10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 10 S tudi e commenti | FILOSOFIA La filosofia moderna, l’uomo moderno e la Chiesa Intervento di mons. Peter Henrici al Congresso internazionale sulla modernità La filosofia moderna – con la sua attenzione al singolo esistente «che Dio crea per liberissima volontà amorosa e continua ad amare nella sua singolarità» – come «la prima filosofia di origine specificamente cristiana». Così mons. Peter Henrici, vescovo emerito di Coira e docente emerito di filosofia alla Gregoriana, ha aperto il suo intervento al Congresso internazionale sulla modernità (cf. Regno-att. 22,2011,736ss) organizzato dalla stessa università dei gesuiti. Rileggendo la storia sotto la prospettiva filosofica, Henrici ricostruisce in modo efficace – dalla svolta del cogito di Descartes alla «rivoluzione copernicana» di Kant – i tratti salienti dell’uomo moderno delineandone due figure tipiche, «l’imprenditore e lo scienziato, l’uomo del fare e del produrre, e l’uomo del progettare la costruzione di un mondo secondo le proprie idee», figure tra le quali si staglia l’homo religiosus moderno, «uomo dell’angoscia esistenziale e della fede fiduciale, il “singolo” che nella sua interiorità si trova confrontato con Dio in assoluta solitudine». La panoramica di Henrici mostra, spingendosi fino al Novecento, le direttrici lungo le quali si può parlare di una «modernità recuperata dalla Chiesa», singoli fedeli e magistero. È Stampa da supporto digitale in nostro possesso. Sottotitoli redazionali. IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 stato chiesto a un filosofo di riassumere e di concludere in qualche modo i discorsi fatti in questo Congresso su Chiesa e modernità. Il filosofo, si pensava, generalista per definizione, potrà tirare le somme dei vari e ricchi contributi specialistici che sono stati proposti. Ciò evidentemente non sarà possibile, data l’ampiezza e la diversità delle tematiche toccate. Quello che si potrà fare è riesaminare quasi a volo d’uccello il vasto territorio della modernità per vedere poi come la Chiesa cattolica si è mossa, si muove ancora e dovrà muoversi in futuro su questo territorio. La visione proposta inevitabilmente sarà parziale, nel doppio senso che potrà toccare soltanto una ristretta parte dei problemi e che la scelta di quella parte sarà condizionata dalle preferenze e dalle prospettive personali del relatore. In questi limiti si proporrà qui una specie di editoriale post textum, concepito con lo sguardo del filosofo. I. La «via moderna»: la prima filosofia di origine cristiana Un’attenzione moderna e cristiana 1. Non è certamente fuori tema considerare la modernità in prospettiva filosofica. Non solo dal punto di vista linguistico la modernità prese il suo avvio dalla «via moderna», ma anche nelle sue strutture ideali. Dalla «via moderna» dipende non solo quasi tutta la filosofia moderna,1 ma anche quello che si potrebbe chiamare la teologia specificamente moderna, cioè quella di Lutero e di Calvino e dei loro seguaci fino a oggi. Da parte di autori cattolici benpensanti si soleva dire ogni male del cosiddetto «nominalismo» occamista – tanto perché si contrapponeva alla «via antiqua», più volte ringiovanita nei tempi moderni, quanto a causa della riforma protestante che il nominalismo ha generato. A tale giudizio negativo sfuggono però le premesse teologiche specificamente cristiane della «via moderna». Mentre la filosofia dei cristiani fino a quel tempo era stata un adattamento della filosofia antica alle esigenze della fede cristiana (in particolare alla concezione di Dio creatore del mondo ex 10 10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 11 nihilo), la «via moderna» partiva dall’idea specificamente cristiana che Dio crea ogni singolo essere finito per liberissima volontà amorosa e continua ad amarlo nella sua singolarità, idea già prefigurata nel pensiero, ugualmente francescano, di Duns Scoto. In questo senso, la «via moderna» sarebbe da stimarsi piuttosto come la prima filosofia di origine specificamente cristiana. Che questa filosofia di origine cristiana abbia poi dato occasione a sviluppi tutt’altro che cristiani, questo sembra essere dovuto a quella caratteristica che la distingue da ogni altra filosofia precedente e che la rende specificamente «moderna» e «cristiana», vale a dire l’attenzione per ogni singolo esistente. Per la «via moderna» l’esistenza del singolo è il prototipo dell’essere come tale. Tanto il platonismo quanto l’aristotelismo e lo stoicismo, come anche i loro derivati cristiani avevano sempre considerato l’universale, l’idea platonica, l’ordine cosmico o le idee divine come fondamentali e primarie. L’universale è l’oggetto principale della mente umana, la quale si impegna a comprenderlo, costituendo la scienza e le scienze, che saranno sempre scienza dell’universale. Contro tale tradizione millenaria universalista e intellettualista, la «via moderna» proclamava il primato del singolo come primo