le piante!”. La gente ride. Sono anni così. In altra sede, a fine spettacolo, Gorni Kramer si avvicina e quasi sollecitandolo gli dice: “ Dài, Nicola, sù, che andiamo a spaventare i bambini!..” Di venir definito “il brutto” non gli importava affatto. Anzi, la riteneva, forse, una sua prerogativa. D’altra parte, di “brutti fascinosi” è colma la letteratura e la cinematografia. A I sing ammore fece seguito My wonderful bambina immediatamente parodiata in Salvate la bambina e la serie dei piccoli swing come Milano, Dimmi di no e una “Canzonissima” con Arrivederci, Infine, un progetto ambizioso di disco con canzoni alternate a recitativi che facevano da filo conduttore. Il tutto sostenuto dall’orchestra di Pino Calvi. Il disco si chiamava Uno che sta pensando a te. Ci è piaciuto costruirlo pezzo dopo pezzo: vero, Nic? Nell’ambiente dei collezionisti e dei jazzaroli pare circoli ancora. Soprattutto Non importa quando. Poi, ancora tv per te e un “Sanremo” con Colpevole prima di dedicarti completamente ai “fermentati” (ortaggi vari conservati sotto acqua, sale e chissà quali altri accidenti) nel tuo buen retiro del “Vocabolo Berardelli” in località “Angeli” di Magliano Sabina, dove sei riuscito a far entrare, oltre ai boccali di verdure, anche un pianoforte mezza coda per ogni evenienza. VIVAVERDI 87 CARLO ALBERTO ROSSI, L’ELEGANZA DELLA BELLEZZA di Franco Daldello Sono pochi gli uomini di spettacolo che come Carlo Alberto Rossi (30 agosto 1921-12 aprile 2010) hanno saputo spaziare con successo dall’attività creativa a quella imprenditoriale. Navigando su YouTube è possibile ammirare anche le sue capacità di entertainer in occasione di una sua performance come pianista cantante di alcune delle sue canzoni ospite, in una trasmissione di Mike Bongiorno di qualche anno fa. I lettori di VivaVerdi, soprattutto quelli della mia generazione, san- l’ultimo applauso no già tutto di lui, che era nato a Rimini e che aveva mantenuto un legame molto stretto con la sua città d’origine conservando per tutta la vita le caratteristiche peculiari e la simpatia del carattere forte dei Romagnoli. Quindi non voglio fare qui l’elenco delle centinaia di canzoni da lui composte, molte delle quali seppero portare una piccola rivoluzione nel mondo della canzone italiana vestendo le sue creazioni con l’eleganza di un abile sarto che seppe cucire strette fra loro la melodia italiana e le armonie e gli accordi del più raffinato jazz d’oltre oceano. Spero, in queste poche righe, di riuscire a far risaltare quanto egli fece e si adoperò, come uomo, come artista e come imprenditore sempre volto alla ricerca della bellezza. Quando con suo fratello Alfredo fondò l’Ariston si circondarono di grandi talenti ognuno dei quali seppe imporsi nel firmamento della canzone italiana e non solo. Le sue canzoni erano l’immagine della bellezza che egli ricercava senza mai concedersi alla moda od allo stile del momento e lo stesso metro, ecco che ritorna la figura del bravo sarto artigiano, contraddistinse Carlo Alberto Rossi imprenditore. La sua CAR Juke Box fu una palestra dove si fecero i “muscoli” dei veri e propri talenti, alcuni dei quali innovativi rispetto alla moda del momento, quali: Joe Sentieri, Fausto Cigliano, Le Orme, Mimì Berté (Mia Martini), Pier Giorgio Farina ed Enzo Jannacci. I suoi studi di registrazione, noti come Fonorama, erano dotati della miglior tecnologia del momento e furono frequentati da molti importanti artisti. Tra questi voglio ricordarne, solo perché ne ho fatto parte, alcuni della “Numero Uno” quali Lucio Battisti e la Premiata Forneria Marconi. Qualcuno molto più autorevole di me ha detto che il mondo ha bisogno degli artisti e che la sua salvezza morale può solo venire dalla bellezza che essi sanno trasferire alla società civile. Bene, un grande grazie all’artista / imprenditore Carlo Alberto Rossi per aver fatto così bene la sua parte. GINO INGROSSO, FOLKSINGER SALENTINO Addio a Gino Ingrosso (16 giugno 193217 aprile 2010), cantautore e cantastorie della tradizione popolare salentina, un musicista legato alla tradizione folk della città, a lungo sotto contratto per un’etichetta milanese, autore di centinaia di brani e composizioni eseguite anche da cantanti di fama internazionale, tra i quali Gene Pitney (Quella che sa piangere e Verrò), The Everly Brothers (La luna è un pallido sole, con testo di Mogol), John Rowles (The pain goes on forever, versione inglese di Il viaggio dell’amore, scritta con Totò Savio). Ingrosso ha ereditato dal padre, suonatore di mandolino, la passione per la musica e presto ha imparato a suonare la chitarra, con la quale girava per feste da ballo e paesane, mischiando il dialetto salentino con ritmi da ballo in voga, dai valzer al boogie-woogie. Aveva meno di diciotto anni quando una troupe della Rai giunse a Castri, suo paese natale, e lo scelse per interpretare una sua composizione, Lecce mia in una registrazione di canti di lavoratori. Il successo cominciò ad arrivare: a Roma conobbe Paolo Bacilieri, che inserì nel suo disco due canzoni di Gino, quello fu il trampolino di lancio per ottenere un contratto discografico con la Sugar Music per la quale ha composto tantissime canzoni fra originali e versioni straniere: Non è la fine incisa da Bobby Solo, Incubo n. 4 per Caterina