GRATUITO musiche e culture nel mondo primavera 2010 07 10 primavera 2011 www.mondomix.com www.mondomix.com AMBROGIO SPARAGNA ORCHESTRA POPOLARE ITALIANA N o a canta napoli ALITango FARKA TOURE • ELENADeLEDDA BRASILE IN MUSICA . Persia . Roberto . Recensioni Simone•. SQUILIBRI Dakar . Bob•Marley Sommario Mondomix Italia — n°10 primavera 2011 04 Editoriale 05 / 13 AttualitÀ 05 - AttualitÀ-Sei domande a MIRCO MENNA SEBASTIANO BELL'ARTE Lillo Miccichè 06 - AttualitÀ-Babele 07 - AttualitÀ-Profili 07 - MAHMOUD AHMED 08 - ROBERTO DE SIMONE 09 - TROBAIRITZ D'OC 10 - MASSIMO FERRANTE 12 - MARTIN CARTHY 13 - ENRIQUE MORENTE 14 / 21 MUSICA 14 - TANGO 17 - I TANGHI DI PINA 18 - TANGO NEGRO TRIO 20 - NOA 23 / 39 360° 23 - DAKAR 28 - sUONI PERSIANI 30 - raMIN SADIGHI 31 - VISIONI PERSIANE 34 - CHENNAI 35 - RENNES 36 - CULTURA POPOLARE 37 - MANRESA 38 - The Street Foodie 40 - Africa 42 - Americhe 43 - Europa 44 - Fusion 46 - Asia 48 - LIBRI 49 - Visioni 50 - La World Music che non sapevamo di avere 11 Mahmoud Ahmed 14 Tango 40 / 50 RECENSIONI Periodico gratuito Editore FM2 Direttore responsabile Luca Rastello Redazione Elisabetta Sermenghi, Renzo Pognant, David Valderrama, Luca Vergano [email protected] Hanno collaborato Antonello Lamanna, Ciro De Rosa, Cristina Amodeo, Eddy Cilia, Emanuele Enria, Enrico Verra, Fabrizio Giuffrida, Fulvio Luciani, Gian Franco Grilli, Giancarlo Susanna, Giovanni De Zorzi, Giulio Cancelliere, Joelle Caimi, Luisa Perla, Mauro Zanda, Paola Valpreda, Paolo Ferrari, Piercarlo Poggio, V. Ramnarayan, Valerio Corzani Pubblicità [email protected] Impaginazione Chiara Tappero / Volumina [email protected] Redazione Corso Moncalieri 331, 10133 Torino (nuovo recapito) Stampa Ages Arti Grafiche Corso Traiano 124, 10127 Torino Registrazione al tribunale di Torino n° 49 del 9 luglio 2008 (periodico culturale) Il logo e il marchio Mondomix sono registrati e di esclusiva proprietà di Mondomix Media SAS. Il logo e il marchio Mondomix in Italia sono licenziati in esclusiva a FM2. Solo Mondomix Media SAS e i suoi licenziatari possono utilizzare il logo Mondomix in pubblicazioni, pubblicità e materiali promozionali. 23 Dakar 31 Persia 47 Lalgudi GJR Krishnan 50 Bob Marley - Catch A Fire 04 05 Sei domande a Mondomix.com Mirco Menna Cantante e compositore Che cosa stai ascoltando in questo periodo? Rumori, alcuni consueti ed altri allarmanti, Gheddafi che dice resterò fino alla morte, le canzoni di Sanremo mio malgrado, e per rifarmi le orecchie Jacques Brel che è meno vecchio di Vecchioni. E Macareu, de Los Gaiteros de Lisboa. Quali sono i tuoi dischi preferiti? Quelli, con tutto il rispetto per la filologia, commistionati nei “generi”, nel carattere melodico armonico, nei suoni, nelle liriche: ma sempre radicati nell’“etno”, o folk come si diceva un tempo e come preferisco dire. Nel popolare, che è un concetto in continua mutazione. Due esempi tra tutti: Creuza de ma per quella invenzione di un “tradizionale” inesistente eppure ben credibile (e per le parole formidabili, nel suono e nel senso), e Soy Gitano, del Camaron de la Isla con la London Simphony Orchestra. eDITORIALE Fuoco e fiamme. Mentre andiamo in stampa in Nord Africa e Medio Oriente si levano alte le fiamme, bandiere bruciate, grida di giubilo, di dolore e di sofferenza. Il mondo come lo abbiamo conosciuto sta cambiando, ancora una volta. Un nuovo ’89. Un altro muro sta cadendo. Speranze stanno nascendo. Il Nord del mondo, noi, a livello di governi e istituzioni è preoccupato solo a difendere i propri confini, il proprio recinto da fantomatici fondamentalisti e/o epocali invasioni barbariche. Il massacro libico agli occhi del nostro Potere significa solo fondamentalismo o immigrazione clandestina. E le radici cristiane per le quali si è sempre pronti a battersi quando conviene? Sotto terra a riposare. Siamo in inverno. No? Siamo solo un piccola rivista musicale ma ogni tanto ci piacerebbe essere qualcos’altro. Il caso ha voluto che l’Iran (il prossimo?) luogo in cui sotto la cenere brucia una forte spinta di cambiamento occupi largo spazio in questo numero. Il cinema e la musica. Un modo per saperne di più di questa terra culla della nostra storia e civiltà. Noa Canta Napoli. La città dell’immondizia, ormai ridotta a simbolo e pattumiera di questo nostro paese. Ma Napoli è stata anche altro, molto altro. Da Vico a Croce, da Eduardo a De Simone (vedi pagina 8) a Carosone a Nino D’Angelo. È bello che una grande cantante internazionale dedichi un progetto alla musica di questa città. Ogni tanto bisogna fermarsi a ricordare da dove veniamo. Lo hanno fatto a Dakar dove in uno sfavillìo di luci, suoni e colori si è tenuto il Festival Mondial Des Arts Negres. Anche l’Africa, ogni tanto, si ricorda di cosa è, da dove viene e dove può andare. Qual’è il musicista che ammiri di più? Quello che condivide il suo talento e non se la tira. Fermo restando il talento, certo. Con chi ti piacerebbe collaborare, se si creasse l’occasione? Mah, domanda difficile… Con le persone che ammiro (vedi sopra) ma non necessariamente con musicisti, comunque. Con Alessandro Robecchi, per dire un nome a me caro, o con il Gruppo delle Ocarine di Budrio che è dalle parti di casa mia. Quali concerti ricordi con più piacere? Alcuni dove io stavo sul palco. Uno dei Police e uno di Pino Daniele a Bologna all’inizio degli Ottanta. Michel Camilo in provincia di Ferrara verso la fine degli Ottanta. Peppe Barra, e Trilok Gurtu con gli Arché tra i Novanta e i Duemila. E poi molti “minori”, straordinari concerti di straordinari amici, tutta gente che poi si trova a suonare nei miei dischi, che bello. Hai artisti giovani che conosci o ascoltato e che ci consigli di seguire? La mia amica Silvia Donati che è, come molti di noi, un’artista giovane di lunghissima esperienza. Una cantante che supera il canto, diciamo così. Ha appena ultimato un bellissimo lavoro con Sandro Gibellini nuovo di zecca, mentre rispondo non ha ancora nemmeno un titolo. Sebastiano Bell' Arte Compositore, musicista, direttore della Banda di Avola Che cosa stai ascoltando in questo periodo? Ascolto sempre tutto, dalla musica classica al jazz. Ad esempio a pranzo ho ascoltato l’Offerta Musicale di Bach, questa sera ho ascoltato Chet Baker. Quali sono i tuoi dischi preferiti? Ho ascoltato tantissima musica sinfonica, operistica e jazz. Tra le opere La Bohème di Puccini e Cavalleria Rusticana di Mascagni, come musica sinfonica la sinfonia Dal Nuovo Mondo di Antonin Dvorak e Sherazade di Rimsky KorsaKov. Tra i dischi jazz quello che ho ascoltato di più è Kind of Blue di Miles e il celebre quartetto di Mulligan con Baker alla tromba. Tra i cantanti italiani… De Andrè e Pino Daniele. Qual’è il musicista che ammiri di più? Il musicista che ammiro di più è Chet Baker. Altri sono Paquito D’ Rivera, Arturo Sandoval ecc… Con chi ti piacerebbe collaborare, se si creasse l’occasione? Mi piacerebbe collaborare con Caparezza. Le sue canzoni e il suo stile li trovo molto vicino alla banda. Quali concerti ricordi con più piacere? Se ci si riferisce a concerti in cui ho partecipato ricordo con piacere Il concerto che ho fatto con la Banda Ionica al Regio di Torino, con la Banda di Avola e Mirco Menna a Maison Musique di Rivoli e al Teatro Greco di Siracusa con l’Orchestra Sinfonica di Washington diretta da Mitslav Rostropovich. Se invece debbo pensare a concerti di altri ricordo, allo stadio di Caltanissetta, Pino Daniele con Pat Metheny. Hai artisti giovani che conosci o ascoltato e che ci consigli di seguire? Ho avuto modo di ascoltare al Tenco una ragazza, Carlotta. Fantastica. Poi conosco Beatrice Campisi, si è esibita con Banda di Avola al MEI e so che sta cercando di far uscire un suo lavoro discografico. È giovane e ha un buon gusto musicale. E poi ci vuole passione. E Tango. Ecco, cerchiamo di indicare una possibile via a questa che più che una danza è una filosofia di vita. E certamente anche molto altro, ma questa volta vi lasciamo il piacere della scoperta. Anche questo numero oltre alla versione in PDF scaricabile gratuitamente dal sito www.Mondomix.com e disponibile nella versione interattiva sperimentale sul sito www.mondomix.com con link ad esempi, musicali, negozi online e altro. Venite a trovarci. La redazione [email protected] Anche se ci riteniamo assolti siamo pur sempre coinvolti (libero adattamento da Fabrizio De Andrè) 10 primavera 2011 Titolo ...e l'italiano ride Etichetta Felmay / Egea Online www.mircomenna.com 10 primavera 2011 6 FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE Babele www.felmay.it Mondomix.com / ATTUALITà FELMAY Drop Out and Tune In di Valerio Corzani Timothy Leary, 1il padre della cultura 2 psichedelica, diceva: 3 “Drop Out and Tune In”, stacca la spina dal mondo e sintonizzati con te stesso. Una dimensione spirituale che ha il suo fascino e il suo perché anche senza l’ausilio dell’LSD e delle filosofie orientali. “Unplugged” in effetti è diventata una parola chiave delle società tecnologiche d’inizio millennio. Tenere la spina staccata, o meglio trovare il coraggio di staccarla, è una delle grandi scommesse della 7 8 civiltà odierna. Prendersi una pausa da tutte le “connessioni” dalle quali dipendiamo. Staccare momentaneamente i fili che ci legano al mondo, che spesso ci aiutano a vivere meglio e ancora più spesso finiscono per opprimerci e congestionare i nostri “voli”. C’è di mezzo anche la “moda” ovviamente: le nuove spiritualità, l’ecologismo snob, le bevande diet (o più semplicemente idiot), il tabacco light 10 e tutte le varie9 menate di cui i nostri rotocalchi televisivi si appropriano prontamente. Ma scava scava, se si va a fondo, è indubbio che l’esigenza che muove la patina di queste mode è scossa da un impeto autentico, sincero. Succede anche nella musica, un ambito nel quale si è dovuto scavare con pazienza. Aspettare la fine degli anni novanta e lo spegnersi del malinteso new age (chitarre morbide, melodie lasciar decantare 11 alla melassa etc…), 12 13 XP• Mondomix marzo 2010 4-03-2010 13:25 il flusso trendy del cosiddetto new-acoustic mouvement d’inizio millennio (quando a staccare la spina si sono catapultati in troppi), prepararsi all’arrivo di un’essenza più autentica. Chiamiamola pure ancora unplugged, ma non come definizione di stile, piuttosto come pura “esigenza”. Anche solo come semplice optional potrebbe ricoprire una funzione importante e piacevole - come la cartina della Rizla che ti avvisa che sei a “dieci dalla fine del pacchetto” (e dio solo sa - ma qui c’è 4 quanto è utile quell’avviso…) 5 6 dell’altro, qualcosa più del galateo, qualcosa più di una gentilezza, sonora e non. Staccare la spina dai vincoli della tecnologia è una sorta di boccaglio che ti permette di gustare appieno il tuo personalissimo snorkeling biografico e culturale. Ascoltare il suono purissimo delle voci bulgare o la filigrana aguzza delle corde vocali di Dona Dimitru Siminică equivale a partire alla scoperta del Rio delle Amazzoni in canoa o attraversare l’Islanda coi racchettoni da sci. Rivalutare il suono avvolgente di un pianoforte acustico può diventare un’avventura estrema, mentre riscoprire il calibro del rumore puro (provocato da un tamburo o da un bidone) è un altro esercizio di grande coraggio un-plugged. Un’estensione della percezione che utilizza antenne analogiche o meglio, biologiche: minerali, vegetali, animali. Potete partire da Souad Massi o da Stephan Micus, dal Dem Trio o dalla Vegetable Orchestra... non ha molta importanza. L’importante è che dopo il salutare tuffo neoacustico, non perdiate la curiosità del riattaccare la spina per ascoltare anche una cumbia elettrificata, Mercan Dedé o i Konono No.1... 14 Pagina 2 15 thiopiques FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE www.felmay.it FELMAY 16 17 18 19 P Felmay 2009 aly ww.felmay.it 20 7 8 vol. 5 - Tigrigna Music 1970-75 Trobairitz d'Oc Lo mau d'amor vol. 10 - Tezeta - Ethiopian Blues and Ballads vol. 6 - Mahmoud Ahmed Almaz 1973 vol. 15 - Europe meets Ethiopia - Jump to Addis Trobairitz d’Oc voci vol. 21 - Emahoy Tsegué & Maryam Guèbrou Piano Solo fy 8180 vol. 2 - Azmaris urbains des annèes 90 Benignivol. 16 - Asnaqètch Wèrqu vol. 11 - Alèmu Aga - TheValeria Paola Lombardo Claudio Carboni sax The Lady with the Krar Harp of King David 1. Colorina de ròsa Tradizionale 3.47 2. La cançon e la pluma Valeria Benigni / Gaël Princivalle 2.52 3. La femme d’un tambour Tradizionale 2.29 4. Lo mau d’amor Tradizionale 4.22 5. Lo rossinhòu messatgier Tradizionale 4.25 6. Intro luerda Claudio Carboni 1.12 7. La femna luerda Tradizionale 3.13 8. Miton Paola Lombardo 2.31 9. Serpol Paola Lombardo / Sergio Berardo 4.01 10. Sinfonia de Margòt Paola Lombardo 1.45 11. La masurca de Sant Andiòu Tradizionale / Charlon Rieu 2.46 12. Minon-minauna Tradizionale 2.44 13. L’aiga de ròca Tradizionale 4.07 14. A stacada d’Brelh, valsa finala Tradizionale 3.25 1-02-2011 12:04:43 FELMAY 11 EGEA distributore esclusivo 2011 10 primavera per l’Italia 12 Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it 13 14 2010 P Felmay 2009 vol. 17 - Tlahoun Gèssèssè vol. 12 - Konso Music vol. 7 - Mahmoud 10 Ahmed vol. 3 - L'age d'or de la9 & Songs vol. 18 - Asguèbba ! Erè mèla mèla 1975 musique ethiopienne Una formazione originale, due voci e sassofono, che da nuova vita ad un vol. 13 - The Golden vol. secolare. 19 - Mahamoud Ahmed moderne 1969-1975 repertorio popolare vol. 8 - Swinging Addis Seventies - Ethiopian Groove 1974 - Alèmyè La musica Occitana come non l'avete mai sentita. vol. 4 - Mulatu Astatke 1969-1974 vol. 14 - Gètatchèw Mèkurya vol. 20 - Either Orchestra & Ethio Jazz & Musique FELMAY Guests - Live in Addis Instrumentale, 1969-1974 vol. 9 - Alèmayehu Eshété Negus of Ethiopian Sax felmay Voce dall'Etiopia di Paolo Ferrari È il 5 maggio 1941. A bordo dell’Alfa Romeo del colonnello inglese Wingate, Sua Maestà il Negus Hailé Selassié I percorre le strade di Addis Abeba tra due ali di folla festante: sconfitta, l’Italia si è ritirata. Il dominio di Roma sull’Abissinia è finito, e l’Inghilterra riconsegna il trono al suo alleato etiope. Tre giorni dopo, l’8 maggio, nella stessa città nasce Alemye Mahmoud Ahmed. I destini dell’Imperatore e del neonato si sfiorano; le loro strade si incroceranno ventuno anni dopo. Le origini Di origine gurage, ceppo etnico minoritario radicato nel Sud Ovest del paese, Mahmoud si arrangia da ragazzino con un mestiere che davvero più blues si muore: lustrascarpe, per le velleità da City e da capitale notturna della “swingin’Addis”. Quel mondo lo seduce, e la maniera più semplice di metterci piede è farsi assumere in un locale. Gli riesce con l’Arizona Club: basti il nome per farsi un’idea dell’aria cosmopolita che si respirava nella capitale negli anni compresi tra il 1955 e il 1974, quelli dell’ottimismo e dello swing, delle tentazioni latine e dell’eredità melodica italiana, dei ricami di scuola araba e del soul di fonte americana. Lì Ahmed parte dal basso, è una sorta di factotum addetto alle pulizie, alle riparazioni, alla tinteggiatura. Ma canta bene, molto. La proprietà se ne accorge, e tra il 1960 e il 1961 gli offre le prime chance di esibirsi di fronte al pubblico. Il tempo di onorare l’appuntamento con Sua Maestà, mancato di poche ore nel 1941, è maturo: nel 1962 il ventunenne Mahmoud viene aggregato alla Imperial Bodyguard Band, fiore all’occhiello del paese non solo per blasone regale. 2 file under trobairitz d’oc occitany italy world music vol. 1 - L'age d'or de la musique ethhiopenne moderne 1969-1975 Mahmoud Ahmed Yo Yo Mundi Munfrâ new new 3 4 5 6 «Sto ascoltando dal mio Monferrato […] questo magnifico disco degli Yo Yo Mundi dedicato a queste terre (loro e mie). […] Su questi antichi sobbalzi in due quarti e tre quarti, gli Yo Yo hanno lavorato con eccellenti orchestrazioni che infiammano e corteggiano la scatola magica, la fisarmonica, torre di Babe e regina di Saba.» 21 22 23 24 25 (Paolo Conte) 1 vol. 22 - Alèmayèhu Eshèté 1972/1974 vol. 23 - Orchestra Ethiopia vol. 24 - L'age d'or de la musique ethiopienne moderne 1969-1975 vol. 25 - Modern Roots 1971/1975 15 felmay distribuzioni • vendita per corrispondenza • richiedete il catalogo strada Roncaglia 16 - 15033 San Germano AL - Italy ph +39 0142 50 577 fax +39 0142 50 780 [email protected] www.felmay.it 7 Profili I favolosi anni 70 Ascoltare le quattordici tracce del volume 26 della collana Éthiopiques, curato come sempre con rigore, passione e ricchezza di informazioni dal direttore Francis Falceto per Buda Musique, illumina quanti, come noi occidentali, sono abituati a vedere le guardie del corpo come persone lontane dall’idea stessa d’arte, quanto estranee alle dinamiche innovative. La voce di Ahmed, carica di soul, d’Oriente e swing, colori e sapori senza passaporto, è scortata da arrangiamenti stupefacenti. Il periodo in questo caso è l’ultimo col sodalizio imperiale, ma il succo non cambia; in assenza di capitali privati, come spesso accade nel Sud del Mondo, lo stato (radio, bande militari, balletti ufficiali) è stato per molti lustri l’unico riferimento affidabile sotto il profilo della qualità dei materiali. Oltre al cd, testimone però del periodo 1972 – 1974, la serie ha dedicato alla star di Addis altre due monografie, né potrebbe essere altrimenti: Falceto non fa mistero di dovere a Mahmoud l’idea stessa dell’impresa discografica etiope, il cui germe nacque in seguito all’ascolto di una sua vecchia cassetta. Alla conquista del mondo Prima dei suoi studi e delle sue pubblicazioni, l’unico album di musica etiope noto all’Occidente era Ère Mèla Mèla, gioiello pubblicato nel 1975 come riuscito esame di maturità dopo l’uscita dalla Imperial Bodyguard Band, meritoriamente proposto in Europa nel 1986 dalla Crammed e rilanciato, con le estensioni e le note in stile Éthiopiques, come volume 7 del percorso, dopo un sesto ellepi intitolato Almaz, incisioni con la Ibex Band parallele all’ultimo periodo imperiale. Ère Mèla Mèla: il disco decisivo nell’anno della morte di Hailé Selassié, ancora un incrocio fatale. Il più “americano” e internazionale dei dischi di Ahmed resta Alèmyé, targato 1974 e al centro del volume 19 della saga Falceto, con soluzioni esplicitamente soul. Se altre tracce dell’uomo danno soddisfazione nei cd 3, 8 e 10 della collana, farciti di 45 giri delle varie epoche, è bene ricordare l’attualità di Mahmoud Ahmed, tra i pochissimi artisti etiopi (con Aster Aweke, però migrata negli States, con Gigi, aiutata da sodalizio con Bill Laswell, e con l’icona rock Mulatu Astatqe) entrati nell’Olimpo della musica africana di peso globale. Ecco allora l’Award per la World Music, conferitogli nel 2007 da BBC Radio 3, e un maturo Live In Paris, messo in circolazione nel 1998 dalla Long Distance. Éthiopiques intanto annuncia l’imminente pubblicazione di Shèkla, ultimo vinile pubblicato dal cantante nel 1978 sulla propria etichetta Mahmoud Records prima di arrendersi al formato cassetta. Meno seducente, ma più economico e adatto a filtrare tra la gente negli anni bui della censura. Tra storia e futuro, il presente di Mahmoud Ahmed si chiama attualità permanente. Online www.budamusique.com Ethiopiques volume 6 Buda / Egea Ethiopiques volume 7 Buda / Egea Ethiopiques volume 26 Buda / Egea 10 primavera 2011 8 Son sei sorelle Le Trovatrici D’Oc(ccitania) Rituali e canti della tradizione in Campania Trobairitz d'Oc alle prese con il mal d'amore di Fabrizio Giuffrida “Saranno queste registrazioni la celebrazione dell’assenza. Ma saranno, esse, la cartina di tornasole per evidenziare le innumerevoli mistificazioni e contraddizioni, operate in nome di un mondo estinto?” Con queste note dolenti sulla scomparsa di una cultura millenaria che già trent’anni fa era in declino si apre il nuovo lavoro di Roberto De Simone, Son sei sorelle. Compositore, scrittore, regista teatrale, drammaturgo e musicologo, De Simone è stato la mente della Nuova Compagnia di Canto Popolare, che fonda nel 1967 assieme a Giovanni Mauriello, Eugenio Bennato e Carlo d'Angiò. Grazie a ricerche sul campo nei luoghi dove in quegli anni le tradizioni ancora sopravvivono, e allo studio delle fonti scritte che descrivono forme poetico-musicali del passato, come strambotti, villanelle e laudi, De Simone e la NCCP sviluppano un ricco repertorio musicale che sarà poi alla base di opere teatrali come La cantata dei pastori e La gatta Cenerentola del 1976. In quegli anni De Simone incide i repertori musicali incontrati durante le sue ricerche, chiedendo agli interpreti tradizionali di eseguirle in studio. Il frutto di quelle registrazioni viene pubblicato nel 1979 in un cofanetto di sette LP, La tradizione in Campania, ormai da lungo tempo esaurito. La tradizione in Campania 09 Profili Mondomix.com / ATTUALITà Son sei sorelle ripropone quelle preziose registrazioni in studio, con l’aggiunta di numerose altre effettuate sul campo, raddoppiando di fatto la durata dell’edizione del 1979: “si tratta di nastri incisi proprio nel momento rituale delle feste, magari privi di perfezione tecnica, ma ricchi di una coralità dirompente, di una verità espressiva, di uno spessore rituale, religioso, rappresentato al massimo”. Ed effettivamente da questi CD emergono brani di rara intensità, eseguiti da cantatori e suonatori che avevano profonda conoscenza della loro tradizione, per averla vissuta tutta una vita nel suo contesto originario, al di fuori di qualsiasi intenzione spettacolare o tentazione di protagonismo. Cantatori e suonatori il cui ruolo era riconosciuto dalla comunità per l’altissimo livello che essi avevano raggiunto: Antonio Torre, Giovanni Coffarelli, Rosa Nocerino, Giulia Ciletti, per citarne solo alcuni. Musica rurale, eseguita nei momenti e nei contesti prescritti e non occasionalmente, secondo il capriccio dell’interprete. È questo il segno dell’autenticità del canto, sigillo di verità di un’emozione espressa tramite una ritualità e una sacralità che purtroppo scompaiono con la morte di questi grandi esecutori. Emozione e intensità che traspaiono anche dalle splendide foto scattate da Mimmo Jodice, riportate sulla copertina dei singoli CD e del volume. MUSICA E TESTO Son sei sorelle rovescia il consueto rapporto esistente in questo tipo di pubblicazioni: di solito il centro del progetto è il libro, “corredato” da uno o più dischi “illustrativi”. Qui è l’esatto contrario: il testo è un prezioso commento alla musica contenuta nei CD, vera protagonista di quest’opera di De Simone. Il libro si apre con una sezione dedicata alla descrizione degli strumenti, delle forme poetiche e delle forme musicali esistenti in area campana, fornendo gli elementi di base per un ascolto consapevole dei dischi. La seconda sezione, che da sola costituisce il 90 % del testo, è un’analisi approfondita dei singoli brani, con indicazione di interpreti, data e luogo dell’incisione, seguita dalla trascrizione e traduzione dei testi cantati. In un arco di tempo che va dal 1973 al 2003, De Simone ha raccolto testimonianze sonore in buona parte del territorio campano, spaziando dai canti sul tamburo, ai lamenti funebri, dalle fronne ai canti di lavoro, dalle tarantelle ai canti religiosi. In appendice, quattro articoli che De Simone ha scritto per il quotidiano Il Mattino, nei quali constata dolorosamente la scomparsa di tradizioni che aveva documentato negli anni ’70, come il pellegrinaggio a Montevergine, ma scopre anche con entusiasmo il perdurare di altre, come a Montemarano, dove la processione resiste, malgrado tutto. di Ciro De Rosa Dopo aver esordito nel 2007 con Margot voupadançar, album che ha riscosso ampi consensi di critica di settore, soprattutto in Francia, le “trovatrici” del XXI secolo Paola Lombardo e Valeria Benigni, attive come duo vocale dal 2004, si riconfermano come una delle proposte più significative di quel variegato universo sonoro che si riconosce nella area culturale occitanica. Lo mau d‘amor è frutto del loro incontro con il soffio dei sassofoni di Claudio Carboni, pilastro di Banditaliana. trobairitz In lingua occitana trobairitz significa per l’appunto trovatrici. Le due cantanti sono state ammaliate dalle gentildonne poetesse d’epoca medievale che componevano nell’idioma d’oc. Valeria, di formazione jazzistica, è divenuta la voce degli alfieri della musica occitanica d’Italia Lou Dalfin, Paola ha un lungo un percorso artistico di matrice folk. Quest’ultima ci dice: “La lingua occitana è molto sonora, con fonemi che sono veramente piacevoli da cantare. La osserviamo e la studiamo, cercando di cogliere i colori e le diversità delle varie parlate. Pur vivendo a Torino, ai piedi delle valli occitane, abbiamo acquisito familiarità con una lingua che non è quella natìa respirando l’atmosfera delle valli e ascoltato i vinili di ricerca e riproposta di questo repertorio”. Le Trobairitz d’Oc non attingono al repertorio duecentesco della grande poesia in lingua d’oc, matrice della tradizione lirica dell’Europa moderna, ma riprendono materiali trasversali, riconducibili agli ultimi due secoli, dalla Linguadoca al Delfinato, fino alla piemontese Val Chisone. In questo album, inoltre, si cimentano nella composizione in lingua occitana, senz’altro una