complimenti a....
di Vivaverdi
FEDERICA DIMITA
Ha vinto il Premio ”Siae-Lumsa,Tullio Kezich” consistente in una borsa di studio e una targa d’argento per il miglior saggio sul tema “Il cinema italiano: arte e industria”. Il premio è stato consegnato il 13 maggio presso l’Università Lumsa, alla presenza di Alessandra Levantesi e Carlo Lizzani. Il riconoscimento è stato istituito dalla Siae
nell’ambito del progetto formativo dell’Università
Lumsa “La Settima Arte – lezioni d’autore” che si
propone di avvicinare i giovani alla cinematografia mettendoli in contatto con i grandi professionisti del cinema italiano.
Foto Nicolas Guerin
FERZAN OZPETEK
Il suo ultimo film Mine Vaganti ha ottenuto la menzione speciale al Tribeca Festival di New York, la
rassegna di cinema indipendente ideata da Robert
De Niro. Mine vaganti è stato acquistato da una
casa distributrice americana e sarà quindi proiettato a breve negli Stati Uniti. “Per averci fatto ridere, piangere e immediatamente voler prenotare un viaggio in Italia meridionale ci congratuliamo con Ozpetek e il suo ottimo cast e collaboratori”, recita la motivazione del riconoscimento.
MICAELA RAMAZZOTTI
Ha vinto il David di Donatello come Miglior attrice
protagonista per La prima cosa bella di Paolo Virzì, suo marito (che l’aveva lanciata col precedente
Tutta la vita davanti). Il film di Virzì ha avuto anche
il riconoscimento per la migliore sceneggiatura (scritta dal regista insieme a Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Giorgio Diritti e Giovanni Galavotti) e il
miglior attore protagonista (Valerio Mastandrea).
Foto Francesco Ciccone
PAOLO SORRENTINO
Fa parte -insieme a Marco Tullio Giordana, Fred
Breinersdorfer, i fratelli Dardenne, Agnès Jaoui,
Roger Michell, Radu Mihãileanu, Bertrand Tavernier e Jaco Van Dormael - del Consiglio della Society of Audiovisual Authors, una nuova organizzazione creata a Bruxelles su iniziativa di registi,
autori e lavoratori dell’audiovisivo. Alla Saa ha aderito anche la Siae insieme alle società di autori di
Francia (Sacd e Scam), Germania (Bild-Kunst e VG
Wort), Spagna (Sgae e Dama), Portogallo (Spa),
Repubblica Ceca (Dilia), Estonia (Eaal), Olanda (Vevam), Romania (Dacin-Sara), Svizzera (Ssa e Suisseimage) e Regno Unito (Alcs e Directors UK) per
difendere i diritti economici e morali degli autori
dell’audiovisivo e assicurare loro un equo compenso per lo sfruttamento delle loro opere.
VASCO ROSSI
Si è esibito, per la prima volta in carriera, a Londra. Il suo concerto del 4 maggio all’Hammersmith
Apollo, tutto esaurito davanti a ottomila fan scatenati in un clima da stadio , è stato l’avvio del
tour europeo che ha toccato poi Bruxelles, Zurigo e Berlino. In una intervista, il rocker italiano
aveva dichiarato: “Come a Bob Dylan è vietato
suonare in Cina, anche a me per 20 anni è stata
negata Londra…Ne sono convinto: è uno dei tanti ‘regali’ che ci ha lasciato l’America dopo la seconda guerra mondiale. Favorire qui da noi l’importazione della musica anglosassone e scoraggiare l’esportazione all’estero dei nostri talenti.
Comunque sia, adesso ce l’ho fatta”.
PUPI AVATI
E’ stato premiato per i 40 anni di carriera al Festival Internazionale di Bergamo. Regista, sceneggiatore, scrittore, da ultimo la biografia Sotto
le stelle di un film, il cineasta bolognese ha legato fortemente la sua vita alla passione per la
musica. Il jazz è stato il suo primo grande amore
prima di dedicarsi alla settima arte. Il suo ultimo
film, Il figlio più piccolo, è un ritratto amaro della
società italiana.
VIVAVERDI
1
complimenti a....
di Vivaverdi
ROBERTO GUERRAZZI
E’ stato eletto, a fine aprile, nuovo presidente Univideo per il biennio 2010/2011. Guerrazzi è uno dei
cofondatori dell’Associazione che rappresenta il settore dell’Home Entertainment in Italia e raggruppa al
suo interno le principali aziende attive nell’industria
dell’audiovisivo. Guerrazzi ha ricoperto già in passato cariche di consigliere e di vicepresidente.
PAOLO FRANCHINI
Paolo Franchini, già Amministratore Delegato della
casa discografica Edel Italia srl, è il nuovo Segretario Generale di FEM, la federazione degli editori
musicali. La nomina va a rafforzare l’attività dell’associazione degli editori nella tutela del diritto d’autore e nella promozione dei diritti degli autori ed editori musicali. Il nuovo Segretario Generale affiancherà il presidente Filippo Sugar. “E’ un onore e un
privilegio lavorare al fianco dei più grandi editori Italiani e Internazionali” ha dichiarato Paolo Franchini,
“il mondo della musica vive un periodo di cambiamenti epocali, un periodo per certi versi difficile, ma
anche eccitante, ricco di innovazioni tecnologiche
e artistiche e di possibili nuove opportunità che richiedono la capacità di interpretare i cambiamenti , coglierne le potenzialità assicurandosi che i diritti di tutti siano tutelati”.
JOVANOTTI
Per la prima volta un musicista italiano è stato invitato a tenere una lezione all’università di Harvard.
Così, martedì 27 aprile, Jovanotti ha incontrato
gli studenti tenendo una relazione su ‘’Musica e
Diritti Umani’’, partendo dalla diffusione della musica popolare americana e dalle battaglie per i diritti civili. Il cantante toscano ha compiuto, nell’occasione, una breve tournée negli Stati Uniti e in Canada, con concerti a Boston, Montreal, Toronto e
Chicago. E ha vinto il David di Donatello per la migliore canzone originale con Baciami ancora.
LINA WERTMULLER
E’ stata festeggiata al Quirinale. nella cerimonia
dei David di Donatello. La regista ha avuto un riconoscimento speciale alla carriera (insieme a
Tonino Guerra, Terence Hill e Bud Spencer) e sta
lavorando alla riduzione teatrale del musical Gian
Burrasca (scritto e adattato da lei, autrice della
serie tv Il Giornalino di Gian Burrasca, 1964). Protagonista Elio delle Storie Tese, musica di Nino
Rota, che sarà l’inaugurazione al Festival della letteratura di Mantova, il 9 settembre.
ANDREA ROSI
E’ il nuovo presidente e amministratore delegato
di Sony Music Italia. Ha lavorato nella discografia
(Cgd, Warner e Polygram) poi alla fine degli anni
’90 è stato tra gli artefici di Vitaminic, il sito pioniere in Italia della musica digitale e poi è diventato responsabile del business digitale di Sony
Bmg nella regione del Mediterraneo. “Trovo
un’azienda con grandi prospettive, in un momento storico molto delicato e difficile per il settore”,
ha dichiarato Rosi dopo la nomina. “Il cast artistico straordinario e il gruppo di lavoro sono ideali
per affrontare i cambiamenti e le innovazioni che
sono oggi necessari per un’azienda che produce
musica”.
ILARIA OCCHINI
All’Accademia di Francia, a Villa Medici, l’attrice
ha ricevuto il Nastro d’Argento alla Carriera (insieme con Armando Trovajoli e Ugo Gregoretti).
Ha debuttato al cinema alla metà degli anni ’50
partecipando a Terza liceo di Luciano Emmer e Il
medico e lo stregone di Mario Monicelli. Ha lavorato in molti sceneggiati televisivi e a teatro. E’
tornata sul grande schermo negli anni novanta con
Don Milani. Il suo recente ruolo in Mine vaganti,
l’ultimo film di Ferzan Ozpetek, ha ottenuto anche
il David di Donatello come miglior attrice non protagonista.
viale della letteratura 30
VIVAVERDI
3
VITA DIGITALE
FATTI SALVI I DIRITTI
DEGLI AUTORI, MA...
di Sapo Matteucci
Seguendo i vari dibattiti che si susseguono attorno al diritto d’autore, sui giornali, nei convegni, nelle dichiarazioni dei
politici italiani ed europei, mi verrebbe
da dire: “Evviva i pirati digitali dichiarati!”. Almeno loro, non solo hanno le idee
chiare (“su Internet si ruba quel che si
può”), ma dicono esplicitamente che il
diritto d’autore, nell’epoca liquida e senza confini in cui viviamo, non ha più alcun senso e che Internet deve essere lasciata nella più totale deregulation.
Non sono d’accordo, ma apprezzo la coerenza di chi non vuole alcuna governance della rete, alcuna regola e quindi ramazza quel che può, gira in lungo e largo
senza freni, non rispettando nulla, non
solo il diritto d’autore. Quelli che destano il mio sospetto sono invece coloro che
iniziano sempre i loro ragionamenti in
questo modo: “Fatti salvi i sacrosanti diritti degli autori”…. e poi continuano:
“non possiamo imbrigliare la rete, fermare il digitale, censurare gli scambi,
bloccare la meraviglia della condivisione
spontanea del sapere, porre steccati all’accesso sempre più ampio alla cultura,
ecc.” Come se il rispetto dei diritti d’autore, quindi il rispetto d’un lavoro altrui,
bloccasse e inibisse la rete. Col principio
generale del libero e gratuito scambio,
non per la merce, né per le connessioni,
sempre profumatamente pagate e rispettate, ma per le cosiddette opere dell’ingegno, i libertari della rete si alleano ai
liberisti, come direbbe Daniel Olivennes
autore di La gratuità è un furto, senza accorgersene. O meglio forse fanno finta di
I libertari della rete peccano spesso d’ipocrisia, talvolta anche di malizia, non
volendo affrontare concretamente il problema del download selvaggio e illegale
che, da anni, danneggia pesantemente gli autori e l’industria dei contenuti.
Ogni volta che si parla di tutela delle opere, contrappongono principi generali
di libertà e democrazia, come se il diritto d’autore fosse il maggior ostacolo
allo sviluppo digitale. Ma la tecnologia non è neutra, anzi si fa pagare
profumatamente e Steve Jobs non è San Francesco.
non accorgersene, ma in questo modo, di
fatto ogni volta, frantumano il presupposto di far salvo il diritto d’autore. Infatti non dicono mai come si potrebbe
intervenire concretamente contro il download selvaggio e illegale, mentre argomentano a iosa sui principi generali della libertà nella rete e sui pericoli dietro
l’angolo, insiti in ogni regolamentazione. E’ un modo di ragionare singolare. Se
portato alle logiche conseguenze, dovrebbe postulare la gratuità assoluta per
tutto ciò che è digitale. Per sviluppare la
rete, per diffonderla, per non frenarne
l’accesso, non si capisce perché si debbano pagare computer, software, abbonamenti a bande larghe o strette ecc. Se
tutto fosse gratuito, infatti, la cosiddetta
alfabetizzazione digitale (i contenitori,
si sa, ormai contano più dei contenuti)
sarebbe molto più semplice.
Il problema è che nulla nella rete è gratuito, che la tecnologia non è neutra, ma gli
alfieri del libertar-liberismo digitale si
guardano bene dal dichiarare che Steve
Jobs non è San Francesco e le varie telecom non sono la San Vincenzo de Paoli.
Amano paragonare chi giustamente pretende il rispetto del diritto d’autore anche in Internet, ai venditori di biada che
all’inizio del XX secolo volevano imporre ai governi la proibizione di viaggiare
in automobile. Oppure a quei pittori che
avessero preteso di mettere al bando la
fotografia. Chi fa questi arditi paragoni
dimentica che fin dall’inizio le automobili si pagavano e costavano di più dei cavalli e che i quadri venivano comprati e
venduti anche in presenza di dagherrotipi o fotografie. Nessuno si sognava di
rubare un’automobile e nemmeno un cavallo. Ben venga dunque come è venuta,
l’offerta di musica o cinema legale (cioè
scaricata pagando i diritti) in rete. Peccato che gli scaricamenti illegali, anche
di fronte all’offerta legale, non si fermino, anzi. Secondo l’Agcom, la pirateria
digitale ha causato nel 2008 perdite di 10
miliardi di euro per mancate vendite in
Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania e Italia, che potrebbero crescere tra i
32 e i 56 miliardi di euro nel 2015, con
una perdita di 610 mila posti di lavoro.
Per questo servono regole precise, condivise con tutti i soggetti e con gli Internet service provider in particolare. I diritti delle grandi industrie tecnologiche,
sono sempre “fatti salvi” automaticamente: si pagano prima e nessuno si sogna di contestarli.
VIVAsommario
6
32
20
42
28
S E R V I Z I
VIALE DELLA LETTERATURA 30
3
TEATRO
Dario Fo, un grammelot da Nobel
LETTERATURA
Vincenzo Talarico, un calabrese a Roma
20
6
MUSICA
De Angelis, fratelli di successo
24
MUSICA
Enrico Riccardi, armonia e canzoni
28
CINEMA
Piero Tellini, uno scrittore per lo schermo
32
CINEMA
Massimo Sani, l’occhio della Storia
36
RADIO
L’isola senza tempo della filodiffusione
38
CINEMA
I 60 anni di Filmcritica
40
RADIO
Fiamma Satta, 25 anni davanti al microfono 42
MUSICA
Fabrizio De Rossi Re, tra jazz e tradizione
46
EDITORIA
Ecco il libro virtuale
49
TEATRO
Eleonora Danco, una ragazza al muro
52
CULTURA
Storia Siae: la sfida di Marco Praga
56
MUSICA
Sergio Iodice, artigiano di sogni
60
LIRICA
Il dramma barocco di D’Avalos
62
MUSICA
Nel rock dei Marlene Kuntz
68
MUSICA
Ernesto Bassignano, il ritorno
75
F O T O C R E D I T I
In riferimento alle immagini pubblicate, l’editore e la direzione di Vivaverdi dichiarano la propria disponibilità
all’assolvimento dei diritti di riproduzione per gli eventuali aventi diritto che non è stato possibile accertare
Distribuzione gratuita
Le opinioni espresse negli articoli pubblicati su Vivaverdi impegnano esclusivamente i loro autori e non rappresentano la linea editoriale della Società
Guido Harari è l’autore della foto di copertina, che fa parte di un ampio servizio in bianconero sulla coppia Dario
Fo e Franca Rame.“Fin da piccolo musica e fotografia sono state le mie due grandi passioni” racconta Guido Harari, nato nel 1952 a Il Cairo, gran talento milanese che
ha inseguito rockstar per tutta la vita cercando con la
macchina fotografica di tiragli fuori un pezzo d’anima, un
aspetto autentico e interessante. “A diciannove anni ho
avuto la fortuna di intrecciarle in qualcosa che potesse
assomigliare ad una professione. Solo più tardi ho capito che usavo la fotografia non come un lavoro, ma più
semplicemente come un modo di relazionarmi agli altri.
Negli ultimi vent’anni ho allargato il mio orizzonte anche
oltre i confini della sola musica, sempre spinto dal bisogno di confrontarmi con persone con una storia da raccontare e di creare una “memoria”, in questo caso visiva, come progetto di definizione del mio mondo interiore. Credo ad un approccio discreto, al dovere, da parte
del fotografo, di non sovrapporsi o addirittura sostituirsi
al suo soggetto. E' questo, il soggetto, il centro dell'immagine: è lui il cosiddetto "messaggio". Il fotografo ha il
dovere di coglierne al meglio l'essenza, di definirne compiutamente l'identità, la personalità, il carattere. Il ritratto è la mia dimensione ideale: fotografo e fotografato si
specchiano l’uno nell’altro, ci si cerca, ci si stana quasi.
Fino a riconoscersi nell'altro, a perdersi nell'altro e a ritrovarcisi di nuovo. Conta il magnetismo della persona,
la sua storia e quello che vuole proiettare di sé”. Sin dall’inizio Harari ha realizzato numerosi libri dai suoi lavori,
cominciando con Lindsay Kemp (editoriale Domus, 1982),
un reportage fotografico dietro le quinte del leggendario
mimo e danzatore, e poi Claudio Baglioni, Paolo Rossi,
Pippo Delbono, Vasco Rossi e Fabrizio De André, un sodalizio durato oltre vent’anni, celebrato nel volume Una
goccia di splendore (edizioni Rizzoli, 2007), un volume di
grande formato, a metà tra pubblico e privato, tra gli scatti “rubati” alla vita quotidiana e gli appunti, considerazioni, aforismi spesso inediti, un’autobiografia per parole e
immagini (realizzata con la collaborazione della Fondazione Fabrizio De André onlus di Siena e di Dori Ghezzi).
Il suo libro più recente è Mia Martini, l’ultima occasione
per vivere (Tea,2009).
68
52
VIVAVERDI
5
V I V A V E R D I
40
Anno 82 – Nuova serie
Numero 2
Marzo – Aprile 2010
Bimestrale
Direzione, redazione
e amministrazione
Viale della Letteratura, 30
00144 Roma
Centralino: 06.59901
Redazione: 06.5990.2795/2629
Fax: 06.5990.2882
[email protected]
www.siae.it
24
Direttore responsabile
Sapo Matteucci
Comitato editoriale
Linda Brunetta, Gianni Minà, Dario Oliveri
Oscar Prudente, Mimmo Rafele
R U B R I C H E
COMPLIMENTI A….
VIVAIDEE
1
Pensieri & Parole. Internet e copia privata
ANTEPRIME
17
18
VIVAIDEE
Riflessioni Doc. Il contratto di servizio Rai
31
VIVAMITID’OGGI
Quando Joyce scriveva in italiano
39
VIVAIDEE
Appunti & Contrappunti. La Siae e la comunicazione 45
VIVAHANNODETTO
54
VIVAINBREVE
66
NOVANTANOVENOVITA’
72
VIVADALL’INTERNO
La Responsabilità del Provider
76
Racconti dal carcere
80
Palermo, laboratorio d’autore
82
Biella e Novara, gli slogan antipirateria
83
Concorsi
84
L’ULTIMO APPLAUSO
86
BOLLETTINO SOCIALE
90
Linea e Coordinamento editoriale
Stefano Micocci
Capo redattore
Flaviano De Luca
Redazione
Antonella Gargiulo (segr. redaz. e ricerca fotografica),
Daniela Nicolai
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di Roma n. 234 del 24.7.1948
Questo giornale è pubblicato ai sensi della
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Di questo numero sono state distribuite
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Chiuso in tipografia il 14 maggio 2010
AVVISO AI LETTORI
Si ricorda a tutti coloro che ricevono presso il
proprio domicilio più copie di Vivaverdi (perché
residenti con altri associati Siae oppure in qualità di
rappresentanti di società editoriali associate) che è
possibile chiedere la cancellazione di una o più
posizioni dalla lista dei destinatari, inviando una mail
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oppure un fax al n. 06.5990.2882
Hanno collaborato a questo numero:
Giorgio Calabrese, Piergiuseppe Caporale, Marco
Caselgrandi, Giacomo Ceccarelli, Maurizio Costanzo,
Franco Daldello, Daniela d’Isa, Alberto Ferrigolo,
Maria Cristina Locori, Corrado Lo Iacono, Valerio
Magrelli, Franco Montini, Nicola Ravera, Giovanni
Russo, Fiamma Satta, Massimo Tellini, Ferdinando
Tozzi, Cristina Wysocki
ISSN 1972-6694
Una scena di Lo svitato, un film del 1956, con la
regia di Carlo Lizzani. Dario Fo nei panni di
Achille, un fattorino della redazione di un giornale
milanese che viene scambiato per un giornalista.
VIVAVERDI
Foto Archivio DuFoto - [email protected]
6
teatro
DARIO FO
QUANDO LA COMMEDIA DELL’ARTE
DIVENTA LETTERATURA DA NOBEL
di Gianni Minà
Quella di Dario Fo (che racconto in due
puntate) è un’avventura artistica che,
dopo quasi sessant’anni, non accenna
a tramontare. Mentre scrivo questo articolo su un “giullare” premiato nel 1997
con il Nobel della letteratura, a Parigi è
stata montata una nuova versione di Mistero buffo: Mystère bouffe et fabulages
in scena alla Salle Richelieu della Comédie Française fino al 19 giugno 2010.
Bene, Dario, a ottantaquattro anni, ma
con la vitalità di un saltimbanco instancabile, a marzo è volato nella capitale francese per perfezionare la messa
in scena di quelle sue due opere storiche. Si può dire che è l’eterno omaggio
del mondo dei teatranti a chi ha regalato una vita nuova alla commedia dell’arte, alla capacità dell’uomo di rappresentarsi e di ridere di sé, ma è anche il riconoscimento ad un autore che,
come Brecht, non si è tirato indietro
quando si è trattato di fare del teatro un
luogo della politica, rifiutando di non
farlo perché “in teoria l’attore, l’artista
è una proprietà di tutti, al di sopra delle parti”. Per Fo, invece, non è mai stato così. Emblematico, a proposito del
ruolo dell’attore, l’exploit del Nobel
Ci vorrebbe almeno un libro per raccontare l’avventura artistica, politica e umana
di Dario Fo e di Franca Rame che insieme non hanno solo imposto al mondo una
nuova dimensione del teatro, ma hanno ridato vita alla commedia dell’arte,
rinnovando un linguaggio e una tradizione profondamente italiani. Gianni Minà
propone, per i lettori di Vivaverdi, un loro ritratto inedito in due puntate.
dell’8 aprile al teatro Carcano di Milano, con attori migranti, professionisti
e dilettanti, in molti casi testimoni di
esperienze che frantumavano il pregiudizio su chi arriva da fuori, senza certezze. Uno spettacolo che gli è venuto in
mente il primo marzo, quando per la
prima volta, in un’ Italia ormai prigioniera di mille contraddizioni e ambiguità, gli immigrati, quelli che nella nostra società attuale assicurano in molti
casi la sopravvivenza e l’unità delle nostre famiglie, hanno scioperato. “Quel
giorno – mi ha detto Dario Fo – è accaduto qualcosa di straordinario, anche
se qualche telegiornale non se ne è accorto. In quella passeggiata da piazza
della Scala al castello Sforzesco di Milano c’era anche quell’umanità ritenuta da molti “invisibile”, ma questa volta con il coraggio di mettersi in mostra,
di coinvolgere i residenti. Molti quel
giorno ci raccontarono le loro storie,
con una proprietà di linguaggio inattesa. Un africano aveva perfino citato a
memoria Antonio Gramsci. Erano persone con un’inaspettata cultura politica, che non pensavano solo al loro problema, ma ragionavano in modo più vasto e conoscevano il luogo e lo spazio in
cui si trovavano. Insomma italiani, anche se molti se lo erano dimenticati e se
lo dimenticano. Fu un pomeriggio straordinario, che ci impose, a breve, una
rappresentazione teatrale”.
“Il teatro di Dario Fo e Franca Rame”,
perché Franca, fin dall’inizio, è stata la
compagna inseparabile d’arte e di vita
di Dario, è sempre stato così, ispirato
dal sociale, dalla politica, anche quando usava i modi della farsa, ed ha girato il mondo fino a diventare, con quello di Goldoni, Pirandello e De Filippo il
teatro italiano più rappresentato.
Australia, Austria, Belgio, Brasile, Giappone, Bulgaria, Russia e Repubbliche ex
VIVAVERDI
8
teatro
sovietiche, Danimarca, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti: se si fa
una ricerca negli scaffali di Flavia Tolnay, componente dell’Assemblea della
Siae che li rappresenta con tutti i teatri
del mondo, è entusiasmante accorgersi che quasi non c’è posto dove il “mistero buffo” di questa coppia non abbia
fatto storia. Non poteva essere altrimenti per una scrittura teatrale, quella
di Fo, che, per esempio, alla Comédie
Française, il santuario della prosa nel
mondo, ha trovato casa, unico italiano,
ancora dopo Goldoni, Gabriele D’Annunzio, Pirandello ed Eduardo De Filippo. È singolare, ma anche emblematico, che Dario Fo abbia trovato invece
poco spazio al cinema, il linguaggio più
moderno per chi scrive rappresentazioni da recitare, ma forse la colpa non
è stata solo dell’industria filmica. Fu Dario, come lui stesso ammette, a farsi travolgere dal teatro, nonostante il mondo del cinema, a Roma, lo avesse accolto subito con molta curiosità.
L’esordio nel ’56 con Lo svitato di Carlo Lizzani fu, infatti, positivo. Era
un’opera che anticipava i tempi della
moderna comicità, anche se non risparmiava citazioni a Buster Keaton o
Jaques Tati. C’era in quell’opera il piacere del sarcasmo, il gusto della satira
sociale e l’inventiva, già prorompente,
di un autore–attore che da allora avrebbe segnato il teatro, la televisione, la cultura e, in un certo modo, anche la società del nostro paese. Il suo modo di
intendere il teatro traeva le sue origini,
come ho già detto, dai giullari, dagli affabulatori della commedia dell’arte, dalle farse, dalla rivista.
Io, adolescente, lo ricordo alla radio in
trasmissioni come Chicchirichì, e poi
con Franco Parenti e Giustino Durano
con Il dito nell’occhio e I sani da legare, spettacoli di critica beffarda che in-
frangevano i limiti del teatro di rivista.
Poi, dopo il matrimonio con Franca, era
venuta la parentesi di Cinecittà, come
attore ne Lo svitato e poi come sceneggiatore e aiuto di Antonio Pietrangeli,
il regista di Io la conoscevo bene. Infine, l’incontro scontro con la televisione democristiana, che cercava nuovi
percorsi e nuovi linguaggi ma temeva il
sarcasmo tagliente di Fo.
“Non gli hai mai dato requie al potere”
gli ho fatto notare in una memorabile
puntata di Storie per Rai Due.
“Ho fatto il possibile per rendere il
nostro dialogo vivace” mi ha risposto
ridendo.
“Hai sempre avuto un irrefrenabile spirito anarchico” ho insistito.
“Mi dava fastidio l’ipocrisia, la finzione, la falsificazione – mi ha spiegato A scuola poi ho avuto la fortuna di avere, al liceo artistico di Brera, il più evoluto che ci fosse allora in Italia, dei
professori straordinari, che amavano
sviscerare, o meglio capovolgere, quelli che erano i luoghi comuni dell’odio,
del banale, del risaputo, e mi hanno
insegnato così a leggere la storia, i fatti, la politica”.
Una vera scuola di libertà. Fo ne è orgoglioso: “Ho qualche merito. Dopo il
liceo ho frequentato contemporaneamente a Milano il Politecnico e l’Accademia di Brera. I miei amici sono stati
da subito Tadini, Cavaliere, Traccani,
Crippa, Trevisani, Lizzani, Morlotti,
perfino Vittorini, il meglio dell’invenzione artistica del primo dopoguerra italiano. Frequentavamo latterie e bar e lo
scambio intellettuale fra noi era ricchissimo, insieme alle beffe che riempivano molte delle nostre serate”.
Ma non venivano solo dall’esperienze
con quella “bella gioventù”, assetata di
riscatto, gli strumenti di quello che sarebbe stato il suo teatro. Ci fu, fin dal-
l’inizio, una ricerca costante, ininterrotta, sulle forme rappresentative della cultura popolare. “Io sono nato in un
paesetto del lago Maggiore, Sangiano, e
sono cresciuto in un altro paese, poco
più grande, Porto Valtravaglia, dove hanno sempre convissuto varie forme di
rappresentazione, quasi sempre basate sul racconto. I ‘fabulatori del lago’
erano conosciuti e fin da ragazzino ho
sentito da loro storie di pescatori, di
contrabbandieri, di soffiatori di vetro.
Ognuno aveva la sua chiave, il suo modo di essere. Per me è stata una scuola.
Quando andavo al liceo a Milano, il treno dei pendolari è stato il mio primo
palcoscenico. Ero figlio di ferrovieri,
viaggiavo ogni mattina e sul vagone proponevo storie. Allora nelle vetture non
c’erano gli scompartimenti, così io mi
mettevo in piedi sul sedile e iniziavo i
miei racconti. Chi saliva nelle stazioni
successive chiedeva: ‘A che punto siamo della storia? Chi ci fa un sunto?’. Io
stesso lo facevo e riprendevo il filo degli accadimenti”.
Dario si è sempre divertito molto a ricordare quel tempo: “Arrivavo a Milano, quasi sempre senza voce, tanto che
i miei compagni, Tadini, Crippa, per
scherzo mi prendevano da parte e mi dicevano “Non ce la racconti una storia
anche a noi?”. In tutto questo c’era
l’eredità del carnevale, dei giullari, del
folle del paese, e quella dei clown, dei
travestimenti a vista, che permetteva di
provare differenti personificazioni. Ma
Fo giura che tutto questo teatro nacque
in lui, compresa la maschera burlesca,
senza saperlo. “Ho scoperto dopo che
tutte quelle storie che raccontavo e che
prendevo dalla tradizione popolare, da
scritti che cominciavo a cercare e trovare, da tante letture, erano antichissime, provenivano addirittura dal Medioevo e dalla storia greca”.
9
Foto Archivio DuFoto - [email protected]
“E il grammelot?” gli chiesi.
“Il grammelot l’ho scoperto
proprio nel linguaggio dei fabulatori. Qualcuno di loro ogni
tanto infilava nel racconto frasi in francese o in tedesco, che
in realtà erano espressioni di
dialetto, di gergo proprio del
mestiere che facevano. Bisogna
tener conto, d’altro canto, che dalle mie
parti, in provincia di Varese, molte persone avevano radici e nomi stranieri.
Erano fonditori, soffiatori di vetro, arrivati lì da tutte le scuole artigianali
d’Europa, che conoscevano le chiavi e
le strutture del parlare di tutto il nord
del continente. Tieni presente che il
grammelot è in sostanza un dialetto di
gente che tendenzialmente aveva fame,
e la fame è sempre stata la base dei racconti popolari, anche se poi il racconto
prendeva le forme del buffo o del grottesco, perché la grande comicità popolare trae lo spunto quasi sempre dalla
tragedia, cioè dalla fame, dalla disperazione, dalla violenza fisica e morale, dalla mancanza di libertà. Pensa che c’è stato un periodo in cui il grammelot è servito per non essere censurati. Al tempo
della repressione in Francia, i comici
dell’arte, alla fine del ‘600, si inventarono questo linguaggio per non essere
perseguitati a causa dei loro lazzi, delle loro battute. Ma i censori ad un certo punto impararono a capirli e il grammelot non li salvò più”.
“Normalmente non si ride dei ricchi?”
gli chiesi.
Fo fu esplicito: “Si ride se si pompano,
se li gonfiamo o li riempiamo di strapotere per poi sgonfiarli. La chiave è
sempre quella del grottesco: spingere
la situazione sempre più avanti, farli volare, vestirli con mantelli che si riempiono di vento per la gioia, alla fine, di
vederli cadere”.
VIVAVERDI
Il corpo disarticolato, la plastica gestualità
contagiosa e carnale, la mimica travolgente, l’uso
del grammelot sono alcuni tratti tipici del teatro
di Dario Fo abituato fin da ragazzo a esibirsi sui
treni locali, che collegavano Milano con Porto
Valtravaglio (il suo paese in provincia di Varese)
e il resto della Lombardia
ne di vita.
Ci feci due puntate di
Storie, un programma che andava in onda dopo mezzanotte e che,
non a caso, aveva come sottotitolo Viaggio nella vita di persone non banali.
A ricordare tutti i momenti di quell’incontro con Fo e la Rame, non mi basterebbero due interi numeri di Vivaverdi, Così
mi pare giusto riassumerli in piccoli capitoli: la prima parte, quella della nascita del
loro teatro, in questo numero e la seconda,
quella della loro consacrazione artistica e
umana, nel prossimo.
MISTERO BUFFO, LA CHIESA
E IL GRAMMELOT
istero buffo – gli chiesi su- è lo spettacolo che
“allaMfinebito
degli anni ’60 ti ha reso
Quel pomeriggio,
negli studi Rai
della Dear, con
Franca a fianco, Dario ci
impartì una
vera lezione di
teatro, dei
meccanismi
scenici, del
grottesco,
della satira,
della farsa.
E ci suggerì anche
una lezio-
un drammaturgo famoso e rispettato in tutto il mondo, ma
che ti caratterizzò anche come
un intellettuale critico nei riguardi della chiesa”.
“No – mi corresse - la mia critica è stata sempre e solo contro
l’abitudine di leggere il Vangelo
in modo scorretto o contro la mercificazione della fede. I giullari, per
esempio, non risparmiavano mai il
mercato delle indulgenze. Spettacoli come quelli che ricorda Mistero buffo venivano realizzati nelle
chiese, specialmente in certe ricorrenze come la Pasqua.
Recentemente ho trovato le
prove che, a molte di queste feste grottesche, erano
VIVAVERDI
10
“Oh, che pacchia, che cuccagna:/bella è la vita per
chi la sa far!/ Ma tu, miracolato del ceto medio
basso,/tu devi risparmiare, accetta ‘sto
salasso:/non devi mangiar carne, devi salvar la
lira/e, mentre gli altri fregano, tu fai l’austerità!” è
un brano della canzoncina “Tutta brava gente”
contenuta in Settimo ruba un po’ meno, una
commedia di Dario Fo, scritta nel 1964. In basso,
un’immagine dello spettacolo teatrale.
teatro
invitati clown e fabulatori perché bisognava soddisfare il “risus pascualis”,
cioè la possibilità di liberare il popolo
con la gioia. Era un modo di concedere
un giorno di liberazione ad un’umanità oppressa.
Dopo l’angoscia della morte di Cristo,
la gioia della Resurrezione vissuta come festa ed allegria totale. E’ assurdo
che la chiesa abbia nascosto e poi censurato questi riti, queste abitudini”.
“E tu invece, per aver resuscitato queste tradizioni, sei stato più volte denunciato”.
“Purtroppo anche fior di storici della
religione non avevano capito nulla. Ad
un certo momento (mi pare nel ’76, dopo la riforma della Rai e il nostro ritorno in tv) il Vaticano prese addirittura posizione e mandò in azienda
tre personaggi in teoria esperti di cultura
popolare religiosa.
Vennero a vederci. Era-
Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo
no vescovi o monsignori e ridevano come matti. Uscirono dalla sala con le lacrime agli occhi.
Mistero buffo non è per caso una delle
opere più rappresentate al mondo. Se
dovessi metterlo in scena con tutte le
aggiunte, gli aggiornamenti che nel tempo ho fatto avrei bisogno di almeno cinque giorni. La ragione del suo successo
credo stia proprio nell’intuizione di recuperare le chiavi della tradizione. E non
solo quelle dell’Italia, ma anche quelle
del nord e del sud d’Europa, della Spagna, della Grecia.
Ti racconto un aneddoto: quando siamo
stati in Colombia mi hanno portato a conoscere un contadino inca che, accompagnandosi con il tamburo, raccontava
un pezzo del Vangelo. Lo faceva con un
linguaggio difficile, aiutandosi con degli spagnolismi. Ad un certo momento
mi sono reso conto che era un mio testo. Glielo avevano dato tradotto in
spagnolo, lui lo aveva riadattato ed alla fine era diventato un brano della loro tradizione.
Pensavano fosse un testo dei
padri, ma in realtà lo era
solo diventato, perché
aveva radici nella loro cultura che
aspettavano
solo di essere sviluppate”.
“E perché – lo interruppi - questo
grammelot, con cadenze e accenti diversi, viene inteso ovunque?”
“Mi stupisco anch’io – rispose - perché
viene capito anche all’estero, in Grecia
come negli Stati Uniti. Ridono delle mie
battute. Il segreto forse sta nella gestualità e, forse, nella scelta onomatopeica di imitare i suoni, i ritmi. Infine,
non bisogna dimenticare che l’argomento di Mistero buffo (episodi di argomento biblico o racconti popolari sulla vita di
Gesù ispirati o reinterpretati dai vangeli
apocrifi) è una storia che tutti conoscono fin dall’infanzia, insieme ad un ele-
Improbabili abiti da gangster, salti acrobatici, contenuti
anticonformisti per Il dito nell’occhio, una specie
di antirivista, uno spettacolo scritto insieme
a Franco Parenti e Giustino Durano nel 1952,
che metteva in scena la storia dell’umanità
in maniera irriverente e assai poco tradizionale.
Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo
mento magico che è esplicito.
All’inizio, su consiglio di Franca, volevamo proiettare delle immagini sul fondo del palcoscenico, miste ad una scrittura, poi abbiamo capito che il pubblico non aveva bisogno delle didascalie,
le capiva prima. E questo è sempre stato un po’ misterioso”.
LA RADIO E L’AFFERMAZIONE
DELLA COMPAGNIA CON
PARENTI, DURANO E FRANCA
stata la radio, dove mi trascinò
Franco Parenti, a farmi scoprire
“È
la mia strada definitiva, anche se ancora alternavo il lavoro di raccontatore in
teatro con la mia frequenza alla facoltà
di Architettura. Per essere sinceri, all’inizio sembrava un insuccesso – mi
raccontò Dario divertito – Come mi sono affacciato al microfono mi hanno subito stangato. Recitavo ogni settimana
un monologo su Caino e Abele che, tutte le mattine, quando si svegliava, levava le braccia al cielo e diceva cose banali tipo ‘Come sei bravo, Signore, che hai
fatto tutto ‘sto creato, che hai inventato il cielo con il vento, l’aria, le nuvole
e poi anche il mare, l’acqua, e non ti sei
neanche sbagliato, non hai fatto confusione, bravo Deo, alleluja!’. Una retorica senza limiti, quasi a preparare una
giustificazione per l’atto inconsulto, il
fratricidio, che la storia ha attribuito a
Caino. Ma si vede che ho esagerato nel
sarcasmo. Così, all’improvviso, una
mattina arrivò una comunicazione, anzi, un pezzettino di carta con su scritto
‘Basta Fo’. Non so precisamente chi ordinò quel diktat, ma non ci fu possibilità di replica. Fu il mio primo impatto
con la censura, che mi avrebbe perseguitato per tutta la vita”.
Era l’epoca anche del poer nano.
“Un intercalare che mi dette popolari-
tà – mi spiegò Dario - voleva dire “povero cocco, povera creatura”.
Un altro suo personaggio dell’epoca era
l’impiegato Gorgogliati. Lo ricordavo
benissimo: “Eravamo io, Stranghelli, la
signorina Trabò quando è passato
l’usciere Baracchini...”.
Noi innamorati della radio lo avevamo
individuato subito. Fu probabilmente
l’antenato di Fantozzi. “E’ vero, dava ragione a tutti. In ufficio accettava tutto,
senza fiatare. Stava sempre dalla parte
dei capi, esprimeva una piaggeria da far
schifo. Erano personaggi improvvisati,
da me, da Franco Parenti e da Giustino
Durano, critici con la società, molto
nuovi, moderni, come quelli che negli
stessi anni si inventava Alberto Sordi,
da Mario Pio ai compagnucci della parrocchietta”.
Era un teatro che si scrollava di dosso la
retorica e che voleva far ridere non solo con gli equivoci dell’avanspettacolo
o della rivista.
Fo finì per far compagnia con Franco
Parenti e Giustino Durano (indimenticabile zio di Benigni ne La vita è bella)
nello stesso tempo in cui Franca Valeri,
Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci davano vita alla Compagnia dei Gobbi.
“Noi eravamo molto amici loro, specialmente di Alberto Bonucci – ricordò
Fo – C’era un grande fermento creativo
in quel finale degli anni ‘50 e il nostro
trio si distinse subito per l’influenza di
Jacques Lecoq, sperimentatore teatrale, mimo e pedagogo francese, con cui
lavorammo un po’ di tempo. Era il coordinatore della nostra gestualità, direi
meglio della disciplina gestuale che, nei
nostri due primi spettacoli Il dito nell’occhio e I sani da legare, aveva un ordine preciso, una sintesi, uno stile. Si
improvvisavano dei testi, si recitavano,
si distruggevano e poi si ricomponevano e si ordinavano secondo uno stile e
una misura. C’era un’improvvisazione
in realtà geometrica, molto severa, e
questa era la nostra forza. Come la capacità di cambiare. Il dito nell’occhio,
ad esempio, all’inizio era molto diverso da come ha finito per essere dopo tre
mesi consecutivi al Piccolo Teatro di Milano, un mese a Torino e un mese a Roma e un altro al Piccolo, dove Giorgio
Strehler si nascondeva in galleria per
ascoltarci, senza disturbare, ma poi si
tradiva con i suoi sghignazzi. A Roma
entrò in compagnia Franca. Per me fu
un evento importantissimo e non solo
perchè ci saremmo sposati e, a breve,
sarebbe nato Iacopo”.
L’INCONTRO
CON FRANCA
ranca l’avevi conosciuta alla radio?” chiesi ad un certo punto.
“F
“No, l’avevo conosciuta nella compagnia delle sorelle Nava che all’epoca
gareggiavano nei teatri di varietà con
Totò, Macario, la Magnani e Billi e Riva. Era una rivista tradizionale e noi
eravamo dei numeri, delle speranze,
insomma il contorno, così come lo erano per esempio Nino Manfredi o Elio
Pandolfi per Wanda Osiris, prima donna indiscussa del varietà dell’epoca.
Franco Parenti era il più conosciuto fra
i nuovi talenti e riusciva a trovare lavoro anche per noi”.
“E Franca cosa faceva in quella compagnia?
Era una soubrette o una soubrettina?”
“Era una soubrettona – sorrise Dario –
Era slanciata, lunga, bella. Ho detto soubrettona perchè oltre a recitare, danzava, cantava, condivideva la passerella
con le Nava”.
“Fu amore a prima vista?”
“No, anche perché appena la vidi mi sono detto ‘E’ troppo, non è possibile, toglitela dalla testa. Non riuscirai mai a conquistare una donna così’. Lei era gentile,
sorridente, ma le giravano attorno tanti
di quei ‘vesponi’ che era inutile sperare.
La adoravano. Le facevano regali che lei
respingeva. Se da il giro a questi qua, pensa che corse farà fare a me! E invece, un
giorno, a sorpresa, mi ha abbrancato dietro una tenda, mi ha spinto contro un muro e mi ha detto ‘Baciami scemo!’. Sono
passati sessant’anni”.
QUELLO CHE MI
HA INSEGNATO IL CINEMA
successo di I Sani da legare a Roma
a Dario Fo le porte del cinema e
Iglilaprìpermise
di sperimentare un mezzo
espressivo che gli insegnò molte cose,
ma non gli regalò un vero successo. Dopo Rosso e nero, antologia della risata
di Domenico Paolella, Dario ebbe la
possibilità di cimentarsi in un film tutto su di lui diretto da Carlo Lizzani, Lo
svitato.
Con Dario c’erano anche Franca Rame
e Giorgia Moll e Alberto Bonucci e Franco Parenti in due partecipazioni straordinarie. Un film con delle aspirazioni,
ma non completamente risolto.
“C’erano molte citazioni, come Tempi
In basso, da sinistra, Franco Parenti, Giustino Durano e Dario Fo, in una scena di Il dito
nell’occhio del 1953. L’anno successivo venne rappresentata al Piccolo Teatro I sani da
legare, che racconta con sarcasmo episodi e avvenimenti dell’Italia di allora. Lo spettacolo
venne pesantemente censurato e confinato in piccole sale, senza incassi assicurati.
Quest’atmosfera determinò la fine della collaborazione tra i tre artisti.
13
Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo
moderni di Chaplin o Il cameraman di
Jacques Tati, che amò molto questo film
tanto da acquistarlo per la Francia. Ma
– ricordò Dario - forse quell’opera era
prematura per il suo tempo. Il pubblico
non era ancora preparato a quel ritmo, a
quel gusto. Non a caso, quando a Milano
ero andato a vedere per la prima volta
Monsieur Hulot di Tati, in sala eravamo
non più di dieci persone”.
Ne Lo svitato Fo aveva rivelato un passo
da atleta vero tanto che, qualche anno prima, aveva rischiato di seguire le orme dei
suoi amici Missoni, Siddi, Paterlini, campioni che si allevano con lui al vecchio
campo della Gallaratese, che poi finirono in nazionale. Ma lui, come Missoni che
lasciò per diventare un grande stilista,
aveva altre ambizioni. “Io correvo per
davvero – mi rivelò Dario – Avevo una falcata importante. Pensa che nella scena de
Lo svitato, dove io ero costretto a rincorrere dei ragazzi, raggiungerli e superarli, avevano scelto come controfigure dei
giovani che erano delle vere promesse.
Non pensarono nemmeno di risolvere il
problema aumentando la velocità delle
immagini in moviola. Tutto era tremendamente reale, tanto che ad un certo punto, con il poco fiato che mi era rimasto in
gola dopo tanti ciak, li avevo supplicati
‘Andate più piano, altrimenti mi ammazzate!’. Il cinema, che mi ha fatto conoscere persone meravigliose come Rossellini, che viveva con la sua grande famiglia di fronte a noi, mi ha insegnato an-
che molte cose. Mi ha dato, per esempio,
la possibilità di imparare il mestiere della scrittura, la scansione delle scene, un
segreto fondamentale per quello che sarebbe stato nel futuro il mio teatro. In quei
due anni di accademia nel cinema come
sceneggiatore di Souvenir d’Italie e Nata
di marzo, dell’indimenticabile Antonio
Pietrangeli, o anche come aiuto di Guido
Leoni in Rascel Fifi, ho acuito l’agilità nello scansionare la funzione narrativa delle sequenze, ho appreso la ritmica del
montaggio e la sinteticità del messaggio.
Quell’esperienza mi ha fatto cambiare anche il modo di concepire il linguaggio teatrale. Ho imparato perfino a dirigere gli
sketch pubblicitari per Carosello, dove
lavoravo con attori bravissimi, che improvvisavano con me anche battute astratte, metafisiche. Nei caroselli per la benzina Supercortemaggiore del 1958, per
esempio, ho formato con Gino Bramieri
una coppia esilarante. Bramieri era un allora un uomo grosso ma di una leggerezza incredibile. Io ho visto poche persone
massicce come Gino fare salti mortali,
rovesciarsi, muoversi con quella agilità”.
Mi pareva singolare che tutto questo
stesse per convivere con quello che sarebbe stato il suo teatro politico.
“Non devi sorprenderti – mi spiegò –
nella pubblicità usavo le stesse chiavi
che caratterizzavano il nostro teatro che
stava crescendo: l’assurdo, il paradosso, il metafisico”. In quel momento della sua vicenda artistica e umana, Fo era
alla vigilia del suo storico scontro con la
censura della Rai nella Canzonissima
del ‘62. Eppure i successivi cinquant’anni avrebbero segnato l’affermazione definitiva del suo teatro e anche il suo riconoscimento come figura
preminente della nostra cultura e della nostra società.
Ma questo è il racconto che affronteremo nel prossimo numero di Vivaverdi.
(1-continua)
VIVAVERDI
Un brindisi alla Terrazza Martini per Dario Fo e Franca Rame, alla fine degli anni cinquanta.
Nello stesso periodo la coppia è protagonista di alcuni famosi filmati pubblicitari
(Supercortemaggiore, Zoppas, ecc.) per Carosello, la trasmissione che dava il via alla prima
serata televisiva.
VIVAVERDI
14
Ambientato in un circo, con personaggi tutti clown,
La signora è da buttare (nella foto Franca Rame, in una
scena) è una commedia di Dario Fo, scritta nel 1967.
La signora è la personificazione degli Stati Uniti
d’America, con dialoghi legati alla situazione politica del
tempo (in particolare la guerra del Vietnam
e l’opposizione pacifista) e critiche alle mire imperialiste
e di potenza del gigante economico americano.
teatro
Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo
DARIO FO
“IL MIO GRAMMELOT
ISPIRATO DAL JAZZ”
di Oscar Prudente
La prima pièce di Dario Fo a cui ho partecipato (La passeggiata della domenica
del francese Georges Michel, di cui Fo
aveva riadattato il testo e curato la regia)
ritraeva la tranquilla gita di una famiglia
borghese sullo sfondo della guerra del
Vietnam e le lotte studentesche, la seconda (La signora è da buttare, con Fo
autore e interprete) era un’allegoria della storia degli Stati Uniti.