Caselli, Il rimpianto per Nicola di Bari, Noi siamo in tre per Betty Curtis. Dalla fine degli anni ’70 riscoprì la musica popolare della natìa terra salentina. Tra i suoi brani più noti: Torna pe’ sempre, Lu pompieri, Ieu pe’ tie, La fresedda e nel 1985 Lecce in serie A per celebrare la prima storica promozione del Lecce nella massima divisione. Fu l’organizzatore del primo Festival della canzone leccese “Lucerneddhe lucerneddhe” nel 1978. Poi, dagli anni ottanta, si è dedicato alla ripresa della pizzica, portandola di nuovo in auge. Aveva celebrato la sua carriera, con la pubblicazione del libro 19752000, venticinque anni di canzoni leccesi, dove raccontava, con modestia e buonsenso, la sua splendida storia, tra aneddoti personali e piccole riflessioni. Il suo ultimo album, Baraonda , del 2008, è una raccolta di successi, vecchi e nuovi. VIVAVERDI 89 Foto Farabola Foto FURIO SCARPELLI, HA DIPINTO L’AFFRESCO DELLA SOCIETÀ ITALIANA di Franco Montini Anche ad elencare soltanto i capolavori e i film che hanno segnato la storia del cinema italiano, e non solo, scritti da Furio Scarpelli la lista rischia di essere interminabile. Sedotta e abbandonata e Signore & signori per Germi; La marcia su Roma, I mostri, In nome del popolo italiano per Risi; Tutti a casa per Comencini; I soliti ignoti, La grande guerra, I compagni, L’armata Brancaleone per Monicelli; Riusciranno i nostri eroi…, Dramma della gelosia, C’eravamo tanto amati per Scola; Il buono, il brutto il cattivo per Leone; Ovosodo per Virzì. Un elenco che dà la vertigini, una produzione sterminata, nel segno della commedia, da intendersi nella versione più alta, ovvero un genere capace di suscitare ad un tempo sorrisi e lacrime, di comunicare messaggi importanti e profondi in forma piacevole e spettacolare. Una filmografia ricca di 140 titoli, scritti in un arco di tempo di sessant’anni: dal 1949, Totò cerca casa, primo di una quindicina di film realizzati per il grande attore, al 2009, Christine Cristina, esordio in regia di Stefania Sandrelli. Perché Furio Scarpelli, nato a Roma il 16 dicembre 1919 e scomparso a 90 anni compiuti lo scorso 28 aprile, è stato uno sceneggiatore instancabile, un autentico fiume in piena, attivo nella professione fino agli ultimi giorni. Oltre che un generoso maestro che ha insegnato i segreti del mestiere ad uno stuolo di allievi, fra i quali, tanto per citare un paio di nomi, ci sono Paolo Virzì e Francesco Bruni. La carriera di Scarpelli si è svolta in gran parte accanto e insieme al coetaneo Age, morto cinque anni fa, conosciuto nelle redazioni delle riviste umoristiche del dopoguerra, dove entrambi lavoravano come giornalisti. Impossibile scindere i contributi dell’uno da quelli dell’altro nel loro lungo e duraturo sodalizio. I tratti identificativi del cinema di Scarpelli (e di Age) si possono riassumere in un mix di umorismo e moralità, intelligenza e cultura, ironia e fantasia. Proprio in un’intervista pubblicata su questo giornale, così Scarpelli ricordava le caratteristiche del suo sodalizio con l’amico e collega: “Ciò che accomunava Age e me era un’etica della professione, ovvero alcuni principi morali: una comune convinzione politica, un’attenzione al sociale, una comprensione per il prossimo, una simpatia per i personaggi da narrare e l’individuazione di un preciso punto di vista, che non deve essere affatto quello dell’autore. Un autore è tanto più grande se riesce ad occultarsi nella sua storia”. Scarpelli c’è sempre riuscito; detestava l’autore narciso che parla di se stesso, prediligeva il lavoro di gruppo ed odiava la cinefilia. Schivo per carattere, provava un sincero fastidio nei confronti di qualsiasi forma di omaggio e celebrazione; convincerlo a partecipare a rassegne che lo riguardavano non era semplice, anche se, una volta coinvolto, era generosissimo e non si risparmiava, capace di parlare per ore da straordinario affabulatore. Scarpelli amava le storie, i personaggi, le trame romanzesche; per essere un buon sceneggiatore- era solito ripetere- bisogna essere innanzitutto un narratore; la tecnica è la cosa che conta meno. “Ed anche la tecnologia- commentava nell’intervista già citata- non ha molta importanza. Confesso che nel mio lavoro non uso il computer e che, a volte, scrivo ancora a mano”. I suoi modelli di ispirazione, più che i registi, sono stati i giganti della letteratura: Balzac, Maupassant, Gogol, Turgenev, Fitzgerald, uniti alla straordinaria capacità di cogliere al volo i cambiamenti di costume, i modi di fare e di atteggiarsi, le novità linguistiche emergenti nella vita quotidiana. Davvero il cinema di Scarpelli (e di Age) rappresenta il più interessante e veritiero affresco sulla società italiana degli ultimi sessant’anni. Se, come sostengono gli americani, la sceneggiatura è l’elemento più importante nella realizzazione di un film, allora Furio Scarpelli merita di essere considerato il più importante cineasta italiano. VIVAVERDI 90 ORGANI SOCIALI ASSEMBLEA RIUNIONE DEL 29 MARZO 2010 L’Assemblea, riunitasi il 29 marzo 2010, ha ricevuto una informativa relativa all’andamento dei costi e dei ricavi, in vista della definizione degli indirizzi per la predisposizione del piano strategico per il triennio 2010- 2012. La stessa Assemblea ha rinviato la prosecuzione dell’esame