svolta rispetto all’esordio costellato di brani tradizionali. “Per ora i nostri brani sono legati al vissuto individuale, sia per la musica che per i testi”, aggiunge Paola. “Le canzoni sono state scelte prima di andare in studio, dove abbiamo apportato modifiche se sentivamo la vocina che ci diceva: 'Magari suona meglio così…!' Ricordo che il primo incontro con Claudio è avvenuto a casa sua sull’Appennino, per l’occasione avevamo portato un abbozzo del primo brano Colorin de ròsa, un tradizionale che ci ha rapito quando lo abbiamo ascoltato dalla voce di Rosina De Peira. Lui, che è un entusiasta di natura, ha iniziato a buttare giù qualche nota con il baritono. Le cose sono più o meno proseguite così per gli altri brani... Per la maggior parte dei brani abbiamo lavorato insieme, in alcuni casi invece chi aveva già in mente l’architettura della canzone ha portato le parti”. Se Claudio Carboni ha conosciuto la musica occitana suonando con Patrick Vaillant e incontrato, tramite Riccardo Tesi, il repertorio del gran cantore Jean-Marie Carlotti, quali sono i punti di riferimento occitanici di Paola e Valeria? “Per l’audacia e la fantasia ci hanno ispirato i Lo Còr de la Plana, per l’innovazione nella tradizione i Perlimpinpin Folk e Patrick Vaillant, per l’espressività e il calore vocale Rosina e Martina De Peira”. di affinità e di contrasti che sfocia in quella che veramente io intendo per world music. Non scimmiotto gli strumenti abituali di questa musica, ma cerco di inserire quella che è la mia dialettica musicale nella poesia di queste splendide melodie”. I sax soprano e baritono incrociano superbamente la compattezza vocale delle due cantanti che si avvalgono qua e là di percussioni e del battito delle mani. Gli strumenti di Carboni sono ora rinforzo ritmico ora terza voce, diventano controcanto o morbido appoggio su cui ricamano le splendide ugole. Tutto ciò, mettendo sempre al centro il suono d’insieme. Lasciamo ancora la parola a Claudio: “Col baritono eseguo parti più ritmiche e incalzanti, quasi come se fosse una batteria. Mi piace utilizzare molto anche lo slap, così che non si senta la mancanza di altri strumenti anche nei brani di maggior groove. Col soprano diventiamo una sorta di trio vocale, la voce del sax dialoga e contrasta con le voci e si prende spesso la libertà di improvvisare”. Le tracce Le quattordici tracce iniziano con la già citata Colorina de ròsa, dove il sax sottolinea il canto o agisce da controcanto ritmico. Atmosfere morbide jazzate in La cançon e la pluma, musicata da Valeria Benigni su testo di Gael Princivalle. Nel tradizionale La famme d’un tambur, storia del suonatore di tamburo che preferisce i piaceri dell’osteria ai doveri familiari, le voci incalzanti trovano sponda facile nel guizzo ritmico e nello slancio melodico del sax. Si libra piacevole e leggiadro Lo mau d’amor, distinto dalla solarità dei sassofoni che ora ornano le voci ora si producono in terza voce. L’accompagnamento lirico del pianoforte impreziosisce il canto trovadorico Lo rossinhòu messatgier. Dopo il bel solo introduttivo di Carboni parte La femna luerda, versione occitana della Maria Giuana piemontese. Miton è un gustoso elogio della zuppa di contadini e pastori fatta con latte e pane raffermo del giorno prima. Si parla del timo serpillo dal quale si produce un distillato, in Serpol, siglata da Paola Lombardo su liriche di Sergio Berardo, dai passaggi vocali che riprendono i modi del canto sardo. Sinfonia de Margòt richiama il disco di debutto. Ancora gioco di incastri sonori ne La masurca de Sant Andiòu, col sax di Claudio che si ritaglia un gustoso assolo. I tamburi a cornice sono protagonisti nella ninna nanna percussiva Minon-minauna che profuma di Mediterraneo, mentre nella scottish L’aiga de ròca il trio divide la scena con gli archi di Santa Vittoria, protagonisti di sequenze bartokiane. Finale col tradizionale A stacada d’brelh, dove il sax soprano oscilla tra sognante impronta garbarekiana e valzer di sapore appenninico. Dal duo al trio Titolo Son sei sorelle. Rituali e canti della tradizione in Campania Etichetta Squilibri Online www.squilibri.it 10 primavera 2011 Tra i pregi di Lo Mau d‘Amor, l’abilità che hanno i tre artisti di interagire secondo modalità assolutamente inusitate. Claudio Carboni ha raccolto la sfida con curiosità ed entusiasmo: “Quello che ho cercato di fare è di plasmare il mio linguaggio, adattandolo ai brani, creando un gioco Titolo Lo mau d’amor Etichetta Felmay / Egea Online www.felmay.it 10 primavera 2011 10 11 Profili Mondomix.com / ATTUALITà Il folksinger in cerca di forme poetiche Intervista a Massimo Ferrante sul nuovo cd Jamu: sonorità tradizionali del Sud Italia di Antonello Lamanna Ai due successi discografici U Ciucciu del 2005 e Ricùordi del 2006 ora si aggiunge Jamu il nuovo lavoro di Massimo Ferrante distribuito dalla Felmay. Jamu in calabrese significa “andiamo” che rimanda in un certo senso a “come on”, uno dei riff più famosi del blues di Chicago. Ferrante è un affermato musicista calabrese che vive a Napoli dagli anni Settanta, e da allora ha assimilato tutto di questa terra: la sensibilità, la creatività, e la versatilità qualità con le quali è riuscito ad appropriarsi di una cultura antica attraverso la sua anima popolare. Dodici brani incastonati tra due parti di una nota poesia di Ignazio Buttitta, Lingua e dialettu, tramutata in canzone grazie all’arrangiamento e ai corposi interventi strumentali di Antonello Paliotti. Il resto del disco si gusta brano dopo brano come un piacevole mosaico sonoro. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente mentre era impegnato in una delle sue presentazioni del nuovo disco. Sei in piena tournée con tutta la band, come sta andando? La tournée è già partita da un pezzo e sta andando molto bene, se consideriamo che è iniziata questa estate. Le tappe ora diminuiscono sia perchè in questo periodo vivo a Napoli e quindi diventa tutto problematico, e sia perchè in inverno la richiesta di live entra in una specie di letargo stagionale. Nel disco ci sono molte collaborazioni artistiche importanti come quelle con Antonello Paliotti, Lutte Berg, Lello Petrarca, Enrico del Gaudio Angelo De Falco insieme agli E Zezi. Attualmente, però, sto presentando Jamu con delle riduzioni del gruppo: in duo, o trio, a seconda del club in cui suono. Ci puoi fare un esempio? Mi riferisco a un recupero importante che ho voluto inserire in questo disco: la Strina du judeo, un canto calabrese tradizionale atipico proposto con un bel arrangiamento di Lutte Berg alla chitarra elettrica, di Lello Petrarca al basso e di Enrico Del Gaudio alla batteria. Le strine sono canti augurali eseguiti durante il periodo natalizio, ma questa che ho raccolto a Joggi (in provincia di Cosenza) si caratterizza invece per i toni provocatori e caustici verso tutti, e in particolare verso le istituzioni. In Jamu c’è una sorta di sintesi della tua esperienza artistica, come nasce l’idea di questo nuovo viaggio nel Sud Italia, è nostalgia o voglia di scoprire altro? Le mie ricerche sono sempre legate un po’ al territorio, quindi prendo qualcosa dalla mia terra, dalla mia Calabria dalla zona dell’Alto Cosentino, e poi ascolto molti vecchi nastri e dischi introvabili che non hanno nessuna distribuzione. È un materiale interessante, fonte non esclusiva delle mie produzioni musicali. Quando si crea un nuovo lavoro, si pensa sempre ad una struttura, e la mia idea è stata quella di un viaggio nei repertori musicali poco esplorati, un viaggio intimo nei suoni e nelle storie di un’Italia che rischia di essere dimenticata, e dove un patrimonio culturale molto vasto rischia di essere sminuito e snaturato. Creare per me significa appunto ascoltare la propria sensibilità e lasciarsene guidare. Jamu è un progetto basato su un attento e accurato lavoro di recupero e rielaborazione di brani editi ed inediti in vario modo reperiti, in cui metto in evidenza la ricerca di un equilibrio fra tradizione e modernità. So che stai lavorando ad un interessante progetto, di che si tratta? Si, ci sto lavorando da diverso tempo. Dopo gli impegni per la tournée del disco in Italia, vorrei dedicarmi a formare una corposa band popolare di fiati, zampogne, tamburelli, per presentarla all’estero. 10 primavera 2011 In tutti i tuoi dischi, e soprattutto in questo, si nota la ricerca di forme musicali originali e poco conosciute, come mai questa scelta? É una battaglia che combatto da molti anni. Diffido molto e ho sempre mantenuto una certa distanza da certe tendenze modaiole che si consumano velocemente e che offuscano il vero patrimonio musicale tradizionale. Mi interessano le forme dei dialetti calabresi e i diversi aspetti legati alle minoranze linguistiche che fanno parte della nostra identità culturale. Non inseguo mode, ma tento di far emergere forme musicali poco conosciute. Nel Sud non ci sono solo le tarantelle, le tammurriate e le pizziche. Titolo Jamu Etichetta Felmay / Egea Online www.felmay.it 10 primavera 2011 12 13 Profili Mondomix.com / MUSICA Martin Carthy Il re del folk inglese di Giancarlo Susanna Il secondo folk revival inglese, letteralmente esploso nella seconda metà degli anni ’60, ha dimostrato come non solo fosse possibile riprendere la tradizione in modo corretto e credibile, ma anche scrivere canzoni nuove usando quel linguaggio poetico e musicale. Forse qualche intellettuale conservatore considerò con sufficienza cantautori come Nick Drake, John Martyn, Allan Taylor e Sandy Denny o gruppi come i Pentangle e i Fairport Convention, ma quello che questi giovani musicisti facevano non era poi così distante dal lavoro prezioso del grande (e severo) padre del folk revival britannico Ewan MaColl, che nel 1973 aveva vinto il prestigioso premio Ivor Novello con la sua The First Time I Ever Saw Your Face. È quasi inutile ricordare quanto fosse difficile in quegli anni seguire tutto quel che accadeva oltremanica, ma il fascino di certi dischi – da Liege & Lief dei Fairport a Basket of Light dei Pentangle, per citarne appena un paio - era troppo forte per chi aveva avuto l’occasione di scoprirli. la scoperta Il primo album di Martin Carthy che acquistai è un’antologia della serie This is… della Philips. Si intitola The Bonny Black Hare and Other Songs e sulla copertina c’è un bel disegno della bella lepre nera protagonista dell’omonima canzone. Lo trovai nel ‘74 nell’unico negozio romano che all’epoca aveva dischi d’importazione. Qualche mese dopo partii per il mio primo viaggio a Londra e fu all’ombra della Roundhouse, a Camden, in uno dei tanti club che all’epoca richiamavano piccole schiere di appassionati, che assistetti a un suo concerto. Carthy era già una star del folk revival. Famoso per una lunga e brillante collaborazione con il violinista Dave Swarbrick e per la sua decisiva presenza nei primi Steeleye Span, aveva la dote più importante dei performer solitari: il carisma. Fu preceduto dai “residents” del club e tenne un concerto bellissimo. Mi colpì non solo per la voce e per lo stile chitarristico, ma anche perché utilizzò un diapason per accordare la sua Martin e per prendere l’intonazione giusta nei pezzi solo vocali. In Italia non avevo mai visto e sentito niente del genere. Noi non avevamo nessuno che fosse in grado di riproporre la tradizione in un modo tanto efficace. Due anni dopo lo rividi, sempre a Londra: la serata fu aperta come consuetudine dai “residents”, ma prima del set di Carthy cantarono anche i Watersons, il quartetto solo vocale formato da Mike Waterson e dalle sue sorelle Lal e Norma, cui si aggiunse, al posto di John Harrison, lo stesso Carthy. Enrique Morente l’ultimo profeta flamenco Scomparso all’età di 67 anni uno dei massimi esponenti della canzone andalusa di David Valderrama i fenomenali Brass Monkey (insieme a John Kirkpatrick) e i Waterson Carthy (essenzialmente un trio con la moglie Norma Waterson e la figlia Eliza Carthy), Martin ha lasciato un segno indelebile nel “suono” inglese. Già ai tempi del duo con Swarbrick e dei suoi dischi da solo – Carthy è un chitarrista dallo stile inconfondibile, percussivo ed essenziale – la sua musica aveva influenzato personaggi immensamente più noti di lui come Bob Dylan e Paul Simon. Con quest’ultimo, che si era appropriato senza mai dichiararlo dell’arrangiamento di Scarborough Fair, ha avuto una controversia durata decenni e conclusa con una rappacificazione solo in tempi recenti. Nominato dalla Regina Elisabetta “Member of the British Empire”, Martin Carthy è giustamente considerato come uno dei più importanti e influenti folksinger della sua generazione. Online www.watersoncarthy.com Martin Carthy Signs of Life Topic, 1998 Waterson Carthy Common Tongue Topic, 1997 La carriera Nato il 21 maggio del 1941 a Hatfield, nell’Hertfordshire, Carthy cominciò a coltivare il suo amore per la musica cantando nel coro della scuola e studiando pianoforte e trombone. Come molti giovani inglesi (compresi i Beatles), Carthy fu contagiato dalla moda dello skiffle e mentre lavorava come stage manager per alcune compagnie teatrali fece le sue prime esperienze come chitarrista nei club dell’area di Londra. Fu un concerto di Sam Larner, un anziano pescatore e folksinger di Norfolk, a spingerlo verso il revival. Da allora la sua vicenda artistica non ha conosciuto soste. Con i Thameside Four e in duo con il prodigioso Dave Swarbrick, con gli Steeleye Span (in cui suonava anche la chitarra elettrica) e la Albion Country Band, con i Watersons, 10 primavera 2011 Brass Monkey Sound & Rumour Topic, 1998 Martin Carthy The Carthy Chronicles Box antologico di 4 cd, Free Reed, 2001 Il giorno di Natale avrebbe compiuto sessantotto anni ma il destino ha voluto che la vita del cantante flamenco Enrique Morente si fermasse prima. Alla notizia della sua scomparsa, lo scorso tredici dicembre, una profonda commozione ha attraversato in lungo e in largo la Penisola Iberica. Basti leggere i titoli dei principali quotidiani spagnoli: l’ultimo poeta flamenco titolava El Mundo, morte di uno sciamano per El Pais, o il cantante che rinnovò il flamenco per il quotidiano Publico. Ma è a Granada che il tributo popolare al suo illustre cittadino è diventato pianto collettivo con oltre seimila persone accorse alla camera ardente in un susseguirsi di amici, di vicini di casa, di parenti e di colleghi di una vita andati a salutare per l’ultima volta il maestro. Quando la figlia Estrella, su versi di Lorca, ha intonato l’ultimo saluto recitando Il pianto della chitarra, un brivido ha scosso l’intera sala. L'apprendistato La sua storia artistica ha inizio presto, quando appena quindicenne viaggia a Madrid facendo da apripista a tanti altri artisti, da Camaron a Paco de Lucia, alle sorelle Utrera, soltanto per citarne alcuni. Nel fermento musicale e artistico della capitale Enrique muoverà i primi passi da interprete e conoscerà i maestri del tempo Don Antonio Chacón e Pepe de la Matrona. Più ancora delle sue innate qualità, del registro vocale e della capacità di affinare il canto, sarà la curiosità e il desiderio di imparare e di esplorare nuove strade a offrire la chiave del successo al cantante granadino. A differenza della spontanea e vulcanica bravura di Camaron, Enrique Morente sarà sempre un artista dedito alla ricerca e al perfezionamento quasi maniacale della propria opera. Il Successo Il successo non tarda ad arrivare. Già nel 1964 viaggia a New York e Washington, l’anno successivo è in tournée europea; ingaggiato presso i prestigiosi tablaos Zambra e Caffé de Chinitas si guadagna l’ammirazione di un pubblico esperto ed esigente. Con il primo premio al Festival di Malaga e la pubblicazione del primo album, Cante flamenco, arriva anche la notorietà al grande pubblico. Gli anni successivi saranno caratterizzati dal sodalizio musicale con il chitarrista Manolo Sanlucar che gli consentirà di qualificare maggiormente la propria opera e lo porterà a concepire ambiziosi spettacoli dal vivo come Andalucia hoy nel 1981 o il monumentale El loco romantico basato sul Chisciotte de la Mancha presentato a Granada nel 1988. Gli anni novanta si apriranno con la pubblicazione di Misa flamenca, prima di una serie di opere dedicate al conterraneo Federico Garcia Lorca. il maestro Insieme ai tanti successi personali non va dimenticato il grande impegno profuso dall’artista in favore della diffusione del flamenco a livello internazionale e del sostegno ai giovani talenti. La sua naturale curiosità l’ha condotto a esplorare e spingere il flamenco dove nessuno aveva mai osato. E l’ha fatto non per compiacere se stesso ma perché convinto e della versatilità e della necessità di aggiornare il flamenco al proprio tempo. Ad esempio, Morente è arrivato a tentare esperimenti stravaganti come suonare con la rock band underground dei Sonic Youth o a promuovere incontri con musicisti africani e latinoamericani. D’altronde, al costante impegno per la ricerca artistica ha sempre affiancato una forte propensione alla ribellione. In un’occasione andò a cantare a Parigi nella sede dell’allora esiliato partito comunista spagnolo, anni dopo accettò di cantare di fronte al re Juan Carlos e gli dedicò una canzone repubblicana. L’ultima intervista rilasciata al settimanale Vanity Fair, poco prima di morire, è un commuovente ritratto di Enrique e di sua figlia, la cantante Estrella Morente, vera erede del cantante andaluso. La morte di Enrique Morente giunge a meno di un mese dal riconoscimento del flamenco, da parte dell’UNESCO, quale Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Un bel congedo per un artista che a quest’arte ha dedicato la vita. Online www.enriquemorente.com Cante flamenco Hispavox Omega Acqua Homaje a D. Antonio Chacon Emi 10 primavera 2011 14 Guida di Emanuele Enria minima a l Ta n g o Ta n g h i a r i t r o s o È la vita condensata in tre minuti. C’è chi lo racconta così un tango. Una interpretazione estetica della vita, direbbe il poeta Horacio Ferrer, magazzino in cui si sono accumulati, in azzardoso e tumultuoso stivaggio, esseri umani, stili di vita, modi d’amare un dio o un altro, modi di fare il pane, l’amore, il commercio e le case. origini Nato pellegrino tra le rive del Rio de la Plata, mescolando nella sua ibridazione, figlia dell’immigrazione di fine Ottocento in Sud America, la voce italiana, spagnola, tedesca, ebrea, polacca (e qui non si può non prestare subito orecchio alla voce rauca e inconfondibile di Roberto Goyeneche accompagnata dal bandoneon di Annibal Troilo) all’Africa degli schiavi presenti soprattutto in Uruguay. È la sua stessa parola a dircelo: tango, come il battito delle percussioni, come il suono del tamburo (tangò venivano chiamati) nel candombe, come il luogo in cui danzavano su questi ritmi (Tangò), fino al nome del Dio Xangó, il Dio guerriero secondo il culto afroamericano degli Orixa. Senza tralasciare il tango andaluz. Sarà Juan Carlos Caceres a rievocare mirabilmente nel suo Tango Negro del 2003 questa parte negra del tango, ricercandone il suono che facevano i tre tamburi, tambor piano, tambor chico, tambor repique: borocotò-borocotò-borocotò-chaschás. Candombe che diventa milonga, milonga che si tuffa dentro il più ampio universo che oggi chiamiamo tango, tra generi, stili, nuovi meticciaggi. Il Bandoneon I suoi albori con la voce dei payadores, i cantastorie, accompagnati da chitarra, flauto e violino. Il viaggio di uno strumento come il bandoneon, creato in Germania intorno al 1835, ad opera probabilmente di un tale Heinrich Band, per sostituire l’organo delle chiese di campagna, che finisce invece nella Pampa, trasportato forse per la prima volta da un marinaio brasiliano di nome Bartolo, forse da un inglese di nome Moore o semplicemente venduto da un immigrato tedesco in una balera. Storie dentro una storia che fanno capire perché oggi tango sono anche le parole di Paolo Conte, innamorato di queste cavalcate mitiche tra il caso, il nome di un perfetto sconosciuto e gli afrori di un luogo. È quella sua massima: “Così come la lucertola è il riassunto del coccodrillo, il tango è il riassunto della vita”. La solitudine della Pampa, i quartieri di Buenos Aires, Montevideo danno a uno strumento nato in Germania, il bandoneon, la giusta tonalità. Come se il canto dell’Europa, ormai imbalsamato nelle sue macerie, avesse avuto bisogno di partire ancora una volta per cantare la sua nostalgia, che oggi non è più soltanto “un pensiero triste che si balla” come lo definiva il più sublime paroliere del tango, Enrique Santos Discepolo, ma è anche, e di nuovo, ritmo, gioia, sensualità, danza nell’apertura delle sue sfumature, dei luoghi in cui il tango si ferma: Giappone o Turchia, Inghilterra come Finlandia. E dei generi con cui si incontra. (bandoneones, violini, pianoforte, contrabbasso) che appare dai primi decenni del ’900 in poi e tocca la sua epoca d’oro negli Anni Trenta Quaranta: quella di Osvaldo Fresedo (e quella chicca che è la versione di Vida mia con Dizzy Gillespie alla tromba), Juan D’Arienzo, Rodolfo Biagi, Francisco Canaro, fino a quegli autentici giganti che sono Annibal Troilo, non a caso maestro anche di Piazzola, Osvaldo Pugliese e Carlos Di Sarli. Senza tralasciare l'armonica di Hugo Diaz. Difficile davvero fare una scelta dentro a un repertorio OSVALDO PUGLIESE From Argentina to the world Emi Il pianista Osvaldo Pugliese ci porta con la sua orchestra a toccare le vertigini della sua epressività poliritmica. Cambi di tempo, impetuose accelerazioni, pause come respiri. Un capolavoro assoluto FRANCISCO CANARO Poema Suramusic Musicista autodidatta, nato dal nulla, ha sofferto molto riuscendo poi a giungere alla vetta con una produzione quasi sconfinata. È considerato uno dei capisaldi della tradizione, con un’orchestra che arriva a superare i 50 elementi. Per questo è da salutare con gioia l’uscita del libro di Elisa Guzzo Vaccarino, Il tango, edito da L’Epos, che riesce finalmente a leggerne, grazie alla sua enorme competenza come critico di danza, ballerina lei stessa di tango, la complessità contemporanea, fornendo quei punti di contatto che ancora mancavano per capire come entri anche in un balletto di Bejart, di Pina Bausch, nella musica elettronica così come nella psicanalisi. Gli anni Venti Trenta sono legati alla voce di Carlos Gardel, l’usignolo del tango, che incide alcuni dei brani più celebri della storia del tango, come Volver, Mi Buenos Aires Querido, dando alla sua voce quel qualcosa che Horacio Ferrer paragona al chamuyo, termine lunfardo che indica il corteggiamento con le parole. Si contano qualcosa come millesettecento autori e centomila registrazioni, di cui settantamila realizzate tra il 1902 e il 1995, prima dell’era digitale. Il rischio è che molte di queste vadano perdute: per questo il musicista e compositore Ignacio Varchuasky ha costituito l’associazione Tango Via (www.tangovia.org) con cui le trasferisce da disco in formato digitale contattando i vari collezionisti e possessori. Se in Europa dici tango, si pensa subito al genio di Astor Piazzola, mentre c’è invece tutto un ascolto da percorrere tra le grandi orchestre, elaborazione del sexteto tipico così vasto. Ringrazio Dario Moffa e la sua associazione Essentia (www. tangosensibile.it/chi_siamo.php), che propone interessantissimi corsi di tango e ascolto della musica, per aver accettato di “giocare” con me a comporre questa selezione. Da abbinare alla lettura di: Elisa Guzzo Vaccarino, Il tango, L’Epos, Palermo, 2010 ANNIBAL TROILO Yo soy el tango BMG ANNIBAL TROILO PICHUCO ROBERTO GOYENECHE El gordo y el polaco DBN Il bandoneon per eccellenza, quello di Annibal Troilo, detto el Pichuco, forse il musicista che più di tutti ha saputo far uscire da questo strumento quell’inconfondibile lamento, come recita uno dei tanghi più celebri, Quejas de bandoneon. Da ascoltare sia con la sua orchestra che mentre accompagna la voce grumosa e sotterranea di Roberto Goyeneche. CARLOS DI SARLI 100 años RCA Victor La pura eleganza di un’orchestra come questa, tra ritmo e melodia, regala le più belle versioni di Bahia Blanca, Don Juan, Verdemar HUGO DIAZ Tangos Acqua Records L’armonica di Hugo Diaz che reinterpreta i più celebri tanghi di Gardel, da Volver a Arrabal amargo, Melodia de arrabal, Por una cabeza. Accompagnata da piano, contrabbasso e chitarra è una musica che sorprende chiunque ancora non lo conosca. JUAN D'ARIENZO Instrumental Vol. 1 BMG Scoppiettante. Era bellissimo da vedere mentre dirigeva come un indemoniato il coro di bandoneon della sua orchestra. Da ballare, camminare, una musica che marca il passo con precisione millimetrica ASTOR PIAZZOLLA Libertango Gold collection Una carrelata da brivido dei classici piazzoliani. Da Fuga y mysterio, Adiós Nonino a Jeanne y Paul, uno dei pezzi più belli in assoluto del genio di Piazzola. OSVALDO FRESEDO Rendezvous porteno Acqua Records Uno dei grandi maestri della prima generazione, riconoscibile per un suono allegro, ritmato, nel suo incontro con la tromba di Dizzy Gillespie. Una versione di Vida mia che rimarrà in eterno. JUAN CARLOS CACERES Tocá Tango Discos CNR Il viaggio che compie Caceres da anni verso le radici africane del tango arriva qui a