Appunti di Antenne C a p i t o l o 2 – M e t o d i e l e me n t a r i ( I ) Premessa ...................................................................................................................... 1 Risoluzione delle equazioni di Maxwell .......................................................................... 2 Considerazioni generali sulla soluzione delle equazioni di Maxwell............................. 4 Potenziale vettore ...................................................................................................... 6 Potenziale vettore e potenziale scalare in regime dinamico ........................................ 11 Dipolo elettrico elementare (dipolo hertziano) ............................................................. 19 Campo lontano ........................................................................................................ 24 Flusso di potenza media........................................................................................... 25 Resistenza di radiazione........................................................................................... 27 Caratterizzazione di un dipolo elettrico elementare in trasmissione ............................ 28 Diagrammi di radiazione.......................................................................................... 30 Apertura del diagramma di radiazione e mezza potenza ......................................... 33 Il dipolo magnetico (spira) .......................................................................................... 34 Premessa r Se conosciamo il modo in cui si distribuisce la corrente I ( x, y, z ) sulla superficie di una antenna, in generale possiamo ottenere i campi elettromagnetici da essa irradiati impostando un integrale che contiene al suo interno tale distribuzione di corrente. Tuttavia, sebbene questo procedimento sia teoricamente valido per ottenere i campi irradiati da qualsiasi antenna, dal punto di vista pratico ci sono almeno due difficoltà: • in primo luogo, non sempre è possibile conoscere con precisione la r distribuzione I ( x, y, z ) di corrente sull’antenna; molto spesso si è costretti a r fare una ragionevole ipotesi circa la distribuzione I ( x, y, z ) ; • in secondo luogo, pur conoscendo o potendo ipotizzare come sia fatta r I ( x, y, z ) , non sempre si è in grado di risolvere il conseguente integrale per la determinazione dei campi. E’ allora utile e opportuno occuparsi primariamente dello studio di alcune semplici antenne che, pur non essendo di utilizzo pratico, hanno due grossi pregi: possono essere studiate in modo molto semplice ed i campi da esse irradiati risultano comunque molto simili a quelli dovuti ad antenne di utilizzo comune, a patto però che il punto di osservazione venga posto sufficientemente distanze dall’antenna. Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Risoluzione delle equazioni di Maxwell r Una volta nota la distribuzione I ( x, y, z ) (reale o approssimata) della corrente dell’antenna, il secondo e fondamentale problema da affrontare consiste nella r risoluzione delle equazioni di Maxwell, nelle quali compare proprio I ( x, y, z ) in quanto sorgente del campo elettromagnetico. A tale scopo, noi faremo sempre l’ipotesi che tutti i mezzi considerati siano lineari e quindi suscettibili dell’applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti. Sotto questa ipotesi, condurremo i nostri ragionamenti direttamente nel dominio della frequenza, ossia ipotizzando di essere in regime sinusoidale permanente. Sotto questa ipotesi, è noto che le equazioni di Maxwell sono nella seguente forma generale: r r −∇ × E = jωB r r r r r ∇ × H = jωD + J 0 + σE + ρv r ∇•B= 0 r ∇ • D = ρe r r J = σE r r D = εE r r B = µH Compaiono, in queste espressioni, i vettori/fasori dei vari campi nonché le costanti µ,ε,σ del mezzo considerato. La costante µ è la cosiddetta permeabilità assoluta del mezzo, mentre la costante ε prende il nome di permettività assoluta; σ è invece la conducibilità elettrica. Le costanti ε e µ possono essere anche espresse con riferimento ai rispettivi valori (εε 0=10-9/36π π farad/metro e µ 0=4π π ⋅ 10-7 henry/metro) nel vuoto: ε = εr ε 0 µ = µrµ0 In questo caso, µ r è la permeabilità relativa del mezzo, mentre ε r è la permettività relativa. In generale, per i mezzi uniformi non ferromagnetici, risulta µr=1 e quindi µ=µ0 ed è la situazione che incontreremo più di frequente. Se il mezzo considerato è privo di sorgenti (cioè delle cariche elettriche responsabili dei campi elettrici e delle correnti elettriche responsabili dei campi magnetici), allora le equazioni di Maxwell prima riportate si possono sintetizzare ulteriormente: r r − ∇ × E = jωµH r r r ∇ × H = jωεE + σE r ∇•B= 0 r ∇•D = 0 In tutte queste equazioni, le grandezze che compaiono sono allo stesso tempo dei vettori (nel senso che presentano 3 componenti nelle tre direzioni del sistema Autore: Sandro Petrizzelli 2 Antenne e metodi elementari (parte I) di riferimento fissato) e dei fasori (nel senso che ciascuna componente può presentare una propria fase, oltre ad un proprio modulo, e non necessariamente le 3 fasi sono uguali). Per comprendere bene il concetto, consideriamo ad esempio il fasore/vettore associato al campo elettrico: in un riferimento cartesiano, scriveremo in generale che r r r r E(x , y, z) = E X ( x, y, z ) + E Y (x , y, z) + E Z ( x, y, z ) Tale fasore/vettore è dato dalla somma di 3 componenti, una per ciascuna direzione di riferimento. La generica componente è a sua volta un fasore/vettore, che possiamo perciò esprimere come prodotto tra un versore (che ne indica direzione e verso), un modulo ed una fase: ad esempio, considerando la componente lungo l’asse x, scriviamo che r r r E X ( x, y, z) = E X (x , y, z )a X = a X ⋅ M X ( x, y, z) ⋅ e jθ X ( x , y, z ) r In alternativa, potremmo anche esprimere E X ( x, y, z) come somma di una parte reale e di una parte immaginaria: E X (x , y, z) = E X ,re (x , y, z) + jE X ,im (x , y, z) . Per ottenere l’espressione nel dominio del tempo, ossia la grandezza sinusoidale associata a questo fasore/vettore, dobbiamo applicare la classica formula di antitrasformazione: dobbiamo cioè moltiplicare il fasore/vettore per ejωt, dove ω è la pulsazione di lavoro, e poi applicare l’operatore parte reale: { } r r r E X ( x, y, z, t ) = Re E X (x , y, z )e jωt = Re a X ⋅ M X ( x , y, z) ⋅ e jθ X ( x , y, z ) ⋅ e jωt = r r = a X ⋅ M X ( x, y, z) ⋅ Re e jθ X ( x , y, z ) ⋅ e jωt = a X ⋅ M X ( x , y, z ) ⋅ cos(θ X ( x, y, z) + ωt ) { { } } Ancora, è opportuno anticipare che, in alcuni casi pratici, conviene introdurre, nelle equazioni di Maxwell, le cosiddette sorgenti fittizie, ossia cariche e correnti elettriche che nella realtà non esistono, ma, allo stesso tempo, servono a tenere conto di fenomeni fisici realmente presenti. In queste situazioni, avremo ciò delle equazioni del tipo r r r ∇ × E = − jωµH − J m r ∇ × B = ρm In generale, dunque, nota la distribuzione delle sorgenti (vere o fittizie) del campo elettromagnetico, la determinazione del campo stesso corrisponde alla risoluzione delle equazioni di Maxwell. Questa risoluzione, come si è anticipato prima, non sempre è possibile: • ci sono alcuni casi semplici, come i primi che prenderemo in esame, in quanto la soluzione delle equazioni di Maxwell è fattibile; • ci sono invece altri casi in cui la soluzione esatta non è ottenibile e quindi si ricorre a metodi approssimati: ad esempio, in alcuni casi si ipotizza che la soluzione di tali equazioni sia una opportuna combinazione di soluzioni canoniche, eventualmente secondo dei coefficienti da determinare; oppure, in altri casi si effettuano ulteriori ipotesi 3 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 semplificative, come ad esempio accade per i metodi di ottica geometrica, che sono applicabili solo quando le dimensioni fisiche degli oggetti sono molto maggiori della lunghezza d’onda. A proposito di quest’ultimo punto, possiamo fare una semplice ma importante osservazione: consideriamo una frequenza di lavoro di 1 GHz, corrispondente ad una lunghezza d’onda di 0.3 metri. Quest’ultimo valore non è poi molto piccolo, per cui è difficile che tutti gli oggetti presenti abbiano dimensioni fisiche inferiori ad esso: di conseguenza, pur essendo possibile applicare i metodi dell’ottica geometrica, i corrispondenti risultati potrebbero essere abbastanza lontani dalla realtà. In altre parole, l’ottica geometrica non è proprio la più opportuna per lo studio delle frequenze degli apparati di telecomunicazioni, il che significa che è opportuno pensare, per tali frequenze, ad altri metodi, come ad esempio la teoria delle diffrazione (GTD – Teoria Geometrica della Diffrazione). Altri strumenti spesso utili sono inoltre le sorgenti