dell’argomento ad una successiva riunione, da tenersi nel mese di maggio. CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE RIUNIONE DEL 25 FEBBRAIO 2010 Nella riunione del 25 febbraio 2010 il Consiglio di Amministrazione ha proseguito la discussione per la definizione degli obiettivi e degli indirizzi finalizzati alla redazione del piano strategico. Il Consiglio ha inoltre approvato, su parere conforme della Commissione della Sezione Musica, le condizioni contrattuali negoziate con la Fimi per la riproduzione delle opere su supporti fonografici e Dvd musicali. RIUNIONE DEL 4 MARZO 2010 Ad inizio riunione il Consiglio di Amministrazione ha rivolto un saluto di benvenuto al nuovo Presidente del Collegio dei Revisori, dott. Benito di Troia, nominato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a seguito delle dimissioni presentate dal dott. Giancarlo Settimi. Il Consiglio di Amministrazione è stato quindi informato sulle trattative in corso in materia di diritti connessi ed ha discusso alcune questioni concernenti gli accordi per la determinazione dell’equo compenso spettante agli autori cinema (art. 46bis della legge sul diritto d’autore), decidendo in proposito di or- ganizzare uno specifico incontro con tutte le associazioni di categoria interessate. Il Consiglio ha poi approvato le ordinanze di ripartizione per l’anno 2010 per le Sezioni Musica e Dor e, su parere conforme della Commissione della Sezione Musica, i criteri della nuova licenza integrata per gli operatori telefonici. Il Consiglio infine ha nominato i componenti del “Comitato arti visive e altre figure autorali” ed ha proseguito la discussione sul piano strategico. RIUNIONE DEL 22 MARZO 2010 Nella riunione del 22 marzo 2010 il Consiglio di Amministrazione ha deliberato di proporre all’Assemblea l’approvazione di una modifica all’art. 147 del Regolamento Generale. Il Consiglio ha quindi proseguito la discussione per la definizione degli obiettivi e degli indirizzi finalizzati alla redazione del piano strategico. Il Consiglio ha poi approvato l’accettazione in tutela da parte della Sezione Musica delle elaborazioni della parte musicale di opere tutelate, l’utilizzo dei criteri da adottare per il rilascio di licenze multiterritoriali relative all’utilizzazione del repertorio degli associati Siae, la revisione delle licenze per l’utilizzo del repertorio amministrato in siti internet di autopromozione degli autori ed editori (Apae) e dei produttori fonografici ed artisti esecutori (App) e l’introduzione di una tariffa agevolata per gli spettacoli teatrali che avvengono in teatri fino a 50 posti. Il Consiglio è stato infine informato dell’andamento della trattativa con Scf, ha approvato le modifiche relative ai generi teatrali proposte dalla Commissione della Sezione Dor ed ha deliberato il rinnovo per l’anno 2010 dell’accordo in materia di reprografia con le associazioni degli autori e degli editori. RIUNIONE DEL 30 MARZO 2010 Nel corso della riunione il Consiglio di Amministrazione ha deliberato, su parere conforme della Commissione della Sezione Cinema, la disdetta del vigente accordo con Sky Italia relativo all’equo compenso previsto dall’art.46 bis della legge sul diritto d’autore. Il Consiglio, su parere della competente Commissione della Sezione Dor, ha quindi nominato un nuovo componente del Comitato Intersezionale copia privata. Il Consiglio ha poi ratificato il Documento Programmatico sulla sicurezza relativa ai dati personali, ha preso atto dell’informativa resa dal Direttore dell’Ufficio Affari Giuridici e Legali in merito ai ricorsi depositati da alcune società innanzi al Tar Lazio per l’annullamento del DM del 30.12.2009 relativo alla determinazione dei compensi di copia privata, ha nominato presidente dell’Organismo di Vigilanza la dott.ssa Claudia Cattani, già componente dell’organismo, e quale ulteriore membro, il dottor Benito Di Troia. Il Consiglio ha infine proseguito, con riferimento agli esiti dell’Assemblea del 29 marzo 2010, la discussione sul piano strategico. RIUNIONE DEL 15 APRILE 2010 Il Consiglio di Amministrazione è stato informato del’abbandono della richiesta di sospensiva da parte delle società che avevano impugnato di fronte al Tar Lazio il DM 30.12.2009 relativo alla determinazione dei compensi di copia privata. Il Consiglio ha poi ricevuto il progetto di nuovo Statuto elaborato dal Comitato per la revisione dello Statuto e dei Regolamenti, unitamente alla relazione illustrativa e al documento contenente le posizioni minoritarie, rinviandone a successiva riunione l’esame. Il Consiglio ha infine proseguito la discussione sul piano strategico. SEZIONI SERVIZI E UFFICI SEZIONE MUSICA RIUNIONE DELLA COMMISSIONE DI SEZIONE DEL 2 MARZO 2010 Il giorno 2 marzo 2010 si è riunita presso la Direzione Generale la Commissione della Sezione Musica, presieduta dal M° Franco Micalizzi. Erano presenti alla seduta della Commissione il Direttore della Divisione Autori ed Editori dott.ssa Sabina Riccardelli, il Direttore della Sezione Musica dott. Antonio Coluccini con funzioni di Segretario, il Dirigente Responsabile dell’Ufficio Ripartizione e Utilizzazioni dott. Nazzareno Tirocchi, la dott.ssa Francesca Giovagnorio della Divisione Autori ed Editori e la dott.ssa Concetta Virgòpia del Supporto Gestionale