toccare la parte più nera del suo lavoro, grazie all’attenzione che dedica alla parte ritmica. Non a caso il titolo prende spunto dai tamburi del candombe. Il tango 10 primavera 2011 15 Tango Mondomix.com / MUSICA 10 primavera 2011 16 17 Tango Mondomix.com / MUSICA Wilfried Krüger I tanghi di Pina Un piccolo viaggio tra le musiche degli spettacoli di Pina Bausch e il suo W u p p e r t a l e r Ta n z t h e a t e r di Emanuele Enria AA VV The Tango Lesson Sony Classical Un modo facile per avere un piccolo riassunto di alcuni dei più bei tanghi da ballare ed ascoltare. Colonna sonora del film Lezioni di Tango di Sally Potter, regala all’ascolto il valzer Amor y celos di D’Arienzo, la Yumba di Pugliese, Quejas de bandoneón di Troilo e molto altro. ASTOR PIAZZOLLA / HORACIO FERRER Edición crítica: en persona RCA Victor La poesia di Horacio Ferrer recitata dallo stesso e accompagnata dal bandoneon di Astor Piazzolla. Poesia per le orecchie e il cuore, oltre che una lezione di musicalità tra voce e strumento. AA VV Sulle rive del tango Microcosmodischi Una compilation composta di tanghi per così dire “involontari”. Il disco è un viaggio che inizia da Napoli e tocca le sponde dell’America Latina, Sicilia, Sardegna, dei Balcani, ma è capace di trovare spunti anche in Norvegia e in Polonia. Un viaggio che racchiude esperienze e generi musicali molto diversi tra loro. RICARDO TANTURI Y SU ORQUESTA TÍPICA Tangos de mi ciudad BMG Pianista, direttore e compositore, la produzione di Tanturi è sempre associata ai suoi cantanti, in questo caso la voce di Alberto Castello. Una piacevolissima carrellata di tanghi, milonghe e vals da parte di uno dei maestri della tradizione. ASTOR PIAZZOLLA / GERRY MULLIGAN Reuníon cumbre Music Hall Il connubio tra Astor Piazzolla e Gerry Mulligan è quanto di più straordinario potesse produrre l’incontro tra due generi musicali: tango e jazz. Ne nasce una musica che affonda, all’interno di due voci così importanti come quella del bandoneon e del sax baritono, il tango dentro il ritmo sincopato del jazz, senza tralasciare gli impeti sonori di uno Stravinskij 10 primavera 2011 RODOLFO BIAGI La Orquesta Y Sus Cantores Emi Un altro maestro della tradizione. La semplicità delle melodie al suo massimo livello, meravigliosi sono i suoi vals. Inconfondibile il suo piano che dialoga con l’orchestra, un vero ballo tra gli strumenti. ENRIQUE RODRIGUEZ Tangos con Armando Moreno Emi Ha una grandissima produzione. Quella con Armando Moreno sembra rappresentare al meglio il suo timbro, la sua sonorità, un’orchestra all’unisono incentrata sulla melodia degli strumenti e la voce del cantante. GOTAN PROJECT La revancha del Tango XL, Inutile negarlo. C’è un prima e dopo Gotan Project. Un autentico rinnovamento del tango attraverso la musica elettronica attuata da un gruppo di musicisti, quasi tutti residenti a Parigi, che ha dimostrato che si poteva riesplorare l’intero repertorio del tango e le sue radici con un linguaggio nuovo. DANIEL MELINGO Santa Milonga Mañana Inconfondibile la voce di Melingo. Il suo Narigon è una delle milonghe più eccitanti, africane, suburbane. Ma è tutto l’album a disegnare una perfetta ricerca tra la sonorità urbana, il ritmo africano e l’uso del lunfardo nel cantato. TITA MERELLO Milongón Porteño, da Grandes del Tango 40 Pattaya Una delle figure femmili più importanti e rappresentative dei primi decenni del Novecento (che ha vissuto fino in fondo, essendo morta solo nei primi anni del Duemila) a Buenos Aires. Attrice e cantante, la sua è un’interpretazione quasi giocosa, gorgheggiante, di tanghi in cui c’è sempre chi scappa, si lamenta o si vanta. Come nella milonga Se dice de mi, dove per una volta a giocare la parte dello “spaccone” è una donna. Il metodo Dopo i primi lavori ancora legati al linguaggio della danza tradizionale (e comunque già straordinari), con una musica che ha una storia da raccontare (Ifigenia in Tauride, Orfeo ed Euridice, le Sacre du Printemps) svilupperà, dal 77’ in poi, il suo celebre metodo di improvvisazioni che nascono da domande, tante domande, evocazioni, che ad ogni nuova creazione, pone ai suoi ballerini: di che cosa hai paura? Che cos’è la primavera? Tenerezza. Presentati. Cosa fai quando ti piace qualcuno? A cui ogni ballerino risponde con parole e gesti, consegnando parte del suo vissuto personale a Pina. Solo lei sa dove vuole arrivare ogni volta. “...Le domande che poniamo ci conducono a esperienze che sono molto più antiche, che non appartengono soltanto alla nostra cultura e al qui e ora. È come se ritornasse a noi una conoscenza che da sempre ci appartiene, ma della quale non siamo più consapevoli e contemporanei. Ci fa ricordare qualcosa che è comune a tutti noi”. La musica è parte di questa scatola magica, deve evocare paesaggi, sentimenti, stati d’animo. Non è la stessa dall’inizio delle prove fino allo spettacolo compiuto, ma va componendosi pian piano, per assemblaggio, montaggio, estrazione di tutto il materiale sonoro che è stato raccolto. Questo significa che i ballerini non provano su una musica già stabilita, ma che musica e danza sono come due compagni che si cercano e si scoprono nel tempo della creazione. Un pò di tango Dentro questa ampissima scelta, mi piace ricordare quanto il tango sia stato un “luogo” preferenziale (a cui ha anche dedicato un intero spettacolo, Bandoneon) in cui Pina Bausch ha esplorato la possibilità di incontro tra individui, tra uomo e donna, attraverso un codice di gesti, camminate, abbracci. Nel 1978 porta in scena Kontakthof, un lavoro che riproporrà poi nella versione con intepreti di età over 60 e in una terza versione con ragazzi sotto i 18 anni, documentata poeticamente nel recente documentario Les reves dansant di Anne Linsel et Rainer Hoffmann (e a breve da un lavoro più ampio di Wim Wenders). Rimangono, come in un film di Fellini, quei motivetti di tutto lo spettacolo. La melanconica melodia estratta dal film il Terzo Uomo di Carol Reed e composta da Anton Karas, suonatore di zither. O i tanghi tedeschi di Juan Llosas, come Oh, Fräulein Grete, Blonde Claire... Ascoltandoli, sembrerà di entrare sempre in quel mondo che ci ha regalato Pina Bausch, dove anche una semplice carezza è già danza. un incontro Mi è sembrato doveroso rendere un piccolo omaggio a Pina Bausch andando ad incontrare Matthias Burkert e Andreas Eisenschneider durante il passaggio del Wuppertaler Tanztheater a Montecarlo, nel mese di dicembre, mentre riportava in scena Cafè Muller, creato nel lontano 1978, il solo dove Pina Bausch abbia anche danzato, e Le Sacre du Printemps. Sono loro i volti che hanno dato ad ogni spettacolo le musiche: un lavoro da antropologo, musicologo, artigiano, artista. Un autentico viaggio nelle musiche del mondo, soprattutto da quando la compagnia ha iniziato a lavorare su invito nei vari paesi, creando spettacoli ispirati ai luoghi: come Viktor a Roma, Palermo Palermo, Wiesenland all’Ungheria, Masurca Fogo a Lisbona, Agua al Brasile, Nefés alla Turchia, e ancora. Angelos Giotopoulos E non vi fossero bastati… Uno dei primi giorni di luglio del 2009 Pina Bausch se ne è andata all’improvviso. La sua compagnia, il Wuppertaler Tanztheater, silenziosamente preparata a quel momento, ha continuato con grande amore e coraggio a portare in giro per il mondo l’universo bauschiano: “..Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti. Ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che fare. A questo punta comincia la danza, e per motivi del tutto diversi dalla vanità… Si deve trovare un linguaggio – con parole, con immagini, movimenti, atmosfere – che faccia intuire qualcosa che esiste in noi da sempre”, aveva detto la stessa Pina Bausch durante il discorso per la laurea ad honorem assegnatale dall’Università di Bologna nel 1999. Online www.pina-bausch.de/en/index.php www.juanllossas.de/Discher%20CD1.htm 10 primavera 2011 18 19 Mondomix.com / MUSICA No Me Rompas Las Bolas Ta n g o N e g r o Tr i o di Gian Franco Grilli "Borocotó, borocotó, chas chas,… Tango negro, tango negro, los tambores no suenan más,… los gringos fueron cambiando tu manera de bailar". In questi versi ritmati di Tango Negro, brano lievemente ritoccato per il nuovo album No Me Rompas Las Bolas, c’è tutta l’essenza e l’estetica dell’audace ed eretico progetto del poliedrico Juan Carlos Cáceres, pianista, trombonista, compositore, cantautore e leader del Tango Negro Trio che punta: primo, a dimostrare la facciata invisibile del tango, quella nera, dimenticata, con il tambor africano in cattedra (omaggiato anche in Suena el tambor e Toca tango, tracce 1 e 13) scomparso, assieme ad altri elementi con l’estinzione della popolazione afroargentina, e sostituito da tonalità e timbriche occidentali (dei gringos = europei) come recitano i versi suddetti; secondo, a valorizzare altri protagonisti della regione rioplatense, tra Buenos Aires e Montevideo, come murga, candombe, milonga, habanera, musiche europee e il rapporto che intercorre con le altre espressioni popolari afro-americane. il tango negro Il terzo CD appena pubblicato – davvero dirompente, fin dal titolo, a quattro anni di distanza da La Vuelta del Malon e a sei da Tango Negro Trio - colpisce più che mai il centro del bersaglio estetico che l’artista argentino, residente a Parigi dal 1968, va ricercando da molto tempo. E stavolta il maestro Cáceres scuote sia i tangueros più ortodossi, sia la moltitudine di semplici appassionati o musicisti (tra cui anche tanti cultori di sound latino, credetemi), gente che non aveva mai saputo di altre verità o conoscenze sul tango oltre quelle imperanti e inossidabili ricevute attraverso il mito di Carlos Gardel, Osvaldo Pugliese, il nuevo tango del bandoneonista Astor Piazzolla, quello elettronico dei Gotan Project, eccetera. Così il tango, che un tempo parlò e ritmò mandinga, congo e mina, l’indomabile e combattivo cantautore - oltre che jazzista - porteño lo fa nuovamente rivivere in queste quindici coinvolgenti tracce mediante l’originale racconto storico-sociale, cantato e musicato in chiave milonguera (il punto di partenza dei suoi viaggi) e incrociato con altri linguaggi. Una specie di itinerario sonoro camaleontico, in cui è facile perdersi perché l’opera si trasforma di continuo, assorbendo le diverse modalità ritmico-melodico-armoniche imbarcate lungo la infinita navigazione del Tango Negro Trio, che arriva a toccare le foci caraibiche dova sbocca il Mississippi con le tinte jazz del trombone di Cáceres intersecate dall’accordeon nella malinconica Camila (tr.11). di No Me Rompas Las Bolas. Un disco che suona diverso da quelli precedenti, che miscela con equilibrio il sound serioso del tango con l’allegria caraibica, in modo marcato e in modo sorprendente per il sabor gioioso di Girotto (di solito il suo linguaggio è più triste, ma stupendo) con la vibrante voce del sax baritono che contrappunta il canto nel cadenzato calypso-son di Que Milonga mi amor (tr. 6). latin jazz Che dire ancora, che il timoniere Cáceres va avanti con la forza di un fiume in piena che a mio avviso lo porta dritto e in modo deciso nel comparto molto variegato del jazz latino, e in cui i progetti di Tango Negro Trio meritano di stare e per le ragioni poc’anzi descritte, e per le strutture jazzistiche disegnate dal piano del leader, e per le articolate spirali e i ricami dell’inconfondibile sassofonista Javier Girotto, e per il solido groove del multipercussionista uruguaiano Marcelo Russillo e del bassista Carlos “el tero” Buschini, binomio fisso della band che si destreggia alla grande tra le più diverse sonorità del mondo. Un esempio, tra i tanti, che tutti possiamo ascoltare qui, è il raffinato incastro ritmico creato con due diversi disegni di cascara (tipico della rumba), volta a sollecitare l’elegante piano e a stimolare la narrazione vocale che guida Sudacas (tr.10), composizione dedicata agli argentini, cileni e uruguaiani esiliati in Spagna (ma non solo) negli anni Settanta, quando il “Sudamerica era triste e stava piangendo”. Per concludere. Alla realizzazione di questo album hanno contribuito numerosi ospiti di ottimo livello, tra i quali, oltre al già citato Javier Girotto, l’eccellente improvvisatore e bandoneonista David Pecetto e l’ex rocker, polistrumentista, Daniel Melingo, oggi considerato il moderno ambasciatore del tango-canción con vocalità che scende tra i registri più profondi, virile, un artista che ricorda un po’ Tom Waits e Nick Cave. Unico neo di questo affascinante disco (altrimenti sarebbe perfetto) è la mancanza di un booklet, con i testi e qualche dettaglio informativo in più, sul tango negro e sulla distribuzione degli strumenti impiegati nei vari pezzi. La completezza ci aiuta a saperne di più su sonorità che meritano di essere riscattate, e che speriamo altri giovani sappiano poi continuare le ricerche dell’ultrasettantenne pianista e cantante argentino che piace a buona parte del pubblico nostrano per la somiglianza con Paolo Conte, ma se la mettiamo così ogni tanto spunta anche il Bongusto che fa Fred! Daniel Melingo courtesy Mañana recorded at 4ur studio - Angera Italy by Davide Primiceri Orfeo studio - Buenos Aires, Argentina by Edgar Gonzales mixed & mastered at R&R studio - Civitavecchia Italy by Max Rosati supervision by Hideto panchito Nishimura cover image Juan Carlos Caceres photos Francesco Truono produced by Tango Negro Trio & Ass. Cult. Musica dei Popoli JUAN CARLOS CACERES piano, voice, trombon MARCELO RUSSILLO drums, percussion CARLOS el tero BUSCHINI bass feat Javier Girotto sax David Pecetto bandoneon, accordeon Olivier Manoury accordina Alejandro Caraballo bombo murguero Martin Bruhn cajon Natalio Mangalavite choir fy 8175 Tango Negro Trio No Me Rompas Las Bolas feat Javier Girotto David Pecetto Olivier Manoury Alejandro Caraballo Martin Bruhn Natalio Mangalavite special guest 15 Plaza de Mayo 4.10 DANIEL MELINGO Felmay •roncaglia strada 16 • 15033 san germano AL • italy Felmay • strada roncaglia 15033 san Felmay • strada roncaglia 16 • 16 15033 san germano AL • AL italy Felmay • strada 16•roncaglia • 15033 sangermano germano AL• italy • italy 0142fax 50577 fax50780 [email protected] 0142 50780 [email protected] www.felmay.it ph.ph. +39 +39 0142 50577 +39 0142 www.felmay.it Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy FELMAY FELMAY FELMAY FELMAY FELMAY FELMAY ph. +39 faxfax+39 [email protected] www.felmay.it ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it ph. +390142 014250577 50577 +390142 014250780 50780 [email protected] www.felmay.it P Felmay 2009 P Felmay 2009 PP Felmay Felmay 2009 2011 P Felmay 2009 P Felmay 2009 All tracks Buschini / Caceres except 9,10,11,12,13 Caceres; 8,15 Buschini; 14 Maciel / Blomberg fy 8175 Tango Negro Trio bonus track JUAN CARLOS CACERES MARCELO RUSSILLO CARLOS el tero BUSCHINI Tango Negro Trio No Me Rompas Las Bolas No Me Rompas Las Bolas 10 primavera 2011 8175 digipack.indd 1 P Felmay 2009 P Felmay 2009 Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL san • AL italy Felmay Felmay • strada • Felmay strada roncaglia roncaglia 1616 • 15033 • 15033 san germano AL • italy • italy AL • italy • strada roncaglia 16san •germano 15033 germano FELMAY ph. +39 0142 50577 fax +39 50780 [email protected] ph. ph. +39 +390142 0142 50577 fax fax0142 +39 +390142 0142 50780 [email protected] [email protected] www.felmay.it www.felmay.it ph.50577 +39 0142 50577 fax50780 +39 0142 50780www.felmay.it [email protected] www.felmay.it FELMAY FELMAY FELMAY 3.53 4.05 4.43 3.15 4.24 3.48 4.15 2.20 3.50 3.30 4.29 3.06 2.51 2.46 Titolo No Me Rompas Las Bolas Etichetta Felmay / Egea Online www.felmay.it contact for Asia NPO Tiempo Iberoamericano Japan ph 81-92-762-4100 fax 81-92-762-4104 [email protected] www.tiempo.jp P Felmay 2009 booking europe www.cultureworks.at + 43 - 664 -5132367 +43 - 1- 5223522 Suena el tambor Mandinga milonga No me rompas las bolas La Maga Paso el tiempo Que milonga mi amor En Paris me quedo Quemaste todo (solo piano) Tango negro Sudacas Camila Murga cruel Toca tango La Pulpera de Santa Lucia Tango Negro Trio info & comments +39- 437 - 434 8130 [email protected] www.myspace.com/tangonegrotrio 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 file under tango negro trio italy world music Hace unos meses decidimos emprender la realizacion del 3 CD del TANGO NEGRO TRIO. A la iniciativa y bajo la supervision de Hideto “Panchito” Nishimura, desde Japon una nueva experiencia. Con nuevos temas y algunos clasicos de nuestro repertorio. Siguiendo con la propuesta de la reivindicacion de los ritmos olvidados, nuevos sonidos y una fuerte impronta milonguera han mantenido latente la linea comenzada hace anos en pro de hacer conocer un repertorio inedito en el ambito de la musica rioplatense. El tango, la milonga, la habanera, la murga, y el candombe representan las formas emblematicas de la cultura urbana de Buenos Aires y Montevideo, el trio TANGO NEGRO TRIO se siente comprometido con esa estetica. Quiero agradecer la participacion de Melingo, Tero, Marcelo, Javier, Olivier, Natalio, Martin y Alejandrito. musicos comprometidos en la difusion de nuestra musica en el mundo. J C Caceres. P Felmay 2009 Difficile a volte stabilire i punti di confine dell’indagine musicale, ma la sintassi, gli accenti e i ritmi incorporati nel solido concetto milonguero che si distaccano con un ruolo importante in questo progetto provengono dalla scuola afrocubana, con i cicli ritmici di clave, di cascara rumbera e montuno. Figurazioni e concetti che esercitano una sorta di dittatura nella musica popolare cubana, poi, per estensione, nell’afrocuban-jazz (oggi latin jazz), modalità adottate anche da altre scuole afrolatine e non solo. E ora questi elementi di grammatica musicale afro-latinocaraibica si ritrovano spesso a condurre le onde ritmiche special guest DANIEL MELINGO speaking voice i caraibi 18-11-2010 18:27:18 10 primavera 2011 20 NOA CANTA NAPOLI Intervista alla cantante israeliana simbolo del pacifismo internazionale di David Valderrama Noa, al secolo Achinoam Nini, è una delle cantanti più celebri d’Israele e contemporaneamente una delle artiste di fama internazionale più impegnate in favore della causa del popolo palestinese. Lo confermano il suo costante impegno in favore della Pace e le sue tante dichiarazioni che lancia costantemente dal suo blog. Per questo ha ottenuto grandi riconoscimenti internazionali e nel 2007 il Presidente della Repubblica Napolitano l’ha insignita del Cavalierato della Repubblica. Nata a Tel Aviv da una famiglia di origini yemenite è cresciuta tra New York - dove attualmente vive insieme al marito e ai tre figli - e Israele, dove a diciassette anni si trasferì per prestare servizio militare. Dotata di una voce vellutata e cristallina e di una genuina quanto instancabile volontà di sperimentare e conoscere culture, stili, generi, ha all’attivo tredici dischi in studio e una infinità di collaborazioni. La sua carriera artistica è legata a doppio filo con quella del compositore, arrangiatore e produttore israeliano Gil Dor. E a giudicare dal successo ottenuto Gil è un vero e proprio portafortuna. Nel 1997 debutta in Italia prestando la sua voce nella canzone portante della colonna sonora del film La vita è bella di Roberto Benigni e nel 2006 partecipa al Festival di Sanremo in duo con Carlo Fava, ottenendo il Premio della Critica. Oggi, quasi a restituzione del calore e l’affetto che il pubblico le ha sempre riservato nel nostro Paese, torna con un nuovo incantevole album: Noapolis. Un’opera che da prova della disinvolta versatilità che da sempre la contraddistingue e che l’ha portata a studiare con rigore il vernacolo partenopeo. Il disco è un vero e proprio tributo alla canzone classica napoletana e include brani indimenticabili come, tra gli altri, Era de maggio e Torna a Surriento. Gli arrangiamenti, a firma di Gil Dor e dei napoletani Solis String Quartet, sembrano un vestito di seta confezionatole su misura. L’abbiamo raggiunta a poche settimane dall’uscita italiana del disco ed è emersa una conversazione a tutto tondo sulla sua musica, sugli affetti ma anche sulla questione mediorientale e sulla necessità di uno scatto d’orgoglio per la bella Napoli… Ai tanti riconoscimenti artistici ricevuti si sono anche aggiunte numerose onorificenze pubbliche per il tuo impegno in favore della Pace e il dialogo interreligioso. In particolare, nel 2007, il Presidente Giorgio Napolitano, ti ha insignita del Cavalierato della Repubblica. Cosa comporta un simile impegno? Sono molto orgogliosa di essere Cavaliere della Repubblica italiana. L’Italia è diventata da oltre quindici anni la mia seconda casa, amo profondamente il vostro Paese e la vostra cultura. Detto questo, devo dire che i riconoscimenti non sono così importanti per me. É più importante la mia attività e il mio impegno. Mi onora sapere che attraverso il mio ruolo di artista possa catturare l’attenzione della gente per cercare di trasmettere quelle idee e quei valori in cui credo... Credo nell’importanza della comunicazione e della compassione, nel sogno della pace e nella strada da imboccare per raggiungerla. 10 primavera 2011 21 Noa Mondomix.com / MUSICA La tua partecipazione, nel maggio del 2009, al 54° Eurofestival come rappresentante di Israele e le tue dure prese di posizione contro Hamas sono state accompagnate da dure critiche da parte di esponenti del mondo arabo e del pacifismo israeliano. Come rispondi a queste prese di posizione? Sono molto orgogliosa di aver partecipato all’Eurofestival insieme alla mia collega israelo-palestinese Mira Awad. La nostra canzone, There must be another way, ha avuto un forte impatto su migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo e tantissime sono le lettere ricevute di apprezzamento e sostegno. Per quanto riguarda la mia posizione su Hamas posso dire che sono e resto contro Hamas rimanendo una grande sostenitrice della necessità di aiutare il popolo Palestinese nella sua missione per l’Indipendenza, l’autodeterminazione e la pace. Se credete potete leggere sul mio blog un mio intervento intitolato “alcuni chiarimenti sulla mia infamante lettera durante la guerra di Gaza del 2009”. Credo che lì troverete le risposte a questa domanda. Sarei felice se voleste leggere altri articoli del mio blog, anche più recenti, come “life” o “an important petition..” Parliamo del tuo nuovo album, Noapolis. Com’è nata l’idea di interpretare i grandi classici della canzone napoletana? Ho incominciato a cantare canzoni napoletane tanti anni fa, chiudendo alcuni concerti in Italia. La prima canzone che ho arrangiato insieme a Gil Dor è stata Torna Surriento, si sono poi aggiunte I’te Vurria Vasà e Santa Lucia Lontana. É stato un modo per ringraziare il pubblico italiano per l’affetto e il supporto che ci dimostrava ad ogni esibizione. La reazione del pubblico è stata straordinariamente positiva. Alcuni anni più tardi abbiamo ricevuto una proposta da Caserta per dare vita a un progetto su canzoni napoletane in compagnia del Solis String Quartet con cui stavamo già lavorando. Il quartetto Solis ha quindi arricchito il nostro repertorio con altre canzoni e con degli arrangiamenti meravigliosi. Gil Dor aggiunse nuovi arrangiamenti e tradusse i brani in ebraico, così nacque il disco Napoli - Tel Aviv. Ora, finalmente, abbiamo registrato le canzoni in dialetto napoletano originale e il risultato, Noapolis, è davanti a voi. Come ha fatto una madrelingua inglese a diventare una perfetta “scugnizza” napoletana capace di interpretare alla perfezione brani come I’te Vurria Vasà o Torna a Surriento? Grazie assai! Beh, innanzitutto ricordo che sono una madrelingua inglese che parla un ebraico dal background yemenita! Quindi un mix di culture è già nel mio DNA. A parte questo, ho un buon orecchio musicale capace di cogliere le sfumature del linguaggio e ottimi amici come Solis, Pompeo Bennincasa, Lauro Attardi, Massimo Torrefranca e tanti altri che mi hanno aiutato a migliorare il mio dialetto, tutt’altro che perfetto. Ma, al di la di tutto, sono l’amore e il rispetto ad avermi aiutato. Ai miei occhi sono questi gli elementi più importanti. Il grande amore e il profondo rispetto che nutro per queste canzoni, per i loro creatori, per la gente di Napoli e dell’Italia intera. Il tuo legame con Napoli parte da lontano, nel 2006 hai pubblicato Napoli-Tel Aviv. Cosa unisce il mezzogiorno d’Italia alla cultura ebraica? Tantissime cose.. L’essere entrambi di piccole dimensioni, con una popolazione non troppo grande che ha patito per le guerre, le conquiste e altre tragedie come la povertà, l’oppressione e le epidemie rimanendo sempre ottimisti. Uno spirito che rifiuta la morte! Si tratta di genti che hanno dovuto emigrare, attraversando il mare alla ricerca di un futuro migliore e che hanno conservato ostinatamente la propria cultura ovunque la vita li portasse, arricchendo quelle società che li accettava. Quell’inguaribile romanticismo, quella nostalgia per la propria Patria e quel raro senso dell’umorismo che si sviluppa dalla sofferenza. Tutto questo unisce le nostre culture. Oltre alla presenza del tuo inseparabile amico e musicista Gil Dor, in questo album collabori con il quartetto napoletano Solis String Quartet. Raccontaci di questo sodalizio… I Solis sono degli incredibili musicisti e delle persone meravigliose. Il loro stile è inimitabile. Loro ci hanno proposto una selezione di canzoni stupende che non conoscevamo prima. Insieme a loro abbiamo scelto il repertorio che più ci interessava e, insieme a Gil, hanno fatto degli arrangiamenti unici e meravigliosi. Parliamo di Napoli. L’emergenza rifiuti, i numerosi scandali, la mala vita organizzata hanno ammaccato l’immagine di questa città. Credi che la musica possa contribuire al suo riscatto? E come? La musica, come ogni arte, è l’elevazione dello spirito sopra la materia. È il culto della bellezza, della purezza, dell’integrità e dell’indipendenza espressiva. Di certo il popolo di Napoli ha bisogno ora più che mai di tutto questo. Ma, al tempo stesso, invito il popolo di Napoli, a me tanto caro, a prendere il proprio destino in mano senza lasciarlo a quelle forze che minacciano di distruggere questa stupenda città. L’anno scorso è nata Yum, la tua terza figlia. É difficile conciliare la vita familiare con gli impegni lavorativi? Si, è molto difficile ma fortunatamente sono circondata da tante persone che mi aiutano: da mio marito, ai miei genitori, ai colleghi e gli amici. Per i miei bambini darei volentieri la mia vita.. Diamo spazio ai sogni nel cassetto. Quali sono i progetti o le collaborazioni che vorresti realizzare in futuro? In realtà è molto semplice. Il mio desiderio è di continuare a produrre musica e di farlo sempre con il cuore, di vedere crescere i miei figli sani e felici e di poter essere presente, cantando, al momento della firma ufficiale del trattato di Pace tra Israele e Palestina. Inshallah! Prima di congedarci ci racconti qualche aneddoto della tua carriera? Ce ne sono tanti... Quello che posso dirvi è che sono stata molto fortunata al di la delle mie personali convinzioni e che fino ad ora la mia vita è stata molto interessante e piena di amore e di avventure. Per saperne di più dovrete attendere la mia biografia ufficiale che la casa editrice Rizzoli sta preparando e che verrà pubblicata alla fine dell’anno. Titolo Napoli - Tel Aviv Etichetta Sud Music / Egea Online www.noasmusic.com 10 primavera 2011 special guest DANIEL MELINGO speaking voice JUAN CARLOS CACERES piano, voice, trombon MARCELO RUSSILLO drums, percussion CARLOS el tero BUSCHINI bass feat Javier Girotto sax David Pecetto bandoneon, accordeon Olivier Manoury accordina Alejandro Caraballo bombo murguero Martin Bruhn cajon Natalio Mangalavite choir FELMAY FELMAY FELMAYTRADIZIONE&INNOVAZIONE Cuba 23 Dakar www.felmay.it Tango Negro Trio Tango Negro Trio file under tango negro trio italy world music ury raballo alavite Chaiyya Chaiyya «Il mio lavoro di ricerca si radica profondamente nel mio patrimonio culturale. Sono estremamente affascinato dalla 3 2 vitalità della cultura popolare argentina» Juan Carlos Caceres 1 NGO P Felmay 2009 P Felmay 2011 Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it FELMAY Trombe e sassofoni, le melodie degli hits attuali e classici della 5 filmografia di Bollywood, la 6voce di Rafaqat Ali Khan. Un piacere. 