Pina Amarelli, prima donna Cavaliere del Lavoro

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Calabresi con la “C” maiuscola--Pina Amarelli, prima donna Cavaliere
del Lavoro per l’imprenditoria
Calabria Ora
L’aula “Italo Falcomatà” dell’Università per stranieri
Dante Alighieri, ha ospitato, l’incontro con l’imprenditrice
Pina Amarelli, alla quale è stato consegnato il premio Anassilaos 2010 per l’imprenditoria, una targa
dell’artista Antonclaudio Pizzimenti e la
medaglia del presidente della Camera dei
Deputati.
Cavaliere del lavoro per decreto del
Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, prima donna insignita di questa onorificenza in Calabria nel giugno
2006, per aver portato l’industria alimentare familiare al ruolo di leader mondiale
nel settore della liquirizia.
Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, onorificenza
conferitale dal presidente Carlo Azeglio
Ciampi quale, docente di diritto all’università di Napoli e vincitrice dell’edizione 2001 del premio “Impresa-cultura”.
Nell’azienda di famiglia, la “Amarelli” di Rossano che
fabbrica liquirizia sin dal 1731, svolge funzioni di strategia della comunicazione e di responsabile delle relazioni
istituzionali sin dal 1975 a tut’ oggi.
In questo ruolo Pina Amarelli, insieme agli altri membri della famiglia, ha voluto fortemente la realizzazione
del Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” inaugurato nel luglio 2001.
Si tratta da un lato di una singolare esperienza imprenditoriale, dall’altro della storia di un prodotto unico del territorio calabrese: in mostra preziosi cimeli di
famiglia, macchine per la lavorazione della liquirizia,
documenti d’archivio, libri, grafica d’epoca, utensili
agricoli e una collezione di abiti antichi da donna, uomo
e bambino a testimoniare l’origine familiare dell’azienda.
Dal 1° gennaio 2002 è stata Presidente internazionale
di tutta l’associazione, prima donna al vertice nella storia degli HénoHens.
E’ stata cooptata nell’Associazione italiana delle aziende familiari (Aidaf).
Attualmente è impegnata nell’ampliamento del progetto
“Museo della liquirizia”, con l’allestimento di un orto botanico contiguo agli spazi museali.
Attraverso una passeggiata naturalistica si potrà approfondire la conoscenza del mondo della liquirizia e delle altre
specie botaniche che hanno accompagnato la storia della
sua industrializzazione, come l’ulivo, l’alloro, gli agrumi,
l’anice, la menta, le viole e le rose.
Nelle foto:
sopra: Pina Amarelli
sotto: il Logo dell’Azienda fondata nel
1731 che è una pochissime aziende
italiane pluricentenarie
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Calabresi con la “C” maiuscola---
Cilea, una passione innata per la
composizione in un’epoca difficile
Nato a Palmi, cittadina tirrenica della provincia di Reggio Calabria,
coltivò con caparbietà la sua passione ed a 30 anni conobbe il
successo con “L’Arlesiana”
j.c. – Calabria Ora
Malgrado le soddisfazioni nei conservatori, il suo animo romantico lo portava a
prediligere la composizione.
Soffriva in silenzio, senza dimenticare il
suo passato.
Scrive, infatti, all’amico Piero Ostali, nel
1923 divenuto proprietario di Casa
Sonzogno, il quale, riconosciuti i meriti della musica cileana, si batteva per l’inserimento delle sue opere nei cartelloni teatrali: «Se
nel 1913 tu fossi stato al mio fianco, non
sarei uscito dalla carriera attiva per trovare scampo nei conservatori, dove mi applico non solo per il bisogno, ma per mitigare i miei dolori».
Amara considerazione del maestro che
vivrà in un tempo culturale difficile,
segnato dalla transizione che non gli
lascerà l’adeguato spazio.
Eppure Cilea appena trentenne era giunto agli onori della critica.
Le luci della ribalta illuminavano la sua
genialità e il suo immediato futuro specie
dopo aver messo in scena “L’Arlesiana” e
1' “Adriana Lecouvreur”, della quale persino la grande Callas interpretò l’aria “Io son
l’umile ancella”.
Un artista acclamato dalle platee italiane
e internazionali sul quale improvvisamente
cala l’oblio e che si accontenta di dividere
l’amore per l’arte con gli allievi dei Conservato-ri di Napoli e Palermo.
Egli tuttavia rimane consapevole delle sue
capacità tanto che in uno sfogo sincero
confesserà «lo so; la mia produzione artistica non è stata copiosa quale io l’avrei
voluta, e quale l’avrei potuta dare.