della Sezione Musica. In apertura di seduta il Presidente avv. Giorgio Assumma ed il Direttore Generale dott. Gaetano Blandini sono intervenuti per dare un aggiornamento sullo stato delle trattative in corso con Sky, anche all’esito della richiesta di disdetta del contratto in scadenza al 30 giugno 2010 con la suddetta emittente, avanzata da alcune Associazioni di autori cinematografici e televisivi. La Commissione ha espresso parere contrario sia in ordine alla ipotesi di disdetta per il repertorio musica sia in ordine alla richiesta delle medesime Associazioni di partecipazione di una rappresentanza di associati alle trattative con gli utilizzatori. La Commissione ha quindi approvato il verbale della precedente riunione dell’11 febbraio 2010 ed ha, nell’ordine, reso i seguenti pareri di competenza in merito ai criteri ed al relativo schema tariffario posti rispettivamente a base di: 1) una nuova Licenza elaborata per consentire l’utilizzo di opere musicali in servizi telefonici e via internet da parte degli operatori Telecom, Vodafone, Wind e H3G; 2) una nuova Licenza elaborata per l’utilizzo del solo repertorio degli associati Siae da bollettino sociale parte dell’operatore Beatport, con l’ulteriore previsione della possibile estensione ad altri contratti di licenza multiterritoriali; 3) una nuova Licenza elaborata per consentire, in abbonamento, attività di downloading a tempo esclusivamente a mezzo telefono cellulare. La Commissione ha inoltre reso parere favorevole in merito: - alla revisione ed alla previsione di una nuova fascia tariffaria per le Licenze in vigore relative all’utilizzo del repertorio amministrato in siti internet di autopromozione sia degli autori ed editori (Licenze APAE - Auto Promozione Autori ed Editori) sia dei produttori fonografici ed artisti esecutori (Licenze APP - Auto Promozione Produttori fonografici), con introduzione in particolare di una ulteriore fascia tariffaria minima agevolata per gli artisti in relazione alla sola Licenza APP; - alla introduzione di una fascia tariffaria agevolata per le musiche di scena in spettacoli teatrali all’interno di teatri con capienza fino a 50 posti. La Commissione ha infine preso atto della informativa resa dagli Uffici in merito allo stato dei rapporti con YouTube. COMMISSIONE TECNICA ELABORAZIONI DI OPERE DI PUBBLICO DOMINIO La Commissione Tecnica per l’esame delle elaborazioni di opere di pubblico dominio si è riunita il giorno 16 marzo 2010, sotto la Presidenza del Direttore della Sezione Musica dott. Antonio Coluccini. La Commissione ha esaminato complessivamente n. 169 elaborazioni, formulando i pareri di competenza in relazione alla possibilità di accettazione in tutela e alla relativa assegnazione di quote di diritti in base alle previsioni della Delibera Commissariale n. 1 del 7 Gennaio 2002. ELENCO DEI CONTRATTI GENERALI DI CESSIONE PER L’ESTERO NOTIFICATI ALLA SIAE NEL CORSO DEL SECONDO SEMESTRE 2009 Ai sensi della normativa sociale in materia, si dà notizia qui di seguito dei contratti generali stipulati da editori originali con sub-editori stranieri per la gestione da parte di questi ultimi del repertorio dell’editore cedente. Cedente: TORNADO EDIZIONI MUSICALI Cessionario: ROBA MUSIC VERLAG Data: 01/06/2009 Territorio: GERMANIA, AUSTRIA, SVIZZERA, POLONIA Cedente: TORNADO EDIZIONI MUSICALI Cessionario: K9 MUSIC PUBLISHING Data: 01/06/2009 Territorio: ROMANIA Cedente: TORNADO EDIZIONI MUSICALI Cessionario: CLIPPER’S EDICIONES MUSIC Data: 01/06/2009 Territorio: SPAGNA, PORTOGALLO Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI Cessionario: K9 MUSIC PUBLISHING Data: 01/01/2010 Territorio: ROMANIA Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI Cessionario: ROBA MUSIC VERLAG Data: 01/01/2010 Territorio: GERMANIA,AUSTRIA,SVIZZERA,POLONIA Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI Cessionario: CLIPPER’S EDICIONES MUSIC. Data: 01/01/2010 Territorio: SPAGNA, PORTOGALLO VIVAVERDI 92 SEZIONI SERVIZI E UFFICI Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI Cessionario: ARTEMIS MUZIEKUITGEVERIJ B V Scaduto: 31/12/2009 Territorio: MONDO Cedente: FMA EDIZIONI MUSICALI Cessionario: ARTEMIS MUZIEKUITGEVERIJ B V Scaduto: 31/12/2007 Territorio: MONDO Cedente: FMA EDIZIONI MUSICALI Cessionario: K9 MUSIC PUBLISHING Data: 01/06/2009 Territorio: ROMANIA Cedente: FMA EDIZIONI MUSICALI Cessionario: CLIPPER’S EDICIONES MUSIC. Data: 01/06/2009 Territorio: SPAGNA, PORTOGALLO Cedente: THE SAIFAM GROUP Cessionario: TEDDYSOUND S A Rinnovato fino al : 31/12/2013 Territorio: SPAGNA Cedente: THE SAIFAM GROUP Cessionario: MELODIE DER WELT Rinnovato fino al : 31/12/2010 Territorio: GERMANIA, AUSTRIA, SVIZZERA Cedente: EDIZIONI MUSICALI ORLA SNC Cessionario: ALL MUSIC PUBLISHING Scaduto: 31/01/2010 Territorio: BELGIO, OLANDA Cedente: SUGAR GROUP e Case ASSOCIATE Cessionario: BONNIER GAZELL MUSIC PUBLISHING AB Scaduto: 31/12/2009 Territorio: PAESI SCANDINAVI Cedente: ANTIBEMUSIC SRL Cessionario: ANKH Data :01/01/2009 Territorio: GRECIA, CIPRO PREMI INTERNAZIONALI ASCAP Anche per il corrente anno la Società consorella americana ASCAP ha istituito il programma di Premi Internazionali destinato ad associati meritevoli le cui opere, licenziate dall’ASCAP, siano state eseguite nel territorio degli Stati Uniti in