conosciuto e primo intento. Questa scelta sembra risultare dal primato attribuito all’amore e dalla conseguente prospettiva volontarista. L’amore e la volontà si rivolgono infatti sempre al singolo esistente e non sanno che fare con un universale lontano e astratto. Sul piano della conoscenza tale prospettiva comporta però il pericolo del sensismo, perché soltanto i sensi sono in grado di cogliere il singolo nella sua concretezza. Nella modernità, il sensismo si camufferà non di rado da «interiorismo» sentimentale. terraneo, diviso in due territori, cristiano e islamico. Quasi contemporaneamente2 lo stesso universo, finora pacificamente tolemaico, scoppiava in un universo infinito, senza limiti, spostando la terra dalla sua posizione centrale e immobile. Questi cambiamenti, sopravvenendo l’uno dopo l’altro, possono spiegare una certa insicurezza esistenziale dell’uomo moderno, a differenza dell’uomo medievale che trovava la sua sicurezza nella cristianità e in pratiche religiose o parareligiose. Tale insicurezza esistenziale era fomentata in sottofondo da due aspetti teologici della «via moderna». Dalla concezione che Dio abbia creato ogni singolo essere per liberissima sua volontà, si poteva dedurre una responsabilità di Dio per tutto ciò che accade nel mondo, sia in bene che in male. Nasceva il problema della teodicea, imponendosi in modo tanto più incalzante per il fatto che la volontà di Dio, immensa per natura sua, non poteva limitarsi a quello che Dio effettivamente creava (la sua voluntas ordinata), ma doveva estendersi, come voluntas absoluta, a un’infinità di altri possibili oggetti del suo volere, ovvero a un’infinità di altri mondi possibili. Tra questi, l’«ottimismo» leibniziano cercherà di dimostrare che il mondo realmente esistente è il migliore possibile. Il gesuita Boscovich, di cui ricordiamo quest’anno il tricentenario della nascita, poteva invece dedurne l’uguale attendibilità di un universo copernicano coesistente con un universo tolemaico, aprendo così la strada per la riabilitazione del Galilei.3 Comunque sia, per i teologi moderni, dietro quello che è manifesto di Dio per la creazione e per la rivelazione, può celarsi un «Dio nascosto» la cui «onnipotenza» ispira più apprensione che fiducia. Anche questo aspetto poteva rendere profondamente insicura la vita dell’uomo moderno. Insicurezza esistenziale e salvezza personale Nel frantumarsi della prospettiva universale 2. Contemporaneamente al venir meno della prospettiva universalista nella filosofia, anche l’ambiente di vita dell’uomo moderno andava man mano frantumandosi. L’unità (più ideale che reale) dell’Impero romano-germanico perdeva d’importanza di fronte agli stati nazionali, in primo luogo la Spagna e il Regno di Francia. Poi, con il venir meno del latino come mezzo di comunicazione, anche le diverse culture e le varie filosofie nazionali si separarono sempre più l’una dall’altra. La filosofia italiana, la filosofia francese, la filosofia inglese e la filosofia tedesca del Seicento, Settecento e Ottocento avranno sempre meno in comune tra loro, malgrado un crescente scambio letterario. L’uomo moderno vivrà in un ambiente culturale più limitato rispetto a quello medievale, in un’esistenza per così dire «isolare», circondata da un mare intellettuale straniero e talvolta anche estraneo per lui. Il sentimento di estraneità (che poteva anche mutarsi in curiosità) veniva rafforzato dalle notizie che arrivavano dai continenti e dalle culture che venivano via via scoperte. Queste notizie distruggevano definitivamente l’illusione di un mondo chiuso, essenzialmente medi- 3. Tale insicurezza esistenziale ha trovato la sua espressione più famosa e più influente nella domanda di Lutero: «Wie kriege ich einen gnädigen Gott?», «Come posso ottenere io un Dio clemente?». È una domanda tipicamente moderna. Il problema della mia salvezza, il mio destino di singolo individuo: ecco il problema religioso fondamentale dell’uomo moderno. Soltanto in un secondo momento egli si interessa anche della redenzione dell’intera famiglia umana o del giusto culto da rendere a Dio. La risposta a questa sua domanda, Lutero non la cercava più, come l’uomo tardomedievale, in un moltiplicarsi di sforzi rituali per rendersi gradito a Dio e per meritarsi la salvezza, ma al contrario nella pura interiorità della sua fede personale. Tale interiorità aveva già caratterizzato il movimento spirituale che si è definito, anch’esso, «moderno»: la devotio moderna. Nella sua interiorità l’uomo luterano si trova in contatto con Dio e ciò in modo immediato senza mediazione della Chiesa o dei sacramenti. Si va verso il pietismo e la «fede» di Jacobi e di Kierkegaard. Con ciò si tocca quello che è senza dubbio l’aspetto più caratteristico della cultura moderna e l’effetto più IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 11 10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 12 S tudi e commenti visibile della «via moderna»: la bipartizione religiosa del mondo europeo