Purtroppo la grave crisi nella mia casa editrice
Sonzogno, m’indusse ad accogliere l’invito di rientrare
nei conservatori».
Una menzogna benevola che induce a comprendere l’animo riservato di un uomo che inorridiva al chiasso giornalistico, molto più amante dello studio e della quiete che dei
dibattiti.
Sulla carriera artistica del Cilea ci sono ancora tanti lati
oscuri seppure le sue opere abbiano ottenuto un successo
esclusivo in tutta Europa.
Appena ventenne Cilea già si distingueva per quelle
composizioni ritenute anticipatrici di successive intuizioni,
che valsero ad immortalare altri musicisti.
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Ma solo nel 1989, l’onestà intellettuale di Roman Vlad, affratello Michele al convitto di Napoli.
Qui manifestò subito l’inclinazione per la musica
quarant’anni dopo la scomparsa del maestro calabrese, ha
segnalato al mondo musicale l’originalità della produzione componendo diversi pezzi che dedicherà alla zia
Eleonora, “musicale compagna” dell’infanzia, e
cileana.
“Gina” doveva essere solo il saggio finale degli studi, destando l’interesse del Direttore dell’Istituto che gli
consiglierà di intraprendere gli studi musicali, noma si rivelò una vera rappresentazione lirica.
nostante le resistenze del padre che intravedeva nel
“La Tilda” fu replicata ad Ancona, Reggio Calabria, Palsuo futuro la carriera forense.
mi, Faenza, Foligno, Milano, Venezia, Vienna, Mosca.
Sarà grazie all’interessamento di Jonata e del con“L’Arlesiana” si affermò al teatro Lirico e poi all’estero. terraneo Francesco Florimo che Cilea, sotto la sorCosì 1' “Adriana Lecouvreur” trionfante in tutto il mon- veglianza del “cerbero” (il professore di latino e gredo e interpretata dalle più grandi voci dei nostri tempi.
co che il padre gli mise alle calcagna) verrà ammes“Gloria” tra le più amate di Cilea fu un successo convin- so al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli.
“Amavo Bach, mi appassionava Beethoven, mi
cente in tutta Italia, seppure sottoposta a tagli dalla
commoveva Chopin”scriverà e nel volgere di qualSonzogno.
che anno darà prova tangibile del suo talento meritanIl “Poema sinfonico” fu altrettanto applaudito.
Allora quale fu il torto fatto a Cilea? Gianandrea Gavazzerà, do il primo posto gratuito nel Collegio e la nomina
illustre direttore d’orchestra, durante il discorso per il decen- prestigiosa a “primo alunno maestrino”.
Lo scorrere sereno della sua giovinezza fu segnanale della morte di Cilea parla di «crisi di fede verista, che
to presto dai dolori: la morte del padre nel 1884
non coinvolse soltanto Cilea».
preceduta da quella di due sorelle e dalla prematura
Una considerazione troppo spicciola per la vedova Cilea. scomparsa della madre peseranno notevolmente sulLa fase di passaggio culturale, dal verismo al de- l’animo del Musicista attenuate dall’opera lodevole
cadentismo, non giovò al maestro, ma per la signora Rosa del tutore, l’avvocato Pietro Carbone che si prodila verità era un’altra.
gò per amministrare i beni degli orfani Cilea e garanLo scrive in un opuscolo conservato presso la Bibliote- tire loro un tranquillo avvenire.
Rientrato a Napoli, ad epidemia di colera
ca di Palmi.
debellata,
si aggiunse per Francesco un atro lutto
La verità stava nell’invidia, nel non poter sopportare i
difamiglia’:
la scomparsa di Francesco Florimo il 18
successi della sua opera in grado evidentemente di mettere
dicembre
1888.
in ombra illustri compositori che mai raggiunsero la fama di
In quanto primo alunno toccherà a lui, secondo
Cilea in così breve tempo.
tradizione, dargli l’estremo saluto, ricevendo l’incaIntrighi su intrighi, indifferenza della Sonzogno, perso- rico di musicare il libretto di un’opera in tre atti di
naggi che tramano per interrompere i contratti di Francesco Enrico Golisciani.
Cilea.
Nasce la “Gina” alla quale il giovane Cilea si deQuesto più probabilmente lo scenario che irretì un arti- dicherà consapevole dell’onere e dell’onore ricevusta dal cuore ingenuo e dal carattere mite costringendolo to.
L’opera, eseguita sul piccolo palcoscenico del colad un silenzio arrendevole.