4 fy 8177 P Felmay 2009 fy 8175 P Felmay 2009 PP Felmay Felmay 2009 2011 P Felmay 2009 P Felmay 2009 taly www.felmay.it The Bollywood Brass Band No Me Rompas Las Bolas No Me Rompas Las Bolas No Me Rompas Las Bolas CACERES SSILLO BUSCHINI Tango Negro Trio Tango Negro Trio 18-11-2010 18:27:18 Ustad Shujaat Husain Khan fy 8165 Lalgudi GJR Krishnan & Anil Srinivasan file under lalgudi GJR krishnan anil srinivasan south india world music file under ustad shujaat husain khan india world music 7 8 Dil Eternal Light Nuovo CD del più comunicativo ed affascinante musicista del Nord India di oggi. Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it FELMAY 8177_digipack0236.indd 1 8165 digipack copia.indd 1 9 P Felmay 2009 P Felmay 2011 fy 8165 P Felmay 2009 P Felmay 2011 fy 8176 taly www.felmay.it Scoprite le raffinatezze della musica Carnatica (India del Sud) nell'incontro fra violino e pianoforte. 22-12-2010 10:00:03 10 22-11-2010 14:36:49 22-11-2010 12:45:19 Ensemble Marâghî Emin Yagci Anwâr file under emin yağci turkey world music Tulum From Samarqand to Costantinople on the Footsteps of Marâghî A sound from the Black Sea Uno dei pochi, se non l'unico, CD disponibile 12 sul nostro mercato 13 che illustra la musica del Tulum, cornamusa del Mar Nero. Una piccola scoperta. 11 P Felmay 2009 fy 8173 P Felmay 2011 AL • italy y.it www.felmay.it fy 8171 file under mamud band afrobeat word music 16 Da Samarcanda a Costantinopoli 15 Brani della Tradizione Classica Ottomana e Persiana interpretati da un ensemble arricchito dalla voce di Sepideh Raissadat 14 thiopiques Mamud Band Antonio Castrignanò Opposite People 17 The Music of Fela Kuti Mara la fatìa Storie di Pizziche Tarante e Tarantelle. La tradizione emergente del Salento 11 classici del compositore nigeriano in versioni originali, sorprendentemente fresche 24-11-2010 14:41:04 10 18 19 new Birkin Tree Virginia 20 23 Nuovo CD in solo del chitarrista di origini spagnole. Una serie di 24 originali nel più puro 25 brani stile flamenco. 8-07-2010 10:45:17 vol. 1 - L'age d'or de la musique ethhiopenne moderne 1969-1975 vol. 2 - Azmaris urbains des annèes 90 vol. 3 - L'age d'or de la musique ethiopienne moderne 1969-1975 vol. 11 - Alèmu Aga - The Harp of King David Tri Muzike vol. 12 - Konso Music vol. 7 - Mahmoud Dopo le Ahmed intense esplorazioni & Songs del Erè mèla mèla 1975 balcanico i Tri Muzike repertorio 13 -CD ThelaGolden coniugano in questovol. nuovo vol. 8 - Swinging Addis tradizione dell’Est con quella -della Seventies Ethiopian Groove 1969-1974canzone d’autore italiana. vol. 14 - Gètatchèw Mèkurya vol. 9 - Alèmayehu Eshété Negus of Ethiopian Sax Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy FELMAY FELMAY ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy Felmay • 16 strada 16 •AL15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39roncaglia 0142 [email protected] Felmay roncaglia • 15033 san50780 germano • italy www.felmay.it FELMAY• strada FELMAY FELMAY ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it FELMAY ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it vol. 15 - Europe meets Ethiopia - Jump to Addis vol. 21 - Emahoy Tsegué & Maryam Guèbrou Piano Solo Fabio Barovero vol. 16 - Asnaqètch Wèrqu 22 - Alèmayèhu Eshèté The Lady with the Krar Sweetvol. Limbo 1972/1974 vol. 17 - Tlahoun Gèssèssè vol. laico 23 - al Orchestra Un elogio libero Ethiopia vol. 18 - Asguèbba ! territorio vol. del’anima, 24 - L'ageaffrancato d'or de la dall’assillo delle categorie e delle vol. 19 - Mahamoud Ahmed musique ethiopienne appartenenze. 1974 - Alèmyè moderne 1969-1975 P Felmay 2009 EGEA distributore esclusivo per l’Italia vol. 6 - Mahmoud Ahmed Pause Almaz 1973 P Felmay 2009 felmay vol. 10 - Tezeta - Ethiopian Blues and Ballads 2010 2010 P Felmay 2009 P Felmay 2009 vol. 4 - Mulatu Astatke Ethio Jazz & Musique Instrumentale, 1969-1974 vol. 5 - Tigrigna Music 1970-75 BLACK HISTORY IN ACTION FESTIVAL MONDIAL DES ARTS NEGRES testo di Mauro Zanda foto di Joelle Caimi «Questo festival è la celebrazione di ciò che siamo oggi in quanto africani e figli della diaspora, ma anche un simposio su ciò che saremo tra 20 o 30 anni. This is history in action». new Juan Lorenzo Flamenco de Concierto La tradizione musicale irlandese interpretata in un modo originale ed innovativo. 21 22 Les Go de Koteba vol. 20 - Either Orchestra & Guests - Live in Addis vol. 25 - Modern Roots 1971/1975 felmay distribuzioni • vendita per corrispondenza • richiedete il catalogo strada Roncaglia 16 - 15033 San Germano AL - Italy 10 primavera 2011 ph +39 0142 50 577 fax +39 0142 50 780 [email protected] www.felmay.it Non teme i toni enfatici il drammaturgo afro-britannico Kwame Kwei-Armah - coordinatore artistico del Festival Mondial des Arts Negres - nel tracciare un profilo storicista dell’attesa terza edizione. L’epocale kermesse panafricana, dopo 44 anni, è tornata infatti lo scorso dicembre nel luogo in cui venne originariamente concepita dal presidentepoeta Leopold Sedar Senghor: Dakar, Senegal. Sette miliardi di euro spesi, 6000 artisti coinvolti, delegazioni provenienti da 80 paesi del mondo. Un evento sontuoso, non c’è dubbio. A ben guardare, non solo in termini storici o numerici; rappresentazione ipertrofica e ambiziosa di un’Africa differente, fiera e programmaticamente “rinascimentale”. Per questo ritorno in grande stile, la rassegna ha scelto infatti uno sguardo contemporaneo, legato con orgoglio alle proprie radici, ma rivolto senza troppa nostalgia alla forza propulsiva del qui e ora africano. Un fermento culturale, artistico e in parte economico, che per molti prefigura ormai un autentico rinascimento. Uno sguardo rivolto scientemente all’intera diaspora, sorta di internazionalismo nero che ha visto coinvolti anche artisti e intellettuali cubani, afro-americani e brasiliani; quest’ultimi ospiti d’onore di un Festival che – tra le altre cose – anticipava l’apertura del Centro de Música Negra a Salvador de Bahia, prevista per luglio 2011. È un carattere inscritto nel suo Dna sin dalla prima edizione, 1966, che ospitava Duke Ellington, Clementina de Jesus e il grande capoeirista bahiano Mestre Pastrinha; così come nella seconda, FESTAC 77 a Lagos, che vide tra i suoi protagonisti Stevie Wonder e Gilberto Gil. Altri due aspetti rilevanti sono stati il taglio multidisciplinare, e la dislocazione multifocale. Fedele alla sua vocazione universalista, la kermesse ha inteso infatti raccontare la contemporaneità delle arti nere nella sua accezione più ampia. E così, accanto al potentissimo vettore musicale, hanno goduto di piena cittadinanza anche moda, letteratura, poesia, cinema, design, arte visuale e urbana, architettura tradizionale, artigianato, danza, teatro, nuove tecnologie e sport (con la mitica lotta senegalese in prima fila). Una giostra d’espressività nera a 360°, completamente gratuita, che non poteva che prender forma secondo una disposizione a macchia di leopardo che ha invaso tutta la città, ma anche la vicina Isola di Gorèe e la celeberrima Saint Louis, località turistica a circa 4 ore a Nord di Dakar. 10 primavera 2011 24 Per ovvie ragioni di sintesi, in questa sede ci limiteremo a menzionare solo i luoghi principali che hanno animato le tre settimane: in primis la Place de l’Obélisque nel quartiere popolare della Medina dove - dal principe mandingo Salif Keita al giovane Seun Kuti, passando per il pioniere del reggae africano Alpha Blondy - si sono alternati tutti o quasi i grandi nomi della musica africana; con il pieno di presenze (oltre 100.000) fatto registrare durante la sera del 29 dicembre, che ha sfoderato una micidiale coppia d’assi come Youssou N’Dour (nato proprio a Medina), e il profeta del conscious reggae Tiken Jah Fakoly, tornato a Dakar dopo circa due anni e mezzo d’interdizione, all’indomani di una controversia con le autorità senegalesi che ha finito per etichettarlo persona non grata. In mezzo a tanta grandeur, il pubblico - appassionato e partecipe come non ci capitava di vedere da tempo – ha inevitabilmente incarnato un meraviglioso spettacolo in sé: giovani e giovanissimi fan pronti a cantare ogni strofa, a ballare ogni singolo passo di danza, a godere fino all’ultimo respiro quei benedetti giorni di festa. Un misto di gioia, sfogo ed esuberante follia che non si è mai tradotto in un attimo di tensione, sempre alimentato piuttosto dall’amore smodato di chi, da troppo tempo, conosce figure di riferimento sempre e solo in ambito musicale. Altro luogo cardine attorno al quale si sono tenuti concerti, mostre e performance di danza tradizionale è stata la Maison de la Culture Douta Seck, anch’essa a Medina; in particolare val la pena segnalare un paio di eventi: lo spettacolare contest di danza e percussioni sabar e, soprattutto, la strepitosa installazione audio/video sulla storia della musica nera curata dai nostri fratelli maggiori di Mondomix Francia; un percorso interattivo che muoveva dalle icone nere di ogni tempo e luogo, raccontava nel dettaglio la musica africana (attraverso una scelta di tipo 25 Dakar Mondomix.com / 360° geografico e antropologico), e approdava infine in un non-luogo animato dai frutti prelibati dei sincretismi afrodiasporici. Un excursus altamente suggestivo pensato e realizzato in sinergia con i partner senegalesi e brasiliani, che si trasferirà presto armi e bagagli proprio nel nascente Centro de Música Negra a Salvador de Bahia. Impossibile non citare poi la Biscuiterie nel quartiere Grand Dakar, ex fabbrica di biscotti riconvertita in stile berlinese a centro polifunzionale underground, con ristorante, musica e mostre permanenti. Proprie queste ultime - al di là dello spazio musicale, trasformato durante le tre settimane in una vetrina sui nuovi stili urbani, comprese performance di slam poetry – hanno rappresentato la principale attrattiva del posto: afro-design da adattamento creativo, visual arts, esposizioni fotografiche e brillanti installazioni letterarie hanno di fatto costituito l’epicentro culturale dell’intero Festival. Che però prevedeva anche l’area cinema a Place du Souvenir lungo la Corniche ouest, e un importante stage musicale presso il Monumento de la Renaissance Africaine, totalmente appannaggio dei Black Virtuoses; lì il 27 abbiamo assistito ad una serata realmente speciale che ha visto alternarsi dapprima il balafonista ivoriano Aly Keita, poi il delizioso quartetto afro-jazz di Toumani Diabate e infine l’immenso Sekou ‘Diamond Fingers’ Diabate, chitarrista fondatore dei leggendari Bembeya Jazz, che assieme ad un pirotecnico quintetto (3 chitarre, basso e batteria) ha dato vita all’esibizione forse più divertente, geniale e trascinante dell’intera rassegna musicale; un concentrato di perizia tecnica, istrionismo teatrale ed improvvisi cambi di registro che ha letteralmente finito per infiammare la folla, fino a poco prima impietrita suo malgrado da un’improvvisa ventata d’aria gelida. Rinascimento africano si diceva. Più o meno il sottotesto esplicito di questa terza, sfarzosa edizione del Festival. Seun Kuti Uno slogan d’impatto, va da sé; di certo a forte rischio retorico. All’interno delle mille round-table aperte sul tema, però, se ne è provato a discutere anche in seri termini economici. In particolare si è mostrato particolarmente fiducioso l’economista egiziano Samir Amin, direttore del Third World Forum, che ha sostenuto con forza la «crescita dolce e costante» del motore economico continentale e ribadito con assoluta convinzione l’idea che l’Africa rivestirà un ruolo di primaria importanza negli scenari mondiali prossimi venturi. Dunque tutti contenti, tutto perfettamente calibrato e riuscito? Ad onor del vero, no. Con un presidente a dir poco ingombrante come Abdoulaye Wade - 84 anni, fama da boss e prossimo alla terza candidatura - le polemiche non mancano mai. Perché è vero che il Senegal rappresenta una delle governance africane storicamente più stabili, ma è altrettanto vero che nella classifica della corruzione di Transparency è piazzato decisamente male: quota 105 su 178 Paesi. Un paese che vive attorno alla soglia di povertà (740 euro l’anno di reddito procapite) e che, dinanzi alla maestosa opulenza dispiegata dalla macchina del Festival, ha giustamente chiesto conto dei costi di quest’abile operazione di marketing culturale. Il presidentissimo, dal canto suo, si è affannato più volte a sottolineare che una parte di essi era stata coperta dagli sponsor privati e che c’era comunque stato un importante indotto turistico; ovviamente magnificato e amplificato ogni ora all’unisono dalle generose tv di Stato. La cosa però, a conti fatti, si è rivelata solo parzialmente vera, perché di turisti in giro se ne sono visti pochini e le stanze negli alberghi sono sembrate per lo più disponibili durante tutte e tre le settimane. Tutto ciò non ci esime però dall’esprimere, seppur dall’esterno, un concetto netto, senza perifrasi: l’assoluto bisogno di siffatti azzardi culturali. Lo necessita il resto del mondo, intrappolato in una visione dell’Africa troppo spesso artefatta o manichea, tutta fame, carestie, povertà e carità pelose; lo necessitano forse gli africani stessi, logorati nel migliore dei casi da politiche di aggiustamento strutturale che han finito tutt’al più per conservare l’esistente. C’è bisogno di rilanci spavaldi e forse anche un po’ incoscienti per ricordare al globo intero l’ineluttabile centralità africana: le sue incommensurabili ricchezze culturali, l’inesauribile fucina di talenti, l’influenza diretta o indiretta che il continente continua ad esercitare su artisti d’ogni risma e luogo. Certi che non passeranno altri 23 anni per assistere alla quarta edizione, curiosi di capire se si tradurranno in realtà i rumours che oggi indicano nel Brasile la prossima casa mondiale delle arti nere. Salif Keita 10 primavera 2011 10 primavera 2011 26 27 Mondomix.com Dove trovare Mondomix Abruzzo Gong (Pescara) Basilicata Shibuya (Matera) Hobby Music (Potenza) Calabria Il Pentagramma (Crotone) Campania Top Dischi Di Minicozzi Luigi (Benevento) Juke Box (Caserta) Casa Del Disco (Faenza – Ra) Diapason (Napoli) Tattoo Records (Napoli) Disclan (Salerno) Idea Disco (Sorrento – Na) Piemonte Costanzo (Casale M.to – Al) Musica (Cuneo) Pace Music (Nizza Mto – At) Merula Marco (Roreto Di Cherasco - Cn) Onde (Torino) Puglia Centro Musica (Bari) Youm! 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Euplio 38 Firenze Via Brunelleschi 8R Genova Via Fieschi 20 r Mestre Centro Le Barche P.zza XXVII Ottobre 1 Milano Piazza Piemonte 1 Milano C.so Buenos Aires 33/35 Milano Via Ugo Foscolo 3 (Gall. Vitt. Emanuele II) Monza Via Azzone Visconti, 1 Napoli Via Santa Caterina a Chiaia, 23 Padova Piazza Garibaldi 1 Roma Via del Corso 506 Roma Galleria A. Sordi, Piazza Colonna 31/35 Roma Largo Torre Argentina, 7/11 Roma Viale G. Cesare, 88 Roma C. Comm.le Forum Termini Roma Viale Marconi 184,186,188,190,192,194 Roma Viale Libia 186 Roma Via Camilla 8/C Salerno C.So Vittorio Emanuele I, 230 Salerno C.so Vittorio Emanuele 131/133 Torino Piazza C.L.N. 251 Firenze Via San Quirico 165 (Campi Bisenzio) Genova Via XX Settembre, 46/R Milano Via della Palla, 2 Napoli Via Luca Giordano, 59 Roma Via Alberto Lionello, 201 Torino Via Roma, 56 Torino Shopville Le Gru Verona Via Cappello, 34 Consulta la versione digitale interattiva di Mondomix Italia da www.mondomix.com 10 primavera 2011 28 Particolari ed esclusivi della tradizione sciita sono alcuni rituali come la Rowzeh, ciclo lirico di carattere devozionale dedicato agli episodi di martirio dei primi imam sciiti, eseguiti da cantori specialisti, durante incontri che si tengono all’interno di moschee o in case private e che conducono i presenti a forti stati emozionali. Più complesso e articolato è il “dramma sacro” ta‘ziyeh, nel quale vengono ripercorsi (e rivissuti) alcuni episodi relativi al martirio dell’Imam Hossein, eseguiti da gruppi di devoti o da compagnie di cantori e musicisti professionisti Suoni Persiani di Giovanni De Zorzi La musica e la poesia sono state nei millenni il fiore della cultura di lingua persiana, di riferimento in un’area geoculturale che va dal Caucaso al mondo ottomano/turco sino all’Asia centrale, ai territori afgani e indopakistani, alla Cina nord occidentale. Per poter entrare in quest’area si consiglia al viaggiatore di non farsi confondere da due cartelli stradali: “Iran” e “Persia”. Il primo nasce poco fa, il 22 Marzo 1935, e non porta molto lontano: in quei tempi ribattezzare “Iran” il paese noto sin dal VII a.C. come “Persia” (Fars) aveva soprattutto un valore politico; ricollegarsi alle remote genti indoeuropee dette “arie” o “ariane” (ârya), giunte dalla piana indogangetica verso il terzo millennio a.C., significava invece voler ritornare alle proprie “origini”, mitiche e mitizzate, per ricominciare giovani e forti lasciando da parte il lungo passato culturale “persiano” finito il giorno prima. Qualcosa di simile era successo quando nel 1923 la Turchia si ribattezzava Turkiye Cumhuryieti rifacendosi alle antiche genti turche (türk) d’origine centroasiatica, cancellando d’un solo colpo il suo plurisecolare passato ottomano. In entrambi i casi, però, le arti si erano formate durante il periodo persiano, oppure ottomano. Ora, benché da alcuni decenni gli iraniani definiscano la loro musica come “musica iraniana”, generalmente si considera più corretto parlare di musica, di poesia, di calligrafia, di miniatura “persiana”, integrando eventualmente il termine con “iraniano” ad indicare gli svolgimenti post-1935 e la contemporaneità. Come per le tradizioni musicali di quelle società che gli antropologi definiscono “società complesse”, anche per la musica persiano/iraniana si distinguono oggi alcune correnti principali che questa guida minima può solo indicare come farebbe una Lonely Planet: la raffinata tradizione di musica “classica”, “colta” (dastgâhi, radifî); i generi e le composizioni sorte per animare gli incontri spirituali dei dervisci (samâ, zekr); i repertori “della moschea”; la tradizione delle zurkhâne; le tradizioni “regionali” o “etniche”; la musica urbana leggera (motrebî) e il vitalissimo “pop” sviluppatosi nella diaspora iraniana di Los Angeles (losanjelesî), importato e consumato più o meno di nascosto in Iran. La tradizione classica La musica classica persiana viene detta “del radîf” (radîfî), termine che significa “sistema, struttura, ordinamento” ed indica l’ordinamento sistematico dello sparso materiale melodico preesistente di tradizione orale. Un simile ordinamento iniziò verso la seconda metà del XIX secolo, quando alcuni grandi maestri formularono il proprio particolare radîf nel quale sistematizzavano le molte melodie dette gushe (“sezione”), giunte loro dal proprio maestro, in un sistema di dodici/quattordici modi musicali detti dastgâh e avâz. Di solito si trova il termine radîf accompagnato dal nome del maestro al quale si deve la raccolta, preceduto dal nome dello specifico dastgâh adottato, che può contenere dalle 10 alle 60 gushe. Si avrà, ad esempio: dastgâh-e Shur, radîf di Sabâ; dastgâh-e Mahûr, radîf di Aqâ Hossein Qoli, e così via. Tra i leggendari maestri vanno ricordati ‘Ali Akbar Farahâni (m. 1857), famoso suonatore di liuto târ, i suoi due figli 10 primavera 2011 29 Persia Mondomix.com / 360° Hoseyn Qoli (m. 1915) e Mirzâ ‘Abdollâh (1845-1918) insieme a suo fratello Aqâ Gholâm Hoseyn che li educò dopo la sua prematura scomparsa. Tra i maestri della generazione seguente vanno ricordati Darvish Khân (18721926) e Abolhasan Sabâ (1902-1957). La loro scuola fu continuata da Hâjji Aqâ Mohammad Irâni (1871-1971), Yusof Forutan (1901-1979), Musâ Ma‘rufi (1889-1964), Nur ‘Ali Borumand (?