località non comprese nel campionamento-base dei diritti di pubblica esecuzione. La giuria che designa i beneficiari dei premi è composta da membri eminenti della comunità musicale che non sono né associati né dipendenti dell’ASCAP, è indipendente nelle sue determinazioni, che sono definitive. I requisiti per concorrere ai premi sono i seguenti: - le esecuzioni devono essere state autorizzate dall’ASCAP (e non da altra Società degli Autori statunitense); - le esecuzioni devono essere avvenute nel territorio degli Stati Uniti nel periodo 1° ottobre 2009 – 30 settembre 2010; - possono concorrere esecuzioni dal vivo, incluse quelle in night-clubs, pubs, alberghi, parchi di divertimento, spettacoli multimediali. - il candidato non deve aver percepito più di 25.000 dollari in diritti d’autore dall’ASCAP in tale periodo (questo requisito sarà verificato dall’ASCAP); - sono esclusi dalla partecipazione gli editori; - non possono partecipare neanche gli eredi di associati deceduti; - le composizioni eseguite devono essere regolarmente dichiarate all’ASCAP. Nella domanda dovranno essere indicati la data dell’esecuzione, il titolo/i dell’opera/e, l’esecutore ed il luogo dell’avvenuta esecuzione. Ogni esecuzione indicata dovrà essere corredata di idonea documentazione di supporto (ad es. programmi a stampa, annunci pubblicitari a stampa, recensioni, lettere di conferma, ecc.). Non dovranno essere allegati spartiti o registrazioni delle opere. I moduli di domanda possono essere richiesti alla Direzione Generale della SIAE - Tutela Repertori all’Estero (Segreteria: tel. 06.59902255) – Viale della Letteratura, 30 00144 ROMA (e-mail: [email protected]) e alla stessa dovranno essere restituiti, debitamente compilati e corredati della documentazione richiesta, entro il 31 dicembre 2010. La SIAE, esperiti gli ulteriori adempimenti necessari (fra i quali l’inserimento nel modulo del numero IPI del candidato), provvederà all’invio delle domande di partecipazione all’ASCAP pervenute entro detto termine. SEZIONE CINEMA RIUNIONE DELLA COMMISSIONE DI SEZIONE DEL 24 MARZO 2010 La Commissione della Sezione Cinema, presieduta da Domenico Mezzatesta, si è riunita presso la sede sociale in data 24 marzo 2010 -convocata con la procedura prevista per i casi d’urgenza dall’art.112 del Regolamento Generale- per rendere il parere di competenza in ordine all’eventuale disdetta del contratto per equo compenso in vigore con Sky, con la conseguente riapertura anticipata delle trattative rispetto alla previsione di rinnovo tacito dell’accordo per un ulteriore anno. Presenti i componenti autori Antonino Biocca, Laura Ippoliti, Serafino Murri, Massimo Sani e Vittorio Sindoni; assenti i componenti produttori Paolo Ferrari (Warner Bross Italia Spa) e Alessandro Fracassi (Racing Pictures srl , in liquidazione). Per la Siae hanno partecipato il Direttore della Divisione Autori ed Editori, Sabina Riccardelli, e il Direttore della Sezione, Lucia Bistoncini, anche in veste di segretario. Alla riunione è intervenuto in apertura anche il Direttore Generale, dott. Gaetano Blandini, che, dopo aver registrato sull’argomento in discussione la sostanziale unità di intenti emersa nell’incontro tenutosi il precedente SEZIONI SERVIZI E UFFICI 18 marzo con le rappresentanze allargate alle Associazioni degli autori, ha riassunto i profili tecnici della questione ed aggiornato la Commissione sugli approfondimenti svolti, anche sul piano giuridico/ legale, per fornire ai Commissari tutti gli elementi di valutazione necessari ad assumere le proprie determinazioni. I Commissari, nel corso della discussione che ha fatto seguito, hanno formulato e motivato le rispettive posizioni rispetto all’opportunità o meno di esercitare il diritto di recesso, esprimendo conclusivamente, a maggioranza dei presenti, parere favorevole alla disdetta del contratto con Sky, la cui durata termina quindi al prossimo 30 giugno 2010. RIUNIONE DELLA COMMISSIONE DI SEZIONE DEL 14 APRILE 2010 La Commissione della Sezione Cinema, presieduta da Domenico Mezzatesta, si è riunita presso la sede sociale in data 14 aprile 2010, presenti i componenti autori Antonino Biocca, Laura Ippoliti, Serafino Murri, Massimo Sani, Vittorio Sindoni e, per i componenti produttori, Alessandro Fracassi (Racing Pictures srl , in liquidazione). Hanno partecipato alla riunione il Direttore della Divisione Autori ed Editori, Sabina Riccardelli e il Direttore della Sezione, Lucia Bistoncini, anche in veste di segretario. In apertura di riunione è intervenuto anche il Direttore Generale, dott. Gaetano Blandini, che ha fornito comunicazioni di carattere generale ed informato la Commissione che, dopo il passaggio in Consiglio di Amministrazione, la disdetta del contratto è stata notificata a Sky nei termini previsti per l’esercizio del diritto di recesso; sul punto ha richiesto che vengano formulate in tempi brevi, per la ripresa delle trattative, concrete proposte sulle quali gli uffici possano sviluppare valutazioni di ordine tecnico, propedeutiche ad impostare il nuovo negoziato. bollettino sociale La riunione è stata dedicata all’esame delle problematiche relative al rinnovo degli accordi per equo compenso con Rai e Mediaset, le cui trattative sono in corso ed i cui effetti dovranno decorrere dal 1° gennaio 