tra le sue regioni cattoliche e quelle marcate dalla Riforma protestante. Tale bipartizione, dapprima geografica, avrà le sue conseguenze ben presto anche nel mondo della cultura. Dalla metà del Cinquecento in poi, ogni sviluppo e fenomeno culturale europeo sarà inevitabilmente o cattolico o protestante. Man mano che i decenni andranno avanti, questi due mondi moderni si distingueranno sempre di più – fino a che, più vicino a noi, le differenze confessionali si attenueranno, non certo per un effetto di riconciliazione, ma a causa di un crescente disinteresse per la dimensione religiosa, vale a dire per la dilagante secolarizzazione. Anche la breve panoramica sulla figura (o le figure) dell’uomo moderno, che adesso si tratterà di abbozzare, sarà marcata dalla bipartizione confessionale. II. La «via moderna» figlia del suo tempo È relativamente facile abbozzare tale panoramica partendo dalla storia della filosofia moderna. Ogni filosofia, osserva Hegel, è «figlia del suo tempo», lo rispecchia nel pensiero e ne spiega le cause più profonde e talvolta lo precorre. «La filosofia è il suo tempo espresso nel pensiero».4 Il cogito cartesiano 1. In genere si fa partire la filosofia moderna da René Descartes e dal suo cogito. Il cogito cartesiano non fu il capriccio di un filosofo solitario in cerca di originalità, ma la risposta precisa a un problema specificamente moderno: l’urgenza di far accettare dal pubblico e dalla Chiesa la scienza galileiana insieme con il modello copernicano del sistema solare che questa scienza implicava. La nuova scienza galileiana, basata su modelli matematici, era in contraddizione troppo aperta con l’evidenza dei sensi per essere facilmente accettata. L’aristotelismo tradizionale sembrava «salvare i fenomeni» molto meglio. Si trattava dunque, per Descartes, di scardinare l’aristotelismo e l’apparenza dei sensi, per poi stabilire l’applicabilità della matematica anche al mondo fisico e non soltanto all’astronomia. Al primo di questi due compiti serviva il dubbio metodico, che lasciava di certo e indubitabile soltanto il cogito, il puro esser-cosciente, e quei contenuti di coscienza (o «idee») che si rivelano assolutamente innegabili, come la matematica. Con ciò Descartes operò, simultaneamente, la svolta moderna alla soggettività e a una visione «scientifica» del mondo, ossia a un mondo matematizzabile, «ideale», trasparente al pensiero e meccanicamente manipolabile. Tale concezione scientifico-matematica del mondo rafforzava ancora l’importanza che la «via moderna» aveva attribuito al singolo, riducendo l’universale, non più a un flatus vocis, ma a una struttura matematica. Galilei aveva considerato la struttura matematica del mondo ancora in modo oggettivo, come un «libro della 12 IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 natura», scritto da Dio in lingua matematica.5 La svolta cartesiana invece invitava a considerare la struttura matematica della res extensa soggettivamente, come puro contenuto di coscienza. Bisognerà però aspettare Kant per vedere chiaramente proposta tale conclusione, peraltro ovvia. Se i più importanti successori di Descartes, i Malebranche, Spinoza, Leibniz, Berkeley e Newton, fondavano ancora la struttura matematicoscientifica del mondo (di un mondo sempre meno oggettivamente esistente) immediatamente in Dio, reminiscenza moderna dell’idealismo platonico, la «svolta copernicana» di Kant attribuiva all’uomo lo stesso ruolo di garante della scienza che finora si era attribuito a Dio, potenziando all’estremo l’importanza dell’individuo umano. Fichte e Schelling cercarono di evitare tale conseguenza estrema del pensiero kantiano, sottolineando vuoi l’importanza di un’Anstoss, vuoi la prevalenza di un «empirismo superiore» o di una «filosofia positiva» sopra la «filosofia negativa», puramente speculativa. Nella filosofia hegeliana, invece, il ruolo del soggetto pensante («un io che è un noi, e un noi che è un io»6) come centro costitutivo del mondo troverà la sua espressione più perfetta. La logica umana, dirà Hegel, è identica all’essenza trinitaria di Dio «prima della creazione del mondo»7 – curioso ritorno a una teologia intellettualistica di tipo pre-moderno. Che cosa risulta da questi sviluppi di un filosofare apparentemente lontano da ogni realtà vissuta per la figura dell’uomo moderno? La crisi galileiana aveva spostato l’uomo dalla sua posizione tranquilla nel centro del cosmos, dotandolo invece di una scienza matematica destinata a favorire le sue attività tecnicopratiche. Le meditazioni cartesiane sulla scienza galileiana presentavano poi il mondo, la res extensa, non più come creatura di Dio, da rispettare come tale, ma come una specie di materiale da adattare e trasformare con l’aiuto della scienza secondo il volere umano. Tale visione del mondo, caratteristica per l’uomo moderno, sottendeva già le imprese di coloro che avevano scoperto nuovi continenti, e Galilei e Descartes non avevano fatto che formalizzarla, dotandola di un fondamento