-1976), Dariush Talâ‘i (n. 1952). Come per la maggioranza delle tradizioni musicali classiche sorte in area islamica, anche nel radîf è fondamentale il concetto di “forma ciclica”, o di “suite” così che in un concerto i vari brani sono inanellati fra loro. Tradizioni dei dervisci Nel IX secolo d.C., tra i circoli di dervisci che si riunivano nella vicina Baghdad, nasceva un particolare tipo di incontro cerimoniale detto samâ (audizione, ascolto, concerto spirituale) assai diffuso ancor oggi tra le molte confraternite sufi che percorrono il mondo islamico. Durante i primi samâ si ascoltava soprattutto la cantillazione del Corano in uno stato di profondo raccoglimento interiore. In quest’atmosfera sospesa, per diversi motivi gradualmente l’ascolto si spostò sulla poesia e sul suono di strumenti musicali ascoltati “con un altro orecchio”, come avrebbe detto più tardi Mowlana Jalâl ud-Dîn Rûmî (1207-1273). Da un simile ascolto potevano nascere stati alterati di coscienza sui quali si sofferma la trattatistica. Nella concezione sufi sviluppatasi nei secoli il samâ è gadhâ-yi rûh, (“nutrimento dello spirito”) e la pratica della musica è una via di affinamento interiore. Al di fuori di singole confraternite, l’estetica della musica persiana è sempre permeata dal sufismo (tasavvof) sin dagli stessi testi cantati, prevalentemente composti su temi di carattere erotico/mistico. Oltre al samâ l’altra grande tradizione sonora diffusa tra i dervisci è lo zekr (arabo classico dhikr) traducibile con “ricordo, ripetizione, menzione”. Nel corso dei secoli all’interno di ogni confraternita si venne formando un proprio autonomo e particolare tipo di zekr, vocale (jâhri) o silente (khâfi), individuale o collettivo, caratterizzato da determinate sequenze di nomi divini, inframmezzati da invocazioni, preghiere, canti, poesie e spesso accompagnati da strumenti musicali. Vanno ricordati gli specifici repertori per il samâ e per lo zikr sorti in seno a confraternite quali la qâdiriyya o gli ‘Ahl-i Haqq, entrambe centrate nel Kurdistan iraniano, oppure tra i qalandari del Baluchistan. Tradizioni “della moschea” Repertori vocali come la recitazione del Corano oppure il richiamo alla preghiera (azan) non sono considerati “canto” e ancor meno “musica” dai religiosi. Per quanto riguarda la sofisticata, melodizzata, recitazione del Corano gli studiosi adoperano allora il termine “cantillazione”, ad indicare una pratica che sta tra canto e recitazione. Nell’Islam iraniano la cantillazione coranica è stata il modello estetico di riferimento per ogni tipo di “canto” secolare e molti tra i maggiori cantanti professionisti ebbero una formazione iniziale come qâri‘ (“recitatore coranico”) o proseguirono parallelamente questa loro attività. e dai contenuti “leciti” - hanno conosciuto una vera e propria moda, così che per la prima volta nella storia vi sono registrazioni e Festival interamente dedicati a questi generi. Strumenti musicali dei repertori “regionali” vengono ora accolti negli ensembles di musica classica, con effetti curiosi che solo il tempo saprà valutare. La musica urbana leggera (motrebî) e il losanjelesî Sin dai primi decenni del 1900 nacque un “genere urbano leggero” detto motrebî di gran successo sino alla rivoluzione islamica del 1979 che lo considerò “riprovevole”. Da allora sino a pochi anni fa l’Iran ha infatti esercitato una stretta censura sulla musica che nasceva all’interno del paese così come sulle musiche che giungevano dall’estero, con punte paradossali sull’import/export di strumenti musicali. Oggi il mercato musicale sembra essere più aperto, o forse più permeabile, nonostante rimangano vive forti censure verso generi come l’hard rock, il rap o certo pop. Una prova di questa permeabilità è data dalla diffusione in Iran di un genere nato tra le comunità della diaspora iraniana negli USA come quella di Los Angeles. Di fronte all’invasione della canzone losanjelesî in Iran, via etere o tramite la rete, si è finito per autorizzare la produzione di una “musica per i giovani” che è tutta “Made in Iran”, ma con testi “corretti” secondo i canoni esposti qui a fianco da Sadighi, che lasciano il tempo che trovano mentre tutto scorre e muta sull’amato altipiano. Iran. Les maîtres de la musique traditionnelle, Volume 1 Ocora Radio France La tradizione delle Zurkhâne Zurkhâne significa letteralmente “casa della Forza” e indica un luogo paragonabile al ginnasio del mondo greco ellenistico, nel quale gli atleti si impegnano ancor oggi in esercizi ginnici e in arti marziali di remota tradizione. Gli esercizi sono tutti ritmati da un tamburo “a calice” zarb più grande del normale detto zarb-e zurkhâne. Sullo strumento si accompagna un cantore (morshed) depositario di un patrimonio di versi provenienti dalla poesia medioevale e dall’epica preislamica. Le tradizioni etniche o “regionali” Nell’attuale Iran esistono numerosi gruppi etnici, spesso nomadi, e le musiche regionali sono strettamente correlate con le molte lingue parlate. La lingua persiana (farsi) non è l’unica lingua indoeuropea parlata in Iran: vi sono le lingue kurde Sorani e Kurmanji e il Baluch. Molte sono le lingue turche: tra esse l’azero, assai diffuso nel Nord Ovest del paese, ai confini con l’Azerbaijan, così come la lingua dei Qashqa’i, tribù che vivono nell’Iran centrale, o quella dei turkmeni, che vivono tra il Mar Caspio e il Khorasan. A prescindere dalle rispettive lingue, questi gruppi etnici sono legati al concetto di “area” più che di nazione, e vivono al di là, o al di qua, di dati confini sorti in tempi recenti. La musica dei Baluchi, ad esempio, risuona tra Iran e Pakistan; quella del Khorasan tra Afghanistan e Iran nordorientale. Le musiche dei kurdi d’Iran sono comuni con quelle dei kurdi di Turchia, Siria, Armenia e Iraq. Trasversale alle svariate culture musicali regionali è la presenza del cantastorie/bardo/trovatore detto spesso ashıq (“amante, folle d’amore”). Di recente le tradizioni “etniche” - vive, ritmate, colorate Iran. Les maîtres de la musique traditionnelle, Volume 2 Ocora Radio France Iran. Les maîtres de la musique traditionnelle, Volume 3 Ocora Radio France Iran. Mohammad Reza Shadjarian. Musique classique Persane Ocora Radio France Iran. Bardes du Khorassan a cura di Ameneh Youssefzadeh Ocora Radio France Jean During Musiche d’Iran. La tradizione in questione Ricordi / BMG 10 primavera 2011 30 Chiacchierando con Ramin Sadighi di Giovanni De Zorzi Quando e com è nata l’etichetta Hermes? La musica è sempre stata la mia occupazione principale; avendo un padre musicista, Fereydoun Sadighi, posso dire di aver cominciato sin dall’infanzia. Più tardi, notando come l’intera industria discografica di qui fosse concentrata solo sulla musica classica persiana, su quella Folk e sul Pop, mi sono reso conto di come esistesse una vasta area di musiche che semplicemente non avevano la possibilità di raggiungere un pubblico. Pensando che il tesoro musicale persiano potesse essere un ottimo trampolino per sperimentazioni e approcci nuovi, mi sono tuffato, e invece di fare musica io stesso ho cominciato a cercare di facilitare gli altri. Ho cominciato nel 1999 esponendo la mia visione ai molti amici musicisti; l’idea piaceva a tutti e con quegli amici collaboro ormai da molti anni. Ci fu anche un forte incoraggiamento da parte dei musicisti amici di mio padre. Insomma: molti di quelli che collaborano con la Hermes sono miei amici oppure artisti che provengono dalla cerchia di mio padre. Quali sono i generi musicali che intende registrare? Difficile da dire. Direi che so solo cosa non voglio fare: Pop, musica classica persiana e Folk. Il resto è campo aperto. Se oltre al lato estetico vogliamo comprendere negli obiettivi anche l’aspetto amministrativo, allora direi che l’obiettivo è quello di proteggere i diritti dei musicisti e facilitarli nell’essere creativi in un contesto gioioso. Ma altri direbbero che più che altro facciamo musica d’avanguardia… D’avanguardia? Sì, so bene che il termine è stato usato e logorato nelle maniere più diverse, ma non saprei descrivere altrimenti quello che facciamo. Il nostro slogan è: “Musica per la Musica” ed è l’unica cosa in cui credo. Per sperimentazione intendo il cercare di non fare musica classica persiana standard ma, invece, tentare nuove interpretazioni che possono accogliere influenze jazz, musica moderna, cercare commistioni, fusioni… Com’è la vita di un’etichetta nell’Iran contemporaneo? Ci sono regole che rendono il fare musica una cosa molto burocratica! E talvolta problematica. Dalla rivoluzione islamica in poi per pubblicare un disco serve un permesso che dev’essere accordato dal Dipartimento per la Musica del Ministero della Cultura. Per poter pubblicarlo devi innanzitutto spedire il lavoro al comitato. Se danno il loro benestare, ti viene data una licenza di stampa e puoi passare alle fasi successive: stampa e distribuzione. I criteri fondamentali per la commissione giudicatrice del Ministero sono quattro, e sono connessi soprattutto con la musica vocale: i contenuti del testo non devono offendere la religione; non devono offendere il governo; non devono essere troppo erotici e non possono essere cantati da una voce di donna (…ma se la melodia viene cantata da due donne, o da un coro misto di uomini e donne allora è lecito!...) Naturalmente nei decenni c’è stata una grande battaglia su questo punto, ma il governo proibisce ancor oggi alle cantanti di cantare in pubblico: non chiedermene la ragione, non la sappiamo nemmeno noi! Al di là della censura, l’altra grande guerra è quella di tutte le altre etichette del mondo: il mercato, le basse percentuali di guadagno e la pirateria…pensa che l’Iran non ha firmato 10 primavera 2011 31 Persia Mondomix.com / 360° Visioni Persiane Agit prop all’iraniana nessuna delle norme sul diritto d’autore…la pirateria è davvero il problema maggiore. È triste come proprio il settore governativo del mercato sia quello che beneficia maggiormente di questa situazione lacunosa: le emittenti nazionali (in Iran non ci sono emittenti private) usano musica senza autorizzazione e senza pagare diritti. Com’è la situazione musicale nell’Iran contemporaneo? Creativa e in movimento. All’inizio non pensavo che ci fosse un simile entusiasmo tra i musicisti persiani per la sperimentazione, ma oggi la scena è davvero carica e anche l’interesse all’estero sta crescendo. Chi sono tra i giovani i solisti e gli interpreti che preferisci? Nella mia lista di musicisti favoriti ci sono: Peyman Yazdanian, Hooshyar Khayam, Martin Shamoonpour, Ankido Darash, Ali Boustan e Christophe Rezai. di Enrico Verra Iran 1979: sotto i colpi della rivoluzione komeinista cade il regime dello Scià. Nel 1980 la neonata repubblica teocratica lancia la rivoluzione culturale per affermare il sogno, totalizzante, di una cultura islamica, nazionale e indipendente, in radicale opposizione alle tendenze filo occidentali che avevano caratterizzato il regime di Reza Pahlavi. A partire dalla fine degli anni 80 il cinema iraniano, prodotto dalle strutture pubbliche dello stato degli ayatollah, conosce uno sviluppo e un successo senza precedenti sul piano internazionale. Non c’è festival, da Berlino a Cannes, a Venezia, che non selezioni e premi i film della new wave iraniana. Nomi del calibro di Abbas Kiarostami, Dariyush Mehrijui, Moshen e Samira Makhmalbaf, Jafar Panahi diventano i nuovi idoli della cinefilia internazionale. Nel dibattito teologico sulle arti figurative che caratterizza il mondo mussulmano, l’islam sciita iraniano, a differenza dell’islam sunnita dei paesi arabi, ritiene che nel Corano non ci sia esplicita proibizione di creare immagini di esseri umani. Inoltre molti religiosi sciiti rivendicano una specificità nazionale che affonda le sue radici nella straordinaria cultura figurativa persiana e nella tradizione della miniatura. Per lo stato iraniano il cinema diventa così lo strumento ideale per dare visibilità al nuovo ordine islamico,ordine che il vecchio regime “ateo” e “immorale” aveva rinnegato. Il sogno della dirigenza komeinista è quindi l’invenzione e la diffusione massiccia di un cinema che non è lo specchio antropologico della società, ma la proiezione ideale della società iraniana. costumi verificano che un uomo non stia per troppo tempo, e da solo, vicino a una donna, nemmeno per ragioni professionali, che non discutano, che non ridano. La rigida separazione dei sessi impone una sala trucco per gli uomini e una per le donne, un truccatore per gli attori e una truccatrice per le attrici. Davanti alla cinepresa non si possono riprendere le donne senza velo e quindi è quasi impossibile girare scene con donne in interni, perché in casa le donne stanno a capo scoperto. Non si possono inquadrare contatti fisici di nessun genere tra uomo e donna perché, se nella finzione sono ad esempio marito e moglie, nella realtà i due attori che li interpretano non sono consanguinei. Si arriva al surreale con lo scandalo che suscitò nel regime la premiazione di Kiarostami a Cannes quando la Deneuve lo baciò consegnandoli la Palma d’Oro. Un contatto inamissibile secondo le regole correnti in Iran, con l’aggravante di essere stato ripreso dalle telecamere di mezzo mondo. E da un paradosso all’altro va fatto notare che, nelle sale cinematografiche iraniane, anche nei momenti di più forte contrasto con il satana americano hanno continuato ad essere proiettati i western hollywoodiani. Il western è il cinema americano per eccellenza ma agli ayatollah andava benissimo: è molto maschile e le donne non solo hanno ruoli secondari ma sono sempre castigatissime. Ovviamente il controllo sulla vita privata degli attori è fortissimo. E quando il film arriva in sala i manifesti che lo promuovono non devono avere figure femminili in primo piano. La sala, poi, è divisa, come i ristoranti, in un settore per uomini e in uno per donne accompagnate da un consanguineo. Non sono previste donne sole. Un rappresentante della polizia islamica circola con una pila nel buio della sala di proiezione per verificare che non si realizzino strani contatti tra i sessi… Attraverso la censura lo stato si concentra sui comportamenti e sull’apparenza fisica, una generazione di registi di grande talento si è trovata ad inventare un proprio stile e un linguaggio confrontandosi e scontrandosi con i limiti imposti dalla censura. Sono nate così specifiche immagini e particolari modi di raccontare che sono diventati il marchio di fabbrica della nuova ondata iraniana.. Strategie Abbas Kiarostami Censure La rivoluzione komeinista, per dare visibilità al suo nuovo ordine ha bisogno di produrre un cinema islamico che non esiste da nessuna parte e impone al cinema il diritto di cittadinanza in cambio della sua islamizzazione. Questo si traduce in una sola parola: censura. O meglio, censure, perché investe ogni fase della realizzazione di un film, dalla sua scrittura alla sua uscita in sala. La sceneggiatura deve essere sottoposta al vaglio di specifiche commissioni per poter essere finanziata e realizzata. Sul set membri della polizia di controllo dei Il sistema politico iraniano è un sistema bicefalo. Accanto agli elementi classici (parlamento, presidente della repubblica, governo) c’è una Guida della rivoluzione, figura con una vocazione di orientamento spirituale, il cui peso politico supera enormemente quello attribuitogli dalla costituzione. Questo crea un parallelismo di poteri, dai piani alti dello stato fino alle più lontane ramificazioni. Parallelismo che si traduce nella costituzione di una serie di organi e gruppi islamici, che verificano ossessivamente la conformità dei comportamenti, in tutti gli ambiti, pubblici e privati, ai dettati dell’islam. Una vera e propria polizia esecutiva del verbo della guida. Esempio di questo dualismo è il controllo sul cinema che è diviso tra il Ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico, statale, e il Gran Consiglio della Rivoluzione Culturale alle dirette dipendenze della guida. Ovviamente ogni istituzione cerca di difendere la propria 10 primavera 2011 32 autonomia rispetto all’altra e questo contrasto ha permesso l’apertura di spazi di confronto e opposizione atipici in un sistema autoritario Di fronte a una censura imperante , sfruttando abilmente i contrasti istituzionali, spesso si è potuto avere da un istituzione il denaro e l’autorizzazione a realizzare un film che un’altra aveva proibito. Jafar Panahi Jafar Panahi Queste strategie nel corso degli anni, in contemporanea con lo sclerotizzarsi del sistema, hanno spinto la situazione a un punto di rottura. I successi internazionali si sono rivelati, per la repubblica islamica, un inatteso strumento diplomatico da sfruttare a fondo per dare un immagine diversa dell’Iran all’estero, al punto che film proibiti in patria erano scaltramente inviati a rappresentare il paese nei festival internazionali. Ma ora la maggior parte degli autori iraniani sono stati costretti all’esilio per poter continuare a esprimersi. Il grande cinema porta con sè lo spettro della libertà, spettro diventato troppo ingombrante e terrificante per Ahmadinejad e Khamenei. Al punto tale che il 10 Marzo 2010 i servizi di sicurezza hanno arrestano il più interessante e provocatorio dei registi iraniani contemporanei Jafar Panahi voce e cinepresa dell’opposizione “verde” iraniana. Panhai è il regista che più di tutti ha sfruttato il suo stile per giocare a rimpiattino con la censura. Esordisce con Il Palloncino Bianco nel ’95, su sceneggiatura di Kiarostami e si aggiudica subito la Camera d’Or al festival di Cannes. Razieh, una bambina di sette anni, riceve dalla madre dei soldi per comprare un pesce rosso con cui festeggiare il capodanno, ma lungo la strada tra casa e il negozio perde il denaro in un tombino. Il film racconta la lotta per riuscirlo a recuperare. Comincia 85 minuti prima dello scoccare dell’anno nuovo, dura 85 minuti ed è ritmato da questo angosciante conto alla rovescia. Ma l’angoscia che il film racconta dietro l’apparente leggerezza è quella della controllatissima quotidianità iraniana in cui la bambina porta una boccata di liberatoria e anarchica aria fresca. Scegliere come protagonista una bambina è un perfetto escamotage per dribblare lacci e lacciuoli della censura. Una bambina può permettersi un’infinità di cose proibite a una donna adulta. A cominciare dal vestito: una gonna rossa (colore vietatissimo dalla censura perché troppo sensuale ) e sopra il ginocchio che si oppone alle lunghe e informi tuniche nere cui sono obbligate le donne. È un cinema del sottinteso che usa l’infanzia come alibi per parlare degli adulti. Ma il non detto del primo film diventa l’urlato de Il Cerchio, 10 primavera 2011 33 Persia Mondomix.com / 360° il film con cui Panahi si aggiudica il Leone d’Oro a Venezia nel 2000. Nel cinema iraniano c’è ovviamente una difficoltà di costruzione del personaggio femminile. Le donne sono il proibito per eccellenza e tuttavia hanno i ruoli principali in più di metà dei film prodotti in Iran ultimi venti anni. Per superare la censura i registi si sono trovati obbligati a costruirle come personaggi assolutamente positivi e questo ha finito per trasformarle nel motore dei racconti, facendo di loro delle protagoniste. Ma Panahi va oltre e attraverso la storia di otto donne, quasi tutte uscite dal carcere, redige un crudo e straordinario racconto sulla maledizione che è nascere donna in Iran. Tutto girato in esterni e in luoghi pubblici perché Panahi si rifiuta di filmare la surreale situazione delle donne coperte dal velo in casa propria. È un film di fughe continue. Sempre di corsa: contro il tempo (bus da prendere o aborto da fare) e contro gli ostacoli (poliziotti da evitare, barriere amministrative da superare) in uno stato di tensione emotiva quasi intollerabile. La cinepresa di Panahi non si posa mai su niente. Resta incollata alle sue protagoniste che ansiogenamente sono sempre intente a scappare da qualcosa. Arriva come una ventata d’aria fresca la spavalderia dipinta sul viso della prostituta che chiude il film. Una spavalderia che nasce tutta dallo stile con cui è girato. I dispositivi della censura preventiva iraniana mostrano, come in altri sistemi autoritari, una grande attenzione alla sceneggiatura e trascurano il potere evocatore dell’immagine filmata. La censura ha cercato di regolamentare l’immagine della donna sullo schermo ma Panahi è giunto attraverso il suo stile a restituire la sensualità del corpo femminile. Come conseguenza bloccano sine die l’uscita del film che a tutt’oggi è stato visto in Iran solo in rare proiezioni private. Genere classico del cinema iraniano nato dopo la rivoluzione komeinista è il dramma sociale che con realismo duro e spesso sordido evoca i temi legati alla miseria in cui lo scià aveva lasciato il paese. Questo realismo non sembra fatto per glorificare il regime nonostante caratterizzi film prodotti dallo Stato. Ma la rivoluzione si è fatta a nome dei diseredati (mostaz’afân) e sarebbe stato politicamente scorretto fare film sui ceti benestanti.. Come conciliare diseredati e ottimismo politico? È una contraddizione irrisolvibile che Panahi sfrutta a suo vantaggio per realizzare Oro Rosso nel 2003, film che è il suo capolavoro. Sceneggiato da Kiarostami, un po’ film noir nel suo prendere spunto da un episodio di cronaca nera, un po’ Taxi Driver per come racconta la solitudine nel mondo (iraniano) contemporaneo è costruito come un lungo flash back. Il film inizia con la fine: una tragica rapina in una gioielleria in cui Hussein, il protagonista, resta imprigionato da una grata attivata dal sistema antifurto e si uccide Attore non professionista, afflitto da leggeri disturbi mentali, il protagonista ha qualcosa di Thelonius Monk: un berretto sempre schiacciato in testa, un fisico grassoccio da adultobambino, un’attitudine di opposizione muta al mondo e all’ingiustizia. Proletario dei quartiere poveri di Teheran, vive consegnando pizze a domicilio nelle zone ricche della città. Con il suo stile peculiare Panahi non molla un attimo il pedinamento del suo protagonista e ci obbliga a un viaggio incubo nelle disfunzioni dell’Iran contemporaneo. Portando pizze Hussein intravede al di là degli usci l’opulenza di una borghesia nascente che fa in casa quello che gli è proibito fuori. Tipica schizofrenia iraniana uno spazio pubblico costantemente controllato e uno spazio privato in cui si leggono i libri proibiti, si vedono i film occidentali comprati al mercato nero e si fa festa. Ma ciò che Hussein vede non gli piace per nulla. Vede il fallimento delle illusioni di una rivoluzione che aveva promesso il riscatto dei diseredati. Vede il paradosso di un sistema sclerotizzato che cerca di fare rispettare un ordine assurdo a una società, anche in Iran, ormai totalmente dominata dal denaro. Vede il disprezzo dei ricchi verso i poveri. Con il procedere del film nasce una formidabile empatia esistenziale tra lo spettatore e il protagonista. Arriviamo a condividere un sentimento di ingiustizia e solitudine senza via d’uscita. L’unica uscita possibile è una rapina fallimentare. E non resta che spararsi. Jafar Panahi più in là non poteva andare. Il film viene totalmente proibito in Iran e Panahi gira il suo ultimo lavoro praticamente in clandestinità, realizzando in video una sceneggiatura diversa rispetto a quella che aveva consegnato alle autorità: Off Limits Otto giugno 2006 partita di qualificazione per i mondiali di calcio: Iran contro Bahrein. Le donne non possono entrare nello stadio. Quelle che riescono ad infiltrarsi clandestinamente vengono acciuffate e trattenute in una sorta di recinto costruito a ridosso dello stadio stesso sotto l’occhio vigile di alcuni soldati. Scandito dalla cronaca della partita che si svolge a pochi metri da loro ma che non possono vedere il film racconta il rapporto che si costruisce tra questo manipolo di donne e i soldati che le tengono in arresto. Donne ben diverse da quelle del Cerchio, donne che non accettano la loro condizione e cercano di ribellarsi. Donne di un possibile Iran futuro. Ultima tappa della coraggiosa ribellione di un regista. Il dieci marzo 2010 Panahi è arrestato sotto l’accusa di attentare alla sicurezza dello stato. Dichiara ai giudici : “Non capisco il delitto di cui sono accusato. Se queste accuse sono vere, non sono solo io a essere processato, ma la coscienza sociale e artistica del cinema iraniano, un cinema che cerca di tenersi al di là del bene e del male, un cinema che non giudica, né si arrende al potere o denaro, ma cerca di riflettere onestamente un’immagine realistica della società.” Il 20 dicembre 2010 Jaffar Panahi è stato condannato a 6 anni di carcere e al divieto di dirigere, scrivere e produrre film, viaggiare e rilasciare interviste sia all’estero che all’interno dell’Iran per 20 anni. 10 primavera 2011 34 La stagione musicale di Chennai Per orientarsi in quella che è forse la più ricca stagione musicale del mondo. di V. Ramnarayan Tutto cominciò nel 1927 come parte dell’Incontro Annuale dell’Indian National Congress che quell’anno si tenne nella città a quei tempi chiamata Madras e che oggi è Chennai. Alcuni dei principali leader del partito nazionalista pensarono che fosse venuto il momento di introdurre ai delegati la grande tradizione musicale della regione, conosciuta come musica Carnatica. Venne imbastito il programma di una settimana durante la quale i migliori cantanti e strumentisti del tempo tennero diversi concerti ognuno dei quali aveva una durata di almeno tre ore. Quella serie di concerti portò alla nascita della Stagione Musicale della Music Academy di Madras ed ha continuato ad aumentare, in quantità e durata, fino a raggiungere l’odierna edizione che prevede due settimane di incontri e dimostrazioni ogni mattino e quattro concerti al giorno i quali, seguendo un ordine crescente di importanza e anzianità degli artisti, vanno dal primo pomeriggio fino a sera. Inoltre molte altre organizzazioni chiamate sabhas (letteralmente congregazioni), si sono aggiunte alla Music Academy ed oggi la famosa Stagione Musicale di Chennai inizia ai primi di novembre e dura quasi due mesi distribuendosi in molteplici locali della città e del suo circondario. Gli strumenti Il tipico concerto di musica Carnatica dura approssimativamente due ore e mezza. Un concerto vocale – l’evento più comune – presenta un cantante, uomo o donna, a volte un duo di cantanti, accompagnato da un violinista, seduto alla sinistra, e uno o più percussionisti, posti alla destra. Lo strumento a percussione più importante è un tamburo cilindrico, il mridangam, posto orizzontalmente di fronte al musicista. Il ghatam, una vaso di terracotta e la kanjira, piccolo tamburello a cornice, completano il gruppo. Il numero degli strumenti sul palco può variare ma il mridangam è obbligatorio. Il formato standard minimo del gruppo è costituito da voce-violino-mridangam. Mentre il violino occidentale si è adattato con successo alla musica Carnatica, altri strumenti molto popolari come il nagaswaram, un lungo oboe di legno, la veena, strumento a corde, il venu, flauto di bambù, sono da considerarsi tipici dell’India. Questi strumenti solisti non accompagnano i cantanti e per quanto la musica strumentale abbia nel corso degli anni perso popolarità, strumenti occidentali come chitarra, mandolino, clarinetto e sassofono compaiono sempre più spesso nei concerti anche se sono ben lungi dall’aver raggiunto il livello di diffusione del violino. Tutti i musicisti sul palco stanno seduti, a gambe incrociate, in genere su cuscini. Un concerto comprende sia musica composta che improvvisata dando la possibilità a ciascun musicista sul palco di mostrare la sua creatività durante le varie fasi del programma musicale. Il repertorio Oggi il programma di un concerto di musica Carnatica inizia con un varnam, una breve composizione con un testo ed una parte di vocalizzi (sol-fa) cantata a diverse velocità. Seguono alcune composizioni conosciute come kritis o kirtanas, canzoni in genere di contenuto devozionale o spirituale in Sanscrito o in una delle lingue dell’India del Sud, generalmente in Telugu (lingua dell’Andhra Pradesh). 