112 chilometri di conoscenza Molte, gratuite a portata di mouse I

Anno IV - Supplemento al Numero 16
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11 Febbraio 2011
nuovo
Alla Nazionale
112 chilometri
di conoscenza
Le digitali
Molte, gratuite a
portata di mouse
********************
L’inchiesta
I luoghi
del fascismo
Parla Pennacchi
Quelle tracce
a misura d’uomo
GLI SCRIGNI
DEL SAPERE
A ROMA E IN TUTTA ITALIA, BIBLIOTECHE CARICHE DI PREZIOSI VOLUMI E STORIA
I luoghi del Fascismo
Roma/Secondo
i progetti
la capitale avrebbe
dovuto competere
con la Grande
Berlino disegnata
dall’architetto
Albert Speer,
estendendosi dal
Foro Italico
Fino al mare di
Osta
SIMBOLI Il palazzo della Civiltà e a sinistra il palazzo dei Congressi. I due monumenti più importanti del quartiere
Eur, il sogno mai realizzato
Restano il Colosseo quadrato e il Palazzo dei Congressi
Stefano Petrelli
“Un popolo di poeti, di artisti di eroi di pensatori di
scienziati di navigatori di
trasmigratori”. In questa frase che campeggia sulla facciata del Colosseo quadrato
è riassunto il sogno del regime che ha ispirato la costruzione dell’Eur, il quartiere che era destinato ad
ospitare l’Esposizione Universale del 1942. Le finestre
incassate, i vetri lucidi che riflettono le sagome degli edifici intorno, nella luce del
mattino sembra un fabbricato al di là del quartiere
dove è stato collocato. Un
monumento alto sessantotto
metri, che ricorda le ambientazioni oniriche dei quadri De Chirico. Una caratteristica che non è mai passata inosservata, tanto che un
maestro del sogno come Federico Fellini, nel 1962, ambientò qui il suo “Le tentazioni del dottor Antonio”,
episodio del film “Boccaccio
‘70”. Sotto gli archi, in cima
alle scalinate, 28 statue con
Stefano Petrelli
In Via dei Fori imperiali ci
sono quattro mappe in bronzo e marmo che illustrano
l’estensione dell’impero romano nelle varie epoche. Negli anni ‘40 in quella che allora si chiamava Via dell’Impero le mappe erano 5. Quelle opere non erano un lascito dell’antica Roma, fu Mussolini a farle installare, per
creare un senso di continuità con la passata egemonia
della città eterna sul mondo.
La lamina mancante, infatti,
ritraeva l’estensione del cosiddetto impero fascista. Là,
lungo la via dove nel ‘32 si
svolse la parata per il decimo
anniversario della marcia su
Roma, Mussolini cercò di
convincere l’Italia di essere
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11 Febbraio 2011
Due punti d’eccellenza dell’architettura fascista attivi
Il foro Italico L’università
Posto all’ombra di Monte Mario, il Foro Italico è stato pensato da quel Renato Ricci che
fondò i Balilla. I lavori, sulla base del progetto di Enrico Del Debbio, cominciarono nel
1927 e i primi edifici furono terminati nel
1932. Il 4 novembre, il Duce, dopo aver percorso il maestoso viale mosaicato a tessere
bianche e nere ed essere passato di fianco ai
36 metri dell’obelisco che ancora oggi accoglie chi arriva da ponte Duca d’Aosta, inaugurò
il foro a lui intitolato. Era composto dall’Accademia fascista maschile di educazione fisica, dallo Stadio dei Marmi e dallo Stadio dei
Cipressi, l’impianto che, negli anni, è diventato l’odierno Stadio Olimpico.
P. R.
cui il fascismo celebrava le
arti e i mestieri. Avvicinandosi, ci si imbatte nella recinzione che delimita la scalinata. Il restauro sembra sia
quasi finito, un cartello fuori dal cantiere dice che il Palazzo della civiltà italiana
diventerà la sede del Museo
dell’Audiovisivo, ma non se
Inaugurata nel 1935 da sua maestà Vittorio Emanuele II, la città universitaria della Sapienza di Roma è una delle opere per le quali il celebre architetto fascista Marcello Piacentini ha potuto operare più liberamente. Posta alle spalle della stazione Termini, la cittadella occupa un’area rettangolare di circa
220 mila metri quadrati che è stata organizzata da Piacentini, curatore anche dell’E42, secondo i criteri dell’architettura classica. E così,
oggi, si possono ammirare l’ingresso trionfale da piazzale Aldo Moro, i porticati che portano al rettorato e la statua della Minerva che
si specchia in uno specchio d’acqua posto proprio all’ingresso dell’edificio.
ne sa molto di più. L’Eur doveva essere il nuovo centro di
una capitale dove ci fosse
tutto, che doveva espandersi a nord dal Foro Mussolini (l’attuale Foro Italico)
passando per via dell’Impero (oggi via dei Fori Imperiali), fino ad Ostia (molte
borgate che si trovano fra
P. R.
queste due città sono state
progettate proprio in questo
periodo). Una città di 30
chilometri, un progetto che
potesse competere con il
piano della “Grande Berlino”, portato avanti in Germania dall’architetto Albert
Speel. Foro Italico, Città
Universitaria, Eur: quello
che rimane sono frammenti
di quel progetto. Ritornando
indietro per il Quadrato della concordia e imboccando
via Ciro il Grande sembra di
ritrovarsi al Foro italico, gli
stessi edifici di marmo bianco, gli stessi pini marittimi,
le stesse vie larghe.
Passando sotto il loggiato
della via, sembra di passeggiare
fra gli edifici della Città Universitaria. Una somiglianza
chiara, fra tre luoghi realizzati a cavallo tra gli anni Trenta
e gli anni Quaranta.
Per accorgersi dell’importanza che doveva avere
quel quartiere, nei piani del
regime, basta riattraversare
via Cristoforo Colombo e
osservare l’imponente Palazzo dei Congressi che sarebbe dovuto essere il centro
dell’Esposizione Universale. Le sue quattordici colonne in granito sono la testimonianza più eloquente
del progetto architettonico
fascista, con le sue costruzioni ispirate direttamente
alle costruzioni dell’antica
Roma.
Divelta da Via dei Fori imperiali, la lamina è al Museo della civiltà romana
In un giardino la lastra trionfale
tornata l’impero che era stata 1900 anni prima. Accanto
alla pianta di Roma ai suoi albori (nell’ottavo secolo avanti Cristo), a quella delle conquiste ottenute dopo la prima guerra punica (146 avanti Cristo), e a quelle dei domini di Augusto e di Traiano,
il Duce fece mettere la mappa delle conquiste dell’Italia
fascista.
Dopo la caduta del regime,
negli anni dei comitati nazionali di liberazione, in cui
il desiderio di dare un taglio
netto con il passato totalitario del paese era quanto mai
forte, a quella lamina toccò la
stessa sorte dei tanti simboli del regime sparsi, per
Roma: fu rimossa. Insieme ad
essa vennero tolti i fasci littori e gli altri simboli della
dittatura (neanche tutti visto
che, ad esempio, l’obelisco a
piazza Marconi, reca ancora
l’iscrizione “Dux”). Insieme
alla rimozione dei simboli ci
fu l’abbandono di quei progetti iniziati all’epoca, progetti che non sono state portate a termine. A piazza Marconi erano state gettate le
fondamenta di quello che
doveva essere un teatro, il cui
progetto era stato realizzato
da Luigi Moretti. L’opera non
fu mai realizzata, e al suo posto oggi sorgono degli uffici.