teoretico. Il razionalismo e l’empirismo 2. Comunemente si presenta la storia della filosofia moderna distinta in due correnti, il razionalismo e l’empirismo. Fin qui si è seguito lo sviluppo del razionalismo moderno che sfocia nel pensiero onninclusivo, quasi divino di Hegel. Tale linea di pensiero era però troppo ardua, troppo distante dal vivere quotidiano per aver presa sulla maggioranza dell’umanità moderna. Perciò il pensiero empirista, che va da Francis Bacon a David Hume e a Thomas Reid, e che sfocerà nell’Illuminismo, Les Lumières francesi e la Aufklärung tedesca, è ancora più caratteristico della mentalità moderna. L’empirismo prese l’avvio da un altro topos della «via moderna», la preminenza della conoscenza sensibile di dati concreti – un modo di vedere ovvio per 10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 13 l’uomo della strada. Tale modello epistemologico molto semplice, per non dire semplicistico, sarebbe però rimasto insoddisfacente se non fosse servito a fini pratici – dapprima socio-politici in Hobbes e Locke, e poi per la produzione materiale, anzi industriale di beni utili per la vita. Il successo editoriale della Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers fu merito soprattutto dei sette magnifici volumi di Tavole, che svelavano tutti i segreti delle attrezzature meccaniche per una produzione pre-industriale. Peraltro anche l’idea della divisione del lavoro, che ha reso possibile la produzione propriamente industriale, sembra derivare, in ultima analisi, dalla frantumazione del mondo materiale nel pensiero empirista. L’uomo moderno sarà sempre più un homo industrialis – fino a diventare, nei nostri giorni, homo finanziarius, il cui contenuto di vita sono cifre di affari, astrazione estrema ed estremamente manipolabile del mondo materiale. Tale sviluppo economico, avvenuto principalmente in ambiente empirista, non sarebbe però stato possibile senza la precedente valorizzazione razionalista del pensare umano. Da una parte, infatti, il progresso tecnico presupponeva anche un progresso della scienza, dall’altra, era la coscienza del proprio valore di esseri pensanti, autonomi e capaci di realizzare i propri progetti, che animava i pionieri industriali e gli imprenditori. L’uomo della Aufklärung, borghese e intraprendente, sicuro di sé, e critico di ogni autorità, era il prodotto di quel movimento di pensiero che aveva preso il suo avvio dalla filosofia di Descartes. Non a caso è proprio Kant ad aver dato la migliore definizione di tale uomo moderno: «La Aufklärung, l’Illuminismo, è l’emancipazione dell’uomo dalla sua condizione minorile, di cui egli stesso è responsabile. La condizione minorile è l’incapacità di servirsi della propria ragione senza la guida di un altro. L’uomo stesso è responsabile di tale condizione se essa non risulta dalla mancanza di ingegno, ma dalla mancanza di coraggio e di decisione per servirsene senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria ragione: ecco dunque la parola d’ordine dell’Illuminismo».8 pongono continuamente in modo diverso. Per percepirle nella loro purezza è bene rivolgersi alla letteratura, perché la letteratura, ancora più della filosofia, ci presenta la realtà in modo idealizzato. Nella letteratura tedesca della fine del Settecento si trovano due figure emblematiche per quanto si cerca di analizzare, e che sono entrate nel patrimonio culturale universale: il Faust di Goethe per l’uomo del fare e, in simmetria quasi contemporanea, il Wallenstein di Schiller come modello dell’uomo che vive per le sue sole idee. Faust, nella seconda parte del dramma, intraprende e realizza iniziative tecniche per il bene dell’umanità (come peraltro anche il dottor Faust storico e lo stesso Goethe), mentre Wallenstein si perde sempre più nel suo pensiero di potere, fino a rinnegare il suo Signore, l’imperatore, e persino il proprio destino che pure crede iscritto nelle stelle. La realtà però non si piega alle sole idee, e la trilogia drammatica del Wallenstein finisce nello scacco più assoluto, mentre il Faust, che si dà da fare, alla fine viene salvato: «Wer immer strebend sich bemüht, den können wir erlösen», «Chi senza sosta si dà premura, può essere da noi salvato».9 Queste due figure dei tempi moderni, che la letteratura ci presenta nella loro purezza archetipica, si ritrovano anche nella filosofia post-hegeliana. Da una parte Karl Marx, teorico dell’homo industrialis, che voleva «cambiare il mondo invece di spiegarlo soltanto in modo diverso».10 Dall’altra parte Friedrich Nietzsche, il pensatore pseudo-eroico, che pensava di poter far avvenire una nuova umanità per la sua «volontà di potenza». Ma tra i due si trova una terza figura, che il nostro discorso finora non ha toccato: Søren Kierkegaard, figura dell’homo religiosus moderno, uomo dell’angoscia esistenziale e della fede fiduciale, il «singolo» che nella sua interiorità si trova confrontato con Dio in assoluta solitudine – vale a dire senza la mediazione di una