10 primavera 2011 35 Chennai / Rennes Mondomix.com / 360° T. M. Krishna Ciascuna di queste composizioni contiene elementi improvvisati incluse elaborazioni senza parole del raga, variazioni su una singola riga del testo o combinazioni ripetute delle sillabe sol-fa. Tutte queste componenti creative sono rese in misura più estesa nella composizione principale del concerto, la cui durata può superare l’ora, e che offre anche al percussionista (o ai percussionisti) la possibilità di mostrare la sua (loro) maestria tecnica e creatività in assolo non accompagnati da voce o violino. La composizione è spesso seguita da quello che i puristi considerano il piatto forte della musica Carnatica, il ragamtanam-pallavi, che è costituito da musica completamente improvvisata. Brani più leggeri seguono il corpo principale del programma o il ragam-tanam-pallavi ed il concerto termina con un mangalam, un brano conclusivo di buon auspicio. conferito dalla Music Academy, è sicuramente il più prestigioso e paragonabile all’Oscar. Ogni quotidiano aggiunge supplementi speciali per l’occasione mentre i canali televisivi estendono la loro copertura degli eventi principali ed alcuni organizzano addirittura a loro volta dei concerti. La critica I critici, sempre pronti a stroncare o esaltare questo o quel musicista, oggi si trovano di fronte degli artisti colti, estremamente preparati tecnicamente, in grado di controbattere alle critiche ricevute. Il pensiero che accomuna la maggior parte dei critici è che oggi la musica Carnatica sia viva e che goda di ottima salute anche se a fungere da contraltare permane tuttavia una schiera di nostalgici che continua a lamentare la scomparsa dei grandi miti del passato. Fra i musicisti stessi le opinioni sullo stato attuale della musica Carnatica sono divergenti. Alcuni di loro parlano dei «bei tempi in cui i rasika (appassionati) erano veramente seri e competenti e non frequentavano i concerti solo per moda come invece accade oggi visto che ormai quel tipo di pubblico non esiste più», mentre altri sostengono che «oggi il pubblico è più esigente. Ci sostiene tutto l’anno a fare bene, a dare il nostro meglio». Coloro che hanno preso parte a una o più edizioni della Stagione Musicale di Chennai saranno d’accordo nell’affermare che oggi in India non esiste nulla di paragonabile a questa manifestazione sia per il livello musicale che per la grande varietà e lo spirito particolarmente festaiolo che la caratterizza. Forse addirittura a livello mondiale non esiste oggi qualcosa di Dove Chennai, India Quando novembre - dicembre 2011 Online www.sruti.com U. Srinivas Les Transmusicales di Paolo Ferrari tra i piedi. C’è da riflettere. E da ballare la Colombia analogica di Bomba Estereo, come pure la cumbia digitale, tellurica dei Systema Solar. Scortati dal kuduro di Mpula, persino, con l’Angola touch a soppiantare lo storico french locale. Ma non è finita, perché con i Dengue Fever il funk reggae americano è inopinatamente cantato in khmer dalla cambogiana Chhom Nimol, tra le stelle indipendenti del festival. Ci sarebbero anche i Filewile, ma che siano in parte sudafricani lo si evince solo dalla lingua; e la Phenomenal Handclap Band, debole però rispetto agli Antibalas di cui è cugina prima. Un consiglio, infine, al gruppo pop inglese Egyptian Hip Hop: vadano al Cairo a suonare il loro indie neo rave di maniera, magari là l’ingiustificata strafottenza del nome che hanno scelto sarà più apprezzata. December Season La Stagione di Dicembre (December Season), come continua ad esser chiamata malgrado la sua durata trascenda questo limite temporale, è il momento in cui gli appassionati locali ma anche gli Indiani- non-Residenti (NRI) che ogni inverno arrivano a frotte a Chennai, corrono di sala in sala per assistere ad uno o più kutcheri (la definizione locale dei concerti di musica Carnatica) organizzati con logistica e programmazione più che collaudate. La competizione fra le sabhas per presentare la miglior musica Carnatica al pubblico della città crea una sorta di frenesia di programmi che porta una buona parte dei musicisti ad esibirsi ogni giorno durante la stagione del festival. Unico deterrente la temperatura, fresca secondo qualsiasi standard e piuttosto ingannevole, con la raucedine che purtroppo può colpire in qualsiasi momento provocando diverse cancellazioni. Le cucine chiudono in molte case. Non c’è tempo per cucinare o per pulire, neppure durante la sosta fra un concerto e l’altro, se poi si tiene conto dei deliziosi manicaretti ed aromatici pranzi disponibili presso i punti di ristoro organizzati nelle varie parti della città, cucinare diventa superfluo. C’è un considerevole eccitamento nell’aria, questa è l’occasione per artisti affermati, come per i nuovi arrivati, di dare il meglio di sé e del proprio repertorio, a volte preparando programmi speciali per l’occasione. Molte sabhas conferiscono premi e riconoscimenti agli artisti o agli insegnanti più affermati. Il Sangita Kalanidhi, simile in quanto a dimensione e diversità. Anche questo fa di Chennai una destinazione per eccellenza sia per il turista che per quegli Indiani residenti all’estero che provano nostalgia della loro immensa cultura. Mai si erano visti tanti live extra anglosassoni né riconducibili strettamente al rock e alla techno nel festival bretone giunto alla 32° edizione. Buon segno, il concetto di «musiche attuali» su cui si basa la kermesse da 50.000 persone per 95 concerti si amplia. E il gusto ci guadagna. A fine manifestazione, tutti concordano sull’eleggere Oy, un ragazza proveniente dal Ghana via Svizzera, a rivelazione: tra giocatoli trasformati in strumenti, suoni tradizionali e digitali il suo show è frizzante e seducente. Come pure dal Ghana arriva Blitz The Ambassador: un rapper residente a New York, è vero; ma nel cui set irrompono l’hi-life di casa, citazioni esplicite di Miriam Makeba e Fela Kuti, adrenalina e consapevolezza. Mélange sontuoso anche quello dei Donso, che dal Mali portano gli ngoni da incrociare alla black statunitense più sanguigna, senza house per turisti Dove Rennes, Francia Quando dicembre 2011 Online www.lestrans.fr 10 primavera 2011 36 La giornata nazionale della Rete Italiana di Cultura Popolare di Luisa Perla La cultura popolare ci ricorda chi siamo, la nostra identità, rappresenta un patrimonio di alto valore, è storia viva, l’anima dei luoghi e delle persone, memoria collettiva delle tradizioni e delle radici che tessono l’esistenza e la peculiarità di un territorio. In un mondo dove tutto è veloce e molti aspetti della vita sono insicuri il 13 dicembre ci fermiamo e ritroviamo noi stessi, riscopriamo il piacere di raccontarci storie e di vivere emozioni forse dimenticate… 13 Dicembre 2010 4° Giornata nazionale della rete italiana di cultura popolare Durante il giorno di Santa Lucia riaccendiamo le luci sulla cultura popolare: migliaia di persone, che sono alla base di una rinata volontà, scelgono di sostenere la salvaguardia delle proprie identità e della cultura che la esprime, nel continuo confronto con le altre. La Rete Italiana di Cultura Popolare è un organismo di soggetti locali che svolge un lavoro di sistema, e che, nel rispetto delle singole peculiarità, attua politiche culturali nazionali ed internazionali, nelle quali i territori condividono azioni, risorse e valori in progetti comuni, creando sinergie tra soggetti diversi. La Rete Italiana svolge contemporaneamente attività di studio e ricerca, di progettazione e programmazione di azioni mirate alla individuazione, tutela e valorizzazione, nel solco della modernità, delle tradizioni e delle diverse espressioni di socialità culturale. La Rete è dunque una realtà, un punto di riferimento essenziale per chi voglia affrontare in Italia il tema della cultura popolare. Proteggere ciò che è particolare, attraverso la sua comunicazione e fruizione, attraverso il sistema di “territori in rete” (che non ha eguali in Italia), per veicolare quei saperi che vengono spesso trasmessi solo oralmente, ma al tempo stesso farlo uscire dall’isolamento intessendo relazioni che costruiscono un sistema. Di più. Non solo valorizzare saperi volatili, ma affermare la Cultura dei territori, il rispetto per i Maestri del sapere popolare, il rinnovato interesse dei giovani per la Tradizione: adoperarsi affinché si affermi una vera globalizzazione delle diversità culturali. In un luogo in cui i saperi si sono sedimentati, reinventati, sovrapposti a quelli di molti altri, il compito della Rete è quello di comunicare 10 primavera 2011 37 Manresa Mondomix.com / 360° portando in piazza e in ogni luogo d’Italia danze, musiche, teatro, artigianato ed enogastronomia per rappresentare, trasmettere alcuni principi della tradizione, che in sé avevano già il germe del “tradimento”. Il tradimento è un modello positivo nella costruzione di un rapporto con la propria o qualsivoglia radice: nel momento in cui un “attore” riporta al pubblico un racconto o un canto, ometterà alcuni particolari e ne includerà altri, lo trasformerà in una sua personale interpretazione. Diversa la grana della voce e diversa la fisicità di chi agisce. Lunedi 13 Dicembre in Italia si riaccendono le luci.... Proclamata la “Giornata Nazionale della Rete Italiana di Cultura Popolare” il 13 Dicembre è una giornata di festa e di feste, nel quale si celebra la cultura popolare e nel quale si illumina la Tradizione attraverso la sua tutela, la reinterpretazione e l’innovazione. Associazioni, artisti, scuole, musei, enti locali, biblioteche e singoli cittadini, tutta la cultura in rete non solo virtuale, si attivano sul proprio territorio. Ogni manifestazione si unisce alla miriadi di espressioni organizzate e distribuite sull’intera penisola italiana, lanciando un forte messaggio per la valorizzazione di una componente fondamentale del nostro patrimonio culturale: La Cultura Popolare e i beni immateriali. Molteplici eventi in contemporanea ramificati in tutta Italia evocano, raccontano e registrano rituali, comportamenti, prodotti dell’immaginario ed espressività, a dimostrazione di come la cultura popolare sia radicata ai territori, con usi, costumi, tradizioni che mutano da area ad area. Ma nell’insieme c’è vitalità, c’è relazione, un unicum dei saperi popolari. Incontri, spettacoli, racconti, poesie, musiche e danze in musei, biblioteche e una miriade di spazi di Piemonte, Toscana, Veneto, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia. Una vivacissima giornata che unisce zampogne, pupi, poeti a braccio, arpe celtiche e courente occitane. Online www.facebook.com/profile.php?id=1796947704 XIII Fira Mediterrània di Paolo Ferrari Per metà dedicata alla musica e per il resto atomizzata tra teatro, circo, attività pedagogiche e turistiche, la Fiera Mediterranea invade la cittadina catalana a una sessantina di chilometri da Barcellona con l’appeal del festival folk di livello europeo e la forza fisica della sagra di paese. Una miscela che conquista fin dal primo assaggio, quando si attraversano gli stand gastronomici e artigianali per raggiungere il teatro Kursaal, sede dei live di punta che fanno regolarmente registrare il tutto esaurito. È lì che sfilano due delle tre regine del festival: venerdì sale sul palco la palestinese Rim Banna, combattiva nei contenuti a favore del suo popolo, magnetica nella presenza scenica, impeccabile nelle esecuzioni vocali ma un po’ penalizzata da arrangiamenti innocui; sabato sale in cattedra Franca Masu, che incanta scalza con la sua Sardegna di casa in Catalogna, con un soul senza passaporto che si tinge di jazz, swing, lirica e trova nel piano di Mark Harris un formidabile compagno di viaggio sorretto dal contrabbasso di Salvatore Maltana e dalle percussioni di Roger Soler. La terza sovrana la incontriamo giovedì all’aeroporto di El Prat, da cui raggiunge con noi il gruppo per lo show della sera stessa. È l’algerina Hasna El Becharia, e il suo concerto nel tendone più suggestivo per collocazione, sulla Plaça del Milcentenari, si presenta diviso in due. La prima parte sciorina blues arabo, con la chitarra elettrica tra le mani della signora; il secondo tempo sale verso la trance, con la sciantosa a dettare il ritmo sul guembri e la sontuosa ballerina del gruppo scesa in mezzo al pubblico per guidare le danze. Lo stesso spazio compete venerdì sera alla sempre convincente Amsterdam Klezmer Band, il cui rodato set non ha problemi a sganciarsi dal Danubio e dal Mare del Nord per immergersi nel bacino del Mediterraneo. Scenario comune anche a Moussu T E Lei Jovents, vecchi animali notturni per nulla intimoriti all’idea di esibirsi sabato notte alle 2, e che gigioneggiano mischiando i brani del disco più recente a quelli dei tre precedenti, ormai classici a tutti gli effetti della nuova canzone d’autore glocal europea. Questa cittadina a saliscendi di 75.000 abitanti, dominata da monumenti imponenti come la Basilica di Santa Maria de la Seu e la Cova in cui visse Sant’Ignazio di Loyola, è in realtà un paese dei balocchi per i bambini. Ci sono giochi ovunque, e 1.300 scolari partecipano alle attività ludico educational della Fiera. Né mancano i piccoli spettatori al live pomeridiano di Mimmo Epifani & Epifani Barbers, catapultati con pizzica e mandolino sul palco dell’area gastronomica. Tra birre artigianali e crocchette di baccalà, il loro set conquista un’audience trasversale; ci sono curiosi, ballerini d’istinto e gran feeling diffuso, mentre sotto il profilo artistico piace l’utilizzo contemporaneo di fisarmonica e organetto diatonico. Tra le glorie locali, guidate dallo scontato bagno di folla per Miquel Gil, la vera sorpresa sono gli itineranti Residual Gurus, riciclatori di materiali in disuso che con i loro strumenti inediti giocano alla riproduzione meccanica dei ritmi techno. Il resto è Loggia Professionale, ovvero stand, contatti, presentazioni, incontri. Lì ci imbattiamo nello spazio M.E.I., kermesse nostrana sempre più attenta alla galassia world, come pure nell’edizione numero 44 del colombiano Festival de la Leyenda Vallenata, spettacolare kermesse di organetti diatonici in programma a Valledupar dal 26 al 30 aprile 2011. Nonché nel lancio in grande stile dei suoi targati Baleari e in un meccanismo della Fira Mediterrania molto apprezzato dai delegati: gli iscritti sono obbligati a richiedere i biglietti gratuiti spettacolo per spettacolo, in modo che ciascun promoter sappia quali degli operatori presenti hanno scelto il suo artista e possa contattarli in futuro per feedback, proposte e nuovi progetti. Dove Manresa, Spagna Quando 3-6 novembre 2011 Online www.firamediterrania.cat 10 primavera 2011 38 Un incontro piccante di Luca Vergano illustrazioni Cristina Amodeo Per favore, mi porta un’altra ciotola di peperoncino? Non sono ancora arrivate le prime portate che Shujaat ha già finito una ciotola di peperoncino. Qualche cucchiaio accompagnato da nuvole di drago, altri accompagnati soltanto da schiocchi di labbra di piena soddisfazione. Non male, penso, ma non così sorprendente visto che il titolo di un suo disco è Ammoré (sic) e in copertina è raffigurato un grande cuore fatto di peperoncini. Non posso farci niente – mi dice – mi piace mangiare speziato. Sono cresciuto così, la cucina di casa nostra era molto speziata, persino per le abitudini indiane. Un istante dopo Shujaat è di nuovo immerso nella conversazione. Al tavolo ci sono Renzo, che sta producendo il suo disco, Fabio (che si occupa della registrazione), Federico, che sul disco suonerà le tabla e che si rivolge come ogni allievo deve fare chiamando Shujaat guruji. Loro parlano di raga, di tempi, battono le dita sul tavolo e contano. Io continuo ad osservare affascinato la quantità di peperoncino che Shujaat continua ad ingurgitare. Shujaat suona il sitar, per capirci quello strumento a corde che a un certo punto l’hippie Franchino sfoggia in Fantozzi Subisce Ancora. Solo che, a differenza di Franchino, Shujaat proviene da una delle dinastie di musicisti classici più famose ed importanti dell’India, addirittura risalente al musicista di corte dell’imperatore Moghul Akhbar, attorno 1600. Lui stesso è un Ustad, un maestro. Un po’ come essere a tavola con Benedetti Michelangeli, ecco. A tavola però il peso di tutta questa dinastia scompare. Ustad Shujaat è molto molto divertente, in un modo asciutto e anche un pò sarcastico. Qualche tempo fa gli è stato presentato un ragazzo italiano che suona il sitar e che si era esibito in Vaticano. Shujaat stringendogli la mano lo guarda e gli dice, estremamente serio, So, I am classic sitarist and you are pope sitarist. C’è voluto un attimo per tutti per capire la battuta. Ma poi c’era gente a cui il peperoncino usciva dal naso, dal ridere. Ovviamente il peso della dinastia si sente quando Ustad Shujaat si siede e comincia a registrare. Non capisco niente di musica indiana, ho l’approccio contadinesco mi piace/non mi piace. Ma lui è davvero entusiasmante. Per la sua capacità di rendere i lunghissimi brani tipici di questa musica qualcosa che passa alla velocità della luce, per la sua capacità di far seguire una dietro l’altra frasi morbide, estremamente melodiche. Come uno che spiega il Mahabarata ad un bambino senza che il linguaggio semplice ne diminuisca di un grammo la forza poetica. Nel frattempo arrivano i piatti e su ogni raviolo cinese Ustad Shujaat mette due cucchiaiate di peperoncino. Ne aggiunge persino sul pollo in agrodolce, che già aveva specificato desiderare very spicy. Improvvisamente capisco perché mi faccia così sorridere la sua propensione al peperoncino. Il maestro mi ricorda moltissimo il personaggio di un libro che ho appena finito, il detective Vish Puri. Vish Puri, della Investigatori Privatissimi Ltd. ha 10 primavera 2011 39 The Street Foodie Mondomix.com una passione notevole per il cibo, grande classico della letteratura poliziesca. Ma è in altre cose che Ustad Shujaat e Vish Puri si assomigliano. È solo che è un po’… tasteless (insipido). Anche il detective Vish Puri ha una grande cultura classica. Anche Vish Puri tende ad una certa pinguedine. E anche Vish Puri adora il peperoncino, in particolare la qualità Naga Morich, che sembra essere quella più piccante del mondo. Non so se Ustad Shujaat li coltivi sul tetto di casa sua come Vish Puri. Ma non oso del tutto chiederglielo. D’altronde nessuno chiederebbe a Benedetti Michelangeli se mangia la caponata come Montalbano, no? Però gli chiedo delle spezie. Quando lo racconto a Shujaat, si mette a ridere. Sì, probabilmente è vero – dice. Le spezie in India ovviamente hanno un valore igienico altissimo – dice. Aiutano a conservare il cibo, aiutano a digerire meglio, aiutano a stare bene in un posto che a livello climatico è molto difficile. So long, orgoglio italo-centrico. Anche mio padre amava magiare molto speziato – mi dice quando la discussione al tavolo si sposta dalla musica. Il cibo a casa nostra ha sempre avuto un forte valore simbolico. Mia madre cucinava moltissimo quando mio padre tornava dalle tournée, cucinava quando riceveva qualche riconoscimento particolare. E ovviamente cucinava nelle grandi occasioni. Ma la questione è ancora più ampia a quanto pare. Shujaat si rivela abbastanza ferrato e in grado di approfondire il discorso gastronomico. Ovviamente senza interrompere di mangiare, aggiungendo cucchiaiate di peperoncino su ogni piatto. Anche il mangiare seduti con la schiena dritta, come viene insegnato fin da bambini, è per far sì che la digestione incominci immediatamente. E poi tutte le regole su cosa mangiare in quale stagione… L’alimentazione è una questione complessa in una cultura complessa come quella indiana, mi dice mentre avvicina alla bocca una cucchiaiata di riso. Effettivamente, mentre ero ad Ahmedabad qualcuno mi aveva detto, ad esempio, che è meglio non mangiare cibo fritto nella stagione dei monsoni. Perché l’umidità e i cambi di tempo improvvisi rendono estremamente difficile digerire i cibi più pesanti. Io ovviamente me ne ero guardato bene adorando in maniera smodata i Samosa ed essendo curioso di assaggiare le ricette di uova degli eunuchi raccontate nel capitolo uno. Ma Ustad Shujaat di questa regola sembra non saperne niente. Questa cosa non l’ho mai sentita – dice – ma potrebbe essere. D’altronde ogni stato ha le sue particolarità culturali. E non solo ogni stato, mi sembra. Gli chiedo del curry, che qui molti considerano una spezia mentre è in realtà un metodo di cottura basato su una miscela di spezie, che addirittura cambia di casa in casa. Sì è vero! E a casa mia era sempre molto piccante. Non ne dubitavo, a dire il vero, ma mi trattengo dal dirlo. Però questo mi dà qualche indizio sul perché della scarsa attrattiva della cucina italiana nei confronti degli indiani. Scarso entusiasmo riscontrato più di una volta, soprattutto quella volta che, ad Ahmedabad, io e altri italiani decidemmo di ringraziare la nostra amica Mansi – che aveva cucinato per noi strepitose Aloo Paratha e altre cose buonissime – con la più tradizionale delle spaghettate. Eravamo persino riusciti a trovare il parmigiano, anche se quello già grattuggiato. Buono – aveva detto Mansi, molto gentile ma poco convincente. Sei sicura? - le abbiamo chiesto – non sembri così contenta… Ma allora qual è il suo piatto preferito? Il Biryani che faceva mia madre. Era il piatto delle occasioni più speciali. Da piccolo quando sentivo che si avvicinava il momento di mettersi a tavola. Ancora adesso non sono riuscito a trovare nessuno che riuscisse a rendere la carne così saporita, così morbida. Si scioglieva in bocca. Ecco. La cucina di mammà. E mentre Ustad Shujaat si alza per ritornare in studio di registrazione penso al titolo del suo disco. E penso che forse, sarebbe stato più appropriato That’s Amoré. Cosa The Street Foodie è un progetto di Luca Vergano e Cristina Amodeo. Luca scrive e Cristina illustra. Online www.thestreetfoodie.com Chi Shujaat suona, canta, viaggia, compone. Potete leggerel la recensione di Dil, il suo ultimo CD, a pagina 46 Dove Il ristorante in cui è avvenuta questa conversazione è a Torino, si chiama La Via Della Seta ed è molto buono, non il solito cinese convenzionale.. 