Programma di Economia politica

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Programma di Economia politica
IV anno AFM
Le linee guida principali del programma di IV anno sono:
 La macroeconomia
o I soggetti economici (famiglie, imprese Stato, Banche ed Estero.)
o Le condizione di equilibrio
o Aspetti di contabilità nazionale PNL (prodotto interno lordo), RNL
(reddito nazionale lordo)
o L’andamento ciclico dell’economia (espansione, crisi depressione, ecc)
 La moneta
 Il sistema bancario
 Il sistema finanziario primario e secondario
 La macroeconomia
La macroeconomia moderna nasce negli anni tra le due guerre mondiali, in seguito al
manifestarsi della grave crisi economica che in quel periodo colpisce gli Stati Uniti e
i Paesi europei (la cosiddetta Grande Depressione).
Fino a quel momento gli economisti avevano fondato le loro analisi, e le conseguenti
indicazioni di politica economica, sul modello neoclassico, che assume a proprio
fondamento la legge degli sbocchi o leggi di Say.
Secondo la legge di Say l’intero prodotto di un sistema economico sarà sempre
venduto, per cui non possono esistere crisi economiche persistenti dovute a carenze di
domanda aggregata. Tale convinzione aveva indotto gli economisti a ritenere che il
sistema economico avrebbe raggiunto spontaneamente una posizione di equilibrio
caratterizzata dal pieno impiego delle risorse e in particolare del lavoro; in tal modo
la produzione e il benessere della popolazione sarebbero sempre stati ai massimi
livelli raggiungibili. Alla prova dei fatti, quindi, il modello neoclassico non era in
grado di descrivere in modo adeguato la realtà.
Il forte divario che separava il quadro teorico dall’evidenza empirica indusse un
economista inglese, John Mynard KEYNES, a elaborare un modello economico
completamente nuovo, capace di spiegare i problemi drammatici in cui il mondo si
stava dibattendo e soprattutto in grado di individuare i modi per uscirne.
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Secondo Keynes è la domanda a determinare il volume dei beni e servizi che saranno
prodotti dal sistema economico. Se la domanda complessiva di beni del sistema
economico è inferiore alla quantità merci prodotta ( offerta), le imprese, per non
incorrere in perdite , si trovano costrette ad adeguare la produzione, e con essa la
manodopera occupata, alle richieste del mercato. Sulla base di queste considerazioni,
Keynes giunge a concludere che il sistema economico, lasciato a se stesso, non si
evolve affatto verso un ordine armonico ma ci deve essere l’intervento dello Stato.
Il prodotto e i soggetti economici
Il modello keynesiano affronta in modo completamente nuovo anche l’analisi dei
flussi e delle relazioni che legano tra di loro le variabili economiche. Keynes, infatti,
pone al centro dell’attenzione il concetto di reddito, inteso come il frutto dell’attività
lavorativa di tutto un Paese, ed esamina il modo in cui questo prodotto circola
all’interno del sistema economico determinando lavoro o disoccupazione, benessere o
povertà. Per fare ciò egli individua quattro categorie di soggetti che a vario titolo
partecipano alla produzione di beni e sono interessati a domandarli: le famiglie, le
imprese, la Pubblica amministrazione, le banche, il settore estero (o resto del
mondo).
L’analisi di Keynes costituisce la base di tutta la macroeconomia moderna e del
sistema di conti economici nazionali di tutti i Paesi del mondo.
In tale prospettiva il sistema economico è descritto come un insieme di flussi di merci
e denaro che circolano tra i quattro operatori principali.
Le famiglie offrono lavoro alle imprese, dalle quali ricevono reddito sotto forma di
salari e profitti. Esse in parte utilizzano questo reddito per acquistare dalle imprese
prodotti e servizi, pagandone il rispettivo prezzo e in parte lo accantonano come
risparmio. I risparmi, a loro volta, attraverso il sistema bancario, fluiscono:
- verso altre imprese, per finanziare gli investimenti, ossia l’acquisto di beni
strumentali da impiegare nel processo produttivo, che in questo modo può
espandersi;
- verso lo Stato; famiglie e imprese, infatti, versano parte del loro reddito sotto
forma d’imposte e dallo Stato rivevono beni e servizi di pubblica utilità, o
commesse o trasferimenti di vario tipo;
- parte dei servizi prodotti da un Paese trova la propria collocazione presso
operatori che vivono all’estero; i quali a loro volta, forniscono risorse e servizi
ai cittadini residenti. Anche in questo caso i flussi reali delle merci si
contrappongono flussi opposti di denaro.