Chiesa. III. La «via moderna» e la Chiesa 3. Così, nella retrospettiva, si delineano due figure tipiche dell’uomo moderno: l’imprenditore e lo scienziato, l’uomo del fare e del produrre, e l’uomo del progettare la costruzione di un mondo secondo le sue idee – due figure che nella realtà si intrecciano e si sovrap- Qui riappare, verso la fine dell’epoca moderna, ciò che è stato il tema complessivo del Congresso: «L’uomo moderno e la Chiesa». Quale risposta ha trovato o potrebbe trovare l’uomo moderno in quello che la Chiesa gli può offrire? E qual è il rapporto della Chiesa cattolica romana con tutto ciò che si è detto sull’uomo moderno? Prima di dare una risposta a que- 1 Da questo assunto partiva J. Maréchal per il suo aggiornamento del tomismo all’èra post-kantiana, cf. J. MARÉCHAL, Précis d’histoire de la philosophie moderne. 2 Il libro di N. COPERNICO De revolutionibus orbium caelestium è del 1543, e la cosmologia di G. BRUNO, De l’infinito, universo e mondi, del 1584. 3 Cf. Ž. DADIĆ, «Bošković and the Question of the Earth’s Motion», in The Philosophy of Science of Rud̄er Bošković, Zagreb 1987, 131-138. 4 G.W.F. HEGEL, «Vorrede», in Grundlinien der Philosophie des Recht, 1821, in Werke VIII, 1833, 18. 5 Cf. G. GALILEI, Il Saggiatore, 1623, n. 6, in Opere V, 232. 6 HEGEL, «IV. Die Wahrheit der Gewissheit seiner selbst», in Die Phänomenologie des Geistes, 1807, Hoffmeister, Leipzig 1937, 140. 7 HEGEL, «Einleitung. Allgemeiner Begriff der Logik», in Wissenschaft der Logik, 1812, in Werke III, 1833, 36. 8 I. KANT, Beantwortung der Frage. Was ist Aufklärung? 1784, in Ausgabe der Preußischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1900ff, AA VIII, 35. 9 J.W. VON GOETHE, «5. Akt, Bergschluchten, Engel», in Faust. Der Tragödie zweiter Teil. 10 K. MARX, Thesen über Feuerbach. These 11, in Marx-EngelsGesamtausgabe (MEGA) V, 533. L’uomo del fare e l’uomo di scienza IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 13 10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 14 S tudi e commenti sti quesiti occorre chiarire che cosa si intende con «Chiesa». Si parla della gerarchia, del magistero, o si intende tutta la Chiesa, il popolo di Dio in cammino, fedeli e gerarchia insieme? Per considerare la «modernità ritrovata dalla Chiesa»11 sarà bene tener conto, in primo luogo, di tutte le persone, fedeli e gerarchia, che compongono la Chiesa, perché sono soprattutto i fedeli che hanno vissuto in prima persona i tempi moderni. Articolo questo tentativo di risposta in quattro punti. nieri di diverse scienze moderne. L’influsso più profondo e durevole di sant’Ignazio è però da ricercare in un altro campo: negli Esercizi spirituali, strumento di formazione cristiana dell’uomo moderno, ossia del singolo di fronte alla volontà di Dio. Altri esempi di santi altrettanto «moderni» sarebbero san Filippo Neri, con i suoi oratori – l’Oratorio è complemento quasi necessario dell’opera di sant’Ignazio –, san Francesco di Sales, san Vincenzo de’ Paoli; e tra le sante santa Teresa d’Avila, mistica e attivissima insieme, e non pochi altri e altre. I santi nella modernità 1. Dapprima saranno da considerare quelle persone – ovvero quei «singoli» – che più intensamente hanno vissuto la vita della Chiesa, al fine di vedere come loro hanno visto e vissuto la modernità. Queste persone sono i santi e le sante. Tra essi si trovano non pochi che erano uomini e donne esplicitamente moderni che vivevano in piena consonanza con il loro tempo, accettando e promuovendo la cultura moderna. Serva d’esempio sant’Ignazio di Loyola con la triplice dimensione della sua fondazione: l’evangelizzazione dei nuovi continenti scoperti, la promozione della riforma cattolica e la fondazione di Collegi per la formazione dei giovani e del clero nelle scienze anche moderne. Basti ricordare che Descartes ha ricevuto la sua formazione nel Collegio di La Flèche che teneva in alta stima. Del Collegio romano sarebbero da menzionare Clavius e Scheiner e più tardi Ruder Boscovich e Angelo Secchi, pio- Innocenzo Gargano La Lectio divina Ciclo di conferenze tenute a Camaldoli I l cofanetto ripropone in CD formato MP3 le 5 conferenze del monaco camaldolese, che introducono alla meditazione della Bibbia attraverso la lectio divina. Uno strumento adeguato al pubblico di oggi, utile all’interno di gruppi biblici o per la meditazione personale, particolarmente indicato per chi ha difficoltà di lettura. «Lectio divina» CD/MP3 - € 17,40 Dello stesso autore: Iniziazione alla «Lectio divina» Indicazioni metodologiche con l'esemplificazione di alcuni brani presi dal Vangelo secondo Matteo EDB pp. 144 - € 13,50 Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 14 Il moderno ritrovato nella cultura barocca 2. Un secondo esempio della modernità ritrovata dalla Chiesa può essere la cultura e l’arte barocca, ultima cultura forgiata dal cattolicesimo, che fiorì dalla metà del Seicento alla metà del Settecento. Il Barocco è anche l’epoca di una nuova fioritura della