Già in molti dei suoi lavori precedenti
la poliedrica genialità di Fo si era manifestata nell’aver utilizzato spesso attori anche non professionisti i quali, oltre che nella recitazione, si esibivano in
balletti, pantomime e nel canto: in queste due commedie il meccanismo veniva portato alla sua piena espressione con
l’utilizzo di un’orchestrina, sempre presente in scena, utilizzata a mo’ di “coro greco”. Nella Passeggiata, assieme al
sottoscritto nelle vesti di “cantattore”
c’era anche un gruppo beat, i genovesi
Bit-Nik che commentavano la trama con
i loro interventi; ne La signora, invece,
avevo portato con me una band formata da valenti musicisti destinati a un
grande carriera (il flauto/sassofonista
Claudio Pascoli, il batterista Walter Cal-
Non capita a tutti di poter raccontare di aver collaborato con un Premio Nobel della
Letteratura, oltretutto nel campo musicale: ma io posso vantarmi di aver scritto
(nonché interpretato) alcune canzoni con Dario Fo e di aver partecipato tra il 1967 e
il 1968 a due sue importanti commedie: La passeggiata della domenica, del francese
Georges Michel e La signora è da buttare. Sono anche abbastanza famose le
collaborazioni di Fo, in ambito musicale, con Fiorenzo Carpi ed Enzo Jannacci.
loni, il bassista Massimo Spinosa, il tastierista Giuliano Salerni). Ma l’interesse di Fo per la musica è multiforme.
Oltre all’invenzione della presenza delle band in scena e le collaborazioni con
importanti musicisti (in primis Fiorenzo Carpi ed Enzo Jannacci) vi sono
le ricerche musicologiche delle radici
della tradizione popolare (vedi le varie
edizioni di Ci ragiono e canto) e i numerosi e felici sconfinamenti nel campo sinfonico e operistico: Pierino e il
Lupo di Prokof’ev, di cui Fo è stato voce narrante, e l’allestimento e la regia
di opere di Rossini, Stravinskij e Weill.
Il mio ricordo più vivo è però sicuramente legato a La signora è da buttare e
alla sua ambientazione circense (con
tanto di veri clown e acrobati, i “Colombaioni”), memorabile fin dalla prima scena.
Iniziava con il tuo esilarante ingresso
danzato a ritmo di blues, mentre imbracciavi o meglio eri abbracciato da
un’antica tuba romana e alternavi vocalizzi e frasi musicali in stile. Da chi hai
ereditato la tua esuberante musicalità?
Da ragazzino avevo scoperto il jazz, la
prima musica che veniva da oltreoceano: mi fece impazzire da subito. Il ritmo, la sintassi di una musica completamente fuori chiave rispetto a quella
che conoscevo.
Hai ascoltato molto questo genere di
musica?
Moltissimo. Ho inventato il “Grammelot” imitando il cantare dei neri: prima
ancora di sapere cosa volesse dire il suono imitavo i timbri, gli andamenti. Riuscivo a convincere addirittura gli americani che stessi cantando blues.
Ti sei mai dedicato allo studio di uno
strumento musicale?
L’unico per cui ho preso delle lezioni è
stato per quella tuba: era in “do”, ed assai difficile perché non si poteva mai
uscire da quella tonalità, tant’è vero che
l’orchestra che mi accompagnava era
impostata su quella tonalità.
Che importanza ha avuto la musica per
te e come ha influenzato il tuo linguaggio teatrale?
Prima di tutto io lavoravo con grandi
personaggi del mondo musicale, con
tutti quelli che allora facevano jazz e dato che in quel momento lavoravano al-
la Rai, abbiamo potuto fare degli spettacoli interi. Per esempio, ce n’era uno
che ha anticipato Canzonissima e che si
chiamava Chi l’ha visto? (varietà televisivo del 1962 di Dario Fo, Leo Chiosso e Vito Molinari, trasmesso su Rai 2,
ndr). Questo spettacolo è andato in onda con grande successo e vi parteciparono molti musicisti importanti, tutti i
più grandi jazzisti italiani che suonavano a Milano. C’era Enrico Intra con il
suo gruppo, cinque o sei solisti, fra cui
Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Dino Piana...
E poi c’erano anche alcuni dei giovani
jazzisti emergenti, che suonavano in
quel locale dietro al Duomo, il “Santa
Tecla”. Lì avevo trovato il meglio: ogni
sera si andava ad ascoltare, a vedere, arrivavano i primi americani, i primi jazzisti neri. E poi c’erano anche le band
locali, quelle che si legavano al nome dei
fiumi come l’Original Lambro Jazz Band.
Le conoscevo tutte e ogni tanto cantavo
con loro, inventandomi andamenti e ritmi. Poi chi traduceva tutto in musica seria era Fiorenzo Carpi, che metteva giù
le tonalità e gli arrangiamenti.
Una scena di Gli arcangeli non giocano a flipper (1959)
commedia in tre atti ispirata a un racconto di Augusto
Frassineti. Lo sbaglio anagrafico per cui il protagonista il
Lungo (Dario Fo) viene registrato come cane, mette in
moto una serie di situazioni paradossali. Si satireggia
sulla burocrazia di stato, sulla retorica delle istituzioni e
la loro corruzione. Siamo però ancora lontani dalle
accuse esplicite alla classe politica di Settimo: ruba un
po’ meno del 1964
Archivio digitale Franca Rame - Dario Fo
Uno straordinario musicista e amico col
quale hai collaborato per un quarantennio, come spieghi anche nelle note
di copertina del cd Fo canta Fo; che cosa ha rappresentato per te?
La disciplina e la professionalità. Prima noi eravamo dei “fioristi”, “andavamo alla fiora” (“improvvisavamo”, ndr)
e poi ad un certo punto con lui ed altri
musicisti, per esempio quello con cui
ho fatto moltissime canzoni...
Enzo Jannacci?
Beh, certamente! Jannacci è un professionista, è uno che sa la musica, che ha
studiato...
Ed è anche un eccellente jazzista, suona bene il pianoforte...
Certo, benissimo!
Come nascevano le tue canzoni?
A caso, a caso. Per esempio cominciavamo con un motivo... bello, andiamo,
oplà! Uno improvvisava un andamento,
anche di parole e poi io a casa sul “mascherone” cominciavo a mettere a posto. Poi ci vedevamo con Jannacci e con
gli altri e finivamo la canzone.
Per gli autori non iniziati, che cos’è il
“mascherone”?
Il mascherone è la chiave di timbri e di
andamenti di metrica fatto con parole
anche a vuoto. Ad esempio: “strabullà
che non farebbe – neanche il centro ne
verrebbe – alla sera nel mangiare – pirimpò che cosa fare…..”
Chi ti ha ispirato i versi di Stringimi forte i polsi, brano che contribuì a creare
il mito dell’allora 22enne Mina e che io
considero la tua più bella canzone
d’amore?
Mia moglie Franca.
Non trovi che questo brano, che poi era
la sigla di chiusura della famigerata Canzonissima ’62 (la trasmissione sollevò
numerose polemiche, finendo con il licenziamento di Dario e Franca Rame,
ndr) si distacchi un po’ per testo e musica dalle altre tue canzoni?
No. Quella è una canzone che veniva direttamente da un mio testo teatrale. Era
il leitmotiv della commedia...
Per caso Gli Arcangeli non giocano a
flipper?
Sì. Loro sono persone serie!
In questa commedia si ascolta, tra le altre, la canzone Non fare tilt, che parla
di flipper e biliardini come metafore di
una città. E’ vero che hai avuto in casa
svariati flipper?
No, non svariati. Avevo un solo flipper,
che mi cambiavano quando avevo vin-
to troppo: lo scaricavamo e me ne davano un altro.
Le tue incursioni nella musica includono anche quella “colta”, soprattutto
l’opera di Gioacchino Rossini. Da dove
deriva quest’interesse per il grande
compositore pesarese?
La cosa che mi ha divertito è il fatto di
essermi accorto che per esempio Rossini era un autore che si rifaceva veramente alla Commedia dell’Arte. Quando è arrivato in Francia - questo bisogna ricordarlo – ha scoperto che là c’era
una visione, un modo di leggere la Commedia dell’Arte completamente diverso dal nostro, perché loro erano rimasti all’epoca pre-Goldoni, mentre invece noi siamo arrivati a Goldoni. E allora Rossini ha preso tutti i testi della tradizione francese e li ha tradotti – anche
per quanto riguarda le maschere, che
poi erano italiane, legate a Molière – in
personaggi della sue opere. Meglio, i
suoi librettisti si uniformavano a quello che era la macchina teatrale di cui
aveva bisogno appunto questo straordinario compositore. Io mi sono accorto
di questo e perciò mi sono buttato subito nella Commedia dell’Arte: ho scoperto che era proprio la base, il mascherone fondamentale della musica e
dello svolgimento scenico.
Ho visto sul tuo blog il disegno Evviva
gli orchestrali di Sanremo, in cui rappresenti gli elementi dell’orchestra che
buttano per aria spartiti e strumenti in
segno di protesta nei confronti del verdetto finale decretato dal televoto. Che
ne pensi del loro gesto ?
Bellissimo! Ho visto finalmente un atto di dignità straordinaria, di coraggio:
questi musicisti hanno rischiato il posto. I dirigenti si sono incazzati moltissimo per questo fatto ed era giusto applaudirli a nostra volta.
Foto Giuseppe Ziliotto
VIVAidee
PENSIERI & PAROLE
DALLI
ALL’UNTORE...
INTERNET E
COPIA PRIVATA
di Mimmo Rafele
La disinformazione o informazione a
senso unico si strappa i capelli per il
decreto Bondi sull’equo compenso
per la copia privata, paventando
aumenti e rialzi dei prezzi degli
apparecchi tecnologici destinati a
registrare musica, video, film,
fotografie, ecc.. Ho così mandato un
commento a un articolo di una
importante testata on line ribadendo
che il compenso per la copia privata è
un’importante risorsa per gli autori e
per tutta l’industria culturale di fronte
ai nuovi strumenti di riproduzione
digitale. È il sacrosanto
riconoscimento del diritto del lavoro
degli autori, di chi ha prodotto quei
contenuti che arricchiscono
broadcaster e internet provider
Piccolo aneddoto personale, che può
però interessare tutti noi. E rappresenta uno spaccato curioso sulla democrazia della rete, sulla tecnocrazia dilagante e sulla fruizione dei contenuti, creati dagli autori. Su Repubblica.it del 26
aprile scorso esce un articolo a firma di
Mauro Munafò in cui si rende conto dei
rialzi sul prezzo di listino dei dispositivi di archiviazione dei dati, in seguito al
decreto Bondi sull’equo compenso per
la copia privata, esteso a ogni apparecchio che possa registrare musica, video,
film, ecc. Si tratta, a scorrere l’allegata
tabella, di qualche centesimo per le apparecchiature più diffuse, che diventa
qualche euro, fino a oltre 20, per gli hard
disk con memoria superiore ai 250 gb,
ovvero con una capacità davvero enorme. Per l’autore del pezzo non ci sono
dubbi: si tratta di un “balzello”, addirittura una “multa preventiva”, una “tassa” a beneficio della Siae, che introita
così un centinaio di milioncini rapinati dalle tasche dei consumatori per farne poi non si capisce cosa. Non si fa
cenno al fatto che si tratta di un diritto
pagato una tantum agli autori di musiche, di video, di film che verranno registrati su centinaia di migliaia di quei
dispositivi e “fruiti” milioni di volte
senza che agli autori arrivi un centesimo in più. Per chi avesse qualche dubbio, l’autore correttamente indica il link
col sito della Siae, ma immagino che non
siano stati in molti a consultarlo. Invece i commenti “postati” dai lettori, aizzati dal nostro scopritore di tasse oc-
VIVAVERDI
17
culte, sono ovviamente indignati, ancora una volta la Siae viene dipinta come un esattore vampiresco, che succhia
soldi ai consumatori. Indignato anch’io,
per opposti motivi, “posto” a mia volta
un commento, così concepito: “È veramente scandaloso che anche Repubblica definisca ‘balzello’, ‘multa preventiva’ e addirittura ‘tassa sull’innovazione’ (!) quello che è il normalissimo, sacrosanto compenso per chi ha prodotto con la propria creatività quei contenuti su cui broadcaster, provider e altri
diffusori campano e di cui usufruiscono milioni di utenti, praticato per di
più in tutta Europa. Così non mi stupisco se la gente ‘normale’ si indigni
e s’incazzi… Si chiama ‘disinformazione’ ed è una pratica diffusa. La tristezza è che la pratichi il mio giornale”. Non ho ovviamente avuto risposta
dall’autore dell’articolo, un lettore invece, che mi ha cortesemente apostrofato “manica di cretino”, si firma
“artista siae” e sostiene di non avere
alcuna fiducia che la Siae gli ridia indietro il malloppo che intanto incassa a spese di tutti. Il che dimostrerebbe quanto l’immagine della Società sia
degradata anche al suo interno. Seguono altre contumelie da altri lettori ancora più inviperiti dal trovare in
mezzo a loro uno che si ostina ancora
a credere che la creatività debba essere, in qualche modo compensata.
È la rete, bellezza…
[email protected]
VIVAanteprime
di Vivaverdi
IV EDIZIONE DEL FESTIVAL DINO CIANI
Dal 24 luglio al 28 agosto Cortina d’Ampezzo
ospiterà il Festival Dino Ciani, dedicato al giovane
pianista scomparso nel 1974. Alla rassegna concertistica internazionale si affiancano i corsi estivi dell’Accademia che riuniranno giovani pianisti e
cantanti di età compresa tra i 18 e i 35 anni, musicisti e musicologi. Tra le novità di quest’anno la
possibilità di studiare e accompagnare i cantanti
del Mahler/Schumann Workshop nella seconda settimana del Festival in un Lieder Workshop con Claudio Desderi.
ITALIA WAVE, CINQUE GIORNATE
DI MUSICA DAL VIVO
Un giorno in più per Italia Wave Love Festival 2010:
dal 21 al 25 luglio cinque giornate di grande musica dal vivo con tre band in data unica e un’esclusiva estiva. Approdano a Livorno gli Underworld,
pionieri della musica elettronica moderna. Vanno
ad aggiungersi alla programmazione di Medwave,
il progetto musicale dedicato al Mediterraneo che
si svolgerà la prima serata del festival (21 luglio)
con la produzione inedita di Daniele Silvestri e Orchestra di Piazza Vittorio e con artisti in esclusiva
provenienti da Marocco, Francia, Algeria, Spagna
e Libano. E poi ancora Italia Wave 2010 propone
il concerto-fiesta dei Ojos de brujo e il reggae di
Julian Marley, figlio del mitico Bob domenica 25 luglio. Rock, elettronica, musiche dal mondo, reggae e festa per il festival italiano con un cartellone di un centinaio di eventi tra musica e altre arti.
VALERIO SCANU IN TUTTI I LUOGHI TOUR
Il tour del vincitore di Sanremo 2010, organizzato
da Live Nation Italia srl, vedrà il giovane cantante
sardo al centro di un palco nato con lo scopo di
sottolineare la sua voce e la sua interpretazione
anche grazie ad una band (Gabriele Gagliardo alla
chitarra, Claudio Ghioni al basso, Giorgio Bellia alla batteria, Francesco Lazzari al pianoforte, Andrea D’Aguì alla chitarra acustica, cori e tastiere)
capace di accompagnarlo in questo lungo viaggio
musicale durante il quale presenterà al pubblico i
brani del suo ultimo disco “Per tutte le volte che”
insieme ai successi dei lavori precedenti (“Sentimento” e “Valerio Scanu”).
In scaletta oltre ai brani dei suoi album Valerio eseguirà brani di alcuni dei suoi artisti preferiti come
“Listen” di Beyonce e “I wanna know what love is”
di The Foreigner. Il 10 luglio sarà a Grugliasco (To),
il 17 a San Vito lo Capo (Tr), poi il 18 a Carlentini
(Sr), il 25 a Delianova (Rc), il 31 a Trinità (Cn), per
concludere il 6 settembre a Vicenza.
FESTIVAL DI SPOLETO
La 53° edizione del
Festival dei due Mondi di Spoleto si svolge
dal 18 giugno al 4
luglio. Dopo l’inaugurazione, con l’opera di
Hans Werner Henze
“Gogo No Eiko” ispirata all’omonimo romanzo di Yukio Mishima, un ampio programma ricco di ospiti di fama internazionale anima la manifestazione. “Nell’età dell’incertezza per antonomasia – ha commentato il presidente e direttore artistico Giorgio Ferrara – sempre nuova e multiforme, l’arte non può che essere il rispecchiamento di tale condizione ma è anche, insieme, il solo possibile tentativo di superarla
grazie alle virtù del pensiero e alla forza della bellezza. Il pensiero e la bellezza: due prospettive,
due vocazioni, che da sempre Spoleto e il suo festival sollecitano, animano, connettono”. La Siae,
il 26 giugno, consegna il Premio alla creatività allo scenografo Dante Ferretti e 3 ulteriori riconoscimenti ad un coreografo, uno scenografo e ad
un autore teatrale.
MARCO MENGONI, RE MATTO TOUR
Dopo l’uscita del disco Re matto su etichetta Rca/Sony Music, Marco Mengoni porta sulle piazze d’Italia
il “Re matto tour”, nato da un’idea di Marco Mengoni, Luca Tommassini e Stella Fabiani, con la regia di
Luca Tommassini, la direzione artistica di Piero Calabrese e la produzione dei Cantieri Musicali. Sul palco accompagnano Marco Mengoni: Aidan Zammit
(pianoforte, tastiere e programmazioni), Stefano Calabrese (chitarre), Davide Sollazzi (batteria), Giovanni Pallotti (basso), Peter Cornacchia (chitarre), Mattia Davide Amico, Davide Colomba (cori). Con lui ci
sono anche i ballerini Antonio Fiore, Salvatore Dello
Iacono, David Cipolleschi, Bruno Centola. Le coreografie sono di Luca Tommassini e Francesco Sarracino. Queste le tappe del tour: il 5 luglio, Ronciglione (Vt), il 15 luglio Genova, Arena del mare, il 18
luglio Marina di Massa, il 24 luglio Sottomarina di
Chioggia (Ve), il 12 agosto Agropoli (Sa), e infine,
l’8 settembre Luogosanto (Ot).
JAPAN ANIME LIVE
Per la prima volta fuori dal Giappone le più importanti case di produzione e di edizione giapponesi
del genere si sono riunite per realizzare un tour europeo dedicato ai protagonisti del fumetto nipponico. Il tour sarà in Italia il prossimo novembre: il
6, al Mediolanum Forum (Milano), per poi approdare a Firenze l’11 novembre, al Mandela Forum, e a
Roma, il 13 novembre, al Palalottomatica. Sulla scena, un mega schermo di 10x5 metri, gli attori giapponesi ufficiali delle serie Anime, tanti costumi, effetti speciali, la recitazione “live” degli episodi da parte dei doppiatori italiani sul palco, e la musica dal vivo, un’occasione unica per cantare tutti insieme con
i musicisti giapponesi e con l’aiuto del karaoke, tutte le sigle originali delle serie Tv.
VOLTERRA TEATRO
Dal 19 luglio al 1° agosto 2010 Volterra e i Comuni di Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina,
Montecatini Val di Cecina, e Monteverdi Marittimo
ospitano la XXIV edizione del Festival VolterraTeatro, organizzato dall’Associazione Carte Blanche,
con la direzione artistica di Armando Punzo. Nuove idee, nuovi fermenti, nuove visioni per l’edizione in arrivo, a partire dall’atteso debutto di Hamlice – Saggio sulla fine di una civiltà, liberamente ispirato all’Alice nel Paese delle meraviglie, ultimo lavoro della nota e pluripremiata Compagnia della Fortezza, composta dai detenuti attori del Carcere di
Volterra e presentato lo scorso anno sotto forma di
primo studio (Carcere di Volterra 26, 27, 28, 29 luglio e Teatro Persio Flacco 31 luglio).
VIVAVERDI
Foto Raphael Lemonnier
JAZZ ASCONA 2010
Dal 24 giugno al 4 luglio si svolge la 26° edizione
del JazzAscona, la più importante rassegna europea
dedicata al jazz classico e tradizionale della tradizione afroamericana di New Orleans. Il meglio del panorama americano ed europeo sarà di scena sul lungolago di Ascona per presentare più di 200 concerti con
300 artisti da tutto il mondo. Nutrita la rappresentanza femminile, quella di artisti italiani e le iniziative collegate al Festival. Fra gli artisti che saranno presenti
a JazzAscona, China Moses (nella foto), Howard Alden, Nicki Parrott, Attilio Troiano, Biréli Lagrène, la Pasadena Roof Orchestra, Niki Haris e tanti altri.
19
TUSCAN SUN FESTIVAL
Dal 30 luglio al 6 agosto Cortona ospita la VIII
edizione del Tuscan Sun Festival, che presenta un
cartellone di star internazionali che spaziano dal
genere rock alla classica. Autentici miti della musica mondiale come Sting, Renée Fleming o Joshua Bell ma anche giovani talenti emergenti come il compositore Anthony Arcaini, il pianista Nobuyuki Tsujii, e il violinista Chad Hoope.
Paul Sting con la moglie Trudie Styler rievocheranno in Twin Spirits la storia d’amore tra il compositore Robert Schumann e sua moglie, la pianista Clara Wieck. Ci sarà anche Gabriele Lavia accompagnato dall’arpa di Cecilia Chailly che interpreterà il monologo di Feodor Dostoevskij Il sogno
di un uomo ridicolo. I primi ballerini dell’American
Ballet Theater, Maxim Beloserkovsky e Irina Dvorovenko danzeranno in Stars of the Bolshoi and
Mariinsky. Come di consueto non mancano benessere ed enogastronomia, che affiancheranno
gli spettacoli musicali e teatrali.
ROCK IN ROMA
Si concluderà il 30 luglio con il concerto di Shaggy
il Festival Rock in Roma 2010, la rassegna
internazionale che si terrà per tutto il mese
all’ippodromo delle Capannelle. Un ricco cartellone
di star nazionali e internazionali, che vedrà esibirsi
The Cranberries, Mika, i 99 Posse, i Baustelle, gli
Ska-P, the Hormonauts, Piotta, Nina Zilli, Skunk
Anansie, Gossip, ZZTop, Afterhours, Litfiba, Daniele
Silvestri e l’Orchestra di Piazza Vittorio, Gary Moore,
e The Cult nell’unica data italiana il 26 luglio. Il sito
del Festival è www.rockinroma.com.
VIVAVERDI
A destra, Vincenzo Talarico nei panni
dell’avvocato difensore di Raf Vallone,
il protagonista di Non c’è pace tra gli ulivi (1950)
famoso film neorealista di Giuseppe De Santis.
20
letteratura
VINCENZO TALARICO
L’INEFFABILE CANTORE
DELLA “BELLE EPOQUE ROMANA”
di Giovanni Russo
Ho conosciuto Vincenzo Talarico in
quella comitiva di giornalisti e letterati, a cui giovanissimo venni ammesso
anch’io, che si incontrava la sera nei caffè Rosati e Canova in Piazza del Popolo.
Erano gli inizi degli anni Cinquanta,
quando esisteva ancora una società della conversazione e la televisione non
aveva distrutto l’abitudine di intrattenersi insieme senza correre a isolarsi
davanti al video. Aveva una collaborazione quotidiana con un giornale del pomeriggio, Momento sera, dove curava
la rubrica “Gazzettino romano” e scriveva critiche cinematografiche, teatrali e letterarie.
Arrivava dal giornale verso le sette di
sera in Piazza del Popolo, dove d’estate
occupavamo i tavolini all’aperto con
Sandro De Feo, Ercole Patti, Mario Pannunzio, Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati, Alfredo Mezio e Leo Longanesi, ai
quali si aggregavano talvolta Sandro
Penna e Franco Monicelli, fondatore del
giornale satirico, antifascista e anticlericale del dopoguerra, Cantachiaro, di
cui Talarico fu condirettore. Era una
compagnia di nottambuli sfiorata da
quella più contegnosa, che non supera-
Amico di Flaiano, Cardarelli, Longanesi e Brancati, fu uno dei
protagonisti dei cenacoli letterari capitolini, che si riunivano da
Aragno, Rosati e nella Libreria Rossetti di Via Veneto. Ironico e
brillante, passava con disinvoltura dal giornalismo alla
sceneggiatura, facendo perfino l’attore in film di successo. Scrisse
libri che aiutano a conoscere Roma tra gli anni ’40 e i ’60.
va mai la mezzanotte, composta da Alberto Moravia, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini ai quali si univano spesso Enzo Siciliano e Alberto Arbasino. Di frequente si aggiungevano Vittorio Gassman
insieme a Franco Rosi, Elio Petri e Ettore Scola, registi all’inizio della carriera.
Tutti gli amici che erano abituati a ritrovarsi nelle redazioni, nei ristoranti,
nei caffè (una vita di società oramai
scomparsa), si distinguevano con soprannomi diventati celebri come “il più
grande poeta morente” Vincenzo Cardarelli, ”la picassata alla siciliana” Renato Guttuso, ”l’amaro Gambarotta” Alberto Moravia e “il Vecchio Tastamento” Francesco Trombadori, “il brutto
addormentato nel basco” Alberto Savinio, “l’incantatore di sergenti” Filippo
De Pisis, “la salma” Ercole Patti e “pan-
cia competente” o ”il pizzicato” Sandro
De Feo. E Mario Pannunzio detto “il piedone” o anche “lo sfaccendato”: quest’ultimo coniato da Talarico, che faceva a gara con lo scultore Marino Mazzacurati nel creare nomignoli che restavano impressi sui personaggi che prendevano di mira. Anch’egli non sfuggiva alla regola del soprannome: il suo era “il
lepre” per la fisionomia, occhi strabici,
nasone, faccia un po’ storta e labbro superiore sporgente, appioppatogli anche
per la rapidità con cui, alto e ben piantato com’era, attraversava con ampie falcate Piazza del Popolo spostandosi dal
gruppo che sedeva davanti a Rosati a
quello che si trovava da Canova.
Talarico ha rotto il conformismo della
società letteraria passando disinvolto
dal giornalismo, alla sceneggiatura, ai
VIVAVERDI
Nella foto in basso, Vincenzo Talarico
a sinistra, accanto a Mario Soldati
nella giuria del 9° Premio Strega.
Sul cartellone si vede il titolo Un gatto che
attraversa la strada di Giovanni Comisso
che si aggiudicò il primo premio.
22
(Le foto sono tratte da Vincenzo Talarico –
Un calabrese a Roma Edizioni Rubettino)
letteratura
soggetti cinematografici non disdegnando di interpretare ruoli comici in
alcuni film che l’hanno reso noto al
grande pubblico. Erano tempi in cui gli
intellettuali, arrivati quasi tutti dalla
provincia a Roma, facevano di tutto: come molti, arrotondava in questo modo
il compenso allora scarso di giornalista,
ed era ricercato almeno quanto Ennio
Flaiano per la sua facile vena nella commedia all’italiana in cui primeggiavano
Totò e Alberto Sordi.
Ha preso parte a numerosi film, tra gli
altri di Rossellini, De Sica, Risi e Zampa con cui ha sceneggiato Anni facili per
il quale è stato premiato con il “Nastro
d’argento”. Il mondo del cinema, del
giornalismo, della letteratura viveva in
una felice osmosi e Talarico, proprio per
la sua fisionomia, era chiamato a inter-
pretare parti come quella dell’avvocato
che difende Sordi in Un giorno in Pretura e nel Vigile, o quella di un deputato in Un americano a Roma, il suo film
di maggiore successo. Nell’episodio Guglielmo il dentone del film I complessi
c’è l’esilarante scena di Alberto Sordi
che partecipa a un concorso della RaiTv per conduttore del telegiornale e che
mostra enormi denti; invano il commissario della giuria, Talarico, cerca di
fargli commettere qualche errore per
poterlo bocciare, dato che il suo aspetto avrebbe terrorizzato gli spettatori.
Forse proprio per questa sua disponibilità a fare l’attore o a partecipare come sceneggiatore a film leggeri, ne erano state sottovalutate le doti di scrittore e la finezza culturale che gli viene riconosciuta da una scrittrice esigente e
raffinata come Elena Croce, che lo definisce un “prosatore squisito”.
Alcuni suoi libri sulla Roma dagli anni
’40 ai ’60, oggi quasi impossibili a trovarsi, come I passi perduti meriterebbero di essere ripubblicati perché fanno rivivere un mondo altrimenti dimenticato come sarebbe avvenuto per
8 Settembre italiani in fuga, fortunatamente ristampato dalla Fondazione Vincenzo Padula. In esso racconta, con
aneddoti divertenti e con un sorriso dietro cui nasconde la drammaticità della
situazione, la fuga degli intellettuali da
Roma per sottrarsi ai tedeschi. Protagonisti, oltre allo stesso Talarico, sono
il poeta Diego Calcagno, gli scrittori Ercole Patti, Vitaliano Brancati, Mario Soldati e Sandro De Feo, gli indivisibili
amici che si frequentavano a Roma. Cal-
cagno rischia, per la sua incoscienza, di
farsi scoprire dai tedeschi ma, cosa ancora più grave, di fare arrestare l’amico
Talarico quando al segretario fascista di
Sulmona, dove si erano rifugiati, ascoltando alla radio un notiziario in cui si denunciava il tradimento di certi intellettuali e si faceva il loro nome, chiede sfacciatamente: “Se avesse tra le mani Talarico cosa gli farebbe?” al che il fascista risponde: “Lo strozzerei senza esitazione”.
Fortunatamente qualcuno viene a chiamare il gerarca e Talarico si salva.
Chi legge questi libri si rende conto che
Talarico fu molto più di un cronista
mondano, uno scrittore che sapeva cogliere gli aspetti della realtà con un
umorismo che lo fa paragonare a Ennio
Flaiano e allo scrittore che forse più gli
somiglia, Giancarlo Fusco, altro indimenticabile protagonista della Roma di
allora con i suoi spiritosi e inverosimili aneddoti.
Era molto riservato. Poco si sapeva della sua vita privata di scapolo meridionale. Si sussurrava di un amore sfortunato per una famosa attrice, ma nella comitiva non se ne parlava quasi mai,
sicché il suo rapporto con le donne è
rimasto sempre misterioso. La sua vocazione di osservatore di costume si
esprimeva nella rubrica del Momento
Sera, che ci ridà l’atmosfera di quegli
anni, dal ‘50 al ‘60, dove racconta le
persone che frequentavano via Veneto, piazza del Popolo, Trinità dei Monti, i corridoi e la buvette di Montecitorio e Palazzo Madama, le gallerie d’arte, i ritrovi mondani, i salotti letterari. E’ una galleria di scrittori e artisti
celebri, divi del cinema, attori di teatro, registi ma anche personaggi poco
noti o addirittura oscuri, descritti nelle loro vanità, nelle loro virtù ma anche nei loro “vizietti”. Sullo sfondo c’
è la Roma con le trasgressioni della co-
siddetta “gioventù bruciata” e le prime ragazze in minigonna.
Chi vuole capire quella Roma, perché
si abbandonò il caffè Aragno per i caffè di piazza del Popolo, quali osterie e
ristoranti si frequentavano, l’atmosfera del caffè Greco e della libreria Rossetti a via Veneto dove scrittori, giornalisti e registi facevano corona intorno al poeta Vincenzo Cardarelli, non
può fare a meno di leggere I passi perduti, in cui Talarico fotografa un periodo che si potrebbe definire la “bell’époque romana”, del quale va considerato a pieno titolo l’unico cantore.
Alcuni dei suoi personaggi restano incancellabili come Marino Piazzolla “il
Un calabrese a Roma
Imparammo a conoscerlo al cinema con quel
nasone, gli occhi stralunati e un’ espressività
quasi feroce in film come Un americano a Roma, Un giorno in pretura, Il vigile, I mostri. Vincenzo Talarico s’imponeva subito con la sua
espressività tra l’arguto e il ferino. Sembrava
nato per fare l’attore, il caratterista d’alto rango. In realtà era un giornalista e un critico di
talento, brillante e caustico: sue le definizioni
di Cardarelli come “L’ultimo poeta morente” e
di Sandro De Feo come “Cavaliere del lavoro
altrui”; Longanesi, invece, era il “Supercortomaggiore”. Il bel libro Vincenzo Talarico, un calabrese a Roma (Rubettino Editore) a cura di
Antonio Panzarella e Santino Salerno nato per
conto della Fondazione Vincenzo Padula, ne ripercorre le tappe essenziali. Ricco di contributi
scritti e immagini, riporta le testimonianze, tra
gli altri, di Raffaele La Capria, Giovanni Russo,
Ugo Gregoretti, Ettore Scola, Franca Rame con
Dario Fo, Walter Pedullà e Walter Veltroni. Un
libro da avere per sentire il polso della Roma
vitale, colta e ironica del dopoguerra.
sa.m.
VIVAVERDI
23
galantuomo” (così chiamato perché con
barba e baffi rassomigliava a Vittorio
Emanuele II), scrittore di filosofia e di
epigrammi, grande ammiratore e affettuoso compagno di serate del poeta Cardarelli. Sono citati episodi che riguardano scrittori come Alberto Arbasino,
giornalisti come Silvio Negro o Corrado Sofia, personaggi della politica, della letteratura e dell’arte da Antonello
Trombadori a Alba De Cespedes, da Carlo Levi a Renato Guttuso al critico d’arte Alfredo Mezio al poeta Ungaretti e
tanti altri.
Era nato ad Acri, in Calabria, nel 1909,
ma si era trasferito a Roma giovanissimo all’inizio degli anni Trenta. In breve tempo entrò a far parte della società
letteraria, tanto è vero che risulta tra i
sei soci fondatori del Premio Strega accanto a Maria Bellonci, Guido Alberti,
Giambattista Angioletti, Corrado Alvaro ed Ermanno Contini.
E’ stato redattore e collaboratore di numerosi quotidiani e settimanali tra i
quali L’Europeo, Epoca, Il Messaggero, La Stampa e di settimanali satirici
come Il Travaso e ha lavorato per la televisione sceneggiando racconti e romanzi. Tra i suoi libri bisogna ricordare anche Vita romanzata di mio nonno,
dopo il 25 luglio 1943 Pasquino insanguinato, che rievoca l’occupazione tedesca a Roma e Mussolini in pantofole,
Claretta fiore del mio giardino sugli
amori del dittatore che gli attirò le ire
di Mussolini, che lo definì nel suo scritto Il bastone e la carota “ignobile libellista” e gli valse da parte di Indro Montanelli l’appellativo di “il colpo di spillo antifascista”.
Apparteneva, come Vitaliano Brancati,
a quel mondo borghese meridionale di
tradizioni liberali che rifiutava il conformismo, non era comunista, era soprattutto ironico.
VIVAVERDI
Guido (in alto) e Maurizio (in basso), hanno iniziato la
carriera come arrangiatori per artisti come Dalla,
Morandi, Gabriella Ferri, Nicola di Bari. Hanno poi
composto colonne sonore di grande successo
e venduti milioni di dischi come “Oliver Onions”
24
musica
PERSONAGGI
GUIDO E MAURIZIO DE ANGELIS,
FRATELLI DI SUCCESSO
di Stefano Micocci
Fratelli di successo, siete riusciti ad andare sempre d’accordo, a rimanere
creativi e allo stesso tempo imprenditori, per più di quarant’anni di collaborazione. È stato difficile?
(Guido) Per noi è stato naturale, dagli
studi al Conservatorio -Maurizio la chitarra, io il flauto- ad oggi, attraversando la musica, il cinema, la fiction, la nostra fantasia è diventata artigianato e
l’artigianato industria. Sempre insieme. Oggi, dopo tanti anni, i ruoli si sono maggiormente delineati, Maurizio
adora la musica e continuerà a comporla, concentrandosi su questo aspetto
della nostra produzione. Come presidente del gruppo, sono totalmente rapito dalle produzioni televisive e cinematografiche, con il valido aiuto dei miei
figli Nicola e Marco e altri valenti collaboratori. Viaggio in continuazione, in
tutto il mondo, per i contatti con i nostri partner internazionali.
È bello essere fratelli legati anche da una
passione in comune…
(Maurizio) Abbiamo due caratteri complementari: quando abbiamo cominciato, io non mi ritenevo pronto a produrre ma Guido pensava che avremmo
Nati come arrangiatori negli anni ’60 (Lucio Dalla, Gabriella Ferri, Nicola Di
Bari, Gianni Morandi), Guido e Maurizio De Angelis hanno composto centinaia
di colonne sonore di successo, dal 1970 ad oggi. Hanno vinto dischi d’oro per
canzoni come Sandokan, Dune Buggy e Orzowei con lo pseudonimo di “Oliver
Onions”. Tanto pe’ cantà, di Petrolini e Simeoni arrangiata da loro e presentata
al Festival di Sanremo da Nino Manfredi, e la composizione della colonna
sonora di Per grazia ricevuta, rappresentano il momento-chiave di una grande
carriera, premiata dalla Siae nel 1986 per le vendite all’estero dei due
compositori italiani. Dal 1983, Guido e Maurizio hanno iniziato una seconda
carriera come produttori: film e serie televisive per il mercato nazionale e
internazionale. In Italia, tra le più popolari, Incantesimo e Elisa di Rivombrosa.
Nel 2000 hanno fondato la Dap Italy, nella quale lavorano anche Nicola e Marco,
figli di Guido De Angelis.
potuto farlo e aveva ragione lui: ha trionfato la sua capacità di guardare avanti.
In un team di lavoro, all’esterno, non
deve arrivare mai chi ha fatto cosa, quello che conta è il prodotto finale. Tutti e
due lavoriamo per il bene comune, lui
è sempre stato più imprenditore e organizzatore di me. Io amo la fase della
post-produzione, tento di spiegare le
immagini, raccontando a mia volta, attraverso la suggestione della musica. Sono a tutt’oggi un entusiasta, e ritengo
che la lunga esperienza non debba mai
prendere il sopravvento.
Come avete iniziato?
(Guido) Il primo disco che abbiamo
pubblicato si intitolava La goccia d’acqua, per la Dischi Ricordi, nel 1963: abbiamo trovato un discografico di talento, romano a Milano, per due giovani
musicisti e autori nati a Rocca di Papa,
poco lontano da Roma, partiti per cercare una identità artistica e un po’ di fortuna. In seguito, alla Rca di Roma, Maurizio era un chitarrista richiestissimo,
praticamente “viveva” negli studi di re-
usavano come sigla e tormentone W
S.Eusebio, era come se fosse un canto
italiano dialettale sempre esistito, sembrava una marcia ideale per una processione, era come se facesse parte del
nostro patrimonio popolare, invece era
un brano originale di Guido e Maurizio
De Angelis!
Si può dire che dal 1970 in poi, vivevate
già abbastanza bene di diritti d’autore?
(Maurizio) Provenendo da una famiglia
meravigliosa, ma modesta dal punto di
vista dei mezzi economici, possiamo dire che dal 1970 in poi abbiamo iniziato
a vivere abbastanza bene del lavoro che
amavamo fare. Anche se già nella seconda metà degli anni sessanta l’attività di session men ci offriva una certa
tranquillità economica: eravamo stimati
gistrazione…Quando sono andati via
arrangiatori come Ennio Morricone e
Luis Bacalov, abbiamo iniziato a lavorare noi agli arrangiamenti: tre album
di Gabriella Ferri, Itaca di Lucio Dalla,
i Ricchi e Poveri, Il cuore è uno zingaro… per citare solo alcuni titoli e nomi
di artisti.
Quando siete diventati autori?
(Guido) Arrangiando e realizzando Tanto pe’ cantà di Ettore Petrolini per Nino Manfredi! Al Festival di Sanremo,
Manfredi si accende una sigaretta (del
resto era già un attore di successo e non
era “in gara”), voleva apparire tranquillo
perchè era lì “tanto pe’ cantà, pe’ fa’
quarche cosa…”. Invece si volta verso
di me e mi dice: “a Mauri’ tu sarai pure
pronto ma io me sto a caca’ sotto!”. Durante la registrazione del disco, dovetti sostenerlo anche con qualche intervento vocale. Fu un successo enorme,
di pubblico e di vendite. Poi abbiamo
composto la colonna sonora del suo film
Per grazia ricevuta, “suo” perché profondamente autobiografico e perché ne
era il regista. Arbore e Boncompagni
VIVAVERDI
25
VIVAVERDI
I fratelli De Angelis sono gli autori delle
colonne sonore della fortunata serie
cinematografica con Bud Spencer e Terence
Hill (nella foto in Doc West). Nel 1973 hanno
vinto il Nastro d’Argento per Più forte ragazzi.
26
per le nostre capacità tecniche ma anche per la nostra “cultura” musicale.
Nel primo arrangiamento di Una favola blu di Claudio Baglioni, nella melodia italiana tradizionale scorreva un suono nuovo e la nostra voglia di vivere. Abbiamo pensato ad Everybody’s talkin’
cantata da Henry Nilsson, in Midnight
Cowboy. Ascoltavamo Bob Dylan, Simon
e Garfunkel, usavamo chitarre acustiche, elettriche, banjo, sonorità piene di
fascino. Insomma, in quel periodo, eravamo portatori di un gusto nuovo, pur
nel rispetto della tradizione italiana. Io
suonavo la 12 corde per tutti, non ce
n’erano altri, in questa chiave andrebbe riascoltato il nostro arrangiamento
de La bambola di Patty Pravo.
Quando gli “Oliver Onions” diventano nuovamente Guido e Maurizio De
Angelis?
(Guido) Quel nome era stata un’idea di
Susan Duncan Smith, che lavorava alla
Rca, del resto abbiamo sempre cantato
e pensato in inglese e aspiravamo al
mercato internazionale: Flying to the
air, che era nella colonna sonora di Più
forte ragazzi con Terence Hill e Bud
Spencer, oltre ad averci fatto vincere il
Nastro D’Argento come migliori autori
di colonne sonore del 1973, è stato un
grande successo europeo. Quando siamo andati ad Amburgo, ospiti della televisione tedesca, abbiamo trovato 20
paparazzi all’aereoporto che erano lì solo per noi, non potevamo crederci. Ol-
In poche righe...
Dal 1970, anno di Tanto pe’cantà di Nino Manfredi, i fratelli di latte, di musica e di cinema
compongono la colonna sonora di Per grazia
ricevuta nel 1971 e quella di Continuavano a
chiamarlo Trinità, con la coppia Hill-Spencer,
nel 1972. Nel 1973, premiata con il Nastro
d’Argento, quella di Più forte ragazzi. Altrimenti
ci arrabbiamo è del 1974. Il 1975 è l’anno di
Porgi l’altra guancia, del Zorro con Alain Delon,
e di Quaranta giorni di libertà il cui tema conduttore, Verde, viene inciso da ben 54 artisti
diversi in Europa e nel mondo. Nel 1976, Il bestione con Giancarlo Giannini, e Sandokan con
Kabir Bedi. Ma anche di Piedone lo sbirro, con
il solo Bud Spencer. In Rai, ma alla radio, i fratelli conducono Radiodiscoteca. Per non perdere tempo, fra un film e l’altro, nel 1977, le
colonne sonore di Due superpiedi quasi piatti,
Orzowei, Furia, Piedone a Hong Kong e Il corsaro nero producono anche 1.400.000 copie
di dischi venduti. L’anno dopo, Pari e dispari
(Hill-Spencer), Lo chiamavano Bulldozer e Piedone l’africano con Bud Spencer. Seguono, anno dopo anno, tra colonne sonore e produzioni cine-televisive, Agenzia Riccardo Finzi, Il cacciatore di squali, Uno sceriffo extraterrestre
nel 1979, e poi Viva i re magi, Santamaria, Cenerentola ’80, Iron Masters, Molly ‘O, Dance
Academy, nel 1988; Quando ancora non c’erano i Beatles, War Dancing, Passi d’amore, Faith,
La storia spezzata, La moglie nella cornice, Il
cielo non cade mai, Vite a termine, Un amore
rubato, Forte come l’amore, La storia di Chiara, Addio e ritorno, Mia per sempre, la colonna sonora de Il maresciallo Rocca, Il ritorno di
Sandokan, Dove comincia il sole.
Per quanto riguarda le produzioni televisive, Incantesimo che inizia con 20 puntate co-prodotte da Rai, nel 1997, proseguirà fino a Incantesimo 10, anno di produzione 2008.
Ricordiamo il grande successo del primo capitolo della saga Elisa di Rivombrosa per Canale
5, diretta da Cinzia Th. Torrini (anno 2001-2002)
mentre il “Capitolo II” di “Elisa” è del 2004, sempre diretto dalla Torrini.
Nel 2004, Don Gnocchi, l’anno dopo, La signora delle camelie. Da ricordare la miniserie
tv in due puntate, per la Rai, Gli ultimi del Paradiso con Massimo Ghini ed Elena Sofia Ricci,
del 2009, e, nello stesso anno, Il falco e la colomba, serie tv in 6 puntate co-prodotte con
RTI, con Giulio Berruti e Anna Safroncik. E infine 18 anni dopo, una produzione del 2009, diretta da Edoardo Leo.
tre ad essere due compositori affermati eravamo gli “Oliver Onions”, due artisti di successo al loro primo “Disco
d’Oro”: in tv ci misero in braccio due
giovani ragazze vestite da cipolla! Evidentemente era un nome artistico azzeccato. Ci chiamiamo “Oliver Onions”
anche con Dune Buggy tratto da Altrimenti ci arrabbiamo interpretato sempre da Hill e Spencer. Gli anni ’80 sono il tempo dei primi o secondi posti
nelle hit parade di Germania, Austria,
Olanda, Belgio e Spagna e dei relativi
concerti in giro per l’Europa: Santamaria è una grande hit, con moltissime cover-versions. Ma nasce Nicola, mio figlio, e con lui la voglia di fermarmi un
po’…Come artista, dico. Con un fratello è stato più facile spiegarmi, e
Maurizio mi ha capito perfettamente. Oddio, fermi
non siamo stati
molto…Componiamo la
musica di Cenerentola ’80 con Bonnie
Bianco e Pierre Cosso, e Stay, cantata
dai due giovani protagonisti, sale ai primi posti della classifica delle vendite in
Italia. A quel punto eravamo arrivati a
comporre 300 colonne sonore per altrettanti film, 10-15 all’anno, eravamo
sempre in moviola. Allora ci siamo detti: “Con l’esperienza che abbiamo, di set
e sala, facciamoli noi questi film!”. La
prima produzione è stata Dance Academy, un film a cui abbiamo lavorato per
più di un anno. Un musical girato negli
Stati Uniti con artisti e ballerini americani. Il film diventa un grande hit in molti paesi e specialmente in
Germania, anche dal punto di vista discografico.
A cosa state lavorando
oggi, a più di vent’anni dalla prima produzione cinematografica?
27
(Maurizio) Non so se i titoli siano quelli definitivi, ma sto componendo la musica per due serie televisive che abbiamo in produzione: una è per Mediaset,
è intitolata La famiglia Gambardella, con
la regia di Claudio Norza, con Marisa
Laurito, Lello Arena e Pietro Taricone,
una commedia italiana di qualità, ma
anche molto divertente; mentre per la
Rai, c’è Il commissario Nardone, con la
regia di Fabrizio Costa, ispirato ad un
personaggio realmente esistito a Milano, negli anni ’40-’50. Amo questo lavoro, e mi piace anche che conti sempre e soltanto quello che sto facendo, di
sentirmi comunque sotto esame, perché la tua esperienza e la tua storia personale contano, ma alla fine ti vengono
richiesti estro creativo e possibilmente originalità. Seguo le indicazioni dei
registi, so ascoltarli, ma mi piace anche
riuscire a sorprendere chi mi ha commissionato il lavoro. Non so se è per tutti così, per me è così. Ricordo che per
Doc West, girato interamente nel Nuovo Messico, il mio sforzo è stato quello di far rivivere al pubblico quelle
sensazioni che ricevevo dai film di
John Ford con John Wayne, da quelle
figure di cow-boys e nativi indiani, da
quei panorami, da quelle visioni di
cieli azzurri e sabbie rosse…Era appena morta nostra madre, soffrivo molto,
ma sono riuscito a ritrovare momenti di profonda
ispirazione.