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Ancora oggi tutti i Paesi industrializzati redigono la propria contabilità nazionale,
ossia i conti della nazione, utilizzando il sistema di relazioni studiato da Keynes.
La condizione di equilibrio in macroeconomia
Il principio della domanda effettiva
Il principio della domanda effettiva stabilisce che la produzione delle imprese, ossia
l’offerta di beni e servizi, tende sempre ad adeguarsi alla domanda di beni e servizi
che proviene dagli operatori economici. Quando la domanda e l’offerta sono uguali, il
sistema economico si trova in equilibrio, anche se non sempre si tratta di equilibrio
soddisfacente.
L’equilibrio indica una situazione in cui il volume della produzione, e quindi del
reddito (Y) è esattamente uguale al valore della domanda aggregata (D). Tale
espressione, definita condizione di equilibrio, indica una situazione in cui la
domanda delle famiglie, delle imprese e della Pubblica Amministrazione assorbe
completamente tutto ciò che è stato prodotto dalle imprese.
L’equilibrio non si realizza sempre, per cui si può avere o la domanda che supera il
reddito (ossia eccesso di domanda) oppure o il reddito che supera la domanda (ossia
eccesso di offerta).
Nel primo caso, se esistono sul mercato fattori produttivi non impiegati, gli
imprenditori li attivano facendo aumentare la produzione fino al livello della
domanda. Se invece i fattori produttivi sono completamente utilizzati, non è possibile
accrescere la produzione; l’eccesso di domanda porta il sistema economico
all’inflazione.
Nel secondo caso, invece, gli imprenditori vedono crescere le proprie scorte di merce
invenduta nei magazzini e, per smaltirle, riducono la produzione, anche attraverso
una diminuzione della manodopera, producendo disoccupazione.
Un altro modo di pensare all’equilibrio
Finora abbiamo visto l’equilibrio come:
Y= C+I+G (consumi + investimenti + spesa pubblica).
Esiste tuttavia un altro modo di esprimere l’equilibrio. Considerando, infatti, che le
famiglie destinano il proprio reddito disponibile in parte ai consumi e in parte ai
risparmi possiamo scrivere:
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Y= Y-T= C+S
da cui
Y= C+S+T
Uguagliando le due equazioni si avrà
C+S+T=C+I+G
da cui
S+T-G=I
Supponiamo ora per semplicità che tutta la spesa pubblica G sia per consumi. In tal
caso il saldo dalla Pubblica Amministrazione (T-G) rappresenta il risparmio
pubblico, mentre S costituisce il risparmio privato.
Dall’ultima relazione si evince che il risparmio nazionale complessivo, privato S e
pubblico (T-G) è uguale agli investimenti.
Ricapitolando: affinché ci sia equilibrio è necessario che le famiglie, imprese e
Pubblica amministrazione acquistino beni di consumo e di investimento prodotti da
sistema economico. Le famiglie accedono ai primi con il loro reddito, mentre le
imprese realizzano gli investimenti con i risparmi accantonati dalle famiglie e resi
disponibili dall’intermediazione del sistema creditizio. La Pubblica Amministrazione
acquista anche essa beni e servizi, pagandoli con le imposte o con l’indebitamento
reso possibile dl risparmio privato.
Se l’intero ammontare dei risparmi si trasforma in investimento il sistema
raggiungerà l’equilibrio; diversamente ci si trova in disequilibrio: in tal caso il reddito
aumenterà o diminuirà, facendo corrispondentemente aumentare o diminuire il
volume del risparmio, finche esso non sarà uguale all’investimento.
Aspetti di contabilità nazionale
Il prodotto interno lordo (PIL) è l’indicatore più importante della ricchezza di un
sistema economico.
Il prodotto interno lordo corrisponde al valore complessivo dei beni e dei servizi
finali prodotti in un Paese in un determinato periodo di tempo.
Per tale ragione il Pil è un indice significativo del benessere di un Paese e della sua
popolazione: I Paesi ricchi godono di un prodotto interno lordo elevato, mentre un
basso livello del Pil è indice di povertà sia del Paese sia della sua popolazione.
Per l’importanza che riveste, il Pil è costantemente controllato dagli uffici statistici di
ogni nazione. In Italia questo compito è svolto dall’ISTAT.