mistica, mistica soggettiva, dell’interiorità, iniziata già con la devotio moderna, che si espandeva in Spagna e in Francia e un po’ meno in Germania. È l’epoca della musica barocca, che per lo più è musica sacra, e dei drammi cristiani di un Calderón, un Corneille e un Racine, per non dire di Shakespeare, drammi che spesso presentano un «singolo» confrontato con l’universale, sia questo il suo ruolo sociale, il suo destino o l’ordine pubblico. La testimonianza più evidente dello spirito insieme moderno e religioso del Barocco si trova però nell’architettura. A differenza delle basiliche paleocristiane e delle chiese romaniche e gotiche, le chiese barocche palesano immediatamente la soggettività dei loro costruttori. Questi giocano liberamente con la materia, formandola a loro gusto e non più secondo canoni tradizionali. Lo stesso vale degli scultori e dei pittori. Basti pensare a un Borromini per l’archittetura, un Bernini per la scultura e un Andrea Pozzo per la pittura. L’edificio come tale perde d’importanza, si riduce a essere un involucro per l’interno riccamente decorato. Quando il fedele entra in questa «interiorità» architettonica, vi trova una visione della gloria celeste e una liturgia che colma tutti i suoi sensi. La facciata, ricca e movimentata, preannuncia quello splendore, invitando a entrarvi. Il Barocco infatti è anche l’epoca dell’apologetica, che intende far accettare dall’uomo moderno una fede da cui egli sempre più si distanzia, ed è anche l’epoca della propagazione della fede, particolarmente nelle colonie spagnole e portoghesi, con un vistosissimo Barocco. Testimone principale dell’apologetica moderna è Pascal, ma sarebbero da menzionare anche Mersenne e persino Descartes e, da parte anglicana, Berkeley. Se si comparano però le chiese barocche o barocchizzate a Roma con quelle a Nord delle Alpi, si nota nelle chiese romane una certa esitazione, per non dire un certo imbarazzo. Il loro esterno, talvolta proprio brutto, non combacia con le decorazioni interne, e la facciata, spesso sproporzionata, si presenta come un corpo estraneo artificialmente appiccicato all’edificio. Espressione questa, ci si potrebbe domandare, di un IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 15 certo malessere romano di fronte a una cultura moderna? Di fatto, dopo la cultura barocca, insieme moderna e cristiana, si constata dalla seconda metà del Settecento una crescente alienazione tra Chiesa e mondo moderno. È l’epoca del deismo e dell’Illuminismo, che sfocerà nella Rivoluzione francese con le sue persecuzioni anche religiose. Come conseguenza, gran parte dell’Ottocento sarà marcata da una diffidenza dei cattolici e della gerarchia verso la società post-rivoluzionaria, accompagnata non di rado da una nostalgia dell’Ancien régime. Eppure all’inizio dell’Ottocento non è mancata un’altra cultura europea con netta affinità cattolica, il romanticismo. Basti citare il nome di Chateaubriand in Francia e il movimento di conversione o di ritorno al cattolicesimo in Germania per convincersi di tale affinità cattolica del Romanticismo, nato, è vero, da altre radici. La sua nostalgia dei tempi pre-moderni lo portava a rivalutare, idealizzandola, la cristianità medievale. Sintomatico lo scritto del luterano Novalis La cristianità ossia l’Europa; sintomatica anche l’architettura che produce di preferenza edifici neo-gotici, nonché la pittura nazarena e preraffaellita. Quasi tutto l’Ottocento sarà anche nella Chiesa un’epoca di nostalgie. Nel campo dell’arte sacra questa situazione è cambiata soltanto negli anni Venti e Trenta del Novecento. Da allora si è imposta un’architettura sacra decisamente moderna che talvolta, come nel primo Barocco, ha preso persino la guida di un più ampio rinnovamento architettonico, seguito poi da altri rami dell’arte sacra. La riconciliazione tra fede cattolica e spirito moderno 3. Eppure si poteva già notare, sin dall’inizio dell’Ottocento e da parte di autori cattolici, l’elaborazione di una serie di nuovi tentativi teologici e filosofici intesi a riconciliare la fede cattolica con lo spirito moderno. È facile elencare alcuni nomi ben conosciuti di tali autori: in Italia Gioberti e Rosmini, in Francia de Lamennais (prima maniera), Bautain, de Bonald, in Germania la scuola di Tubinga e Hermes, Günther e Döllinger. Nomi di fronte ai quali non si può che notare come la fama derivi anzitutto dalle censure ricevute dal magistero. Solo verso la fine del secolo appaiono due autori il cui influsso positivo non solo perdura, ma va aumentando: Newman in Inghilterra e Blondel in Francia. Ma anche su questi, se non furono esplicitamente censurati, incombevano diffusi sospetti – indizio questo che la riconciliazione della fede cattolica con lo spirito moderno non era certo facile, ma forse anche un indizio delle difficoltà che provava il magistero ad approvare tale aggiornamento. Più fortunati furono gli altri che, nella scia del Romanticismo, tentavano di riproporre in chiave moderna la