Inoltre, il profilo dell’Eur è
stato modificato con la costruzione di edifici alti, che
andavano contro le idee che
avevano ispirato la costruzione dell’area.
Alla lamina che doveva
mostrare la grandezza dell’Italia del Ventennio, invece,
è toccato un insolito destino.
Dopo che per molti anni
non se ne è saputo più nulla, è stata rinvenuta e oggi si
trova al Museo della civiltà
romana all’Eur. Vederla non
è semplice. La mappa, infatti, non rientra nel percorso
della mostra, e per poterla vedere è necessario chiedere il
permesso all’ufficio monumenti e scavi.
Dieci anni fa è stato deciso di murarla in un giardino
interno al Museo. “È come se
fosse in deposito permanente qui, noi l’abbiamo in custodia” – dice Lucrezia Ungaro, responsabile delle attività del museo - non so se
sarà riesposta o meno, dipende da cosa vuole fare
l’amministrazione”.
L’OPINIONE
Ha lasciato
segni
indelebili
Dell’impatto che il fascismo ha impresso sulla capitale abbiamo parlato con Giorgio Ciucci
docente di Storia dell’Architettura presso l’Università di Roma 3.
«Un impatto violento
– risponde – che però ha
costruito dei luoghi di
grande interesse, che
sono entrati anche nel cinema e nella pubblicità,
luoghi che ormai possiamo definire classici,
tanto da rappresentare
l’immagine che oggi abbiamo della Roma del
Novecento. Il Foro Italico, il centro e l’Eur hanno lasciato un segno profondo sulla città. Molti interventi realizzati negli
ultimi quindici anni sono
proprio in queste zone,
Ad esempio, vicino al
Foro Italico sono stati
costruiti l’Auditorium, il
Maxxi e si sta costruendo il ponte della Musica.
In centro, in occasione
del Giubileo del 2000, si
sono ripresi gli scavi interrotti negli anni Trenta.
All’Eur Fuksas sta realizzando la Nuvola. Gli interventi sono stati fatti
tutti qui a rafforzare il fatto che questa è la Roma
del Novecento».
Qualcuno sostiene che
l’architettura è stata la
principale forma di propaganda del regime, è
d’accordo?
«No, non credo. Sicuramente l’architettura
è stata uno strumento,
ma la propaganda più
pervasiva è stata fatta
tramite i giornali, la pubblicistica, la radio, il cinema e anche le opere
d’arte, insomma una propaganda portata avanti in
tutti settori».
S. P.
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I luoghi del Fascismo
Italia/In tutte le città e nei borghi realizzazioni ispirate alla dottrina del regime piena di retorica
Archi, colonne, palazzi-monumento
Terragni e Piacentini, gli architetti delle geometrie e delle simmetrie
BRESCIA
ANCONA
Piazza della Vittoria
Monumento ai caduti
Piazza della Vittoria, o più semplicemente Piazza Vittoria, è una delle principali piazze di Brescia, costruita fra il 1927 e il 1932 su
un progetto dell’architetto Marcello Piacentini attraverso la demolizione di una parte del
centro storico medievale. Oggetto di forti polemiche, che ancora oggi spesso si trascinano, e atti vandalici nel secondo dopoguerra,
è un emblema di architettura e organizzazione
urbanistica di epoca razional-fascista. Il progetto di Piacentini è assolutamente classicheggiante, ricco di volumi nitidi, squadrati e
ricoperti di marmo bianco, con molti richiami
alla romanità.
Oggi Piazza Vittoria, oltre a ospitare la
sede centrale delle poste, è sede del mercato dell’antiquariato e sarà sede di una stazione della metropolitana di Brescia, denominata, appunto, Piazza Vittoria. Dalla
sua inaugurazione ad oggi, comunque, il
luogo è notevolmente degradato: forse a
causa della cattiva vocazione attribuitagli nel
dopoguerra, è ben evidente come oggigiorno la piazza sia diventata un ambiente
ormai lontanissimo dalla sua funzione originaria, molto disordinato e con poca coerenza d’insieme. La realizzazione del grande parcheggio sotterraneo obbligò nel 1974
all’apertura di vaste grate di aerazione su
gran parte dell’area della piazza.
Il Monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale di Ancona sorge in Piazza IV Novembre nel quartiere del Passetto. È posto
al termine del lungo viale della Vittoria ed è
collegato al mare attraverso due ampie scalinate. Fu disegnato da Guido Cirilli nel 1932,
in piena epoca fascista, come testimoniano
i fasci che adornano il fregio della struttura.
La struttura è arricchita alla base da elmi e
spade, simboli di guerra, di difesa e di attacco. In molti sostengono che l’intero monumento con le scalinate, osservato dal mare,
somigli a un’aquila in volo, con le rampe che
simboleggiano le ali aperte e il colonnato a
far da testa.
Il Monumento ai Caduti poggia su una scalinata ed è interamente realizzata in Pietra
d’Istria. Le sue otto colonne terminano con capitelli dorici e circondano un piccolo altare. Nel
fastigio sono riportati i versi di Giacomo
Leopardi, nato a pochi chilometri dal capoluogo marchigiano: “Beatissimi voi, ch’offriste
il petto alle nemiche lance per amor di costei
ch’al Sol vi diede” (All’Italia, vv.84-86).
Qui si festeggiano le più importanti ricorrenze nazionali, l’anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale, il 25 Aprile e la Festa della Repubblica. Nella pineta che cresce
nelle sue vicinanze sorge un parco giochi per
ragazzi.
GENOVA
Arco della Vittoria
L’Arco della Vittoria è un imponente arco
di trionfo, situato in Piazza della Vittoria a
Genova. È dedicato ai cittadini caduti nel
corso della Prima Guerra Mondiale e fu
inaugurato il 31 maggio 1931.
L’arco è costruito al termine di una
rampa semicircolare e ai due lati si aprono
le due porte che conducono alla cripta. Nel
sacrario si trovano alcune statue dello
scultore Giovanni Prini raffiguranti le Vittorie, San Giorgio e lo Stemma di Genova.
Dello stesso Prini sono presenti altre
sculture con la riproduzione del Bollettino
della Vittoria, il Bollettino della Marina e i
nomi di tutti i caduti. Al centro della struttura
s’innalza l’altare, realizzato in marmo rosso di Levanto, sul quale pende un crocifisso
bronzeo su croce di palissandro, opera dello scultore Edoardo De Albertis.
Il monumento poggia su quattro pilastri
angolari e otto pilastri ornati nella parte
esterna da colonne che reggono le fame,
opere di Arturo Dazzi e del De Albertis. All’interno si trovano colonne che reggono due
grandi lunettoni, scolpite dal Prini, dedicate alla pace e alla famiglia.