Per tornare ai progetti futuri, The merchant of flowers
di Diego Cugia diventerà una
serie di 12 ore televisive,
sceneggiate dal grande Lionel Chetwynd, supervisionate dallo stesso Cugia. Destinata al mercato internazionale, in Italia sarà trasmessa da Mediaset.
VIVAVERDI
Una scena di Elisa di Rivombrosa la serie
televisiva di successo che Guido e Maurizio
De Angelis hanno prodotto per la televisione.
In basso Nino Manfredi per il quale i fratelli
De Angelis hanno arrangiato Tanto pè cantà e
composto la colonna sonora del film di cui
l’attore fu regista e protagonista Per grazia
ricevuta del 1971
VIVAVERDI
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Enrico Riccardi è autore,
compositore, arrangiatore,
produttore; vive attualmente in
Gallura. E’ anche membro della
Commissione dei Ricorsi della Siae
musica
ENRICO RICCARDI
“UNA BELLA CANZONE
NON E’ UN COMPITO D’ARMONIA”
di Oscar Prudente
Cosa l’ha spinto ad andare a vivere in
Gallura?
Negli anni Settanta collaboravo con
Gianni Saint Just alle produzioni Ricordi
(etichetta discografica ora acquisita dalla Sony Music, ndr), di cui il giovane
Saint Just era il direttore artistico. Ero
responsabile di artisti come Drupi, Milva, Petula Clark (artista britannica che
negli anni Sessanta ebbe successo anche da noi con le versioni italiane dei
suoi principali hit, ndr), mi affidarono
persino la realizzazione di un disco di
Patty Pravo; poi però mi sono nauseato: il problema non era tanto il rapporto con gli artisti, quanto quello con i loro parenti. Pensa che praticamente tutti i giorni mi ritrovavo in ufficio Mario
Piave, il compagno di Milva: voleva sapere come andava, se guadagnava, cosa
faceva... questa cosa mi ha esasperato.
Inoltre a un certo punto mi accorsi che
l’ambiente scricchiolava; la Ricordi era
diventata una casa dai muri di cartone:
non vibrava più niente, sentivi che si
andava spegnendo. Allora io, che avevo
un’esclusiva, mi sono detto: piuttosto
che rimanere qui a perdere del tempo,
me ne torno a Tortona.
“Una cosa da bar”. Enrico Riccardi minimizza, ma la sua collaborazione con
Luigi Albertelli – compaesano di Tortona e dirimpettaio – ha prodotto una
canzone vincitrice di Sanremo, Zingara (Iva Zanicchi e Bobby Solo, 1969) e
altre perle quali Sereno è, Piccola e Fragile (entrambe per Drupi), Io mi fermo
qui (Donatello e i Dik Dik a Sanremo ’70, poi Ornella Vanoni). Ciliegina sulla
torta, è il caso di dirlo, Ma che bontà, che vede Mina nei panni di una saccente
sciura milanese alle prese con la sua ignoranza culinaria, diventata un cult
delle trasmissioni di genere: un hit del 1977 di cui Riccardi scrisse testo e
musica. Trasferitosi in Sardegna, ha continuato a scrivere: ad esempio, le
musiche per la serie televisiva Extralarge, con protagonista Bud Spencer.
Finché un amico non le propose di acquistare il club di Portobello, in Gallura, allora in fase di sviluppo.
Sentivo che c’era da fare, c’era la possibilità di andare molto avanti. Così sono
venuto giù, e dopo ho un anno di prova
ho comprato questo carrozzone che nell’arco del tempo ho rimesso a posto.
Com’è nata la sua passione per la musica?
Nasce da ragazzo: mio padre era un lucidatore di mobili e aveva portato a casa un pianoforte di una famiglia genovese. Io mi ero messo lì a strimpellare
e un accordatore di pianoforti amico di
mio padre che frequentava il suo laboratorio gli disse: “Questo ragazzo fallo
studiare, ha l’orecchio assoluto...”.
Avendo l’orecchio assoluto, mi diventava tutto facile: perché riconosco le note, me le ricordo tutte...
È nato con questa dote?
Sì, credo di averla ereditata dal mio
nonno paterno: suonava qualsiasi strumento prendesse in mano.
Ma poi ha studiato?
Certo! Sono andato a lezione di solfeggio, poi a scuola di pianoforte, ma mi
sono trovato in una condizione che non
mi piaceva perché non era quello che
volevo fare. Finché un giorno Pino Calvi mi presentò Mario Bertolazzi. Lui mi
ha insegnato tutto quello che c’era da
imparare.
Con la musica ha fatto di tutto: autore,
compositore, arrangiatore, produttore... Ma cosa le è piaciuto di più?
Scrivere le canzoni.
Una volta esistevano i compositori puri, gli autori del testo e gli interpreti, che
riuscivano a vivere più o meno bene solo, diciamo così, della rispettiva specializzazione. Adesso invece sono diventati tutti cantautori: come spiega
questo cambiamento?
Ritengo che il fenomeno abbia elementi quasi diseducativi, se parliamo di opera dell’ ingegno, che comunque la Siae
deve proteggere. Oggi l’opera arriva attraverso l’editore che, almeno secondo
me, ha perso peso. Penso che sia una figura in crisi e il suo compito dovrebbe
essere svolto da qualcun altro. Allora ritornerebbero anche gli specialisti, della parte musicale e di quella letteraria.
Invece con i cantautori, come ad esempio quelli che nascevano nel Cenacolo
(una sorta di campus-studio romano organizzato alla fine degli anni Sessanta
dalla Rca e frequentato dai principali
songwriters della capitale, ndr) era diverso, tutti facevano tutto: l’ho scritta
io, l’ho scritta io...
Per esempio?
Quando iniziai io la carriera, Alfredo
Rossi, il mio primo editore, mi affidò a
Corrado Lojacono, che scriveva canzoni popolari per interpreti come Caterina Valente. Canzoni allegrotte com’era
lui, per esempio Carina (che nell’interpretazione della Valente e in quella di
Nicola Arigliano divenne uno dei maggiori successi a 45 giri degli anni Sessanta, ndr). Un giorno, mentre ero negli studi dell’Ariston (la casa discografica ed editoriale di Rossi, ndr), entrò
Bruno Martino che mi chiese: “Hai
qualcosa di nuovo?”; io gli feci sentire
una canzone, Cammina, che era la mia
prima composizione. Martino mi disse: “Per adesso te la registro, ma non
servirà a niente: ricordati che questo
non è un compito di armonia: deve essere una canzone!”. Aveva ragione, perché ad ogni quarto ci mettevo dentro le
settime maggiori, le tredicesime.... Comunque Cammina finì lo stesso in televisione: mentre Bruno Martino cantava in playback, si vedeva Paolo Gozlino (ballerino, coreografo e attore, ndr)
che camminava e il regista Enzo Trapani lo faceva girare per tutta la cornice
dello schermo, saliva sulla sinistra, a testa in giù, poi a destra, in senso orario.
Quindi, quali sono gli elementi fondamentali per scrivere una canzone?
Nella costruzione della canzone il pericolo principale è l’involuzione. Su questo tema ho seguito l’esempio del maestro Carlo Donida, il quale mi ha sempre detto una cosa precisa: scrivere cose semplici, armonicamente gradevoli
e una melodia che stia bene dentro le
armonie; era un concetto che non potevi fare a meno di portare avanti. Poi la
canzone nasce anche dalla sensibilità,
non solo dalla tecnica. Bisogna far sì che
non sia troppo o solo cerebrale: quando si passano delle ore su un testo pur
di trovare la parola ad effetto non si dà
più nessun senso alla composizione. Invece oggi spesso si tende a privilegiare
un discorso soprattutto cerebrale e questo vale anche per l’armonia, che è frutto della sensibilità non dell’aritmetica.
Racconto un aneddoto: una volta uscii
dagli uffici della Ricordi, ero stanchissimo, passai davanti al Lirico e in cartellone c’era la rivista di Gino Bramieri, Felicibumta. Felici-bum-ta... ma che
bontà... ma che bontà...: mi misi in
macchina a farne la gag e in un attimo
nacque la canzone (Ma che bontà, appunto, sull’lp Mina con Bigné, ndr).
Questa è la dimostrazione che la canzone è sorta spontaneamente da dentro.
VIVAVERDI
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VIVAVERDI
In basso, Iva Zanicchi e Bobby Solo,
vincitori del Festival di Sanremo nel
1969 con la canzone Zingara di Enrico
Riccardi su testo di Luigi Albertelli
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musica
Foto Archivio [email protected]
Chi le ha dato più soddisfazione nell’interpretare le tue canzoni?
Mina in Fiume azzurro, di cui ho curato
anche l’arrangiamento. Poi ricordo con
piacere Mina e Caterina Caselli ridere
come pazze quando gli presentai Ma che
bontà. Ci volle un bel coraggio, perché
c’era da farsi sbattere fuori dall’ufficio...
ecco, è proprio lì che secondo me casca
l’asino: oggi nessuno più scrive azzardando, si va sull’onda della moda quando invece bisognerebbe osare.
Nel ’91 ha musicato la fortunata serie
dell’investigatore privato Jack Costello
(Bud Spencer), detto “Extralarge”. Come mai è passato alla sonorizzazione
delle fiction e alle commedie musicali,
come “i Cavalieri della Tavola Rotonda,
storia di Graal e di corna”?
Volevo ancora fare musica e mi stavo
rendendo sempre più conto che – vivendo in Sardegna – se non sei a Milano o a Roma non hai spazio, non esiste
più il contatto con l’ambiente. Nonostante questo, scrivo sempre tutte le
canzoni che mi passano per la testa e
ogni tanto c’è qualcuno che vuol sentire qualcosa. Come Mònica Naranjo
(cantante catalana che nel 2000 ha dedicato un album di cover a Mina, ndr),
che reinterpretando in lingua spagnola Fiume azzurro, col nuovo titolo Sobreviviré ha venduto più di un milione
di dischi.
Ma allora è sempre sulla breccia!
Sì. Però, come dicevo prima, mi manca
fortemente la figura dell’editore. Di un
editore forte: Mariano Rapetti per me
era l’Editore. E poi ritengo che la Siae
oggi abbia il dovere di spiegare a tutti
che il diritto d’autore non è una tassa,
ma una difesa del lavoro creativo.
VIVAidee
RIFLESSIONI DOC
IL RITO DEL
CONTRATTO
DI SERVIZIO
di Linda Brunetta
Il contratto di servizio Rai-Governo,
approvato e aggiornato
periodicamente, prevede che l’ente
pubblico radiotelevisivo debba
realizzare un’offerta complessiva di
trasmissioni di qualità. Un precetto che
viene rispettato assai poco, guardando
il palinsesto quotidiano. Così come
viene disapplicata l’altra indicazione
che vorrebbe il rispetto dei diritti dei
terzi, ossia autori e produttori, nella
grande offerta di contenuti sui portali
internet. Un business in forte crescita
nel nostro paese.
Ogni due anni si rinnova il rito del contratto di servizio Rai-Governo in virtù del
quale la concessionaria “è tenuta a realizzare un’offerta complessiva di qualità, rispettosa dell’identità, dei valori e degli
ideali diffusi nel Paese, della sensibilità
dei telespettatori e della tutela dei minori, rispettosa della figura femminile e del-
la dignità umana, culturale e professionale della donna, caratterizzata da una ampia gamma di contenuti e da una efficienza produttiva, in grado di originare presso i cittadini una percezione positiva del
servizio pubblico in relazione al costo sostenuto attraverso il canone di abbonamento nonché sotto il profilo dell’adeguatezza dei contenuti della programmazione rispetto alla specificità della missione che è chiamata a svolgere”.
Era ora di mettere nero su bianco quello
che dovrebbe essere la Rai! Accendo la tv
e mi sintonizzo su RaiDue: va in onda un
sapido dibattito su una puntata dell’ Isola
dei Famosi nel programma pomeridiano
L’Italia sul Due, perché evidentemente
nell’ambito “dell’offerta complessiva di
qualità” si ritiene necessario un approfondimento delle tematiche affrontate dai
naufraghi dell’isola. Ho scoperto che il figlio di uno dei Pooh ha molto pianto e sofferto e spera di essere stato degno dell’educazione di mamma e papà. Laureandosi in ingegneria? No, arrivando finalista all’isola, dove è approdato, non
perché è famoso perché figlio di famosi,
ma per meriti personali, che però mi sono sfuggiti. Per quanto riguarda l’efficienza
produttiva abbiamo avuto notizia che si è
diffusa nell’azienda la pratica del risparmio, proposito encomiabile che si effettua però in esclusiva sulla pelle dei dipendenti più deboli, cioè quelli di fascia più
bassa e sui collaboratori esterni più deboli, cioè gli autori. Per esempio si declassano i programmi facendoli uscire dai generi tutelabili Siae e dilazionando quanto
è possibile (al momento circa due anni) le
trattative del contratto Siae-Rai. L’ immediata conseguenza non può essere che l’abbassamento della qualità dei programmi.
Quindi a fronte di un modesto risparmio
sul piano economico si produce un grave
danno, perché la percezione meno positiva del servizio pubblico da parte del cittadino, provoca una maggiore evasione del
VIVAVERDI
31
canone. In questo contratto di servizio però si dà ampio spazio all’offerta multimediale. La Rai si impegna ad incrementare
l’offerta di contenuti radiotelevisivi sui
propri portali, “compatibilmente con il
rispetto dei diritti dei terzi”. Chi sono “i
terzi”? Ricorrendo a Lapalisse dovrebbero essere coloro che detengono i diritti dei
contenuti, autori e produttori. Inoltre la
Rai si accinge a sperimentare, sempre nel
rispetto dei diritti dei terzi, la possibilità
per gli utenti di scaricare, modificare e ridistribuire i contenuti radiotelevisivi già
trasmessi dalle reti televisive e radiofoniche. Noi autori sappiamo bene che ci viene richiesta nei contratti la cessione totale dei diritti, in questo caso il nostro contenuto può essere utilizzato, ma se c’è
un’opera commissionata Siae, come spesso avviene per gli sketch comici che si possono trovare su YouTube con il logo Rai
sempre preceduti da uno spot pubblicitario, i cui diritti non vengono al momento
in alcun modo retribuiti, dovremmo constatare che non vi è “rispetto dei diritti di
terzi” come invece recita il Contratto di
servizio. Niente paura:
“La Rai è tenuta a trasmettere al Ministero, all’Autorità e alla Commissione Parlamentare, per ciascun esercizio, entro i successivi tre mesi, una dettagliata informativa circa il numero dei contenuti pubblicati e del traffico giornaliero generato dall’utenza, con riferimento particolare agli
utenti unici, ai tempi medi di fruizione,
alle tecnologie impiegate per accedere e
alla provenienza degli utenti”. Perfetto, se
magari lo facesse sapere anche alla Siae…
Possiamo solo aspettare che tutti gli attori di questo nuovo business basato sui contenuti si accordino, speriamo presto dato
che secondo l’ e-Media Institute i ricavi
degli audiovisivi via internet-web in Italia raggiungeranno i 200 milioni di euro
entro due-tre anni, con un tasso di crescita annuo del 65%.
[email protected]
VIVAVERDI
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cinema
PIERO TELLINI
UN PADRE NOBILE
DEL NEOREALISMO
di Massimo Tellini
È uno dei personaggi importanti del
neorealismo eppure non ci sono attendibili biografie su di lui e scarseggiano
anche le foto. Famoso per quelli della
sua generazione e per quelli che l’hanno conosciuto direttamente o attraverso i suoi film, mio padre Piero Tellini
era uno scrittore riservato che amava lavorare senza fronzoli, dotato di un’attenzione formidabile al mondo esterno, di una capacità descrittiva scrupolosa e paziente. Un personaggio importante del nostro cinema, della televisione tanto da meritare questo giudizio
di un critico degli anni ’50: “Tra gli
scrittori di cinema soltanto tre possono considerarsi degni della letteratura.
Questi sono: Amidei, Tellini e Zavattini”. Cominciamo dal momento decisivo della sua formazione: la partenza per
Roma, appena ventunenne, per vivere
nella “città del cinema” e guardarsi intorno. Lui, fiorentino di nascita e cultura, aveva frequentato a Milano le scuole superiori. A Roma s’iscrisse ai corsi
di regia del Centro Sperimentale e incontrò una giovanissima allieva delle
classi di recitazione, Liliana, che diventerà sua moglie (lei stessa futura at-
Uomo di cinema per oltre trent’anni, autore televisivo, saggista, Piero Tellini è
oggi poco noto al grande pubblico. I suoi capolavori da sceneggiatore e regista,
Uno tra la folla del 1946 con Eduardo De Filippo e Nel blu dipinto di blu del
1958 con Domenico Modugno, sono decisamente famosi anche se lo scrittore
fiorentino ha firmato decine di copioni cinematografici importanti, da Campo
de’ fiori a Guardie e ladri, collaborando con Fellini, Antonioni, Lattuada. Schivo,
generoso, artista dal talento poliedrico che ha segnato un’epoca, era sicuro che
la fantasia fosse- come diceva l’amico Leo Longanesi- “la figlia diletta della
libertà”. Ne traccia un affettuoso ricordo il figlio.
trice di cinema-teatro-radio-tv). Diventa, anche, assistente regista e/o sceneggiatore di Camillo Mastrocinque
(L’orologio a cucù, 1938), Julio Flechner
de Gomar (Il segreto inviolabile, 1939),
Duilio Coletti (Capitan Fracassa, 1940),
Alfredo Guarini (Senza Cielo, 1940 e È
caduta una donna, 1941).
Intanto, nella pensioncina vicino piazza di Spagna, dove alloggia dall’arrivo,
matura la sua svolta personale e quella
del cinema italiano, forse ignaro che sta
producendo qualcosa di nuovo, davvero originale per i “tempi stretti” in cui
vive. Il dato di cronaca è: la cameriera
della pensione in cui abita che è stata
messa incinta e abbandonata dal “fidanzato”. Ha bisogno che qualcuno l’ac-
compagni nella sua vecchia casa di campagna e si finga “il marito”, altrimenti
i familiari la cacceranno via per sempre. Gli dice di aver perso tutto: l’amore in cui, stupidamente aveva creduto,
la fiducia nel prossimo, le motivazioni
più forti dell’esistenza. È disperata. Lui
solo potrà salvarla! Lei, anche se da poco, lo conosce bene: sta sempre chino
sullo scrittoio a lavorare. È buono e generoso: lo può dimostrare ancora una
volta! È praticamente, la trama del film:
basta aggiungervi che il protagonista,
un rappresentante di cioccolatini, ricondotta la giovane in famiglia, riuscirà a convincere i suoi a essere comprensivi e affettuosi. Gino Cervi, protagonista del film, è il commesso viag-
giatore che tornerà alla sua grigia vita di
sempre. Per lui è stata una parentesi o,
forse, un sogno. É nata così Quattro passi tra le Nuvole del 1942, pellicola di cui
Alessandro Blasetti, che veniva da ben
altre esperienze, curò la regia e che, al
di là della sua innegabile dimensione
storica, rimarrà profondamente radicata nell’immaginazione di tanti, dai
semplici spettatori ai critici più smaliziati. Vanterà, inoltre, svariati tentativi
di imitazione e ben due remake (Era di
Venerdì 17, con Fernandel, regia di Mario Soldati, 1956 e Il profumo del mosto selvatico, con Keanu Reeves, regia
di Alfonso Arau, 1995). In questa storia
si possono già rintracciare lo stile e la
filosofia del nuovo cinema: la vita prima di tutto. È lei ad essere al centro. La
sincerità, l’immediatezza dei sentimenti, le domande che cadono leggere
nel vissuto di ognuno, l’amore per i personaggi mediocri, più o meno umili, appassionati o indifferenti, le periferie
che rivelano, in modo suggestivo e inconsueto il vero volto della città, riempiono la scena. E poi, la natura come rifugio, ritorno alle forme ancestrali. È
questo uno dei momenti della collaborazione con Zavattini che ritroviamo an-
che nell’impegno successivo di Avanti
c’è posto…:storia di una cameriera che
dopo essere stata derubata di una ingente somma, viene aiutata dal bigliettaio dell’autobus su cui è avvenuto il furto, ma s’innamora del suo collega,conducente della stessa vettura.
Nello stesso anno Se io fossi onesto, che
lo farà incontrare, per la seconda volta
(la prima era stato nell’ Orologio a cucù), col giovane De Sica. Non fu l’ultima occasione tra i due: nel 1958 (a poca distanza dal Generale della Rovere)
Vittorio sarà un abile, romantico truffatore in Nel blu dipinto di blu, tratto
dalla canzone di Modugno, vincitrice
del festival di Sanremo. Il 1943 fu un
momento denso di partecipazioni a film
“neorealisti” (ad alcuni dei quali non
appose nemmeno la firma) e segnò il
consolidarsi dell’amicizia con Federico Fellini, spesso ospite sia del suo studio che nell’abitazione di via Caroncini, ai Parioli dove il nonno di Piero,
Ubaldo fu ritratto in un disegno a matita dello stesso Fellini. Insieme realizzeranno almeno quattro pellicole: Chi
l’ha visto?, Quarta pagina, Campo de’
Fiori, Il delitto di Giovanni Episcopo. Il
1944 ed il ‘45 furono anni di transizio-
ne. Dopo il 25 luglio e l’ 8 settembre
molte cose stavano cambiando. Mio padre si trasferì oltre la linea gotica e scrisse dei testi di sicuro rilievo storico, collocati nello scenario della guerra e delle sue terribili conseguenze: Pian delle
Stelle e Uno tra la folla di cui curò anche la regia con Ennio Cerlesi (il film
ha ottenuto, tra l’altro, la coppa Volpi
nella retrospettiva all’ultimo festival di
Venezia).Vi si narra la storia di un modesto impiegato, Paolo Bianchi, a Torino durante l’occupazione nazifascista.
Arrestato per aver raccolto un giornale
clandestino, viene perquisito, malmenato, ritenuto un pericoloso sovversivo
comunista. L’intervento di un influente amico che, per evitargli ulteriori guai,
lo doterà di un documento della Gestapo, consente il suo rilascio. Ma, con
l’arrivo degli alleati, sarà di nuovo arrestato per “collaborazionismo”. A trarlo d’impaccio “il solito amico”. Scrive
anche Il Bandito per Alberto Lattuada e
per Luigi Zampa Vivere in pace che ebbe il riconoscimento della critica americana come miglior film straniero e, in
Italia, il Nastro d’argento per il soggetto. Un altro film importante, sempre per
Zampa (con cui continuerà la collabo-
pitan Fracassa, 1940, e poi Uno tra la folla, la sua
prima regia, 1946, anno record nel quale firma pure i copioni di Senza Famiglia, Ritorno al nido, Il bandito, Tombolo paradiso nero e Vivere in pace, premiato dalla critica americana come miglior film straniero. Nel 1952 vinse il premio per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes con Guardie e ladri.
Praticamente, negli anni sessanta-settanta, a parte
la parentesi romana imperniata sul film Roma come Chicago (1968), operò tra Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Spagna dove, nella zona di Malaga,
strinse amicizia con alcuni scrittori della “beat generation” (Ferlinghetti, Ginsberg, Gregory Corso,ecc.)
che frequentò a lungo anche negli States. Ha lavorato a numerose inchieste televisive, da Giovani d’oggi, 1960 a Giovani in America a Tv7 e Odeon, negli anni settanta. Ha scritto numerosi libri, in particolare sull’amata archeologia, come la cultura di Ansedonia e ha pure insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia e all’Università degli Studi Sociali Pro Deo (oggi Luiss). Il figlio Massimo Tellini ha
in mente di rendergli omaggio riprendendo e realizzando il suo ultimo progetto, il film Io, la prossima dimensione, il soggetto al quale stava lavorando, negli anni ottanta, insieme con Michelangelo
Antonioni.
In poche righe...
Piero Tellini è nato il 17 gennaio 1916, a Firenze,
la sua città, dove è morto il 22 giugno 1985. Sua
madre, il celebre soprano Ines Alfani Tellini, la “prediletta” di Arturo Toscanini, si trasferì con tutta la famiglia ben presto a Milano per motivi professionali. Diplomatosi al Centro sperimentale di cinematografia a Roma, esordì nel ’38 come aiuto regista
per dedicarsi in seguito all’attività di soggettista e
sceneggiatore, affermandosi nel dopoguerra tra le
personalità più importanti del nostro cinema neorealista. Sono più di 50 i suoi film firmati come soggetto e sceneggiatura (e in molti altri, non compare nei crediti), da Ettore Fieramosca del 1938 a Ca-
VIVAVERDI
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VIVAVERDI
Ubaldo, nonno di Piero Tellini, qui in un disegno
di Federico Fellini, suo grande amico, che nel 1943,
frequentava assiduamente il suo studio e casa
a via Caroncini ai Parioli a Roma
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cinema
razione tra il ‘49 e il ‘50 in Campane a
Martello e Cuori senza frontiere), è
L’Onorevole Angelina, ritratto del doloroso dopoguerra in uno dei quartieri,
Pietralata, più poveri di Roma, che si avvale di una carismatica interpretazione
di Anna Magnani. Sembra, a questo proposito, che per “Nannarella” Piero Tellini abbia scritto, in assoluto, il maggior
numero di copioni. Nel 1946, Tombolo, paradiso nero, regia di Giorgio Ferroni, rivelava un momento drammatico del nostro paese, nell’area tra Pisa e
Livorno, ”la famigerata pineta di Tombolo”, attraversata da contrabbandieri,
prostitute e delinquenti comuni. Come
già in Pian delle stelle, qui, s’incrociò
con Indro Montanelli che favorì per
mezzo di un articolo-racconto l’origine
del soggetto. Qui, ancora, la presenza di
Aldo Fabrizi con il quale, da Avanti c’è
posto… a Guardie e ladri, costituirà un
binomio affiatato e indissolubile. Ritroviamo, di nuovo, la Magnani affiancata da Massimo Girotti in Molti sogni
per le strade (1948), regia di Mario Camerini e, l’anno dopo, scopriamo una
giovanissima Gina Lollobrigida con
Eduardo de Filippo nel citato Campane
a martello. Questo è anche il periodo in
cui Piero Tellini viene chiamato anche
all’estero: Stati Uniti, Inghilterra, Francia.Tornato in Italia sceneggia sia Napoli Milionaria (1950) che Filumena
Marturano (1951) per l’amico Eduardo.
La Magnani lo vorrà, ancora, tra gli sceneggiatori di Vulcano (1950) con cui, tra
l’altro, intendeva “vendicarsi” del tradimento di Rossellini e della Bergman
in coppia, oltreché nella vita, nel film
Stromboli. Gli si avvicinava, in quell’anno, Michelangelo Antonioni (allora solo documentarista) che, in veste di
critico, lo conosceva bene dai tempi in
cui era redattore della rivista “Cinema”
e che, ora, gli chiederà un contributo
fondamentale per il suo primo lungo-
metraggio, Cronaca di un amore con
Massimo Girotti e Lucia Bosè. L’idea
iniziale di Antonioni si trasforma nelle
mani di Tellini che aggiunge al soggetto il punto di partenza:l’inchiesta sul
passato della moglie del ricco industriale
milanese. La storia era lineare: due ex
-fidanzati si ritrovano,dopo anni, casualmente e decidono di eliminare il
marito di lei. Lui, però, muore in un incidente stradale. Anche il loro amore finisce, così. Piero, in quei momenti, ha,
comunque, troppo da fare per fermarsi su un solo progetto: idea, architetta,
svolge ogni spunto con umorismo ma
pure una passione sottaciuta per l’intreccio complesso, l’intrigo, il “giallo”,
dovuta, forse, alla frequentazione del
regista Robert Siodmak per cui scrive,
non accreditato, il trattamento e la sceneggiatura de Il corsaro dell’isola verde con Burt Lancaster, 1952. E gli sarebbe piaciuto il protagonista del Delitto perfetto di Hitchcock, Ray Milland,
per il suo Prima di sera (1953), la vicenda di un assicuratore che, stufo del
menage familiare e della routine lavorativa, decide di concedersi “un giorno
d’evasione”.Si appropria di una piccola cifra dell’assicurazione presso cui è
impiegato per andare in giro o, forse,
fuggire con una bella ragazza Ma una serie di equivoci, a cominciare da un veleno preso in farmacia, gli cambieranno la giornata. Oggi questa pellicola,
realizzata allora con appena 80 milioni,
suscita interesse critico e rischia di diventare un “cult” come Uno tra la folla,
il suo primo film da regista. Non arrivò
Ray Milland ma Paolo Stoppa (che pur offrì un’ interpretazione memorabile) e,
nei ruoli femminili, si puntò su due giovani promesse alle prime prove (Giovanna Ralli e Lyla Rocco). Per una serie di
contrattempi il film partecipò, esclusivamente “fuori concorso”, a Venezia dove fu acclamato, alla proiezione, con ol-
tre 10 minuti di applausi. Vinse, però, poco tempo dopo, il festival di Edimburgo.
Di quel periodo rimane uno splendido
ricordo: nel 1951 il soggetto-trattamento
di Guardie e Ladri, con cui vinse il festival di Cannes. Guardie e ladri era la
storia di un ladruncolo che, dopo aver
truffato ai Fori un cittadino americano,
inguaiava anche un tutore dell’ordine
colpevole, agli occhi dei suoi superiori,
di esserselo fatto sfuggire. Per non perdere il posto, quest’ ultimo cercava di
riacciuffarlo, insinuandosi nella di lui
famiglia, arrivando, perfino, a servirsi
della propria, del tutto inconsapevole.
Alla fine si generavano, tra i due, sentimenti imprevedibili: simpatia, amicizia, comprensione. Le parti s’invertivano:e, così, era il ladro a farsi “portare in galera” dalla guardia. La pellicola, pur osteggiata dalla censura, divenne campione d’incassi, risultando, anche, il film di Totò più significativo. Veniva, finalmente, rappresentata un’Italia in attesa della ricostruzione e vi si rifletteva un mondo contradditorio sì ma
profondamente cambiato. In primo piano si evidenziava il senso della solidarietà, capace di superare gli steccati della situazione personale-sociale.
La coinvolgente atmosfera del neorealismo si andava, però, diradando e mio
padre cominciava a credere meno nel
cinema. Aveva di fronte il quadro delle
nuove tecnologie che stavano, rapidamente, avanzando. Cominciava a pensare che la televisione fosse il “mezzo
del domani” e già nel 1951, quando ancora il nostro piccolo schermo era lontano dal decollare, redigeva le linee portanti di due programmi davvero avveniristici: ”Qui l’Europa” e “Le Olimpiadi del cervello”. Intanto scriveva e realizzava, insieme a Sergio Palmieri, la
struttura narrativa di “Suoni e Luci”,
prima per il Foro Romano e, dopo, per
Villa Adriana. Si dedicava, inoltre, alle
35
invenzioni di cui la più interessante era
una tenda da campeggio, applicabile sopra il tetto delle vetture, che si apriva in
20 secondi e poteva ospitare al suo interno 4 persone. Un’idea rivoluzionaria se si considera che negli anni 50 per
montarne una qualsiasi occorrevano
circa 3 ore! Veniva anche invitato alla
trasmissione ”Siamo tutti inventori” e,
in seguito, esponeva la scoperta in uno
Stand della Fiera di Milano. Ma rimaneva, sempre, ben radicata in lui la
grande passione per l’archeologia. Ne
furono contagiati collaboratori e amici,
dal professore di topografia italica
Castagnoli, al musicista
Nascimbene, dal dirigente televisivo
Carlo
Alberto
Chiesa (con cui
realizzò per la Rai,
il reportage
Giova-
ni d’oggi, 1960) a Mimmo Modugno che
a furia di seguirlo nella zona di Ansedonia finì, su sua indicazione, per comprarvi una villa. Cercava, in un primo
tempo, reperti etruschi spostandosi tra
Talamone, Capalbio, Ansedonia, Porto
Ercole e Torre in Pietra. Poi fu attratto
da i “segni di un’antichissima civiltà,
oggi scomparsa”, pietre di varie tipologie e forme che presentavano, a volte,
in superficie, profili umani. Raccolse,
così, migliaia di oggetti durante numerosi viaggi in varie zone della terra. Da
questa esperienza trasse anche due saggi, La cultura di Ansedonia, Il mezzo
di espressione e la società
umana ed un soggetto-sceneggiatura cinematografici,
L’uomo delle pietre (Io, la
prossima dimensione), il sogno della
parte finale della sua vita. In tale progetto coinvolse lo stesso Antonioni che lo
apprezzava moltissimo e aveva sostenuto, in varie occasioni,
di considerarlo uno degli scrittori più “immaginifici” e creativi che
avesse mai incontrato. Quell’idea, almeno per ora,
si è spenta, con
la fine
di Tellini e di Antonioni. Mio padre Piero Tellini non cercò mai la gloria ma fu,
sempre, pieno di attenzione per le vicende, le difficoltà e le sofferenze di quei
poveri diavoli, di quei tanti antieroi che
da Quattro passi tra le nuvole a Nel blu
dipinto di blu, a Giovani d’ America ci
appaiono i veri protagonisti delle sue
narrazioni. Aveva ”una vera e propria
vocazione umanitaria”. Così lo rievocava Alberto Lattuada: “Era un uomo delizioso, uno sceneggiatore spiritoso, capace di ironizzare sui mali della vita. Ho
di lui un buon ricordo. Quando scrivemmo insieme il Bandito eravamo
usciti dalla guerra, avevamo mille idee e pochi mezzi. E c’eravamo affezionati entrambi
alla storia di quell’eroe
romantico, quasi un
simbolo dell’Italia ferita e confusa del primo
dopoguerra. Poi lo persi
di vista. So che lavorò a
lungo in America.
Mi dispiace, mi
dispiace molto. E’ un altro
pezzo di cinema che
se ne va”.
VIVAVERDI
Aldo Fabrizi e Totò in una scena di Guardie e ladri
di Mario Monicelli e Steno, 1951. Fu presentato in
concorso al Festival di Cannes nel 1952
e Piero Tellini vinse il premio per la migliore
sceneggiatura
VIVAVERDI
36
cinema
MASSIMO SANI
QUANTE VITE
IN UNA
di Mimmo Rafele
Ci sono personalità che è difficile classificare, ingabbiare in una definizione,
e Massimo Sani è sicuramente una di
queste. Raffinato e profondo documentarista, certo, e al tempo stesso dirigente
della più antica associazione degli autori cinematografici italiani, l’Anac. Ma
anche, in gioventù, negli anni ’50, ricercatore al Mit, il prestigioso istituto
statunitense di ricerche tecnologiche
(studiava la gomma sintetica), e poi, una
decina d’anni dopo, corrispondente dalla Germania di Epoca di Enzo Biagi…
Molte vite in una, un’esistenza invidiabile se si pensa all’attuale immobilità
sociale, a quanto ci mette un giovane oggigiorno, a raggiungere un obiettivo, un
traguardo, ammesso che ci riesca. Eppure ancora oggi, che non è più esattamente un ragazzino, Massimo Sani parla della sua vita, del suo lavoro, delle sue
passioni mai col tono dell’ has been, di
chi si adagia sui ricordi di un passato
pieno e gratificante, ma con l’entusiasmo e la proiezione verso il futuro di chi
ha ancora un sacco da fare… Ed è lui
stesso a suggerirmi la chiave, il “segreto” di tanta energia intellettuale e creativa: essere stato un adolescente alla fi-
Negli anni cinquanta faceva ricerche sulle gomme sintetiche al Mit, il
prestigioso Istituto di ricerca statunitense, poi è stato corrispondente di Epoca
allora diretta da Enzo Biagi. Alla fine s’è imposto come un raffinato e profondo
autore di magistrali documentari, capaci di divulgare ad alto livello grandi
eventi della nostra storia. E da allora si è sempre battuto, in prima fila, per
difendere al meglio la dignità e i diritti degli autori cinematografici.
ne della guerra, quando tutto è finito e
tutto è ricominciato. Sfollato a Verona
durante i mesi più duri del conflitto,
torna nella natìa Ferrara in tempo per
prendere la maturità al liceo Ariosto,
con Lanfranco Caretti. All’università si
iscrive guardando al futuro, a una carriera che gli apra delle prospettive: sceglie chimica e si laurea brillantemente.
Intanto, però, frequenta l’Afu, l’associazione ferrarese universitaria, detta
anche 4S, ovvero Siamo Studenti Senza Soldi. Si faceva la fame in senso letterale, all’epoca, ma quei ragazzi erano
sicuramente affamati anche di tutto
quello che durante gli anni bui del fascismo era stato nascosto, censurato, rimosso. Così, insieme alla letteratura,
all’arte, alla filosofia dell’Occidente libero, irrompe anche il cinema, i grandi autori scandinavi (Sjostrom, Mur-
nau, Dreyer), quelli sovietici (Ejzenstejn, Pudovkin, Dziga Vertov), l’espressionismo tedesco, i drammi sociali di
Renoir… In una piccola sala, l’Apollino, alla domenica mattina, Sani e i suoi
amici (tra i quali Florestano Vancini,
che sarebbe diventato anche lui un grande regista) guardano a occhi sbarrati tutta quella bellezza. Un impatto che ti può
cambiare la vita. Massimo, infatti, comincia a lavorare alla Montecatini, studia il polistirolo, ma coi primi soldi che
guadagna si compra una cinepresa 8
mm., una Bauer, poi una Bolex Paillard
16 mm. e usa ogni ritaglio di tempo per
cominciare a girare i ‘suoi’ film. Documentari sulla sua città, arricchiti da piccole storie minimaliste. Uno di questi,
Incontro sul fiume, lo vede il grande
Blasetti e resta stupito dalla grazia e dalla profondità che questo ragazzo dimo-
37
stra. “Tu devi fare il cinema!”, gli dice.
Ma l’onda della vita è ancora troppo forte, c’è una borsa di studio per Cambridge, Massachusetts, come si fa a dire di no. Eppure il cinema gli è ormai
entrato nel sangue. Quando, al ritorno
in Italia, è di nuovo posto di fronte al
bivio: diventare uno scienziato e manager di sicuro avvenire (era pronto per
lui un ricco contratto della Dunlop canadese), o andare a Roma a girare dei
documentari, stavolta non ha dubbi.
Sceglie il cinema e non tornerà mai più
indietro. Comincia così la sua lunga carriera di documentarista. Lavora con la
realtà, Sani, ma la inquadra pensando
sempre a quei grandi film che ha visto
da ragazzo. Mentre lavora per la Rai in
Belgio sull’allora neonata comunità europea, riceve una telefonata da Roma: è
appena successo un disastro, una miniera è crollata seppellendo tanta povera gente, la sua è la troupe più vicina,
deve andare subito sul posto. Corre,
Massimo, verso questo villaggio che
nessuno ha mai sentito nominare e che
invece da quel momento diventerà tristemente famoso: Marcinelle. E, arrivando, si chiede come farà, lui che non
è un reporter, a comunicare con le immagini quella immane tragedia, e gli
viene in mente un film tedesco, uno di
quelli che ha visto da ragazzo all’Apollino, La tragedia della miniera, di Georg Pabst… E’ a quelle immagini, scabre e rigorose, che si ispira per raccontare l’orrore, per riuscire a racchiuderlo nel rettangolo dello schermo, e prima che una scelta estetica è una scelta
etica, contro la pornografia del dolore,
che oggi invece, ahimé, infesta tanti talk
show. Altri tempi e altre tempre. Quello stesso rigore ispira Sani in tutto il resto della sua carriera. I suoi documentari storici sui grandi eventi del dopo-
guerra, i suoi film inchiesta, le sue docufiction su momenti chiave della nostra epoca, sono frutto di mesi di studio, di approfondimento. Il regista si fa
storico per poter raccontare col massimo di obiettività e di efficacia. Diventa
questa la cifra del suo lavoro: un incrocio virtuoso di realtà e finzione, che consenta una divulgazione ad alto livello dei
grandi eventi della nostra storia. Anno
dopo anno, la filmografia di Sani si arricchisce di grandi inchieste di questo
tipo. Nascono così Persia. Anniversario di un impero, La guerra al tavolo della pace, ricostruzione delle conferenze
di pace durante le quali i potenti della
terra ridisegnano il mondo, Italia in
guerra, grande affresco sulla guerra degli italiani. Prigionieri, sui soldati italiani nei campi di concentramento dal
’40 al ’47, arriva in finale al “Prix Italia” del 1987. Non vince perché il giurato americano, irritato dalla cruda denuncia su come i campi di prigionia statunitensi non avessero molto da invidiare al lager nazisti, rifiuta di votarlo.
Ma a Massimo una vita non basta, vuole
viverne un altro paio… Così dopo essere stato un po’ scienziato e continuando
a fare i suoi documentari, diventa anche
giornalista. Gli capita perché, oltretutto,
parla anche tre lingue (francese, tedesco
e spagnolo) e tra un’inchiesta e l’altra in
giro per l’Europa scrive qualche articolo per ‘Epoca’. Enzo Biagi, che lo dirige,
gli propone così di diventare il corrispondente dalla Germania del settimanale di Mondadori. Di cui, qualche anno dopo, farà nascere e curerà l’edizione tedesca. Ma la vera vocazione di Sani
resta la grande inchiesta filmata. Così la
parentesi nella carta stampata si chiude
quando la Rai gli dà la possibilità di realizzare, a Monaco, La giustizia tedesca
di fronte al nazismo, delicatissimo re-
VIVAVERDI
Massimo Sani sul set del film-inchiesta
Torino mezzo secolo del 1967, controlla
l’allestimento e la ripresa insieme al direttore
della fotografia Sandro Messina, alla sua sinistra
portage su come vengono giudicati i crimini nazisti nella Germania democratica del dopoguerra, vincitore del Premio Nazionale Inchiesta filmata. Torna
quindi al suo antico mestiere, Sani, ma
naturalmente non gli basta… Ed ecco
quindi nascere la sua ultima (per ora)
identità: il dirigente dell’associazione
dei cineasti italiani, il difensore dei diritti degli autori. Si iscrive all’Anac, l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici nei primi anni ’70 ed è subito in
prima linea nella lotta per il diritto d’autore. Sono gli anni eroici delle battaglie
contro la censura e per il diritto morale a impedire lo scempio delle opere da
parte di produttori e distributori. Insieme con Francesco Maselli, altro autore “prestato” all’associazionismo, Sani capisce che queste battaglie vanno
combattute a livello continentale. Nasce così la Fera, Federazione Europea
dei Registi dell’Audiovisivo, di cui diventerà vice presidente. Negli anni ’80
promuove una serie di incontri dei
grandi registi europei, durante i quali,
di fronte alle nuove sfide tecnologiche,
viene lanciato un obiettivo ancora più
ambizioso: unire tutto il cinema mondiale nella difesa dei propri diritti e della propria identità. Così nel 2007, durante le “Giornate degli autori” della
64.a Mostra di Venezia, Sani firma insieme a Maselli e Monicelli per l’Italia
e a Woody Allen, Ken Loach e altri
grandi registi di ogni parte del pianeta l’Alleanza Mondiale del Cinema.
Chissà se in quel momento Massimo
ha ripensato a quelle mattinate all’Apollino di Ferrara, quando il mondo, visto da laggiù, gli sembrava lontano e incantato, eppure poteva guardarlo
e addirittura viverci dentro lasciandosi trasportare dalle immagini e dalle
storie del grande cinema…
RADIO/FILODIFFUSIONE
CONTRAPPUNTO BESTIALE
di Giacomo Ceccarelli
A causa di ripetitori circolari a bassa potenza (perché installati nella città) e della non compressione audio, l’ascolto gratuito via radio della filodiffusione risulta
piastrellato di cordiali ronzii e cicalecci.
Rognosi walzer interferenziali che sembrano magicamente evocare spazi antichi, vecchi profumi e grammofoni polverosi. La minuzia e i preziosismi del palinsesto sono fiabeschi almeno quanto le voci che lo presentano: annunciatori senza
volto e senza tempo con perfette cadenze
e funamboliche dizioni d’ogni luogo sono l’unica presenza altra dalla musica. Poche voci posate ma decise, ormai familiari, che tendono all’immutabilità (eccetto
rari raffreddori) dirigono e ammorbidiscono la mole di una programmazione
quasi fetish per finezza e precisione.
Era il 1958 quando la Rai creò il pacchetto Filodiffusione: trasmesso via doppino
telefonico fu un balzo tecnologico comparabile all’avvento delle linee digitali ad
alta velocità. E ancora oggi sono sei canali. I primi tre sono Radiouno, Radiodue e
Radiotre; il quarto, che si chiama Filomusic, è il canale della musica definita
“leggera” (pop internazionale, canzone
italiana d’autore, successi del rock, qualche pillola di disco music e Round Midnight: novanta minuti di jazz nella notte); mentre il quinto e il sesto si sommano in un unico discorso tecnico e musicale dando vita al suggestivo programma
Una giornata ascoltando la “sorella povera” delle onde radio, la filodiffusione,
oggi sempre più dimenticata con lo sviluppo delle tecnologie digitali, delle
radio via web, dei podcast. Due musicisti, Massimo Di Pinto e la giapponese
Kiyomi Nakamura, curano la programmazione, che vanta alcuni titoli noti come
Auditorium, 24 ore al giorno di musica classica senza stop, e Round Midnight,
selezione jazzistica notturna.
stereofonico Auditorium, che irradia musica classica senza spot, ventiquattro ore
al giorno, trecentosessantacinque giorni
l’anno. E’ quest’ultimo il vero fiore all’occhiello del servizio, un’oasi inalterata nella quale domina la musica, una certezza cristallizzata che non scende a patti con alcun sistema. Due musicisti, Massimo Di Pinto e la giapponese Kiyomi Nakamura, curano la programmazione,
mentre le oniriche vocine amiche, più
che annunciare, recitano a qualsiasi ora
un rullo compressore di titoli organizzati in fior di rubriche e percorsi tematici
molto di nicchia dai nomi oscuri e poeticamente anguilleschi: Cantus planus, K
come Mozart, Non solo Danubio, Sillabario del Novecento, Contrappunto bestiale, Cantate, ninfe, Soli deo gloria, Dall’aulos alla zampogna e così via. Lo svolgersi del programma sembra svolazzare
libero e privo di turbamenti tra opera,
musica sinfonica, cameristica, canti gregoriani, avanguardie, musica per bande,
da film, commedie musicali e così via.
Inoltrandosi nei più remoti angoli della
storia, dei luoghi e delle pronunce senza
disdegnare occasionali incontri di generi confinanti con il jazz, il folk e la musica elettronica.
Chiunque oggi può andare su Internet e
seguire in streaming la Filodiffusione scaricando Real Audio, ma solo cinque fortunate città (Roma, Milano, Torino, Napoli e Ancona) hanno il privilegio di poter ascoltare gratis il quinto canale in FM.
Spesso capita di sentire capolavori sempiterni da poggiarsi le mani in faccia, così come altrettanto spesso si guerreggia
con indigeste sciroppate di Novecento
spinto, guarnite di fantasiose forme - o
difformità- sonore molto invasive.
Ma è benaccetta costumanza di Auditorium donare una rara pregevolezza delle
registrazioni proposte, anche delle più
aggressive. Tutto sotto l’atipico dettame
di emarginare l’illusione pubblicitaria e
le dinamiche che ne derivano. La Filodiffusione è un laborioso micromondo,
simile ad un vecchio carro armato che
procede lento sull’infinito percorso di
una maratona cominciata nel ’58, al cospetto di un’Italia ipnotizzata dai teleschermi.
Fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia
VIVAmiti d’oggi
QUANDO
JOYCE
SCRIVEVA
IN ITALIANO
di Valerio Magrelli
Esiste un’antica tradizione di opere
letterarie composte in italiano da
narratori stranieri, probabilmente
sull’onda delle storiche strette
relazioni tra il nostro paese e
l’Europa, un omaggio all’Italia tra
suggestioni classiche e viaggi da
Grand Tour. Se ne occupa un recente
libro di Furio Brugnolo intitolato La
lingua di cui si vanta Amore. Scrittori
stranieri in lingua italiana dal
Medioevo al Novecento, che presenta
una gran quantità di esempi illustri,
da Milton a Quevedo, da Rabelais
a Pound e Joyce.
La letteratura italiana degli ultimi anni si
è arricchita di nuove voci provenienti da
paesi europei ed extraeuropei. Si è parlato a questo proposito di “scrittori migranti”, che hanno cioè attraversato
l’esperienza dell’integrazione all’interno di una realtà culturale e linguistica diversa da quella di origine. Sarebbe improprio stabilire paragoni con quanto accade in Gran Bretagna o in Francia, paesi dove il passato coloniale ha favorito un
sostanziale incremento del patrimonio
letterario nazionale: basti pensare all’apporto fornito da autori asiatici da un
lato (Rushdie, Naipul, Kureishi), caraibici o africani dall’altro (da Senghor fino
a Glissant o Marie Ndaye). Certo, in area
italiana la documentazione risulta ancora scarsa. Rispetto a questa apertura sull’avvenire, però, esiste anche un’antica
tradizione che affonda le sue radici nel
Medioevo, e che consiste nella formazione di un piccolo tesoro fatto di opere che
vennero redatte in italiano da scrittori
stranieri. Esiste insomma un “italiano in
Europa” nato dalle fittissime relazioni fra
il nostro paese e il continente. Proprio a
questo sorprendente serbatoio poetico e
narrativo si rivolge un acutissimo studio
di Furio Brugnolo uscito da Carocci con
il titolo La lingua di cui si vanta Amore.
Scrittori stranieri in lingua italiana dal
Medioevo al Novecento.
Non che mancassero precedenti illustri,
a cominciare dalle ricerche di Gianfranco Folena sull’italiano di Voltaire o di Mozart. Illuminante, d’altronde, fu già l’intuizione di Leopardi, deciso ad attirare
l’attenzione sul “Menagio, Regnier Desmarais, Milton ecc. che scrissero e poetarono in lingua italiana”. Ma si trattò di
semplici tasselli, mentre Brugnolo offre
la prima sistematica presentazione del
fenomeno. Dopo una ricca introduzione
(in cui spiccano un inserto italiano di Ra-
VIVAVERDI
39
belais e la pagina oscena che Diderot incluse, sempre in italiano, nei Gingilli indiscreti), il saggio passa a esaminare undici casi esemplari.
Si comincia dal trovatore provenzale
Raimbaut de Vaqueiras, con un contrasto
bilingue (in provenzale e in genovese) e
un discordo plurilingue (in provenzale,
italiano, francese, guascone e galegoportoghese). Seguono due francesi,
Louise Labé e Michel de Montaigne, una
con il ricorso alla forma-sonetto, l’altro con alcuni stralci del suo Viaggio in
Italia. E’ poi la volta del sommo Quevedo, con un “soneto en toscano”, cui segue John Milton. Se altri nomi saranno
meno noti al grande pubblico, come
quelli di Christina Rossetti, Viaceslav
Ivanov, Ghiorgos Sarandaris o Murilo
Mendes, restano impressionanti le ultime due presenze, quelle di James Joyce e di Ezra Pound.
Nel primo caso, con l’autotraduzione di
due passi di Finnegans Wake (l’inizio e
la fine di Anna Livia Plurabella), siamo
di fronte, osserva Brugnolo, alla testimonianza forse più celebre e stupefacente di letteratura italiana fuori d’Italia: “Trasponendo nella nostra lingua
l’arduo e composito tessuto linguistico
della sua opera estrema, Joyce fornisce
un inarrivabile esempio di come si possa rinnovare radicalmente la lingua d’arrivo restando profondamente fedele alla lingua di partenza”. Quanto ai due
canti di Pound, il 72 e il 73, Brugnolo li
definisce addirittura come il più notevole esempio, nella letteratura italiana
del Novecento, di poesia epica, “ma si
tratta, né più né meno, di epica fascista”. Al di là del giudizio politico, rimane il fatto che questi scrittori volessero
rendere omaggio alla nostra lingua, e
insieme, così facendo, le recassero doni tanto inattesi quanto preziosi.
VIVAVERDI
La copertina del primo numero della famosa
rivista cinematografica fondata e diretta fino ad
oggi da Edoardo Bruno. Sui 60 anni della rivista è
uscita in questi giorni una bella antologia dal titolo
Il senso come rischio Le mani editore
40
cinema
I 60 ANNI DI FILMCRITICA
DA GODARD
A CAMERON
di Franco Montini
Quando nel dicembre 1950 uscì il primo
numero di Filmcritica, che in copertina
aveva una fotografia di Farley Granger e
Adele Jergens, tratta dal film La porta dell’inferno di Mark Robson, Edoardo Bruno aveva 22 anni. Da allora la direzione della rivista non è mai cambiata e anche oggi
il fondatore continua a lavorare alla sua
creatura con l’entusiasmo di un ragazzino.
“Il segreto della longevità di Filmcriticaspiega Edoardo Bruno, docente universitario di storia del cinema ed autore nel
1969 di un film come regista, intitolato La
sua giornata di gloria- sta proprio nella voglia e nella scelta di dedicare la maggior
parte del mio tempo e delle mie energie
creative alla rivista. Confesso che Filmcritica è la cosa che più mi ha interessato e alla quale ho sacrificato, senza alcun rimpianto, numerose occasioni di lavoro e di
carriera.
Ma naturalmente -prosegue BrunoFilmcritica non sarebbe potuta vivere tutti questi anni e continuare a godere di buona salute, se non avessimo potuto contare
sull’apporto di molti collaboratori illustri
e prestigiosi, a cominciare proprio dalla
nascita. La rivista, infatti, poté avvalersi
della protezione e dell’incitamento di tre
Per il cinema sessant’anni rappresentano uno spazio temporale equivalente ad
un’era glaciale. Fra il cinema del 1950 e quello di oggi le differenze sono abissali,
sia sul versante artistico, che tecnologico, che economico. In questi sessant’anni è
cambiato il linguaggio del cinema; sono tramontati generi di successo e ne sono
nati di nuovi ed inediti; si è registrata una rivoluzione per ciò che riguarda le
tecniche di ripresa e le modalità produttive; sono profondamente mutate le forme
di consumo dei film. Insomma qualsiasi confronto è impossibile, perché ci
troviamo di fronte a due mondi distanti anni luce, senza alcun elemento in
comune, tranne l’eccezione di una rivista, Filmcritica; perché la pubblicazione,
fondata da Edoardo Bruno, che nacque proprio in quel cinematograficamente
lontanissimo 1950, continua regolarmente ad uscire ed ha brillantemente superato
il seicentesimo numero. Ne parliamo col suo direttore.
sacri numi tutelari: il regista Roberto Rossellini, il filosofo Galvano Della Volpe e il
critico Umberto Barbaro. La presenza di
queste tre figure, tre intellettuali difficilmente etichettabili, tutti nel proprio campo in qualche modo eretici, prefigura la
caratteristica saliente della politica culturale di Filmcritica, che si batte per il buon
cinema, aborrendo ogni ideologismo, spaziando a 360° in tutti i continenti, mescolando interessi e attenzione per la produzione di Hollywood e per quello che fu il
cinema sovietico; per il classicismo e la
sperimentazione; con una particolare sensibilità a cogliere il nuovo e l’emergente”.
In effetti consultando anche sommaria-
mente la collezione di Filmcritica, ci si accorge che gli autori di culto della rivista sono numerosi e assai diversi fra loro. Sul
fronte del cinema italiano, i registi sicuramente più amati sono stati e sono Rossellini, Pasolini, Bellocchio; per ciò che riguarda gli stranieri si va da Robert Bresson e Jean-Luc Godard, ad Alfred Hitchcock e Clint Eastwood; da Orson Welles
e Manuel de Oliveira, a Straub/Huillet e
Raoul Ruiz; da Blake Edwards ad Amos
Gitai. A conferma delle predilezioni di
Filmcritica basterebbe, del resto, scorrere l’elenco del premio “Maestri del Cinema”, ideato dalla rivista con l’appoggio del
Comune di Roma, che, in tredici anni, ha
premiato anche Billy Wilder, Vincent Minnelli, Stanley Donen, Roman Polanski e
Martin Scorsese.
“Filmcritica- fa notare Bruno- ha sempre
preferito assumere il rischio di una critica militante, esercitata sui film, senza troppi salvagenti teorici, nella convinzione che
i film siano parte integrante e determinante della teoria stessa, che essi, anzi,
possano contribuire a fondarla, più che riceverne legittimazione a posteriori”. Come scrive Alessandro Cappabianca, uno
dei più assidui collaboratori della rivista
nella postfazione al volume Senso come
rischio/60 anni di Filmcritica, appena
pubblicato da Le Mani, in occasione dell’
anniversario: “Questo spiega perché, nel
periodo di maggior virulenza accademica
di mode tipo ‘semiotica e/o psicanalisi’, la
rivista non se ne lasciasse sommergere,
pur ospitando importanti contributi di
C.Metz (Sulla connotazione), Bellocchio
(Cinema come terapia), Sainati (La semiotica del film e il problema del sentire),
ecc. Sul piano della psicanalisi, l’incontro
con certe formulazioni lacaniane era in una
certa misura inevitabile, ma teniamo a sottolineare il contributo originale apportato in proposito da un outsider come Matte Blanco (come si evince dal suo intervento Sulla creazione artistica). Analogamente all’infatuazione per il presunto
‘cinema politico’, che aveva portato a
sopravvalutazioni e grosse cantonate, la
rivista era sfuggita grazie alla nozione
di cinema ‘poetico-politico’, che intendeva significare l’illusorietà di veicolare qualunque contenuto progressista o rivoluzionario senza contemporaneamente modificare o rivoluzionare le forme del linguaggio”.
Come si legge nel numero 1 della rivista,
la prima redazione di Filmcritica era ubicata a Roma in via Aurelio Saffi 20. “Eraspiega ancora Bruno- la casa di mia madre e in una stanzetta ci riunivamo per discutere dei film e impostare il timone di
ciascun numero. Fra i primi e più assidui
collaboratori ricordo Callisto Cosulich,
Nino Ghelli, Virgilio Tosi, Enrico Rossetti. La distribuzione e la diffusione della
rivista era affidata alla Federazione dei
Circoli del Cinema, all’epoca un circuito
di cineclub e cineforum, legato al PCI, assai attivo e diffuso su tutto il territorio nazionale. Da molti anni la redazione, sempre romana, si è trasferita in piazza del
Grillo 5, mentre lo storico archivio della
rivista, ricchissimo di immagini, documenti e materiali vari, è stato recentemente donato al Museo del Cinema di Torino, che sta provvedendo alla sua catalogazione e digitalizzazione.
L’importanza culturale di Filmcritica è fuori discussione; anche se le riviste cinematografiche italiane non hanno avuto lo stesso peso e la stessa importanza di analoghe
pubblicazioni prodotte in altri paesi, si
pensi solo ai Cahiers du cinema in Francia, è grazie a Edoardo Bruno e al suo gruppo che nel nostro paese si sono potuti conoscere testi altrimenti destinati a restare ignoti. Fu proprio Filmcritica a pubblicare in un apposto quadernetto negli anni ’50 Il verosimile filmico, un fondamentale testo di Della Volpe e La poesia del
film di Barbaro, titolo quasi sacrilego per
un testo a firma di un giornalista che all’epoca era il critico de L’Unità. Ma sulla
rivista sono apparse anche illuminanti interventi di André Bazin; di Sergej Eizenstejn quando in Italia non sia era ancora
pubblicato nulla; di Tullio Kezich, che, con
un articolo sul western, suscitò un lungo
dibattito a proposito del realismo nel cinema americano. Un’altra firma che ricorre spesso sulla rivista è quella di Pier
Paolo Pasolini: “Lo incontrai per la prima
volta -ricorda Bruno- alla festa per il numero 100 della rivista, che organizzammo
presso la galleria d’arte di Mario Penelope a via Margutta. Non so come, arrivò anche Pasolini, il quale ci esternò tutta la sua
ammirazione e il suo interesse per il no-
stro lavoro e si offrì di scrivere qualcosa
per noi. Da allora ci fu sempre molto vicino e si mostrò assai disponibile a intervenire anche per incontri, dibattiti, tavole
rotonde. Non posso dimenticarne una assai interessante organizzata con lui e con
Mauro Bolognini”.
Ma la redazione di Filmcritica è stata anche una palestra di serrati confronti culturali, dove si sono formati e sono cresciute
intere generazioni di critici destinati a più
vari e diversi approdi. Negli anni più intensi della contestazione, poco prima del
mitico 1968, si registrò anche una sorta di
fuoriuscita dalla rivista con un gruppo di
allora giovani critici, Adriano Aprà, Luigi
Faccini, Maurizio Ponzi, Stefano Roncoroni, che abbandonarono polemicamente Filmcritica per dar vita all’intensa e breve stagione di un’altra rivista di tendenza
Cinema e Film.
Infine sarebbe interessante sapere come,
dal 1950 ad oggi, si sia modificato il rapporto fra Filmcritica e il proprio pubblico. “E’ una domanda alla quale- fa notare
Edoardo Bruno- non è affatto semplice rispondere. Filmcritica, come del resto tutte le riviste italiane di cinema, ha avuto e
continua ad avere una diffusione limitata.
Da tempo immemorabile abbiamo dovuto rinunciare ad una distribuzione nelle
edicole ed oggi sta diventando sempre più
complicato essere presenti anche nelle librerie. Direi che il rapporto con i lettori è
cambiato nella misura in cui si è trasformata la cinefilia, fino a qualche anno fa,
molto rigorosa, oggi per fortuna, più aperta, più spensierata, più disponibile al confronto, senza più l’ostracismo nei confronti
di tutto ciò che raggiunge un successo popolare, come se questa cosa fosse necessariamente sinonimo di scarsa qualità e
nessun interesse. In uno degli ultimi numeri della rivista, ci siamo ampiamente
occupati di un film come Avatar; in tempi
passati, riuscire a scrivere del film di Cameron sarebbe stato meno scontato”.
VIVAVERDI
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Fiamma Satta coautrice e conduttrice insiema a Fabio
Visca della notissima trasmissione radiofonica
Fabio e Fiamma in onda su Radio Rai 2 dal 1987
VIVAVERDI
Foto Patrizia Savarese
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personaggi
RADIO
I MIEI VENTICINQUE ANNI
DAVANTI A UN MICROFONO
di Fiamma Satta
Il primo programma cui presi parte (La
strana casa della formica morta) fu frutto di sperimentazione estiva (luglio, agosto e settembre) fortemente voluta dal
Direttore di allora, Corrado Guerzoni e
dalla sig.ra Lidia Motta, storico capostruttura di Radio2. Affidarono tre ore di
diretta pomeridiana, fra parole e musica
a cinque ragazzi che avrebbero dovuto fingere di essere rinchiusi in una casa di
campagna, lontani da amici e parenti. Lì
avrebbero messo alla prova la loro compatibilità, le loro idiosincrasie, le loro capacità o incapacità nella preparazione di
idee e materiali audio per un programma
che sarebbe andato in onda in ottobre.
Inoltre le loro personali unicità, così lontane le une dalle altre in fatto di scelte
musicali e non, avrebbero composto tendenze e gusti giovanili, tutto all’insegna
della diversità come valore. I cinque erano “inconsapevoli” di essere continuamente spiati dalla rete con microfoni nascosti nella casa, in modo che quel loro
stare insieme e quei loro goffi tentativi di
preparazione del futuro programma autunnale rappresentavano in realtà la diretta del programma stesso. Oggi è inevitabile trovare in quell’idea assoluta-
Mi son seduta per la prima volta in vita mia davanti ad un microfono di Radio2
il primo luglio 1985 e mi sono alzata il primo gennaio 2010: venticinque anni
dopo. Una semplice informazione che non serve ad introdurre anniversari o
autocelebrazioni, ma la mia obiettiva opportunità di osservare sul campo
alcuni cambiamenti radiofonici di questi ultimi venticinque anni. Ad esempio la
scomparsa dei rumori, importante ausilio dell’immaginazione e la mancanza di
pause nella conduzione, due dei tanti fattori di un’omologazione dei programmi
radiofonici che puntano ormai, invariabilmente, sull’intervento quotidiano degli
ascoltatori tra mail, sms e telefonate.
mente folle un’eco anticipatrice del Grande fratello, ma allora la follia di quello
strampalato programma aveva un nome:
sperimentazione. Ma un po’ di ardimento, di ottimismo e di follia non sono forse alla base di ogni esperimento? All’epoca, dunque, davanti ai miei occhi avvenivano continuamente sperimentazioni fra i giovani aspiranti autori-conduttori, con la consapevolezza che i giovani
costituiscono energia vitale che spinge in
avanti il mondo, rivoluzionandolo. Ricordo bene come storcevo la bocca davanti ai suggerimenti di chi pretendeva
tra uno spazio e l’altro, una situazione e
l’altra, i cosiddetti “siparietti”. Solo la parola mi faceva rabbrividire. E allora spingevamo, noi giovani di allora, sempre un
poco più in là la volontà di annullare quei
benedetti “siparietti” considerandoli reperti di antiquariato. E venivano inventati nuovi modi di rivolgersi al pubblico,
magari anche con la rappresentazione di
un finto privato che fosse in grado di
esprimere i cambiamenti reali della società. Ed è così che sono nate le sit-com
quotidiane di Fabio e Fiamma che hanno raccontato, per esempio, lo stato dei
single e successivamente la crisi della
coppia, in varie formule: dalla litigiosa
convivenza in casa di due amici non legati sentimentalmente, alla litigiosa convivenza dei medesimi davanti ai microfoni di uno studio radiofonico, alle prese con una folle e surreale “Posta del cuore”, in cui i loro problemi tragicomici
(fiction) erano preponderanti rispetto a
quelli degli ascoltatori (realtà). Così, sotto lo sguardo attento di Sergio Valzania, a
lungo direttore di Radio2, Fabio e Fiamma e la trave nell’occhio ha raccontato una
lunga storia seguendo il filo continuo delle 1800 puntate di una sit-com a due voci e centinaia di personaggi, e scritta quotidianamente. Senza mai perdere di vista
una lontana ma ben precisa provenienza: conservo ancora molto gelosamente
una cassetta audio che la signora Motta,
nel febbraio del 1987, ci consegnò con
aria solenne alla vigilia del primo Fabio e
Fiamma, suggerendoci di ascoltarla (in
realtà era un ordine!). Conteneva un paio di formidabili sketch interpretati da
Rina Morelli e Paolo Stoppa nei panni di
“Eleuterio e Sempre mia”, nel Gran Varietà di Radio2. E’ banalmente vero che
ogni rivoluzione si trasforma pian piano,
ma inesorabilmente, in tradizione, però
ritengo che nella radiofonia, di rivoluzione in rivoluzione, forse qualcosa di
prezioso si sia comunque perso per strada. Per esempio i rumori. Ma è un vero
peccato averne fatto a meno perché essi
sono fondamentali per evocare un’atmosfera e per stimolare l’immaginazione di
chi ascolta, che non può e non deve essere esclusivamente riservata e relegata alla domanda: “che aspetto avrà quel conduttore, quella conduttrice?”. Proprio
perché viviamo in un mondo stracolmo
di immagini sarebbe stato forse opportuno mantenerne privo lo spazio radiofonico (webcam permettendo!).
I rumori sono in grado di mostrare davvero quel che sta avvenendo in quel momento, in quello spazio radiofonico. A
questo proposito mi viene in aiuto il teatro: la versione televisiva del 1962 di Sabato, Domenica e Lunedì di Eduardo De
Filippo andò irrimediabilmente perduta per la disattenzione di un funzionario
che registrò, su quel nastro prezioso, altro materiale. Fortunatamente ne esiste
una versione radiofonica conservata gelosamente dalle Teche Rai. Alla fine del
primo atto Rosa, la straordinaria Regina
Bianchi, è sola in cucina. Nel testo della
commedia Eduardo scrisse questa didascalia: “Ora va alla dispensa e trae da essa una cartata di maccheroni di zita e una
grande insalatiera. Sempre lentamente
si avvicina al tavolo e si dispone a spezza-
VIVAVERDI
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personaggi
re i maccheroni. Il sipario scende lentamente e allontana insieme ai singhiozzi
repressi della donna e qualche frase mozza, pure quel tinnire allegro e promettente degli ziti spezzati che la mano esperta lascia cadere nella grande stoviglia di
porcellana.” E davvero, ascoltando la versione radiofonica di Sabato, Domenica e
Lunedì, quel “tinnire allegro”, quel piccolo rumore cadenzato nel vuoto radiofonico, diventa straordinario e mostra
tutta la solitudine e la tristezza della protagonista. Tornando all’oggi, ricordo sempre con piacere l’uso geniale che Fiorello ha sempre fatto del rumore in radio.
Ne ebbi la netta percezione un giorno che
ho assistito in sala B ad una puntata di Viva RadioDue: era ospite Daniel Ezralow,
il noto ballerino-coreografo che fu convinto da Fiorello a inscenare con lui un
balletto “radiofonico” salendo insieme
su fogli di giornale stesi per terra. Un paio di microfoni erano stati abbassati all’altezza delle loro scarpe e quando i due
hanno cominciato a ballare tenendo i piedi più incollati possibile a terra, i giornali strusciati in quel modo producevano
una particolarissima sonorità... Ricordo
bene anche quella volta che Fiorello irruppe in studio mentre eravamo in diretta portando in dono un grande uovo di
Pasqua in segno di augurio. Mi sedette accanto e volle stropicciare vicino al microfono la carta stagnola con cui era avvolto
l’uovo “per far sentire agli ascoltatori” il
rumore prodotto e farli partecipare così
alla “verità” e all’atmosfera di quel momento gioioso. A parte Fiorello, la percezione del valore del rumore in radio è andata quasi completamente perduta, e i rumori sono stati archiviati, e addirittura
sconsigliati come inutili accessori.
C’è anche un altro elemento che è pian
piano sparito dall’etere: le pause durante un discorso, un dialogo, un semplice
commento. Ovviamente in radio il vuoto
è spaventoso, ma la pausa, quando non è
eccessivamente prolungata, non è sempre un vuoto perché può rappresentare
un momento di riflessione, un ripensamento, può far immaginare un tormento interno, può precedere uno scoppio di
risa, può essere voluta per sottolineare
ironia o disappunto, può far intendere
intenzioni nascoste o far immaginare un
sottotesto, può insomma far trapelare il
reale stato d’animo del conduttore. Una
giusta pausa può concorrere quindi a rafforzare la magnifica e auspicabile intimità con gli ascoltatori, attenti e ben attrezzati ad interpretare anche il significato di un sospiro. Eppure ormai la parola d’ordine per i conduttori sembra essere “chi si ferma è perduto”, in una ricerca spasmodica e frenetica di ritmo, rapidità, velocità. Il risultato è un’omologazione del cosiddetto “sound” in cui tutti parlano con gli stessi ritmi, con cadenze simili, con la stessa velocità. Ciò che è
invece aumentato a dismisura è l’uso pubblico del privato. Mi riferisco all’intervento massiccio degli ascoltatori che, attraverso mail, sms e telefonate, si raccontano, determinano tendenze e rappresentano ormai l’ossatura sostanziale
dei programmi che sono fatti da loro e
non più scritti da autori, per loro. Così il
lavoro stesso degli autori risulta notevolmente ridotto ma, ancora una volta, si rischia un’ulteriore omologazione dei programmi la cui struttura risulta molto simile (lancio del tema, interventi degli
ascoltatori) e il risultato è una certa uniformità della programmazione. Credo che
fra i compiti di un autore, soprattutto
quelli che lavorano nel servizio pubblico, ci dovrebbe essere l’impegno di mettere la propria creatività e professionalità proprio al servizio del pubblico, e non
il contrario. Dal 2005 anche l’ultima formula di Fabio e Fiamma si è dovuta adeguare a questa tendenza (mi viene in
mente lo slogan arboriano “non capisco ma mi adeguo”) e son stati abban-
donati personaggi, situazioni surreali e
non, storie, ambientazioni, rumori per
dedicarsi esclusivamente alla posta del
cuore, con i relativi commenti telefonici degli ascoltatori.
Per concludere, nel corso di questi 25 anni davanti ai microfoni di Radio2 qualcosa invece non è cambiato mai: la mia convinzione che la radio non è assolutamente mai stata “la sorella povera della televisione” e mai lo sarà, ma se proprio deve pregiarsi di una parentela allora sì, è
quella con il teatro. Anche per questo mi
ha sempre fatto un po’ sorridere chi ha
pensato di rivoluzionare la radio portandovi dentro “i televisivi”. Il percorso è
sempre stato poco fruttuoso perché la radio possiede ciò che alla tv mancherà
sempre, la capacità di stimolare nel pubblico l’immaginario. E perché chi vive di
sola immagine si troverà forse un po’ a
disagio nel regno della parola. Anche il
percorso inverso mostra notevoli difficoltà, per questo è stato spesso molto difficile trasportare in tv programmi radiofonici di successo, a volte impossibile. E’
riuscito a pochissimi, forse solo a Fiorello, ma lui è un caso a parte, un’eccezione
che conferma non solo la sua indiscutibile bravura (sia davanti ad un microfono, ad una telecamera o alla platea di un
teatro) ma anche la regola dei difficili travasi dalla radio alla tv e viceversa.
Vorrei finire esprimendo una mia convinzione nata dall’esperienza di autrice e
conduttrice: gli ascoltatori radiofonici
non sono affatto un “pubblico bue” ma,
al contrario, sanno ben apprezzare l’intrattenimento intelligente, divertito e divertente, fatto da creatività, cultura, poesia, garbo e ironia. E che sia perciò fondamentale responsabilità dell’autore radiofonico (e televisivo) offrire tutto questo. E poi, in fondo, è risaputo che scrivere è facilissimo: basta sedersi davanti
al computer finché la fronte non comincia a sanguinare…
foto Paolo Ranzani
VIVAidee
APPUNTI & CONTRAPPUNTI
SE LA SIAE MANCA
DI COMUNICAZIONE
E NON SE NE
ACCORGE
di Gianni Minà
Nell’ultima riunione dell’Assemblea
della Siae è stato deciso il passaggio
della periodicità di Vivaverdi, da
bimestrale a trimestrale, per ridurre i
costi. Io ho votato contro e qui provo
a spiegare perché.
Ad un certo punto dell’ultima Assemblea
della Siae, in un momento di stanca dopo
quasi tre ore di discussioni snervanti sugli assetti futuri e i problemi attuali dell’azienda, è stato posto in votazione anche
l’argomento riguardante la riduzione dei
costi di Vivaverdi.
Noi del comitato editoriale ne avevamo
parlato nelle settimane precedenti con il
direttore generale, dott. Blandini, facendo l’elenco di tutte le iniziative che si potevano intraprendere per raggiungere questo obiettivo. Riduzione del formato, incontro con la direzione delle Poste per possibili agevolazioni, visto che quella della
spedizione è la spesa più alta del bilancio
della nostra rivista, razionalizzazione delle spese grafiche e tipografiche, ricerca di
sponsor, riduzione delle uscite di Vivaverdi da bimestrale a trimestrale.
Quest’ultima era da parte nostra l’eventualità meno auspicabile, per tanti e chiari motivi che più avanti spiegheremo, e che
quindi reputavamo dovesse essere l’ultima delle azioni da intraprendere. La riduzione delle uscite è stata invece votata, con
il voto contrario del sottoscritto e l’astensione di Antonella Bolelli-Ferrera, senza
che ci fosse una preventiva discussione,
credo per stanchezza di tutti, anche mia
che sono l’unico del comitato editoriale ad
essere membro dell’Assemblea.
Pochi minuti dopo questa votazione ho,
però, recuperato e riproposto il tema interrompendo la discussione già in corso
sul successivo argomento all’ordine del
giorno e ho capito che molti degli stessi
membri che avevano votato quella diminuzione alla circolazione di Vivaverdi erano già perplessi su una decisione che penso di poter definire autolesionistica.
Avevamo già attuato, nell’ultimo numero, la riduzione del formato e delle spese
di tipografia e grafica. Pensavamo, così,
di dover aspettare il risultato degli incontri con le Poste o con i possibili sponsor prima di prendere qualunque altra decisione, ma evidentemente non c’è stata
possibilità di chiarire adeguatamente ai
membri dell’Assemblea il nocciolo del
problema.
Un nocciolo che, come iscritto a cinque
sezione dell’azienda, come componente
dell’Assemblea per la sezione Olaf e come
militante da cinquant’anni del mondo dei
media, ho individuate, in sintonia con i
colleghi del comitato editoriale, proprio
nella mancanza di una adeguata comunicazione della Siae con l’esterno.
Ma come? Siamo un’azienda assediata, che
non riesce a chiarire con l’esterno i sacrosanti diritti di chi produce opere di inge-
VIVAVERDI
45
gno e la prima cosa che facciamo è quella
di diminuire la circolazione della nostra
rivista, che non è solo l’unico mezzo di informazione sulla vita e sulle esigenze della Siae, ma anche l’unica rivista di cultura
musicale, cinematografica, letteraria, televisiva, teatrale, e di arti grafiche e figurative che affronta con un tono elevato il
racconto di questo mondo.
Oltretutto la difesa della cultura, al di là di
qualunque interesse, è la risorsa indiscutibile che giustifica la nostra stessa esistenza come Società Autori ed Editori.
Siamo infatti un’associazione che, semmai, avrebbe bisogno di un incremento più consistente, di investimenti nella comunicazione e non di una riduzione degli spazi.
Ci sono tanti altri settori dove si può risparmiare o tanti altri modi di farlo, come
ad esempio tentare di far uscire Vivaverdi
allegato ad un quotidiano nazionale.
Infine, per esperienza diretta, come piccolo editore, voglio segnalare che nel caso in cui si pensasse di mettere Vivaverdi
nel web, bisognerebbe prendere atto che
questa scelta presupporrebbe, attualmente, un incremento e non una riduzione di
costi a causa del personale necessario ad
una simile operazione.
Ridurre ora le uscite di Vivaverdi, insomma, significherebbe trasmettere un segnale di precarietà, non di buona salute
dell’azienda.
I media già ci ignorano o ci indicano incorrettamente come sfruttatori dei giovani clienti del nostro prodotto. Vi sembra
opportuno, chiedo allora alla base associativa, rinunciare anche solo a due numeri in più all’anno dell’unica pubblicazione che spiega il nostro mondo, i nostri
problemi e racconta parte della storia della cultura italiana con una tiratura, ogni
numero, di centomila lettori di partenza?
[email protected]
VIVAVERDI
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musica
INTERVISTA A FABRIZIO DE ROSSI RE
TRA JAZZ E TRADIZIONE
di Cristina Wysocki
Mio padre, avvocato, era anche un pianista di jazz. Stimolato da lui come jazzista, sono molto legato all’improvvisazione, a una artigianalità di famiglia un
po’ spicciola, su cui però si è innestato
il fattore tecnico, dato dal conservatorio: le due strade hanno una forza viva,
che mi serve a realizzare quello che più
mi interessa. La pratica artigianale legata all’improvvisazione e la scrittura
fatta di nozioni tecniche, di strutture,
di forma, mi hanno messo nelle condizioni di crearmi una strada originale,
che può essere bella, può piacere o no,
ma essere comunque personale, per cui
scrivo sempre più spesso musica che è
vicina a quella che improvviso. Ho dei
grandi predecessori sotto quest’aspetto, a partire da Chopin, la cui musica è
tutta una trascrizione delle sue improvvisazioni, strutturate poi in un tema e
uno sviluppo, o anche Debussy, in grado di improvvisare tranquillamente per
ore. Compositori che hanno un certo
spirito jazzistico. La scrittura musicale,
da metà dell’800 in poi, ha fatto un po’
da padrona, con una scuola intimamente
legata alla partitura, mentre in tutti i secoli precedenti la pratica improvvisati-
Ha scritto lavori cameristici e opere radiofoniche, teatro musicale e colonne
sonore di scena. Più che di ricerca, nel caso di Fabrizio De Rossi Re, bisogna
parlare della realizzazione effettiva di uno stile personalissimo, di una sintesi
che innesta il jazz sulla tradizione, l’improvvisazione sulla notazione in
partitura, il teatro antico su un teatro dinamico, ‘performativo’. Un talento
multiforme che si esprime in tante diverse proposte concrete per il futuro della
composizione musicale.
va era fondamentale. Tutto ciò mi ha
aiutato anche per il teatro musicale. Più
che a un teatro museale come si usa fare, cioè l’opera con tutti gli orpelli tipici, come i cantanti e l’orchestra, credo
in un teatro che fa paradossalmente riferimento al teatro più antico. Nelle partiture della scuola napoletana, Leo, Jommelli, Paisiello, c’erano degli spazi immensi per l’improvvisazione e per l’armonizzazione al basso continuo. Io ho
adottato questa pratica in tutto il mio
teatro abbastanza recente, dal 2002 in
poi, sempre con musicisti dentro alla
scena, proprio per permettere questo
spirito performativo.
Lei dimostra un certo interesse per i
timbri degli strumenti a fiato, un timbro che si collega alla voce, quindi alla
vocalità e al teatro…
Il filo rosso è assolutamente giusto. Vi-
sta la mia formazione di base jazzistica,
il suono dello strumento a fiato è una
componente importante della mia logica musicale. Nel jazz l’uso della voce
è abbastanza strumentale e le grandi
cantanti, come Ella Fitzgerald, hanno
una duttilità grandissima, piegano anche una canzone semplice a una drammaturgia. Questo, per me, è già teatro
puro. Sono un musicista che si muove
nelle pieghe di un mondo che offre una
tavolozza estremamente ricca. Il teatro
è un passo immediatamente successivo, perché un teatro che funziona, oggi, ha bisogno di uno spirito performativo. Abbiamo tali e tanti monumenti
nel teatro musicale passato, lavori scritti straordinariamente bene, che hanno
un po’ esaurito il genere…Oggi è assolutamente necessario trovare un’altra
strada, fatta di una mescolanza di lin-
guaggi. Le mie opere sono piene di suggestioni varie, possono esserci improvvisi tanghi, poi situazioni astrattissime,
poi magari una canzone…tutto questo
richiede però una particolare scelta degli interpreti. Ho lavorato splendidamente con Paola Cortellesi, un’attrice
che gioca tutto sulle voci, sulle imitazioni, sui suoni, per Musica senza cuore, tratta dal libro Cuore di Edmondo de
Amicis, su libretto di Francesca Angeli, dove lei faceva tutti i personaggi con
le varie voci: la maestra, l’insegnante, il
bimbo, tutte al femminile. Il teatro andrebbe proprio creato in questa dimensione, sfruttando le attitudini particolari, improvvisando in un certo modo, prendendo questo dato e immettendolo all’interno del discorso di
un’opera.
Parliamo anche dell’interesse e dell’intervento sui testi da musicare, testi tradizionali che vengono rimanipolati…
Anzi trasgressivamente trasformati…
Una delle esperienze per me più interessanti è stata un’opera radiofonica,
Terranera, tratta da un libro splendido,
Esercizi di Tiptologia di Valerio Magrelli,
e commissionata da Rai Radiotre. In
quell’occasione mi sono veramente reso conto del peso del testo: quando scrive un’opera, il compositore cambia, taglia, sposta, toglie l’aggettivo…poi in
scena il canto fa funzionare tutto. Pensavo che il testo dovesse essere schiavo
della musica, che non solo è un valore
aggiunto, ma anzi può aprire un mondo. Ma dal testo di Magrelli non ho tolto una virgola, c’era un flusso di suono
poetico assolutamente musicale!
Un linguaggio musicale e una ricerca
espressiva che si stanno indirizzando
verso…
Anche se oggi è una parola abusata, parlerei di contaminazione…può voler dire tutto o niente, ma è difficilissimo rispondere bene se non con delle frasi
fatte. Al di là della mia formazione jazzistica sono sempre stato molto legato
alla musica barocca, con uno strano innesto delle due forme. Sento di essere
alla ricerca di questa fusione tra musica estremamente tradizionale, con
idee che invece siano estremamente
trasgressive, riuscendo a mettere l’uno
dentro l’altro con consequenzialità,
senza giustapporli ma creando quasi
dei linguaggi paralleli tra uno e l’altro:
questo per me è un vero divertimento!
Così mi trovo a scrivere pezzi che ab-
biano anche una dimensione ludica,
con una voglia di fare al di là delle convenzioni, anche dal punto di vista della ricerca musicale.
Come viene accolta la musica “seria” attuale da parte delle istituzioni?
All’estero c’è una vitalità che purtroppo noi non abbiamo. Non è tanto il solo fatto economico, è anche una mentalità. Ho scritto sempre con grandissimo piacere musica per i documenta-
Paola Cortellesi in Musica senza cuore, azione musicale
grottesca per attrice, voce femminile, flauto, pianoforte,
tastiera ed elettronica del compositore Fabrizio De Rossi
Re, liberamente tratta dal Cuore di Edmondo De Amicis su
libretto di Francesca Angeli. Festival I Concerti nel Parco,
Estate 2003
ri, sceneggiati, serial tv: anche questo
significa esistere nella musica. Ma volendo incontrare qualche direttore artistico era un settore un po’ da nascondere, cosa che ho riscontrato solo nel
nostro Paese. In Inghilterra o in America, soprattutto, un compositore può
da una parte scrivere la musica per lo
spot pubblicitario e dall’altra un’opera
per la Carnegie Hall, perché è un musicista! Qui invece no. Perché questa schizofrenia dei due mondi? Spero che le
cose in Italia stiano cambiando e non ci
sia più l’idea del musicista con la M maiuscola, che compone solo cose di un
certo tipo, e poi c’è la musica di serie a,
b, c, d…Secondo me tutto parte dalla
formazione musicale che abbiamo in
Italia, il problema è sempre lì. Il pubblico americano o inglese, anche di generazioni diverse, è abituato a mettere
sullo stesso piano Schönberg e Ray
Charles o Stravinskij e Frank Zappa. Qui
abbiamo invece un pubblico falsamente indirizzato a pensare che ci sia la musica seria, quella leggera, eccetera. Ecco perché poi abbiamo dei vuoti impressionanti, un enorme distacco dal
pubblico.
Solopiano, l’ultima fatica, fatto di memoria, di immaginazione…
E’ una composizione particolarissima,
nata in uno studio di registrazione. Ho
suonato per due ore di fila… ne è stato
tratto un montaggio stranissimo in 1011 pezzi, dando una forma a una serie di
In poche righe...
Fabrizio De Rossi Re è nato il primo agosto
1960 a Roma. Si è diplomato al conservatorio
di Santa Cecilia ma nella sua formazione sono
stati importanti anche gli incontri con Sylvano
Bussotti, Salvatore Sciarrino e Luciano Berio.
Iscritto alla Siae dal 1979, attualmente insegna
Elementi di composizione per didattica della
musica presso il Conservatorio Giovan Battista
Pergolesi di Fermo. Nella sua copiosa produzione (che comprende collaborazioni illustri
con il Teatro dell’Opera di Roma, l’Accademia
Filarmonica Romana e l’Accademia Nazionale
S.Cecilia) si segnalano opere di teatro musicale
come Biancaneve ovvero il perfido candore,
su libretto proprio (1993), Cesare Lombroso o
il corpo come principio morale, su libretto di
Adriano Vianello (2001), Musica senza cuore,
azione musicale grottesca liberamente tratta
dal libro Cuore su libretto di Francesca Angeli
con Paola Cortellesi, rappresentata a Roma nel
2003, le opere radiofoniche Terranera (radiofilm su testo di Valerio Magrelli prodotto dalla
Rai per la regia di Giorgio Pressburger, 1994)
e Orti di guerra (striscia quotidiana di musica
e poesia su testi di Edoardo Albinati, prodotta
da Rai RadioTre, 1995) e la musica scritta per
la danza, L’ombra dentro la pietra (gruppo Entr’acte - produzione di Roma Europa Festival
1996 e del Teatro Hebbel di Berlino 1997). Ha
scritto ed interpretato le musiche di scena per
lo spettacolo Elettrotauri, su testo di Luis Gabriel Santiago (Spoleto, 2004).
improvvisazioni che spesso erano una
dentro all’altra. Mentre suono il pianoforte faccio riferimento a canti popolari tratti da un libro dell’ etnomusicologo Roberto Leydi: tanti canti siciliani,
come quelli delle tonnare, o del carrettiere, canti per issare le vele, frammenti
di canto, che ho messo dentro a questo
viaggio del solopiano che gioca un po’
sugli estremi opposti. Partendo dal canto del carrettiere siciliano, che è estremamente sgraziato, tutto si trasforma
piano piano in un canto quasi mozartiano. Questo gioco dello sfalsamento
dei due registri crea un percorso molto
incidentato, come un viaggio che ha ogni
tanto delle trasgressioni, delle situazioni inattese. Ora sto scrivendo un’opera che si intitola King Kong amore mio,
su libretto di Luis Gabriel Santiago su cui
punto molto perché gli elementi teatrali vi si trovano inseriti tutti insieme, attori, danzatori…un tipo di teatro che è
antichissimo e modernissimo allo stesso tempo. Non ci si inventa nulla, ma ci
si distacca dal solito museo. Mi auguro
che questo prenda sempre più piede, non
solo per me, ma anche perché una generazione si apra un po’ a questo. Ho degli
allievi al conservatorio che sono molto
orientati verso composizioni in cui c’è il
musical, poi addirittura la canzone, o
l’aria finto-ottocentesca, segno che c’è
una necessità in questo senso, una sorta di lettura della storia ormai sedimentata che bisogna ritirare fuori per creare
cose nuove, altrimenti saremo sempre
legati a stilemi che anche per i grandi
musicisti sono senza via d’uscita. Si dice che il teatro è in crisi, specialmente
oggi che non ci sono fondi da nessuna
parte, ma finché il teatro resta quello che
era per Donizetti, è normale che non ci
sia più niente da dire, anche con opere
splendide, scritte benissimo, con un libretto straordinario, che però rimane lì,
è un qualcosa che è fuori dalla vita di oggi. E non è certamente il momento di gettare l’ancora.
editoria
DIGITALE
LIBRO VIRTUALE,
ECOLOGIA DIGITALE
di Alberto Ferrigolo
Nel mondo dell’editoria arriva un altro protagonista, il libro virtuale, ossia quel
volume che vive e si acquista solo online. Un centinaio di pagine scaricabili da
Internet e leggibili esclusivamente sullo schermo ma con la remota possibilità
di stamparle o di richiederle anche in formato libro tradizionale. È il caso di
Noi, robot di Diego Pierini, pubblicato dalla Cooper editore, che abbatte
pesantemente i costi industriali e ha anche il vantaggio di poter essere
aggiornato progressivamente, tenendo conto dei blog e del dialogo in rete.
Dalla carta al web, dal reale al virtuale.
Il libro, per come l’abbiamo conosciuto finora, passa la mano alla nuova realtà e ai nuovi “supporti” tecnologici.
Così, dopo teorie e infiniti dibattiti sul-
l’argomento – la libreria online di Amazon, la piattaforma Kindle, l’iPhone, il
nuovo iPad di Apple, il Pc… – arriva finalmente in Italia (dove? non in libreria…) il primo libro virtuale. Niente
carta, solo online. Uscito a metà marzo,
per i tipi della Cooper editore, piccolo
marchio di qualità dell’editrice romana Banda Larga, s’intitola Noi, robot, e
l’argomento di cui tratta non poteva esser più in sintonia di così con la sua materiale sperimentazione. Interrogativo
di fondo: “Un giorno le macchine saranno umane?” Domanda da un milione di dollari, per un pamphlet che indaga l’individuo artificiale tra scienza e
fantascienza, ma anche storia, filosofia,
tecnologia, cibernetica e neuroscienze,
immaginazione allo stato puro, in un
mix di discipline & saperi. Scritto, per
altro, da un giovane posato quanto ta-
lentuoso autore – Diego Pierini, trent’anni, precoce e coriaceo collezionatore di titoli accademici, due lauree, una
terza in gestazione, appassionato cinefilo ma non solo, culturalmente onnivoro e anche autore televisivo d’un programma cult come Parla con me di Serena Dandini su Raitre –, che ha accettato, soi malgré, di fare da cavia rinunciando al piacere tattile, visivo e al fascino narcisista che ha il libro “di carta” per uno scrittore. Tanto più se alla
sua opera prima. Noi, robot è solo online. Vive in una terza dimensione, quasi un ologramma. Non ha visibilità in
questo mondo ma solo in quello web.
Immateriale. Totalmente ed esclusivamente leggibile su schermo, acquistabile e scaricabile da Internet. Meglio,
dal sito della casa editrice (www.coopereditore.it) o da quello di Lampi di
VIVAVERDI
49
Diego Pierini, scrittore e autore televisivo. La sua
opera prima Noi Robot è solo on-line. E’ possibile
scaricarla dal sito www.coopereditore.it
stampa (www.lampidistampa.it) primo
editore italiano di print on demand.
Stampa su richiesta.
Qui, dunque, non parleremo di contenuti (il lento, inarrestabile, forse tragico e sorprendente reciproco avvicinamento tra uomini e robot…) – con presumibile disappunto dell’autore –, bensì parleremo solo di “contenitore”, perché mai come in questo caso è vero e
tangibile il sillogismo di McLuhan che
“il medium è il messaggio”. In sé Noi,
robot è un libro del genere “pilota”, destinato a inaugurare una nuova frontiere dell’editoria italiana. Un titolo che
precorre i tempi, perché nelle intenzioni del suo editore “è destinato a prefigurare la possibile nascita di una collana tutta e-book” spiega Emanuele Bevilacqua, socio di maggioranza di Cooper. Di fatto, in Italia qualcosa di simile non esiste. I principali editori producono, per lo più, ancora libri “tradi-
zionali” su carta, che poi mettono in
vendita anche attraverso i rispettivi siti. Ciò che, di fatto, li rende per lo più
“negozi online”. E mentre i colossi editoriali appaiono guardinghi nello sfruttare le possibilità online offerte da una
library come Amazon.com, più disinvolto è l’approccio dei piccoli editori, i
cui “numeri” – tirature, distribuzione,
vendite - restano tutto sommato sempre piuttosto contenuti: “Mettere il nostro catalogo in Internet – spiega Bevilacqua – ci aiuta ad allargare il bacino di
utenza del marchio, contribuisce a farlo conoscere e a realizzare in termini
economici e pubblicitari qualcosa in più
rispetto alla libreria, essendo ormai lo
strumento telematico decisamente in
espansione, soprattutto tra una fascia
di pubblico medio-alta che legge e fa
pure acquisti online”.
E veniamo ora agli aspetti più prettamente pratici di un libro solo online.
Tecnicamente Noi, robot si scarica in
pdf dal sito di Cooper editore o da Amazon.com al costo di 1,90 euro, prezzo
davvero basso o ridotto all’essenziale
perché si tratta di un prodotto immateriale: oltre ai contenuti, al lavoro dell’autore e all’impaginazione, l’apporto
d’un grafico, non c’è null’altro. Niente
carta, niente stampa, niente rilegatura,
nessuna distribuzione. Tolto tutto ciò,
il prezzo di copertina inevitabilmente
s’abbatte da sé. Ma possibile che un libro possa costare così poco? E come si
calcolano i diritti? Rispettati oppure no?