Nonostante la sua onnicomprensività, il Pil non include tutte le merci prodotte in un
Paese, ma soltanto quelle che vengono scambiate nel mercato.
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Ne sono perciò esclusi i beni e i servizi prodotti per l’autoconsumo, anche se una
stima dei servizi abitativi direttamente goduti dai proprietari d’immobili viene inclusa
nel Pil.
Il PIL nominale misura il valore della produzione per un dato periodo di tempo ai
prezzi di quel periodo mentre il Pil reale valuta i beni prodotti sulla base dei prezzi di
un determinato anno di riferimento.
Nelle statistiche ufficiali il valore del Pil è affiancato da altri indicatori della
ricchezza del Paese.
Il prodotto nazionale lordo (PNL) comprende l’insieme dei beni e dei servizi
prodotti da soggetti residenti in un Paese, anche se sono il risultato di attività svolte
all’estero.
Il prodotto interno netto (PIN) si ottiene togliendo dal PNL il valore dei beni
logorati nel corso del processo produttivo, vale a dire gli ammortamenti.
L’andamento ciclico dell’economia
Il ciclo economico è uno schema secondo il quale un’economia si espande, poi si
contrae e successivamente si riprende. In generale possiamo dire che il ciclo
economico sia misurato e tracciato in termini di PIL e disoccupazione. Durante la
fase di espansione il PIL aumenta e la disoccupazione diminuisce, mentre il
contrario avviene in fase di recessione. A prescindere dal punto di inizio in cui si
osserva il ciclo economico, l’economia attraversa quattro fasi: espansione, picco
massimo, contrazione, picco minimo.
Durante la fase di espansione, il reddito complessivo aumenta e, di conseguenza,
cresce la domanda di beni. Le buone prospettive di profitto spingono le imprese a
investire di più, anche a costo di indebitarsi chiedendo prestiti. A fronte dell’aumento
consistente della domanda di beni di consumo i prezzi cominciano a crescere: è il
periodo dell’espansione.
Ad un certo punto a causa del continuo rialzo dei prezzi, della mancanza di nuovi
bisogni da soddisfare e dell’insufficienza dei salari, la domanda di beni cessa di
crescere: siamo giunti al punto di svolta superiore.
Con recessione si indica in genere una fase di rallentamento dell’attività economica.
Nello specifico, “ due trimestri consecutivi di PIL in calo” indicano una recessione
economica.
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Le imprese cominciano a licenziare e riducono gli investimenti; quelle più fragili
falliscono. Il reddito si contrae, la disoccupazione aumenta; la domanda cala e, con
essa, anche i prezzi. I salari e i profitti molto bassi trascinano il sistema in una crisi
sempre più acuta: i prezzi si abbassano ulteriormente, sempre più imprese chiudono,
la disoccupazione esplode.
Questo è il periodo della depressione, in cui si manifesta la vera e propria crisi
economica. Nel periodo della depressione, le spese legate al soddisfacimento dei
bisogni primari svolgono la funzione di ammortizzatori del crollo economico: le
famiglie devono comunque mangiare, vestirsi ecc. La domanda di beni di consumo
correnti si potrà contrarre solo fino ad un certo punto. Quando cesserà di calare, si
sarà raggiunto il punto di svolta inferiore del ciclo del reddito.
Da questo momento le imprese potranno ricominciare a investire: si entrerà così in un
nuovo periodo di ripresa, inizialmente sostenuta dal basso livello dei prezzi che
favorirà la domanda.
Il movimento dell’economia attraverso i cicli economici sottolinea anche altre
relazioni all’interno dell’economia stessa. Mentre la crescita aumenta e diminuisce
all’interno dei cicli, c’e’ un trend generale di lungo periodo. Quando il trend è
crescente, in genere la disoccupazione tende a diminuire.
La crisi attuale
Nel 2008 una nuova grande crisi si è abbattuta sul mondo. La crisi nata nel mondo
della finanza, ha avuto gravi effetti sull’economia reale, cioè sulla domanda e
sull’offerta di beni. Ne sono derivati, soprattutto in Europa e in particolare in Italia,
un calo di consumi e della produzione, un notevole aumento della disoccupazione una
profonda trasformazione del mercato del lavoro.
I paesi dell’Unione Europea, per rispondere alla crisi, hanno adottato politiche di
stampo liberista sempre più severe, ponendo l’accento su rigore dei conti pubblici
(austerity).