All’esterno sono situate le Allegorie,
scolpite dal Dazzi e recanti quattro iscrizioni,
due delle quali ricordano i 680.000 caduti
della Grande Guerra e la data della costruzione del monumento.
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ANCONA Monumento ai Caduti, realizzato da Guido Cirilli nel 1932
A
ree urbane ridisegnate
da zero, costruzioni di
nuovi edifici pubblici e
monumenti, zone industriali e residenziali. Mussolini in persona,
durante il Ventennio, promuove
una serie di iniziative urbanistiche, fra cui anche la fondazione
di nuove città come Littoria
(l’attuale Latina), Sabaudia,
Guidonia e Aprilia. In totale il
Duce fece costruire dal nulla 60
borghi e tredici centri urbani.
È nata così l’architettura fascista,
che gli storici Fabio Cani e
Chiara Ristagno definiscono
come «un’arte che guarda al
passato e al tempo stesso all’avvenire». Per questo furono gli architetti la principale e migliore
forma di propaganda della volontà del regime, operando in due
fasi distinte, corrispondenti agli
anni Venti e Trenta del secolo
scorso. Ideologicamente, il razionalismo italiano rappresenta
la migliore espressione del primo
fascismo, proponendo un distacco netto dal passato, recuperandone solo alcuni elementi
classici in chiave nazionalistica.
Principale interprete del movimento è Giuseppe Terragni
(1904-1943), che, insieme al
Gruppo 7, ne disegna le giuste coordinate, sintetizzate nel Monumento ai Caduti di Como. Ma è
con la costruzione della Casa del
Fascio, sempre a Como, che
Terragni raggiunge la fama internazionale. Tutta l’area comasca porta la sua firma, con
opere come l’asilo di Sant’Elia e
il palazzo Novocomum. Edifici
che rispondono perfettamente
ai dogmi del Manifesto Programmatico del Razionalismo
(1926), in cui è teorizzato «l’uso
costante della razionalità e della perfetta rispondenza dell’edificio agli scopi che si propone. All’eclettismo elegante dell’individualismo – si legge nel Manifesto - opponiamo lo spirito della
costruzione in serie. L’architettura
è la diretta derivazione del nostro
tempo».
Il razionalismo ha però vita breve. Negli anni Trenta, il fascismo
per diffondere i propri ideali tra
le masse e trasmettere l’idea di imponenza, promuove un adegua-
Mussolini in persona
promuove una serie di
iniziative urbanistiche
mento degli edifici all’ideale di onnipotenza del regime. Se la fase
razionalista prevedeva l’uso geometrico e seriale di forme e volumi, a partire dalla metà del decennio viene privilegiato l’effetto di stupore e grandezza. L’intonaco è sostituito dal marmo, le
proporzioni si fanno sempre più
gigantesche e, inoltre, si fa largo
una sempre crescente scenograficità d’insieme. Il maggior architetto monumentalista è Marcello Piacentini (1881-1960).
La sua arte è caratterizzata dal
recupero di elementi architettonici classici, come archi e colonne, inseriti in un contesto del tut-
to nuovo, un neoclassicismo semplificato a metà strada tra il razionalismo e il classicismo. Le sue
numerose realizzazioni nella capitale contribuiscono a connotarlo
il maggior architetto di regime.
Tuttavia, l’opera di maggior spessore è legata a Milano con il Palazzo di Giustizia, ideato e costruito fra il 1939 e il 1940. Stilizzazione dei particolari architettonici, murature lisce, balconi pieni, cornici spianate, archi
elementarizzati, colonne smussate, planimetrie simmetriche, volumi chiusi e gigantismo di proporzione sono gli elementi caratteristici dell’opera di Piacentini, spesso nel mirino di violente critiche per lo sventramento di
alcuni centri storici. Fra le operazioni più devastanti emerge tristemente la demolizione della
“Spina di Borgo” per l’apertura
di Via della Conciliazione a
Roma. Antecedenti, fra il 1927 e
il 1932, sono i lavori di sventramento del centro storico di Brescia per la creazione di Piazza
della Vittoria. Anche Napoli,
che durante il Ventennio si ritagliò un ruolo preminente nel
commercio nel Mediterraneo,
porta ancora i segni del passaggio monumentalista: il suo Porto Marittimo, disegnato da Cesare Bazzana e terminato nel
1936. Tra le due “torri”, all’altezza del primo piano, è stato costruito un ponte di collegamento chiuso. L’edificio è stato riconosciuto come monumento dalla Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici.
Pagina a cura di Dario Parascandolo
LATINA
Piazza del Popolo
Latina è la maggiore delle città di fondazione dell’epoca fascista e conserva un
centro storico unico nel nostro Paese, in
passato candidato anche al titolo di Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Fondata
il 18 dicembre 1932 con il nome di Littoria,
è una delle più giovani città italiane. Assunse la denominazione attuale nel1946.
Il centro si è sviluppato intorno alle due
piazze. Da un lato troviamo Piazza del Popolo (Piazza del Littorio all’epoca della fondazione), sede del Municipio con la caratteristica Torre Civica, e la cosiddetta Fontana della Palla al centro. Dall’altro è situata
Piazza della Libertà (Piazza XXIII Marzo all’epoca della fondazione) sede della Prefettura. Piazza del Popolo è tagliata dal corso della Repubblica che lambisce piazza
San Marco (Piazza Savoia alla fondazione),
cuore della movida latinense, su cui si affaccia la cattedrale di San Marco, realizzata
sulla falsariga di una basilica romanica con
il porticato e le vetrate artistiche. La scelta di dedicare la chiesa all’evangelista patrono di Venezia è dovuta all’origine veneta dei primi abitanti della città.
Altro edificio caratteristico della città di
fondazione è il Palazzo delle Poste, situato in Piazzale Bonificatori, di Angiolo Mazzoni, che progettò anche la stazione ferroviaria.
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I luoghi del fascismo
Il significato/Intervista ad Antonio Pennacchi sui segni tangibili di un periodo controverso
Quelle tracce “a misura d’uomo”
Rimuoverle? “E allora anche le chiese per le nefandezze del Papa Re”
“I
l mito di Roma”, ha scritto
Emilio Gentile, “fu la credenza mistica più pervasiva
di tutto l’universo simbolico fascista
insieme con il mito del duce”.
In queste pagine abbiamo raccontato come vent’anni di regime fascista abbiano cambiato il paese e
l’aspetto della capitale, imprimendo
un segno profondo, in alcuni casi indelebile, sul tessuto urbano delle
nostre città.
Operaio fino a dieci anni fa, considerato oggi uno dei più grandi
scrittori italiani, Antonio Pennacchi
ha raccontato dell’Agro Pontino bonificato e delle “città del duce”. Il suo
“Canale Mussolini” ha conquistato il
Premio Strega, consacrandolo definitivamente al grande pubblico.
Gli abbiamo chiesto di parlare del
legame di Roma con i segni tangibili del passato fascista, che continuano a disegnare la fisionomia della città eterna.
E lui non si è sottratto, senza rinunciare all’ironia appuntita ed elegante che è tipica della sua prosa.