Bevilacqua non si sottrae all’interrogativo, e con matita e taccuino alla mano
fa con noi un po’ di conti: “Quando offro a un autore il 10% sul prezzo di copertina, in realtà gli sto proponendo circa il 25% dei miei ricavi” calcola Bevilacqua. “Questo perché circa il 60% del
prezzo al pubblico va alla distribuzione
e non all’editore. Se un libro costa 10
euro, a me editore vanno 4 euro per ogni
copia venduta mentre all’autore un euro”. E su 1,90 euro? “Su 1,90 euro, il
dieci per cento è il dieci per cento... cioè
19 centesimi…”.
“La verità – dice Bevilacqua – è che
adesso si apre un interessante dibattito che nessuno ha ancora affrontato:
quello di ridisegnare le regole del gioco dell’editoria italiana. Ci saranno, già
ci sono, più opportunità per l’autore,
che può diventare un editore in proprio
con un maggiore controllo sul distribuito e sul venduto”. In che senso? “A
parte il bollino Siae, che sui grandi numeri di tiratura è e resta garanzia di certificazione per l’autore sulle copie effettivamente distribuite e vendute, in
verità ciascun editore potrebbe dichia-
51
rare quel che gli pare, e non sono infrequenti infatti i contenziosi…, ma con
il download la certificazione è precisa
quanto immediata: tanti click, tante copie scaricate, tante copie vendute, tante copie effettivamente pagate”. Più certezza dei diritti…? “In cosa consiste il
mestiere dell’editore?” si chiede Bevilacqua. “Nello scegliere i libri, definire il packaging, decidere il prezzo,
istruire il canale di distribuzione e, dimenticavo, fare l’editing del libro, cioè
suggerire modalità di scrittura, consigliare tagli, aggiunte, ecc… Con l’e-book ci sono i costi della creatività, fino
all’impaginato, mentre spariscono del
tutto i costi industriali”.
Quindi il lettore scarica dal sito della
casa editrice il suo libro e poi lo può leggere come un qualsiasi documento sul
Pc oppure su Kindle, l’iPad, etc. Però,
se lo vuole, lo può anche stampare con
la sua stampante casalinga, ma dovrà
mettere in conto il costo della risma di
carta in formato A4, l’inchiostro delle
cartucce. Oppure può averlo in formato libro tradizionale con copertina e al
costo di 15 euro ordinandolo attraverso il sito Lampidistampa.it, che opera
però in maniera indipendente dalla casa editrice d’origine del prodotto, cioè
Cooper.
“Per un libro più complesso – spiega
Elena Giacchino, responsabile dell’ufficio stampa Cooper – con iconografie,
ecc, sarebbe certamente più difficile poterselo stampare da sé, per tutti i costi
conseguenti, fogli, cartucce del colore…
Ma l’idea che sta alla base di questo nostro progetto è quella di sfruttare i nuovi sistemi di lettura come Kindle o l’iPad
che considerano la stampa un passaggio superato”.
In poche righe...
Classe ’53, Emanuele Bevilacqua – cultore della Beat Generation – è giornalista e manager
editoriale. Ha lavorato alla Curcio editore, al
Gruppo Benetton, spostando la rivista Colors
da New York in Italia, al Gruppo Espresso, Einaudi Stile Libero. Ha contribuito alla progettazione e al successo di numerosi periodici come National Geographic, Darwin, Limes, MicroMega. È amministratore delegato del settimanale Internazionale ed editore in proprio con
l’editrice Cooper-Banda Larga, che dal 2005
offre una produzione fortemente caratterizzata dalla grande attenzione per i temi della geopolitica e della cultura americana, di tanto in
tanto contaminati da brevi incursioni nella narrativa di qualità.
Non è tutto. Noi, robot sarà anche il primo libro work in progress. Diego Pierini avrà la possibilità di aggiornare il
suo lavoro continuamente, consegnando all’editore le nuove versioni di
passi e capitoli, aggiungendone di nuovi o togliendone altri che ritiene superati, rinverdendo bibliografia e note.
“È un libro che procede di pari passo
con l’innovazione tecnologica – aggiunge la Giacchino –, editoria X.0”.
Cioè, possibilità editoriali infinite o
all’ennesima potenza per qualsiasi
piattaforma digitale. E l’autore che dice? A parte l’ovvia soddisfazione, anche nel far da “cavia”, Diego Pierini introduce un’ulteriore nota di riflessione: “Grazie al compendio del blog e degli aggiornamenti, l’opportunità è poter sviluppare teorie e argomentazioni a partire da commenti, critiche, confronto con l’esterno, i lettori: viene a
cadere anche la sostanziale autoreferenzialità dello scritto classico, in cui
il processo di analisi e controargomentazione è comunque appannaggio
solo dell’autore. Il libro diviene quindi
una sorta di scintilla per la creazione di
una teoria più vasta generata dal dialogo in Rete: supponendo la partecipazione al dibattito, il testo risulterà frutto di contributi innumerevoli. E poi, in
ogni caso – conclude Pierini – il cartaceo non rimane escluso dal novero delle possibilità. Acquistare il libro in formato tradizionale, su carta, si può sempre, attraverso il sistema on demand,
che ha un suo senso non soltanto in termini di costi e distribuzione, ma anche
sul piano degli sprechi, perché la carta
è sempre più un bene prezioso”. Ecologia, nel corpo e nella mente. Per editoria e autori un test importante.
VIVAVERDI
Emanuele Bevilacqua, scrittore, docente
universitario e fondatore della Cooper edizioni.
Attualmente è docente di Marketing dei media presso
la facoltà di Scienze della Comunicazione di Lugano
VIVAVERDI
Eleonora Danco in una scena dello spettacolo
teatrale Sabbia, di cui è autrice ed interprete
52
teatro
INTERVISTA A ELEONORA DANCO
ME VOJO SARVA’!
di Linda Brunetta
Qual è stato il percorso che l’ha portata alla scrittura per il teatro?
A scuola ho fatto un corso di teatro e mi
piaceva moltissimo, sebbene tutti gli spettacoli che avevo occasione di vedere non
mi piacevano. Poi sono andata a vedere la
Carmen di Peter Brook in francese, non
capivo, ma capivo tutto: i personaggi sembrava volassero. Ho scoperto che quello
era il teatro che avrei voluto fare: universale. Ho iniziato a fare l’attrice per il cinema e la televisione, ma non mi bastava.
Avevo un mio modo di vedere le cose. Facendo la scuola di Proietti nell’85 avevo
scritto un testo per due donne che si perdevano in un supermercato e riempivano i carrelli di cose inutili. Poi ho scritto
Ragazze al muro, la cui protagonista è una
ragazza-adulta che non riesce ad uscire
dall’adolescenza, che non ha coscienza di
sé, non si rende conto della sua condizione, ma semplicemente la vive. Nel
quartiere la chiamano il “10 di denari”,
cioè la matta. Ho interpretato questo testo insieme ad una ragazzetta di San Lorenzo, che non aveva mai recitato, in un
locale sotto casa mia ed è stato un successo che non avrei mai immaginato, tanto che l’ho portato in giro a lungo per tut-
“Vorei prende ‘e sembianze de ‘n uccello...un giorno solo...du’ minuti, aprì l’alette
e annamene lontano...me vojo sarvà, me vojo sarvà!” . Ho conosciuto Eleonora
Danco quando, alla Tv delle Ragazze, interpretava il ruolo comico della perenne
“provinante” ogni volta respinta per palese incapacità. Oggi con il suo corpo
efebico, adolescenziale e il sorriso disarmante da bambina, è sempre “una
ragazza al muro”, una ragazza arrabbiata che racconta la condizione umana
degli invisibili e degli emarginati, con un originale senso dell’umorismo.
ta Italia. La prima recensione fu di Nico
Garrone, a cui devo molto.
E infatti ha scritto: “Scatenata energia,
profonda palpabile disperazione, contagiosa euforia, un raro e mai comune senso dell’umorismo”. Perché utilizzare lo
slang romano?
In quel periodo vivevo a San Lorenzo, dove passavo ore da una fruttivendola. Ascoltandola ho assorbito naturalmente il dialetto romano. Io sono di Terracina e credo che non essere nata in una città possa
aiutarti a capire meglio una lingua, a cogliere dall’esterno le sfumature e i comportamenti. Il dialetto romano ha un’arroganza poetica, non ha mediazioni, è poetico nel senso che è infantile, se lo usi in
questo modo, non legato alla battuta.
Il successo ha costituito la spinta per continuare a scrivere?
Al contrario, mi sono fermata e per un lungo periodo molto intenso dal punto di vista della vita vissuta, ho fatto solo piccoli
lavori, anche la comparsa. Quando finalmente ho ripreso a scrivere, non mi sono
fermata più. Ho scritto un atto unico in italiano Nessuno ci guarda, dove il personaggio ha invece una coscienza: entra ed
esce dall’infanzia, mette in discussione
tutto, non riesce ad uscire di casa, perché
ogni volta c’è un ricordo che la riporta indietro. E’ stato scrivendo questo testo che
ho cominciato ad ispirarmi alla pittura di
Jackson Pollock, una pittura in apparenza
casuale, scarabocchi infantili all’apparenza, ma io ci vedo un percorso ossessivo,
matematico. Un suo quadro mi sembrava
cervello schizzato su una parete. Secondo
me l’essere umano è apparente casualità
in una coazione a ripetere: entrare e usci-
In poche righe...
Attrice per Moretti, Bellocchio, Scola, Muccino, Avati, nel 1998 debutta con il suo primo spettacolo Ragazze al muro. Inizia una collaborazione con il regista napoletano Mario Martone per cui scrive Mignotta
’56. Nel 1999 su commissione dello Stabile di Parma scrive Bocconi amari. Nel 2000 vince il festival
di Casalbuttano sulla nuova drammaturgia con il monologo Nessuno ci guarda ispirato alla pittura di
Jackson Pollock. Per Radio Rai Tre realizza il documentario Il vuoto e il monologo Non parlo di me.
Nel 2005 scrive, dirige ed interpreta Me vojo sarvà al Teatro Piccolo Jovinelli di Roma. Nel 2007 debutta al Teatro Palladium di Roma con Sabbia, per la rassegna Garofano Verde, e al Piccolo Eliseo con
il monologo La giornata infinita. Per 4 settimane è al Teatro India con Ero purissima, titolo del libro che
ha pubblicato per Minimum Fax. Sta ultimando la lavorazione del documentario Il collo e la collana da
lei scritto e diretto e la serie di corti Centocretine. In maggio è andata in onda su Sat2000 una monografia sul suo lavoro. Il giudizio della critica sul lavoro di Eleonora Danco è unanime: “Un vero talento, i
suoi monologhi fanno ridere e fanno male, sono crudi e struggenti…”, scrive Marco Lodoli. “Le sue parole sono getti di colore, getti umani, sofferti e vitali”, secondo Mario Martone. “E’ un fenomeno di culto, come scrittrice e interprete di testi corsari…Bravissima” , per Rodolfo di Giammarco, che l’ha sempre sostenuta e incoraggiata. Noi ci auguriamo, come Renato Nicolini, di vedere i suoi spettacoli anche
nei musei d’arte contemporanea.
re da se stessi.
Negli spettacoli l’uso del corpo è così importante ed estremo che potrebbero essere definiti performance artistiche?
Uso molto il mio corpo, ma il mio tipo di
scrittura è classico, non è scrittura scenica, non uso il corpo improvvisando e trovando così il testo. Prima scelgo la condizione che voglio rappresentare, poi scrivo
il testo, che deve avere una sua architettura. Scavo nei personaggi per farli arrivare
in modo diretto, senza dover spiegare, né
fare morali, con l’aiuto del suono, del ritmo. Sono molto rigorosa, tolgo tutto quello che non mi sembra necessario per arrivare ad un’essenza, una verità. Devo prima convincere me stessa, il mio primo
spettatore, poi lavoro sul corpo durante le
prove. Anche se i miei spettacoli sembrano in apparenza casuali, sono molto costruiti, non cambio mai niente, i movimenti sono come delle coreografie. In
Nessuno ci guarda volevo usare il corpo
come colore. Le luci sono molto importanti nel mio lavoro. Per me la luce rappresenta l’inconscio, è come un altro personaggio, come la musica, che ha sempre
montato per me Marco Tecce, utilizzando
musiche già esistenti.
L’impressione è che le emozioni vengano vissute con l’intensità di una trance, è vero?
É una trance lucida. In scena io controllo
tutto, vedo tutto, ma secondo me non si
deve mai spegnere l’ispirazione, anche
quando scrivi devi “andare sotto botta”.
C’è un testo commissionato da Martone
nel 2003 per una rassegna di autori che
venne molto lodato. Si può considerare
Pasolini un punto di riferimento, sia per
l’utilizzazione del dialetto che per l’umanità periferica, disperata ma anche comica dei personaggi ?
Ho visto Accattone a 25 anni e sono rimasta folgorata. Ammiro Pasolini, per il modo passionale, diretto, erotico di raccontare le cose, perché è ironico e leggero, ma
anche fortemente lirico. Lo ammiro perché si è sporcato le mani con la realtà. Seguire l’esempio di Pasolini è incoraggiante, ti dà molta libertà, ma ti induce ad assumerti anche tutte le responsabilità. Per
quella rassegna scelsi di ispirarmi ad un
pezzo in cui attraverso due personaggi Pasolini racconta come stava cambiando la
periferia. La trasformazione della periferia è un tema che mi interessa molto, spesso scrivo i miei testi dopo una serie di interviste a ragazzi che vivono nelle periferie. Non voglio giudicare se prima fosse
meglio o peggio, ma mi rendo conto che
oggi la felicità delle persone passa attraverso “i negozi”. Sono i nuovi punti di riferimento. Non si dice più dietro la chiesa, ma dietro la Standa, l’Upim. Su questo
tema sto realizzando Centocretine, una serie di flash filmati in cui un personaggio
recita all’interno di una vetrina di un negozio mentre la gente passa senza sentire
quello che dice. La sua vita è la vetrina, ma
lei non lo sa.
È l’unica esperienza nel campo dell’audiovisivo?
La mia è una scrittura visiva, per immagini e mi è venuto naturale iniziare
un docu-film su mio padre che vive con
una badante rumena, ispirandomi per
le inquadrature alla poetica metafisica
di De Chirico. È un’esplorazione sul tema della vecchiaia.
Qual è la storia del libro, Ero purissima
pubblicato di recente da Minimum Fax?
É un testo che nel 2007 Albertazzi, direttore del Teatro di Roma, mi diede la
possibilità di rappresentare al Teatro India. E’ stata per me una grande opportunità e devo ringraziare Albertazzi per aver
creduto nella mia scrittura. Nel libro non
c’è Scroscio rappresentato all’Ambra Jovinelli, in cui una donna questa volta borghese ottusa e anche violenta invischiata in un enorme barattolo di crema, né
Sabbia un monologo sull’omosessualità, commissionato da Rodolfo Di Giammarco, in cui non volevo partire dall’accettazione della diversità, ma affermando che siamo tutti “diversi”, parlando di
chi si nasconde, chi reprime l’omosessualità. Sono flash, come disegni sulla
sabbia che poi svaniscono. Il nostro rapporto con il corpo è segnato dal senso di
colpa, spesso condizionato dalla religione, mentre viviamo in un mondo in cui
il corpo viene continuamente esibito, soprattutto in televisione. E’ un messaggio
contrassegnato dall’ipocrisia, perché non
è liberatorio, è una continua allusione al
sesso di cui però non si può parlare correttamente.
Gli scrittori di teatro sono spesso commissionati?
Ho avuto molte occasioni fortunate, ma
sempre casuali. A differenza della Francia, dove i teatri pubblici sostengono i
drammaturghi contemporanei, sovvenzionando sia la scrittura che la messa in scena, per gli autori italiani non
c’è questa possibilità. All’inizio un artista deve lottare, rimanendo il più possibile un tiratore libero, provocare parlando dell’essere umano, mettere in discussione per far riflettere, divertire,
non deve passare per forza dall’istituzione, perché l’istituzione non crea i talenti, ma deve dare loro la possibilità
che questo diventi un lavoro vero, serio, non casuale. É difficilissimo far girare un testo di drammaturgia contemporanea, vendere spettacoli di scrittura contemporanea agli Stabili, senza un
produttore importante alle spalle. Mario Martone ha provato a Torino l’anno
scorso un cartellone di drammaturgia
contemporanea. Speriamo che sia andato bene.
VIVAhanno detto
a cura di Daniela Nicolai
Foto Sophie Bassouls-Sigma
SYLVANO
BUSSOTTI
Nei linguaggi del
suono e della musica
non vedo grandi
differenze. A volte la
canzonetta, che viene
banalmente presentata come una cosa
minore, è in realtà assai più bella e riuscita
di tante pretenziose opere della grande
musica. Lo capì perfettamente Proust che a
proposito della musica popolare disse: è la
grazia e il pensiero per milioni di persone.
La Repubblica, 7 aprile 2010
ANNA OLIVERIO
FERRARIS,
PSICOLOGA
La parola lascia uno
spazio da riempire. La
mente è libera di
creare, pescando
anche dalle proprie esperienze. Questo è
utile soprattutto nella fase evolutiva perché
sviluppa tutte le potenzialità del cervello.
Quando un bimbo legge silenziosamente è
più attivo che quando si dimena davanti ad
un videogame.
Corriere della Sera, 10 aprile 2010
ROSSANA
CARRETTO
(sulla lotta alla
pirateria) di certo il
giovane non ama che
gli si punti il dito,
preferisce invece
che il concetto gli
venga comunicato attraverso il proprio
linguaggio ed essere trattato come
individuo responsabile… A mio avviso
bisognerebbe potenziare sia l’aspetto
didattico-formativo che il supporto che
permetterà loro di inserirsi nel mondo
del lavoro, creare un vero e proprio
“ponte” che possa collegare l’autore di
talento con l’industria dello spettacolo e
delle arti in genere. E’ anche vero che
oggi un certo tipo di televisione ha
abituato il giovane a pensare che per fare
l’artista basta avere successo in un
qualche talent show. In realtà per l’arte
non è cambiato nulla: per vivere di questo
mestiere ci vuole, oltre che il talento,
tanta gavetta e tanto sudore per non
sapere, alla fine, dove si arriverà.
www.siae.it, 27 aprile 2010
LUCA RONCONI
Il conformismo è più
forte, i tempi non
sono felici per il
teatro, c’è
disattenzione da
parte del potere
politico ma anche
della stampa. Si danno alcune notizie,
poche, e si abbandona una qualsiasi
analisi, anche critica. Ma sotto la cappa
dell’indifferenza istituzionale, il pubblico
è numeroso e in cerca di qualità. Peccato
che sia penalizzato, è un potenziale che
non va fatto deperire.
La Stampa, 20 aprile 2010
OSCAR MAGI
GIUDICE DELLA IV
SEZIONE PENALE
DEL TRIBUNALE
DI MILANO
Internet è un
formidabile
strumento di
comunicazione fra le persone, ma non
può essere una prateria sconfinata dove
tutto è permesso e niente può essere
vietato pena la scomunica mondiale del
popolo del web, anche perché non c’è
peggior dittatura di quella esercitata in
nome della libertà assoluta.
Adnkronos, 12 aprile 2010
Foto Attilio Marasco
MOGOL
L’Italia ha vissuto per
anni di snobismo
accademico, ora si sta
scoprendo che
Battisti e De André
erano importanti. Il
secondo errore è che si apre troppo al
mondo amatoriale. Si cerca il petrolio dove
non ci può essere. Una volta non c’erano le
scuole, ma c’era una discografia che
lavorava. Uno come Dalla, quanto ci ha
messo a diventare quello che è? Oggi non è
possibile. Al secondo disco, se non
funziona,vai già a casa.
La Repubblica, 8 aprile 2010
ROBERTO MARONI
Non rinuncio mai
alla musica: in aereo
ho sempre l’iPod e
anche in ufficio c’è
sempre musica di
sottofondo. Fra lo
stupore dei tecnici
del ministero, mi
sono fatto anche installare eMule sul pc
per scaricare gratis. La mia è e vuole
essere una provocazione, perché credo
che la soluzione non sia quella francese di
tagliare il collegamento a chi scarica
illegalmente canzoni. La soluzione è
creare un sito protetto, sicuro e legale,
dove i ragazzi possano scaricare brani i
cui diritti d’autore sono garantiti
dall’intervento di uno o più sponsor.
Questa è la via maestra per tutelare sul
serio i diritti di tutti. Altrimenti, diventa
difficile convincere mio figlio di 13 anni a
non prendersi la musica da internet. La
situazione di oggi è come scendere in
strada e trovare un banchetto con la
scritta “frutta gratis”.
Panorama.it, 13 aprile 2010
MALIKA AYANE
Nei reality show ci
sono luci ed ombre.
La cosa interessante è
che vengono offerte
chance reali a ragazzi
seri e preparati. Ma spesso passa l’idea che
avere un minimo di talento vocale conduca
automaticamente a una carriera di cantante.
Ecco, questo non è vero e fa male a tutti.
Alla musica e a chi si illude.
Panorama, 22 aprile 2010
LORIN MAAZEL
E’ grave il
comportamento di
quei critici che fanno
una guerra spietata
contro tutti i giovani
con idee originali,
mentre non dicono una parola contro gli
affaristi senza scrupoli che girano intorno al
mondo della musica classica. Mi sembrano
come quei poliziotti che si concentrano
sulle multe agli automobilisti e chiudono gli
occhi di fronte alla mafia.
La Repubblica, 21 aprile 2010
Foto Bill Bernstein
Foto Basso Cannarsa
GILLO DORFLES
E’ tempo che i critici
ritornino a fare il
loro mestiere. Nella
mia mostra milanese
recente, a Palazzo
Reale, mi ha colpito
come non mi sia stato mosso nessun
rilievo veramente critico: né in positivo,
né in negativo. Niente. Solo entusiasmo
di facciata senza il coraggio di formulare
un vero giudizio. Il che è una abitudine
sempre più frequente.
Corriere della Sera, 11 aprile 2010
RENZO ARBORE
Oggi si è andati
troppo oltre e la
trasgressione è
diventata una parola
conformista. Tutti
fanno trasgressione
pur di andare sui
giornali oppure per guadagnare di più al
botteghino e per conquistare un punto di
share in più in tv. La colpa è del mercato:
oggi si fa tutto rigorosamente in funzione
del mercato. Noi facevamo umorismo
goliardico, scherzavamo con i tabù,
sapevamo ridere delle nostre stesse battute
perché era l’umorismo dell’ingegnere che
scherza con chi sta in basso per ridere della
sua stessa battuta. Oggi invece la goliardia è
diventata sinonimo di volgarità. Oggi esiste
solo l’umorismo usa e getta basato
sull’attualità che ti fa andare sui giornali ma
che tra dieci anni non farà più ridere
nessuno.
Agi news on, 20 aprile 2010
Foto A. Primavera
LEOPOLDO
LOMBARDI
Non credo di fare
della demagogia
rivendicando il
diritto di poter
proteggere la
proprietà
intellettuale di fronte
alla pirateria su internet. In termini di
normative internazionali, non c’è solo
l’Hadopi francese che punisce chi scarica
illegalmente musica, film, serie Tv e
software. Già a fine 2009 la Spagna aveva
inserito la violazione della proprietà
intellettuale fra i motivi che possono
giustificare l’interruzione del servizio da
parte degli ISP. Ora anche il Regno Unito
ha la sua nuova legge anti P2P illegale.
Segno che ovunque si avverte la necessità
di garantire PIL e posti di lavoro
soprattutto in un momento come l’attuale.
Comunicato AFI del 12 aprile 2010
GABRIELE
MUCCINO
Il più grande limite
di Roma, e di tutto il
paese, è che non si
guarda fuori. Ci
accontentiamo di
quello che il nostro
compagno di banco sta facendo, siamo in
competizione solo col vicino. Questo
restringe molto la qualità del prodotto
finale. I prodotti nostrani, quindi,
rischiano di essere ingenui e poco
competitivi; chi deve fare cinema si
impigrisce, perché sa che il competitor è
alla portata. Quando ho fatto film negli
Usa mi sono confrontato con i giganti del
cinema internazionale: una dimensione
angosciosa e agonistica, che mi ha
costretto a tirare fuori tutto il talento e
tutte le armi possibili.
Il Sole 24 Ore Roma, 14 aprile 2010
VIVAVERDI
55
ROBERTA TORRE
Da spettatrice mi
sembra che il nostro
cinema si sia un po’
involuto, sono
pochissimi i film che
sceglierei di vedere.
Uno dei maggiori problemi è l’autocensura
preventiva legata al rapporto coi
produttori… Mi sembra che certi
argomenti siano considerati tabù, di morte
di malattia, di sesso, di violenza non si può
parlare. E poi si tende a riciclare gli stessi
attori all’infinito, sempre gli stessi, negli
stessi ruoli, sia in tv che al cinema.
Insomma, non mi pare che questo sia, per
la nostra cinematografia, un momento
meraviglioso.
La Stampa, 27 aprile 2010
VIVAVERDI
56
cultura
STORIA DELLA SIAE/4
LA SFIDA
DI MARCO PRAGA
di Maria Cristina Lòcori
Nella scorsa puntata si è parlato della
natura giuridica della Società degli Autori, che nata a Milano nel 1882 come
associazione approda nel 1891 al riconoscimento come ente morale. Negli
anni a cavallo fra ‘800 e ‘900 la Società
Italiana degli Autori comincia a strutturarsi come organizzazione in un Paese dall’economia ancora prevalentemente agricola. Migliaia di italiani varcano l’Oceano in cerca di fortuna. E’
l’Italia umbertina delle carrozze a cavallo e delle mongolfiere, ma anche dei
primi tranvai e delle ferrovie; delle innovative encicliche di Leone XIII, il primo Papa senza potere temporale, che
fonda la moderna dottrina sociale cristiana, affrontando il problema dei diritti e dei doveri del capitale e del lavoro, e di Pio X, fiero avversario delle teorie moderniste e socialiste. Il corpo elettorale del paese si amplia: se con la riforma elettorale Depretis del 1882 era
passata dal 2% al 7% della popolazione,
con la legge giolittiana del 1912 raggiungerà il 23%, ma le Camere respingeranno all’unanimità il suffragio femminile.
Nel frattempo in tutta l’Europa si afferma il positivismo con l’esaltazione del
All’inizio del Novecento la Società Italiana degli Autori opera a pieno titolo in un
mondo culturale in grande fermento. Dalla sua sede di Milano la Sia muove con
passo deciso verso una organizzazione più complessa, radicandosi sul
territorio e stabilendo contatti proficui con le istituzioni e con gli utilizzatori.
La nuova figura del Direttore Generale è affidata a Marco Praga, che pone le
basi per la Siae del futuro.
metodo scientifico e del progresso, che
porta benefici nella vita quotidiana
(dall’energia elettrica ai servizi igienici, fino alla sconfitta delle malattie) e
un conseguente ottimismo. Molti scienziati, in qualità di autori delle proprie
pubblicazioni, aderiscono alla Sia: dall’antropologo Paolo Mantegazza a Cesare Lombroso, discusso padre della criminologia forense, e all’astronomo Giovanni Schiaparelli; dall’abate Antonio
Stoppani, geologo, paleontologo ed archeologo a Francesco Brioschi, genio
indiscusso del calcolo algebrico; fino ai
medici Malachia De Cristoforis, che dà
dignità di disciplina autonoma alla ginecologia e combatte battaglie per l’igiene e per la cremazione, e Gaetano Pini,
impegnato nel sociale per contenere la
mortalità. Accomunati da una vicenda
particolarissima i sacerdoti Roberto Ardigò, fondatore della psicologia italia-
na, e Gaetano Trezza, scrittore e filologo, che, posti di fronte al dilemma fra i
dogmi della Chiesa cattolica e il positivismo e l’evoluzionismo di Darwin, abbracciano entrambi queste ultime correnti di pensiero e dismettono l’abito
ecclesiastico.
Le tecnologie dei mezzi di diffusione
della stampa registrano innovazioni tali da consentire la costruzione di nuove
tipografie; libri e giornali diventano
maggiormente accessibili a più ampi
strati sociali: quotidiani, periodici, collane di poesia, narrativa e teatro sono
distribuiti con una rapidità senza precedenti. E’ il momento degli editori che
sanno adeguarsi alle nuove esigenze di
mercato. Fra i Soci più attivi della Sia
troviamo i nomi illustri dell’editoria libraria e musicale, da Giulio Ricordi
(Consigliere dal 1889) a Emilio Treves
(primo Vicepresidente della Sia), da Er-
57
VIVAVERDI
Il libretto di La Bohème rappresentata per la prima
volta al Teatro Regio di Torino il primo febbraio
1896, diretta dal ventinovenne Arturo Toscanini.
manno Loescher ad Annibale Rechiedei. Tra questi Ulrico Hoepli (più volte
Vicepresidente), l’inventore dei celebri manuali, che consentono per poca
spesa di documentarsi su ogni materia.
Anche Edoardo Sonzogno, importante
editore nel settore delle collane economiche, dei quotidiani e dell’editoria
musicale, dove è diretto concorrente
della ditta Ricordi: mentre la Scala è
considerata un feudo di Ricordi, Edoardo Sonzogno rifinanzia e fa restaurare il Teatro Lirico di Milano, le cui stagioni sono per lo più improntate al melodramma verista. Aveva fondato Il Secolo che per molti anni era stato il quotidiano italiano a più alta tiratura, con
un’impronta democratica, in contrapposizione con il conservatore La Perseveranza, diretto da un altro socio della
Sia, Ruggero Bonghi. Entrambi i giornali subiscono però il crescente successo del Corriere della Sera, fondato e
diretto da un altro aderente alla Sia, Eugenio Torelli Viollier. Quest’ultimo,
giornalista e politico, ex-garibaldino e
poi conservatore moderato, ideatore e
co-fondatore nel 1876 del Corriere della Sera, è personaggio fiero della indipendenza del suo giornale innovativo
sotto diversi aspetti. Parola d’ordine:
“ Informare prima di tutto ”, anche
quando, a costo di far perdere copie al
suo foglio, si affretta ad anticipare alla cittadinanza le notizie più importanti (come l’esito delle elezioni) affiggendo cartelli alle finestre della redazione e battendo sul tempo i concorrenti.
In un contesto così articolato e composito, nel 1896 interviene a porre le basi della Sia quel Marco Praga che riunisce in sé molte caratteristiche spesso
considerate incompatibili: la creatività
del commediografo di successo, la for-
VIVAVERDI
I problemi economici degli autori sono talmente
diffusi e conosciuti da ispirare la pittura di genere,
legata ad una concezione aneddotica della realtà.
Questa arguta rappresentazione dell’artista
bohémien di Karl Spitzweg (Il poeta povero, Monaco.
Collezioni statali bavaresi), richiama le iniziative
anche solidaristiche della Società degli autori
58
cultura
mazione tecnico-contabile (ama definirsi “ragioniere milanese”), la capacità di leggere i segnali provenienti dalla
realtà sociale che, in Italia e all’estero,
è in continua evoluzione.
Il nuovo Direttore generale – che lascerà l’incarico solo nel 1911, optando per
la direzione della Compagnia stabile del
Teatro Manzoni di Milano, salvo poi tornare in veste di Presidente nel primo
dopoguerra - si attiva prima di tutto
per sanare il deficit di bilancio e per organizzare quella rete territoriale capillare che sarà in futuro una delle più preziose peculiarità della Sia, di cui evidenzia la funzione di Agenzia intermediaria. Lavora indefessamente per questi obiettivi, con “cure assidue, vigili e
minuziose”, condividendo con gli agen-
ti distribuiti sul territorio (il cui numero cresce in modo esponenziale) gli elogi che gli provengono dagli Autori, soddisfatti dei tangibili progressi nelle funzioni di riscossione dei diritti. Inflessibile con gli impresari e i capocomici,
ma anche con i Soci Autori se provano
a forzare le regole, ottiene visibilità per
la struttura e fiducia personale: basti
pensare che alcuni Soci gli accordano
prestiti anche cospicui per sanare provvisoriamente il bilancio del 1896 e dare nuovo impulso alla Società. Non
mancano, naturalmente, occasioni per
polemiche con i soggetti danneggiati
dalla sua determinata volontà di promuovere il repertorio nazionale e di effettuare energici controlli sulle produzioni francesi importate in Italia: dopo
anni di acceso confronto con Adolfo Re
Riccardi (principale importatore di opere drammatiche francesi) e con la Società degli Autori d’Oltralpe, si pongono le basi per i rapporti di reciprocità
con quest’ultima, mentre la gestione
dell’intero repertorio del primo è assunta dalla Sia nel 1904.
Avvalendosi poi della conquistata stabilità, Praga dà attuazione ad un fine statutario che – fino a quel momento – era
stato accantonato per motivi economici: dal 1903 la Società istituisce il Mutuo Soccorso, attraverso il quale il Consiglio Direttivo elargisce, con grande
oculatezza, sussidi e prestiti ai Soci in
difficoltà, oltre a coprire le spese processuali in occasione di procedimenti a
difesa della violazione del diritto d’au-
tore degli associati.
Sotto la presidenza di Leopoldo Pullè
(dal 1906 al 1913) e di Arrigo Boito (dal
1913 al 1916), il Consiglio Direttivo della Sia vede l’alternanza di nomi illustri
che subentrano ai Fondatori: fra i Consiglieri figurano nomi di spicco come,
fra gli altri, Antonio Fogazzaro, Giaco-
mo Puccini, Sabatino Lopez, Tito Ricordi, Pietro Mascagni.
Con il passare degli anni anche il testo
dello Statuto si evolve in funzione delle esigenze della base associativa e delle loro priorità: modifiche sono apportate dall’Assemblea nel 1900 (R.D. 21
febbraio 1901, n. LV) e nel 1905 (R.D.
WAGNER E PUCCINI
Alla fine del XIX secolo il diritto d’autore è regolato in Europa in modo ancora disomogeneo, anche
relativamente alla sua durata. In Austria il diritto di rappresentazione o esecuzione di un’opera drammatica o musicale è accordato, oltre all’Autore, agli eredi per soli dieci anni dalla sua morte. Accade così che con il 31 dicembre del 1893, a dieci anni dalla scomparsa di Richard Wagner, la moglie
e i figli rischino di perdere ogni diritto sul repertorio del grande maestro, ancora richiesto da tutti i
più grandi teatri. Il Governo austriaco, sensibilizzato sul problema, coll’assenso delle due Camere
dell’Impero, provvede, con una legge generale, a prorogare per tutti di due anni la durata dei diritti
d’autore.
Analoga situazione si presenta in Italia, alla scadenza dei diritti d’autore su Il barbiere di Siviglia di
Gioacchino Rossini, il cui beneficiario è il Liceo Musicale di Pesaro. “La legge vigente (L. 19 settembre 1882, n.1012) fissa in ottanta anni la durata del diritto di proprietà delle opere adatte a pubblico spettacolo, di azioni coreografiche e di qualunque composizione musicale e stabilisce che tale durata abbia principio dal giorno in cui ebbe luogo la prima rappresentazione o la prima pubblicazione dell’opera. Il Re Umberto I, ritenuto che l’opera musicale Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino
Rossini (…) cadrebbe nel dominio pubblico il 16 febbraio 1896 e che il Liceo Musicale di Pesaro vive in gran parte cogli utili che ricava dalle rappresentazioni dell’opera suddetta, e che tali utili cesserebbero col passaggio di essa nel dominio pubblico, turbando per tal modo l’andamento di questo nobile Istituto creato dalla munificenza dell’immortale Gioacchino Rossini, interviene con un Decreto Reale (che non richiede il previo esame delle Camere) e proroga di due anni il termine della durata del diritto di proprietà stabilito per l’opera Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini”.
Il sommo giurista Enrico Rosmini confronta i due casi su “I diritti d’autore – Bollettino degli atti e notizie della SIA”, anno XV, aprile 1896, n.4, pag. 31, e commenta: “..e così si provvide agli interessi
della famiglia Wagner; le opere del grande alemanno non dovevano in Austria cadere nel dominio
pubblico prima che in Germania e negli altri Stati, ma ciò fu fatto con una disposizione d’ordine generale ed estesa a tutti gli abitanti dello Stato che potevano trovarsi nelle medesime condizioni. Successivamente, con la nuova legge austriaca 26 dicembre 1895 concernente i diritti d’autore sulle
opere di letteratura, d’arte e di fotografia, §43, si portò la durata di questi diritti fino a 30 anni dopo la morte dell’autore. Il nostro Decreto-legge del 10 febbraio 1896, invece, non ha osservato le
forme dell’art. 3 dello Statuto (Albertino, ndr), il quale dice il potere legislativo esercitarsi collettivamente dal Re e dalle due Camere: è una legge ad personam, che potrà invocare le attenuanti delle
buone intenzioni”.
VIVAVERDI
59
1° febbraio 1906). Con quest’ultimo Statuto è introdotta la distinzione fra Soci
effettivi e aderenti. I Soci effettivi pagano una tassa di ammissione, un contributo annuo, l’aggio, prendono parte
alle Assemblee generali, sono eleggibili alle cariche sociali, hanno i diritti di
tutela stabiliti dallo Statuto e fruiscono
del Mutuo Soccorso. I Soci aderenti sono esonerati dalla tassa di ammissione
e dal contributo annuo, ma non dall’aggio; hanno i diritti di tutela stabiliti dallo Statuto ma non intervengono alle Assemblee, non fruiscono del Mutuo Soccorso e non sono eleggibili alle cariche
sociali (salvo per la Commissione per i
Piccoli Diritti Musicali).
Sfogliando il Partitario (ovvero il registro nel quale si annotavano coloro che
maturavano proventi) dei primi 15 anni del secolo, si trovano Soci effettivi
dai nomi ancora noti, come Ferdinando Bideri e Carisch&Janichen, ma colpisce che avessero optato per la qualifica di aderenti, almeno in quegli anni,
personaggi del calibro di Ildebrando
Pizzetti, Libero Bovio, Luigi Illica, Salvatore Di Giacomo, Edoardo Di Capua
e persino Giacomo Puccini.
Tra gli autori di opere drammatiche o letterarie, ecco iscriversi Matilde Serao, Annie Vivanti Chartres, Gabriele D’Annunzio, Aldo De Benedetti, Sem Benelli, Ettore Petrolini, Luigi Pirandello, Ermete Zacconi, e le regine delle scene Adelaide Ristori ed Eleonora Duse.
Di fatto la base associativa nel 1906 è
rifondata sulla base dei nuovi criteri: da
circa 300 Soci nel 1906, il traguardo dei
mille è superato nel 1910 fino a raggiungere 1500 nel corso della I Guerra
mondiale: interessante notare che il dato non deflette in corrispondenza dell’evento bellico.
VIVAVERDI
Sotto, la copertina del 45 giri Champagne
in edizione francese, con la fascetta “n. 1 en Italie”
su una bottiglia di una famosa marca .
A fianco, Antonio Pecci Filho in arte Toquinho con
Sergio Iodice, suo collaboratore fin dal 1997
60
musica
INTERVISTA A SERGIO IODICE
“SONO UN ARTIGIANO DI SOGNI,
COI PIEDI PER ARIA”
di Flaviano De Luca
Chi l’ha dimenticato lo scialle della
mamma? La prima timida copertura
dello spogliarello di una ragazza ( E lo
scialle della mamma/ guarda un po’ che
fine fa… La camicia di velluto/ lentamente cade giù, poi mi dici/” Non sta
bene tu non puoi veder di più”). Era la
strofa acchiappa uditorio, il gancio verbale di Non lo faccio più, la canzone
vincitrice del Festival di Sanremo 1976,
cantata da Peppino di Capri ( al suo secondo successo sulla riviera ligure) e
scritta da Sergio Iodice per il testo e
Depsa (Salvatore De Pasquale) per la
musica. “Quello è stato un grande riconoscimento pubblico del nostro lavoro
– confessa Sergio Iodice, napoletano,
per tanti anni avvocato di un importante istituto di credito, profondamente innamorato del pentagramma e delle parole giuste - Eravamo un gruppo di ragazzi, animati da un grumo di passioni,
innanzitutto la musica, instancabili
ascoltatori di Sanremo e del Festival di
Napoli, e le poesie, i bigliettini che scrivevamo alle ragazze, poi quello che ci
succedeva intorno, le trasformazioni
della nostra società meridionale. Venni in contatto con Peppino Di Capri, al-
Ha scritto centinaia di canzoni compresi grandi successi come Champagne per
Peppino Di Capri, Balliamo per Fred Bongusto e Vola per Eduardo De
Crescenzo, brani che sono diventati classici dei locali notturni e dei pianobar.
Eppure Sergio Iodice, autore di testi da oltre trent’anni, si entusiasma a
raccontare del suo ultimo progetto, titolo provvisorio Opere d’arte, la versione
italiana del nuovo disco di Toquinho, dodici canzoni con le liriche del poeta
cileno Antonio Skarmeta, quello di Il Postino, che verrà pubblicato in autunno
contemporaneamente in spagnolo, portoghese e italiano.
lora in un periodo di stanca della sua
carriera, e gli detti un parere spassionato su alcuni brani che aveva in pre-
parazione. A me non piacevano granché. Lui apprezzò la mia sincerità e cominciammo a collaborare… Il primo
brano fu Barbara, un 45 giri del 1970,
uno dei primi per l’etichetta discografica fondata proprio da Peppino, la
Splash. Un brano nato sulle ali dell’entusiasmo e scritto per la moglie del cardiologo Christian Barnard, in quel periodo in vacanza a Capri. Il primo grande successo fu, invece, Champagne, un
singolo del 1973, scritto con Di Francia
e Depsa, che inizialmente stentò, poi si
affermò in Italia e in Europa”.
La leggenda racconta che il motivo cominciò a farsi largo in un taxi, sulla tortuosa via Tasso che collega il Vomero alla città storica, Sergio era in compagnia
di Mimmo Di Francia che aveva in men-
te questo motivo da giorni. “Un brano
che espone un po’ la mia filosofia. Il titolo è importante e farà sì che la canzone verrà associata alle feste e ai brindisi. Ma è il secondo verso che dà il senso giusto e indirizza l’andamento.
Champagne/ per brindare a un incontro/ con te che già eri di un altro/ …./
Champagne/ per un dolce segreto/per
noi/ un amore proibito” . Peppino di
Capri lo portò a Canzonissima ma si
classificò solo quinto poi negli anni il
brano è diventato un classico con milioni di copie vendute in tutto il mondo
(ed è la canzone italiana più eseguita nei
night club e locali notturni all’estero).
Fino al 1979, l’anno in cui le strade dei
due amici si separano, Iodice scrive decine di canzoni per Di Capri, tra cui Auguri, Magari, Incredibile voglia di te,
Fiore di carta (la versione italiana di
How deep is your love dei Bee Gees),
Ammore scumbinato (in napoletano) .”
Il secondo grande personaggio della sua
carriera è Fred Bongusto, “ meticoloso,
appassionato, grande giocatore di tennis”. Nacque un po’ per caso, “gli portai Facciamo pace, scritta insieme con
Paolo Moscarelli”. Da subito la collaborazione produsse buoni frutti come
Balliamo (1977), un classico del pianobar, grande successo nei locali notturni, la canzone tipica per un tenero
guancia a guancia (Balliamo, è da tanto tempo che non lo facciamo/ balliamo, c’è la musica che piace pure a te/
andiamo, questa sera sono in vena di
follie/, noi due stretti stretti come tanto tempo fa) alcuni brani della colon-
na sonora di La cicala, di Alberto Lattuada (che vince il Nastro d’Argento
per la migliore colonna sonora, nel
1980), Cantare (1986) e Scusa (1989),
entrambe presentata al festival di Sanremo. Negli anni novanta scrive Vola
per Edoardo De Crescenzo, sulla musica di Maurizio Morante.
“Fu abbastanza piacevole mettere su il
tour Due ragazzi irresistibili (una produzione dell’impresario Fausto Paddeo)
con Bongusto e Di Capri, uno spettacolo davvero entusiasmante, una raffica
di canzoni melodiche davvero importanti tra il tono confidenziale di Bongusto e la voce carezzevole di Peppino. Si
erano trovati sul palco l’uno accanto all’altro d’estate a Sant’Angelo di Ischia,
in una magica serata d’agosto e proprio
lì nacque l’idea di fare una tournée insieme. Ognuno con la propria band,
scambiandosi i brani, così Bongusto
cantava Nun è peccato e Peppino Doce
doce, raccontando la nascita e la fortuna delle varie canzoni, fino a Fatti così,
cantato insieme dai due (scritta da Iodice insieme a un giovane musicista,
Giovanni Di Gennaro,ndr), che diventerà anche un cd live, registrato nel
1996. Un vero trionfo di spettatori, con
date anche all’estero”. Successivamente ci fu anche il tour insieme di Fred
Bongusto con Toquinho, il chitarrista e
cantante brasiliano che ha lavorato lungamente con Vinicius de Moraes, e ha
lontane origini molisane. Da quell’incontro venne fuori Brasiliando, una
canzone e un album di successo. (Io che
sono nato brasiliano/ potrei essere ita-
liano/differenza non ce n’è/ Noi che abbiamo il mare nelle vene/ siamo frutti
di stagione, siamo uguali a te/ quanti innamorati sogneranno/ quante notti balleranno se tu canti insieme a me) e un
rapporto d’amicizia, duraturo nel tempo. Così , dopo aver scritto Aeroplani di
Toto Cutugno (su musica di Claudio Romano e dello stesso Cotugno, presentato all’ultimo Sanremo), Iodice è al lavoro sulla dozzina di canzoni scritte da
Toquinho, col testo di Skarmeta in spagnolo, un album prodotto da RaiTrade
che uscirà in autunno. ”Ho passato
un’intera giornata con un ragazzo di madrelingua brasiliana per decifrare il testo di Toquinho. Ci vuole grande attenzione perché una cosa è il senso della
canzone che si può riprendere e va bene, un’altra cosa la scelta delle parole
per adattare le sonorità originali. Ma è
un lavoro entusiasmante, un’abilità manuale da artigiano dei sogni, uso la penna invece del bulino per far venire fuori situazioni e frasi che trasmettano
emozioni, che funzionino con la musica”. Ma esiste un segreto per afferrare
il momento e l’ispirazione per mettere
giù le liriche di una canzone? “Nel nostro mestiere quello che conta è l’entusiasmo e la passione, anche e sopratutto nei momenti di stanca perché poi arrivano sempre nuove emozioni. Tra queste attualmente c’è la collaborazione
musicale con mia figlia Vanina che alterna il suo lavoro di scrittrice, ha appena pubblicato il suo primo romanzo,
(Il broncio, per Kairos Edizioni) con
quello di autrice. Proprio in questi giorni abbiamo ultimato un nuovo brano che
già amo da morire su musiche di Gabriella Barbagallo, giovane e valente musicista siciliana. Scrivere con la propria
figlia è un’esperienza magica. La magia
che ci rende uguale ai bambini quando
sono seduti: non stiamo mai con i piedi per terra”.