Nel 2012, tutti gli Stati membri dell’Unione europea, con l’eccezione del Regno
Unito e della Repubblica Ceca, hanno sottoscritto il Trattato sul Fiscal compact, in
forza della quale si sono obbligati a mantenere:
- il loro bilancio in pareggio o in attivo;
- ridurre il debito pubblico in eccesso rispetto alla soglia del 60% del PIL (
prevista dal trattato di Maastricht) a un ritmo del 5% annuo, così da
raggiungere il rapporto del 60% sul PIL nell’arco di 20 anni.
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Il principio di base delle politiche di austerity è che “ non è possibile attuare
alcuna politica espansiva se il bilancio dello Stato non è in pareggio”. Gli Stati
devono quindi contenere la Spesa pubblica e, contemporaneamente, ridurre le
imposte e rendere più flessibile il mercato del lavoro per favorire la ripresa della
produzione e, di conseguenza, dell’occupazione. Tutto ciò ha comportato la riduzione
dei servizi pubblici, una diffusa instabilità lavorativa e, in generale, l’abbassamento
del livello di sicurezza sociale dei cittadini.
Molti economisti criticano questa impostazione, ricordando, con Keynes, che
l’austerità va praticata nelle fasi di espansione del ciclo, non in quelle di crisi.
Durante l’espansione, infatti, l’austerità frena la crescita e permette agli Stati di
accantonare un “ risparmio” da spendere nei periodi di crisi. Nei momenti di
recessione o di depressione, invece è necessario sostenere i redditi più bassi e favorire
il riassorbimento della disoccupazione finanziando la realizzazione di opere
pubbliche d’interesse generale, per esempio la costruzione di scuole e ospedali, il
risanamento del territorio ecc. All’iniziale riassorbimento della disoccupazione segue
un aumento della domanda aggregata, che fornisce la spinta per la ripresa.
Deficit spending
E’ la manovra economica con la quale un paese decide di finanziarie la spesa
pubblica in disavanzo.
Il finanziamento in deficit può avvenire in due modi:
- con la creazione di base monetaria;
- con l’emissione di titoli di Stato.
Il ricorso all’uno o all’altro strumento trova numerose giustificazioni di carattere
pratico e teorico.
La creazione di base monetaria crea indubbi vantaggi:
- un costo praticamente nullo;
- un effetto espansivo massimo sul reddito, dovuto al fatto che oltre all’operare
del moltiplicatore occorre considerare l’aumento degli investimenti dovuto al
ribasso del tasso di interesse, infatti, un aumento della base monetaria
comporta una riduzione del saggio di interesse.
Nel lungo periodo, però, il finanziamento con base monetaria provoca inflazione.
Per ciò che concerne, invece, l’emissione dei Titoli di Stato per finanziare la Spesa
pubblica , essa è stata da sempre oggetto di animate discussioni tra i fautori del debito
e i sostenitori delle imposte.
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Per Keynes il finanziamento della spesa pubblica con il debito accresce il livello di
attività e perciò il reddito nazionale.
I monetaristi ribattono che il debito pubblico ha effetti distorsivi, perché dirotta
risorse dal settore privato a quello pubblico.
Nel caso di finanziamento della spesa pubblica mediante ricorso al debito pubblico,
infatti lo Stato dovrà offrire tassi d’interesse competitivi per poter collocare i propri
titoli presso gli operatori privati. Ciò comporterà un aumento generalizzato della
struttura dei tassi d’interesse e, di conseguenza , una riduzione degli investimenti
privati.Il tutto si tradurrà in una contrazione della domanda aggregata e dunque del
reddito. Il sistematico ricorso al deficit spending poi, può comportare, nel lungo
periodo, problemi di sostenibilità del debito pubblico.
La possibilità di un effetto di spiazzamento è riconosciuta anche dai Keynesiani. Essi
sostengono, però, che gli investimenti sono poco sensibili alle variazioni del saggio
d’interesse.
 La moneta
Secondo gli economisti neoclassici, la moneta svolge due importanti funzioni:
- è mezzo di scambio e in quanto tale strumento necessario alla realizzazione di
ogni transazione;
- è unità di misura dei valori, ovvero metro di valutazione di tutti i beni e
servizi.