Antonio Pennacchi, Il ventennio
fascista ha lasciato delle tracce
estremamente significative nell’aspetto della capitale d’Italia. Cosa
significa per Roma conservare un’impronta tanto significativa di un pe-
A sinistra Antonio
Pennacchi e la
copertina del suo
libro vincitore del
Premio Strega,
Canale Mussolini.
In basso Una
spiaggia di
Sabaudia, con il
promontorio del
Circeo sullo sfondo,
e una piazza della
città dell’Agro
Pontino, progettata
nel 1933
dall’architetto Gino
Cancellotti
riodo storico così controverso? Qual
è, in sostanza, il rapporto della città con il ricordo materiale del ventennio?
«Ah, non lo so. Considerato che
Roma è oramai una megalopoli di
non so quanti milioni di abitanti, a me
pare che i segni più tangibili – e più
tangibilmente negativi soprattutto
per quei poveri milioni che ci abitano, soprattutto quelli delle sterminate
periferie – siano quelli dell’edilizia e
della speculazione ad essa correlata
che si è dipanata dalla fine degli anni
Cinquanta in poi. Se la si rapporta a
questa, la costruzione dei quartieri sia
impiegatizi che popolari in epoca fascista è un campionario mai più
raggiunto di architettura ed urbanistica “a misura d’uomo”».
Però altre città europee hanno
preferito rimuovere i simboli e i ricordi dei propri regimi autoritari e
dittatoriali. Perché questo a Roma
non è successo?
«Scusi, eh? Non è per essere pi-
gnolo, ma pure il regime della Chiesa, quando a Roma comandava il
Papa Re e il boia Mastro Titta faceva
avanti e indietro con la ghigliottina,
pure quel regime a me pare che fosse tutto sommato un tantinello più
autoritario e dittatoriale del fascismo.
Non è che il Papa si eleggesse a suffragio universale».
E le chiese a Roma non mancano…
«Infatti non mi pare che – arrivate la democrazia e la libertà – a
qualcuno sia venuto in mente di an-
dare a buttare giù tutte le chiese di
Roma. Stanno ancora là. Anzi, ci sta
pure quasi in ogni città del nostro Paese una targa con il nome d’una “Via
Umberto I”, e Umberto I – lei ricorderà – è quello che mandò le truppe
di Bava-Beccaris a sparare sulla folla
a Milano che chiedeva pane. Ma pure
a Parigi – se lei ci va – lei ci trova ancora la roba non tanto di Napoleone
I, ma pure di Napoleone III».
Ma cosa passa per la testa di un
ragazzo, oggi, quando legge le parole
di Mussolini sulla facciata del “Colosseo quadrato”? Che significato
possono conservare le incisioni inneggianti al duce sul marmo bianco del Foro Italico?
«E che ne so io? Mica sono giovane
io. Io credo però – sinceramente – che
al giovane, o quanto meno al giovane in genere, e non a quel particolare tipo di giovane fighetto che si suole definire alla Holden, non gliene strafreghi un cazzo. Per lui è roba del passato, del più remoto passato. Mussolini e Cicerone per lui stanno sulla
stessa linea temporale. Che cosa vuole che gliene freghi? Il problema si porrà, eventualmente, fra qualche anno,
quando qualcuno verrà a dirgli che bisogna intitolare una Via pure a Berlusconi. Venga allora – se si ricorda –
a rifarmi la domanda».
E’ considerata una gemma dell’architettura littoria, amata da Moravia e Pasolini
Sabaudia, una “città metafisica”
“S
abaudia è l’unico
posto dell’Agro
Pontino in cui non
s’è mai visto il fantasma del
Duce. Va dappertutto, fuori
che lì”. Così inizia il primo racconto pubblicato dallo scrittore
che ha vinto l’ultimo Strega.
Antonio Pennacchi è il cantore delle città costruite in epoca fascista sulla palude bonificata dell’Agro Pontino. Ma,
sorprendentemente, non ama
Sabaudia. E quindi ha immaginato la storia di un Mussolini che si tiene alla larga dalla sua creatura. “A Sabaudia
no. Nemmeno a pagamento.
C’era venuto una volta insieme a Cencelli – il vero Bonificatore, suo proconsole [...] –
dopo la posa della prima pietra”. Ma il duce, nel racconto
di Pennacchi, affacciandosi
da un’impalcatura per controllare lo stato dell’opera cade
rovinosamente e atterra di
schiena in una buca riempita
d’acqua dalla pioggia torrenziale. Da quel momento persino il suo fantasma si è tenuto ben alla larga dalla città de-
4
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dicata ai Savoia.
Eppure Sabaudia, edificata
nel 1934, è considerata una piccola gemma dell’architettura
fascista. Non solo per la sua posizione, nel cuore dell’Agro
Pontino, incastonata tra quattro laghi: di Paola, dei Monaci,
dei Caprolaci e di Fogliano. O
per le morbide spiagge di dune,
ra resta. E resta, soprattutto,
l’impianto urbanistico: le maglie, le strade larghe, le piazze,
la pianta radiale. E da piazza del
Popolo continuano a vedersi le
prospettive lunghissime, e simmetriche, e – sullo sfondo – le
montagne. [...] E’ città vera.
Centro di uomini. Ha svolto la
sua funzione. E se il bello è –
Per Pennacchi “a Sabaudia non si è mai
visto il fantasma del Duce. È uno scenario.
Una città di cartone. Intellettualistica”
sullo sfondo delle quali si staglia, imponente, il promontorio del Circeo. Ma anche per la
sua struttura urbanistica, uno
degli esperimenti più riusciti del
razionalismo italiano.
A Pennacchi però Sabaudia
proprio non va giù. Lo scrittore preferisce la sua Latina: “Le
case basse in stile littorio, pensate da Frezzotti, sono state demolite [...]. Ma qualcosa anco-
come dice De Sanctis – identità di forma e contenuto, Littoria è bella. Belissima. Anzi sublime”.
Mentre invece “Sabaudia
sembra Cinecittà. Uno scenario. Nessuno l’ha toccata. Tutti i fabbricati sono come allora.
E sulle palazzine, sopra l’intonaco rosso, c’è ancora scritto
‘Vincere’. Se non fosse per le
macchine nuove parcheggiate
Pagina a cura di Tommaso Rodano
dappertutto t’aspetteresti davvero, da un momento all’altro,
di veder sbucare i Figli della
Lupa [...] Nemmeno la guerra
l’ha sfiorata. Non c’era nessuno.
Non aveva funzione. [...] Una
città di cartone. Intellettualistica.
Uno spreco. Un insulto”.
Proprio l’eterea sospensione
di Sabaudia, paradossalmente,
l’ha resa un luogo magico, adorato da diversi intellettuali di sinistra. Come Alberto Moravia,
che l’ha definita una “città metafisica”, “che non parla alla ragione ma all’immaginazione”.
E Pier Paolo Pasolini, che come
altri artisti, poeti e scrittori, ha
fatto costruire la sua casa vicino alle sue dune: “Quanto abbiamo riso, noi intellettuali,
sull’architettura del Regime,
sulle città come Sabaudia! Eppure, adesso, osservandola,
proviamo una sensazione assolutamente inaspettata. La
sua architettura non ha niente
di irreale, di ridicolo: il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma un carattere tra
metafisico e realistico”.