VIVAVERDI
61
VIVAVERDI
Francesco d’Avalos, compositore e direttore
d’orchestra, autore del dramma musicale
Maria di Venosa sulla figura della sfortunata
principessa, che fu sua antenata
62
lirica
FRANCESCO D’AVALOS
MARIA E FABRIZIO,
IL PIU’ TRAGICO
ADULTERIO DEL BAROCCO
di Dario Oliveri
Genio e follia: questo binomio si adatta
perfettamente all’esperienza del “principe dei musici” Carlo Gesualdo di Venosa (1566-1613), le cui ultime opere tra cui il Quinto e il Sesto libro dei madrigali a cinque voci e i Tenebræ Responsoria, tutti pubblicati nel 1611 - riflettono il furore e le ombre del Barocco italiano al pari dei versi iperbolici di
Giambattista Marino (È del poeta il fin
la meraviglia/.../chi non sa far stupir,
vada alla striglia”), delle colonne vitinee
concepite da Bernini per il baldacchino
di San Pietro, delle immagini affioranti dal buio di Caravaggio, enfant prodige e artista maledetto del suo tempo, colpevole - come Gesualdo - di omicidio e
costretto alla fuga. A Malta e in Sicilia il
Caravaggio realizza alcune delle sue opere più drammatiche (La decollazione di
San Giovanni Battista, La sepoltura di
Santa Lucia, La resurrezione di Lazzaro), che vedono la luce tra il 1608 e il
1609, negli stessi anni cioè che Gesualdo trascorre in solitudine nel suo Castello dell’Irpinia, “arroccato su un monte”. Poco più di vent’anni prima, egli
aveva sposato la bellissima cugina Maria d’Avalos (1560-1590): “Il matrimo-
A Napoli, a pochi passi dalla Chiesa di san Domenico Maggiore, basilica gotica e
luogo di sepoltura dei nobili aragonesi, c’è la misteriosa, inquietante e sublime
Cappella Sansevero, ricca di opere d’arte di valore inestimabile, e l’imponente e
cupo palazzo dei principi di Sansevero. Nel Seicento fu teatro di un terribile
delitto, organizzato da Carlo Gesualdo di Venosa, aristocratico e proprietario
terriero che coltivò la musica per diletto, diventando un eccezionale madrigalista.
L’uccisione dei due amanti Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa, nobili di famiglia e
di celebrata bellezza, si è impressa profondamente nella coscienza del popolo
napoletano ed è stata ricordata, per diversi secoli, da cantastorie di strada come
da autori colti. Un posto di rilievo merita il dramma in due parti Maria di Venosa,
scritto nel 1992 dal compositore e direttore d’orchestra Francesco d’Avalos,
discendente della sfortunata principessa.
nio”, scrive Giovanni Iudica, “fu celebrato nel 1586 nella chiesa di San Domenico Maggiore con magnificenza. Il
cardinale di Napoli e il cardinale d’Aragona concelebrarono l’uffizio. Era presente, a fianco dei parenti degli sposi, il
viceré, duca di Ossuna. [...] Quando Carlo e Maria si affacciarono sul sagrato, il
popolo restò per un attimo senza fiato e
poi uno scroscio di applausi e di grida
accolse gli sposi”. Assediata da complimenti e galanterie di ogni genere, Maria riuscì a respingere perfino la corte
dello zio del marito Giulio Gesualdo, che
pure tentò varie volte di “farla pieghe-
vole alle sue voglie”, ma cedette alla corte del duca Fabrizio Carafa, incontrato
per la prima volta a una festa da ballo.
Nell’ottobre del 1590, quando “la storia
di quell’adulterio era ormai sulla bocca
di tutti” e il popolino già “si eccitava in
racconti scurrili di crapule amorose“,
Gesualdo decise di tendere una trappola ai due amanti e di ucciderli con l’aiuto dei suoi fedelissimi. L’istruttoria del
processo durò meno di un giorno e si
concluse con un’annotazione del viceré, conte Miranda, in cui si ordinava l’archiviazione del caso “stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mos-
so don Carlo Gesualdo principe di Venosa ad ammazzare sua moglie e il duca
d’Andria come sopra”. Dopo un anno di
volontario esilio nel suo castello, Gesualdo fece ritorno a Napoli, “attratto e
come calamitato da quella casa [...] in
cui si era consumata la sua tragedia” e
nel febbraio del 1594 sposò Eleonora
d’Este, nipote di Alfonso II duca di Ferrara e di Urbino (che a sua volta era nipote di Lucrezia Borgia e aveva sposato
in prime nozze una figlia di Cosimo de’
Medici): un mese prima delle nozze, a
Gesualdo venne recapitata una lettera di
congratulazioni e di augurio del re di
Spagna Filippo II.
La tragica fine di Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa si impresse profondamente
nella coscienza del popolo napoletano
(che prese fin dall’inizio le parti dei due
amanti) e fu cantata sia da artisti popolari come Giovanni della Carriola e lo
Sbruffapappa, “un omone gigantesco [...]
e dal passato burrascoso, che intonava
rime tenere e delicate”, che da autori ben
più colti come Ascanio Pignatelli e in seguito Giambattista Marino e persino
Torquato Tasso, “l’amico di famiglia, il
beneficiato, il mantenuto di casa Gesualdo”, che scrisse un sonetto in cui
piangeva la sorte dei due amanti, ma non
certo del marito. Tra i compositori del
nostro tempo che hanno portato sulle
scene l’amara vicenda, si ricordano invece Gino Negri, autore dell’atto unico
Diario dell’assassinata (1978), interpretato a suo tempo da Milva; Arthur
Schnittke, al quale si deve un controverso Gesualdo (1995) in cui la tragedia
cinquecentesca si trasforma un semplice fatto di cronaca nera; Salvatore Sciarrino, che al “principe dei musici” rende un doppio, raffinatissimo omaggio:
quasi cifrato il primo, l’opera in due atti Luci mie traditrici (1996-98), in cui
63
la “Malaspina brucia d’amore per l’Ospite / il suo sposo sa del tradimento / mostra alla donna di perdonare / tuttavia si
vendica sanguinosamente”; più esplicito (seppure stilizzato) il secondo, la Terribile e spaventosa storia del Principe di
Venosa e della bella Maria (1999), nel
quale i pupi siciliani e il cunto di Mimmo Cuticchio svelano gli aspetti più
“eroici, patetici e farseschi” del tema. In
questo scenario di evocazioni, occupa
tuttavia una posizione assolutamente
unica il dramma in due parti Maria di
Venosa, ultimato nel 1992 dal compositore e direttore d’orchestra Francesco
d’Avalos (Napoli 1930), discendente della sfortunata principessa. Allievo di
Francesco Vitale al Conservatorio di San
Pietro a Majella e di Paul van Kempen,
Sergiu Celibidache e Franco Ferrara al-
VIVAVERDI
Carlo Gesualdo, sorretto da San Carlo Borromeo, riceve
il perdono dei suoi peccati. Un particolare della “ Pala
del perdono” (1609), il dipinto di Giovanni Balducci
che si trova nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie
di Gesualdo, il paese in provincia di Avellino.
Torquato Tasso scrisse a proposito della tragica sorte
di Maria e Fabrizio,” Piangi, Napoli mesta, in bruno
ammanto/ Di beltà, di virtù l’oscuro occaso/E in lutto
l’armonia rivolga il canto”
VIVAVERDI
64
lirica
l’Accademia Chigiana di Siena, Francesco d’Avalos ha scritto alcune pagine di
musica da camera (tra cui un bel quaderno di Composizioni per pianoforte,
recensito da Quirino Principe sul “Sole
24 Ore” e inciso da Francesco Libetta) e
varie partiture per orchestra: Sinfonia
n. 1 (1957), Hymne an die Nacht (“Inno
alla notte”, 1958), Studio sinfonico
(1956-82), Lines (1963) e Die stille Stadt
(“La città silenziosa”, 1994). Inoltre, ha
realizzato due importanti opere di teatro musicale, Maria di Venosa e Qumrãn
(2002), in cui sviluppa una sua personalissima concezione drammaturgica:
“Ritengo”, scrive l’autore, “che l’opera
abbia raggiunto nel Settecento il suo
equilibrio nella divisione tra Recitativo
e Aria. Si dava così spazio da un lato all’azione e dall’altro all’espressione. [...]
Con l’opera romantica e poi con quella
verista, il libretto, tutto musicato, è passato in secondo piano e non sempre è rimasto comprensibile all’ascolto. [...] Per
chi non è informato in precedenza, è
quasi impossibile dare un senso, se non
per ipotesi, all’azione scenica: è difatti
difficile riuscire a percepire le parole
cantate. [...] Queste considerazioni, mi
hanno spinto a concepire un Dramma
musicale per teatro senza un effettivo libretto in senso tradizionale. L’azione
scenica si svolge così come in un film
muto e l’orchestra, il coro e alcune parti soliste si sostituiscono alle parole che
non vi sono, ma che, se vi fossero, egualmente (come avviene per tutte le opere)
non si riuscirebbero a comprendere.
Nella mia visione del teatro musicale, i
personaggi agiscono ma non cantano.
Quando cantano, significa che lo farebbero anche nella realtà: così, per esempio, avviene nella Maria di Venosa con
la cantilena di Maria, con il canto della
veggente e con il Requiem æternam, così come tutti i cori maschili del mio
dramma Qumrãn“.
Pubblicata dalla Casa Musicale Sonzogno e sino ad oggi “colpevolmente trascurata da qualsiasi programmazione
teatrale” (Principe), Maria di Venosa è
stata eseguita e incisa in forma di concerto a Londra nell’agosto 1994, insieme con Susan Bullock (soprano), Hilary Summers (contralto), il quintetto
Apollo Voices e la Philharmonia Orchestra and Chorus diretti da Francesco
d’Avalos (Chandos). I personaggi dell’azione sono Carlo Gesualdo, Maria
d’Avalos, Fabrizio Carafa, Giulio Gesualdo zio di Carlo, un Prete musico al
servizio del principe, Laura Scala cameriera di Maria e Una Veggente. L’esecuzione musicale prevede due voci femminili, un ensemble a cinque voci (due
soprani, contralto, tenore e basso), un
gruppo strumentale (con due violini, due
flauti dolci, viola, viola da gamba, violoncello, liuto e clavicembalo), grande
orchestra e un coro misto di 46 elementi.
La struttura formale, con due parti simmetriche di sette scene/sequenze ciascuna, ambientate in luoghi diversi e collegate da intermezzi, allude forse all’architettura del Wozzeck (1925) di Berg,
che d’altronde racconta anch’esso di un
tradimento e un delitto: l’omicidio di
un’altra Maria. Del maestro viennese,
Francesco d’Avalos rievoca d’altronde
anche la tensione espressiva e l’esigenza di porre l’orchestra al centro dell’azione, facendo emergere dal flusso sonoro materiali remoti: in questo caso le
opere di alcuni autori minori del tempo
(Andrea Ansalone, Jean de Macque,
etc.), insieme con una Gagliarda e due
madrigali dello stesso Gesualdo: “Moro
lasso al mio duolo” e “Io pur respiro in
così gran dolore” (dal Sesto libro). La
prima e l’ultima scena si svolgono entrambe nel castello di Gesualdo, la notte dell’8 settembre 1613: il principe “è
Libri, cd e dvd su Gesualdo
La bibliografia in lingua italiana su Gesualdo si è
arricchita nel 2010 di due nuovi titoli, che si aggiungono dunque al volume di Pietro Misuraca,
Carlo Gesualdo da Venosa. Principe dei musici
(L’Epos, Palermo 2000). Si tratta di Gesualdo da
Venosa di Orsola Tarantino Fraternali e Katy Toma
(pubblicato da Luciano de Venezia) e della Giostra
del principe. Il dramma di Carlo Gesualdo di Salvatore La Vecchia (pubblicato da Mephite, con una
bella prefazione di Ruggero Cappuccio). Sul piano della ricostruzione biografica, con particolare
riguardo alla “triste vicenda” dell’ottobre 1590, va
inoltre segnalato, quale testo di assoluto riferimento, il libro di Giovanni Iudica Il principe dei musici. Carlo Gesualdo di Venosa, pubblicato per la
prima volta nel 1993 e riproposto quattro anni dopo con l’aggiunta di un’ampia documentazione iconografica e d’archivio (Sellerio, Palermo 1997). Il
regista tedesco Werner Herzog (Nosferatu, Fitzcarraldo...) ha dedicato a Gesualdo il film-documentario Death for Five Voices (“La morte a cinque voci”, 1995) in cui descrive, con il suo sguardo tipicamente visionario, i luoghi in cui ha vissuto il principe-musicista, portando sullo schermo
anche Milva, Alan Curtis e Francesco d’Avalos, che
esegue al pianoforte alcuni frammenti da Maria di
Venosa. Tra le incisioni delle opere di Gesualdo,
rimangono tutt’oggi imperdibili l’ormai storica registrazione del Quinto libro dei madrigali realizzata nel 1983 dal Consort of Musicke diretto da Anthony Rooley (L’Oiseau Lyre) e la più recente, magnifica esecuzione dei Tenebræ Responsoria realizzata dall’Hilliard Ensemble (Ecm New Series).
Tra le rarità, si segnala infine la registrazione del
Monumentum pro Gesualdo di Venosa ad CD annum (1960) di Igor Strawinsky, diretta dall’autore
con la Columbia Symphony Orchestra (Sony Classical): si tratta della trascrizione per orchestra di
tre madrigali dal Quinto e Sesto libro, da cui emerge una “forza d’espressione cromatica” che non
riusciamo più a comprendere “perché le nostre
orecchie sono state corrotte dalla musica successiva” (Strawinsky).
da. o.
65
seduto in poltrona, le forze l’abbandonano, sente che la morte è vicina, ma ancora prova a comporre musica. Va al
cembalo e inizia a suonare (un gruppo
di musicisti, al lato della scena, suona
un breve frammento che va inteso come
realizzazione del pensiero musicale di
Gesualdo); ma in quel momento egli vede, nel quadro che effigia la sua seconda moglie, Eleonora d’Este, la figura viva della prima moglie Maria d’Avalos,
vestita di bianco”. Durante la notte, il
principe “rievoca in se stesso il corso
drammatico della sua vita” di cui si costituisce il soggetto del dramma vero e
proprio: le ore successive al matrimonio con Maria, il canto melanconico di
lei, la violenza dei rapporti con la moglie, una tempesta in cui “ambedue avvertono un presagio di tragici eventi”, il
primo incontro di Maria con Fabrizio
Carafa a una festa nel palazzo del viceré
di Napoli. Nella parte iniziale, s’impone soprattutto il blocco drammaturgico
formato dalla terza e dalla quarta scena,
che inizia con un madrigale a cinque voci, cui fa eco il canto struggente di Maria che si dispiega, come limpida linea
di luce, sui glissando degli archi con sordina, e prosegue in un cupo, tenebroso
crescendo. Tra gli episodi conclusivi appare invece magnifica l’ottava scena: “Sul
balcone del palazzo del viceré Maria
d’Avalos e Fabrizio Carafa iniziano i loro primi colloqui d’amore. Sulla spiaggia circostante [...] alcuni uomini portano a braccio un uomo e una giovane
donna morti, accoltellati, che vengono
adagiati sulla rena; alcune donne, che
seguono i due uccisi, piangono la loro
morte con un lugubre canto. [...] Una
donna sola ammantata, una veggente,
discosta di poco dalle altre donne, profetizza un’altra morte tragica per amore
[...]”. Tenue, delicatissima, notturna è
anche la scena undicesima; mentre la
sequenza del delitto viene sottratta agli
sguardi del pubblico e si svolge quando la veggente intona alcuni versi dello stesso Francesco d’Avalos. Nella scena finale, in cui l’azione ritorna nel castello di Gesualdo, fiorisce tra i suoni
tenuti degli archi il testo del sonetto
composto da Torquato Tasso in memoria dei due amanti: “Alme leggiadre a
meraviglia e belle / Che soffriste morendo aspro martirio”. La voce del contralto s’intreccia ai vocalizzi soavi del
soprano, mentre d’un tratto il coro intona sommesso “Requiem æternam
dona eis Domine”: “Gesualdo è in poltrona, sul punto di morire. [...] Come
una visione, egli vede la cerimonia funebre della prima moglie Maria, allestita dai monaci nella chiesa di San Domenico [...]. Al termine di questa visione, Gesualdo ha un tremito e muore. Nell’attimo in cui Gesualdo spira la
stanza diventa buia. Dal fondo appare
un giardino fantastico e luminoso dove la prima moglie Maria, vestita di
bianco, insieme con altre persone anch’esse vestite di bianco, chiama Gesualdo per condurlo in un mondo remoto senza tempo e senza passioni”.
La musica rallenta gradualmente e infine s’arresta, perdendosi nel nulla.
VIVAVERDI
La copertina del disco Maria di Venosa, registrato in
forma di concerto a Londra nel 1994 con Susan
Bullock (soprano), Hilary Summers (contralto),
il quintetto Apollo Voices e la Philarmonia Orchestra
and Chourus diretta da Francesco d’Avalos
VIVAin breve
a cura di Alberto Ferrigolo
za di Coinstar e Netflix, affermatisi con
gli ordini online e consegna a domicilio dei film.
I PIRATI ALL’ARREMBAGGIO
DI MONTECITORIO
Si sono spinti fin sotto la Camera dei deputati, a volto scoperto e svelando le proprie identità, i “pirati digitali” che a marzo si sono riuniti al Teatro Capranica in
una “festa del peer-to-peer”. Ladri di
guadagni da copyright, che si trincerano
dietro “la battaglia per la libera circolazione delle idee”. L’iniziativa ha sollevato le proteste di Tullio Camiglieri, responsabile Comunicazione di DGTVi, associazione per la promozione della tv digitale terrestre, già alle Relazioni esterne di Sky, e coordinatore del Centro studi per la difesa dei diritti degli Autori: “La
festa dei pirati lascia sbigottiti, senza i ricavi non avrà più senso destinare risorse alla realizzazione di film, documentari o produzioni musicali”.
IL DECLINO DELL’IMPERO
BLOCKBUSTER
La grande catena mondiale di videonoleggio (6.500 negozi, 4.000 sedi solo
negli States) sta per chiudere i battenti
sotto il peso di 1 miliardo di dollari di
debiti e della concorrenza di rivali tecnologicamente agguerriti, primo tra tutti Internet e la pirateria. Nel 2009 le
perdite sono state pari a 558,2 milioni
di dollari, le vendite crollate di un quinto a 4,06 miliardi. Forte la concorren-
MUSICA UK, PIU’ ROYALTY
DAL DIGITALE?
Il condizionale è d’obbligo, la cautela pure. Tuttavia Robert Ashcroft, a.d. della società di autori britannica PRS For Music,
conferma che per la prima volta nel Regno Unito le royalty incassate nel 2009
da autori ed editori grazie alla musica digitale hanno più che compensato il calo
dei diritti fonomeccanici sul mercato tradizionale, per un fatturato pari a 623 milioni di sterline (+2,6%).
SPAGNA, UNA LEGGE
ANTIDOWNLOAD…
Anche in Spagna è stata approvata una
legge per la creazione di una Commissione per la proprietà intellettuale con
pieni poteri per chiedere la chiusura rapida dei siti attraverso cui si scaricano
illegalmente contenuti protetti da copyright.
BOLLY&HOLLY
UNITI NELLA LOTTA
Bollywood e Hollywood, le due principali industrie cinematografiche del
mondo hanno unificato i propri sforzi
contro i Dvd piratati e i film scaricati
dalla Rete. L’accordo è avvenuto tra la
Motion Picture Association of America
e 7 produttori cinematografici indiani
che hanno formato un alleanza su un tema spinoso ma cruciale per l’industria.
JAMES MURDOCH JR:
“IL FILESHARING È UN FURTO”
Durante l’Abu Dhabi Media Summit il
figlio del magnate Rupert, chief executive di News Corporation per Europa e
Asia è stato esplicito contro la pirateria:
“Far p2p è come andare a rubare una
confezione di Pringles o una borsetta.
Non vi è nessuna differenza tra pirateria digitale e fisica. Dovrebbe esserci lo
stesso livello di protezione dei diritti di
proprietà, sia che si parli di una casa che
di un film”.
GLI USA VANNO
A CACCIA DI PIRATI
Lo Us Copyright Group si prepara a perseguire decine di migliaia di “pirati” e
quanti utilizzano il p2p via internet di
film protetti dal diritto d’autore. Più di
20 mila utenti sono già stati denunciati a Washington e almeno altri 30 mila
si aggiungeranno a breve. Appare al tramonto la strategia dell’Mpaa per colpire solo i pochi condivisori a scopo “educativo”.
zare il prezzo dei libri elettronici per il
lettore Kindle. Attraverso due specifici accordi rinuncerà a tenere il prezzo
delle nuove uscite sotto i 10 dollari. Alcuni nuovi best seller continueranno a
costare 9,99 dollari ma la maggior parte oscillerà tra i 12,99 e i 14,99 dollari.
NUOVO IMAIE,
PUBBLICATO IL DECRETO
Il decreto legge 30 aprile 2010, n.64,
“Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali” pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30-42010 contiene, tra l’altro, disposizioni
sull’Imaie, l’ente mutualistico degli artisti, interpreti ed esecutori. Il nuovo
istituto ha personalità giuridica di diritto privato, disciplinata dal Codice Civile. “Il nuovo Imaie - secondo l’art. 7
– opera sotto la vigilanza congiunta della Presidenza del Consiglio dei Ministri
- Dipartimento per l’informazione e
l’editoria, del Ministero per i beni e le
attività culturali e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ne approvano lo statuto e ogni successiva modificazione, il regolamento elettorale e
di attuazione dell’articolo 7 della legge
n. 93 del 1992, assicurando che l’assetto organizzativo sia tale da garantire efficaci forme di tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori. Il Ministero
del lavoro e delle politiche sociali nomina il presidente del collegio dei revisori, il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell’economia e delle finanze nominano un componente ciascuno del collegio”.
E-BOOK A VARIO PREZZO
Con l’iPad alle porte, Amazon – il più
grande portale internazionale di vendita di libri online – ha deciso di fare uno
strappo alle regole e alla sua politica
commerciale, consentendo a due dei
principali editori degli Stati Uniti di al-
LA NUOVA FRONTIERA
DEI LIBRI DIGITALI
Con un’intervista al Corriere della Sera del 24 marzo l’a.d. di Mondadori,
Maurizio Costa, ha annunciato che “il
2010 è l’anno della svolta e del darsi una
bella mossa e chi lo farà avrà un bel vantaggio perché ci sarà la selezione della
specie”. L’annuncio è epocale: “Per questo contiamo di fare un’operazione di
apertura di mercato: in ottobre sbarcheremo sul segmento degli ebook con 400
novità e 800 best-seller degli ultimi mesi” dichiara Costa. Secondo l’a. d. di Segrate, “l’ereader sarà il regalo di Natale
2010”. Sarà iPad o Kindle? “Certo, ci saranno barriere psicologiche per il costo.
L’iPad costerà tra i 4-600 euro. Ma arriveranno quelli più economici e ognuno conquisterà la sua quota di mercato.
Quello che è sicuro è che non ci sarà uno
standard unico, e infatti il nostro obiettivo è essere fruibili su tutti”.
VIVAVERDI
67
I TRECENTO ANNI DEL COPYRIGHT
Correva l’anno 1710 e in Inghilterra diventò legge. Attribuiva agli autori ed ai
“loro aventi causa” il diritto esclusivo
di stampare le proprie opere per una
durata di 14 anni, con la possibilità di
un rinnovo per altri 14. La Regina istituì anche un pubblico registro nel quale gli autori dovevano anche indicare il
titolo delle opere per le quali chiedevano la protezione. Qualche decennio dopo, nel 1790, anche gli Stati Uniti adottarono – dopo la guerra di Indipendenza – una disciplina del tutto analoga a
quella inglese.
DIGITAL ECONOMY BILL,
LA HADOPI INGLESE
Anche il Regno Unito ha la sua legge antipirateria sul modello francese. In particolare contro la pirateria digitale, approvata dalla House of Lords con 189
voti favorevoli e 47 contrari a poche ore
dallo scioglimento delle Camere prima
delle elezioni politiche del 6 maggio. Le
nuove disposizioni approvate in Gran
Bretagna, prevedono la collaborazione tra major, internet provider e società di gestione collettiva dei diritti
per l’invio di “lettere di avvertimento”
ai downloaders incalliti, nella speranza che questo tipo di “persuasione/dissuasione” possa bastare a mettere un
freno alla pirateria online. Qualora il
tasso di download illegali non dovesse
regredire, allora la Ofcom passerà a introdurre direttamente nuove misure
tecniche più efficaci, quali la sospensione della linea telefonica, così come
previsto dalla legge francese.
VIVAVERDI
68
musica
INTERVISTA A CRISTIANO GODANO
NUOTANDO NEL ROCK
DEI MARLENE KUNTZ
di Nicola Ravera
Fin dal loro disco d’esordio, quel Catartica che nel 1994 diventa rapidamente oggetto di culto tra gli appassionati, i Marlene portano una scossa di
novità, che proietta nel futuro le atmosfere del rock italiano dei primi ’90. Si
sente nelle tessiture scure di chitarra,
in quelle sferzate elettriche che richiamano alla mente i newyorchesi Sonic
Youth, caposcuola delle nuove sonorità
noise e post-punk d’oltreoceano, come
nelle dolcezze improvvise di ballate come Nuotando nell’aria, una energia e
una consapevolezza che pochi dischi
d’esordio hanno avuto.
In questi 15 anni, i Marlene Kuntz (Luca Bergia, Cristiano Godano e Riccardo
Tesio) sono diventati grandi. Sono usciti dalla nicchia della musica indipendente per passare alla Virgin record,
hanno raccolto per strada collaboratori del calibro di Warren Ellis (violinista
di Nick Cave), Rob Ellis (collaboratore
di P.J.Harvey), Greg Cohen (già con Tom
Waits) e Skin, il cui duetto con Cristiano Godano su La canzone che scrivo per
te ha forse più di ogni altra cosa sancito il successo commerciale della band.
Oggi i Marlene sono un gruppo consa-
Quella dei Marlene Kuntz è una storia a lieto fine. In un paese dove la musica è
sempre più prigioniera dei reality, il box office cinematografico è in mano ai
comici televisivi, e dove spesso il talento si perde in territori lontani dal grande
pubblico, i Marlene Kuntz sono una piacevole eccezione. In quindici anni di
carriera, hanno portato originalità e voglia di sperimentare nel panorama del
nuovo rock italiano.
crato, uno dei punti di riferimento del
panorama del rock italiano, hanno
preso il volo, ma per farlo non si sono
alleggeriti della voglia di sperimentare, del coraggio, dell’originalità della
scrittura. Per questo la loro è una storia a lieto fine, la storia di un gruppo
che è riuscito a trovare il grande successo senza fare mediazioni, ma via via
calibrando sempre meglio una voce
originale e profonda.
Ne parliamo con Cristiano Godano,
classe ’66, che dei Marlene Kuntz è anima, autore dei testi e cantante.
Parliamo di questi 15 anni di musica, e
non solo. Perchè Cristiano nel frattempo ha pubblicato un libro di racconti (I
Vivi, Rizzoli, 2008), e ha esordito al cinema con Tutta colpa di Giuda, di Davide Ferrario, di cui i Marlene hanno pure firmato parte della colonna sonora.
Partiamo dal presente: siete in studio a
registrare...
Ancora per qualche giorno siamo in fase creativa, poi registreremo i pezzi. Sarà un disco più rock, più vigoroso del
precedente (Uno, 2007). Questo perché
stiamo cercando di riportare in studio
l’amalgama che abbiamo trovato nei due
anni di tour, anche con i due nuovi acquisti Davide Arneodo (violino e tastiere) e Luca “Lagash” Saporiti (basso). Stiamo lavorando molto in fretta. La realtà di
oggi, in cui sta sparendo la fruizione del
disco come la conoscevamo, impone di
lavorare con maggiore rapidità.
In effetti oggi alcuni artisti propongono nuovi tipi di fruizione, come la pubblicazione di brani direttamente su internet, magari 3 o 4 pezzi “sfusi”, invece del classico formato da 10/12 brani
del cd. Che ne pensa?
Penso che sia una deriva. Tra i ragazzi si
è perso il gusto di ascoltare un disco co-
69
me collezione di canzoni, come percorso che va ascoltato dall’inizio alla fine,
in un certo ordine. L’ascolto frazionato di due o tre pezzi infilati in una compilation da iPod è molto diverso. Per
questo oggi diventa complicato pensare a un disco fatto nei modi e nei tempi
con i quali si lavorava prima.
Voi nascete in un biennio (93/94) d’oro
per la musica rock in Italia. Oltre al vostro primo disco, esce Ko de mondo dei
Csi, esce Stanze dei Massimo Volume, e
poi Afterhours, La Crus, eccetera. Sembra, quello, uno degli ultimi momenti
in cui c’è stato un vero e proprio movimento culturale. Oggi cosa è cambiato?
E’ vero, le cose sono molto cambiate. In
parte ha a che fare con la crisi del disco,
e poi è cambiata la fruizione
sociale della musica. All’inizio de-
gli anni ’90 una delle priorità dei ragazzi
era andare ai concerti. Era un modo diffuso di divertirsi, c’era una frenesia,
un’eccitazione che oggi si è persa.
Oggi i concerti sono diventati per appassionati. E poi negli ultimi anni si è
ecceduto nella moda, da parte di molti
gruppi, di cantare in inglese. Una scelta che ha allontanato il pubblico.
Ecco. Ha parlato del cantare in inglese. Come vede la situazione produttiva della musica in Italia,
per esempio rispetto all’Inghilterra? Ha la sensazione
che qui da noi sia più difficile arrivare al grande pubblico
senza fare mediazioni? Che a
Londra ci sia più curiosità per determinate sonorità?
Sì. Le differenze sono parecchie.
Semplicemente l’Italia non è un
paese rock. Anche in Inghilterra, o in America, non è facile
passare dalla scena underground
alle grandi vendite, se si resta sé
stessi. Penso a un grandissimo
come Nick Cave, che è molto amato, ma certo non vende come i Coldplay. Però in Inghilterra o in
America c’è più rispetto per
la figura del musicista rock.
Quando in Italia dico che faccio il musicista, mi rispondono: “Sì, va bene. Ma
qual è il tuo lavoro vero?”. Questo a Londra è impensabile. In Italia abbiamo una
straordinaria tradizione musicale anche di musica classica e contemporanea. Penso a Berio, Scelsi, Maderna, a
Busoni. Gente che all’estero è
più famosa che qui. Del
resto guardi qual è l’atteggiamento del governo verso la musica. Basta pensare all’Iva sui
dischi: non viene favorita la
musica come
cultura, viene
VIVAVERDI
Da sinistra Riccardo Tesio (chitarra), Luca Bergia
(batteria), Cristiano Godano (voce e chitarra)
Foto Nicola Garzetti
Nella pagina accanto, Cristiano Godano,
voce solista dei Marlene Kuntz,
nel 2008 ha pubblicato I vivi (Rizzoli).
VIVAVERDI
In basso, il loro ultimo disco Cercavamo il silenzio,
live dal Teatro Sannazzaro di Napoli
70
musica
considerata come opera di intrattenimento, e quindi penalizzata da un iva
mortificante. (L’Iva sui cd è al 20%, la
più alta d’Europa, mentre quella sui libri, considerati cultura, è al 4%. Ci sono varie proposte di equiparazione).
In molti parlano di una cesura all’interno del vostro percorso: una prima
parte più noise, e una seconda più cantautorale. Lei che ne dice? Come cambia l’approccio verso la canzone dopo 15
anni di carriera?
Noi non abbiamo mai fatto mediazioni,
abbiamo fatto un percorso, il più onesto possibile. Poi ovviamente le cose
cambiano. Io sono cresciuto, non ho più
voglia di andare tutto il giorno in sala
prove e massacrarmi le orecchie con
pezzi violenti.
Secondo me, la grande chance della musica popolare sta nella forma canzone.
Quando il rock si intellettualizza perde
di senso, finendo per banalizzare un linguaggio usato meglio da chi fa musica
contemporanea o classica.
Il rock si muove su percorsi tonali, poi
si può lavorare sui suoni, sulle dissonanze, ma il senso della musica popolare sta nella melodia.
Agli esordi con i Marlene Kuntz sicuramente “picchiavamo” di più, c’era più
distorsione, un suono più noise, ma anche allora tra i miei punti di riferimento c’era prima di tutto Neil Young. Non
ho mai pensato che la musica potesse
essere solo aggressione e distorsione.
Il punto di partenza è sempre un buon
songwriting.
Sicuramente un filo rosso vi lega ai
CCCP/CSI, che vi hanno fatto esordire
nel 1994. Come, musicalmente, qualcosa vi lega ai Sonic Youth. Ma negli ultimi lavori il vostro “segno” sembra
sempre più sicuro. Come funziona il
percorso di affrancamento di un artista
dai propri “padri”?
Maroccolo (bassista dei Csi oggi nei Pgr
e con i Marlene Kuntz, ndr) è la nostra
chioccia da sempre, anche se adesso
suona meno con noi...Quello che mi ha
influenzato di più è sicuramente Giovanni Lindo Ferretti (Cccp/Csi), ma da
subito ho cercato di allontanarmi dalle
cose che faceva lui. Ferretti è inimitabile, proprio perché non è un cantante
nel senso stretto del termine: è un interprete marziano delle sue composizioni. Un incredibile giocoliere con le
In poche righe...
I Marlene Kuntz sono composti da Cristiano Godano (voce e chitarra), Riccardo Tesio (chitarra),
Luca Bergia (batteria), Luca Lagash Saporiti (basso) e Davide Arneodo (tastiere e violino).
La loro carriera inizia nel 1994 con Catartica,
prodotto dal Consorzio Produttori Indipendenti di G.L. Ferretti. Parte da qui, da questo disco per intenditori, la scalata di Cristiano Godano e soci verso l’olimpo della musica italiana. Le tappe della scalata sono Il vile (1996),
Ho ucciso paranoia (1999), Che cosa vedi
(2000), Senza Peso (2003), Bianco Sporco
(2005), e Uno (2007). A questi vanno aggiunti tre album live, con la recente uscita di Cercavamo il silenzio (novembre 2009, cd + dvd),
e un Best of (2009).
parole, che ha inventato un modo nuovo di usare la lingua italiana in un contesto rock. In questo è stato davvero un
maestro. Poi proprio la mia passione
per Neil Young, o per Nick Cave mi ha
spinto verso strutture melodiche più variegate.
I Sonic Youth sono un altro mio grande
amore. Ancora oggi li adoro, anche se
forse da troppi anni sono abbarbicati ad
un’idea di guitar band un po’ ripetitiva.
Ha cantato cover spaziando da Gaber, a
Mina, dalla Pfm ai Diaframma. Come
si approccia all’opera di un altro artista? La vostra versione de La libertà di
Gaber è molto bella...
Di quella sono molto contento, anche
perché abbiamo ricevuto i complimenti di persone che conoscevano bene Gaber. Ci hanno detto che abbiamo
centrato l’anima del pezzo. All’epoca
Gaber non era molto felice dell’uso che
era stato fatto di quella canzone: era
diventato un inno politico sulla partecipazione popolare, mentre nella sua
mente quel discorso sulla libertà e sulla partecipazione era più intimo, meno celebrativo. Per questo abbiamo abbassato il ritornello, rendendolo, appunto, più “privato”.
Nel caso di Non gioco più di Mina invece abbiamo stravolto il brano, perché
eravamo alla ricerca di qualcosa da
prendere e fare nostro. Ma anche lì abbiamo cercato di non tradire lo spirito
originale della canzone. Una cover è
sempre un atto d’amore di rispetto verso il lavoro di un altro artista.
Nel 2008 ha pubblicato il libro di racconti I vivi. Come cambia la scrittura e
Foto Annalisa Russo
come cambia l’immaginario tra musica
e letteratura?
Con la prosa hai più spazio. Sei meno costretto dagli schemi poetici, dai versi.
Sei meno legato alla ricerca della parola preziosa, la parola poetica, che
deve suonare e significare al tempo stesso.
Io ho usato la letteratura per concedermi più ironia. La musica dei
Marlene difficilmente è ironica,
nella scrittura musicale viriamo
sempre su una chiave “drammatica”, intensa. Avevo bisogno di
tirare fuori la mia anima più leggera, allegra. Del resto i Marlene
sono stati anche un po’ imprigionati in un cliché di gruppo che fa
musica “scura”, cupa, rabbiosa.
Non è affatto così, sono etichette
un po’ fastidiose.
Quali sono i suoi riferimenti letterari, gli scrittori che ama di più?
Vladimir Nabokov, sicuramente,
per il voluttuoso piacere della parola che
è capace di evocare. Poi John Updike,
Martin Amis, John Banville tra i contemporanei. Tra gli italiani il libro che
mi influenzato di più è La cognizione del
dolore di Gadda, a cui abbiamo anche
dedicato una canzone (in Bianco Spor-
co, 2005).
Nell’ultimo anno ha fatto l’attore per
Davide Ferrario, in Tutta colpa di
Giuda. Avete scritto una canzone per
i titoli di coda del film, ma le piace-
rebbe scrivere una vera e propria colonna sonora?
Mi piacerebbe, ma solo potendo lavorare in piena libertà. Magari scrivendo
prima delle riprese, capendo lo spirito
del film e apportando un mio contributo di sensibilità alle immagini.
Nel frattempo avete musicato dei film
muti...
Sì, ed è stata un’esperienza fantastica.
Tra l’altro da poco è uscito un dvd delle
nostre sonorizzazioni de La signorina
Else, un film muto del 1928, di
Paul Czinner, tratto da un’opera
di Schnitzler. Un’ora e mezza
completamente improvvisata.
Torniamo alla musica. Nel 2009
sono usciti un live e un best of.
E’ un po’ un modo per tirare le
somme della prima parte della
carriera dei Marlene?
Direi di no. Le somme le tiriamo da sempre, disco dopo disco.
Certo, ormai abbiamo un bel
pezzo di strada alle spalle, cosa
rara per un gruppo rock in Italia. Trovo molto bello che gruppi come il nostro, o gli Afterhours, siano riusciti a fare un
percorso così lungo, che continua, nonostante, come si diceva, fare il musicista rock in Italia sia
un’avventura un po’ folle.
Legge Vivaverdi?
Sì, voi di Vivaverdi fate un lavoro bellissimo, perché riuscite a dare la giusta
visibilità a tutto, dal rock alla musica
classica.
VIVAnovantanovenovità
di VivaVerdi
Paolo Sorrentino
HANNO TUTTI RAGIONE
Feltrinelli
Lo avevano definito “un best seller annunciato”, questo Hanno tutti ragione del Paolo Sorrentino regista e sceneggiatore (L’uomo in più, 2001, Le conseguenze dell’amore, 2004, L’amico di famiglia,
2006 e Il divo, 2008, Prix du Jury al Festival di
Cannes). Il Paolo Sorrentino romanziere è strabiliante, del resto è già considerato tra i più bravi
scrittori italiani, e il suo Tony Pagoda “cantante melodico con tanto passato alle spalle” è un personaggio letteralmente straordinario: “come un Falstaff contemporaneo svela con comica ebbrezza
di cosa è fatta la sostanza degli uomini, di quelli
che vincono e di quelli che perdono. Perché questo è il gioco. Bisogna comprendere gli altri anche
nel momento in cui ti stanno uccidendo. Senza mai
sottovalutare la forza sbilenca dell’ironia”. Quando le leggerete, vedrete aleggiare inevitabilmente
l’immagine di Toni Servillo, anche perché è il suo viso, sormontato da una parrucca rossiccia e da RayBan azzurrati, che ha guidato la creazione di Tony
Pagoda. Ma sappiate che è anche merito della famiglia di questo nuovo grande autore italiano (i figli Anna e Carlo e la moglie Daniela “motori e guida” della sua vita), se Sorrentino ha potuto dare libero sfogo alla sua creatività, superare tempi bui
e oggi permettersi “il lusso” di crogiolarsi “nel facile, impagabile ruolo del portapacchi che si gode
il venticello sul tetto”. Chi ama gli aggettivi sconosciuti e le metafore impossibili, il cinema e la musica, deve leggere questo romanzo.
Patrizia Debicke van der
Noot
L’UOMO DAGLI OCCHI
GLAUCHI
Corbaccio
Autrice di romanzi a
sfondo storico, Patrizia
Debicke (cognome lussemburghese ma fiorentina) ci trasporta nell’Europa della Controriforma, sconvolta dalle tensioni fra protestanti e
cattolici. Un enigmatico
giovane aristocratico inglese appassionato dell’Italia, chiede al grande
Tiziano di fargli un ritratto. Ma chi sia veramente quest’uomo, nessuno
lo sa. In un susseguirsi
di colpi di scena, di fughe e scoperte, si scoprirà che il giovane misterioso è Lord Templeton, figlioccio del potente Duca di Norfolk, finito in Italia per una missione segreta. Una specie di spy-story del Rinascimento, che parte
dal meraviglioso dipinto
conservato nel museo di
Palazzo Pitti di Firenze e
si dipana nell’intricata
selva d’intrighi della corte inglese di Enrico VIII e
quella del Papa.
Zibba e Almalibre
UNA CURA PER
IL FREDDO
Universal
Il nuovo terzo album del
cantautore ligure considerato una rivelazione
per il pubblico e la critica. Un cappello, un bicchiere di vino, l’abbraccio di un amico. Tutte
cure per il freddo, sia
quello dell’anima, sia
quello atmosferico. Per
il cantautore sono due
gli aspetti più importanti della musica: la capacità di creare emozioni
e quella di far sorridere.
Ha scritto viaggiando in
giro per il mondo queste
quindici canzoni che parlano d’amore e portano
la fantasia a volare dai
ghetti del Mississipi fino
al quartiere San Lorenzo
a Roma, passando per
le strade bagnate di Dublino e le terrazze in riva al mare della Liguria.
L’amore è vissuto in ogni
singola parola come uno
specchio di esperienze
e nuove amicizie, incontri e amori.
Marco Taggiasco
THIS MOMENT
Mr.T Records
Ha cominciato coi Fulltime Dance, un supergruppo
romano dai fiati jazz, negli anni ’80 ma oggi il lavoro di Marco Taggiasco – compositore, arrangiatore e produttore – è molto apprezzato negli States e in Giappone, un po’ meno conosciuto in Italia. Probabilmente il suo stile, molto pop-rock oriented con tastiere in primo piano, suoni eleganti e armonie complicate, rispecchia quel classico prodotto
americano - da Elmer Bernstein a Burt Bacharach,
i suoi amati punti di riferimento- non troppo in voga nel paese di Amici e X Factor. Recentemente
ristampato dall’etichetta giapponese Vivid Sound
Corporation, il suo second album solista This Moment, registrato tra Roma, Copenhagen e Los Angeles, contiene nove brani, tutti molto originali e
accattivanti, con due inediti di Eric Tagg e un remake di You’ve Been Runnin’ che viene dal repertorio degli Orleans. La maggior parte delle canzoni, tutte prodotte e arrangiate da Taggiasco, è interpretata da Andrea Sanchini, che firma anche due
tracce dell’album, continuando così un sodalizio artistico che dura ormai da anni. Oltre ad Eric Tagg che regala un cameo nel brano di apertura - tra gli
special guest spicca il nome di David Pack, interprete della title track e vincitore di un Grammy
Award, e la cantante danese/americana Anne Marie Bush, coautrice e interprete di una suggestiva
ballad dagli splendidi intrecci vocali.
Ligabue
ARRIVEDERCI, MOSTRO!
Warner Music
“Ognuno di noi ha i propri mostri, i propri fantasmi. Li
si possono chiamare ossessioni, paure, condizionamenti, senso di inadeguatezza, aspettative e chissà in
quali altri modi ancora. Sappiamo, però, che sono vivi e sono il filtro attraverso cui chiunque matura la propria, personale visione del mondo” dice Ligabue. “Credo di conoscere abbastanza bene i miei ‘mostri’, mi
fanno compagnia da tanto tempo… Alcuni di loro li
ho affrontati in questo album ma era solamente per
fargli sapere che li stavo salutando. Loro come tutti gli
altri. So benissimo che sarebbe fin troppo bello che
fosse un saluto definitivo. Infatti non mi sono permesso di dire: ‘Addio, mostro’ ma un più prudente e realistico:’Arrivederci, Mostro!’ “. L’album è prodotto da
Corrado Rustici, che ha inciso anche diverse parti di
chitarra; ingegnere del suono è Chris Manning. Gli altri musicisti coinvolti nel progetto sono gli stessi che
hanno accompagnato Ligabue in tour in questi ultimi
anni: Michael Urbano (batteria), Kaveh Rastegar (basso), Fede Poggipollini (chitarre), Niccolò Bossini (chitarre), Luciano Luisi (tastiere). A questi si aggiungono
alcuni ospiti presenti in un paio di pezzi: il Solis String
Quartet in Quando mi vieni a prendere, José Fiorilli alle tastiere e Lenny, il figlio undicenne di Luciano, alla
batteria in Taca banda.
Piero Montanaro
CANTE’ MIA TERA
Autoproduzione
Un cd che contiene dieci canzoni che l’autore
ha composto dopo anni dedicati alla televisione per rivalutare le canzoni della lingua piemontese. “E’ un album
importante – dichiara
Montanaro – con testi intrisi di ricordi, frutto di
numerose collaborazioni musicali con colleghi
della sua regione e con
altri che si esprimono
nelle diverse parlate. I
brani sono firmati con
autori storici come l’astigiano Remigio Passarino, Luciano Ravasio,
Piergiorgio Graglia, Bruno Conti. I temi sono
quelli dell’amore per la
propria terra, la giovinezza nel proprio paese.
L’autore dice di sentirsi
come un panda in via di
estinzione che scrive in
piemontese “contro i
mulini dell’indifferenza”
coltivando, come gli ultimi contadini, le vigne
di Langa e Roero che crescono in un terreno erto
e difficile come il dialetto
di quei luoghi. L’album si
apre con 2000, una data
simbolica che segna il rinnovo per un’intera generazione.
Mario Brunello
BACH, SEI SUITES
A VIOLONCELLO SOLO
SENZA BASSO
Egea
Un elegante cofanetto per
i tre cd pubblicati da parte di Egea con le suites di
Bach interpretate da Mario Brunello. Una pubblicazione che risulta particolarmente gradita. Brunello fissa per la seconda
volta, dopo 15 anni, su
cd, una nuova ed originalissima interpretazione della grande opera di Bach.
In secondo luogo Egea,
etichetta dedita alla frequentazione di generi non
rigorosamente classici, si
cimenta nel difficile compito di realizzare una produzione che possa competere con quelle presenti sul mercato. Le suites
sono state eseguite e
pubblicate innumerevoli
volte, ma in questo caso
una particolare attenzione
del grande Maestro ha
generato una versione
davvero preziosa. Scrive
Brunello: “Mi piace paragonare le Suites a delle
galassie sonore, infinitamente piccole nella forma
rispetto alla loro sterminata profondità”.
VIVAVERDI
73
Sveva Antonini - Josep Coll i Rodriguez
MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER MUSICISTI
Paolo Emilio Persiani
Una guida fondamentale per tutti i musicisti e i professionisti del settore con desiderio di conoscere i
propri diritti, approfondire gli aspetti legati alla prassi, alla contrattualistica e le informazioni necessarie
per prodorre, promuovere e distribuire musica autonomamente. E’ incluso un formulario con interviste ad
autorevoli musicisti, editori, etichette discografiche,
managers, agenzie di comunicazione. L’idea del libro
nasce dal gemellaggio di Idealex, centro di consulenza per tutela e promozione delle arti a Bologna e
Asesoria Juridica de las Artes di Barcellona, studio
specializzato in diritto d’autore. L’avv. Sveva Antonini,
partner di Idea lex con la collaborazione del collega
spagnolo avv. Josep Coll i Rodriguez ha pensato di
offrire uno strumento equipollente a quello spagnolo
adattandolo alla normativa italiana.
Algebra
JL
Ams
Gli Algebra, band beneventana nata nel periodo buio
del rock progressive degli anni Ottanta, anticipò tra alti e bassi, scioglimenti e riunioni la rinascita del neoprogressive. Pubblica, 16 anni dopo, il suo secondo
disco che si intitola JL ed esce su etichetta Ams. E’ un
concept album liberamente ispirato al romanzo di Richard Bach Il gabbiano Jonathan Livingston. Gli Algebra sono composti dal cantante-chitarrista Mario Giammetti ed il tastierista Rino Pastore a cui si aggiungono il batterista Francesco Ciani, la sassofonista Maria
Giammetti, il fisarmonicista Roberto Polcino. Mario
Giammetti, musicista di lungo corso, è più conosciuto come giornalista e saggista, senz’altro il massimo
esperto dei Genesis. E sta lavorando ad un nuovo volume, un dizionario delle canzoni della mitica band inglese, che verrà pubblicato da Arcana Editrice. L’idea
di partenza, i testi e le musiche elaborate all’epoca sono di Giammetti, ma il disco può considerarsi in tutto
e per tutto un lavoro di gruppo.