10 primavera 2011 40 Recensioni Mondomix.com / RECENSIONI Mario Lucio Lëk Sèn Lusafrica / IRD Black Eye Kreol Harry Belafonte, Pablo Milanés, Cesaria Evora, Toumani Diabate, Teresa Salgueiro, Milton Nascimento, Mario Canonge, Ralph Thamar, Awa Sangho, Gorée Afro Djembé. Questa la lista dei partecipanti al viaggio del musicista, autore, avvocato e parlamentare di Capo Verde che in diciassette tracce, maturate lungo 92.482 chilometri, cuce Africa e Sudamerica nell’ideale cerniera lampo culturale, sonora e umana dell’Oceano Atlantico. Al grande mare, Matrimonio dell’Umanità, è dedicato l’ambizioso colossal, esaltazione della natura creola delle persone e delle cose come moltiplicatore di ispirazione e opportunità. Un concept album limpido negli intenti e, ovviamente, assai articolato nello svolgimento. Si resta a bocca aperta di fronte all’incanto eterno della voce di Milton Nascimento, vinificato in purezza nella liquida Mar di Tarrafal; e ci si culla nel languore di una Hora de Andorinha sospesa in cielo da Teresa Salgueiro e Pedro Joia. Affonda nello spirito il Planet con voce narrante engagé di Harry Belafonte; nuota in onde fresche il Mar azul, proprio quello, condiviso con la maestra Evora. Vive di grandi intrecci a tutta corda la Mae Mother di cui è complice Toumani Diabate; e muore in cielo all’inizio la sontuosa produzione da messa creola senza strumenti Na Capella. Quando c’è da infondere brio a Santa Catarina Ossiana o a Come Black, ecco pronti i disinibiti Gorée Afro Djembé, dalla memoria lunga. Kreol è un disco che a ogni ascolto rivela nuovi dettagli, sfumature, colori; non scadrà mai. Paolo Ferrari Puoi scaricare gratuitamente il PDF di Mondomix Italia dal sito www.mondomix.com Trouble In Jerusalem Enja / Egea Un piccolo miracolo quello che si verificava nel 1996 quando, in archivi russi, veniva rinvenuto un esemplare di un classico del cinema muto tedesco, Nathan il saggio, opera del 1922 di Manfred Noa che era stata messa al bando dal nazismo per il suo invito alla tolleranza religiosa. Accusata di simpatie per l’ebraismo, tutte le copie rintracciate venivano distrutte. Restaurato con il patrocinio di ZDF e Arté, il film è tornato recentemente a nuova vita anche grazie alle musiche qui contenute. Non si sarebbe potuto scegliere un autore più adatto alla bisogna di questo compositore libanese virtuoso dell’oud, da sempre propenso alla contaminazione della tradizione mediorientale con influssi europei e di jazz. Questa immersione in un ambito sinfonico patisce qualche momento un po’ ingessato, ma nel complesso regala suggestioni non banali. Eddy Cilìa 10 primavera 2011 41 Burn Brucia davvero il talento del giovane cantautore senegalese, in rampa di lancio per un exploit in Francia e non solo. Da quelle parti lo sta aiutando la fiducia di Tiken Jah Fakoli, che se lo porta spesso e volentieri in tour: ovunque pesa l’attestato di stima di Amadou Bagayoko, la metà maschile della coppia d’assi Amadou & Mariam, qui presente come ospite in Massamba, ossessiva progressione in mirabile equilibrio tra groove da club, profondità blues e ispirazione rurale. Il ragazzo arriva infatti da un contesto extra urbano, un villaggio di pescatori dalle parti di Dakar chiamato Ngor; transitato dalla capitale, è subito approdato a Parigi. Dove gli incontri sono stati tanti e proficui. Il reggae, innanzitutto: senza essere un artista di genere, Sèn vi attinge sia per piglio vocale, a partire dai primi secondi dell’iniziale, calorosa e radiofonica Life, che per connessione diretta con la Giamaica, il cui temperamento è rappresentato da Kiddus I, a sua volta agile nel districarsi in contesti ritmico melodici spiazzanti come quelli che lo mettono alla prova in Sa Nitee, intrisa di mala, e Nekaal, addirittura una ballata acustica il cui approccio rimanda a Buju Banton o Anthony B. Spalle larghe sotto il profilo della formazione musicale, e grana vocale di impressionante maturità: Burn è la canzone giusta, tra sufferin alla Burning Spear e poetica alla Pierre Aquendengué, per apprezzare il peso specifico di un ragazzo ben sostenuto in produzione dai Dirty District e da una band imbottita di ospiti di prima scelta. Paolo Ferrari AA VV Capo Verde Terra d’Amore 2 Microcosmo Dischi / Edel Rabih Abou-Khalil AFRICA Capo Verde Terra d’Amore. Basta solo il titolo per richiamare alla mente suoni e immagini assolutamente inconfondibili. Voci di morna, voci dal suono carezzevole che cantano della malinconia vestita di gioia caratteristica dell’arcipelago. Voci indimenticabili che abbiamo conosciuto nel corso degli anni fra le quali spicca, regina incontrastata, quella di Cesaria Evora, ma anche quelle della giovane Lura e del grande compositore Teofilo Chantre. Questo album è ricco di collaborazioni con importanti figure della scena pop nostrana e non solo. Da Ron (che duetta con Cesaria Evora) a Bruno Lauzi o al duo Magoni-Spinetti (Musica Nuda). Da Peppino di Capri a Frankie Hi-Nrg Mc, da Massimo Ranieri a Franca Masu includendo anche il pianista cubano Omar Sosa e la cantante polacca Kayah che qui canta in italiano duettando con Teofilo Chantre. Un ponte musicale fra la melodia cantata in lingua italiana e i suoni creoli capoverdiani. Se può essere utile a dischiudere le orecchie ottuse di alcuni nostri compatrioti ben venga, anche se personalmente non potremmo mai rinunciare agli originali. Elisabetta Sermenghi musiques et cultures dans le monde Asmara All Stars MIX MON DO ma Mi a Eritrea Got Soul Out / Here Sono pienamente giustificate le ambizioni internazionali implicite nel titolo dell’album in cui il produttore francese Bruno Blum fa confluire una ricca messe di fonti di ispirazione, per un risultato finale multicolore, cosmopolita e di grande attualità. Tutto con un retrogusto inconfondibile, quello delle scene reduci da recenti tragedie belliche e dunque cariche di entusiasmo e motivazioni derivati dalla sensazione diffusa di essere fuori da un periodo di surgelamento artistico. Le stelle di questo intraprendente firmamento indipendente provengono da esperienze differenti, e il nome del combo lo sottolinea. Non deve quindi stupire se l’umido e sensuale dub reggae Amajo, condotto dalla voce di Faytinga, convive senza stridori con il sanguigno blues Ykre Beini, cantato da Temasgen Yared, mentre lo spirito da club espresso dal titolo del cd si esalta nel travolgente funky jazz rap Adunia. Esperienze trasversali, come del resto la selezione generazionale operata da Blum sul posto, che spazia da personaggi di grande esperienza come Brkti Weldeslassie e Ibrahim Goret ad altri recentemente emersi. Per quanto concerne la band, Blum ha puntato sulla massima fedeltà al suono analogico locale, incidendo all’Asmara con ampio utilizzo di fiati e organo da funky americano. Sotto, brucia il fuoco di una scuola jazz etiope che dagli Anni Cinquanta ha pochi rivali nel continente; sopra, il governo dell’Asmara può essere soddisfatto dell’incarico affidato al produttore francese per contribuire alla fine dell’isolamento culturale del paese. Paolo Ferrari Nour - eddine Desert contemporain Helikonia / Egea Autore, multistrumentista (sentir, guimbri, tbal, dumbak, bouzouki) e vocalist, Nour-Eddine Fatty incarna in modo originale l’espressione contemporanea della musica marocchina aperta e attenta al resto del mondo. Marcato in buona sostanza dalla presenza della trance gnawa, personificata dal contributo eccellente del quartetto Gnawa Bambara, il disco si avvale anche dell’apporto del fiatista Davide Grottelli per indirizzare il suono verso i territori dell’improvvisazione. È dall’apparente contrasto tra fissità della tradizione e libertà di movimento che sgorgano i momenti migliori dell’incisione. Le incursioni delle tabla di Sanjay Kansa Banik concorrono ad ampliare il quadro d’insieme. Desert contemporain è un ulteriore esempio di produzione world, però ben congegnata. Piercarlo Poggio 10 primavera 2011 42 AMERICHE Mondomix.com / RECENSIONI La Zurda Calicanto Acá y Ahora Mosaico Pirca - Live Global / Self musiques et cultures dans le monde MIX MON DO ma Mi a AA VV Bossa Nova Soul Jazz / Family Affair Può capitare che sia un libretto a fare imperdibile un prodotto discografico? Con i signori della Soul Jazz è quasi la norma e non certo perché musicalmente le loro uscite risultino deficitarie. Al contrario! Pur con qualche assenza inevitabile (una però è clamorosa) dovendo comprimere in due CD una storia tanto ricca, come manuale di bossa nova – presenti da Elis Regina a Joao Gilberto, da Jorge Ben a Edu Lobo passando per Sérgio Mendes e Baden Powell, Gilberto Gil e Maria Bethânia, Vinícius de Moraes e Milton Nascimento – questo doppio è uno dei migliori immaginabili e dire che in commercio ce ne sono a decine, o più probabilmente a centinaia. Nessuno dei quali può però farsi forte di settantasei pagine di narrazione e analisi minuziose di come nacque la musica pop brasiliana più sofisticata di sempre, come conquistò il mondo, perché declinò. Eddy Cilìa Con questo nuovo album, prodotto da Fabrizio Barbacci, La Zurda si ripropone alla platea mondiale con un sound più intenso, efficace, trasversale tra gli stili e senza quelle lievi sbavature che erano presenti in La Zurda e Para Viajar, i primi due progetti discografici del giovane gruppo argentino, con il quale il pubblico italiano ha stabilito un ottimo feeling durante le varie tournée della band nel Belpaese. Empatia dovuta al sangue italiano che questi ragazzi hanno ricevuto dai loro bisnonni emigrati in Sudamerica all’inizio del Novecento? Forse, ma ciò che colpisce e piace è la modernissima cifra stilistica di questa formazione, che si caratterizza per un levare latineggiante molto contagioso, per delle contaminazioni azzardate mescolando e frullando a ritmo giusto rock alternativo, rockblues, ska, reggae, world music, balada, accenti di tango, milonga, chacarera o versi di bolero latino. Un percorso certamente contromano che si evince sia dall’ampia sperimentazione di linguaggi ma anche dal panorama di strumenti impiegati: da quelli moderni (chitarra elettrica, batteria, piano, effetti hammond, samples, contrabbasso, fiati) a quelli tipici sudamericani (cuatro, charango, ronroco, cajón, bombo legüero). Presente e passato, modernità e tradizione sono gli ingredienti base amalgamati nella realizzazione di Acá Y Ahora, un cd che offre un ventaglio musicale molto ampio e variegato. A mantenere in alto lo spirito di questo piacevole viaggio ci aiuta Paolo “Pau” Bruni, il cantante dei Negrita intervenuto a duettare in italiano nello stupendo Como El Rio (tr. 12, bonus track), un brano acustico energetico con un refrain che ti conquista e comincia a canticchiarti in testa “ogni giorno passa e va rubando il nostro tempo / tutto scorre e passa come il fiume”. Beh, per un po’ di giorni sei fritto, ti svegli e ti addormenti cantando o fischiettando questa strepitosa melodia che chiude l’ottimo Acà y Ahora. Gian Franco Grilli Calicanto / Felmay musiques et cultures dans le monde MIX MON DO ma Mi a AA VV Calabria 1 strumenti. Zampogna e doppio flauto Taranta / Felmay La riedizione di questo disco, lungamente attesa, testimonia della prima robusta ricognizione su strumenti folklorici calabresi, condotta da Tucci, etnomusicologa e etno-organologa, oltre 30 anni fa. L’originale LP, corredato di un ricco apparato documentale conservato e ampliato nella riedizione -, fu pubblicato ne I Suoni, collana ideata da Diego Carpitella, uno dei padri della moderna etnomusicologia. Ascoltare oggi le zampogne e i doppi flauti suonati da maestri della musica contadina calabrese dei tardi anni ‘70 e comprenderne l’orizzonte culturale di riferimento, è esperienza unica e possibile - in modo consapevole e libero da arcaismi o esotismi interni - proprio grazie alla riedizione. L’opera è disponibile anche in forma di libro con CD, pubblicato da Taranta-Besa. Daniele Sestili Shadows Tall Celso Fonseca Voz e Violao Amor, Festa e Devoção ao Vivo Biscoito Fino / Family Affair Doppio cd dal vivo per celebrare la più recente tournée mondiale della sovrana del Tropicalismo e salutarne al tempo stesso 45 anni di carriera. E Doppio merito: due cd secchi, senza il solito pasticcio del cd + dvd; e un recital di classe immortalato per intero.Va da sè che non sono queste li circostanze in cui rinvenire aperture verso il futuro o ardite scommesse. La cantante e discografica carioca incastra nel programma qualche canzone recente, tratta dai cd complentari Encanteria e Tua, per dare fiato nella cavalcata di 55 tutoli a un uragano di classici. Ci sono ovviamente Explode coração e O que é, o que é, come pure perle del fratello Caetano Veloso della caratura di Dama do Cassino, Não identificado e Queixa. Tutto inciso nel corso della data casalinga del tour, tenuta il 12 e 13 marzo a Rio. Paolo Ferrari 10 primavera 2011 Sceglie una veste volutamente sobria, Calicanto, nel presentare il quattordicesimo lavoro in trent’anni di prestigiosa carriera. Primi a scavare nelle storiche relazioni sonore tra le sponde settentrionali dell’Adriatico, con accorto rigore da ricercatori, ma senza atteggiamento pedantemente filologico, intenti a riadattare la tradizione senza complessi (si ascoltino Pairis/Scottish saumonée e soprattutto O fia mia) ma non inseguendo effimere mode musicali. In più c’è la forza onirica, simbolica, visionaria di composizioni che sovente hanno come destinazione la scena teatrale. Ulteriore grande novità in Mosaico l’incontro riuscito con l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta e la scrittura del compositore Gianluca Baldi. L’iniziale Grechesca, ispirata a danze adriatiche dei secoli XV e XVI su testo plurilingue, o la speziata Vento di tramontana/Moresca arcana sono emblemi di un bel disco di gusto raffinato e fortemente stratificato sotto il profilo timbrico, contenente liriche tradizionali o di autori del territorio veneto (Andrea Zanzotto, Biagio Marin, Hugo Pratt): storie di ieri e di oggi di Venezia, della laguna, di genti adriatiche e mediterranee. Ciro De Rosa Jeana Leslie & Siobhan Miller Puoi scaricare gratuitamente il PDF di Mondomix Italia dal sito www.mondomix.com Maria Bethânia 43 EUROPA Microcosmo Dischi / Edel Una voce che canta in una lingua molto dolce (il portoghese brasiliano) e il suono della chitarra che l’accompagna. Celso Fonseca con questo suo nuovo lavoro Voz e Violao (CD + DVD) riesce a creare un’atmosfera talmente intima che più che alla registrazione live di un suo concerto tenutosi a Rio de Janeiro nel settembre 2009, si ha la sensazione di partecipare ad una serata fra amici con un omaggio ai successi dei più grandi nomi della musica brasiliana. Una volta tanto, l’affermato compositore anziché cantare brani di sua produzione si diverte a rileggere la musica altrui. Dei diciannove brani presenti, infatti, solo tre sono stati scritti da lui (Slow Motion Bossa Nova, Sorte e Febre). Pescando nell’immenso mare delle produzioni brasiliane Fonseca propone brani di Vinícius Cantuária, Erasmo e Roberto Carlos, Gilberto Gil e molti altri, oltre a una versione bossa di The fool on the hill dei Beatles. La colonna sonora ideale per un uggioso pomeriggio d’inverno. Elisabetta Sermenghi La Banda di Ruvo di Puglia Musica sacra della Settimana Santa Enja / Egea La scrittura bandistica dell’Italia del Sud, rivalutata in anni recenti, ha suscitato un inaspettato interesse nel mondo discografico e festivaliero legato alla musica world. Gli effetti dell’onda lunga sono percepibili anche nella presente produzione (tedesca), testimonianza di un live andato in scena nel 2009 nella basilica di SaintDenis. In programma sei marce funebri di Luigi Cirenei e dei fratelli Antonio e Alessandro Amenduni affidate alle cure della Banda di Ruvo di Puglia (con Pino Minafra al flicorno) diretta da Michele di Puppo. Le esecuzioni sono di alta qualità e non soffrono l’estrapolazione dal contesto originario della processione. Pathos, emozione e sentimento del dolore si intersecano e si sovrappongono senza sosta, innescando quel connubio tra sacro e profano, spirituale e materia a cui è impossibile restare indifferenti. Piercarlo Poggio Greentrax / IRD Sono alla seconda prova discografica, dopo l’interessante debutto del 2008, le due pluripremiate giovani folksinger scozzesi uscite dalla Royal Scottish Academy Of Music. Isolana delle Orkney Jeana (voce, violino, Hardanger, piano, armonium), originaria dell’area di Edimburgo Siobhan (voce, piano, danza). Il duo si concentra su un repertorio di ballate tradizionali scozzesi ed irlandesi e di canzoni contemporanee. Non difettano di personalità vocale le due cantanti, accompagnate da chitarre, mandolino, contrabbasso e percussioni. Shadows Tall guadagna pienezza e fantasia negli arrangiamenti, di piglio quasi sempre energico. Cattura l’apertura di Johnnie o’ Braidisleys, protagonista il pianoforte. Si prosegue con i passaggi aggressivi di chitarra elettrica in Trooper and the Maid. Ancora sequenze vincenti di piano nell’antiwar song The King’s Shilling e in Alexander, dove splende l’ugola di Jeana. Armonie vocali perfette in Buttermilk Hill, ma altrove cala un po’ il tasso di creatività e trapela un certo accademismo. Segna ancora un picco il medley strumentale orcadiano The Giant Set, dove svetta il violino, mentre nelle splendide Who Will Sing Me Lullabies? e The Great Valerio, rispettivamente firmate da Kate Rusby e Richard Thompson, restiamo ammaliati dalla superba voce di Siobhan. Ciro De Rosa 10 primavera 2011 44 FUSION Mondomix.com / RECENSIONI 45 ASIA Paolo Fresu, A Filetta Corsican Voices, Daniele di Bonaventura Mistico Mediterraneo Ecm / Ducale musiques et cultures dans le monde MIX MON DO ma Mi a AA VV Tradi – Mods vs. Rockers Crammed / Materiali Sonori La moderna tradizione dell’arcipelago Konono N° 1 e Kasai Allstars faceva gola a dj, produttori e remixer di tutto il mondo, per cui l’etichetta titolare dell’onda Congotronics ha pensato di organizzare la materia in un’uscita dal titolo un po’ stiracchiato ma dalla sicura resa emotiva. Ci sono nomi importanti del rinnovamento conosciuto nelle ultime stagioni dal mondo dei club, di cui si percepiscono gioia e rispetto nell’affrontare i manufatti d’Africa: Animal Collective in punta di piedi, Juana Molina in stile artigianato intergalattico, Skeletons enfatico nel sottolinearne i pregi ipnotici. Nel secondo disco, dominano la scena i 10’ di Shackleton su Kasai Allastars, seguiti da Eye contro Konono; ma in generale l’assortimento è vario e le soddisfazioni fioccano, non solo sulla pista da ballo. Paolo Ferrari On the way to Damascus Renaud García-Fons Méditerranées Enja / Egea Nato per mischiare musiche e unire e trascendere mondi il francese (di origini spagnole e italiane qui orgogliosamente rivendicate) Renaud García-Fons, “il Paganini del contrabbasso a cinque corde”, come lo ha soprannominato qualcuno: studi classici al conservatorio (e prima ancora di entrarvi suonava pianoforte e chitarra), un flirt con il rock nell’adolescenza, la passione per il jazz che finisce per prendere il sopravvento ma è un jazz in sempiterno dialogo con altre musiche. Principalmente etniche ma non solo, principalmente del Mediterraneo ma non solo. Qui invece sì ed è un viaggio straordinariamente fascinoso, che dal punto più a sud della penisola iberica giunge sino al Bosforo, per poi andare in Egitto e completare il cerchio tornando a Gibilterra. Eccellenti i musicisti che si rendono complici del Nostro, ma è il suo strumento il mattatore. Eddy Cilìa musiques et cultures dans le monde Barbès Records / Crammed / Materiali Sonori Strepitoso secondo volume di cumbias peruviane risalenti alla fine degli anni sessanta. Questa raccolta, che prende il nome da un liquore a bassa gradazione alcolica di origine Inca (Chicha), in realtà non è da considerarsi un sequel del precedente The roots of Chicha – 2007 ma piuttosto una integrazione al già pregevole lavoro uscito tre anni fa. In questo secondo volume, a dispetto delle originali sonorità amazzoniche, vengono presi maggiormente in considerazione l’aspetto urbano e le prime influenze cubane e andine che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione di questo tipo di musica. Esplosa alle fine degli anni sessanta nella città disseminate lungo la parte amazzonica del Perù, la cumbia amazzonica (poi chicha) fu un fenomeno profondamente urbano, incorporava folklore andino, musica creola di discendenza hispanica, guajira cubana e sintetizzatori moderni. Sedici brani molto gradevoli e trascinanti che ci condurranno a zonzo fra epoche e altitudini diverse. Elisabetta Sermenghi Nuova, fresca, giovane musica fiorita nello spirito del radîf classico, così che ritorna alla mente il verso del poeta Mowlana Jalâl ud-Dîn Rûmî (1207-1273): “In realtà dal frutto è nato l’albero”. Nella sua chiara sobrietà si dispiega qui quella naturalezza, elegante e senza tempo, dalla quale si sono allontanate le artificiose composizioni di certi gruppi alla ricerca di “nuovi approcci”. I brani composti dal direttore e solista Reza Ghassemi rifulgono in due suites – la prima in Bayat-e Tork, la seconda in Rast Panjgah – grazie ad un organico insolito: quattro liuti setâr (Ghassemi, Aydin Bahramlou, Babak Moayedoddin, Sepideh Raissadat) e il flauto ney haftband suonato da Javid Yahyazadeh. Su questo tessuto svettano i versi della poesia persiana classica (Mowlana, Sa’di, Hafez, e il più recente Savoji) cantati dalla giovane, toccante, magistrale voce di Sepideh Raissadat. Giovanni De Zorzi Emin Yagci Tulum. A sound from the Black Sea Vijay Iyer / Prasanna / Nitin Mitta FELMAY Act Lunghissimo, storicamente consolidato e nondimeno sempre fonte di sorprese il rapporto fra jazz e musica indiana, “due etichette inadaguate – ricorda Iyer stesso nelle note di copertina – a racchiudere una massa di informazioni e un archivio di conoscenze immensi… orizzonti di possibilità sconfinati”. Pianista di genitori indiani ma nato e vissuto sempre a New York, Vijay Iyer getta su questi orizzonti uno sguardo ovviamente precipuo, ben diverso – per dire – da quello di un John McLaughlin ma per certo non lo stesso nemmeno del pianista Prasanna, originario di Madras, o del tablista Nitin Mitta, di Hyderabad. Risiede probabilmente proprio nel confronto fra sensibilità diverse, ma capaci di trovare un’armoniosa sintesi, il segreto del successo di un disco che innesta le spigolosità del bebop nel contesto di intimismo cameristico che è del raga. Eddy Cilìa 8173_digipack0236.indd 1 10 primavera 2011 Felmay / Egea Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it P Felmay 2009 L’instancabile settantaquattrenne Lee “Scratch” Perry, una delle ultime icone del reggae internazionale, nel 2010 è tornato nelle sale d’incisione per proporci la sua Revelation. Grazie ai musicisti Steve Marshall e George Clinton il disco è ricco di arrangiamenti in perfetto stile dub ma l’eclettismo generale legato a un turbine infinito di parole buttate alla rinfusa non rende giustizia delle glorie passate del suo autore. Rispetto al precedente The Mighty Upsetter il vecchio Scratch sembra aver perso parecchio smalto. David Valderrama Buda Records / Felmay P Felmay 2011 Politur / Egea 14 Cheerful Pieces. Quatorze morceaux pour un redécollage fy 8173 10 primavera 2011 Revelation Ensemble Moshtaq The Roots of Chicha 2 – Psychedelic cumbias from Peru Tirtha Lee "scratch" Perry MIX MON DO ma Mi a AA VV Dodici Lune / IRD Da millenni la via di Damasco suggerisce ispirazioni a chi la percorre, anche solo con la fantasia. Nonostante questi tempi di disorientamento, restano gli artisti ad indicarci la direzione e Luigi Campoccia guarda verso est. Dopo avere acquisito strumenti e metodo dell’occidente, il pianista , tastierista e compositore toscano, usa gli ampi margini espressivi del jazz per inserirvi profumi e suoni che riportano ad una tradizione più antica, quella mediterranea, di cui Damasco è il simbolo e che affonda le sue radici nelle terre d’oriente. Da laggiù, dalla Turchia in particolare - Paese che si è sempre distinto per fattori linguistici, religiosi e sociali dal resto del Vicino Oriente - giungono il chitarrista Önder Focan (di formazione montgomeryana) e lo specialista di ney (antico flauto anatolico) Aziz S. Filiz, i quali adattano le rispettive tecniche e ispirazioni ad un progetto ibrido (oltre al jazz, echeggia il tango), contaminato e variegato. Da ascoltare sorseggiando te alla menta. Giulio Cancelliere musiques et cultures dans le monde MIX MON DO ma Mi a file under emin yağci turkey world music Luigi Campoccia In Corsica la corale A Filetta rappresenta una delle migliori espressioni della polifonia isolana. L’ensemble diretto da Jean-Claude Acquaviva nell’occasione incontra in campo aperto le improvvisazioni di Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura. L’etnojazz che ne scaturisce è piuttosto lontano dalle solite forme di crossover e punta con decisione verso il dettaglio delle coloriture e la cura dei particolari timbrici. Situazioni ad effetto non ve ne sono: l’interazione fra le voci incantatorie di A Filetta, il flicorno di Fresu e il bandoneon di Di Bonaventura è improntata a un’intimità fatta di ascolti reciproci. E se Mistico Mediterraneo può per certi versi essere accostato a esempi illustri (Garbarek/ Hilliard, ad esempio) per altri se ne distacca decisamente in virtù di una maggiore concretezza. Piercarlo Poggio L’anno si apre per la Felmay con un disco pionieristico, tutto dedicato ad uno strumento poco noto e ben poco registrato come la zampogna (organologicamente un “aerofono a sacco con bordoni”) tulum, diffusa in Turchia lungo coste del Mar Nero. Il tulum risuona soprattutto, ma non esclusivamente, tra i Lazi (Lazlar) gruppo etnico che vive lungo le regioni costiere del Mar Nero a cavallo tra Turchia e Georgia, in repertori per la festa e la danza. All’ascolto del primo brano si è colpiti dalla vicinanza con il mondo macedone, bulgaro, quasi il tulum fosse un testimone sonante dell’antica Tracia. Riporta al presente l’energia e l’intensità dello straordinario performer, cantore e poeta Emin Yagci, spesso affiancato da altri strumenti tradizionali come il liuto baglama o la viella kemençe, registrato ad Ankara grazie ad una complessa iniziativa coordinata da Francesco Martinelli e Cenk Güray ai quali si devono le esaustive note di copertina. Giovanni De Zorzi 24-11-2010 14:41:04 fy 81676 Mondomix.com / RECENSIONI file under lalgudi GJR krishnan anil srinivasan south india world music Felmay / Egea fy 81676 22-11-2010 12:45:19 Ravi Shankar Ustad Shujaat Husain Khan Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it Pejman Hadadi Hermes Records / Egea Hossein Alizadeh (1950) è forse il più popolare solista (liuti târ e setâr), compositore e didatta della nuova musica persiana. La fama gli deriva soprattutto dalle composizioni assai amate in patria. Monad, invece, è tutto incentrato sull’improvvisazione e sull’irripetibile, unico, istante senza tempo che Alizadeh definisce “monade” con termine della filosofia classica. La registrazione coglie l’incontro con il più giovane, sensibile e attento percussionista Pejman Hadadi (1969) avvenuto nella primavera del 2007 in due sessioni dal vivo: la prima in avâz-e Dashti, la seconda in avâz-e Isfahan. L’incontro viene poi suddiviso in 15 tracce/ quadri impressionisti dalla mirabile resa sonora (marchio Hermes). Svincolata dall’aspetto funzionale che essa può svolgere in una