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Gli scrigni del sapere
Biblioteche/Le romane. Un’offerta culturale articolata e diffusa in tutta la città, c’è però chi protesta
Tante, ma ne servirebbero di più
Trentasei quelle del comune, nove quelle pubbliche gestite dal ministero
C
ultura e radicamento sul
territorio. Le caratteristiche principali delle biblioteche romane derivano proprio
dalla loro presenza capillare in
ogni zona, quartiere e municipio.
In tutto sono trentasei e costituiscono uno strumento stabile e apprezzato di qualificazione del tessuto urbano. La loro è una struttura
a sistema la cui gestione è affidata
direttamente al Comune.
Fino al 1996, le varie collezioni
dislocate per la città facevano capo
alle relative circoscrizioni. Quindici anni fa, invece, l’istituzione delle Biblioteche di Roma ha reso possibile un coordinamento migliore,
grazie anche al processo di rinnovamento di tutto il servizio e delle
sue sedi. L’istituzione è un ente
strumentale di Roma Capitale e
gestisce il sistema delle biblioteche
e dei centri culturali in autonomia
amministrativa e progettuale.
Diverso il discorso per quanto riguarda le biblioteche pubbliche
statali, ossia istituzioni la cui cifra
distintiva è quella di essere gestite
direttamente dal Ministero per i
Beni e le Attività Culturali. Quarantasei in tutta Italia, la presenza
più massiccia è proprio a Roma che
può contarne ben nove. Non solo
colata e diffusa in tutta la città che,
però, non soddisfa la ‘fame’di sapere
della popolazione che, anzi, aumenta. E, insieme ad essa, crescono polemiche e malumori. In questo contesto si inseriscono, infatti,
le recenti proteste contro i tagli alla
cultura, non solo libraria. “Action”, il movimento di attivisti
che si battono per il diritto alla casa
e agli spazi culturali, ha espresso il
proprio dissenso occupando simbolicamente cinque luoghi (tra
cui il Teatro 900 di Cinecittà e la
Casa della Memoria di via Tiburtina) che “potrebbero essere usati dai
cittadini e invece sono inutilizzati da anni”.
Un quadro appesantito dalla
manovra lacrime e sangue annunciata dal sindaco Alemanno per il
2011. Il budget assegnato dalla
giunta di centrodestra per la gestione di musei, teatri, fondazioni,
accademie ed enti culturali, corre
il rischio concreto di essere dimezzato rispetto a quello dell’anno passato. Dei 62 milioni stanziati
nel 2010, nel bilancio di quest’anno potrebbero essercene addirittura
meno di 30. Un taglio di oltre il 50
per cento che non farebbe che incrementare il desiderio di conoscenza del popolo romano.
LA CROCIERA Il salone della Biblioteca del Collegio Romano
la Nazionale Centrale, quindi: nella capitale si trovano anche la Angelica, fondata dal vescovo agostiniano Angelo Rocca nel 1661, che
mette a disposizione del pubblico
circa 200.000 volumi. La Alessandrina, nata nel 1667, che raccoglie
più di un milione di volumi compresi 452 manoscritti e 674 incunaboli oltre a numerosi disegni,
manifesti, incisioni e fotografie. La
Casanatense, aperta nel 1701, annovera almeno 350.000 volumi, soprattutto sulla storia della Chiesa.
La Vallicelliana, aperta al pubblico
dal 1581, che possiede circa
130.000 opere, prevalentemente
di natura storico-ecclesiastica, patristica e teologica, ma anche testi
di filosofia, diritto, botanica, architettura e medicina.
E ancora: la biblioteca Baldini,
quella medica, di storia moderna e
contemporanea e di archeologia e
storia dell’arte. La loro missione è
di raccogliere e conservare la produzione editoriale del nostro paese (a livello sia nazionale che locale), senza trascurare l’editoria
straniera. Ognuna, ovviamente, in
base alle specificità delle proprie
raccolte e del proprio pubblico.
Un’offerta culturale molto arti-
Alla Nazionale sei milioni di volumi a stampa e ottomila manoscritti
NAZIONALE
L’ i n g r e s s o
della biblioteca in via Castro Pretorio
Centododici chilometri di conoscenza
Prima la tessera, poi i tornelli, infine il lungo corridoio
del sapere. L’importante è
fare silenzio. E spegnere i cellulari, ovviamente. L’atmosfera è quella classica da biblioteca, alla Nazionale di
Roma: da fuori soltanto un
grande prefabbricato che
non colpisce l’occhio del visitatore. Un po’ di verde intorno, un piccolo anfiteatro
davanti all’ingresso dove si
raccolgono gruppetti di universitari in pausa sigaretta e,
in alto, le bandiere italiana e
dell’Unione Europea. Dentro,
invece, un silenzio irreale accompagna il visitatore, lo
studioso o il semplice curioso lungo l’affascinante
percorso della conoscenza.
Fondata nel 1876 per dotare la capitale del regno
d’Italia di un grande archivio
librario, espressione della
cultura nazionale, la sede
della Biblioteca nazionale
centrale, fino al 1975, è stata l’antico palazzo del Collegio romano, che costituì il
nucleo originario di questo
Reporter
nuovo
scrigno della cultura. Un secolo più tardi, l’inaugurazione della nuova sede nell’area archeologica del Castro
Pretorio, fra la città universitaria e la stazione Termini.
Nel 2001 è stato completato
un vasto progetto di ristrutturazione architettonica e di
riqualificazione e raziona-
brari coprono, ad oggi, la bellezza di centododici chilometri lineari.
E malgrado il suo funzionamento un po’ complicato, alla Nazionale si trova
praticamente di tutto. Basta
imparare a cercare. Già, perché i sistemi di ricerca e
consultazione del vastissimo
Molto ampia è anche l’offerta di servizi e
iniziative culturali aggiuntive
come l’allestimento di esposizioni
lizzazione degli spazi e dei
servizi. I numeri sono impressionanti: ottomila manoscritti e sei milioni di volumi a stampa, più di venticinquemila cinquecentine,
ventimila carte geografiche,
centoventimila autografi,
trentaquattromila tesi di dottorato e oltre quarantaquattromila testate di periodici.
Le scaffalature dei depositi li-
patrimonio non soltanto librario, lì custodito, sono
moderni e avanzati. Computer fissi dotati di sistema
informatizzato interno permettono, infatti, di scovare
il volume desiderato senza
andare alla ricerca di personale specializzato. Che
comunque non manca ma
serve, piuttosto, ad agevolare il visitatore alle prime
Pagina a cura di Daniele Serio
armi nella fruizione dei servizi della biblioteca.
Questa si compone di tredici ampie sale dislocate lungo uno spazioso corridoio.
Di queste, undici sono di lettura, suddivise per aree tematiche , oltre all’emeroteca
e alla sala bibliografica. Si va
dalla stanza delle collezioni
speciali a quella di arte e archeologia, dalla zona umanistica a quella giuridica.