Da questi presupposti deriva la teoria quantitativa della moneta, secondo cui i
prezzi generali o il valore nominale delle spese è correlato positivamente ovvero se
cresce l’uno, cresce l’altra e viceversa alla quantità di moneta. Secondo questa teoria
la quantità disponibile determina il valore della moneta stessa.
La prospettiva keynesiana sulla moneta è profondamente diversa da quella
neoclassica. Keynes ritiene, infatti, che al ruolo d’intermediario degli scambi e di
unità di misura dei valori, la moneta aggiunga un’altra importantissima funzione
quella di riserva di valore, ossia di strumento che consente di dilazionare nel tempo
le decisioni di spesa degli operatori economici.
Secondo Keynes la moneta rappresenta un potere d’acquisto in forma pura,
spendibile anche in periodi futuri.
La moneta consente alle famiglie di risparmiare una parte del reddito guadagnato per
spenderlo in futuro e, alle imprese, di decidere liberamente se reinvestire gli utili
realizzati in un nuovo processo produttivo o se accantonarli per un investimento
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successivo. Per capire le conseguenze di questa scelta immaginiamo un sistema
economico molto semplice nel quale gli operatori hanno solo due possibilità:
- detenere moneta, sotto forma di contante o di deposito bancario;
- acquistare attività finanziarie.
Scegliendo di tenere la moneta in forma liquida gli operatori hanno il vantaggio di
potere disporre in ogni momento di proprio denaro, ma non avranno in cambio
nessun guadagno. Scegliendo l’investimento finanziario, invece, essi perdono per un
certo periodo la disponibilità delle proprie risorse liquide, ma in cambio ottengono un
interesse da coloro a cui le hanno prestate.
La domanda di moneta
Per capire i criteri che guidano gli operatori economici nella scelta tra moneta e titoli
dobbiamo analizzare le variabili che influenzano la domanda di moneta.
La quantità di moneta domandata per il motivo delle transazioni e per quello
precauzionale dipende positivamente dal livello di reddito.
La domanda di moneta come riserva di valore dipende dal tasso d’interesse.
La quantità di moneta che gli operatori decidono di tenere cresce al crescere del loro
reddito, mentre diminuisce all’aumentare del tasso d’interesse sui mercati finanziari.
Si può arrivare ad un livello talmente basso d’interesse tale da indurre gli operatori a
non acquistare titoli e a tenere tutta la loro ricchezza in moneta. A tale livello, che
prende il nome di trappola della liquidità, la domanda di moneta è teoricamente
infinita.
Il fatto che sui titoli venga corrisposto un interesse e che quest’ultimo possa variare
nel corso del tempo determina una ragione aggiuntiva per domandare moneta, una
ragione connessa alla possibilità di realizzare guadagni in conto capitale, speculando
sulla differenza tra il prezzo corrente e il prezzo che si presume potrà avere il titolo in
futuro. Gli speculatori sono operatori che acquistano e vendono titoli alla Borsa
valori. Se il prezzo dei titoli è alto, gli speculatori vendono titoli e tengono moneta; se
il prezzo dei titoli è basso, gli speculatori acquistano titoli e rinunciano alla moneta.
Esiste quindi una relazione inversa tra il valore di un titolo e il livello dei tassi
d’interesse: quando i tassi d’interesse sono alti, il valore del titolo è ridotto, quando i
tassi d’interesse sono bassi, il valore del titolo è alto.
Il motivo speculativo fornisce quindi una ragione in più per spiegare come mai la
domanda di moneta è legata inversamente al tasso d’interesse.
Tassi d’interesse bassi si associano a una maggiore domanda di moneta anche per
motivi speculativi e viceversa. Tali aspettative sono tuttavia soggettivi e instabili. Di
conseguenza, anche la domanda di moneta è instabile.
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L’offerta di moneta
Intesa come mezzo di pagamento, la moneta esistente in un sistema economico può
essere suddivisa in due diverse tipologie:
- la moneta legale, che comprende le banconote e le monete metalliche emesse
direttamente dalla Banca centrale;
- la moneta bancaria, che è costituita dai depositi che i clienti tengono presso
gli istituti di credito e ai quali possono accedere in qualsiasi momento tramite
assegni, carte bancomat, carte di credito, bonifici.
Quella parte della moneta legale che è in possesso del pubblico (ovvero la moneta
legale al netto della quota detenuta dalle banche) costituisce il cosiddetto circolante. I
depositi bancari vengono utilizzati per transazioni di ammontare più consistente.