suite, l’improvvisazione dilatata sembra qui illustrare il motto della Hermes “musica per la musica” e, allo stesso tempo, il particolare gusto – appassionato, tutto di chiaroscuri – con il quale Alizadeh si allontana dalla sobrietà dei classici. Giovanni De Zorzi Navà Ensemble Hilat FinisTerre / Felmay Navà è un Ensemble che riunisce iraniani e italiani nell’amore per la musica persiana. Il repertorio del disco è costituito quasi esclusivamente da nuove composizioni di Pejman Tadayon (voce, liuti târ, setâr, bamtâr, ‘ud e…calligrafie) che si ispirano al genere vocale tasnîf, misurato ritmicamente, di carattere classico/leggero e affine alla “canzone”. Il gruppo è composto poi da Reza Mohsenipoor (târ, bamtâr), Hamid Mohsenipoor (tamburo a calice zarb/tombak), Paolo Modugno (tamburi a cornice daf, dayereh; tamburo cilindrico dohol) e Martina Pelosi (voce). Ospite in un brano Shideh Fazaee al daf. I testi provengono dai maestri della poesia persiana (Hafez, Rumi, Khayyam) e dal più recente Nima. Registrato a Roma, all’Oasi Studio di Paolo Modugno, il disco è un ottimo esordio per un Ensemble nato da poco e a cui si fanno i migliori auguri. Giovanni De Zorzi P Felmay 2009 Hossein Alizadeh Shujaat Husain Khan (1960) è un celebre compositore e solista di sitar con una sessantina di incisioni all’attivo. Non dev’essere facile portare sulle spalle una genealogia come la sua: figlio del leggendario sitarista Ustad Vilayat Khan, il nonno era Ustad Enayat Khan, il bisnonno Ustad Imdad Khan, il bis-bisnonno, Ustad Sahebdad Khan. Tutti esponenti della nobile genealogia musicale (garana) Imdadkhani. Di questa responsabilità Shujaat Khan sorride amabilmente sin dalla copertina interna del mirabile disco articolato in tre brani: i primi due (Alap e Gat) in Raga Gujiri Todi mentre il terzo, Ek Prakar, è una ninna nanna toccante ed ispirata in Raga Todi. Ovunque, le sue improvvisazioni dimostrano uno stile fluente, articolato e personalissimo. Ogni parametro dello strumento è padroneggiato, la dinamica va dall’infrasuono alla strappata e il virtuosismo non è mai fine a se stesso. L’invenzione è costante e profonda. Eppure, come se non bastasse, ecco arrivare dal nulla la sua voce sognante, rotonda e ammaliante su versi in urdu di ispirazione sufi. Nel disco il maestro è accompagnato dal tablista Federico Sanesi, ammirato e lodato dai maestri indiani, faro di riferimento per ogni musicista italiano che si confronti con una tradizione orientale. Giovanni De Zorzi P Felmay 2011 Raffinate e insieme croccanti, le produzioni Accord Croisés accontentano anche stavolta la clientela. La nuova proposta è un documento del settembre 2008 realizzato da Frédéric Le Clair: Ravi Shankar a Parigi, per quello che era stato programmato essere l’addio del maestro all’Europa. Nella capitale 8176 francese, digipack.indd che 1 lo aveva visto esibirsi in passi di danza a undici anni, Shankar chiude il cerchio offrendo a un rapito uditorio una speciale “lezione” sulla musica classica indiana. Sul palco della Salle Pleyel, ironico e brillante nel linguaggio, Shankar racconta e spiega differenze e similitudini sonore tra il nord e il sud del suo paese. Attorno a lui, a esemplificarne il pensiero, la figlia Anoushka (sitar), Tanmoy Bose (tabla), Sanjeev Shankar (shehnai), Ravichandra Kulur (flauto), Sanjay Sharma e Kenji Ota (tanpura). Il dvd contiene in aggiunta altri due filmati. In uno viene tratteggiata una rapida biografia dell’artista mentre nel secondo troviamo sintesi di concerti presentati di recente al Ravi Shankar Centre di Nuova Delhi. In tale contesto si segnalano le esibizioni di Manjiri Asanare-Kelkar, cantante khayal, e dei fratelli Lalgudi, violinisti carnatici. Piercarlo Poggio 10 primavera 2011 Felmay / Egea 22-11-2010 14:36:49 Come molti italiani, non sono amico delle lingue straniere. Cerco di scherzarci su, dicendo che sono rigidamente monoglotta, ma è una maniera di dissimulare il fastidio per una cosa che, naturalmente, mi disturba. Tuttavia, sono attratto dalle situazioni in cui la comunicazione non può svolgersi secondo il meccanismo abituale. Quando accade, ho l’impressione di essere in un mondo che non è proprio quello solito. Cerco di spiegarmi. Una volta un amico voleva convincermi a presentarmi fingendomi un altro ad un liutaio che mi aveva promesso un violino che non arrivava mai. Eravamo ad un punto morto: secondo il liutaio il violino Il primo brano, Sudhamayi di Muthiah Bhagavatar, nel non era mai quello giusto per me ed io, che di violini invece raga pentatonico Amritavarshini, che annuncia l’arrivo ne avrei concupito più d’uno, non mi sentivo di far forza della pioggia, inizia con un ciclo armonico punteggiato dal sulla situazione per il rispetto che avevo per lui. Quel che violino di Lalgudi. La sequenza, per qualche ragione, non sosteneva il mio amico era che se avessi osservato la realtà Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 sanè germano AL • italy con gli occhi di un altro forse avrei intravisto una soluzione. sembra funzionare – il violino di Krishnan non così sciolto FELMAY Per fare le cose per bene, suggeriva di fingersi straniero - io, 0142 50577 faxand +39il 0142 [email protected] www.felmay.it come ph. nel+39 resto dell’album piano50780 è sovraccaricato. Quando arrivano al Kriti (composizione) le cose si sono appunto, che parlo solo l’italiano -, e per rendere credibile la recita incominciò, in un incredulo scompartimento di treno, sistemate e il suono diventa accattivante. Il seguente raga, Saramati, è il brano migliore dell’album ad allenarmi a parlare una lingua inventata lì per lì. Buffo, no? basato sulle ricche armonie di Anil e sul grande controllo Del resto, tutti noi conosciamo anche lingue inconsapevoli. Ho assistito al dialogo tra un bambino così piccolo da non di che il violino di Lalgudi ha sul raga. E’ interessante che il Cd comprenda una rara composizione saper ancora parlare e una bimba appena più grandicella. di Dandapani Desikar, Arulla vendum. Il violino attraversa La bimba aveva da dirgli non so cosa, il piccolo sgranava gli la struttura asimmetrica del raga con grande bellezza occhioni, ma non si intendevano. Alla fine la bimba è stata atterrando al momento e nel modo giusto, e il piano è li, costretta alla resa e ha chiesto aiuto a un terzo, piccolo insieme a lui sottolineando così perfettamente le peculiarità altrettanto: “Spiegaglielo tu, che parli la sua lingua”. E i due, a ruttini e squittii, si sono intesi benissimo. Capirete di Saramati. Le percussioni Carnatiche tendono a modellare le bene che non potrei nemmeno volendo avere la pretesa di composizioni con ritmi molto ornati. Scegliendo i leggeri spiegarvi su quale terreno si sia potuta realizzare l’intesa sussurri della kanjira (percussione simile ad un tamburello) tra un illustre violinista dell’India meridionale, erede di una di BS Purushottam invece che il rimbombo del più classico tradizione secolare, e un pianista che ha fatto quelli che mridangam, Anil ha trovato la formula giusta per questo potremmo chiamare “studi regolari”. O, piuttosto, su quale terreno si sia potuta realizzare l’intesa tra i loro strumenti, tipo di musica. In Akhilandeswari , il brano che segue, i tre musicisti che non si erano mai incontrati e che forse hanno guidato i insieme creano un affascinante ambiente sonoro in cui la loro esecutori. Certo, né l’uno né l’altro, parlo del violinista melodia a tratti, ma molto raramente, è punteggiata della e del pianista, sono stati in questa occasione quel che sono abituati ad essere. Solo dopo aver ascoltato il disco battito della kanjira. per intero ho letto le note, e ho imparato di aver ascoltato Il brano successivo, il corposo Meenakshi in raga Purvi composizioni dei più importanti musicisti della tradizione Kalyan di Muthuswami Dikshitar è preceduto da una breve carnatica. Potevano essere improvvisazioni del violino, per introduzione (alapana). l’accompagnamento in questa il mio orecchio di musicista classico, sostenute e in un certo porzione toglie all’alapana la sua caratteristica mancanza senso “spiegate” dalla trama armonica del pianoforte e di di forma, che costituisce il suo ossigeno. Quando si arriva qualche discreta percussione, racchiuse in un involucro che, alla composizione (kriti) un senso di fatica si impossessa solo per rassicurare, conserva - o assume - della tradizione dell’ascoltatore – non c’è abbastanza in termini di varietà occidentale qualche segnale narrativo. Per il resto, non nell’album da mantenere l’interesse. Molte delle canzoni saprei trovare parole per descrivere il senso di sospensione di questa musica, che lungo l’ascolto si muove su un sono nello stesso tempo, molti ornamenti sono ripetitivi. sentiero armonico dolcissimamente arcuato, per le ripetizioni L’album si conclude con un Thillana in Mishra Maund, continue e mai ossessive, per quel tanto di indulgenza che composizione del padre di Krishnan, Lalgudi G Jayaraman. mi pare di cogliere nel track 7, che inizia col solo pianoforte Qui il piano lascia che l’alapana sia più piacevole, leggera. in un’atmosfera notturna quasi da jazz club, a cui il violino Purtroppo l’accompagnamento del Thillana non sottolinea si unisce rinunciando ad essere la guida e, per una volta, accompagnando. Non so, e non colgo il senso dell’inizio e a dovere la struttura ritmica mancando le giuste cadenze. della fine in questa musica che non so se esisteva prima e Eternal Light si rivela così un album con i suopi momenti se esiterà in futuro, e che mi sembra potrebbe continuare e cerco solo per la superlativa resa di Arulla Vendum e ancora chissà quanto; io l’ascolterei volentieri. Fulvio Luciani Akhilandeswari, vale il suo costo è un violinista con “studi regolari”. Concepisce la sua attività come un piccolo e specializzato laboratorio di V. Ramnarayan ricerca, ed è curioso di tutto. Suona quel che gli piace e lo Caporedattore di Sruti, interessa e insegna al Conservatorio di Milano. la più importante rivista di musica classica indiana Anil Srinivasan è uno dei più interessanti musicisti dell’India del Sud. Ha studiato la musica classica Occidentale e è cresciuto con quella Carnatica (dell’India del Sud), conosce e risponde ai due oceani musicali. La sua collaborazione con Sikkil Gurucharan ha creato molta attenzione e questo CD, Eternal Light, con Lalgudi Krishnan al violino, è un esempio del livello che Anil ha raggiunto nell’ambito della musica Carnatica nella sua forma più classica e nello stesso tempo aperta alle armonia Occidentali. fy 8176 8176 digipack.indd 1 Dil P Felmay 2009 P Felmay 2011 FELMAY MIX MON DO ma Mi a fy 8176 L’extraordinaire leçon DVD Accord Croisés / Ducale musiques et cultures dans le monde MIX MON DO ma Mi a P Felmay 2009 file under ustad shujaat husain khan india world music musiques et cultures dans le monde P Felmay 2011 Felmay • strada roncaglia 16 • 15033 san germano AL • italy ph. +39 0142 50577 fax +39 0142 50780 [email protected] www.felmay.it fy 8165 FELMAY L'incontro fra due strumenti tipici della tradizione classica occidentale, pianoforte e violino, qui nelle mani di due musicisti indiani alle prese con un repertorio di musica Carnatica ci ha spinto a chiedere a due diversi recensori, uno Occidentale e l'altro Indiano, la loro opinione sul progetto. file under ustad shujaat husain khan india world music Lalgudi GJR Krishnan & Anil Srinivasan Eternal light 8165 digipack copia.indd 1 47 ASIA fy 8165 46 10 primavera 2011 48 LIBRI Mondomix.com / RECENSIONI tra vecchio e nuovo, storia e fiction, guerre civili e civiltà dell’arrangiarsi, il cinquantenne autore portoghese di natali angolani balla con maestria su una storia inevitabilmente intrisa della propria natura intercontinentale. Paolo Ferrari Le donne di mio padre José Eduardo Agualusa La Nuova Frontiera 2010 370 pp., € 17,50 Una donna portoghese parte per l’Africa sulle tracce di quello che le dicono essere il suo vero padre. Un avventuriero contrabbassista sciupa femmine, defunto senza per questo impedire a lettore di innamorarsene a prima vista. Per contarne i figli, o i presunti tali, ci va il pallottoliere; per accogliere l’uragano di sensazioni musicali che flagella i brevi capitoli occorrerebbe un iPod da 16 giga. Faustino Manso e lo swing suonato con il suo saggio pianista senza mani, lo spirito caciarone delle marrabenta mozambicane, la furia del kuduro angolano che uno dei tre viaggiatori porta nel cuore dai sound system d’Angola. Le due grandi ex colonie di Lisbona sono tratti essenziali di questo romanzo on the road, dove le piste rosse della savana si alternano ai grandi viali sudafricani, al tratto da guscio di noce che porta alla Ilha de Moçambique, tappa finale (preziosa la mappa dettagliata del tour in apertura del volume) della giovane e lacerata ciurma partita da quello specchio dell’Africa lusofona che è il Brasile. Tra rapper ubriachi per le strade di Luanda e inni politici, orchestrine male in arnese e mito di Casablanca, barzellette sul contrabbasso e vecchi 78 giri introvabili, la narrazione scorre attuale e nervosa. Ci si affacciano persino le Brigate Rosse, si bevono cocktail energetici, i VpS A5-10-10:manchette 25/10/10 12:39 Pagina 1 si cita Bilal; in bilico Credito ai contadini Sovranità alimentare in Italia Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. DL. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1 CNS/CBPA/TORINO - agosto settembre 2010 - anno XXV - foto: Bilderberg La sfida alle oligarchie del cibo Viaggi e altri viaggi Antonio Tabucchi I narratori – Feltrinelli 2010 272 pp., € 17,50 Uno strano libro di viaggi che non parla solo di viaggi in senso stretto ma soprattutto di emozioni e della loro perenne trasformazione al contatto con le situazioni che tocchiamo durante lo spostamento. Ecco quindi un luogo apparirci piacevole o inadeguato a seconda della nostra disposizione interiore verso l’incontro. Lo stesso vale anche per le persone o le parole scritte. Un libro per chi ama curiosare col cuore e con la mente universi attigui filtrati dalla propria esistenza e perdersi nei meandri delle suggestioni, dei ricordi e delle assonanze che l’autore riesce continuamente ad evocare creando, in pratica, un ulteriore viaggio dentro al viaggio. Elisabetta Sermenghi La rivista di chi abita il mondo Reportage e notizie dai cinque continenti, progetti di solidarietà, ricerca volontari delle associazioni, proposte di turismo alternativo, viaggi responsabili e molto altro... DIVORATORI DI FUTURO Come riappropriarci di quel che mangiamo VpS Volontari per lo sviluppo La rivista di chi abita il mondo www.volontariperlosviluppo.it social: Ci trovi anche su VpS èFacebook e Twitter! Sfoglia anche online il nostro numero speciale su alimentazione e agricoltura: dalle sfide italiane a quelle mondiali, con esempi e indicazioni pratiche per passare dall’idea di sicurezza alimentare (avere cibo) a quella di sovranità alimentare (avere il controllo su come procurarselo). Cosa trovi in questo numero: PRIMO PIANO ITALIA AFFAMATA Latifondi e cementificazione mettono a rischio il Belpaese REPORTAGE SEMI-LIBERTÀ Gli effetti dei brevetti sulle sementi DOSSIER PALATI FINI La sovranità alimentare in Italia riconquistata dalla società civile Per copia omaggio 011/8993823 [email protected] Per ricevere la rivista tutto l’anno il contributo è di 28 Euro, da versare sul ccp 37515889 intestato a: Volontari per lo Sviluppo, Corso Chieri 121, Torino 10 primavera 2011 49 49 VISIONI Hereafter 2010 Regia Clint Eastwood Sceneggiatura Peter Morgan Musica Clint Eastwood Attori Matt Damon, Cécile de France, Bryce Dallas Howard Jay Mohr, Mylène Jampanoï Per avere il coraggio di infrangere il tabù per eccellenza e domandarti e domandarci:‘ma cosa c’è dopo la morte?’ devi essere una leggenda vivente ottantenne che ha diretto di tutto, dal western al biopic, alla fantascienza epica, alla tragedia shakespeariana moderna, alla commedia romantica, al thriller, per citare alcuni dei generi frequentati dall’Eastwood regista, dal 1971 a oggi. Forse dopo c’è un altro stato in cui ci ricongiungeremo alle anime dei nostri cari, non più limitati dal corpo: così sembrano dirci le visioni premorte di una giornalista (Cécile De France), quelle di un sensitivo (Matt Damon) o la speranza di parlare col gemello morto di un bambino. Non ci sono certezze nel vagare e soffrire dei personaggi, che scoprono che si può contare solo sulla comprensione e l’amore che ci possiamo dare l’un l’altro finché siamo vivi. Certo il film è molto di più. È la straordinaria sequenza in cui viviamo uno tsunami improvviso con la giornalista Marie e ci sentiamo travolti e sbattuti contro ogni genere di ostacolo. È il mesto George che non vorrebbe più sentire i segreti della gente solo prendendo loro le mani e ricevendo le voci dei loro morti (come la veggente del bel romanzo di Matteo B. Bianchi Apocalisse a domicilio). È la storia di Marcus, che ha perso il fratello, affidato a una nuova famiglia, perché la madre è tossicodipendente. Ma non temete: Eastwood continua a saper raccontare i sentimenti con pudore e misura, senza faciloneria. Questo bel film si interroga con onestà sulle occasioni perdute nella nostra vita terrena e sulla speranza nella sopravvivenza dell’anima; su un forse e su quello che, almeno qui e ora, possiamo cercare di conquistarci. Paola Valpreda guatemalteco) fino a due film molto belli: Winter’s Bone di Debra Granik (che ha vinto) e Portretul luptatorului la tinerete di Popescu. Il primo è un ritratto di un’America povera, violenta e brutta, pur con qualche speranza affidata a una giovane donna e alla solidarietà femminile, in un desolato Missouri le cui atmosfere ricordano Frozen River. Il secondo, ambientato nella Romania degli anni ‘50, è una toccante riflessione sul tentativo di mantenere la dignità umana sotto una dittatura; intercala disposizioni ufficiali su come spiare tutti i cittadini e utilizzare i delatori alle avventure di un gruppo di partigiani. Eroi giovani, belli e coraggiosi, in mezzo a una montagna ostile ma affascinante, braccati da un intero esercito, consapevoli che la loro ribellione è destinata alla sconfitta. Uno di loro, che desidera avere dei figli, dice che non vuole dover rispondere loro, quando gli chiederanno cosa ha fatto sotto la dittatura, un umiliante ‘niente’: riflessione che dà da pensare anche a noi, in tempi e luoghi diversi. Tra i film non in concorso segnaliamo, oltre a Hereafter , 127 hours di Boyle, sui limiti umani e la spettacolarizzazione, con James Franco che, bloccato in un canyon da un masso sul braccio, filma la sua agonia, immaginandosi protagonista di un talk show; Kaboom di Araki, divertente, autoironica e rutilante girandola sulla passione e paura americana per e dei complotti planetari; The Ward di Carpenter, in cui il maestro riesce a farci tremare con un horror vecchio stile; Suck di Stefaniuk, con i musicisti di una band disposti per il successo a diventare vampiri, mentre il roadie fa sparire i cadaveri (tra gli attori Henry Rollins, Alice Cooper e Moby come cantante di una band metallara i cui fan gettano carne cruda sul palco); infine Caterpillar di Wakamatsu, su un reduce di guerra giapponese che ha perso tutti gli arti, la parola e l’udito, ridotto a un pezzo di carne e ai suoi bisogni elementari: sua moglie, indottrinata all’orgoglio di avere in casa un eroe di guerra, inizia a dubitare della propaganda patriottica, quella stessa che fa credere ai Giapponesi che vinceranno la seconda guerra mondiale fino alla vigilia di Hiroshima. Paola Valpreda TFF 28 Il 28esimo Torino Film Festival (diretto da Gianni Amelio) ha ben colto lo spirito dei nostri difficili tempi: arti mozzati o personaggi incompleti e dolenti, amputati psicologicamente, sono elemento comune a tanti film. I 16 film in concorso, però, sono stati di qualità altalenante. Si va dalla banalità da fiction televisiva di Henry di Piva, all’ideuzza da corto strascicata a lungometraggio (Vampires, mockumentary sulla vita quotidiana dei vampiri) alle storie già viste e riviste (White Irish Drinkers), a lavori interessanti come Four Lions (amara commedia su quattro scalcinati terroristi islamici) o Las marimbas del infierno (docudrama 10 primavera 2011 50 51 Cuba Mondomix.com La World Music che non sapevamo di avere in casa Catch A Fire B o b M a r l e y & T h e Wa i l e r s di Eddy Cilìa Sui perché della fama globale di Bob Marley ci si interroga da quando nulla sembrava potesse fermarlo. Questione certo di canzoni di poesia e innodia straordinarie e di una presenza scenica rimarchevole, ma soprattutto una faccenda di carisma. Predicatore sul palco con parole semplici che tutti potevano comprendere, eppure di una profondità tale da prestarsi a letture metaforiche. Portatore di una visione spirituale condivisibile come afflato anche da chi è lontano dalla fede rasta. Esempio insuperato del levarsi in piedi di quella parte di pianeta demograficamente dominatrice ed economicamente e culturalmente prevaricata che domanda che la sua dignità venga infine riconosciuta. Ecco perché, in Africa come in Asia o nell’America Latina, Robert Nesta Marley è un simbolo di riscatto prima ancora che un divo del pop. Nella nostra parte di mondo alla sua sopravvivenza hanno contribuito invece il fascino romantico dell’artista che muore giovane e la trasversalità dell’impatto. A cavallo fra Settanta e Ottanta Marley era l’unico che metteva tutti d’accordo: veniva ballato in discoteca ed era amato dai punk che disprezzavano la dance ed erano stati catturati dal reggae via Clash, era colonna sonora di feste come di cortei, interiorizzato da ciascuno come tesoro personale, eppure capace di riempire gli stadi. Andarono in centomila ad ascoltarlo a San Siro nell’estate 1980, il suo concerto più affollato e uno degli ultimi, e chi non c’era non potrà mai capire appieno l’impatto che ebbe in quegli anni. Nondimeno l’universalità del messaggio ha trasceso i decenni e chi si accosta oggi alla sua musica ne può certamente restare emozionato come chi ne fu stregato in diretta. Anche avendo l’età giusta, pochi possono però raccontare 10 primavera 2011 1) che a fare scoprire loro Marley fu Catch A Fire e, 2), che accadde proprio nell’anno in cui veniva pubblicato, il 1973. Il disco in realtà non vendeva che quattordicimila copie in Gran Bretagna nei primi dodici mesi nei negozi e molte meno nei restanti paesi europei. Se il patron della Island Chris Blackwell non avesse avuto una fede assoluta in un artista che conosceva da ben prima del giorno in cui si era presentato nel suo ufficio londinese, la storia della popular music come oggi la conosciamo sarebbe incredibilmente diversa. Ma Blackwell perseverava. Se Catch A Fire sul momento vendeva pochino era perché costituiva una novità che richiedeva tempo per essere metabolizzata. Se non poteva in compenso che divenire in prospettiva la pietra d’angolo della leggenda marleyana è perché in esso gli elementi costitutivi di codesta già ci sono tutti. Ci sono le canzoni. C’è il suono. Saggia decisione in ogni caso, quella di Mister Island, di mettere le mani nel missaggio. Sapeva bene, e Marley evidentemente concordava, che le platee euro-americane non erano avezze alle ruvide sonorità giamaicane e che, dovendo già fare digerire loro la battuta in levare, sarebbe stato opportuno levigarle, insaporendo nel contempo la pietanza con le familiari spezie del rock. Se era un piccolo colpo di genio la pensata di introdurre il cupo paesaggio di desolazione urbana di Concrete Jungle con un preludio di gusto psichedelico, che per qualche secondo cela all’ascoltatore l’incedere reggae, rappresentavano intuizioni non meno brillanti il sistemare piuttosto avanti le tastiere, evidenziandone il piglio rhythm’n’blues, e la sovraincisione di assoli di chitarra nella stessa title-track, nella ninna nanna Rock It Baby, nella sinuosa e sessualmente esplicita Stir It Up. Scrematura del repertorio dei cinque anni precedenti con poco di nuovo in assoluto, l’album è un’ininterrotta sfilata di classici e il ritratto più accurato immaginabile, in nove canzoni e trentasei minuti, di quei Wailers: qui maliziosi e là moralisti; qui evocanti la tragedia della schiavitù sciorinando gospel su sincopi radenti il funk (Slave Driver) e là censori su una scansione dondolante delle drogate lordure di Londra (Kinky Reggae). Quando non Impressions caraibici (Stop That Train) con l’astuzia di rubare una linea di basso a Isaac Hayes e un verso ai Beatles (No More Trouble). 10 primavera 2011 Ossigeno Digital Distribution alcune nostre promozioni Mirco Menna & Banda di Avola …e l’italiano ride Merle-Anne Prins-Jorge & Raul Colosimo Voicelink Gai Saber Angels Pastres Miracles Bregada Berard Bon Nadal Occitania Brusco L'erba della giovinezza Remo Anzovino Igloo Paula Morelenbaum Telecoteco (um sambinha cheio de bossa…) Mamud Band Opposite People The Music Of Fela Kuti Birkin Tree Virginia Novità Home page World Canada, USA e Italia - iTunes Banner Home page World Australia- iTunes Massimo Bubola & Circolo Sociale del Liscio Romagna nostra Lucilla Galeazzi Ancora bella ciao Gamelan of Central Java XIV. 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