VIVAnovantanovenovità
di VivaVerdi
Diego Mondella
SGRADEVOLE È BELLO
Edizioni Pendragon
“Il mondo nel cinema di Todd Solondz”, è il sottotitolo del libro di Diego Mondella dedicato ad una delle voci più provocatorie del cinema indipendente
americano. “Il suo cinema è un coraggioso atto di
ribellione culturale nei confronti dell’imperante società dell’immagine, in cui vige la regola della bellezza a tutti i costi” scrive il giovane giornalista e
critico cinematografico, che ha già pubblicato due
saggi dedicati al cinema di Michael Powell e Paul
Thomas Anderson. Mondella ci racconta come da
De Sica a Comencini, da Truffaut a Van Sant il cinema abbia avuto sempre uno sguardo privilegiato sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, ma
anche come nessun autore più di Todd Solondz, sia
riuscito a comprendere quali “sommovimenti tellurici” si agitino all’interno del cuore e della mente
delle generazioni più giovani. Grazie a film controversi come Fuga dalla scuola media, Happiness,
Storytelling, Palindromi e Life During Wartime, Solondz “ha composto negli ultimi quindici anni un grottesco e surreale romanzo costellato di disperazione e infelicità”.
Joanna Rimmer
DEDICATED TO JUST ME
Sam Production Egea
L’etichetta britannica
Sam Production presenta Dedicated To… Just
me!, distribuito da Egea,
il primo disco di Joanna
Rimmer un’artista che,
dopo la carriera di modella, è approdata al
mondo del jazz. Nel
2000 esordisce come
cantante nell’ambiente
jazz Italiano e nel 2001
registra 12 sigle per la
trasmissione televisiva
“Zelig” (Italia 1) con Claudio Bisio, realizzando
due dischi di jazz “tradizionale” e varie tournée
in tutta Italia. Il suo disco d’esordio, che ha
voluto produrre, curare,
arrangiare, registrare e
mixare da sola, vede la
presenza di alcuni dei
migliori jazzmen internazionali: Charlie Mariano, Paolo Fresu, Stefano Bollani, che assieme
a lei interpretano bellissimi standard, come
Monk’s Mood, Midnight
Sun, All Of You, Just
You, Just Me ed alcuni
brani originali di Joanna.
Alibia
MANUALE APOCRIFO
DELLE GIOVANI
MARMOTTE
Emi Music Publishing
/ Cni / Venus
Suonato dal vivo e registrato in presa diretta da
Daniele Grasso al The
Cave di Catania, mixato
al Kitchen Studio da Lorenzo Caperchi e masterizzato da Claudio
Giussani al Nautilus di
Milano, Manuale Apocrifo delle Giovani Marmotte (Emi Music Publishing / Cni / Venus) è il
terzo album degli Alibia.
Un lavoro compatto ed
elegante, in costante
equilibrio tra provocazione e citazione, potenza e sensualità, ironia
e rabbia, melodia e rumore, uomo e donna. In
uscita anche il videoclip
Fondamenti di immoralità, regia di Luca Granato, un divertente e ironico remake del Frankenstein Jr. di Mel Brooks
che vede protagonisti gli
Alibia, impegnati in tutta
Italia con il loro Tour Multisensoriale.
Nini Giacomelli
OCCHI DI RAGAZZO
Rugginenti Editore
“Sergio Bardotti, un artista che non ha mai
smesso di sognare” è il
sottotitolo di questo volume dedicato alla figura di uno dei più importanti autori della musica
leggera italiana, che ha
scritto centinaia di canzoni e tanti successi come Occhi di ragazzo,
Piazza Grande, E io tra
di voi, Canzone per te.
A tre anni dalla sua
scomparsa, lo ricordano
personaggi del mondo
dello spettacolo e della
cultura che hanno percorso un tratto di strada
con lui: Luis Bacalov,
Massimo Ranieri, Pippo
Baudo, Vincenzo Mollica,
Ornella Vanoni, Sergio
Cammariere, Gino Paoli,
Sergio Secondiano Sacchi, Mauro Pagani e molti altri ancora. Ne emerge il ritratto a più colori di
un artista colto, sensibile
e raffinato, ma allo stesso tempo divertente e divertito, autoironico e sorridente, che, tutto sommato, non si è mai preso
troppo sul serio e che,
forse, proprio a questo
deve la sua grandezza. Il
libro, reperibile anche nelle librerie, verrà presentato al Premio Bindi nel
prossimo luglio.
Mama.in.inca
LENZUOLA IN DISORDINE
CinicoDisicanto
L’album è prodotto dalla
Cinico Disincanto di Fabrizio Brocchieri (Premio
Pimi come miglior produttore discografico).
Sono undici tracce ispirate dall’arte e impreziosite dai ricordi, dai
film preferiti, dai quadri,
dalla poesia, in un sorprendente equilibrio.
E’un album da ascoltare
d’un fiato per coglierne
appieno le capacità descrittive; pagine di vita
preziose e intime. Un
progetto curato nei minimi particolari fin dalla
copertina disegnata da
Emilio Baracco con l’intento di rappresentare la
doppia anima, delicata e
aggressiva, della musica che si esprime con linee sottili e sfumate alternate a colpi energici,
tipici del rock sincretico
di matrice inglese.
musica
DISCHI
ERNESTO BASSIGNANO
UN RITORNO
ALDILADELMARE
di Piergiuseppe Caporale
C’è da dire che questa volta è riuscito a tirar fuori una dozzina di canzoni (per l’esattezza sono 13) che, forse in altri tempi (stiamo parlando di quando la canzone d’autore era considerata il miglior prodotto nazionale e l’aria non era ancora impestata
dei moderni, mortiferi suoni dell’hip hop,
dell’industrial, ecc.), dicevamo, in altri
tempi avrebbe fatto parte della schiera dei
brani più amati dal pubblico. Oggi, quindi, con ogni probabilità, si dovrà accontentare di entrare nel manipolo “razza protetta”, cui appartengono le buone idee, le
buone realizzazioni, la vera poesia e, soprattutto, la vera ispirazione.
Completamente libero, quindi, questo Aldiladelmare, fatto di poesia e musica, entrambe pure, forse a volte ingenuamente
cantate da uno che cantante non è mai stato ma che ci crede. Che ci prova, riuscendo a trasmettere, al di là della tecnica, sensazioni che sembravano dimenticate. O
smarrite per strada. Ad uno come chi scrive, che, ormai, per continuare ad ascoltare musica, si è buttato a corpo morto sul
jazz e sulla musica classica, l’apparizione
di un pugno di canzoni che lo riportano…
ai bei tempi, non può fare che bene. E qui
il discorso si farebbe lunghissimo. Quin-
Non ricordo da quanto tempo l’amico Ernesto fosse lontano dalla musica attiva
(quella degli altri la sfiora quotidianamente insieme a Ezio Luzi su Rai Radiouno
quasi tutti i giorni). Sta di fatto che questo cd – titolo Aldiladelmare, etichetta
RaiTrade – arriva, almeno per chi scrive, abbastanza a sorpresa. Collega e compagno
d’avventure, da tempo ha al suo attivo un vero e proprio geniaccio artistico
cantautorale che, già più di una volta, ebbe a lasciare a bocca aperta amici, parenti,
e, perché no, anche i disistimatori. Ernesto Bassignano ha cominciato al Folkstudio
nel 1969, da allora ha inciso un pugno di album e il suo Compagno dove vai ha
goduto di una certa popolarità negli ambienti politicizzati degli anni ’70.
di evitiamo e torniamo a Bassignano ed alle sue canzoni.
Indubbiamente è stato aiutato dagli arrangiamenti di Alberto Antinori, poliedrico personaggio che abbiamo già notato con gente come Bindi, Bungaro, Castelnuovo, Grazia Di Michele, Tosca (fra gli altri) e che qui troviamo come coautore (in
un paio di brani), pianista, contrabbassista, chitarrista ecc. Il tutto per un prodotto musicale che oseremmo definire estremamente… pulito. Fatto apposta, insomma, per sottolineare dei testi poetici (finalmente) comprensibili, ispirati, intelligenti, evocativi e contemporaneamente
attuali. Come Il bel paese, ad esempio, o
come i due avventurosi Moby Dick e Capitani coraggiosi, o, ancora, come il bra-
no che da il titolo al cd. Una nota a parte
per il solito, magnifico piano di Marco
Spiccio nel live Sentirti dire (Teatro Brancaccio dicembre 1995).
Inutile, a questo punto, insistere sui brani uno per uno: l’opera ha un corpus che,
paradossalmente, pur essendo composto
di differenti sensazioni, gode di una temperie unica, dettata soprattutto dal cuore,
oltre che da una buona conoscenza anche
della tecnica, sia poetica che musicale. Inutile dire, poi, che Ernesto Bassignano non
è un cantante, e si nota. Ed è forse proprio
questa caratteristica che conferisce al prodotto finale quella spontaneità, non naïve
ma effettiva, che ne potrebbe fare un prodotto di successo. Insomma Ernè, ca custa l’on ca custa ce l’hai fatta.
VIVAVERDI
75
VIVAdall’interno
DIRITTO D’AUTORE
LA RESPONSABILITA’
DEI PROVIDER
di Ferdinando Tozzi*
Il diritto d’autore è nel ciclone delle nuove sfide tecnologiche. Oggi è più facile
l’uso illecito di contenuti creativi navigando in rete, un Far West digitale dove
Internet, benché esistano norme di tutela, è troppo spesso una terra di
nessuno con libertà assoluta e mancanza totale di controlli. Un tema
importante da affrontare è quello della responsabilità del provider ossia il
dovere di correttezza e buona fede nell’agire da parte del prestatore di servizi
che è tenuto “a informare senza indugio l’Autorità qualora sia a conoscenza di
illeciti riguardanti un suo destinatario”. In questo senso va anche una recente
ordinanza del Tribunale di Roma riguardante YouTube.
Appare ormai inconfutabile come il diritto di autore, nel nuovo contesto tecnologico, deve, sempre di più, essere
una norma regolatrice per un corretto
accesso ai contenuti creativi. Allo stesso tempo l’efficacia e l’utilità del suo
ruolo è inversamente proporzionale agli
spazi normativi indeterminati e dunque all’arbitrio del singolo. Il diritto
d’autore, insomma, deve continuare ad
operare con continuità sistematica, in
armonia con le evoluzioni tecnologiche:
va infatti compreso che utilizzare abusivamente un’opera dell’ingegno, in
qualsiasi ambito, equivale ad utilizzare
abusivamente un qualsivoglia bene di
proprietà altrui. Solo così si potrà ottenere una corretta accessibilità alle opere dell’ingegno nel web ed avere un diritto di autore che – pur mantenendo
intatta la sua funzione di tutela dei diritti – non sia di ostacolo, ma di incentivo ad un equilibrato sviluppo della cultura e dell’innovazione, garantendo un
necessario, doveroso riconoscimento
dei diritti degli autori e titolari sulle proprie opere e prodotti.
Proprio la sfida portata dalle nuove tec-
nologie al diritto di autore fa sì che detta normativa debba perseguire, ad avviso di chi scrive, un duplice, fondamentale, compito: garantire e preservare il corretto accesso alla conoscenza
ed al contempo salvaguardare i diritti e
la remunerazione delle attività creative, con piena coscienza che ogni opera
è frutto di lavoro e professionalità ed è
dunque doveroso salvaguardare il bene
intellettuale che genera proventi economici. Proventi che rappresentano non
solo la retribuzione dell’ingegno degli
autori ma, soprattutto, l’incentivo alla
futura creatività ed alla ulteriore produzione culturale del nostro Paese. E’
perciò necessario che, soprattutto, nell’on line venga fatta chiarezza su ciò che
è vietato e ciò che conseguentemente è
lecito e che se ne dia informazione al
mercato in modo che tutti gli operatori
abbiano piena consapevolezza del discrimen tra uso lecito ed illecito di contenuti creativi, evitando opzioni di “congelamento” della normativa.
Il più delle volte la violazione dei diritti sulle opere dell’ingegno avviene attraverso la loro immissione in un sistema di reti telematiche, perciò è necessaria un’applicazione più aderente alle
esigenze di tutela del diritto di autore
della normativa vigente a disciplina della responsabilità del provider (il c.d.
prestatore di servizi). Si tratta di valorizzare le possibilità offerte dagli strumenti attuali e dunque, nell’attesa di
eventuali interventi normativi ad hoc,
cui pure si sta lavorando, ragionare al
presente in punto di diritto positivo.
Il Decreto Legislativo del 9 aprile 2003
n° 70 emanato in attuazione della Direttiva UE n° 31 del 2000, contiene una
serie di elementi che devono necessa-
riamente essere valorizzati attraverso
una interpretazione ed applicazione
orientata proprio a sopperire allo stato
di asimmetria funzionale e di squilibrio
attuali. Uno squilibrio che, con l’avvento
delle nuove tecnologie, si è venuto a cristallizzare nel “sistema” del diritto di
autore.
Come noto, in relazione al criterio di
imputazione della responsabilità civile
del prestatore, si possono configurare
tre principali ipotesi: a) il caso in cui il
prestatore è autore dell’illecito; b) il caso in cui ha una responsabilità concorrente; c) il caso in cui è responsabile per
negligenza. Nel caso a), è lo stesso prestatore ad essere autore dell’illecito e
quindi si tratta della responsabilità da
illecito extracontrattuale, senza particolari problematiche dovute al contesto in rete. Nell’ipotesi b), per aversi responsabilità del prestatore occorre la
conoscenza del fatto illecito compiuto
da un terzo attraverso la propria infrastruttura tecnologica e la fornitura con-
VIVAVERDI
77
sapevole dell’accesso ai dati illeciti.
L’ipotesi c) ricalca un caso di responsabilità indiretta: il provider non vigila o non adotta le misure di sicurezza
necessarie a garanzia della liceità dei
contenuti immessi dall’esterno sul server da lui gestito, con l’inquadramento
alternativo di una responsabilità oggettiva per difetti di sicurezza del servizio
prestato oppure nella fattispecie dell’articolo 2050 c.c. sulla responsabilità
per l’esercizio di attività pericolose.
In generale può sostenersi che non ci
sono responsabilità sui contenuti, a meno che non vi siano modifiche degli
stessi ad opera del provider. L’esenzione da responsabilità è infatti condizionata al fatto che il prestatore: non dia
origine alla trasmissione; non selezioni il destinatario della trasmissione; non
selezioni né modifichi le informazioni
trasmesse. La normativa pone dunque
una limitazione generale di responsabilità, in quanto statuisce che nel prestare i servizi di mere conduit, caching
ed hosting, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo di sorveglianza
sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di
ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività
illecite. Però il legislatore aggiunge che
il prestatore è comunque tenuto a: “informare senza indugio l’Autorità, qualora sia a conoscenza di illeciti riguardanti un suo destinatario” nonché a
“fornire, sempre senza indugio, a richiesta dell’Autorità competente le informazioni in suo possesso che consentano di individuare il suo destinatario, ai fini di una attività preventiva degli illeciti”. La Direttiva prevede dunque che i fornitori dei servizi web rispondano quando siano consapevoli
della illiceità delle attività del destinatario del servizio o dell’informazione da
VIVAdall’interno
esso fornita ovvero di fatti e di circostanze che rendano manifesta l’illiceità. Inoltre, la Direttiva consente ai singoli Stati membri cui è diretta di prevedere possibili azioni inibitorie che possano imporre ai provider di “porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione
dell’accesso alla medesima” (si
pensi al metodo c.d. del notice
and take down). Ancora, è da
precisare come laddove il provider non presti meri servizi ancillari, ma collabori alla commissione di illeciti oppure presti servizi ulteriori a quelli previsti dalla Direttiva o anche che
non adempia al dovere di diligenza, non può godere delle esenzioni
previste dalla citata normativa.
Proprio in tale direzione, valorizzando principi cardine del nostro ordinamento giuridico, pare allora possibile
leggere una recente ordinanza del Tribunale di Roma (del 15 dicembre 2009
e confermata in sede di reclamo l’11
gennaio 2010) in cui è stata riconosciuta la responsabilità del provider (nello
specifico “YouTube”) con una innovativa applicazione del dettato normativo
che, per inciso, ad avviso di chi scrive,
da un punto di vista strettamente giuridico ha poco di innovativo perché segue uno dei brocardi del nostro ordinamento, cioè il dovere di correttezza e di
buona fede nell’agire (dunque innovativa la pronuncia lo è solo in relazione a
quello che era il pregresso approccio sul
tema medesimo). La Corte capitolina ha
motivato la condanna del provider in
quanto, nonostante numerose diffide,
si è avuta una
reiterazione di atti illeciti in rete e dunque il provider obiettivamente a conoscenza di una grave situazione illecita
nulla ha fatto. Per di più il medesimo
soggetto, pur avendo un potere di monitoraggio sulla attività degli utenti non
si è mai premurato di escludere la pubblicazione dei file illeciti; per meglio
comprendere la decisione è utile riportare un estratto del provvedimento del
Tribunale di Roma, in particolare ove si
deduce che: “[…] a fronte di una condotta così palesemente e reiteratamente lesiva dei diritti non è sostenibile la
tesi delle resistenti su una presunta as-
soluta irresponsabilità del provider
[…vi è una] valutazione caso per caso
della responsabilità del provider che
seppur non è riconducibile ad un generale obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica
di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile
responsabilità oggettiva, tuttavia assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione
alla rete ma eroghi servizi aggiuntivi (p. es. caching o hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole
della presenza di materiale sospetto si astenga dall’accertare la
illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole della antigiuridicità ometta
di intervenire […]” aggiungendo a
margine che “non possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all’art. 65 lda
relative all’esercizio del diritto di cronaca o dell’art. 70 lda della utilizzazione di
brani o di parti di opera ad uso di critica
e discussione in quanto è evidente il fine
puramente commerciale […]”.
Dunque è l’informazione, la conoscenza, ad apparire il vero discrimen tra la
responsabilità e la non responsabilità
dei provider. Secondo un parallelo con
le teorie economiche dei giochi (in particolare del c.d. moral hazard) si può sostenere che l’agente che, conoscendo o
dovendo conoscere l’illiceità dei contenuti immessi in rete, e, perciò, trovandosi in stato di simmetria informativa, abusa di tale informazione (insomma, non agisce per rimuovere tali
contenuti), tiene una condotta opportunistica non meritevole di tutela, per
cui è responsabile. L’agente, che invece non conosce e non può conoscere con
la diligenza richiesta, lo stato di illiceità (trovandosi dunque in condizione di
asimmetria informativa) è tutelato e
dunque, secondo i citati articoli del
Ma il provider non puo’
stare a guardare ….
Eppur si muove. Anche se lentamente, nel campo del Peer to peer, per ciò che riguarda la condivisione illegale on line di file con opere protette (causa di ingenti danni per tutta l’industria dei
contenuti) qualcosa si muove. L’ordinanza del Tribunale Civile di Roma del 15 aprile rispetto all’istanza (a cui si era associata anche la Siae) della FAPAV (Federazione Anti-Pirateria Audiovisiva)
contro la Telecom, stabilisce che quest’ultima
non ha l’obbligo di sospendere il servizio di accesso ai siti venendo a conoscenza di illeciti. In
pratica non ha l’obbligo d’impedire il servizio a
fronte di pratiche illecite non essendo “responsabile delle informazioni trasmesse”. La stessa
ordinanza però, stabilisce che, in caso di conoscenza di attività illecita a danno degli autori e
degli aventi diritto, il prestatore dei servizi internet (ISP) ha il dovere d’informare senza indugio
l’Autorità giudiziaria o Amministrativa di Vigilanza, affinché possano essere attivati gli ulteriori
obblighi di protezione che, appunto, spettano agli
autori e a tutti gli aventi diritto. Quindi i fornitori
di servizi on line non possono stare a guardare,
limitandosi ad incassare gli abbonamenti, contemplando il libero arbitrio degli utenti. Bisogna
aggiungere che l’Agcom ritiene che per poter
contrastare la pirateria digitale, siano essenziali
accordi condivisi con gli stessi provider. (sa.m.)
D.Lgs 70/2003 non sarà responsabile.
Certo è che non intelligere quod omnes
intelligunt significa violare un dovere
di informazione riflessiva a carico di
ogni agente del mercato e della rete. Deve dunque applicarsi il principio di responsabilità per combattere così l’abuso di informazione e le condotte opportunistiche, salvaguardando solo chi
in buona fede ha svolto una attività che
altrimenti, con la sussistenza del presupposto della conoscenza, determinerebbe punibilità.
Le brevi considerazioni fin qui esposte
permettono così di sostenere come attraverso una attenta esecuzione della
normativa vigente, si potrebbe ugualmente garantire una tendenzialmente
piena tutela al diritto di autore nell’on
line con un equilibrato contemperamento degli (apparentemente) opposti
interessi in gioco: diritto alla diffusione della cultura e dell’informazione e
diritto a vedere garantita la proprietà
intellettuale. Poiché le nuove sfide tecnologiche al diritto di autore sono state poste proprio dalla convergenza tra
informatica e telecomunicazioni - che
consente la riproduzione digitale delle
opere ed il trasferimento dei dati in maniera capillare ed a costi sempre decrescenti, permettendo così a chiunque di
“impadronirsi” delle opere altrui - appare chiaro come bisogna ricondurre a
sistema il ruolo e dunque la responsabilità dei provider. L’offerta lecita – a
discapito della c.d. pirateria – potrà infatti trovare concreto sviluppo solo
quando sarà possibile avere un corpus
omogeneo di previsioni normative a tutela degli autori ed a garanzia dei diritti di accesso alla conoscenza per i fruitori. Al contempo bisogna poi che, non
solo il giurista ma anche, il cittadino in
quanto tale si ponga in una diversa prospettiva, facendo sì che la rete non sia
una selvaggia terra di nessuno ma venga considerata quale una delle tante
espressioni dell’essere umano, soggetta alle normali regole del vivere civile.
Quanto sopra potrebbe portare ad una
generale presa di coscienza con un mutamento radicale nell’approccio al problema non solo da parte dei Tribunali
(che, si è visto, hanno sufficienti basi
per un nuovo indirizzo di efficace contrasto a chi abusa delle nuove tecnologie) ma anche dei consumatori che potranno comprendere come la tutela della cultura risieda anche nella salvaguardia della proprietà intellettuale e nella
remunerazione degli autori e dei loro
aventi causa. Fino a che non vi sarà tale mutamento, culturale prima che giuridico, non sarà infatti possibile risolvere efficacemente alcuna problematica del diritto d’autore nel web.
*Avvocato, Esperto del comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, Dottore di Ricerca Università Federico II di Napoli. ([email protected]).
Le presenti considerazioni esprimono
opinioni personali dell’autore.
VIVAVERDI
79
VIVAdall’interno
SALONE DEL LIBRO DI TORINO
LA VOCE DEGLI ULTIMI
COI “RACCONTI DAL CARCERE”
di Daniela d’Isa
Ecco gli autori e scrittori che hanno offerto la loro penna per scrivere insieme ai detenuti di tutta Italia i “Racconti dal carcere”. Si tratta di Barbara Alberti, Edoardo Albinati, Gianni Bisiach,
Giordano Bruno Guerri, Massimo Carlotto, Vincenzo Consolo, Maurizio Costanzo, Giuseppe D’Agata, Giancarlo De
Cataldo, Erri De Luca, Daniele Del Giudice, Nicola Lagioia, Franca Leosini,
Massimo Lugli, Liliana Madeo, Gianni
Minà, Federico Moccia, Adriana Pannitteri, Sandra Petrignani, Lidia Ravera, Franco Scaglia, Susanna Tamaro, Enrico Vaime, Marcello Veneziani e Renato
Zero. Tra tutti i racconti pervenuti (il termine è fissato al 15 giugno) ne saranno selezionati 20 cui verrà affiancato un tutor
d’eccezione tra gli autori che hanno aderito. Altri di loro andranno a far parte della giuria che sarà presieduta dal poeta e
scrittore Elio Pecora.
“La Siae ha anche il compito di assecondare la creatività. Credo che la solitudine e l’introspezione della vita in carcere possa facilitare la nascita di una
creatività vera - ha dichiarato il Presidente della Siae, Giorgio Assumma, cui
ha dato la parola il coordinatore del-
Nel nome di Goliarda Sapienza, attrice e scrittrice che ha conosciuto la
prigione e la reclusione, è stato presentato, al Salone del Libro di Torino, il
premio letterario “Racconti dal carcere” ideato da Antonella Bolelli Ferrera,
realizzato in collaborazione tra la Siae e il Dap. Detenuti che raccontano di sé,
che esplorano la propria esistenza attraverso la scrittura e che potranno avere
l’occasione di farlo con dei tutor d’eccezione, scrittori affermati che li
aiuteranno a dare più compiuta espressione letteraria al racconto della propria
vita. Il singolare concorso ha per madrina una scrittrice che nel corso della sua
carriera si è spesso occupata di carceri, Dacia Maraini.
l’incontro al Salone del libro, Mario
Baudino, scrittore e giornalista de La
Stampa - viviamo un tempo di svolta epocale per la creatività intellettuale. Internet fornisce occasioni inedite agli scrittori esordienti, ma rappresenta anche un
pericolo: il rischio dell’uniformità di domanda ed offerta culturale con la conseguenza ultima dell’appiattimento culturale. E tale condizione è il presupposto
per le tirannie delle industrie produttrici dei contenuti culturali”.
“Ringrazio il Presidente Siae della opportunità che il Premio rappresenta per
i detenuti- ha aggiunto il Capo del Dap,
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta- Per inciso:
l’anno scorso il Dap ha pubblicato i rac-
conti del Personale dell’Amministrazione Penitenziaria. Condivido il pericolo del pensiero unico, omogeneizzato. Dare voce agli ultimi, creando un
pensiero diverso e più vero. Da questa
esperienza mi auguro vengano fuori non
solo storie dure, dolorose ma anche di
speranza. La detenzione è anche sforzo
educativo. I detenuti hanno diritto a una
seconda chance. Si spera che il passaggio da uomo di azione a uomo di riflessione conduca fino a uomo reintegrato,
anche attraverso lo strumento della cultura, che è prima di tutto condivisione
di valori”.
“Da quando è stato bandito il concorso
sono pervenuti numerosissimi racconti dalle carceri di tutt’Italia- ha detto
81
Foto Filippo Gasparro
Antonella Bolelli Ferrera- La cosa che
più mi ha stupito è che ci abbiano scritto anche diversi stranieri in un italiano
pressocchè perfetto. Un italiano imparato in carcere”.
Grande suggestione nel folto pubblico
che ha partecipato all’incontro hanno
suscitato tre testimonianze: due interviste esclusive realizzate dalla Ferrera
nel carcere romano di Regina Coeli
(grazie alla collaborazione tecnica di
Giovanni Balestriere) ed una testimonianza diretta di un detenuto in semilibertà. Nel filmato d’apertura la storia di
un uomo di circa 70 anni, che ha approfondito proprio in carcere la sua passione per la lettura e la scrittura fino a poter
scrivere lettere d’amore per conto dei
compagni di detenzione così belle da conquistarsi il soprannome di “poeta”.
Ha catturato l’attenzione del pubblico
poi Marco, 32 anni: ha avuto il permes-
so di venire al Salone dal direttore del
carcere dove ancora deve rimanere due
anni. Attualmente è in semilibertà e lavora come bibliotecario nella scuola torinese di scrittura Holden. “La scrittura
consente, davanti a privazioni di ogni genere, di avere una alternativa. Chi guarda solo la televisione non pensa. La scrittura diventa un strumento di battaglia,
una forma di comunicazione tra coloro
che sono isolati dal mondo”.
Massimo Lugli scrittore e giornalista, cronista di nera di Repubblica (il suo ultimo
libro, edito da Newton &Compton si chiama Il carezzevole), dopo aver raccontato
di essere stato giovanissimo qualche giorno in carcere, ha lodato l’iniziativa, ricordando anche un altro “tutor”, Massimo Carlotto, che dalla propria esperienza in carcere ha tratto la spinta per diventare un grande scrittore.
“I detenuti- ha dichiarato in altre oc-
casioni Dacia Maraini- hanno dato la
precedenza nella loro vita all’azione. Costretti al regime carcerario, riscoprono
la loro vita interiore: riflessione, lettura, scrittura possono essere ottimo veicolo per il loro reinserimento sociale”.
Infatti tra coloro che stanno inviando i
racconti alla segreteria del Premio c’è
chi ha preso la licenza media in carcere e ha cominciato la sua opera di scrittura dedicandosi alle lettere d’amore
per gli altri detenuti; c’è l’extracomunitario che lì ha imparato l’italiano e ha
voglia di raccontarsi; c’è chi, dopo essere passato da esperienze eversive,
spiega come si è perso pur venendo da
una famiglia borghese e apparentemente senza problemi. Per tutti la scrittura è non solo sfogo, ma anche fuga con
la mente dalla situazione difficile che
sta realmente vivendo e soprattutto
“luogo” di riflessione interiore.
VIVAVERDI
Nella pagina accanto, la giornalista e
scrittrice Antonella Bolelli Ferrera,
ideatrice del premio letterario.
Sotto da sinistra, il capo del Dap
Franco Ionta, Mario Baudino de
La Stampa, il detenuto Marco,
Massimo Lugli di Repubblica
e il Presidente Siae, Giorgio Assumma
VIVAdall’interno
I vincitori della rassegna
Rock 10 e Lode, la band Ingram
con il brano Over the gate/Helldorado
PALERMO
LABORATORIO D’AUTORE
PER BAND MUSICALI
di Corrado Lo Iacono
“La creatività è passione pura, non connessa a facili guadagni; il successo artistico è una bestia difficile da cavalcare e resti in sella soltanto se il pubblico ti vuole”.
Questo il messaggio che Gino Paoli, cantautore eclettico che da circa 50 anni ci
emoziona con la sua poesia musicale, ha
indirizzato agli studenti siciliani. Un numeroso gruppo di ragazzi che, dopo essere stati coinvolti in seminari nell’ambito
del “Progetto Laboratorio d’Autore” quale iniziativa didattico/informativa promosso dalla Sede Regionale della Siae di
Palermo di concerto con l’Ufficio Organizzazione Eventi di Roma e realizzata dalla Lab Servizi Formativi, hanno preso parte il 5 maggio scorso presso il Teatro Orione/Pippo Spicuzza di Palermo alla IV Edizione della Rassegna “Rock 10 & Lode”.
L’evento ha visto esibirsi 12 band musicali formate quasi esclusivamente da studenti delle scuole superiori siciliane.
Davanti ad un numeroso pubblico sono
state eseguite 12 canzoni inedite e composte dagli stessi esecutori. Una apposita giuria presieduta dal Maestro Marco Betta e
costituita da autori, compositori e rappresentanti dello spettacolo e della cultura ha
decretato quale vincitore il brano Over the
gate/Helldorado (autori: A. Tripi, A. Alessandro, G. Croce, M. Schilleci, M. Signorino) eseguito dalla band Ingram. Secondo classificato Cut the plug eseguito dalla
Nel capoluogo siciliano quarta edizione della rassegna Rock 10 & Lode,
all’interno del Progetto Laboratorio d’Autore, organizzato dalla sede Siae. La
giuria, presieduta dal maestro Marco Betta, ha premiato la canzone Over the
gate/Helldorado del gruppo Ingram che ha vinto anche la targa ricordo per il
miglior testo. I primi tre classificati hanno partecipato al Festival della Legalità,
tenutosi a fine maggio a Capaci.
band La Ventunesima Fobia e terzo classificato il brano strumentale Invisibili eseguito dalla band Vo hinh che ha vinto anche la targa speciale offerta dalla Provincia Regionale di Palermo. Infine la canzone prima classificata ha vinto un ulteriore targa ricordo per il migliore testo, assegnata dalla giuria composta dai
giornalisti.
Il conduttore della rassegna, Filippo Marsala, ha invitato sul palco alcuni ospiti particolari della serata. Piero Alongi, vicepresidente della Provincia Regionale di
Palermo, nell’affermare che i giovani attraverso l’estro musicale possono veicolare valori etici e morali, ha confermato
che le predette tre band parteciperanno al
Festival della Legalità in programma a fine maggio a Capaci (Pa), mentre il brano
Over the gate/Helldorado sarà inserito nel
cd che la Provincia produrrà per la successiva distribuzione nelle scuole.
Raul Russo, assessore alle Politiche Giovanili del comune di Palermo, ha annunciato l’imminente avvio del progetto “Acchiappasogni”, che contribuirà ad au-
mentare la creatività dei giovani palermitani riscoprendo adeguati spazi per i
progetti musicali e utilizzando alcuni
beni immobili confiscati alla mafia.
Marco Betta, noto compositore, ha detto semplicemente che la musica, quale
alta forma dell’arte, rende libera la persona e aiuta a migliorare la società.
Othello Man, cantautore e direttore artistico del Festival della Legalità, ha apprezzato i brani musicali in gara, eseguiti con sincera passione. Brani i cui
testi hanno spaziato dal dramma del terremoto in Abruzzo al dilemma etico del
“fine vita”. Creativi fuori concorso sul
palco: Manuel Morgavi, studente dell’Itc di Stato “Fr Ferrara” di Palermo che
ha letto il proprio componimento dal
titolo Ma se io avessi un mondo … e Simona e Luca Trentacoste (vincitori dell’edizione 2009 di “Rock 10 e lode”) che
hanno eseguito il loro brano Soltanto
noi. Hanno concluso la serata i Kolymbetra, gruppo musicale che accompagna il Progetto Laboratorio d’Autore
dalla nascita.
La premiazione dei Seaward, vincitori
del concorso musicale di Novara
VIVAVERDI
VIVAdall’interno
83
BIELLA E NOVARA
IN UN MARE DI MUSICA
NON VOGLIAMO I PIRATI
di Marco Caselgrandi
Nella manifestazione di Biella del 15
aprile, si sono svolte le fasi finali di due
concorsi riservati agli studenti, il primo musicale, il secondo riguardante lo
slogan antipirateria più originale. All’evento, hanno partecipato il sindaco
di Biella Dino Gentile, il provveditore
agli studi della Provincia di Biella Piergiorgio Giannone, il direttore della Sede Siae di Torino Filippo Gagliano e i
testimonial della manifestazione, gli attori e autori Manuel Negro e Rossana
Carretto, oltre a Massimiliano Scuriatti e Giorgio Pezzana.
Nei brevi messaggi di saluto iniziali, il
Sindaco Dino Gentile ha invitato i ragazzi ad amare la musica e ad esprimere al meglio la loro creatività però sempre nel rispetto del lavoro degli autori,
la cui tutela rappresenta un baluardo
fondamentale per lo sviluppo culturale
del Paese. Ha inoltre elogiato la Siae evidenziando come tali importanti iniziative ne rafforzino l’immagine e il ruolo
istituzionale. Il Provveditore Piergiorgio Giannone, ha sottolineato il carattere educativo della manifestazione. Filippo Gagliano, direttore della Sede Siae
di Torino ha spiegato ai giovani che il
diritto d’autore non è né un balzello, né
una gabella ma, semplicemente, lo stipendio dell’autore e la Siae non è altro
che la casa di tutti gli autori.
Il concorso musicale è stato vinto dal
Il 15 ed il 28 aprile a Biella e a Novara, si sono svolte due manifestazioni
organizzate dalla Sede Siae di Torino e dall’Ufficio Scolastico Regionale del
Piemonte, in collaborazione con i Comuni delle due città piemontesi per
sensibilizzare i giovani sulle tematiche del rispetto del diritto d’autore e della
lotta alla pirateria e per valorizzare il talento e la creatività dei giovani. Sono
stati premiati gli slogan più originali e interessanti contro la pirateria.
gruppo Playladies formato da Giulia Osservati, Vittoria Atta, Jessica Briasco, Micol e Miriam Ottina del liceo scientifico
Avogadro di Biella, con il brano Fight. Il
concorso per lo slogan più originale è stato vinto da Martina Piga e Martina Barresi con lo slogan “La musica è emozione, la pirateria è illusione”.
Il 28 aprile a Novara, la formula della
manifestazione contro la pirateria si è
ripetuta con successo. Presso il Teatro
Coccia erano presenti, fra gli altri, l’assessore alle politiche giovanili del Comune di Novara Matteo Maranti, il
provveditore agli studi della Provincia
di Novara Giuseppe Bordonaro, Filippo Gagliano, Rossana Carretto, Massimiliano Scuriatti, Marina Crescenti,
Massimo Negro e Giorgio Pezzana.
Nei messaggi di saluto iniziali, l’assessore Matteo Maranti, dopo aver ringraziato la Siae per aver scelto Novara, ha
sottolineato l’impegno dell’amministrazione municipale nel sostenere manifestazioni che valorizzino talento e
creatività dei giovani, aggiungendo che,
secondo lui, quella intrapresa dalla Siae
è la strada giusta per avere i giovani al
proprio fianco nella lotta alla pirateria. Il
provveditore Giuseppe Bordonaro, ha affermato di aver collaborato con convinzione soprattutto per l’importanza del risvolto educativo dell’iniziativa, confessando di essere egli stesso musicista per
diletto. Filippo Gagliano, direttore della
Sede Siae di Torino ha dichiarato di aver
constatato con grande piacere l’attenzione che gli studenti riservano ai problemi
del mondo autorale e che, pertanto, la via
della sensibilizzazione è da ritenere di
grande importanza nell’azione di contrasto alla pirateria.
La giuria ha decretato la vittoria del concorso musicale del gruppo Seaward, formato da Lorenzo Familiari, Martina e
Marco Picaro, Daniele Bassi dell’istituto Omar e del liceo scientifico Antonelli di Novara con il brano Beher not di
Lorenzo Familiari. Il concorso per il miglior slogan antipirateria è stato vinto
da Martina Rosati con lo slogan “In un
mare di musica non vogliamo i pirati”.
VIVAconcorsi
a cura di Daniela Nicolai
Tutte le segnalazioni di concorsi e premi riportate in queste pagine sono fatte a
scopo puramente informativo e senza alcuna responsabilità da parte della
Siae. Per i testi integrali dei bandi e per conoscere le modalità di partecipazione
è necessario rivolgersi agli organizzatori delle singole manifestazioni. Gli
organizzatori di premi e concorsi sono pregati di inviare, a corredo del bando o del
regolamento, un’illustrazione e, se possibile, una rassegna stampa relativa alla
manifestazione, nonché una comunicazione circa i risultati della stessa. I concorsi
che compaiono in questa rubrica saranno pubblicati anche in una apposita
sezione del sito Internet della Siae (www.siae.it) insieme a quelli che non è stato
possibile segnalare a causa dei tempi redazionali.
CANTAMUSIC SHOW 2010
La NV Records indice il festival nazionale Cantamusic Show 2010 ideato da Nello Villa, al quale possono partecipare cantanti, cantautori e
gruppi a partire dal 16° anno di età. Si partecipa con un brano edito o inedito di durata massima di 4 minuti. Le domande di iscrizione, con
le modalità previste dal bando, devono essere
inviate entro il 15 luglio 2010 a: Nello Villa, Località Boeri 32, 17043 Plodio (Sv). E’ prevista
una quota di partecipazione. Il primo premio
consiste in un contratto discografico della durata di un anno. Per informazioni: tel.
019519643, [email protected].
CONCORSO DI COMPOSIZIONE LAVAGNINO
2010
L’Orchestra Classica di Alessandria bandisce
il Concorso Internazionale di Composizione Lavagnino 2010, che si svolgerà a Gavi e Alessandria nell’ambito del Festival Internazionale
Angelo Lavagnino. Sono ammessi a partecipare compositori di ogni nazionalità nati dopo
il 1° gennaio 1965. Il termine per l’iscrizione
scade il 2 agosto 2010.
I partecipanti dovranno realizzare il commento musicale per una sequenza cinematografica della durata di 4-5 minuti circa, scelta fra
due inviate preventivamente dall’organizzazione. Gli elaborati, con le modalità previste dal
bando,devono pervenire entro il 9 ottobre
2010 a “Concorso Internazionale di Composizione “Lavagnino2010”, c/o Associazione Alexandria Classica, Via U. De Foro 4, 15100 Alessandria, oppure via mail a [email protected]. E’ prevista una quota di iscrizione.
Per richiedere il bando completo e per ulteriori
informazioni: tel. e fax: 347.8006826,
340.8194806, 0131.226202, [email protected], [email protected], www.lavagninofestival.it
CONCORSO DI COMPOSIZIONE
ANTONIO MANONI
L’associazione Musica Antica e Contemporanea di Senigallia indice il Concorso di composizione Antonio Manoni. Gli organici per
questa edizione sono: organo solista, clarinetto in Sib, pianoforte, duo cl e organo, duo
cl e pianoforte. Le domande di iscrizione, con
la documentazione richiesta dal bando, dovranno essere inviate tramite raccomandata
entro il 25 agosto 2010: Associazione Musica Antica e Contemporanea, Concorso Antonio Manoni, Via della Marina 16, 60019
Montignano di Senigallia (An). E’ prevista una
quota di iscrizione. La composizione vincitrice sarà edita dalle Edizioni Berben e sarà
eseguita in prima assoluta nell’ambito della
rassegna Musica Nuova Festival di Senigallia. Per informazioni: 071.9190503,
071.69215, 338.3886704, [email protected].
TROFEO DEL BERGAMOTTO
L’associazione culturale Universum Calabria
bandisce il concorso letterario internazionale Trofeo del Bergamotto suddiviso in quattro sezioni: poesia in lingua italiana a tema “il
bergamotto”; poesia in lingua italiana a tema
libero; poesia in vernacolo a tema libero; alunni delle scuole elementari e medie. E’ prevista una quota di iscrizione. Gli elaborati, con
le modalità previste dal bando, dovranno pervenire, entro il 30 agosto 2010, a Universum Calabria, via Trapezi 19 trav. Priv.,
89134 Croce Valanidi (Reggio Calabria). Per
informazioni: 0965.641256, 328.1244802,
[email protected], www.ilsaggio.it, associazione [email protected].
zione, per ensemble strumentale e piccolo
coro, dovrà essere della durata massima di
7 minuti, inedita e mai eseguita. E’ prevista
una quota di iscrizione. Al vincitore andrà un
premio di 1.500 euro e la targa d’argento
Siae. Gli elaborati, con la documentazione richiesta dal bando dovranno essere inviati online tramite il sito www.musicaearte.it oppure tramite mail a [email protected]
entro il 18 settembre 2010. Per informazioni:
[email protected],
tel.
06.58209051.
DE MUSICA, CONCORSO DI COMPOSIZIONE
PIANISTICA
L’associazione culturale “De Musica” di Savona bandisce il nono concorso nazionale di
composizione pianistica con la direzione artistica del M° Giusto Franco. La composizione classica, per pianoforte solo, dovrà essere inedita e della durata di 7 minuti. Gli elaborati, con le modalità previste dal bando,
dovranno pervenire entro il 30 settembre
2010 a: Associazione De Musica, via Corridoni 5-7, 17100 Savona. E’ prevista una quota di iscrizione. Per informazioni: tel.
019.853990, 329.4730217, [email protected], http://web.tiscali.it.demusica.
PREMIAZIONI
CONCORSO DI COMPOSIZIONE
MUSICA E ARTE
Ogni compositore, di qualsiasi età e nazionalità, potrà partecipare al Concorso Musica
e Arte con un’unica partitura. La composi-
LONDON SCHUBERT PLAYERS
Il 31 marzo 2010, presso la Royal Academy
of Music di Londra, si è svolto il lancio ufficiale del progetto “Invitation to Composers”
indetto dal gruppo London Schubert Players
e finanziato dalla Commissione Europea. Le
composizioni scelte per quest’occasione sono state: “Crystals” di Bjørn Bolstad Skjel-
bred , “Evocations Rituelles” di Roberto Brisotto, “Quator pour Marguerite” di Carmen
Maria Cârneci e “Clouds. Homage to Messiaen” di Salvador Torre tutte scritte per violino, violoncello clarinetto e pianoforte ed ispirate al “Quator pour la Fin du Temps” di Olivier Messiaen.
CANTAUTORI BITONTO SUITE
Carolina Da Siena e Pasquale Delle Foglie
si sono aggiudicati la IV edizione di Cantautori Bitontosuite, premio nazionale di musica d’autore.
PREMIO LETTERARIO I FIUMI
I vincitori del Premio Letterario I Fiumi sono, per la poesia Vincenzo Antonucci, per
la narrativa Monica Tavarner, per il teatro
Guido Nahum, per la musica leggera Giorgio Simoni, per il premio cultura e futuro
Eleonora Marin, per il premio Unità produttive Salvatore Nicolosi, Anita Peloso e Diana Villardi. Per il Festival del Piave sono stati premiati Paola Canino, Luca Tessarolo e
Mauro Faravelli.
PREMIO LETTERARIO MICHELE GINOTTA
L’edizione 2009 del concorso letterario in
forma chiusa del Cenacolo Studi Michele Ginotta si è conclusa con l’assegnazione del
primo premio a Paolo Bezzi e del secondo
premio a Giangiacomo Amoretti.
ACCADEMIA DI SANTA CECILIA
Il vincitore del Concorso internazionale di
composizione 2009 bandito dall’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia e riservato quest’anno a una composizione originale per orchestra da camera è stato vinto da Christian
Cassinelli con l’opera “Halak”.
VIVAVERDI
85
l’ultimo applauso
RAIMONDO VIANELLO
GRAZIE
PER 50 ANNI DI IRONIA
Foto TecheRai
di Maurizio Costanzo
Quando cinquant’anni fa cominciai a
fare il giornalista il primo personaggio
che conobbi fu Raimondo Vianello (Roma 7 maggio 1922- 15 aprile 2010) e da
allora per 50 anni siamo stati amici e
talvolta complici come quando nel ‘62
volle dare a me che lavoravo in un settimanale della Mondadori l’esclusiva
del matrimonio con Sandra. L’anno dopo, nel ’63, in occasione del mio primo
matrimonio, gli chiesi e lui accettò di
farmi da compare d’anello. Raimondo,
portatore sano d’ironia. Nel 1998 con
Enrico Mentana realizzammo a Milano
uno speciale dal titolo I tre tenori e cioè
Raimondo Vianello, Corrado e Mike
Bongiorno. Con la morte di Raimondo
quello speciale diventa archivio ma andrebbero ricordati sempre gli sguardi
senza proferire parola di Vianello con
Corrado quando Mike si abbandonava
a qualche tirata un po’ retorica.
In questo momento di mio personale
dolore, condiviso lo so da tanti italiani,
penso con malinconia a Sandra che ha
condiviso con quest’uomo 48 anni di
matrimonio e ha consegnato Casa Vianello che rimane un bel momento di televisione. Ma penso anche e con soddisfazione che finalmente la coppia Ugo
Tognazzi e Raimondo Vianello si è ricomposta. Come quando dal 1954 al ‘59
condussero il primo varietà della televisione italiana Un due tre. Continuando a pensare a Tognazzi e a Vianello
chissà come staranno commentando le
nostre parole, frasi anche di circostanza, archivi messi a soqquadro per proporre immagini. E forse staranno anche ripercorrendo gli anni delle riviste
teatrali quando trionfavano i doppi sensi o quando un colpo di batteria copriva la parola licenziosa. Una volta Vianello disse: “Io, in vacanza, sono stato
ad Ischia dove si canta, si balla, e si fischia” e Tognazzi di rimando: “Io, invece, sono stato a Giava, dove si balla, si
canta e si …” break di batteria a coprire la rima.