fittizie (di cui abbiamo parlato poco fa) ed il principio di equivalenza. C dii nii d uaazziioon deellllee eeqqu nee d uzziioon ullllaa ssoollu neerraallii ssu nii ggeen deerraazziioon nssiid Coon M weellll Maaxxw A questo punto, prima di andare ad esaminare alcuni casi specifici di antenne, cominciamo con un discorso di tipo più generale. Consideriamo una regione di spazio limitata in cui si suppone siano concentrate tutte e sole le possibili sorgenti di campi elettromagnetici, vale a dire cariche elettriche fisse (distribuite con una certa densità spaziale ρ [C/m3] ) e correnti elettriche (distribuite con r una certa densità di corrente J [A/m2] ): antenna TX r J ρ In pratica, questa regione di spazio definisce la nostra antenna trasmittente, che per il momento ha una configurazione del tutto generica. Al fine di distinguere le coordinate delle sorgenti da quelle di un eventuale punto di misura del campo elettromagnetico prodotto, useremo la seguente notazione: sorgenti: punto di misura: r J ( x ' , y' , z' ), ρ( x ' , y' , z' ) P(x , y, z) Il generico elemento infinitesimo di carica elettrica sarà dunque dq = ρ( x ' , y' , z' ) ⋅ dV' , dove dV’ è un volumetto infinitesimo, mentre il generico Autore: Sandro Petrizzelli 4 Antenne e metodi elementari (parte I) r r r elemento infinitesimo di corrente elettrica sarà dI = J ( x ' , y' , z' ) • dA , dove dA è l’area (dotata di normale uscente) di un elemento infinitesimo di superficie. L’applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti consiste sostanzialmente in due passaggi: • • il primo è quello di calcolare il campo prodotto dalla generica sorgente infinitesima; il secondo è quello di integrare tale campo su tutta la distribuzione dell’antenna trasmittente, in modo da ottenere il campo totale prodotto. Un caso molto semplice da affrontare e studiare è quello di un volumetto infinitesimo dV’ di forma cilindrica, con altezza dl e area di base dA: dA dl r J ( P' ) Una volta calcolato il campo prodotto da questo volumetto, basta integrare per ottenere la soluzione più generale. Immaginiamo allora di porre questo volumetto in corrispondente dell’origine di un sistema di riferimento cartesiano Oxyz; z P(x,y,z) y P'=O x E’ evidente che, in questo caso, risulta P’≡O, ossia x’=0, y’=0 e z’=0. Per calcolare il campo elettromagnetico prodotto da questa particolare sorgente, dobbiamo integrare le equazioni di Maxwell (nel dominio della frequenza), che in questo caso (supponiamo anche di essere nel vuoto) assumono le seguenti espressioni: 5 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 r r ∇ × E = − jωµ 0 H r r r ∇ × H = jωε 0 E + J r ∇•B = 0 r ∇•E = ρ Il procedimento necessario per risolvere tali equazioni è noto; consideriamo ad esempio la determinazione del campo elettrico: calcolando il rotazionale della r prima equazione, in modo da far comparire ∇ × H a secondo membro, e r sostituendo l’espressione proprio di ∇ × H fornita dalla seconda equazione, si ottiene l’equazione r r r ∇ 2 E + ω2µ 0 ε 0 E = jωµ 0 J La soluzione di questa equazione, unitamente alle condizioni al contorno del problema, consente la determinazione del campo elettrico prodotto dalla sorgente considerata. Solitamente, quella equazione si trova scritta nella forma r r r ∇ 2 E + k 02 E = jωµ 0 J 2 2 in cui cioè si è posto k 0 = ω µ 0 ε 0 , dove k0 prende il nome di numero d’onda (in questo caso per lo spazio vuoto). In effetti, questo modo di procedere, per quanto corretto, è piuttosto scomodo da applicare, in quanto risulta non facile la soluzione dell’equazione di Maxwell. Si preferisce allora far ricorso ai cosiddetti potenziali ausiliari e, in particolare, al potenziale vettore. Di questo ci occuperemo nel prossimo paragrafo. P nzziiaallee vveettttoorree Pootteen I cosiddetti potenziali ausiliari risultano essere particolarmente utili per lo studio dei problemi di irradiazione delle antenne (problemi legati, cioè, alla cosiddetta propagazione libera, che si distingue dalla propagazione guidata che avviene nelle guide d’onda). Ci interessiamo, in particolare, all’introduzione del r potenziale vettore A , dando più o meno per scontata la conoscenza del potenziale scalare elettrostatico V. Partiamo da un veloce riepilogo dei concetti basilari dell’elettrostatica, da cui passare, per analogia, a quello che ci interessa in questa sede. Intanto, lo studio dell'elettrostatica si basa fondamentalmente su due equazioni differenziali: • la prima è il teorema di Gauss (appunto in forma differenziale) secondo cui r ρ ∇• E = ε0 dove ρ è la densità spaziale di carica; Autore: Sandro Petrizzelli 6 Antenne e metodi elementari (parte I) • la seconda è quella che ci dice che il campo elettrico è conservativo (o irrotazionale), cioè r ∇×E = 0 Il fatto che il campo elettrico sia irrotazionale permette l'introduzione della cosiddetta funzione potenziale elettrostatico: è infatti possibile trovare una funzione scalare V tale che, in ogni punto dello spazio sede di un campo elettrico r E , il valore di tale campo sia ottenibile come r r E = −∇V Questa possibilità deriva da una nota proprietà degli operatori “rot” e “grad” secondo cui, dato un QUALSIASI campo scalare V, risulta ∇ × ( −∇V) = −∇ × (∇V) = 0 r e da qui consegue appunto che si possa scrivere E = −∇V . E’ anche importante sottolineare che la scelta della funzione scalare V dalla quale derivare il campo elettrico non è univoca: infatti, è facile verificare che, se r la funzione scalare V soddisfa all'equazione E = −∇V , allora anche la funzione V' = V + cos t soddisfa alla stessa relazione. Questo significa che un qualsiasi campo elettrico, a meno di ulteriori considerazioni, può essere derivato da un numero infinito di potenziali scalari. Per rendere invece univoca la scelta del potenziale da cui derivare il campo elettrico, basta attribuire un valore arbitrario (scelto nel modo più comodo possibile) alla costante cost. Ad esempio, sappiamo che in tutti i casi in cui non ci sono cariche all'infinito, è possibile porre uguale a 0 il valore di tale costante, il che significa assumere nullo il potenziale dei punti situati all'infinito. Il fatto che il campo elettrico sia legato alla funzione potenziale dalla relazione r E = −∇V consente di legare direttamente il potenziale V alla distribuzione di cariche che generano il campo. Si usano a tale scopo l'operatore differenziale “div” e il “teorema di Gauss”: si ha infatti che r ∇ • E = ∇ • ( −∇V) = −∇ • (∇V) = −∇ 2 V r ρ Poiché il teorema di Gauss dice che ∇ • E = , si può scrivere che ε0 ∇2V = ρ ε0 Questa equazione differenziale è nota come equazione di Poisson ed esprime appunto il legame tra il potenziale scalare associato al campo elettrico e la distribuzione di cariche che generano il campo stesso. Un caso particolare di questa equazione si ha quando non c'è alcuna distribuzione di carica a generare alcun campo: infatti, quando si verifica la condizione ρ=0 l'equazione di Poisson diventa semplicemente 7 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 ∇2V = 0 e prende il nome di equazione di Laplace. Questa equazione impone come deve variare il potenziale scalare in ogni punto dello spazio vuoto, cioè privo di cariche. Ancora riguardo il potenziale scalare, si è visto, nel corso di Fisica 2, che, data una distribuzione spaziale arbitraria di carica con densità ρ , il potenziale V da essa generato in un punto P a distanza r si ottiene sommando i contributi dovuti all'intera distribuzione, per cui è pari a V (r ) = 1 4 πε 0 1 ∫ r ρdτ τ Tutto, ancora una volta, a meno di una costante arbitraria, che però può essere posta uguale a zero se la distribuzione di cariche è al finito. La funzione V(r) così ottenuta è proprio la soluzione generale della equazioner di Poisson. Detto questo, ci accingiamo a ricavare, anche per il campo B , una funzione che svolga la stessa funzione del potenziale scalare per il campo elettrico. Le equazioni da cui partire sono le seguenti: • in primo luogo, il cosiddetto teorema di Gauss per l'elettromagnetismo, in r base al quale il campo B è solenoidale, cioè r ∇•B = 0 • la seconda relazione è il teorema di Ampere in forma differenziale (relativo a casi stazionari): questo teorema afferma che r r ∇ × B = µ0 J dove J è la densità di corrente (stazionaria) e µ0 è la permeabilità del vuoto. Una immediata considerazione, rispetto al campo elettrico, è la seguente: il r campo B (salvo nel caso particolare di spazio vuoto privo di correnti) non è irrotazionale: questo impedisce di derivare tale campo da un campo scalare come r invece abbiamo fatto per il campo elettrico. Tuttavia, il fatto che il campo B sia solenoidale ci permette di derivare r tale campo da un altro campo, questa volta vettoriale,r che indicheremo r con A . Infatti, possiamo verificare