2009. Sulla base di un documento di aggiornamento dello stato delle trattative, corredato dalle valutazioni e dai dati di commento degli uffici, la Commissione è stata richiesta di valutare – per la prosecuzione delle trattative - l’opportunità di proseguire il confronto sulla base dello schema contrattuale a tariffa finora adottato che, per la notevole persistente distanza delle rispettive posizioni negoziali e per la rigidità del sistema, offre modesti margini di trattativa. In alternativa è stata prospettata una radicale modifica dell’assetto negoziale con il passaggio ad uno schema di contratto a percentuale. Di entrambe le opzioni sono stati illustrati vantaggi e criticità. Il Direttore Generale, pur condividendo le conclusioni degli uffici, che individuavano nel sistema a percentuale un percorso negozialmente più agevole, ha invitato la Commissione ad effettuare le valutazioni e a formulare le proposte di competenza tenendo presente che il cambio di linea negoziale - che pure riterrebbe, anche dal punto di vista dei tempi negoziali, più percorribile – presuppone la successiva definizione di un sistema ripartitorio, la cui elaborazione richiede che ci sia la più serrata, serena e costruttiva dialettica tra le componenti associative interessate al repertorio amministrato dalla Sezione. La Commissione, nel respingere in blocco le richieste delle controparti, ha optato, a maggioranza, per il mantenimento dello schema di contratto a tariffa. SEZIONE DOR ACCORPAMENTO GENERI TEATRALI Il Consiglio di Amministrazione, nella riunione del 22 marzo 2010, ha approvato la proposta espressa dalla Commissione della Sezione Dor il 24 novembre 2009 in merito all’accorpamento dei generi teatrali e alla revisione della nomenclatura delle opere tutelate dalla Sezione. Tali modifiche sono state apportate in quanto, anche se non alterano sostanzialmente le modalità di accettazione in tutela delle opere e non modificano le condizioni generali tariffarie, rendono la classificazione delle opere più chiara e più aderente alle forme di spettacolo che hanno assunto sempre maggior rilievo negli ultimi anni. Nel bollettino di dichiarazione i generi delle opere di pertinenza della Sezione avranno pertanto la seguente classificazione: • OPERE DI PROSA Rientrano in tale genere: commedia, dramma o tragedia, scena teatrale, monologo teatrale, azione mimica, farsa, fiaba teatrale, produzione per bambini. • BURATTINI E MARIONETTE • OPERA DI CABARET E OPERE ANALOGHE • CIRCO TEATRO • TEATRO MUSICALE - Con musiche create appositamente. Vi rientrano: Operetta, Commedia musicale, fantasia musicale, fiaba musicale, Musical, Dramma musicale. - Con musiche preesistenti. Vi rientrano commedia musicale, fantasia musicale, fiaba musicale. COMPENSI MINIMI Il Consiglio di Amministrazione, nella riunione del 22 marzo 2010, ha approvato la pro- VIVAVERDI 94 SEZIONI SERVIZI E UFFICI posta espressa dalla Commissione della Sezione Dor il 4 novembre 2009 in merito all’introduzione di una tariffa agevolata per spettacoli teatrali rappresentati in teatri con capienza fino a 50 posti. Pertanto, i compensi minimi da applicare qualora ricorrano le condizioni suddette, sono i seguenti: Compenso minimo DOR per teatri con capienza fino a 50 posti (compagnie professionali e amatoriali) € 40,00 Naturalmente tale tariffa agevolata riguarda anche il compenso previsto per le musiche di scena, rapportato ad 1/3 dei compensi Dor. Compenso minimo Musica per teatri con capienza fino a 50 posti (pari a 1/3 del compenso DOR) € 13,33 SEZIONE OLAF RIUNIONE DELLA COMMISSIONE DI SEZIONE DEL 15 DICEMBRE 2009 La Commissione della Sezione Olaf si è riunita il giorno 15 dicembre 2009 alle ore 10.00. Presenti i Commissari Alberta Locati, Massimo Nardi, Alessandro Occhipinti, Franco Pallotta, Laura Piccarolo, Girolamo Potestà, Samantha Raugei e Natale Antonio Rossi. Il verbale relativo alla riunione precedente viene approvato all’unanimità. Il Segretario dà lettura della bozza di Ordinanza di ripartizione della Sezione Olaf per l’anno 2010 predisposta dalla struttura, che riporta in dettaglio i criteri già approvati dal Consiglio di Amministrazione, che viene approvata all’unanimità. Il Presidente Occhipinti riferisce circa la necessità, analogamente a quanto avviene per le altre tariffe praticate dalla Società, di incre- mentare per l’anno 2010 i compensi per le letture e recitazioni in pubblico (Pdl) dell’indice Istat pari all’1% così come da proposta degli Uffici. Dopo discussione, l’adeguamento proposto viene approvato all’unanimità. In ordine all’esame delle licenze utilizzazioni web per opere letterarie, il Segretario illustra ai Commissari le modalità, con le quali fino ad oggi la Sezione ha amministrato i diritti di riproduzione del repertorio letterario su internet, precisando altresì che in materia di diritti delle arti visive la Siae opera in base a tariffari Ola, soggetto associativo che riunisce le Società consorelle in ambito comunitario. Dopo una approfondita riflessione da parte dei Commissari con richieste di chiarimento puntuale sui dettagli operativi e sugli aspetti più complessi della fruizione via web, i Commissari decidono di delegare il Gruppo di lavoro per le Opere Letterarie ad effettuare approfondimenti in merito all’uso parziale dell’opera