Da quella dei manoscritti
rari all’area della musica e
della multimedialità, a conferma di un equilibrio perfetto tra le varie epoche, tra
antico e moderno.E’ presente una doverosa biblioteca
per ciechi. Molto ampia è anche l’offerta di servizi e iniziative culturali aggiuntive
come l’allestimento di esposizioni e l’organizzazione di
conferenze.
Così tra letture, scaffali e
collezioni di tutti i tipi, il luogo è ideale a un completo
isolamento, almeno per qualche ora. Niente rumori, soltanto libri e voglia di sapere.
Reporter
nuovo
Settimanale della Scuola Superiore di giornalismo
della LUISS Guido Carli
Direttore responsabile
Roberto Cotroneo
Comitato di direzione
Sandro Acciari, Alberto Giuliani
Sandro Marucci
Direzione e redazione
Viale Pola, 12 - 00198 Roma
tel. 0685225558 - 0685225544
fax 0685225515
Stampa
Centro riproduzione dell’Università
Amministrazione
Università LUISS Guido Carli
viale Pola, 12 - 00198 Roma
Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008
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11 Febbraio 2011
5
Gli scrigni del sapere
Biblioteche/Le altre. Le più importanti in Italia, dalla centrale di Firenze alla nazionale di Napoli
Una catena di libri da nord a sud
Milioni di testi e volumi per una raccolta che tutto il mondo ci invidia
M
ettendo in fila i
suoi scaffali si coprirebbe la distanza
da Firenze a Bologna. Si tratta della biblioteca nazionale
centrale di Firenze, la più
grande italiana, tra le più importanti d’Europa. La nomina di biblioteca centrale
gli fu affidata nel 1865, quando l’attuale capoluogo toscano era capitale del Regno
d’Italia. Nel suo edificio monumentale che dal Lungarno
affaccia su piazza dei Cavalleggeri, trovano posto ben 6
milioni di volumi, oltre due
milioni e mezzo di opuscoli, 25 mila manoscritti, 4
mila incunaboli – documenti
stampati nel ‘500 con la tecnica dei caratteri mobili – e
quasi 30 mila edizioni risalenti al XVI secolo. Un patrimonio inestimabile, seppure danneggiato in parte
dalla disastrosa alluvione del
1966, che allagò i depositi
sotterranei dove erano conservati i manoscritti più rari
e preziosi.
Rimanendo in tema di
primati, a poche decine di
chilometri di distanza dalla
centrale si trova la biblioteca Malatestiana di Cesena.
Prima biblioteca civica d’Italia e d’Europa, unico esempio di raccolta monastica
umanistica giunta fino a noi
MONUMENTALE Il palazzo della Biblioteca Nazionale centrale di Firenze a piazza Cavalleggeri
perfettamente conservata
nell’edificio, negli arredi e nel
patrimonio librario. La Malatestiana è stata inoltre inserita dall’Unesco nel Registro della memoria del Mondo, il programma fondato nel
1992 per tutelare gli archivi
e documenti storici. La biblioteca, costruita a metà
‘400 grazie al finanziamento
di Domenico Malatesta, ospi-
ta oggi 250 mila volumi, più
di 1500 manoscritti e oltre
17 mila tra lettere e autografi.
Opere greche, latine e
una grande collezione orientale. Questi, invece, i punti di
forza della biblioteca nazionale Marciana di Venezia,
che ha potuto contare negli
ultimi 700 anni sulla grande
varietà multiculturale tipica
della Serenissima. Tra i suoi
esemplari più importanti ci
sono i due codici dell’Iliade
più illustri, l’Homerus Venetus A e B, rispettivamente del
X e XI secolo. Tra gli altri
grandi patrimoni della libreria, da ricordare l’archivio
di mappe e atlanti storici, tra
cui il famoso mappamondo
di Fra Mauro, cartografo del
‘400. Quello italiano è un
patrimonio librario che spa-
zia senza distinzioni da nord
a sud. Un tesoro da oltre 24
milioni di volumi, in cui lavorano oltre 2500 persone.
Proprio nel meridione si
trova la terza raccolta in
Italia per quantità di volumi,
la biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, la più importante del
mezzogiorno insieme al polo
universitario della Calabria,
con la quale condivide oltre
due terzi del patrimonio librario totale del meridione.
Spostata nel 1922 nel Palazzo Reale, su suggerimento di Benedetto Croce, fu
gravemente danneggiata dal
terremoto dell’Irpinia nel
1980. Oltre ai suoi due milioni di volumi, la biblioteca può contare anche sulle
collezioni di altre importanti raccolte napoletane,
come quella Brancacciana,
annessa negli anni ’20. Di
grande rilievo la raccolta
degli autografi posseduti
dalla biblioteca, tra i quali
spiccano il codice di mano di
San Tommaso d’Aquino,
proveniente dal convento
di San Domenico Maggiore,
i cui frammenti venivano
donati al popolo come reliquie e l’opera di Giacomo
Leopardi, tra cui i Canti, le
Operette morali e lo Zibaldone.
Uno sguardo alle più grandi raccolte del mondo, da Washington a Pechino passando per l’Egitto
Ma quelle dei record sono all’estero
Uscendo dai nostri confini nazionali, sono i grandi
numeri a farla da padrone.
Sono cifre da record, infatti,
quelle della Library of Congress di Washington, più
grande biblioteca della storia
dell’umanità per numero di
testi e grandezza degli spazi
usati. Oltre 128 milioni tra
documenti, manoscritti e libri rari, ospitati in quattro
edifici tra i quali spicca il monumentale palazzo intitolato a Thomas Jefferson, considerato dai critici il più
grande esempio di architettura del “Rinascimento americano”. Un budget faraonico – stimato in oltre mezzo
miliardo di dollari – consente
inoltre alla biblioteca di ampliare ogni anno il suo già
imponente inventario e di informatizzare i propri archivi,
sempre più veloci e accessi-
6
11 Febbraio 2011
bili anche dall’estero. Ame- la collezione britannica, oltre
Non è da meno la Bibliorica terra dei record, come ai numerosi manoscritti e thèque nationale de France,
nel caso della New York Pu- opere condivise con Wa- biblioteca più importante di
blic Library, la biblioteca più shington, sono l’emeroteca, Francia e una delle maggioaffollata del mondo con oltre che raccoglie praticamente ri d’Europa e del mondo. La
3 milioni di iscritti e 10 mi- tutte le pubblicazioni del Re- sua sede è a Parigi, nel quarlioni di visitatori l’anno.
gno Unito dal 1840 ai giorni tiere Tolbiac. Le collezioni
In stretta collaborazione nostri e il reparto filatelico. dell’istituzione sono stimate
con la biin trenta miblioteca del
lioni di voluNella British Library tesori come la bibbia di mi, ma si avCongresso è
invece la
anche
Gutenberg, la Magna Charta del 1215 e l’unica vale
British Lidella bibliotebrary
di
ca digitale
copia rimasta del poema Beowulf
Londra.