facilmente che, se il campo B ed il campo A sono legati dalla relazione r r B= ∇×A r allora B continua ad essere solenoidale. La verifica di questo fatto è immediata: r basta infatti considerare che, dato un QUALSIASI campo vettoriale A , la divergenza del suo rotore è sempre nulla, per cui r r ∇ • B = ∇ • ( ∇ × A) = 0 Autore: Sandro Petrizzelli 8 Antenne e metodi elementari (parte I) r Quindi, nella magnetostatica, r ad un certo campo B è sempre possibile r r associare un campo vettoriale A al quale è legato dalla relazione B = rotA . Naturalmente, se facciamo uso di un riferimento cartesiano e ricordiamo l'espressione delle componenti del rotazionale di un vettore in tale riferimento, è r immediato calcolarsi le relazioni scalari che legano le componenti di B a quelle r di A : ∂A Z ∂A Y BX = − r r r ∂dy ∂dz aX aY aZ r ∂A X ∂A Z ∂ ∂ ∂ B= ∇×A = → B Y = − ∂x ∂y ∂z ∂dy ∂dx AX AY AZ ∂A Y ∂A X − B Z = ∂dx ∂dy r r In perfetta analogia con l'elettrostatica, la funzione vettoriale A ( r ) prende il nome di potenziale vettore. Anche questo potenziale, a meno di ulteriori specifiche, non è univoco per un r r r r assegnato campo: infatti, se la funzione A ( r ) soddisfa alla relazione B = ∇ × A , è facile verificare che anche la funzione r r r r r A ' ( r ) = A ( r ) + grad( g( r )) con g(r) arbitraria funzione scalare, soddisfa alla stessa relazione. Quindi, senza ulteriori specifiche, ad un dato campo di induzione magnetica è possibile associare infiniti potenziali vettori. Per rendere invece univoca la scelta del potenziale vettore, bisogna imporre una seconda condizione cui esso deve r r soddisfare, oltre quella espressa da B = ∇ × A . La condizione che viene imposta è r che anche il potenziale vettore, come il campo B , sia solenoidale, cioè che soddisfi in ogni punto alla relazione r ∇• A = 0 r Riepilogando, diciamo che dato un qualsiasi campo B, è possibile r associare a tale campo uno ed un solo campo vettoriale A tale che r r r B = ∇ × A e ∇• A = 0. Ancora, così come in elettrostatica avevamo legato il potenziale scalare alla distribuzione di cariche generatrici del campo, allo stesso modo vogliamo adesso r legare il potenziale vettore al sistema di correnti che generano B . In base al teorema di Ampere abbiamo che r r ∇ × B = µ0 J r r Sostituendo B = ∇ × A , otteniamo ( ) ( ) r r r r r ∇ × B = ∇ × ∇ × A = ∇ ∇ • A − ∇2A = µ0J 9 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Poiché la divergenza del potenziale vettore è nulla per ipotesi, possiamo ottenere la relazione finale r r ∇ 2 A = −µ 0 J E' evidente che questa equazione è, per il magnetismo, l'analogo dell'equazione di Poisson per l'elettrostatica: rispetto ad essa, il potenziale scalare V è stato sostituito dal potenziale vettore, il reciproco della permettività del vuoto ε0 è stata sostituita dalla permeabilità del vuoto µ0, la densità spaziale di carica ρ è r stata sostituita dal densità di corrente (stazionaria) J . Proprio l'analogia con l'equazione di Poisson ci permette di dare una soluzione all'equazione ottenuta. Intanto osserviamo che quella ottenuta è una equazione vettoriale che equivale a 3 equazioni scalari (se usiamo un riferimento cartesiano): ∇ 2 A X = −µ 0 J X ∇ 2 A Y = −µ 0 J Y ∇ 2 A Z = −µ 0 J Z Ora, ciascuna di questa equazioni (scalari) è del tutto analoga all'equazione di Poisson: la soluzione di quest'ultima era la funzione V(r) data da V( r ) = 1 4πε 0 1 ∫ r ρ( r )dτ τ Analogamente, la soluzione di una qualsiasi delle 3 equazioni ottenute, ad esempio quella lungo l'asse x, sarà µ 1 A X ( r ) = 0 ∫ J X dτ 4π τ r Le tre soluzioni scalari possono ovviamente essere sintetizzate in un'unica relazione vettoriale, per cui possiamo concludere che la soluzione generale r 2 dell’equazione ∇ A = − µ 0 J ha espressione r r µ A( r ) = 0 4π 1r ∫τ r Jdτ dove τ è il volume della regione di spazio che si sta considerando. Questa è dunque una relazione che permette di determinare il potenziale vettore a partire dalla distribuzione delle correnti nella regione τ considerata. Spesso, per determinare il campo di induzione magnetica prodotto da un sistema di correnti, conviene prima determinare il potenziale vettore tramite questa r r r formula e poi passare a B tramite la relazione B = ∇ × A . Autore: Sandro Petrizzelli 10 Antenne e metodi elementari (parte I) P Pootteen nzziiaallee vveettttoorree ee p pootteen nzziiaallee ssccaallaarree iin n rreeggiim mee d diin naam miiccoo Quanto detto nel precedente paragrafo vale dunque in condizioni statiche. Vogliamo adesso fare delle considerazioni, a proposito sempre del potenziale vettore, relativamente a situazioni dinamiche, che sono quelle di nostro interesse nella trasmissione dei segnali attraverso lo spazio. Partiamo sempre dalle equazioni di Maxwell, delle quali consideriamo l’espressione generale valida nel dominio del tempo: r r ∂h ∇ × e = −µ 0 ∂t r r r ∂e ∇ × h = ε0 +j ∂t r r Sappiamo che b = µ 0 h , per cui la prima equazione diventa r r ∂b ∇×e = − ∂t r r Se in questa poniamo b = ∇ × a , otteniamo (sfruttando la linearità dell’operatore “rot”) che r r ∂ r r r ∂a ∂a portando tutto al 1° membro ∇ × e = − (∇ × a ) = −∇ × → ∇ × e + = 0 ∂t ∂t ∂t r r ∂a In base a questa relazione, il campo e + risulta essere anch’esso ∂t irrotazionale, il che significa che possiamo derivarlo come gradiente di una generica funzione scalare ϕ : r r ∂a e+ = −∇ϕ ∂t r ∂a r Da qui ricaviamo dunque che e = − − ∇ϕ , ossia che il campo elettrico è noto ∂t r se sono noti il potenziale vettore a e la funzione scalare ϕ. r A questo punto, proviamo a trovare una relazione che leghi a a ϕ: a questo scopo, consideriamo la seconda equazione di Maxwell, ossia r r ∂e r ∇ × h = ε0 +j ∂t r ∂a r Sostituendo l’espressione e = − − ∇ϕ del campo elettrico e l’espressione ∂t r r b ∇ × ar del campo magnetico, otteniamo h= = µ0 µ0 11 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 r r r ∇×a ∂ ∂a = ε − − ∇ϕ + j ∇ × ∂t ∂t µ0 da cui, riarrangiando e tenendo conto che ∂ϕ ∂ ( ∇ϕ) = ∇ , si ottiene l’equazione ∂t ∂t r r r ∂2a ∂ϕ ∇ × ∇ × a + µ 0 ε 0 2 = −µ 0 ε 0∇ + µ 0 j ∂t ∂t r r r Infine, ricordando l’identità vettoriale ∇ × ∇ × A = ∇( ∇ • a) − ∇ 2 a , possiamo r concludere che il legame ricercato tra il potenziale vettore a ed il potenziale scalare ϕ è dato dall’equazione r r r ∂2a ∂ϕ 2r ∇(∇ • a ) − ∇ a + µ 0 ε 0 2 = −µ 0 ε 0 ∇ + µ 0 j ∂t ∂t Questa equazione è piuttosto difficile da risolvere. Ci viene allora in aiuto il cosiddetto r teorema di Helmolthz: esso afferma che un qualsiasi campo vettoriale F , che goda della sola proprietà di essere differenziabile, può essere sempre espresso come la somma del gradiente di una funzione scalare e del r rotore di una funzione vettoriale. In altre parole, tale campo F è univocamente determinato nel momento in cui se ne fissano la divergenza ed il rotore. Allora, r nel nostro caso, abbiamo già definito il rotore del campo a mediante la relazione r r b = ∇ × a , per cui ci resta da fissarne la divergenza: possiamo allora fissare la r quantità ∇ • a in modo da semplificare la relazione ottenuta prima. Per esempio, possiamo porre r ∂ϕ ∇ • a = −µ 0 ε 0 ∂t Questa posizione prende il nome di condizione di Lorentz. E’ evidente che da essa consegue che r ∂ϕ ∇(∇ • a ) = −∇ µ 0 ε 0 ∂t il che ci consente di semplificare l’equazione differenziale ottenuta prima, che adesso passa nella forma r r r ∂2a − ∇ a + µ0 ε0 2 = µ 0 j ∂t 2 Questa non è altro che la nota equazione di Helmolthz non omogenea delle onde, valida per campi comunque variabili nel tempo. Nel caso particolare in cui le sorgenti considerate siano sinusoidali, sappiamo che diventa conveniente passare nel dominio della frequenza, dove quella equazione assume la seguente celebre espressione: r r r ∇ 2 A + ω 2µ 0 ε 0 A = −µ 0 J Autore: Sandro Petrizzelli 12 Antenne e metodi elementari (parte I) Ponendo k 20 = ω 2 µ 0 ε 0 , otteniamo dunque l’equazione r r r 2 ∇ A + k 0 A = −µ0 J 2 Ovviamente, questa è una relazione vettoriale che, in un sistema di riferimento cartesiano Oxyz, equivale a 3 distinte equazioni scalari: ∇ 2 A X + k 20 A X = −µ 0 J X ∇ 2 A Y + k 20 A Y = −µ 0 J Y ∇ 2 A Z + k 02 A Z = −µ 0 J Z La particolarità di queste 3 equazioni è quella di essere del tutto indipendenti una dall’altra: in altre parole, le tre componenti del potenziale vettore non hanno dipendenze reciproche. Questa è una semplificazione notevole del problema. Sottolineiamo, tuttavia, che ogni componente dipende, in generale, da tutte e tre le coordinate cartesiane, il che significa che AX=AX(x,y,z), AY=AY(x,y,z) e AZ=AZ(x,y,z). Dato che le tre equazioni sono del tutto identiche tra loro, possiamo risolvere una sola di esse. Ad esempio, consideriamo quella relativa alla direzione z: ∇ 2 A Z + k 02 A Z = −µ 0 J Z In questa equazione, JZ è una funzione nota (è la sorgente), mentre AZ è la funzione da determinare. Per fare questa determinazione, conviene in primo luogo fare una scelta opportuna del sistema di riferimento. Se consideriamo, ad esempio, il problema della determinazione del campo prodotto dal volumetto cilindrico infinitesimo posto nell’origine del sistema di riferimento, è chiaro che si tratta di un problema a simmetria sferica, in cui cioè il campo elettromagnetico prodotto ha simmetria sferica rispetto all’origine del riferimento stesso. La stessa cosa varrà dunque per il potenziale vettore, il che significa che la forma più corretta dell’ultima equazione è ∇ 2 A Z (r ) + k 02 A Z (r ) = −µ 0 J Z (r ) Utilizzando dunque in sistema di coordinate sferiche, è noto che ∇ 2 A Z (r) = 1 ∂ 2 ∂A Z (r ) r r 2 ∂r ∂r per cui riscriviamo l’equazione nella forma 1 ∂ 2 ∂A Z (r ) 2 r + k 0 A Z (r) = −µ 0 J Z (r ) 2 ∂r r ∂r r≠0 Lo stesso discorso vale ovviamente per le altre due componenti del potenziale vettore. 