letteraria ai fini del trattamento delle utilizzazioni in regime di: “grande/piccolo diritto”. Il Segretario comunica che la Sezione Olaf, anche sulla base di quanto già operato dalle consorelle straniere (Adagp, Vegap, Ars, fra le altre), ha intrapreso, con la collaborazione del Servizio Pianificazione Bilancio e Controllo di Gestione uno studio di fattibilità per la creazione di una Banca Immagini, la quale a regime dovrebbe poter ospitare la massima parte del repertorio delle Arti Figurative degli artisti italiani amministrati dalla Siae. A tal proposito è stato inviato, a Fondazioni/Artisti scelti fra i più rappresentativi del Repertorio SIAE, un questionario al fine di poter sondare il reale interesse all’iniziativa da parte di detti soggetti, prima ancora di effettuare scelte impegnative per la struttura. Ida Baucia relaziona circa lo stato dei lavori dei Gruppi di lavoro Opere Letterarie e Arti Figurative. Il Segretario fornisce ragguagli ai Commissa- ri sullo stato degli incassi di reprografia e, per quanto riguarda il diritto di prestito, fa presente che il relativo decreto è all’esame degli organi di controllo e che se ne prevede l’emanazione nei primi giorni dell’anno nuovo. Alle ore 13.45, esauriti gli argomenti da trattare, la riunione viene sciolta ed aggiornata al prossimo 2 febbraio 2010. RIUNIONE DELLA COMMISSIONE DI SEZIONE DEL 2 FEBBRAIO 2010 La Commissione della Sezione Olaf si è riunita il giorno 2 febbraio 2010 alle ore 10.30 presso la Biblioteca e Raccolta Teatrale del Burcardo, Via del Sudario, 44 – Roma. Presenti i Commissari Alberta Locati, Massimo Nardi, Alessandro Occhipinti, Franco Pallotta, Laura Piccarolo, Girolamo Potestà, Samantha Raugei e Natale Antonio Rossi. La seduta si è tenuta presso la Biblioteca del Burcardo per dar modo ai Commissari di partecipare alla conferenza stampa, prevista per le ore 12.00 per la presentazione del concorso letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere” promosso dalla Siae e dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). Il verbale relativo alla riunione precedente viene approvato all’unanimità. Nel merito della problematica internet/opere letterarie si sviluppa un ampio dibattito a conclusione del quale la Commissione all’unanimità richiede una immediata ripresa dei lavori del Comitato intersezionale affinché la materia possa essere al più presto valutata in tale ambito. Il Segretario illustra alcuni documenti presenti in cartella che si riferiscono al protocollo di intesa Siae/Aidro stipulato nel 2006 per regolare i flussi dei proventi di reprografia da e per l’estero. Per quanto riguarda i criteri di ripartizione dei proventi cosiddetti “non title specific”, la Commissione esprime, in linea generale, parere SEZIONI SERVIZI E UFFICI positivo ad una forma di ripartizione collettiva che veda quali destinatarie le Associazioni di autori ed editori, analogamente a quanto stabilito per la ripartizione del diritto di prestito con il D.M.15 ottobre 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 31 dicembre 2009). Il Segretario fa presente che verrà quanto prima stilata una bozza di accordo integrativo dell’intesa Siae/Aidro che verrà sottoposta all’esame della Commissione per acquisirne il preventivo parere. Il Segretario illustra, inoltre, i prospetti contenenti lo stato degli incassi per i diritti di reprografia, sia italiani che esteri, e per il diritto di prestito. In ordine al sistema di gestione vidimazione delle opere librarie (Ge-Vi Print): contrassegno speciale per editoria scolastica, il Commissario Potestà riassume le esigenze editoriali legate ai testi scolastici in formato misto (carta + web), evidenziando alcune criticità tecniche, già rese note alla Commissione (v. verbale seduta dell’11.11.2009), che ancora persistono, assicurando la propria disponibilità a proseguire i contatti in sede tecnica con l’Arca per l’auspicato superamento degli inconvenienti riscontrati. Vengono distribuite ai Commissari le nuove tariffe Ola valide per il 2010, comunicate dal sodalizio alcuni giorni prima. Alle ore 14.30 la riunione viene sciolta ed aggiornata al prossimo 4 marzo 2010. SEZIONE LIRICA PORTALE ASSOCIATI Nell’area del Portale Associati riservata alla Sezione Lirica è stata attivata una nuova funzionalità dedicata alla visualizzazione degli incassi. Come noto, la Sezione Lirica effettua liquidazioni quadrimestrali. Con il nuovo servizio disponibile, gli iscritti al Portale, utilizzando i bollettino sociale criteri di ricerca, possono prendere visione del dettaglio delle somme lorde di spettanza (data, locale, località e organizzatore della manifestazione, diritti riscossi, ecc.) subito dopo la loro verifica da parte degli Uffici, con congruo anticipo rispetto alla liquidazione. Gli incassi visualizzati sono riportati al lordo di tutte le trattenute previste. UFFICIO RAPPORTI INTERNAZIONALI RIUNIONI DELLA CIADLV DELLA CISAC Il 23 e 24 marzo, a Firenze, si è riunito il Consiglio Internazionale degli Autori di Opere Letterarie, drammatiche e audiovisive (Ciadlv) della Cisac. All’ordine del giorno l’analisi dei problemi sulla tutela delle opere di questo settore alla luce delle nuove tecnologie. Per la Siae, oltre al M° Lorenzo Ferrero, Consigliere di amministrazione della Società, erano presenti