L’offerta di moneta è data dalla somma del circolante e i depositi bancari.
Il controllo della quantità di moneta, che riveste un’importanza fondamentale per
l’evoluzione del sistema economico, non può che avvenire in maniera indiretta,
attraverso i legami che s’instaurano tra la Banca centrale e il sistema bancario.
L’istituto di emissione o Banca centrale è l’unico soggetto abilitato a emettere
banconote aventi corso legale in un Paese.
La base monetaria o moneta ad alto potenziale è la moneta legale direttamente creata
dalla Banca centrale ed è costituita dal complesso delle passività finanziarie della
Banca centrale stessa. Tale passività sono il circolante e le riserve. Le riserve
rappresentano quel fondo che le aziende di credito tengono presso la Banca centrale.
Esse sono costituite da una parte obbligatoria imposta per legge alle banche al fine di
garantire la solvibilità dei depositi (riserva obbligatoria) e da una parte liberamente
decisa dalle banche per motivi di liquidità (riserva libera).
Il lato attivo del bilancio della Banca centrale comprende le attività a fronte delle
quali la base monetaria viene emessa. Tali attività sono costituite dai prestiti erogati
alle aziende di credito, titoli del debito pubblico , valute estere, piccole quantità di
oro, il cui valore è però ormai trascurabile.
La banca centrale, attraverso il controllo della base monetaria è in grado di
controllare la quantità di moneta totale presente nel sistema economico.
La posizione di equilibrio
Come accade per ogni altro mercato, anche per quello della moneta l’equilibrio si
realizza quando domanda e offerta sono uguali.
L’offerta di moneta è una grandezza indipendente da qualsiasi altra variabile e in
particolare tanto dal livello del reddito, quanto dal tasso d’interesse.
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L’incontro tra la curva di domanda e quella di offerta di moneta consente di
determinare il tasso d’interesse di equilibrio del sistema economico, ossia quel tasso
d’interesse al quale la domanda di moneta da parte degli operatori è uguale alla
quantità offerta dalla Banca centrale. Se il tasso d’interesse è superiore al valore di
equilibrio, l’offerta di moneta supera la domanda; se il tasso d’interesse è inferiore al
valore di equilibrio, la domanda di moneta supera l’offerta.
Teoria del tasso d’interesse secondo Keynes
Secondo Keynes in una prospettiva di breve periodo il risparmio non può essere il
motore della crescita del reddito, ma al contrario è il livello del reddito a determinare
il volume del risparmio; quindi il tasso di interesse non è la ricompensa per la
rinuncia al consumo in vista della realizzazione di un investimento, ma un premio per
la rinuncia alla liquidità, per cui il suo valore dipende dalla domanda e dall’offerta di
moneta. Riassumendo il tasso d’interesse equilibra la domanda e l’offerta di moneta:
l’uguaglianza tra risparmi ed investimenti, si realizza raggiungendo un opportuno
livello di reddito.
Le decisioni di variare l’offerta di moneta e il livello dei tassi d’interesse, al fine di
controllare l’evoluzione del sistema economico nel tempo, costituiscono la politica
monetaria.
Una politica monetaria espansiva consiste nell’acquisto di titoli da parte della
Banca centrale o in una riduzione del tasso ufficiale di riferimento, con conseguente
immissione di liquidità nel sistema.
Una politica monetaria restrittiva consiste nella vendita di titoli da parte della
Banca centrale o nell’aumento del tasso ufficiale di riferimento, con sottrazione di
liquidità dal sistema.
Il valore della moneta
L’inflazione
Le monete in circolazione non hanno alcun valore intrinseco, ma solo un valore
nominale, rappresentato dalla cifra impressa sulle monete metalliche e le banconote.
Il valore nominale di una moneta ha un’importanza relativa nella vita di ogni giorno:
Quello che ci interessa di più, infatti, è il suo valore reale, che, corrisponde al suo
potere di acquisto, cioè alla quantità di beni e servizi che si possono comprare con
un’unità di quella moneta in un certo momento.
L’inflazione è l’aumento continuo del livello generale dei prezzi, a cui corrisponde la
costante perdita di potere d’acquisto (valore reale) della moneta. L’inflazione è un
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fenomeno conosciuto fin dall’antichità, ma oggi è diventato “ endemico” in quanto
legato allo sviluppo economico.