GENIO E GENTILUOMO
di Marina Crisafi - Calabria ora
Animo nobile e discreto, dall’onestà cristallina e
dall’indole sensibile e modesta.
Questo era il mondo interiore di Francesco Cilea,
genio musicale e gentiluomo. Palmi, “ridente cittadina in provincia di Reggio Calabria” viveva un gran
fermento letterario e musicale quando venne al mondo
il 23 luglio 1866, dall’avvocato Giuseppe e dalla
nobildonna Felicia Grillo, in una palazzina sul corso
principale distrutta insieme alla città dal tremendo terremoto del 1908 (“Cilea: documenti e immagini”,
Grande, Laruffa 2001).
Primogenito di cinque figli si ritrovò a crescere in
casa dei nonni materni in via San Filippo (oggi via
Cilea) dove venne a contatto con la musica seguendo le lezioni di pianoforte impartite alla giovane zia
Eleonora, dal maestro Rosario Jonata, direttore della
banda musicale cittadina, la stessa che a soli quattro
anni gli diede la più profonda e avvincente commozione eseguendo le note dolenti della Norma di
Bellini che gli rimasero impresse nell’animo per tutta
la vita, come scriverà egli stesso nei “Ricordi”.
Ancora in tenerissima età, a causa della sciagura
che colpì la madre “colta da irreparabile alienazione
mentale” il piccolo “Ciccillo”fu mandato insieme
legio la sera del 9 febbraio 1889, fu giudicata con
crescente favore dalla critica e dal pubblico e venne
ripetuta per più sere consecutive.
Una volta conseguito il diploma di magistero Cilea
dovette lasciare S. Pietro a Majella e lanciato in un
mare in tempesta si dedicò all’ insegnamento del pianoforte, componendo suite per violoncello e piano
ed assaporando “il gusto dei primi modesti guadagni”.
“La Gina, intanto, da buona figliola, lavorava per
me in segreto’annoterà nei ricordi, ed, infatti, gli aprì
la strada per la composizione de “La Tilda” su libretto di Zanardini offer-tagli dall’editore Sonzogno
messo a parte dei suoi successi dal maestro Paolo
Serrao.
Il dramma, dalle situazioni volgari e fosche, avulse
dal suo stile, non piacque a Cilea, ilquale accettò
per paura di perdere una rara opportunità professionale, ponendo comunque, gran fervore nel lavoro di composizione e rifugian-dosi a Bagnara Calabra
in casa dell’affezionato cugino Arena.
La “Tilda” fu rappresentata la sera del 7 aprile
1892 al teatro Pagliano di Firenze e ripetuta in altre
città, tra cui la diletta Palmi, dove la sua notorietà
era già grandissima al punto che ad una sorella di
Leonida Répaci fu imposto il nome Tilda.
Da questo momento comincia la stagione più feconda per il compositore che si appresta a lavorare
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sul libretto de “L’Arlesiana” da Leopoldo Marenco
liberamente tratto dalla novella di Alphonse Daudet
per il cui omonimo dramma Bizet aveva composto
le musiche di scena.
Per lavorare serenamente Cilea, assistito dalla sorella Lina, si appartò in campagna e, una volta
completata la composizione, si trasferì a Roma per il
lavoro finaìe di lima e stru-mentazione.
“Quivi - ammetterà - in una placida sera proruppero spontanee dal mio cuore le nostalgiche
note del ‘Lamento di Federico’, nella cui parte,
per inciso, la sera della prima, il 27 novembre
1897, c’è un giovanissimo tenore il cui nome raggiunge d’un balzo la luminosa sfera della celebrità: Enrico Caruso”.
Malgrado il successo l’editore Sonzogno impose
drastici tagli ai quali, seppur a malincuore, Cilea dovette arrendersi ma fu tale l’amarezza che non esitò
a tornare all’insegnamento a Firenze, dove nel frattempo aveva vinto il concorso per la cattedra di Armonia, ritirando la partitura e tenendola sequestrata
per ventanni; sarà solo dopo l’acquisizione di casa
Sonzogno daparte di Piero Ostali che Cilea rimetterà a posto l’opera e L’ Arlesiana rientrerà trionfale
alla Scala.
Forse pentito per l’ingiusto
trattamento Sonzogno commissionò a Cilea una nuova
opera.
Fra i libretti proposti la scelta cadde su “Adriana Lecouvreur” un’opera in quattro atti
di Arturo Colautti su pièce di
Scribe e Legouvé.