filosofia e la teologia del Medioevo. Quasi in parallelo col neogotico, nasceva così un neotomismo e una neoscolastica. Fu un’autentica riscoperta, perché estintasi la seconda scolastica, la tradizione era caduta in to11 «La modernità ritrovata dalla Chiesa» era il tema e il titolo dell’ultima seduta del Congresso (durante la quale la relazione è stata pronunciata; ndr). tale dimenticanza nelle scuole cattoliche.12 Ciò che si insegnava allora era un mitigato lockianismo o, peggio ancora, un’«ideologia» alla Destutt de Tracy, combinato con una specie di atomismo. Contro queste tendenze i neotomisti proponevano la loro dottrina come antidoto allo spirito del loro tempo, considerato deleterio. Così per esempio il Liberatore, così più tardi l’enciclica Aeterni Patris. Ma si trova tra i neoscolastici anche chi, come Kleutgen, rilegge la filosofia e la teologia del Vorzeit con occhi moderni. Lo stesso fece il più famoso discepolo del Kleutgen, Joseph Matthias Scheeben, e più vicini a noi, un Gilson, il domenicano Sertillanges e i gesuiti Rousselot e Maréchal. Questi nomi, che appartengono già al primo Novecento, sono testimoni di una nuova dimensione dell’incontro cattolico con la modernità, legato agli studi storici che fecero scoprire il vero volto del Medioevo, più diversificato di quanto ci si sarebbe aspettato. Tra i pionieri tedeschi di tale riscoperta sono da menzionare il card. Ehrlé e mons. Grabmann. Alla riscoperta della vera scolastica medievale si aggiungeva poi quella dell’età patristica e della sua ricca teologia. Paradossalmente, furono proprio gli studi storici a promuovere un aggiornamento della filosofia e della teologia cattoliche alla modernità. Fecero scoprire nel passato tratti ed elementi non tanto distanti dalle preoccupazioni moderne che permettevano un autentico dialogo con la modernità. I promotori più influenti di tale aggiornamento teologico furono le Sources chrétiennes e la théologie nouvelle con il card. de Lubac e i suoi discepoli più famosi, il card. Daniélou e Hans Urs von Balthasar, i domenicani Congar e Chenu, nonché il più prestigioso seguace del p. Maréchal, Karl Rahner. Altri non meno meritevoli sarebbero da aggiungere, un Joseph Ratzinger e, in un’altra disciplina e area culturale, un Karol Wojtyla con il suo tomismo fenomenologico. Fu questa tendenza, innovatrice grazie a una più illuminata fedeltà alla tradizione, che divenne determinante al concilio Vaticano II. Il magistero di fronte alla modernità 4. Come quarto e ultimo punto rimane da esaminare l’atteggiamento del magistero di fronte alla modernità. Sfogliando l’Enchiridion symbolorum del Denzinger, ci si rende facilmente conto che per quasi tre secoli, dal concilio Tridentino fino al secondo terzo dell’Ottocento, il magistero guardò alla modernità con sospetto e rimase distante, se non addirittura polemico. Con il concilio Vaticano I cominciò ad aprirsi qualche spiraglio. Questo concilio, che lo si voglia o no, appare effettivamente marcato dallo spirito moderno, e non solo in chiave negativa. Se si rilegge oggi la costituzione Dei Filius sulla fede e sul rapporto tra ragione e fede, si nota che propone un’apologetica specificamente moderna con il ricorso a prove tangibili, offerteci da un Dio «qui nec falli nec fallere potest» – che è una citazione quasi testuale di Descartes.13 La definizione dell’infallibilità pontificia respira lo stesso spirito 12 Serva d’esempio un libro di testo del primo Ottocento, conservato nella biblioteca del Collegio germanico, che dai padri della Chiesa passa direttamente a René Descartes. IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 15 10-16:Layout 3 10-01-2012 10:33 Pagina 16 S tudi e commenti cartesiano, preoccupandosi più della certezza soggettiva che della verità oggettiva dei pronunciamenti del magistero pontificio. Indizi questi del fatto che anche i vescovi, riuniti in concilio, non potevano sottrarsi allo spirito della modernità, più o meno involontariamente. Poco dopo il concilio Vaticano I iniziava il lungo pontificato di Leone XIII, èra di una cauta riconciliazione della Chiesa con la cultura moderna, nella qual veniva riconosciuta alla cultura e anche allo stato moderno una certa autonomia. La politica leoniana del ralliement è tanto più apprezzabile in quanto da parte degli stati, già largamente secolarizzati, mancava la reciprocità. Si pensi al laicismo in Francia e in Italia, al Kulturkampf tedesco e alla questione romana. L’atto più importante del pontificato di Leone XIII rimane però l’enciclica Rerum novarum che inaugurava la dottrina sociale della Chiesa dimostrando che il magistero aveva preso coscienza dello stato socio-economico reale del suo tempo. Effettivamente la dottrina sociale è stato il contributo forse più importante che la Chiesa ha potuto offrire al nostro mondo moderno e post-moderno. Si noterà anche che gli interventi del magistero non riguardano più tanto le dottrine teologiche, quanto le circostanze di vita delle persone. La Chiesa