13 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Per risolvere l’equazione ottenuta, dobbiamo per prima cosa risolvere l’omogenea associata, vale a dire 1 ∂ 2 ∂A Z (r ) 2 r + k 0 A Z (r ) = 0 2 r ∂r ∂r Proviamo allora a vedere se questa equazione è soddisfatta da una funzione Ψ (r) : sostituendo nel primo termine dell’equazione, otteniamo nella forma A Z (r ) = r 1 ∂ 2 ∂A Z (r) 1 ∂ 2 ∂ Ψ (r) 1 ∂ 2 Ψ (r ) r r = = .... = r 2 ∂r ∂r r 2 ∂r ∂r r r ∂r 2 L’equazione di prima diventa dunque 1 ∂ 2 Ψ (r ) Ψ (r ) + k 02 =0 2 r ∂r r ossia anche ∂ 2 Ψ (r) + k 20 Ψ (r) = 0 2 ∂r Questa equazione è in una forma abbastanza nota: è noto, infatti, che essa è soddisfatta da una soluzione del tipo Ψ (r) = C1e − jk 0 r + C 2 e jk 0 r (con C1 e C2 da determinarsi in base alle condizioni al contorno) da cui quindi deduciamo che il potenziale vettore vale A Z (r) = Ψ (r ) e − jk 0 r e jk 0 r = C1 + C2 r r r Ovviamente, questa è l’espressione nel dominio della frequenza. Per passare al dominio del tempo, dobbiamo applicare le classiche formule di antitrasformazione: e − jk 0r e jωt cos(ωt − k 0 r ) cos(ωt + k 0 r ) e jk 0r e jωt a Z (r, t ) = Re A Z (r)e jωt = Re C1 + C2 + C' 2 = C'1 r r r r { } dove ricordiamo che k0=2π/λ=2πf/c=ω/c. Questa espressione ci dice che il potenziale vettore lungo z (così come lungo y e lungo x) è dato dalla somma di due onde, di cui una progressiva (che cioè si allontana dalla sorgente) e l’altra regressiva (che cioè va verso la sorgente). Ovviamente, questa è la situazione più generale possibile, in quanto è evidente che l’onda regressiva può esistere solo se ci sono almeno due sorgenti nella regione di spazio considerata. Se invece la sorgente è una sola, allora l’onda Autore: Sandro Petrizzelli 14 Antenne e metodi elementari (parte I) regressiva non può esistere (da dove dovrebbe provenire il campo?) e quindi la soluzione da adottare è cos(ωt − k 0 r ) e − jk 0 r antitrasfo rmando A Z (r ) = C → a Z (r, t ) = C' r r dove la costante C dipende sostanzialmente dal tipo di sorgente che si sta considerando. Il discorso è del tutto analogo per le altre due componenti, lungo x e lungo y. Andiamo allora a determinare il valore della costante C. Dobbiamo sostanzialmente imporre che l’espressione trovata per AZ(r) soddisfi anche l’equazione differenziale completa di partenza, ossia ∇ 2 A Z (r ) + k 02 A Z (r ) = −µ 0 J Z (r ) Andiamo allora ad integrare questa equazione nel volume V di una superficie sferica S di raggio r0 sufficientemente grande da racchiudere per intero la nostra sorgente (cioè il volumetto situato nell’origine O): ∫∫∫ ∇ A 2 V Z (r )dV + ∫∫∫ k 02 A Z (r )dV = −µ 0 ∫∫∫ J Z (r)dV V V Possiamo fare alcuni passaggi. In primo luogo, possiamo trasformare il primo integrale di volume a primo membro in un integrale di superficie: r ∇ A ( r ) • d S + ∫∫∫ k 02 A Z (r)dV = −µ 0 ∫∫∫ J Z (r )dV Z ∫∫ S V V r r dove abbiamo indicato con dS = r 2 sin θdθdϕ ⋅ a r il generico elementino di superficie r dS dotato di normale orientata (il cui versore è a r ) e dove il prodotto scalare si rende necessario in quando il gradiente (∇) di una funzione scalare è un vettore. Possiamo anzi calcolare questo gradiente: infatti, considerando l’espressione di AZ(r) ottenuta integrando l’omogenea associata, scriviamo che e − jk 0r ∇A Z (r) = ∇ C r k r 1 = C − 2 − j 0 e − jk 0r a r r r r Sostituendo l’espressione di dS ed osservando che i due vettori coinvolti nel prodotto scalare hanno lo stesso versore, riscriviamo l’equazione nella forma 1 ∫∫ C − r S 2 −j k 0 − jk 0r 2 2 e r sin θdθdϕ + ∫∫∫V k 0 A Z (r )dV = −µ 0 ∫∫∫V J Z (r )dV r In particolare, separando l’integrale doppio nei due integrali rispetto a θ e rispetto a ϕ, otteniamo 15 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 2π π 1 ∫∫ C − r 0 0 2 −j k 0 − jk 0r 2 2 e r sin θdθdϕ + ∫∫∫V k 0 A Z (r )dV = −µ 0 ∫∫∫V J Z (r )dV r L’integrale ottenuto è di soluzione immediata: abbiamo infatti che 2π π π k 0 − jk r 2 1 − jk r ∫0 ∫0 C − r 2 − j r e 0 r sin θdθdϕ = −C ⋅ 2π ⋅ ∫0 (1 + jk 0 r )e 0 sin θdθ = π = −C ⋅ 2π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0r0 ⋅ ∫ sin θdθ = −C ⋅ 2π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0r0 ⋅ 2 = − C ⋅ 4π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0r0 0 dove abbiamo posto r0 al posto di r in quanto la sfera considerata ha appunto raggio r0. Tornando dunque all’equazione, otteniamo − C ⋅ 4π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0 r0 = + ∫∫∫ k 20 A Z (r )dV = −µ 0 ∫∫∫ J Z (r )dV V V Se ora consideriamo l’integrale a secondo membro, potremo risolverlo solo a patto di trovare una espressione opportuna per la sorgente del campo. Avendo detto che la sorgente è un volumetto dV cilindrico sistemato nell’origine del sistema di riferimento, possiamo esprimere la densità di corrente nella forma J Z (r) = J 0 ⋅ δ(0) ⋅ dV = J 0 ⋅ δ(0) ⋅ dA ⋅ dl = I 0 ⋅ δ(0) ⋅ dl dA dl J0 dove abbiamo usato l’impulso di Dirac proprio per rappresentare il fatto che la nostra sorgente è praticamente puntiforme. Sostituendo nell’equazione, otteniamo − C ⋅ 4π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0r0 + ∫∫∫ k 20 A Z (r)dV = −µ 0 ∫∫∫ I 0 ⋅ δ(0) ⋅ dl ⋅ dV V V Sfruttando ora una delle note proprietà dell’impulso di Dirac, sappiamo che l’integrale a secondo membro è pari alla funzione integrando calcolata nel punto di applicazione dell’impulso, che in questo caso è l’origine: deduciamo dunque che l’integrale vale semplicemente I 0 dl , per cui riscriviamo l’equazione nella forma − C ⋅ 4π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0 r0 + ∫∫∫ k 20 A Z (r )dV = −µ 0 I 0 dl V Autore: Sandro Petrizzelli 16 Antenne e metodi elementari (parte I) Rimane da risolvere un ultimo integrale di volume. Ponendo allora ancora una e − jk 0r volta A Z (r) = C e considerando che dV = dS ⋅ dr = r 2 sin θdθdϕ ⋅ dr , deduciamo che r quell’integrale vale ∫∫∫ V k 20 A Z (r)dV = ∫∫∫ k 20 C V r0 π = Ck ⋅ 2π ⋅ ∫ ∫ e 2 0 0 0 − jk 0 r r 2π π 0 e − jk 0 r 2 r sin θdθdϕdr = Ck 20 ∫ ∫∫ e − jk 0 r r sin θdθdϕdr = r 0 0 0 r0 r sin θdθdr = C ⋅ k ⋅ 2π ⋅ 2 ⋅ ∫ e − jk 0 r rdr 2 0 0 A questo punto, essendo il raggio r0 della sfera di nostra scelta, possiamo renderlo piccolissimo (dato che la sorgente è praticamente puntiforme), il che equivale a calcolare il limite per r0→0 di ambo i membri dell’equazione che stiamo considerando: lim r0 → 0 : − C ⋅ 4π ⋅ (1 + jk 0 r0 )e − jk 0 r0 r0 + C ⋅ k ⋅ 2π ⋅ 2 ⋅ ∫ e − jk 0 r rdr = −µ 0 I 0 dl 2 0 0 Calcolando questo limite, è evidente che il secondo membro rimane invariato, che l’integrale rimasto tende asintoticamente a 0 e, inoltre, che il primo termine a primo membro diventa semplicemente -4πC: − C ⋅ 4π = −µ 0 I 0 dl µ 0 I 0 dl e quindi 4π concludiamo che la soluzione da noi trovata per il potenziale vettore lungo z è Da qui deduciamo che la costante di integrazione vale C = A Z (r ) = µ 0 I 0 dl e − jk 0 r 4π r Se ora seguissimo lo stesso ragionamento per AX(r) e AY(r), il risultato sarebbe diverso, in quanto la nostra sorgente è orientata per ipotesi lungo z: da qui scaturisce che, lungo x e lungo y, la costante di integrazione vale 0, il che significa che le componenti del potenziale vettore lungo tali direzioni coordinate sono nulle. In conclusione, per la particolare sorgente considerata, concludiamo che il potenziale vettore ha la seguente espressione (nel dominio della frequenza): r r µ 0 I 0 dl e − jk 0r r A( r ) = A Z ( r ) a Z = aZ 4π r Sostanzialmente, questa espressione ci dice che il potenziale vettore è dato da prodotto di un termine costante, che tiene conto della sorgente ( I 0 dl ) e del mezzo in cui si trova (µ0), per un termine ( e − jk 0 r / r ) che tiene conto della propagazione 17 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 della perturbazione elettromagnetica, che si allontana dalla sorgente. A questo termine