Gallica, forMolto più
mata per lo
giovane della sorella ameri- Nella biblioteca sono anche più da documenti informacana – è stata costituita con custodite due copie della bib- tizzati sotto forma di immaun decreto apposito nel 1972 bia di Gutenberg, due della gini. Più grande polo del Me– si trova in un complesso nei Magna Charta del 1215, l’uni- diterraneo e discendente delpressi della stazione di Saint ca rimasta del poema Beowulf l’antica biblioteca di AlesPancras, il più grande edificio e il Sutra del diamante, con- sandria è invece l’odierna Bicostruito in Inghilterra nel XX siderato il libro stampato più bliotheca Alexandrina, in
secolo. Fiori all’occhiello del- antico al mondo.
Egitto. Inaugurata nel 2002
Pagina a cura di Stefano Silvestre
dopo 15 anni di lavori e costruita da una ditta norvegese, la nuova biblioteca dispone di sale lettura per oltre
70 mila metri quadrati su
undici livelli ed è costruita in
un complesso architettonico
ornato con grafemi di origine egizia.
Ma la più grande concorrente delle big americane e inglesi è senza dubbio la Biblioteca nazionale cinese. Più
di venti milioni di volumi, oltre 35 mila iscrizioni rituali su
guscio di tartaruga, sutra
buddisti risalenti al sesto secolo e la più ricca collezione
di letteratura cinese e documenti storici del continente
asiatico. Questi i numeri, in
costante crescita grazie alle
donazioni private, che fanno
del gigante pechinese la più
grande biblioteca d’Asia e
una tra le prime al mondo.
CARRELLATA
Le quattro
maggiori
del nord
TORINO
Due le maggiori. La biblioteca Reale, che custodisce nelle sue sale di
sicurezza il famoso autoritratto di Leonardo da
Vinci, e la biblioteca nazionale. Distrutta da un
incendio nel 1904 e bombardata negli anni ’40, la
Nazionale è stata completamente ricostruita tra
il 1958 e il 1973. Oggi,
nella sede di piazza Carlo Alberto, trovano posto
732 mila volumi.
MILANO
La sede principale del
sistema bibliotecario meneghino è nella biblioteca Sormani in corso porta Vittoria. Nell’edificio,
di grande valore architettonico – la facciata è
stata costruita da Benedetto Alfieri, nella sala dei
putti si trova un dipinto
del Nuvolone – trovano
posto oltre un milione di
volumi e testi rari.
PADOVA
La Pontificia Biblioteca Antoniana di Padova dispone di un inventario tra i più antichi
d’Italia. Costruita nel convento della Basilica del
Santo a partire dal XII secolo, custodisce i Sermones di Sant’Antonio
e una preziosa Bibbia
glossata parigina in 25
volumi donata a metà
‘200 dal canonico Uguccione.
GENOVA
Maggiore istituto bibliografico della Liguria,
la biblioteca universitaria
di Genova raccoglie la
maggior parte del patrimonio librario proveniente dal Collegio dei
Gesuiti genovesi. Di grande rilievo le raccolte del
fondo giuridico Rossello,
della biblioteca storica
argentina “Belgrano” e
la raccolta geografica
americana degli anni’30.
Reporter
nuovo
Gli scrigni del sapere
Biblioteche/La Vaticana. Riservata a pochi studiosi, conserva un patrimonio di opere uniche
Il Canzoniere accanto alla Bibbia
Un milione e mezzo di volumi, ottantamila manoscritti, mappe e disegni
Irene Pugliese
Caratteri minuti disposti su
due colonne per risparmiare
lo spazio della costosa pergamena, come si usava allora.
Capilettera miniati e una scrittura molta chiara. Dietro la
teca di vetro che lo custodisce,
sembra un libro come tanti e
invece fu Francesco Petrarca
nella seconda metà del Trecento a scrivere quelle parole. Il Rerum volgarium fragmenta, meglio conosciuto
come Canzoniere, raccoglie i
sonetti di uno dei padri della
lingua italiana. Tra i corridoi
della mostra che ricostruisce
gli spazi dell’inaccessibile Biblioteca Vaticana, l’opera è sistemata a pochi metri dalla
Bibbia Urbinate scritta dalla
nota bottega del libraio Vespasiano da Bisticci su incarico del duca Federico da
Montefeltro. Il sacro e il profano si intrecciano in questi
spazi. Non c’è selezione di
fronte al sapere, neanche se ad
aprire le porte della propria biblioteca è il Vaticano. A poca
distanza da un altro esemplare
del libro guida della religione
cristiana, c’è una versione del
Corano. E ancora. Le Opere di
Virgilio, accanto al Rotolo di
Exultet. Martin Lutero vicino
ad Alessandro Manzoni e alla
Vita di Buddha illustrata.
Tramite la parola scritta si
ricostruisce la storia dell’uomo e, infatti, il materiale custodito in questo luogo di
sapere copre un arco temporale di oltre 2.500 anni. Un
milione e mezzo di libri, ottantamila manoscritti, il 76
LE PERLE: LE ALTRE OPERE DI VALORE
ANTICHISSIMO
Il Codex
Vaticanus è stato
trascritto nel IV
secolo
E Federico II insegna la falconeria
Oltre al Canzoniere di Petrarca e al
Papiro Bodmer, la Biblioteca Vaticana
ospita altri esemplari di grande valore. Fra questi spicca il Codex Vaticanus, uno dei più antichi manoscritti esistenti della Bibbia, trascritto nel
IV secolo. È scritto in greco, su pergamena, con lettere onciali (maiuscole). Il Codex conteneva originariamente il testo completo della traduzione greca della Bibbia detta dei
Settanta. Attualmente comprende un
totale di 759 fogli, perché manca
della “Pericope dell’adultera” e dei versetti relativi all’agonia di Gesù al
Getsemani. Il Codex rappresenta uno
dei più importanti manoscritti della
Bibbia. L’attuale textus receptus (cioè
riconosciuto come ufficiale da cristiani cattolici, ortodossi e protestanti), il Greek New Testament (detto anche Nestle-Aland, dai principali
curatori) del 1966, si basa proprio sul
Codex Vaticanus.
De arte venandi cum avibus (“sull’arte
di cacciare con gli uccelli”) è un altro
codice di grande prestigio della biblioteca vaticana. Scritto dall’imperatore Federico II, è un trattato di falconeria, cioè sui sistemi di allevamento,
addestramento e impiego dei falchi nella caccia. Nella genesi dell’opera ebbero
una notevole importanza precedenti
trattati di cui Federico II aveva disponibilità. L’imperatore dotò l’opera anche di un notevole corredo di immagini. Ulteriori aggiunte furono effettuate
dal figlio Manfredi, anch’egli appassionato di falconeria. Sono presenti oltre 500 illustrazioni di uccelli, eseguite con sorprendente precisione. Un manoscritto sbalorditivo per la cura nella scelta dei colori del piumaggio e il
dettaglio delle particolarità anatomiche.