Se l’aumento dei prezzi:
- è continuo, ma contenuto, (inferiore al 3%) si parla di inflazione strisciante;
- è del 3/10%, si parla di inflazione palese;
- supera il 10%, si è in presenza di un’inflazione galoppante.
Se l’inflazione è palese, lo Stato può bloccarla con apposite manovre di politica
monetaria. Quando invece è galoppante, come talvolta è accaduto, lo Stato
difficilmente riesce a tenerla sotto controllo. Infatti, la moneta, perdendo rapidamente
valore, non è trattenuta dai soggetti economici: tutti tendono a liberarsene in fretta,
acquistando beni “ rifugio” (case, quadri di valori, gioielli) anziché beni di consumo e
d’investimento. I produttori, di conseguenza, non trovano più conveniente produrre,
l’offerta si riduce e i prezzi aumentano ancora di più.
 Il sistema bancario
Non sempre le risorse finanziarie a disposizione degli operatori economici
coincidono con i loro bisogni: le famiglie generalmente spendono meno di quanto
hanno a disposizione, mentre le imprese e lo Stato necessitano di risorse aggiuntive
per finanziare investimenti e spesa pubblica.
Il sistema finanziario nasce dall’esigenza di facilitare l’incontro tra questi soggetti, in
modo che le risorse non impiegate dagli operatori in attivo possono essere utilizzate
da quelle in deficit. L’attività d’intermediazione finanziaria è sottoposta alla vigilanza
di alcuni istituti, primo fra tutti la Banca centrale.
All’interno del sistema finanziario un ruolo fondamentale è svolto dalle banche, le
quali hanno il potere di creare moneta attraverso l’emissione di depositi bancari.
Le banche hanno il compito di raccogliere risparmi (operazioni passive) ed erogare
prestiti (operazioni attive).
Le banche sono società per azioni con la sola esclusione delle banche popolari e delle
ex “ casse rurali e artigiane” che sono denominate banche di credito cooperativo. Le
banche organizzate nella forma della società per azioni possono anche partecipare,
purché in misura non superiore al 15%, al capitale d’imprese di carattere industriale.
Il modello prevalente è quello del gruppo bancario: una holding costituita da società
specializzate in diverse funzioni. Tra queste possiamo distinguere: società
finanziarie, che operano sul mercato del credito a medio-lungo termine attraverso
strumenti come i mutui o i contratti di leasing e factoring.
Società d’intermediazione mobiliare (Sim), che hanno il compito di negoziare e
gestire patrimoni individuali.
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Società di gestione del risparmio (Sgr) che si occupano della raccolta e della
gestione collettiva del risparmio attraverso strumenti come i fondi comuni di
investimento.
La nuova normativa, la liberalizzazione del mercato dei capitali e il processo di
globalizzazione in atto hanno aumentato notevolmente la concorrenza nel settore del
credito, spingendo le banche a unirsi in gruppi di maggiori dimensioni. La gamma dei
servizi offerti dalle aziende di credito alla clientela è oggi molto diversa rispetto a
solo pochi anni fa. La raccolta del risparmio può ancora avvenire tramite l’apertura
dei conti correnti che, per l’elevata liquidità (il cliente può prelevare contanti in
qualsiasi momento), non offrono tassi d’interesse significativi.
Negli ultimi tempi l’accesso al conto corrente è facilitato dall’uso di strumenti
elettronici quali la carta di credito e il bancomat che affiancano il tradizionale
assegno. Si vanno sempre più diffondendo servizi come il bonifico o il pagamento
delle utenze dei clienti.
Tra i servizi offerti dalle banche alla clientela, ha assunto particolare importanza la
gestione patrimoniale dei fondi con cui le banche raccolgono il risparmio delle
famiglie per investirlo nelle Borse valori di tutto il mondo.Tali fondi comuni
d’investimento mobiliare possono avere natura azionaria, obbligazionaria o anche
mista. Un altro settore sempre più importante nella raccolta del risparmio è costituito
dal trading on line un contratto attraverso il quale la banca offre al cliente la
possibilità, tramite un personal computer collegato a Internet, di realizzare in
qualunque momento della giornata operazione di acquisto o di vendita di titoli del
mercato mobiliare.
Infine, le banche attraverso la loro rete possono commercializzare contratti
assicurativi, aprendo la strada alla diffusione di prodotti finanziari che sono
contemporaneamente forme d’investimento e strumento previdenziale.