diamo perciò il nome di fattore di radiazione. r Può essere conveniente esprimere il versore a Z rispetto ai versori delle coordinate sferiche, in modo da individuare le componenti del potenziale vettore rispetto ad un sistema di coordinate sferiche: r aZ z θ r ar r aθ r r r a Z = a r cos θ − a θ sin θ y x Possiamo dunque scrivere che r µ I dl e − jk 0r A(r, θ) = 0 0 4π r r µ 0 I 0 dl e − jk 0 r r θ = cos θa r A ( r , ) r 4π r − jk 0 r r (ar r cos θ − ar θ sin θ) →A θ (r, θ) = − µ 0 I 0 dl e sin θar θ 4π r r A ϕ ( r ) = 0 In base a queste espressioni, il potenziale vettore manca della componente nella direzione ϕ. Noto il potenziale vettore, siamo facilmente in grado di ricavare il campo elettromagnetico. Ad esempio, cominciamo dal campo magnetico: ricordando che r r r r B = ∇ × A e che B = µ 0 H , abbiamo che r r 1 H= ∇×A µ0 Calcolando allora il rotore del potenziale vettore in coordinate sferiche, si trova facilmente che il campo magnetico è H = 0 r H θ = 0 H ϕ = I 0 dl sin θ j k 0 + 1 e − jk 0 r 4π r r 2 Si nota dunque che il campo magnetico presenta solo la componente lungo ϕ. Autore: Sandro Petrizzelli 18 Antenne e metodi elementari (parte I) r r Infine, per risalire al campo elettrico ci basta considerare che ∇ × H = jωε 0 E (1); facendo allora i conti, si trova altrettanto facilmente che il campo elettrico è I 0 dl j − jk 0 r k0 E r = η0 2πk cos θ r 2 − r 3 e 0 Idl sin θ k 20 k 0 j j + 2 − 3 e − jk 0 r E = η θ 0 4πk 0 r r r E = 0 ϕ dove η0 = µ0 = 120π = 377Ω è la cosiddetta impedenza caratteristica dello spazio ε0 vuoto. In questo caso, si nota che il campo elettrico presenta nulla la componente lungo ϕ, in modo praticamente duale rispetto al campo magnetico. Si nota inoltre che tutte le componenti di campi presentano il termine di radiazione, a testimonianza del fatto che si tratta di onde che si propagano nello spazio, allontanandosi dalla sorgente che le ha prodotte. Dipolo elettrico elementare (dipolo hertziano) Si definisce dipolo elementare elettrico un elemento infinitesimo di lunghezza dl a cui è associato un fasore di corrente I costante (in modulo e fase) per tutti i punti dell’elemento stesso. La figura seguente mostra la schematizzazione della situazione: 1 In alternativa, potremmo applicare la relazione che lega direttamente campo elettrico e potenziale vettore, ma si tratterebbe di un procedimento più complesso dal punto di vista matematico. 19 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Abbiamo qui usato un sistema di riferimento cartesiano, al centro del quale è posto l’elemento di corrente Idl (misurato in A*m): si tratta cioè di una corrente filamentare I che fluisce lungo una certa lunghezza elementare dl. Con questo elemento di corrente (evidentemente ideale) si usa modellare il caso reale in cui una corrente I fluisce in una lunghezza dl molto corta (ovviamente rispetto a λ) di un filo sottile, nell’ipotesi che la lunghezza dl considerata sia così corta da potervi considerare costante la corrente I. Ogni circuito fisico o “antenna” che porta corrente può considerarsi come costituito da un grande numero di questi elementi collegati in cascata: se il campo elettromagnetico prodotto dall’elemento Idl è noto, allora il campo elettromagnetico di ogni antenna reale, avente una assegnata distribuzione di corrente, può essere facilmente calcolato per integrazione. Nel caso in cui la corrente che fluisce nell’elementino vari sinusoidalmente (per cui si parla a rigore di elemento di corrente alternata ed è la situazione da noi considerata), scriviamo che la sorgente è Idle jωt e quindi ricadiamo esattamente nel caso studiato e risolto nel paragrafo precedente: abbiamo trovato che il campo elettromagnetico in un punto generico P(x,y,z) (detto punto di osservazione o anche punto potenziato), individuato dalla generica terna (r,θ,ϕ) di coordinate sferiche, è Idl j − jβ0 r β0 E r = 2πωε cos θ r 2 − r 3 e 0 2 Idl sin θ β 0 β 0 j j + 2 − 3 e − jβ0 r E θ = 4ωε 0 π r r r E = 0 ϕ H = 0 r H θ = 0 H ϕ = Idl sin θ j β 0 + 1 e − jβ0 r 4π r r 2 (ricordiamo che, essendo I un fasore, anche le componenti qui riportate sono dei fasori), dove segnaliamo un cambio di notazione rispetto al paragrafo precedente: mentre prima avevamo considerato la costante k0, adesso la sostituiamo con β0. Notiamo dunque che il campo magnetico ha solo componente nella direzione ϕ (e tale componente dipende solo da θ e da r, mentre non dipende da ϕ), mentre invece il campo elettrico presenta una componente nella direzione radiale r ed una componente nella direzione θ. E’ opportuno osservare che, in generale, la costante di propagazione nel mezzo considerato (quello cioè in cui l’antenna irradia) è γ = α + jβ , ossia comprende sia una parte reale (attenuazione) sia una parte immaginaria (sfasamento). La parte reale α scompare solamente se si ritengono nulle le perdite nel mezzo considerato ed è proprio l’ipotesi che noi abbiamo considerato. Più in generale, abbiamo supposto che il mezzo di propagazione fosse il vuoto, per cui abbiamo posto µ=µ0, ε=ε0 e quindi γ = jβ = jβ 0 = jω µ 0 ε 0 . Autore: Sandro Petrizzelli 20 Antenne e metodi elementari (parte I) Abbiamo inoltre utilizzato il concetto di impedenza caratteristica dello spazio vuoto, notoriamente definita come η0 = µ0 = 120π = 377Ω ε0 Proprio usando la definizione di η0, è possibile esprimere i campi nella seguente notazione alternativa: Hϕ = Idlsin θ 2 1 1 − jβ0 r β0 j + e 2 4π β r ( ) r β 0 0 Er = 1 Idl cos θ j − jβ0 r e η0β 20 − 2 3 2π ( ) ( ) r r β β 0 0 Eθ = 1 1 j − jβ0 r Idlsin θ e η0β 20 j + − 2 3 r 4π β ( ) ( ) r r β β 0 0 0 dove abbiamo tenuto conto che ωε 0 η 0 = β 0 . Queste espressioni evidenziano, tra le altre cose, che i campi possono essere considerati funzioni della distanza elettrica dall’antenna: infatti, possiamo scrivere che c 1 3 ⋅ 10 8 1 2π ⋅ 120π = β 0 = ωε 0 η0 = 2πf ⋅ ε 0 ⋅120π ≅ 2π ⋅ ⋅ ⋅ 120 π = 2 π ⋅ ⋅ 9 9 λ λ 36π ⋅ 10 λ 36π ⋅10 da cui scaturisce che β0 r = 2πr λ dove naturalmente λ è la lunghezza d’onda del segnale di corrente che attraversa l’antenna in questione. Le espressioni complete dei campi prima riportate risultano evidentemente abbastanza complicate. L’espressione della componente θ del campo elettrico è emblematica della situazione: Eθ = 1 Idlsin θ 1 j − jβ0r η0β 20 j + − e 2 3 4π β 0 r (β 0 r ) (β 0 r ) Si osserva infatti la presenza di 3 termini, proporzionali rispettivamente ad 1/r, 1/r2 e 1/r3. I termini proporzionali a 1/r2 e 1/r3 predominano sicuramente a piccole distanze dall’antenna, dove perciò parliamo di campo vicino (near field): E θ, NF ≅ 1 Idlsin θ j − jβ0r η0β 20 − e 2 3 4π ( β r ) ( β r ) 0 0 21 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Invece, man mano che ci si allontana dall’antenna, è il termine 1/r a prevalere sempre di più, dando origine al cosiddetto campo lontano (far field): E θ, FF ≅ 1 − jβ0 r Idlsin θ e η0β 20 j 4π β0 r Il punto in cui i termini 1/r2 e 1/r3 diventano trascurabili rispetto al termine 1/r è dunque quello che delimita il confine tra campo vicino e campo lontano. In particolare, per ricavare analiticamente la distanza alla quale si trova tale confine, si considera generalmente quella distanza alla quale risulta j 1 1 = β 0 r (β 0 r )2 Si prendono cioè i due termini in 1/r ed 1/r2 e li si eguaglia in modulo: risolvendo quell’equazione (in cui β0 è ovviamente reale), si ottiene r= 1 λ λ = ≅ β 0 2π 6 E’ bene comunque sottolineare che il limite tra i campi vicini ed i campi lontani, per antenne diverse da quella che stiamo analizzando adesso, non è semplicemente λ /6, ma va calcolato di caso in caso. Una scelta realistica generale per individuare il suddetto limite (2) è quello di scegliere il massimo tra le quantità 3λ λ e 2D2/λ λ , dove D rappresenta la massima dimensione dell’antenna in questione: in genere, si utilizza la prima scelta ogni volta che ci si trova di fronte ad antenne di tipo filare, mentre invece si adotta la seconda per antenne a superficie, come le antenne paraboliche o le cosiddette antenne a tromba. Nel caso in cui le antenne siano usate per le telecomunicazioni, non si pone il problema di dover stabilire se l’antenna ricevente sia nel campo vicino o in quello lontano dell’antenna trasmittente, in quanto queste antenne vengono sempre usate per collegamenti su grandi distanze. Del tutto diversa, invece, è ad esempio la situazione nei problemi di compatibilità elettromagnetica, dove il ricevitore (che può essere proprio una antenna usata per verifiche di soddisfacimento delle norme) è generalmente posto nel campo vicino dell’antenna trasmittente (che può essere il dispositivo di cui si sta verificando il soddisfacimento delle norme). Torniamo adesso alle espressioni dei campi. In particolare, sfruttando l’espressione del campo magnetico (che presenta