Manlio Mallia, capo dell’Ufficio di Diretta Collaborazione degli Organi Deliberativi, e Alessandro Conte, direttore dell’Ufficio Rapporti Internazionali. Biagio Proietti, autore e presidente della commissione della sezione Dor, ha introdotto gli aspetti generali della scena italiana, con particolare riferimento alla situazione degli autori delle opere radiotelevisive; l’autore di opere drammatiche Roberto Cavosi ha illustrato il panorama teatrale e il regista Citto Maselli ha analizzato i problemi degli autori di opere cinematografiche. Erano presenti numerosi autori membri di società estere che sono intervenuti con relazioni e repliche ad animare il dibattito. Con l’occasione sono stati tributati saluti ed auguri al Direttore Generale uscente della Cisac, Eric Baptiste, che andrà a ricoprire il ruolo di Direttore Generale della consorella canadese Socan. CONTRATTO DI RECIPROCA RAPPRESENTANZA SIAE/IRRO (INDIA) A partire dal 1° gennaio 2010 è entrato in vigore il contratto di rappresentanza reciproca in materia di reprografia tra la Siae e la società indiana Irro. CONTRATTO DI RECIPROCA RAPPRESENTANZA SIAE/MACA (MACAO) A partire dal 1° gennaio 2010 è entrato in vigore il contratto di rappresentanza reciproca in materia di diritti di esecuzione musicale tra la Siae e la società di Macao Maca. VIVAVERDI 96 ORGANI SOCIALI PRESIDENTE Giorgio ASSUMMA CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE Paolo CORSI Domenico DE LEO Roby FACCHINETTI Lorenzo FERRERO Emidio GRECO Giancarlo LUCARIELLO Giovanni NATALE Alfredo TARULLO ASSEMBLEA MUSICA Autori Silvano Guariso Vittorio Costa Gregorio Mascaro Marco Mariani Carmine Santaniello Michele Maisano Renato Pareti Domenico Scuteri Corrado Castellari Fabio Massimo Colasanti Cristiano Minellono Nicola Piovani Valerio Negrini Franco Piersanti Roberto Pischiutta detto Pivio Giuseppe Pirazzoli detto Pino Editori Pieronero Edizioni Musicali Sas Sognando e Ballando Edizioni Musicali Sas Unione Edizioni Musicali Sas La Bambolina Edizioni Musicali Sas Abramo Allione Edizioni Musicali Srl Emi Virgin Music Publishing Italy Srl Sugar Srl Warner Chappell Music Italiana Srl Accordo Ed. Musicali Universal MCA Music Italy Srl Ala Bianca Group Srl Media Songs Srl Edizioni Leonardi Srl SM Publishing Italy CAM Creazioni Artistiche Musicali Srl Peermusic Italy Srl (già Peersongs Italy Srl) FILM E OPERE ASSIMILATE Autori Francesco Gregoretti detto Ugo Mario Paolinelli Andrea Purgatori Alessandro Bencivenni Produttori/Concessionari Biancafilm Srl Filmauro Srl Medusa Film Srl Italian International Film Srl DRAMMA E PROSA, RIVISTA E COMMEDIA MUSICALE, OPERETTA E OPERE RADIOTELEVISIVE Autori Manuela Marianetti Ennio Coltorti Riccardo Di Stefano Massimo Cinque Giovanna Flora Marco Posani Editori Grandi Firme della Canzone Edizioni Musicali Srl Edizioni Musicali Aromando Mario Srl Concessionari/Cessionari D’Arborio di Ficarelli M.P. e C. Snc Ditta Tolnay Flavia OPERE LETTERARIE, MULTIMEDIALI E DELLE ARTI PLASTICHE E FIGURATIVE Autori Elio Pecora Gianni Minà Maria Luisa Spaziani Antonella Bolelli Editori Hoepli Ulrico Casa Editrice Libraria SpA Garzanti Libri SpA Zanichelli Editore SpA Arnoldo Mondadori SpA OPERE LIRICHE, BALLETTI, ORATORI E OPERE ANALOGHE Autori Carlo Galante Luciano Cannito Editori Mercurio Srl Universal Music Publishing Ricordi (già BMG Ricordi Music Publishing SpA) Abici Ed. Mus. Srl Carisch Srl COMMISSIONI DI SEZIONE SEZIONE MUSICA Autori Giuseppe Amendola Giuseppe Andreetto Vincenzo Barbalarga Gianfranco Borgatti Bruno Mario Lavezzi Ezio Leoni Franco Micalizzi (Pres) Carlo Pedini Francesco Pagano detto Mario Giuseppe Vessicchio Editori Bideri Cevel Spa – Silvia Bideri Villevieille (Vice Pres.) Curci Edizioni Musicali – Alfredo Gramitto Ricci Di Più Srl – Pier Angelo Mauri Emergency Music Italy Srl – Pietro Colasanti Galletti-Boston Srl – Anna Galletti Montefeltro Edizioni – Giorgio Giacomi Novalis Edizioni Mus. e Discografiche – Roberto Rinaldi Sym-Music Srl – Anna Lombardoni Mascheroni – Andrea Cotromano Universal Music Italia Srl – Claudio Buja SEZIONE CINEMA Autori Antonino Biocca detto Tony Laura Ippoliti Domenico Mezzatesta (Pres.) Serafino Murri Massimo Sani Vittorio Benito Sindoni Produttori Warner Bros Italia Spa – Paolo Ferrari Racing Pictures Srl – Alessandro Fracassi (Vice Pres.) SEZIONE DOR Autori Valentina Amurri Flavio Andreini Linda Brunetta Caprini (Vice Pres.) Roberto Cavosi Michele Mirabella Biagio Proietti (Pres.) Concessionari D’Arborio Sirovich Paola – Paola Perilli Antonia Brancati Srl – Antonia Brancati SEZIONE OLAF Autori Massimo Nardi Alessandro Occhipinti (Pres.) Franco Pallotta Natale Antonio Rossi Editori Giunti Editore Spa – Samantha Raugei Giulio Einaudi Editore – Laura Piccarolo Principato Giuseppe Casa Editrice Spa – Girolamo Potestà (Vice Pres.) RCS Libri Spa – Alberta Locati SEZIONE LIRICA Autori Marco Betta (Vice Pres.) Carlo Boccadoro Dario Oliveri Editori Fonit Cetra Music Pub. Srl – Teresita Beretta (Pres.) Sonzogno Casa Musicale Sas – Piero Ostali Sugarmusic Spa – Alessandro Savasta COLLEGIO DEI REVISORI Presidente Benito di Troia Giuseppe Dell’Acqua Andrea Malfaccini Silvio Necchi Carlo Pontesilli Supplenti Riccardo Acernese Giampiero Riccardi CONTROLLO INTERNO Franco Tonucci DIRETTORE GENERALE Gaetano Blandini