Erano molto divertenti le liti fra Sandra
e Raimondo quando c’erano i mondiali di calcio o le Olimpiadi in quanto Raimondo si autosequestrava in casa, non
voleva essere disturbato per nessun motivo e correva dietro al fuso orario per
seguire anche lo sport più modesto trasmesso alle 5 di mattina. Perché non
molti ricordano che Vianello fu Presidente di una piccola squadra di calcio
che si chiamava Samo ovvero Sandra
Mondaini e vi giocava anche lui e se è
arrivato gagliardamente agli 88 anni lo
si deve anche a questa passionaccia del
gioco del pallone.
Grazie Raimondo, per questi 50 anni, per
tutti noi sarà impossibile dimenticarti.
l’ultimo applauso
NICOLA ARIGLIANO
QUELL’ESTATE DEL’59
di Giorgio Calabrese
Estate 1959. “ ‘Rijàa! (Arigliano) Canta
Singapore!” Cercare di spiegare all’ignoto “fan” che Nicola Arigliano
(Squinzano 6 dicembre 1923- 30 marzo 2010) che canta I sing ammore e Singapore non c’entra niente sarebbe tempo perso. La voce stentorea cavalca brusii e risate di “Riva Fiorita”, caffè, giardino e dancing di Porto San Giorgio.
Poi, la stessa voce commenta: “quanno
che viene Arigliano a cantà’, Marcotulli (il proprietario) mette li tavoli pure
sopra le piante!”. La gente ride. Sono
anni così. In altra sede, a fine spettacolo, Gorni Kramer si avvicina e quasi sollecitandolo gli dice: “ Dài, Nicola, sù,
che andiamo a spaventare i bambini!..”
Di venir definito “il brutto” non gli importava affatto. Anzi, la riteneva, forse,
una sua prerogativa. D’altra parte, di
“brutti fascinosi” è colma la letteratura e la cinematografia.
A I sing ammore fece seguito My wonderful bambina immediatamente parodiata in Salvate la bambina e la serie dei
piccoli swing come Milano, Dimmi di
no e una “Canzonissima” con Arrivederci, Infine, un progetto ambizioso di
disco con canzoni alternate a recitativi
che facevano da filo conduttore. Il tutto sostenuto dall’orchestra di Pino Calvi. Il disco si chiamava Uno che sta pensando a te. Ci è piaciuto costruirlo pezzo dopo pezzo: vero, Nic? Nell’ambiente dei collezionisti e dei jazzaroli pare
circoli ancora. Soprattutto Non importa quando.
Poi, ancora tv per te e un “Sanremo”
con Colpevole prima di dedicarti completamente ai “fermentati” (ortaggi vari conservati sotto acqua, sale e chissà
quali altri accidenti) nel tuo buen retiro del “Vocabolo Berardelli” in località
“Angeli” di Magliano Sabina, dove sei
riuscito a far entrare, oltre ai boccali di
verdure, anche un pianoforte mezza coda per ogni evenienza.
VIVAVERDI
87
CARLO ALBERTO ROSSI,
L’ELEGANZA DELLA BELLEZZA
di Franco Daldello
Sono pochi gli uomini di spettacolo che
come Carlo Alberto Rossi (30 agosto
1921-12 aprile 2010) hanno saputo spaziare con successo dall’attività creativa
a quella imprenditoriale. Navigando
su YouTube è possibile ammirare anche le sue capacità di entertainer in
occasione di una sua performance come pianista cantante di alcune delle
sue canzoni ospite, in una trasmissione di Mike Bongiorno di qualche anno fa. I lettori di VivaVerdi, soprattutto quelli della mia generazione, san-
l’ultimo applauso
no già tutto di lui, che era nato a Rimini e che aveva mantenuto un legame
molto stretto con la sua città d’origine
conservando per tutta la vita le caratteristiche peculiari e la simpatia del carattere forte dei Romagnoli. Quindi non
voglio fare qui l’elenco delle centinaia
di canzoni da lui composte, molte delle quali seppero portare una piccola rivoluzione nel mondo della canzone italiana vestendo le sue creazioni con
l’eleganza di un abile sarto che seppe
cucire strette fra loro la melodia italiana e le armonie e gli accordi del più
raffinato jazz d’oltre oceano. Spero, in
queste poche righe, di riuscire a far risaltare quanto egli fece e si adoperò,
come uomo, come artista e come imprenditore sempre volto alla ricerca
della bellezza.
Quando con suo fratello Alfredo fondò l’Ariston si circondarono di grandi
talenti ognuno dei quali seppe imporsi nel firmamento della canzone italiana e non solo. Le sue canzoni erano
l’immagine della bellezza che egli ricercava senza mai concedersi alla moda od allo stile del momento e lo stesso metro, ecco che ritorna la figura del
bravo sarto artigiano, contraddistinse
Carlo Alberto Rossi imprenditore. La
sua CAR Juke Box fu una palestra dove
si fecero i “muscoli” dei veri e propri
talenti, alcuni dei quali innovativi rispetto alla moda del momento, quali:
Joe Sentieri, Fausto Cigliano, Le Orme, Mimì Berté (Mia Martini), Pier
Giorgio Farina ed Enzo Jannacci.
I suoi studi di registrazione, noti come
Fonorama, erano dotati della miglior
tecnologia del momento e furono frequentati da molti importanti artisti.
Tra questi voglio ricordarne, solo perché ne ho fatto parte, alcuni della “Numero Uno” quali Lucio Battisti e la Premiata Forneria Marconi. Qualcuno
molto più autorevole di me ha detto che
il mondo ha bisogno degli artisti e che
la sua salvezza morale può solo venire
dalla bellezza che essi sanno trasferire alla società civile. Bene, un grande
grazie all’artista / imprenditore Carlo
Alberto Rossi per aver fatto così bene
la sua parte.
GINO INGROSSO,
FOLKSINGER SALENTINO
Addio a Gino Ingrosso (16 giugno 193217 aprile 2010), cantautore e cantastorie della tradizione popolare salentina, un musicista legato alla tradizione
folk della città, a lungo sotto contratto per un’etichetta milanese, autore di
centinaia di brani e composizioni eseguite anche da cantanti di fama internazionale, tra i quali Gene Pitney
(Quella che sa piangere e Verrò), The
Everly Brothers (La luna è un pallido
sole, con testo di Mogol), John Rowles
(The pain goes on forever, versione inglese di Il viaggio dell’amore, scritta
con Totò Savio). Ingrosso ha ereditato dal padre, suonatore di mandolino,
la passione per la musica e presto ha
imparato a suonare la chitarra, con la
quale girava per feste da ballo e paesane, mischiando il dialetto salentino
con ritmi da ballo in voga, dai valzer al
boogie-woogie.
Aveva meno di diciotto anni quando
una troupe della Rai giunse a Castri,
suo paese natale, e lo scelse per interpretare una sua composizione, Lecce mia in una registrazione di canti di
lavoratori. Il successo cominciò ad arrivare: a Roma conobbe Paolo Bacilieri, che inserì nel suo disco due canzoni di Gino, quello fu il trampolino
di lancio per ottenere un contratto discografico con la Sugar Music per la
quale ha composto tantissime canzoni fra originali e versioni straniere:
Non è la fine incisa da Bobby Solo, Incubo n. 4 per Caterina Caselli, Il rimpianto per Nicola di Bari, Noi siamo
in tre per Betty Curtis. Dalla fine degli anni ’70 riscoprì la musica popolare della natìa terra salentina. Tra i
suoi brani più noti: Torna pe’ sempre,
Lu pompieri, Ieu pe’ tie, La fresedda
e nel 1985 Lecce in serie A per celebrare la prima storica promozione del
Lecce nella massima divisione.
Fu l’organizzatore del primo Festival
della canzone leccese “Lucerneddhe
lucerneddhe” nel 1978. Poi, dagli anni ottanta, si è dedicato alla ripresa
della pizzica, portandola di nuovo in
auge. Aveva celebrato la sua carriera,
con la pubblicazione del libro 19752000, venticinque anni di canzoni
leccesi, dove raccontava, con modestia e buonsenso, la sua splendida storia, tra aneddoti personali e piccole
riflessioni. Il suo ultimo album, Baraonda , del 2008, è una raccolta di
successi, vecchi e nuovi.
VIVAVERDI
89
Foto Farabola Foto
FURIO SCARPELLI,
HA DIPINTO L’AFFRESCO
DELLA SOCIETÀ ITALIANA
di Franco Montini
Anche ad elencare soltanto i capolavori e i film che hanno segnato la storia del cinema italiano, e non solo,
scritti da Furio Scarpelli la lista rischia
di essere interminabile. Sedotta e abbandonata e Signore & signori per
Germi; La marcia su Roma, I mostri,
In nome del popolo italiano per Risi;
Tutti a casa per Comencini; I soliti
ignoti, La grande guerra, I compagni,
L’armata Brancaleone per Monicelli;
Riusciranno i nostri eroi…, Dramma
della gelosia, C’eravamo tanto amati
per Scola; Il buono, il brutto il cattivo
per Leone; Ovosodo per Virzì. Un
elenco che dà la vertigini, una produzione sterminata, nel segno della commedia, da intendersi nella versione
più alta, ovvero un genere capace di
suscitare ad un tempo sorrisi e lacrime, di comunicare messaggi importanti e profondi in forma piacevole e
spettacolare. Una filmografia ricca di
140 titoli, scritti in un arco di tempo
di sessant’anni: dal 1949, Totò cerca
casa, primo di una quindicina di film
realizzati per il grande attore, al 2009,
Christine Cristina, esordio in regia di
Stefania Sandrelli. Perché Furio Scarpelli, nato a Roma il 16 dicembre 1919
e scomparso a 90 anni compiuti lo
scorso 28 aprile, è stato uno sceneggiatore instancabile, un autentico fiume in piena, attivo nella professione
fino agli ultimi giorni. Oltre che un generoso maestro che ha insegnato i segreti del mestiere ad uno stuolo di allievi, fra i quali, tanto per citare un paio di nomi, ci sono Paolo Virzì e Francesco Bruni.
La carriera di Scarpelli si è svolta in gran
parte accanto e insieme al coetaneo Age,
morto cinque anni fa, conosciuto nelle
redazioni delle riviste umoristiche del
dopoguerra, dove entrambi lavoravano
come giornalisti. Impossibile scindere
i contributi dell’uno da quelli dell’altro
nel loro lungo e duraturo sodalizio. I
tratti identificativi del cinema di Scarpelli (e di Age) si possono riassumere
in un mix di umorismo e moralità, intelligenza e cultura, ironia e fantasia.
Proprio in un’intervista pubblicata su
questo giornale, così Scarpelli ricordava le caratteristiche del suo sodalizio con
l’amico e collega: “Ciò che accomunava
Age e me era un’etica della professione,
ovvero alcuni principi morali: una comune convinzione politica, un’attenzione al sociale, una comprensione per
il prossimo, una simpatia per i personaggi da narrare e l’individuazione di
un preciso punto di vista, che non deve
essere affatto quello dell’autore. Un autore è tanto più grande se riesce ad occultarsi nella sua storia”.
Scarpelli c’è sempre riuscito; detestava
l’autore narciso che parla di se stesso,
prediligeva il lavoro di gruppo ed odiava la cinefilia. Schivo per carattere, provava un sincero fastidio nei confronti di
qualsiasi forma di omaggio e celebrazione; convincerlo a partecipare a rassegne
che lo riguardavano non era semplice,
anche se, una volta coinvolto, era generosissimo e non si risparmiava, capace di
parlare per ore da straordinario affabulatore. Scarpelli amava le storie, i personaggi, le trame romanzesche; per essere
un buon sceneggiatore- era solito ripetere- bisogna essere innanzitutto un narratore; la tecnica è la cosa che conta meno. “Ed anche la tecnologia- commentava nell’intervista già citata- non ha molta importanza. Confesso che nel mio lavoro non uso il computer e che, a volte,
scrivo ancora a mano”.
I suoi modelli di ispirazione, più che i
registi, sono stati i giganti della letteratura: Balzac, Maupassant, Gogol, Turgenev, Fitzgerald, uniti alla straordinaria capacità di cogliere al volo i cambiamenti di costume, i modi di fare e di atteggiarsi, le novità linguistiche emergenti nella vita quotidiana. Davvero il
cinema di Scarpelli (e di Age) rappresenta il più interessante e veritiero affresco sulla società italiana degli ultimi
sessant’anni. Se, come sostengono gli
americani, la sceneggiatura è l’elemento più importante nella realizzazione di
un film, allora Furio Scarpelli merita di
essere considerato il più importante cineasta italiano.
VIVAVERDI
90
ORGANI SOCIALI
ASSEMBLEA
RIUNIONE DEL 29 MARZO 2010
L’Assemblea, riunitasi il 29 marzo 2010, ha ricevuto una informativa relativa all’andamento
dei costi e dei ricavi, in vista della definizione
degli indirizzi per la predisposizione del piano
strategico per il triennio 2010- 2012. La stessa Assemblea ha rinviato la prosecuzione dell’esame dell’argomento ad una successiva riunione, da tenersi nel mese di maggio.
CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE
RIUNIONE DEL 25 FEBBRAIO 2010
Nella riunione del 25 febbraio 2010 il Consiglio di Amministrazione ha proseguito la discussione per la definizione degli obiettivi e
degli indirizzi finalizzati alla redazione del piano strategico.
Il Consiglio ha inoltre approvato, su parere
conforme della Commissione della Sezione
Musica, le condizioni contrattuali negoziate
con la Fimi per la riproduzione delle opere su
supporti fonografici e Dvd musicali.
RIUNIONE DEL 4 MARZO 2010
Ad inizio riunione il Consiglio di Amministrazione ha rivolto un saluto di benvenuto
al nuovo Presidente del Collegio dei Revisori, dott. Benito di Troia, nominato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a seguito delle dimissioni presentate dal dott.
Giancarlo Settimi.
Il Consiglio di Amministrazione è stato quindi informato sulle trattative in corso in materia di diritti connessi ed ha discusso alcune
questioni concernenti gli accordi per la determinazione dell’equo compenso spettante
agli autori cinema (art. 46bis della legge sul
diritto d’autore), decidendo in proposito di or-
ganizzare uno specifico incontro con tutte le
associazioni di categoria interessate.
Il Consiglio ha poi approvato le ordinanze
di ripartizione per l’anno 2010 per le Sezioni Musica e Dor e, su parere conforme
della Commissione della Sezione Musica, i
criteri della nuova licenza integrata per gli
operatori telefonici.
Il Consiglio infine ha nominato i componenti
del “Comitato arti visive e altre figure autorali” ed ha proseguito la discussione sul piano strategico.
RIUNIONE DEL 22 MARZO 2010
Nella riunione del 22 marzo 2010 il Consiglio di Amministrazione ha deliberato di proporre all’Assemblea l’approvazione di una
modifica all’art. 147 del Regolamento Generale.
Il Consiglio ha quindi proseguito la discussione per la definizione degli obiettivi e degli indirizzi finalizzati alla redazione del piano strategico.
Il Consiglio ha poi approvato l’accettazione in tutela da parte della Sezione Musica
delle elaborazioni della parte musicale di
opere tutelate, l’utilizzo dei criteri da adottare per il rilascio di licenze multiterritoriali
relative all’utilizzazione del repertorio degli associati Siae, la revisione delle licenze per l’utilizzo del repertorio amministrato in siti internet di autopromozione degli
autori ed editori (Apae) e dei produttori fonografici ed artisti esecutori (App) e l’introduzione di una tariffa agevolata per gli
spettacoli teatrali che avvengono in teatri
fino a 50 posti.
Il Consiglio è stato infine informato dell’andamento della trattativa con Scf, ha approvato le modifiche relative ai generi teatrali proposte dalla Commissione della Sezione Dor ed ha deliberato il rinnovo per
l’anno 2010 dell’accordo in materia di reprografia con le associazioni degli autori e
degli editori.
RIUNIONE DEL 30 MARZO 2010
Nel corso della riunione il Consiglio di Amministrazione ha deliberato, su parere conforme della Commissione della Sezione Cinema, la disdetta del vigente accordo con
Sky Italia relativo all’equo compenso previsto dall’art.46 bis della legge sul diritto
d’autore.
Il Consiglio, su parere della competente
Commissione della Sezione Dor, ha quindi
nominato un nuovo componente del Comitato Intersezionale copia privata.
Il Consiglio ha poi ratificato il Documento
Programmatico sulla sicurezza relativa ai
dati personali, ha preso atto dell’informativa resa dal Direttore dell’Ufficio Affari Giuridici e Legali in merito ai ricorsi depositati da alcune società innanzi al Tar Lazio
per l’annullamento del DM del 30.12.2009
relativo alla determinazione dei compensi
di copia privata, ha nominato presidente
dell’Organismo di Vigilanza la dott.ssa Claudia Cattani, già componente dell’organismo, e quale ulteriore membro, il dottor
Benito Di Troia.
Il Consiglio ha infine proseguito, con riferimento
agli esiti dell’Assemblea del 29 marzo 2010,
la discussione sul piano strategico.
RIUNIONE DEL 15 APRILE 2010
Il Consiglio di Amministrazione è stato informato del’abbandono della richiesta di sospensiva da parte delle società che avevano
impugnato di fronte al Tar Lazio il DM
30.12.2009 relativo alla determinazione dei
compensi di copia privata.
Il Consiglio ha poi ricevuto il progetto di nuovo Statuto elaborato dal Comitato per la revisione dello Statuto e dei Regolamenti, unitamente alla relazione illustrativa e al documento contenente le posizioni minoritarie, rinviandone a successiva riunione l’esame.
Il Consiglio ha infine proseguito la discussione sul piano strategico.
SEZIONI SERVIZI E UFFICI
SEZIONE MUSICA
RIUNIONE DELLA COMMISSIONE
DI SEZIONE DEL 2 MARZO 2010
Il giorno 2 marzo 2010 si è riunita presso la Direzione Generale la Commissione della Sezione Musica, presieduta dal M° Franco Micalizzi.
Erano presenti alla seduta della Commissione
il Direttore della Divisione Autori ed Editori
dott.ssa Sabina Riccardelli, il Direttore della
Sezione Musica dott. Antonio Coluccini con funzioni di Segretario, il Dirigente Responsabile
dell’Ufficio Ripartizione e Utilizzazioni dott. Nazzareno Tirocchi, la dott.ssa Francesca Giovagnorio della Divisione Autori ed Editori e la
dott.ssa Concetta Virgòpia del Supporto Gestionale della Sezione Musica.
In apertura di seduta il Presidente avv. Giorgio
Assumma ed il Direttore Generale dott. Gaetano Blandini sono intervenuti per dare un aggiornamento sullo stato delle trattative in corso con Sky, anche all’esito della richiesta di disdetta del contratto in scadenza al 30 giugno
2010 con la suddetta emittente, avanzata da
alcune Associazioni di autori cinematografici
e televisivi.
La Commissione ha espresso parere contrario sia in ordine alla ipotesi di disdetta per il repertorio musica sia in ordine alla richiesta delle medesime Associazioni di partecipazione di
una rappresentanza di associati alle trattative
con gli utilizzatori.
La Commissione ha quindi approvato il verbale della precedente riunione dell’11 febbraio
2010 ed ha, nell’ordine, reso i seguenti pareri di competenza in merito ai criteri ed al relativo schema tariffario posti rispettivamente a
base di:
1) una nuova Licenza elaborata per consentire l’utilizzo di opere musicali in servizi telefonici e via internet da parte degli operatori Telecom, Vodafone, Wind e H3G;
2) una nuova Licenza elaborata per l’utilizzo
del solo repertorio degli associati Siae da
bollettino sociale
parte dell’operatore Beatport, con l’ulteriore previsione della possibile estensione
ad altri contratti di licenza multiterritoriali;
3) una nuova Licenza elaborata per consentire, in abbonamento, attività di downloading a tempo esclusivamente a mezzo telefono cellulare.
La Commissione ha inoltre reso parere favorevole in merito:
- alla revisione ed alla previsione di una nuova fascia tariffaria per le Licenze in vigore
relative all’utilizzo del repertorio amministrato
in siti internet di autopromozione sia degli
autori ed editori (Licenze APAE - Auto Promozione Autori ed Editori) sia dei produttori fonografici ed artisti esecutori (Licenze
APP - Auto Promozione Produttori fonografici), con introduzione in particolare di una
ulteriore fascia tariffaria minima agevolata
per gli artisti in relazione alla sola Licenza
APP;
- alla introduzione di una fascia tariffaria agevolata per le musiche di scena in spettacoli teatrali all’interno di teatri con capienza fino a 50 posti.
La Commissione ha infine preso atto della informativa resa dagli Uffici in merito allo stato
dei rapporti con YouTube.
COMMISSIONE TECNICA
ELABORAZIONI DI OPERE
DI PUBBLICO DOMINIO
La Commissione Tecnica per l’esame delle elaborazioni di opere di pubblico dominio si è riunita il giorno 16 marzo 2010, sotto la Presidenza del Direttore della Sezione Musica dott.
Antonio Coluccini.
La Commissione ha esaminato complessivamente n. 169 elaborazioni, formulando i pareri di competenza in relazione alla possibilità di
accettazione in tutela e alla relativa assegnazione di quote di diritti in base alle previsioni
della Delibera Commissariale n. 1 del 7 Gennaio 2002.
ELENCO DEI CONTRATTI
GENERALI DI CESSIONE PER
L’ESTERO NOTIFICATI ALLA
SIAE NEL CORSO DEL
SECONDO SEMESTRE 2009
Ai sensi della normativa sociale in materia, si dà
notizia qui di seguito dei contratti generali stipulati da editori originali con sub-editori stranieri
per la gestione da parte di questi ultimi del repertorio dell’editore cedente.
Cedente: TORNADO EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: ROBA MUSIC VERLAG
Data: 01/06/2009
Territorio: GERMANIA, AUSTRIA, SVIZZERA, POLONIA
Cedente: TORNADO EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: K9 MUSIC PUBLISHING
Data: 01/06/2009
Territorio: ROMANIA
Cedente: TORNADO EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: CLIPPER’S EDICIONES MUSIC
Data: 01/06/2009
Territorio: SPAGNA, PORTOGALLO
Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: K9 MUSIC PUBLISHING
Data: 01/01/2010
Territorio: ROMANIA
Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: ROBA MUSIC VERLAG
Data: 01/01/2010
Territorio: GERMANIA,AUSTRIA,SVIZZERA,POLONIA
Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: CLIPPER’S EDICIONES MUSIC.
Data: 01/01/2010
Territorio: SPAGNA, PORTOGALLO
VIVAVERDI
92
SEZIONI SERVIZI E UFFICI
Cedente: ABRAMO ALLIONE EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: ARTEMIS MUZIEKUITGEVERIJ B V
Scaduto: 31/12/2009
Territorio: MONDO
Cedente: FMA EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: ARTEMIS MUZIEKUITGEVERIJ B V
Scaduto: 31/12/2007
Territorio: MONDO
Cedente: FMA EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: K9 MUSIC PUBLISHING
Data: 01/06/2009
Territorio: ROMANIA
Cedente: FMA EDIZIONI MUSICALI
Cessionario: CLIPPER’S EDICIONES MUSIC.
Data: 01/06/2009
Territorio: SPAGNA, PORTOGALLO
Cedente: THE SAIFAM GROUP
Cessionario: TEDDYSOUND S A
Rinnovato fino al : 31/12/2013
Territorio: SPAGNA
Cedente: THE SAIFAM GROUP
Cessionario: MELODIE DER WELT
Rinnovato fino al : 31/12/2010
Territorio: GERMANIA, AUSTRIA, SVIZZERA
Cedente: EDIZIONI MUSICALI ORLA SNC
Cessionario: ALL MUSIC PUBLISHING
Scaduto: 31/01/2010
Territorio: BELGIO, OLANDA
Cedente: SUGAR GROUP e Case ASSOCIATE
Cessionario: BONNIER GAZELL MUSIC PUBLISHING AB
Scaduto: 31/12/2009
Territorio: PAESI SCANDINAVI
Cedente: ANTIBEMUSIC SRL
Cessionario: ANKH
Data :01/01/2009
Territorio: GRECIA, CIPRO
PREMI INTERNAZIONALI ASCAP
Anche per il corrente anno la Società consorella americana ASCAP ha istituito il programma di Premi Internazionali destinato ad
associati meritevoli le cui opere, licenziate
dall’ASCAP, siano state eseguite nel territorio degli Stati Uniti in località non comprese
nel campionamento-base dei diritti di pubblica esecuzione.
La giuria che designa i beneficiari dei premi
è composta da membri eminenti della comunità musicale che non sono né associati
né dipendenti dell’ASCAP, è indipendente nelle sue determinazioni, che sono definitive.
I requisiti per concorrere ai premi sono i seguenti:
- le esecuzioni devono essere state autorizzate dall’ASCAP (e non da altra Società degli Autori statunitense);
- le esecuzioni devono essere avvenute nel
territorio degli Stati Uniti nel periodo 1° ottobre 2009 – 30 settembre 2010;
- possono concorrere esecuzioni dal vivo, incluse quelle in night-clubs, pubs, alberghi, parchi di divertimento, spettacoli multimediali.
- il candidato non deve aver percepito più di
25.000 dollari in diritti d’autore dall’ASCAP
in tale periodo (questo requisito sarà verificato dall’ASCAP);
- sono esclusi dalla partecipazione gli editori;
- non possono partecipare neanche gli eredi
di associati deceduti;
- le composizioni eseguite devono essere regolarmente dichiarate all’ASCAP.
Nella domanda dovranno essere indicati la
data dell’esecuzione, il titolo/i dell’opera/e,
l’esecutore ed il luogo dell’avvenuta esecuzione.
Ogni esecuzione indicata dovrà essere corredata di idonea documentazione di supporto (ad es. programmi a stampa, annunci pubblicitari a stampa, recensioni, lettere di conferma, ecc.).
Non dovranno essere allegati spartiti o registrazioni delle opere.
I moduli di domanda possono essere richiesti
alla Direzione Generale della SIAE - Tutela Repertori
all’Estero
(Segreteria:
tel.
06.59902255) – Viale della Letteratura, 30 00144 ROMA (e-mail: [email protected]) e
alla stessa dovranno essere restituiti, debitamente compilati e corredati della documentazione richiesta, entro il 31 dicembre 2010.
La SIAE, esperiti gli ulteriori adempimenti necessari (fra i quali l’inserimento nel modulo
del numero IPI del candidato), provvederà all’invio delle domande di partecipazione all’ASCAP pervenute entro detto termine.
SEZIONE CINEMA
RIUNIONE DELLA COMMISSIONE
DI SEZIONE DEL 24 MARZO 2010
La Commissione della Sezione Cinema, presieduta da Domenico Mezzatesta, si è riunita
presso la sede sociale in data 24 marzo 2010
-convocata con la procedura prevista per i casi d’urgenza dall’art.112 del Regolamento Generale- per rendere il parere di competenza in
ordine all’eventuale disdetta del contratto per
equo compenso in vigore con Sky, con la conseguente riapertura anticipata delle trattative
rispetto alla previsione di rinnovo tacito dell’accordo per un ulteriore anno.
Presenti i componenti autori Antonino Biocca, Laura Ippoliti, Serafino Murri, Massimo
Sani e Vittorio Sindoni; assenti i componenti
produttori Paolo Ferrari (Warner Bross Italia
Spa) e Alessandro Fracassi (Racing Pictures
srl , in liquidazione).
Per la Siae hanno partecipato il Direttore della Divisione Autori ed Editori, Sabina Riccardelli, e il Direttore della Sezione, Lucia Bistoncini, anche in veste di segretario.
Alla riunione è intervenuto in apertura anche
il Direttore Generale, dott. Gaetano Blandini,
che, dopo aver registrato sull’argomento in
discussione la sostanziale unità di intenti
emersa nell’incontro tenutosi il precedente
SEZIONI SERVIZI E UFFICI
18 marzo con le rappresentanze allargate alle Associazioni degli autori, ha riassunto i profili tecnici della questione ed aggiornato la
Commissione sugli approfondimenti svolti,
anche sul piano giuridico/ legale, per fornire
ai Commissari tutti gli elementi di valutazione necessari ad assumere le proprie determinazioni.
I Commissari, nel corso della discussione che
ha fatto seguito, hanno formulato e motivato le rispettive posizioni rispetto all’opportunità o meno di esercitare il diritto di recesso,
esprimendo conclusivamente, a maggioranza dei presenti, parere favorevole alla disdetta
del contratto con Sky, la cui durata termina
quindi al prossimo 30 giugno 2010.
RIUNIONE DELLA COMMISSIONE
DI SEZIONE DEL 14 APRILE 2010
La Commissione della Sezione Cinema, presieduta da Domenico Mezzatesta, si è riunita presso la sede sociale in data 14 aprile
2010, presenti i componenti autori Antonino
Biocca, Laura Ippoliti, Serafino Murri, Massimo Sani, Vittorio Sindoni e, per i componenti produttori, Alessandro Fracassi (Racing Pictures srl , in liquidazione).
Hanno partecipato alla riunione il Direttore
della Divisione Autori ed Editori, Sabina Riccardelli e il Direttore della Sezione, Lucia Bistoncini, anche in veste di segretario.
In apertura di riunione è intervenuto anche il
Direttore Generale, dott. Gaetano Blandini,
che ha fornito comunicazioni di carattere generale ed informato la Commissione che, dopo il passaggio in Consiglio di Amministrazione, la disdetta del contratto è stata notificata a Sky nei termini previsti per l’esercizio
del diritto di recesso; sul punto ha richiesto
che vengano formulate in tempi brevi, per la
ripresa delle trattative, concrete proposte sulle quali gli uffici possano sviluppare valutazioni di ordine tecnico, propedeutiche ad impostare il nuovo negoziato.
bollettino sociale
La riunione è stata dedicata all’esame delle
problematiche relative al rinnovo degli accordi
per equo compenso con Rai e Mediaset, le
cui trattative sono in corso ed i cui effetti dovranno decorrere dal 1° gennaio 2009. Sulla base di un documento di aggiornamento
dello stato delle trattative, corredato dalle valutazioni e dai dati di commento degli uffici,
la Commissione è stata richiesta di valutare
– per la prosecuzione delle trattative - l’opportunità di proseguire il confronto sulla base dello schema contrattuale a tariffa finora
adottato che, per la notevole persistente distanza delle rispettive posizioni negoziali e
per la rigidità del sistema, offre modesti margini di trattativa. In alternativa è stata prospettata una radicale modifica dell’assetto
negoziale con il passaggio ad uno schema di
contratto a percentuale. Di entrambe le opzioni sono stati illustrati vantaggi e criticità.
Il Direttore Generale, pur condividendo le conclusioni degli uffici, che individuavano nel sistema a percentuale un percorso negozialmente più agevole, ha invitato la Commissione ad effettuare le valutazioni e a formulare le
proposte di competenza tenendo presente
che il cambio di linea negoziale - che pure riterrebbe, anche dal punto di vista dei tempi
negoziali, più percorribile – presuppone la successiva definizione di un sistema ripartitorio,
la cui elaborazione richiede che ci sia la più
serrata, serena e costruttiva dialettica tra le
componenti associative interessate al repertorio amministrato dalla Sezione.
La Commissione, nel respingere in blocco le
richieste delle controparti, ha optato, a maggioranza, per il mantenimento dello schema
di contratto a tariffa.
SEZIONE DOR
ACCORPAMENTO GENERI
TEATRALI
Il Consiglio di Amministrazione, nella riunione del 22 marzo 2010, ha approvato la proposta espressa dalla Commissione della Sezione Dor il 24 novembre 2009 in merito all’accorpamento dei generi teatrali e alla revisione della nomenclatura delle opere tutelate dalla Sezione.
Tali modifiche sono state apportate in quanto, anche se non alterano sostanzialmente le
modalità di accettazione in tutela delle opere e non modificano le condizioni generali tariffarie, rendono la classificazione delle opere più chiara e più aderente alle forme di spettacolo che hanno assunto sempre maggior
rilievo negli ultimi anni.
Nel bollettino di dichiarazione i generi delle
opere di pertinenza della Sezione avranno
pertanto la seguente classificazione:
• OPERE DI PROSA
Rientrano in tale genere: commedia, dramma o tragedia, scena teatrale, monologo
teatrale, azione mimica, farsa, fiaba teatrale, produzione per bambini.
• BURATTINI E MARIONETTE
• OPERA DI CABARET E OPERE ANALOGHE
• CIRCO TEATRO
• TEATRO MUSICALE
- Con musiche create appositamente. Vi rientrano: Operetta, Commedia musicale, fantasia musicale, fiaba musicale, Musical,
Dramma musicale.
- Con musiche preesistenti. Vi rientrano commedia musicale, fantasia musicale, fiaba
musicale.
COMPENSI MINIMI
Il Consiglio di Amministrazione, nella riunione del 22 marzo 2010, ha approvato la pro-
VIVAVERDI
94
SEZIONI SERVIZI E UFFICI
posta espressa dalla Commissione della Sezione Dor il 4 novembre 2009 in merito all’introduzione di una tariffa agevolata per spettacoli teatrali rappresentati in teatri con capienza fino a 50 posti.
Pertanto, i compensi minimi da applicare qualora ricorrano le condizioni suddette, sono i
seguenti:
Compenso minimo DOR
per teatri con capienza fino a 50 posti
(compagnie professionali e amatoriali)
€ 40,00
Naturalmente tale tariffa agevolata riguarda
anche il compenso previsto per le musiche di
scena, rapportato ad 1/3 dei compensi Dor.
Compenso minimo Musica
per teatri con capienza fino a 50 posti
(pari a 1/3 del compenso DOR)
€ 13,33
SEZIONE OLAF
RIUNIONE DELLA COMMISSIONE
DI SEZIONE DEL 15 DICEMBRE
2009
La Commissione della Sezione Olaf si è riunita il giorno 15 dicembre 2009 alle ore 10.00.
Presenti i Commissari Alberta Locati, Massimo Nardi, Alessandro Occhipinti, Franco Pallotta, Laura Piccarolo, Girolamo Potestà, Samantha Raugei e Natale Antonio Rossi.
Il verbale relativo alla riunione precedente viene approvato all’unanimità.
Il Segretario dà lettura della bozza di Ordinanza di ripartizione della Sezione Olaf per
l’anno 2010 predisposta dalla struttura, che
riporta in dettaglio i criteri già approvati dal
Consiglio di Amministrazione, che viene approvata all’unanimità.
Il Presidente Occhipinti riferisce circa la necessità, analogamente a quanto avviene per
le altre tariffe praticate dalla Società, di incre-
mentare per l’anno 2010 i compensi per le letture e recitazioni in pubblico (Pdl) dell’indice
Istat pari all’1% così come da proposta degli
Uffici. Dopo discussione, l’adeguamento proposto viene approvato all’unanimità.
In ordine all’esame delle licenze utilizzazioni
web per opere letterarie, il Segretario illustra
ai Commissari le modalità, con le quali fino ad
oggi la Sezione ha amministrato i diritti di riproduzione del repertorio letterario su internet, precisando altresì che in materia di diritti delle arti visive la Siae opera in base a tariffari Ola, soggetto associativo che riunisce
le Società consorelle in ambito comunitario.
Dopo una approfondita riflessione da parte dei
Commissari con richieste di chiarimento puntuale sui dettagli operativi e sugli aspetti più
complessi della fruizione via web, i Commissari decidono di delegare il Gruppo di
lavoro per le Opere Letterarie ad effettuare approfondimenti in merito all’uso parziale dell’opera letteraria ai fini del trattamento delle utilizzazioni in regime di: “grande/piccolo diritto”.
Il Segretario comunica che la Sezione Olaf,
anche sulla base di quanto già operato dalle consorelle straniere (Adagp, Vegap, Ars,
fra le altre), ha intrapreso, con la collaborazione del Servizio Pianificazione Bilancio
e Controllo di Gestione uno studio di fattibilità per la creazione di una Banca Immagini, la quale a regime dovrebbe poter ospitare la massima parte del repertorio delle
Arti Figurative degli artisti italiani amministrati
dalla Siae.
A tal proposito è stato inviato, a Fondazioni/Artisti scelti fra i più rappresentativi del
Repertorio SIAE, un questionario al fine di
poter sondare il reale interesse all’iniziativa da parte di detti soggetti, prima ancora di effettuare scelte impegnative per la
struttura.
Ida Baucia relaziona circa lo stato dei lavori dei Gruppi di lavoro Opere Letterarie
e Arti Figurative.
Il Segretario fornisce ragguagli ai Commissa-
ri sullo stato degli incassi di reprografia e, per
quanto riguarda il diritto di prestito, fa presente che il relativo decreto è all’esame degli
organi di controllo e che se ne prevede l’emanazione nei primi giorni dell’anno nuovo.
Alle ore 13.45, esauriti gli argomenti da trattare, la riunione viene sciolta ed aggiornata
al prossimo 2 febbraio 2010.
RIUNIONE DELLA COMMISSIONE
DI SEZIONE DEL 2 FEBBRAIO
2010
La Commissione della Sezione Olaf si è riunita il giorno 2 febbraio 2010 alle ore 10.30
presso la Biblioteca e Raccolta Teatrale del
Burcardo, Via del Sudario, 44 – Roma. Presenti i Commissari Alberta Locati, Massimo
Nardi, Alessandro Occhipinti, Franco Pallotta, Laura Piccarolo, Girolamo Potestà, Samantha Raugei e Natale Antonio Rossi.
La seduta si è tenuta presso la Biblioteca del
Burcardo per dar modo ai Commissari di partecipare alla conferenza stampa, prevista per
le ore 12.00 per la presentazione del concorso letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere” promosso dalla Siae e dal Dap
(Dipartimento Amministrazione Penitenziaria).
Il verbale relativo alla riunione precedente viene approvato all’unanimità.
Nel merito della problematica internet/opere letterarie si sviluppa un ampio dibattito a
conclusione del quale la Commissione all’unanimità richiede una immediata ripresa
dei lavori del Comitato intersezionale affinché la materia possa essere al più presto valutata in tale ambito.
Il Segretario illustra alcuni documenti presenti
in cartella che si riferiscono al protocollo di
intesa Siae/Aidro stipulato nel 2006 per regolare i flussi dei proventi di reprografia da
e per l’estero.
Per quanto riguarda i criteri di ripartizione dei
proventi cosiddetti “non title specific”, la Commissione esprime, in linea generale, parere
SEZIONI SERVIZI E UFFICI
positivo ad una forma di ripartizione collettiva che veda quali destinatarie le Associazioni di autori ed editori, analogamente a quanto stabilito per la ripartizione del diritto di prestito con il D.M.15 ottobre 2009 (pubblicato
in Gazzetta Ufficiale in data 31 dicembre
2009).
Il Segretario fa presente che verrà quanto prima stilata una bozza di accordo integrativo
dell’intesa Siae/Aidro che verrà sottoposta
all’esame della Commissione per acquisirne
il preventivo parere.
Il Segretario illustra, inoltre, i prospetti contenenti lo stato degli incassi per i diritti di reprografia, sia italiani che esteri, e per il diritto di prestito.
In ordine al sistema di gestione vidimazione
delle opere librarie (Ge-Vi Print): contrassegno speciale per editoria scolastica, il Commissario Potestà riassume le esigenze editoriali legate ai testi scolastici in formato misto (carta + web), evidenziando alcune criticità tecniche, già rese note alla Commissione (v. verbale seduta dell’11.11.2009), che
ancora persistono, assicurando la propria disponibilità a proseguire i contatti in sede tecnica con l’Arca per l’auspicato superamento
degli inconvenienti riscontrati.
Vengono distribuite ai Commissari le nuove
tariffe Ola valide per il 2010, comunicate dal
sodalizio alcuni giorni prima.
Alle ore 14.30 la riunione viene sciolta ed aggiornata al prossimo 4 marzo 2010.
SEZIONE LIRICA
PORTALE ASSOCIATI
Nell’area del Portale Associati riservata alla
Sezione Lirica è stata attivata una nuova funzionalità dedicata alla visualizzazione degli
incassi.
Come noto, la Sezione Lirica effettua liquidazioni quadrimestrali. Con il nuovo servizio
disponibile, gli iscritti al Portale, utilizzando i
bollettino sociale
criteri di ricerca, possono prendere visione
del dettaglio delle somme lorde di spettanza
(data, locale, località e organizzatore della
manifestazione, diritti riscossi, ecc.) subito
dopo la loro verifica da parte degli Uffici, con
congruo anticipo rispetto alla liquidazione.
Gli incassi visualizzati sono riportati al lordo
di tutte le trattenute previste.
UFFICIO RAPPORTI
INTERNAZIONALI
RIUNIONI DELLA CIADLV DELLA
CISAC
Il 23 e 24 marzo, a Firenze, si è riunito il Consiglio Internazionale degli Autori di Opere Letterarie, drammatiche e audiovisive (Ciadlv)
della Cisac.
All’ordine del giorno l’analisi dei problemi sulla tutela delle opere di questo settore alla luce delle nuove tecnologie.
Per la Siae, oltre al M° Lorenzo Ferrero, Consigliere di amministrazione della Società, erano presenti Manlio Mallia, capo dell’Ufficio di
Diretta Collaborazione degli Organi Deliberativi, e Alessandro Conte, direttore dell’Ufficio
Rapporti Internazionali.
Biagio Proietti, autore e presidente della commissione della sezione Dor, ha introdotto gli
aspetti generali della scena italiana, con particolare riferimento alla situazione degli autori delle opere radiotelevisive; l’autore di opere drammatiche Roberto Cavosi ha illustrato
il panorama teatrale e il regista Citto Maselli ha analizzato i problemi degli autori di opere cinematografiche.
Erano presenti numerosi autori membri di società estere che sono intervenuti con relazioni e repliche ad animare il dibattito.
Con l’occasione sono stati tributati saluti ed
auguri al Direttore Generale uscente della Cisac, Eric Baptiste, che andrà a ricoprire il
ruolo di Direttore Generale della consorella
canadese Socan.
CONTRATTO DI RECIPROCA
RAPPRESENTANZA SIAE/IRRO
(INDIA)
A partire dal 1° gennaio 2010 è entrato in vigore il contratto di rappresentanza reciproca in materia di reprografia tra la Siae e la
società indiana Irro.
CONTRATTO DI RECIPROCA RAPPRESENTANZA SIAE/MACA (MACAO)
A partire dal 1° gennaio 2010 è entrato in vigore il contratto di rappresentanza reciproca in materia di diritti di esecuzione musicale tra la Siae e la società di Macao Maca.
VIVAVERDI
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ORGANI SOCIALI
PRESIDENTE
Giorgio ASSUMMA
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Paolo CORSI
Domenico DE LEO
Roby FACCHINETTI
Lorenzo FERRERO
Emidio GRECO
Giancarlo LUCARIELLO
Giovanni NATALE
Alfredo TARULLO
ASSEMBLEA
MUSICA
Autori
Silvano Guariso
Vittorio Costa
Gregorio Mascaro
Marco Mariani
Carmine Santaniello
Michele Maisano
Renato Pareti
Domenico Scuteri
Corrado Castellari
Fabio Massimo Colasanti
Cristiano Minellono
Nicola Piovani
Valerio Negrini
Franco Piersanti
Roberto Pischiutta detto Pivio
Giuseppe Pirazzoli detto Pino
Editori
Pieronero Edizioni Musicali Sas
Sognando e Ballando Edizioni Musicali Sas
Unione Edizioni Musicali Sas
La Bambolina Edizioni Musicali Sas
Abramo Allione Edizioni Musicali Srl
Emi Virgin Music Publishing Italy Srl
Sugar Srl
Warner Chappell Music Italiana Srl
Accordo Ed. Musicali
Universal MCA Music Italy Srl
Ala Bianca Group Srl
Media Songs Srl
Edizioni Leonardi Srl
SM Publishing Italy
CAM Creazioni Artistiche Musicali Srl
Peermusic Italy Srl (già Peersongs Italy Srl)
FILM E OPERE ASSIMILATE
Autori
Francesco Gregoretti detto Ugo
Mario Paolinelli
Andrea Purgatori
Alessandro Bencivenni
Produttori/Concessionari
Biancafilm Srl
Filmauro Srl
Medusa Film Srl
Italian International Film Srl
DRAMMA E PROSA, RIVISTA E COMMEDIA
MUSICALE, OPERETTA
E OPERE RADIOTELEVISIVE
Autori
Manuela Marianetti
Ennio Coltorti
Riccardo Di Stefano
Massimo Cinque
Giovanna Flora
Marco Posani
Editori
Grandi Firme della Canzone Edizioni Musicali Srl
Edizioni Musicali Aromando Mario Srl
Concessionari/Cessionari
D’Arborio di Ficarelli M.P. e C. Snc
Ditta Tolnay Flavia
OPERE LETTERARIE, MULTIMEDIALI E DELLE ARTI PLASTICHE E FIGURATIVE
Autori
Elio Pecora
Gianni Minà
Maria Luisa Spaziani
Antonella Bolelli
Editori
Hoepli Ulrico Casa Editrice Libraria SpA
Garzanti Libri SpA
Zanichelli Editore SpA
Arnoldo Mondadori SpA
OPERE LIRICHE, BALLETTI, ORATORI E
OPERE ANALOGHE
Autori
Carlo Galante
Luciano Cannito
Editori
Mercurio Srl
Universal Music Publishing Ricordi (già BMG Ricordi Music Publishing SpA)
Abici Ed. Mus. Srl
Carisch Srl
COMMISSIONI DI SEZIONE
SEZIONE MUSICA
Autori
Giuseppe Amendola
Giuseppe Andreetto
Vincenzo Barbalarga
Gianfranco Borgatti
Bruno Mario Lavezzi
Ezio Leoni
Franco Micalizzi (Pres)
Carlo Pedini
Francesco Pagano detto Mario
Giuseppe Vessicchio
Editori
Bideri Cevel Spa – Silvia Bideri Villevieille (Vice Pres.)
Curci Edizioni Musicali – Alfredo Gramitto Ricci
Di Più Srl – Pier Angelo Mauri
Emergency Music Italy Srl – Pietro Colasanti
Galletti-Boston Srl – Anna Galletti
Montefeltro Edizioni – Giorgio Giacomi
Novalis Edizioni Mus. e Discografiche – Roberto
Rinaldi
Sym-Music Srl – Anna Lombardoni
Mascheroni – Andrea Cotromano
Universal Music Italia Srl – Claudio Buja
SEZIONE CINEMA
Autori
Antonino Biocca detto Tony
Laura Ippoliti
Domenico Mezzatesta (Pres.)
Serafino Murri
Massimo Sani
Vittorio Benito Sindoni
Produttori
Warner Bros Italia Spa – Paolo Ferrari
Racing Pictures Srl – Alessandro Fracassi (Vice
Pres.)
SEZIONE DOR
Autori
Valentina Amurri
Flavio Andreini
Linda Brunetta Caprini (Vice Pres.)
Roberto Cavosi
Michele Mirabella
Biagio Proietti (Pres.)
Concessionari
D’Arborio Sirovich Paola – Paola Perilli
Antonia Brancati Srl – Antonia Brancati
SEZIONE OLAF
Autori
Massimo Nardi
Alessandro Occhipinti (Pres.)
Franco Pallotta
Natale Antonio Rossi
Editori
Giunti Editore Spa – Samantha Raugei
Giulio Einaudi Editore – Laura Piccarolo
Principato Giuseppe Casa Editrice Spa – Girolamo Potestà (Vice Pres.)
RCS Libri Spa – Alberta Locati
SEZIONE LIRICA
Autori
Marco Betta (Vice Pres.)
Carlo Boccadoro
Dario Oliveri
Editori
Fonit Cetra Music Pub. Srl – Teresita Beretta (Pres.)
Sonzogno Casa Musicale Sas – Piero Ostali
Sugarmusic Spa – Alessandro Savasta
COLLEGIO DEI REVISORI
Presidente Benito di Troia
Giuseppe Dell’Acqua
Andrea Malfaccini
Silvio Necchi
Carlo Pontesilli
Supplenti
Riccardo Acernese
Giampiero Riccardi
CONTROLLO INTERNO Franco Tonucci
DIRETTORE GENERALE Gaetano Blandini