solo la componente lungo ϕ), introduciamo altre due denominazioni, riferite sempre a campo vicino e campo lontano: 2 Naturalmente, questo limite non va pensato come una precisa linea di demarcazione tra due regioni di spazio, ma indica solo una generica regione in cui si realizza sostanzialmente il passaggio da una struttura complicata di campo ad una più semplice. Autore: Sandro Petrizzelli 22 Antenne e metodi elementari (parte I) • quando siamo a piccola distanza dal punto di irradiazione, ossia quando r è sufficientemente piccolo, il termine predominante è quello dipendente da 1/r2 e ad esso si dà il nome di campo di induzione: H ϕ ,induzione = H ϕ , NF ≅ Idlsin θ 2 1 β0 2 4π (β 0 r ) − jβ0r Idlsin θ − jβ0 r e e = 4πr 2 • al contrario, per distanze sufficientemente elevate dal punto di irradiazione, il termine predominante è quello dipendente da 1/r e ad esso si dà il nome di campo di radiazione: H ϕ ,FF = H ϕ ,radiazione ≅ Idlsin θ Idlsin θ 2 1 − jβ0 r e β 0 e − jβ0 r =j β 0 j 4πr 4π β0 r Analoghe considerazioni valgono ovviamente per il campo elettrico: 1 Idl cos θ j − jβ0r e η0β 20 − E r , NF = 2 3 2π campo elettrico (β 0 r ) (β 0 r ) vicino 1 Idl sin θ j − jβ0r 2 E θ, NF ≅ 4π η0β 0 (β r )2 − (β r )3 e 0 0 E r , FF ≅ 0 campo elettrico Idl sin θ 1 − jβ0 r Idl sin θ 2 lontano =j η 0 β 0 e − jβ0 r E θ,FF ≅ 4π η 0 β 0 j β r e 4πr 0 Per quanto riguarda la componente radiale Er, si osserva ancora la presenza di un termine di induzione E ind proporzionale a 1/r2, mentre non è presente alcun termine di radiazione (proporzionale a 1/r), il che ci dice che il campo elettrico lontano non possiede la componente radiale (oltre a non possedere la componente lungo ϕ). Si osserva invece la presenza di un termine proporzionale a 1/r3: questo termine è molto simile al campo prodotto da un dipolo elettrostatico ed è per questo che prende il nome di campo elettrostatico. Per quanto riguarda, invece, la componente Eθ, sono presenti sia il termine di induzione, sia quello di irradiazione sia anche quello statico. Un’altra osservazione interessante è la seguente: considerato il campo magnetico (o anche elettrico) di induzione, la sua espressione nel dominio del tempo è evidentemente Idlsin θ h ϕ ,induzione (r, θ, t ) = Re H ϕ ,induzione e jωt = cos(ωt − β 0 r ) 4πr 2 [ ] Con riferimento all’argomento del Coseno, possiamo anche scrivere che r β ωt − β 0 r = ω t − 0 r = ω t − ω vP 23 = ωt ' Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 (dove vP è la velocità di fase dell’onda, pari in questo caso alla velocità della luce nel vuoto), per cui l’espressione del campo diventa h ϕ,induzione (r, θ, t ) = Idlsin θ cos(ωt ') 4πr 2 Questa espressione è la stessa che si otterrebbe, con i metodi tradizionali di Fisica II, applicando direttamente la legge di Biot-Savart alla corrente che scorre nell’elementino dl, a patto, però , che il tempo t venga sostituito dal tempo ritardato t’ appena calcolato: il fatto che il campo effettivo è una funzione di t’ anziché di t è dovuto, chiaramente, al tempo finito di propagazione del campo dal punto sorgente (in cui si trova l’antenna) al punto di osservazione. Ovviamente, nei punti particolarmente vicini all’elemento di corrente, cioè i punti in cui predomina il campo di induzione, la quantità r/vP è molto piccola ed è perciò possibile approssimare t ' ≅ t . Per quanto riguarda, invece, il campo di radiazione, è importante anticipare una cosa che dimostreremo rigorosamente più avanti: è proprio il termine di radiazione che contribuisce al flusso di energia dalla sorgente all’utilizzatore (energia attiva), mentre invece il termine di induzione dà luogo solo ad una energia (reattiva) che viene immagazzinata e rilasciata dal campo ogni quarto di periodo. C noo nttaan poo lloon mp Caam Dopo tutte le considerazioni generali appena fatte, concentriamoci su ciò che abbiamo definito campo lontano: abbiamo infatti visto che, in punti sufficientemente lontani dal dipolo (cioè dalla sorgente), il campo elettromagnetico presenta solo due componenti (dette perciò componenti di campo lontano), che sono r r r Idlsin θ H FF = H ϕ,FF ⋅ a ϕ ≅ j β 0 e − jβ0 r a ϕ 4πr r r r Idlsin θ E FF = E θ, FF ⋅ a θ ≅ j η 0β 0 e − jβ0 r a θ 4πr Il campo elettromagnetico individuato da queste due componenti soddisfa molte delle proprietà tipiche delle onde piane uniformi. Infatti, “localmente” i campi assomigliano a onde piane uniformi, anche se sono più correttamente classificati come onde sferiche. Le proprietà sono le seguenti: • i campi sono proporzionali ai termini 1/r, I (fasore), dl e sinθ; • il rapporto tra il modulo del campo elettrico ed il modulo del campo magnetico è pari all’impedenza caratteristica del vuoto: r E FF µ0 r = η0 = ε0 H FF Autore: Sandro Petrizzelli 24 Antenne e metodi elementari (parte I) • i due campi sono localmente ortogonali; • il prodotto vettoriale tra i due campi dà origine ad un vettore diretto come il versore della direzione radiale: r r r H FF × E FF ∝ a r • al termine di fase e − jβ0r corrisponde un ritardo, nel dominio del tempo, pari a r sin ω t − c Queste proprietà consentono di applicare la cosiddetta stima dei campi per traslazione, utilizzando la regola dell’inverso della distanza: tale regola dice sostanzialmente che i campi elettrici e magnetici calcolati alle distanze d1 e d2 sono legati dalla relazione r d r E FF (d 2 ) = 1 E FF (d 1 ) d2 r d r H FF (d 2 ) = 1 H FF (d1 ) d2 In altre parole, l’intensità dei campi decresce con l’inverso della distanza dalla sorgente. E’ però importante sottolineare che questa regola dell’inverso della distanza vale solo se d1 e d2 sono nella regione di campo lontano rispetto alla sorgente; in caso contrario, ossia se almeno uno dei due punti di osservazione si trova nella regione del campo vicino, allora la regola dell’inverso della distanza non può più essere applicata, in quanto questo significherebbe ignorare i contributi di campo proporzionali a 1/r2 e 1/r3, cioè appunto i termini di campo vicino. F diiaa meed nzzaa m pootteen dii p ussssoo d Fllu Vogliamo adesso analizzare la situazione da un punto di vista energetico. In particolare, vogliamo dare una giustificazione analitica del fatto (già accennato in precedenza) che il termine di radiazione del campo elettromagnetico è quello che contribuisce al flusso di energia dalla sorgente all’utilizzatore (energia attiva), mentre invece il termine di induzione dà luogo solo ad una energia (reattiva) che viene immagazzinata e rilasciata dal campo ogni quarto di periodo. Per dimostrare questo, cominciamo a calcolare il flusso di potenza, per unità di superficie, in un punto P individuato dalle coordinate sferiche (r,θ,ϕ). Per fare questo calcolo, non dobbiamo far altro che calcolare il vettore di Poynting nel punto considerato: con riferimento alla definizione di tale vettore nel dominio della frequenza, abbiamo che 25 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 r ar r 1r r 1 p = E × H* = E r 2 2 * Hr r aθ Eθ H *θ r r aϕ ar 1 Eϕ = Er 2 H *ϕ 0 r aθ Eθ 0 r E θ H *ϕ aϕ 1 0 = − E r H *ϕ 2 H *ϕ 0 r Da notare che abbiamo usato il simbolo p , con la “p” minuscola, in quanto si tratta di una densità di potenza. La prima cosa che si osserva è che non c’è flusso di potenza lungo la direzione ϕ, ma solo lungo le direzioni r e θ. Per capire che tipo di flusso di potenza c’è lungo tali direzioni, dobbiamo sostituire le espressioni delle componenti del campo elettromagnetico. Cominciamo dalla direzione azimutale θ: sostituendo e facendo i conti, si trova che 1 Idl sinθ cosθ 2 2 pθ = − E r H*ϕ = j β r +1 5 2 4π ωεr 2 ( ) L’espressione di pθ risulta dunque puramente immaginaria (cioè una potenza di tipo reattivo): ciò significa che questa componente rappresenta un “palleggiamento” di potenza nella direzione θ, senza un flusso netto di potenza: la potenza viene alternativamente assorbita a ceduta dal mezzo in cui l’onda si propaga. Vediamo invece cosa accade per quanto riguarda la direzione radiale: sostituendo e facendo anche qui gli opportuni passaggi, si trova che 2 1 1 1 Idlsin θ j * 4 pr = E θHϕ = − η0β 0 2 5 2 2 4π (β 0 r ) (β 0 r ) 1 Idlsin θ 2 j 2 1 = 2 − 3 5 η β 0 0 2 4π β0 r r Questa volta abbiamo ottenuto una parte reale ed una immaginaria: la parte immaginaria corrisponde ancora una volta ad un palleggiamento di energia, mentre invece la parte reale indica che, lungo la direzione radiale, c’è un flusso netto di potenza attiva: 2 p r ,attiva 2 2 I dlsin θ 1 β 02 1 I dlsin θ η0 1 1 I dlsin θ 2 = 15π 2 = Re E θ H *ϕ = η = 0 2 r r λ r 8 λ 2 4π 2 dove I è il modulo del fasore della corrente nell’antenna. Il versore di questa potenza è evidentemente quello della direzione radiale, per cui possiamo riassumere quanto fatto in questi passaggi scrivendo che 2 r r I dlsin θ 1 r r 1 2 ar p attiva = Re E × H * = 15π r 2 λ { } W m 2 Questa espressione (che coinvolge una densità di potenza, misurata perciò in W/m2) mette dunque in evidenza che la potenza si diffonde nello spazio allontanandosi dalla sorgente, il che spiega il fenomeno di irradiazione. Non Autore: Sandro Petrizzelli 26 Antenne e metodi elementari (parte I) solo, ma evidenzia anche che la potenza diminuisce con il quadrato della distanza, il che significa che l’attenuazione in spazio libero è proporzionale ad r 2. A proposito, invece, di quanto detto all’inizio di questo paragrafo, ci basta osservare che a questa stessa espressione della potenza potevamo arrivare considerando, anziché le espressioni generali del campo, solo quelle relative al campo lontano e cioè usando solo le componenti Eθ ed Hϕ e considerando, per queste, solo i termini proporzionali ad 1/r. Questo dimostra perciò che solo i contributi di radiazione danno origine ad un trasferimento netto di potenza dalla sorgente all’utilizzatore. E’ però necessario sottolineare una cosa a tal proposito: abbiamo detto che i termini di radiazione, essendo dipendenti da 1/r, sono sicuramente quelli prevalenti a grande distanza, visto che i termini statici e quelli di induzione dipendono, rispettivamente, da 1/r3 e 1/r2; tuttavia, non bisogna dimenticare che anche in prossimità dell’elemento di corrente, dove in effetti predominano il campo statico e quello di induzione, sono comunque i termini proporzionali a 1/r, per quanto piccoli, a contribuire al flusso netto di potenza dalla sorgente verso l’utilizzatore. R nee diiaazziioon dii rraad nzzaa d Reessiisstteen A questo punto, mentre prima abbiamo calcolato la densità di potenza attiva, possiamo adesso calcolare la potenza complessiva irradiata dall’elemento di corrente: ci basta infatti integrare la densità di potenza su una superficie sferica, di raggio r, centrata nell’elemento stesso e che lo racchiuda completamente. Ricordando allora la formula per l’integrazione su una superficie sferica in coordinate sferiche, abbiamo che Prad r r = ∫ p attiva ⋅ dS = SUP π 2π π ⋅ I dl = 40 λ π 2 2 I dlsin θ I dl sin θdθ = (2π ) ⋅15π = (2π ) ⋅ ∫15π λ λ 0 π 2 I dlsin θ 1 2 2 r sin θdθ = = ϕ θ θ = ϕ π p dS d p r sin d d 15 attiva attiva ∫ ∫ ∫ ∫ ∫ r λ SUP 0 0 0 0 2π 2π 2 I dl 4 ∫0 sin θdθ = (2π) ⋅15π λ ⋅ 3 = 3 2 Generalmente, il risultato appena ottenuto si scrive nella forma seguente 2 Prad 2 dl I = 80π λ 2 2 Questa espressione è utile ai fini delle seguenti considerazioni: se pensiamo Prad come la potenza dissipata da una certa resistenza Rrad (per il momento incognita) attraversata da una corrente di valore efficace I eff = I / 2 , possiamo scrivere che Prad = R I 2 2 , dove evidentemente 27 I 2 2 è il quadrato del valore efficace Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 della suddetta corrente; uguagliando dunque con l’espressione di Prad trovata poco fa, abbiamo che R rad dl = 80π λ 2 2 [Ω] Questa resistenza prende il nome di resistenza di radiazione dell’elemento di corrente considerato. E’ evidentemente una resistenza fittizia che dissipa tanta potenza quanta ne viene irradiata dal dipolo elettrico, a parità di valore efficace della corrente. Tutte queste considerazioni ci consentono adesso di mostrare che il dipolo elettrico costituisce una sorgente di radiazioni elettromagnetiche a bassissima efficienza. Ad esempio consideriamo una lunghezza dl=1cm ed una frequenza di lavoro di 300 MHz (cui corrisponde λ =1m). Con questi valori, si ottiene una resistenza di radiazione di 79 mΩ. Ciò significa che, per irradiare una potenza di 1W, è necessario alimentare il dipolo con una corrente di 3.6 A, che è un valore decisamente elevato. Se poi scendiamo in frequenza, ad esempio a 3 MHz (cui corrisponde λ=100m), la resistenza di radiazione scende a 7.9 µΩ, per cui la corrente necessaria ad irradiare 1 W di potenza è data addirittura da 356 A (3). Nonostante questa scarsissima efficienza di radiazione, il dipolo elettrico è comunque un valido strumento di studio, in quanto i campi lontani da esso prodotti sono sostanzialmente identici ai campi lontani di molte altre antenne di uso comune. C n nttaarree iin meen poolloo eelleettttrriiccoo eelleem diip nd un dii u nee d Caarraatttteerriizzzzaazziioon e n o i s s i ttrraassm m i s s i o ne Riprendiamo l’espressione della densità di potenza attiva irradiata da un dipolo elementare (elettrico o magnetico): 2 I dlsin θ 1 r r 1 1 r r 2 ar p attiva = Re E × H * = 15π r 2 2 λ W m 2 Confrontiamo questa espressione con quella del modulo quadro della componente di campo elettrico in zona lontana: 2 2 2 2 2 r 2 Idlsin θ 1 | I | dlsin θ 2 1 | I | dlsin θ 2 2 | I | dlsin θ 2 4π − jβ 0r r E FF = j η0 β 0 e a θ = η0 2 η0 β 0 = η0 2 = 4πr 4 r λ λ 4πr 4πr Ricordando quale sia l’espressione di η0, si trova facilmente che risulta 3 Queste considerazioni mostrano, tra le altre cose, che una qualsiasi antenna, per poter essere efficiente, non deve avere dimensioni molto più piccole rispetto alla lunghezza d’onda di lavoro. Infatti, nella pratica, le dimensioni fisiche delle antenne non scendono mai sotto il valore λ/4. Autore: Sandro Petrizzelli 28 Antenne e metodi elementari (parte I) r 2 E FF r r p attiva = ar 2η 0 In altre parole, la densità di potenza attiva irradiata nella regione di campo lontano dal dipolo elettrico si ottiene dal modulo del campo elettrico (sempre in zona lontana) dividendolo per 2η0. Al fine di evidenziare la dipendenza di questa quantità da 1/r2, possiamo anche scrivere che r E 02 r p attiva = ar 2η 0 r 2 dove evidentemente si è posto 1 | I | dlsin θ 2 E = η0 4 λ 2 2 0 r L’espressione di p attiva , ricavata adesso per il dipolo elettrico, risulta in realtà valida anche per i dipoli magnetici, per i dipoli elettricamente lunghi e per le antenne unipolari: possiamo cioè scrivere, per queste antenne, che la densità di potenza attiva vale r E 02 r ar p attiva = 2η 0 r 2 dove l’espressione di E0 dipende da θ, dal tipo di antenna e dalla corrente di alimentazione dell’antenna stessa. Calcoliamo ora il guadagno direttivo e la direttività di un dipolo elettrico. Cominciamo a riportare l’espressione ricavata per la densità di potenza attiva irradiata dal dipolo: 2 I dlsin θ 1 r r 1 1 r r * W 2 ar p attiva = Re E × H = 15π m 2 2 2 λ r Da qui, applicando la definizione, calcoliamo l’intensità di radiazione: I dl sin θ r I(θ, ϕ) = r ⋅ p attiva = 15π λ 2 2 W sr Questa espressione ci dice che l’intensità di radiazione dipende solo da θ e non da ϕ, il che significa che il problema ha simmetria cilindrica. Per ottenere il guadagno direttivo, ci serve infine la potenza attiva totale irradiata, che abbiamo visto essere data da 2 Prad 2 dl I = 80π λ 2 2 29 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Possiamo allora concludere che il guadagno direttivo del dipolo elettrico è D(θ, ϕ) = 4π ⋅ I(θ, ϕ) = ... = 1.5 ⋅ sin 2 θ Prad Infine, per trovare la direttività, dobbiamo individuare la direzione in cui D(θ,ϕ) è massimo: dall’espressione ottenuta, è evidente che il guadagno direttivo è massimo quando lo è la funzione sin2θ, ossia per θ=π/2: θ= π →[D(θ, ϕ)]max = D max = 1.5 2 Quanto trovato significa che il dipolo elettrico elementare concentra, nella direzione individuata da θ=π/2, una potenza pari a 1.5 volte quella emessa da un radiatore isotropo nella stessa direzione, a parità di potenza totale irradiata. Quando detto fino ad ora serve dunque a caratterizzare il dipolo elementare come antenne in trasmissione. Volendo invece caratterizzare lo stesso dipolo come antenna ricevente, basterebbe ricorrere ai concetti di apertura efficace ed altezza efficace (o, ciò che è lo stesso, fattore di antenna). D nee diiaazziioon dii rraad mii d mm Diiaaggrraam Consideriamo l’espressione trovata per il guadagno direttivo del dipolo elettrico elementare: D(θ θ )=1.5sin2θ . Ci sono varie possibilità per diagrammare questo tipo di funzione. La prima e più intuitiva possibilità è quella di usare un banale piano cartesiano con θ in ascisse e D(θ) in ordinate, nel qual caso si ottiene quanto segue: Si tratta di una funzione sempre positiva con periodo di 2π. Viene perciò riportato l’andamento relativo solo al primo periodo (0≤θ≤2π). Il diagramma ci mostra, in modo per la verità poco efficace, che il massimo valore di D(θ), pari a 1.5, si ottiene in corrispondenza di θ=±π/2, ossia nel piano [x,y]. Per avere una visione più chiara del significato di D(θ), potremmo pensare di diagrammare questa funzione in uno spazio cartesiano a 3 dimensioni, ottenendo un solido rappresentativo delle caratteristiche di radiazione dell’antenna. Si ottiene quanto segue: Autore: Sandro Petrizzelli 30 Antenne e metodi elementari (parte I) Questo diagramma, senz’altro più efficace del precedente, illustra come il diagramma di radiazione