 Il sistema finanziario e il mercato mobiliare
Il sistema finanziario è costituito dall’insieme delle operazioni svolte dalle banche e
da altri intermediari nella gestione e nel trasferimento dei risparmi.
All’interno del sistema finanziario si distinguono il mercato monetario e il mercato
finanziario. A volte il prestito può durare addirittura solo un giorno. Il mercato
finanziario invece comprende la raccolta e l’impiego di risorse a medio e lungo
termine destinate a finanziare gli investimenti delle imprese, l’acquisto di abitazioni,
la realizzazione di opere pubbliche e il fabbisogno della Pubblica amministrazione.
A sua volta il mercato finanziario si articola nel mercato mobiliare e in quello dei
crediti a medio-lungo termine.
Sul mercato mobiliare vengono scambiati titoli azionari o obbligazionari.
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Le azioni sono titoli di credito che rappresentano una quota del capitale di una
società e per tale ragione attribuiscono a chi le possiede la posizione di socio. In
quanto socio, il proprietario delle azioni ha il diritto di votare nell’assemblea e di
percepire una quota degli utili realizzati dalla società proporzionale al capitale
posseduto: il dividendo.
Le azioni di nuova emissione sono collocate sul mercato primario, mentre le
negoziazioni successive avvengono sul mercato secondario. Al momento
dell’emissione le azioni vengono collocate al loro valore nominale, cioè al valore
della quota di capitale sociale che rappresentano. Le contrattazioni che avvengono sul
mercato secondario determinano invece il valore del mercato del titolo. Tale valore
subisce continue variazioni nel tempo, in relazione all’andamento della domanda e
dell’offerta. Il principale mercato secondario dei titoli è costituito dalla Borsa
valori. Non tutti i titoli azionari comunque sono trattati in Borsa.
La Borsa valori
La borsa valori è il luogo dove si incontrano la domanda e l’offerta di determinati
beni, dunque il luogo dove si forma il prezzo indicativo per tutti. I beni oggetto della
contrattazione, possono essere anche merci in questo caso si chiamerà Borsa merci.
La Borsa, finisce con l’essere un vero e proprio barometro dell’economia, in quanto,
oltre ad indicare le aspettative di stabilità, di crescita o di crisi delle singole aziende,
tende ad indicare le aspettative delle varie aziende nel suo insieme. In tal senso
ritornano particolarmente utili i più comuni indici (Mib, Dow Jones, Nikkei), i quali
altro non rappresentano che la media dei prezzi dei singoli valori considerati in una
determinata unità di tempo, sia in generale sia in un determinato settore.
Le obbligazioni sono titoli che rappresentano il credito concesso da un soggetto a un
altro. Ogni titolo prevede la durata del prestito e il suo compenso, l’interesse, che
viene di norma corrisposto a date prestabilite: in tal caso l’ammontare di interesse
pagato prende il nome di cedola.
Le obbligazioni emesse dallo Stato si chiamano titoli di Stato. Le principali categorie
di titoli di Stato sono:
- buoni ordinari del Tesoro: titoli privi di cedola, con rendimento pari alla
differenza tra prezzo di emissione e di rimborso, la cu scadenza è di 3-612mesi;
- certificati del Tesoro “ zero coupon”: anche essi privi di cedola, ma di
durata superiore ai Bot, generalmente 18 mesi o 2 anni;
- buoni del tesoro poliennali (BTP) titoli a tasso fisso, di norma con cedola
semestrale, la cui scadenza varia da 3 a 30 anni;
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- buoni del tesoro poliennali indicizzati all’inflazione europea: titoli della
durata di 5- 10- 15 e 30 anni per i quali sia il capitale rimborsato a scadenza si
le cedole semestrali sono rivalutati in base all’andamento dell’inflazione
europea.
- Certificati di credito del Tesoro: titoli a tasso variabile con cedola di solito
semestrale e scadenza a 7 anni. Il tasso d’interesse viene calcolato aumentando
di una piccola percentuale (spread) un tasso di riferimento, che di norma è
quello sui BOT.
Quando si acquista un azione si è interessati al rendimento che tale tipo di attività può
fornire. Questo rendimento si compone di due parti:
- il dividendo, che spetta al possessore del titolo;
- il capital gain, che invece è costituito dalla differenza tra il prezzo di vendita e
il prezzo di acquisto del titolo.
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