Andata in scena la sera del
6 novembre 1902 al teatro Lirico di Milano, L’Adriana riportò un trionfo grandioso e fu
rappresentata nei teatri di tutto
il mondo, da Lisbona, a
Buenos Aires, a New York, al
Covent Garden di Londra.
Sull’onda delsuccesso, Cilea
pensa a nuovi impegni essendo affascinato dalla Firenze
medicea e dalla Toscana.
Sfumata l’aspirazione di musicare la Francesca da
Rimini di D’Annunzio, per le richieste del poeta ritenute troppo gravose da Edoardo Sonzogno, si
concretizzò, invece, l’ipotesi di Gloria, tragedia in
tre atti su pièce di Sardou, scritta per lui dal fraterno
amico Arturo Colautti, per dedicarsi alla quale Cilea
lasciò persino l’insegnamento ritirandosi nella tranquilla cittadina ligure di Varazze.
Qui, concedendosi solo ”brevi riposi all’aperto”,
durante la cerimonia del varo dello yacht Cio-CioSan, costruito dai Baglietto per Giacomo Puccini,
conobbe la signorina Rosy Lavoretto che divenne
presto la dolce, amatissima, inseparabile e ideale
compagna’della sua vita.
Si sposarono, infatti, il 26 giugno l909 nel Santuario Cateriniano della SS. Trinità e vissero insieme
per quasi mezzo secolo con rispetto e reciproco
amore.
Gloria, frattanto, sotto la magica guida di Arturo
Toscanini, fu rappresentata il 15 aprile 1907 alla Sca-
la, davanti al pubblico che gremiva i palchi, la galleria e il loggione, replicando il grande successo a
Genova, Messina, Roma e al San Carlo di Napoli.
Dopo di che i contrasti con la casa editrice determinarono il silenzio che durerà oltre vent’anni.
Fu così che Cilea, onorerà l’incarico conferito dal
Municipio di Genova per la celebrazione del centenario della nascita di Giuseppe Verdi, componendo
“II canto della vita”, poema sinfonico su versi di Sem
Benelli, e poi abbandonare definitivamente, nel 1913,
la sua carriera di operista (sebbene non manchino
notizie di progetti successivi, come “Il matrimonio
selvaggio” e “La Rosa di Pompei”, dei quali però
non si hanno riscontri neanche nei Ricordi).
Torna così all’insegnamento.
Prima al Bellini di Palermo e poi nel caro S. Pietro
a Majella che Cilea riporterà agli antichi fasti distaccandosene solo per raggiunti limiti di età, dispiegando
le sue doti morali ed artistiche e spartendo con i suoi
allievi i segreti dell’arte che amava tanto profondamente.
Intanto, casa Sonzogno (trapassata di mano.
L’aveva rilevata il ricco industriale milanese Piero
Ostali che avviò con il compositore calabrese un rapporto di amicizia che durerà per
tutta la vita, battendosi per il
reinserimento delle opere
cileane nei cartelloni dei Teatri.
Cominciò così l’ascesa
dell’Adriana alla quale Cilea
assisterà per l’ultima volta all’età di 82anni, nella sua
Reggio, presso il teatro comunale che in quell’occasione venne a lui intitolato, e con essa
dell’Artesiana, anche se il dispiacere più grande rimase per
lui l’infelice cammino di Gloria,
tanto che negli ultimi giorni di
vita, nell’abbracciarlo, sussurrò a Piero Ostali: “ti ringrazio
ancora tanto per quanto hai fatto per me, ma ti raccomando
Gloria”. Cilea morì il 20 novembre 1950 a Varazze, che gli
conferì la cittadinanza onoraria, portando con sé il
mistero di una gloriosa carriera artistica interrotta
senza una ragione apparente.
Non ebbe la forza di contrastare gli intrighi e le
avversità che gli si presentarono davanti.
Del resto, come confessava egli stesso ponendo
fine ai suoi Ricordi: “io vorrei tutti felici e contenti.
Per ciò mi sono sempre adoperato a non procurare ad alcuno il minimo malumore -sebbene la nequizia degli uomini mi ha procurato imbarazzi e amarezze non lievi”.
Oggi Cilea riposafinalmente in pace nella sua diletta Palmi, nel mausoleo creato per lui da Guerrisi e
Bagola, con alle spalle il mito di Orfeo e al centro la
statua trionfale della musica che lo accompagna nel
suo sonno eterno. Sul sacello, incise nel ferro,
Artesiana, Adriana e Gloria, le tre creature della sua
fantasia e del suo sognato ideale.
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