sta raggiungendo il mondo moderno facendosi più pastorale. All’inizio del Novecento, però, le aperture leonine entravano in crisi nella lotta contro il modernismo, eresia in parte reale in parte costruita, che prese il suo avvio dallo sconsiderato zelo per la modernità dell’esegeta Loisy e dall’incrocio di questo zelo con la questione romana. Ma il principale danno che il modernismo ha recato alla Chiesa non sta nelle sue piuttosto vaghe posizioni dottrinali, ma nella polarizzazione antimodernista dell’insegnamento teologico che ha provocato e che è persistita fin verso la metà del secolo scorso. Soltanto allora, con le tre grandi encicliche di Pio XII, Mystici Corporis, Divino afflante Spiritu e Mediator Dei, fu preparata la via per quell’«aggiornamento» che Giovanni XXIII propose come programma al concilio Vaticano II. Il giovane Giuseppe Roncalli aveva vissuto in prima persona la crisi modernista, poiché il presbyter assistens per la sua prima messa era stato lo stesso Buonaiuti. Forte delle aperture piane poteva poi convocare il concilio Vaticano II, inteso soprattutto in senso pastorale. A questo punto, forse un po’ tardi, il magistero della Chiesa stava ritrovando la modernità. Nelle sue prime tre costituzioni, il Concilio riprese e sviluppò le tematiche delle tre encicliche pacelliane, la liturgia, la Chiesa e la rivelazione, aggiungendo poi, quasi in extremis, una quarta costituzione specificamente pastorale, che risponde in chiave cristologica alle problematiche dell’uomo e del mondo moderno. Lo stesso fanno anche, puntualmente, i decreti e le dichiarazioni sull’ecumenismo, sulle religioni non cristiane, sulla libertà religiosa. Non è necessario, in questa sede, riprendere più in dettaglio questi «aggiornamenti», che rimangono ancora ben presenti. Da storico della filosofia moderna mi permetto soltanto un’ultima osservazione, che può aprire una pro- 16 IL REGNO - DOCUMENTI 1/2012 spettiva su futuri compiti di ulteriori aggiornamenti. Nell’enciclica Fides et ratio, testo peraltro in larga consonanza con la modernità, si nota una strana reticenza verso la filosofia moderna, che nella parte storica dell’enciclica viene descritta soprattutto in chiave negativa. Ma alcune pagine più in là, discutendo il concetto di «filosofia cristiana» (tema caro a p. Tilliette), il testo rileva che i filosofi moderni si sono occupati «dell’importanza che ha anche per la filosofia l’evento storico, centro della rivelazione», nonché della «necessità di esplorare la razionalità di alcune verità espresse dalla sacra Scrittura, come la possibilità di una vocazione soprannaturale dell’uomo e anche lo stesso peccato originale». Onde il testo conclude: «Si può dire che, senza questo influsso stimolante della parola di Dio, buona parte della filosofia moderna e contemporanea non esisterebbe». Soggiungendo poi cautamente che «il dato conserva tutta la sua rilevanza, pur di fronte alla deludente costatazione dell’abbandono dell’ortodossia da parte di non pochi pensatori di questi ultimi secoli».14 «Chiesa e modernità»: una questione aperta Da ciò si può ricavare una triplice conclusione, una «conclusione aperta» in senso blondeliano per la problematica «Chiesa e modernità»: a. La filosofia moderna, da cui derivano alcune delle idee direttrici della modernità, era di fatto largamente ispirata, anzi resa possibile da idee cristiane. Si tratterà dunque di riscoprire e di rimettere in auge queste idee. b. Di fatto però, la maggior parte dei pensatori precursori o emblematici della modernità furono o precursori della Riforma protestante o protestanti essi stessi. Ciò potrebbe spiegare almeno in parte la riservatezza e il sospetto del magistero riguardo alla modernità. Ritrovare la modernità da parte della Chiesa cattolica sarà pertanto anche e forse in primo luogo un problema ecumenico. c. La breve e necessariamente approssimativa panoramica sui tempi moderni, che qui si è cercato di proporre, sembra aver dimostrato che la modernità fu ritrovata non tanto dalla Chiesa come tale, ossia dal magistero, ma prima di tutto da singole persone, siano questi santi o sante, artisti o pensatori, persone comunque che influivano sulla cultura del loro tempo. Da questa osservazione si potrebbe desumere che il compito di ritrovare la modernità non si può devolvere alla Chiesa come tale né alla sola gerarchia. Il compito, che sembra essere una vera missione, incombe invece a ogni singola persona cattolica, che dovrà compierlo nella sua vita, al suo posto e con la sua propria competenza. Da questo, è permesso sperare, nascerà una nuova e variegata cultura cattolica moderna o piuttosto post-moderna. PETER HENRICI 13 Cf. R. DESCARTES, «Meditatio IV. De vero et falso», in Meditationes de Prima Philosophia, in Œuvres, ed. C. Adam, P. Tannery, Cerf, 1897-1913, 13 voll.; nuova ed. completa, Vrin-CNRS, 1964-1974, 11 voll. (edizione di riferimento), VII, 53. 14 GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione, 14.9.1998, n. 76; EV 17/1331-1335.