della nostra antenna sia composto da infiniti lobi secondo la già citata simmetria cilindrica. Tutti questi lobi presentano il loro massimo in corrispondenza del piano equatoriale dell’antenna, ossia appunto il piano [x,z]. A questo punto, diventa sensato, invece, diagrammare le proiezioni della funzione D(θ) sui tre piani cartesiani [x,y], [x,z] e [y,z]: z z y y x x Consideriamo, ad esempio, la proiezione di D(θ) sul piano verticale [x,z], che risulta fatta nel modo seguente: 31 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Da questo diagramma risulta particolarmente evidente la simmetria cilindrica rispetto all’asse z, nonché il fatto che il massimo guadagno direttivo, che abbiamo chiamato direttività, si ottiene sul piano [x,y[ (cioè per z=0, ossia θ=90°) e vale 1.5. Tra l’altro, potremmo anche andare a diagrammare il campo elettrico (inteso quello in regione lontana) sullo stesso piano, in quanto si è visto che esso r presenta solo la componente θ (cui corrisponde il versore a θ ), ossia è parallelo al piano [x,z]: r r Idl sin θ E FF = j η 0β 0 e − jβ0 r a θ 4πr Dato che, inoltre, anche il campo elettrico presenta il proprio massimo nel piano [x,y], si dice che il piano [x,y] è un piano E-principale. Passiamo adesso al piano [y,z], in cui la proiezione di D(θ) risulta essere la seguente: E’ una proiezione del tutto identica rispetto a quella del figura precedente, in virtù ovviamente della simmetria cilindrica. Autore: Sandro Petrizzelli 32 Antenne e metodi elementari (parte I) Per gli stessi discorsi di prima, anche questo è un piano E-principale (siamo cioè in presenza di simmetria cilindrica del campo rispetto all’asse z). Se invece consideriamo il campo magnetico, la situazione cambia, in quanto tale campo (sempre inteso in zona lontana), pur presentano lo stesso tipo di variazione con θ, presenta solo la componente ϕ: r r Idl sin θ H FF = j β 0 e − jβ0 r a ϕ 4πr Questo vettore è ortogonale sia al piano [x,z] sia al piano [y,z], ossia è parallelo al piano [x,y]. Non solo, ma in tale piano si ha il valore massimo del campo (che si ottiene evidentemente per θ=90°), per cui il piano [x,y] è un piano H-principale. Sempre con riferimento al piano [x,y], è evidente che la proiezione di D(θ) su di esso è una circonferenza: infatti, il piano [x,y] corrisponde a θ=90°, per cui risulta D(θ=90°)=1.5. Abbiamo perciò una circonferenza di raggio 1.5: 1.5 y x Apertura del diagramma di radiazione e mezza potenza Si definisce zona coperta dall’antenna quella regione di spazio in cui la potenza irradiata non scende al di sotto della metà del valore massimo. Esiste un modo molto semplice di individuare questa regione: infatti, basta considerare il guadagno direttivo D e trovare in quali punti dello spazio esso raggiunge un valore pari al suo valore massimo (la direttività) diviso 2 . Nel caso del dipolo elettrico elementare, la cosa è particolarmente semplice: infatti, essendo D(θ θ )=1.5sin 2 θ ed essendo 1.5 la direttività, dobbiamo imporre che risulti 1.5 1.5 sin 2 θ = 2 da cui scaturisce evidentemente che θ = ±45° . Si dice, allora , in questo caso che l’apertura del diagramma di radiazione a mezza potenza è di 90°. 33 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 Il dipolo magnetico (spira) Il duale del dipolo elettrico elementare è costituito dal dipolo magnetico elementare (o spira di corrente), schematizzato nella figura seguente: E’ qui riportata una spira di raggio b (molto piccolo) giacente nel piano [xy] e percorsa da una corrente il cui fasore è I. Il momento dl dipolo magnetico associato a questa spira è notoriamente dato dal prodotto tra il fasore della corrente e l’area della superficie delimitata dalla spira: essendo tale area data da πb2, deduciamo che il suddetto momento vale r r [A⋅m2] m = Iπb 2 ⋅ a Z Per arrivare al calcolo del campo elettromagnetico prodotto da una simile sorgente, dovremmo a rigore seguire lo stesso ragionamento analitico seguito per il dipolo elettrico elementare. In realtà, possiamo risparmiarci i dettagli in quanto, data la perfetta dualità con il dipolo elettrico, basta considerare le componenti del campo elettromagnetico irradiato da quella sorgente e dializzarle. Ad ogni modo, prima di riportare brutalmente le soluzioni, vediamo almeno come andrebbe impostato il discorso. A tal proposito, ricordiamoci che, nel caso delle sorgenti elettriche generiche, siamo partiti dalle equazioni di Maxwell nella forma seguente: r r ∇ × E = − jωµ 0 H r r r ∇ × H = jωε 0 E + J r ∇•B = 0 r ∇•E = ρ Al contrario, in presenza di sorgenti magnetiche generiche, dovremo considerare le equazioni seguenti: Autore: Sandro Petrizzelli 34 Antenne e metodi elementari (parte I) r r r ∇ × E = − jωµ 0 H − J r r ∇ × H = jωε 0 E r ∇•B = ρ r ∇•E = 0 r dove, a rigore, dovremmo indicare le sorgenti rispettivamente con J m e ρm per evidenziare il fatto che si tratta di sorgenti magnetiche. Così come, per le sorgenti elettriche, ci siamo serviti del potenziale vettore elettrico, in quest’altro caso si dovremo servire del potenziale vettore r magnetico, ossia di quel campo vettoriale A m definito tramite la relazione r r D = ∇ × Am Seguendo, quindi, passaggi del tutto analoghi a quelli visti nel precedente paragrafo, si trova la seguente espressione del potenziale vettore magnetico: ( ) r r ε Iπb 2 e − jβ0r r aZ A m ( r ) = A Z ( r )a Z = 0 4π r Questa espressione è assolutamente identica a quella trovata per il dipolo elettrico, salvo la presenza della costante ε0 al posto della costante µ0 (principio di dualità) e la presenza del termine Iπb2 al posto di Idl . r Applicando dunque le relazioni che legano A m al campo elettromagnetico, non bisogna stupirsi se le espressioni cui si giunge sono nella forma seguente: Eϕ = − j 1 I ⋅ πb 2 ⋅ sin θ 1 ωµ 0β 20 j + 2 4π β 0 r (β 0 r ) − jβ0 r e j − jβ0 r − e (β 0 r )3 1 (β r )2 0 2 2 I ⋅ πb ⋅ sin θ ωµ 0β 0 1 1 j − jβ0 r + − Hθ = j j e 4π η0 β 0 r (β 0 r )2 (β 0 r )3 Hr = j I ⋅ πb 2 ⋅ cos θ ωµ 0β 02 η0 2π Confrontando queste espressioni con quelle del campo prodotto dal dipolo elettrico (si tenga conto che β0=ωµ0/η0), notiamo sostanzialmente le seguenti differenze: • mentre per il dipolo elettrico avevamo il termine Idl che portava in conto il tipo di sorgente, adesso abbiamo il termine Iπ π b2, ossia il momento del dipolo magnetico; • mentre per il dipolo elettrico il campo magnetico presentava solo la componente ϕ ed il campo elettrico non presentava la componente ϕ, qui 35 Autore: Sandro Petrizzelli Appunti di “Antenne” – Capitolo 2 accade l’esatto contrario, ossia il campo magnetico ha solo la componente ϕ mentre il campo magnetico manca della componente ϕ. A fronte di queste differenze, si nota d’altra parte, che, a patto di mettere in evidenza un termine j in tutte e tre le componenti del campo, i termini tra parentesi sono assolutamente gli stessi di quelli che comparivano per il campo prodotto dal dipolo elettrico. In base a queste osservazioni, è evidente che possiamo ripetere anche in questo caso le stesse identiche considerazioni fatte per il campo prodotto dal dipolo elettrico: in particolare, le osservazioni fatte per il campo elettrico (magnetico) prodotto dal dipolo elettrico valgono adesso per il campo magnetico (elettrico) prodotto dal dipolo magnetico. Concentriamoci allora direttamente sulle componenti di campo lontano, che abbiamo detto essere generalmente quelle di maggiore interesse pratico: I ⋅ πb 2 ⋅ sin θ e − jβ0 r ωµ 0 β 0 4π r 2 I ⋅ πb ⋅ sin θ ωµ 0β 0 e − jβ0r =− 4π r η0 E ϕ ,FF = H θ ,FF Analogamente a quanto avviene per un dipolo elettrico, il campo lontano di un dipolo magnetico è tale che i campi decadono come 1/r, giacciono su di un piano (locale) perpendicolare alla direzione radiale e sono legati per mezzo del parametro η0. Se facciamo un discorso energetico, possiamo andare a determinare la potenza totale Prad irradiata dal dipolo e quindi, successivamente, la resistenza di radiazione del dipolo stesso: si trova in questo caso che R rad πb = 31.17 ⋅ λ 2 [Ω] Analogamente al dipolo elettrico, anche il dipolo magnetico non irradia in modo efficiente: ad esempio, consideriamo una spira di raggio b=1cm ed una frequenza di lavoro di 300 MHz (cui corrisponde λ =1m); con questi valori (analoghi a quelli usati per il dipolo elettrico), si ottiene una resistenza di radiazione di 3.08 mΩ; ciò significa che, per irradiare una potenza di 1W, la spira deve essere percorsa da una corrente di 18 A ! Se poi scendiamo in frequenza, ad esempio a 3 MHz (cui corrisponde λ=100m), la resistenza di radiazione scende a 30.8 pΩ, per cui la corrente necessaria ad irradiare 1 W di potenza è addirittura di 1.8*105 A. Autore: Sandro Petrizzelli e-mail: [email protected] sito personale: http://users.iol.it/sandry Autore: Sandro Petrizzelli 36