L’opera è divisa in due libri: il primo
tratta della caccia vera e propria, il secondo, invece, dell’allevamento e cura
dei rapaci. Altra perla della Biblioteca
è il Codex Urbinas Latinus 1270 che
contiene il primo manoscritto del
“Trattato della pittura”, di Leonardo da
Vinci. Si tratta di un’opera composita, compilata da un allievo che scelse
vari brani, passi, precetti, teorie e appunti, riordinandoli in diciotto “libri”
(capitoli), dei quali solo sette sono
giunti a noi. Secondo gli studiosi, l’organicità della trattazione fa pensare che
lo stesso Leonardo avesse concepito il
“Trattato”, suddividendolo in due sezioni: una prima teorica, dove si affermano i principi filosofici della pittura, paragonandola anche alle altre arti,
e i principi dell’applicazione della prospettiva (lineare, aerea e cromatica), di
luci e ombre; una seconda pratica, in
cui Leonardo dà una serie di consigli
e precetti al giovane pittore, su come
assimilare le proporzioni di corpi e figure, e sulla rappresentazione dei moti
e degli elementi naturali.
S. P.
per cento degli incunaboli di
tutto il mondo, duecentomila stampe e migliaia di disegni.
Cinquanta chilometri di scaffalature, una lunghezza che
può essere quantificata nella
distanza dal Vaticano a Fiumicino, andata e ritorno. E’ un
vero patrimonio che tocca
tutti i campi del sapere umano, la tradizione culturale a
360 gradi. «Un’accogliente
casa di scienza, di cultura e di
umanità», ha scritto il papa
Benedetto XVI.
Di fronte alla copia della
Divina Commedia illustrata
da Sandro Botticelli, si vive
l’emozione di immaginare
Dante Alighieri nel momento in cui scrive il suo capolavoro. Ma esistono testimonianze di un sapere ancora
più antico. Un foglio eroso dal
tempo coperto di scritte greche poco leggibili, eppure
conservato come un gioiello:
il Papiro Bodmer è stato trascritto nel primo quarto del III
secolo, forse non molto lontano dal luogo del Medio
Egitto in cui è stato trovato. E’
il più antico manoscritto noto
che tramanda insieme due
vangeli: il Padre nostro e l’epilogo del Vangelo secondo
Luca con il prologo del Vangelo secondo Giovanni. E
proprio vicino alle carte che
raccontano la vita di Cristo,
c’è l’opera che illustra la vita
di Buddha. Un segno della
molteplicità di linguaggi religiosi proprio di questo luogo
che custodisce e protegge il
bene più prezioso dell’uomo,
qualsiasi sia il suo credo religioso: la parola.
Cinquanta chilometri di scaffali affidati alla responsabilità di un Cardinale
Col Gps nel dedalo dei testi rari
Stefano Petrelli
RICOSTRUZIONE Facsimili
dei capolavori della biblioteca
Reporter
nuovo
Nel corso dei secoli la Biblioteca Vaticana è diventata un vero e proprio dedalo,
che contiene oltre all’enorme
numero di testi, monete antiche e altri oggetti d’arte.
Una struttura gigantesca amministrata da un Cardinale
bibliotecario, da un prefetto,
e da un viceprefetto, che
presiedono e coordinano le
attività di un vero e proprio
esercito di lavoratori suddiviso in vari dipartimenti.
Questo tempio del sapere
si regge su due pilastri dallo
strano nome: Azoto e Pergamon. Il primo termine si riferisce al trattamento cui vengono sottoposti i testi, per evitare che i parassiti possano
deteriorarli. Pergamon, invece, è un sistema di radio
identificazione, che permette di rintracciare i libri tramite
un chip inserito nei testi. Il
funzionamento è simile a
quello del Gps. Uno strumento indispensabile, senza
il quale un libro riposto male
fra i 50 chilometri di scaffali
della biblioteca, potrebbe essere perso per sempre.
Un patrimonio di opere
nato dalla volontà di un
pontefice. Fu, infatti, papa
Niccolò V, intorno alla metà
del Quattrocento, a cambiare per sempre la storia del
cultura, avviando un processo che nel corso dei secoli
ha trasformato la sua “biblioteca del tempo” in una
delle collezioni del sapere
più ricche al mondo. All’origine di tutto, la sua decisione di permettere agli
eruditi la consultazione e la
lettura i codici latini, greci ed
ebraici, raccolti dai suoi predecessori e da lui incrementati durante il suo pontifica-
to (dai 350 trovati, fino ai circa 1.200 presenti al momento della sua morte avvenuta il 24 marzo 1455).
La “biblioteca del tempo” di Niccolò V era costituita da un’unica sala; il suo
progetto fu completato e realizzato da Sisto IV. La sede
della nuova istituzione era il
pianterreno di un edificio, al
quale si accedeva dal cortile
detto dei Pappagalli. Le aule
erano quattro: la Bibliotheca
Latina e la Bibliotheca Graeca (per le opere nelle due lingue), la Bibliotheca Secreta
(per manoscritti non a diret-
ta disposizione dei lettori,
ivi compresi alcuni codici di
pregio), la Bibliotheca Pontificia (per gli archivi e i registri papali).
Tra il 1587 e il 1589, quando ormai la sede iniziale non
riusciva più a contenere il materiale in continua crescita, Sisto V decise di farne costruire una nuova e incaricò del
progetto l’architetto Domenico Fontana. L’edificio, che
ospita tuttora la Biblioteca,
sorge sulle scalee divisorie
tra il Cortile del Belvedere e
quello della Biblioteca. Nel
piano più alto fu decorata
una grande sala di lettura: il
Salone Sistino, un’aula a due
navate lunga 70 metri e larga
15.
11 Febbraio 2011
7
Gli scrigni del sapere
Biblioteche/Le digitali Il web è costellato da una miriade di archivi on line da tutto il globo
Molte, gratis e a portata di mouse
Dal Progetto Gutenberg del 1971 fino all’opera completa di Dante e Totò
D
alla poesia alla musicologia, dalle novelle
alla letteratura per ragazzi, persino Beat Generation
e letteratura horror. Il web è costellato da una miriade di biblioteche on line tematiche da
tutti gli angoli del globo. Numerose sono le raccolte di
misticismo e medicina, occultismo e statistica. Non è fantascienza, quindi, ipotizzare in
tempi brevi la catalogazione in
rete di tutta la produzione bibliografica mondiale, dalla nascita della scrittura a oggi.
Il primo passo verso la digitalizzazione della ricerca bibliografica è l’On line Public Access Catalogue (Opac), il catalogo informatizzato di tutte le
biblioteche iscritte al Servizio
Bibliotecario Nazionale (Sbn).
Grazie agli Opac, nati nei primi anni Ottanta, è possibile
con un solo clic di mouse conoscere la collocazione precisa del rarissimo testo richiesto
in tutte le biblioteche italiane,
risparmiando all’utente infiniti
viaggi e telefonate. Molti Opac
consentono, inoltre, servizi
aggiuntivi quali la prenotazione dei documenti attualmente in prestito, la richiesta
di prenotazione, il salvataggio
delle ricerche effettuate su
spazi personali accessibili attraverso l’identificazione con
login.
La più antica iniziativa di digitalizzazione dal cartaceo è il
Progetto Gutenberg, avviato da
Michael Hart nel 1971 con
l’obiettivo di costituire una
biblioteca di versioni elettroniche liberamente riproducibili
di libri stampati, oggi chiamati
WIKIPEDIA
Jimmy Wales
è il fondatore
della
più grande
enciclopedia
on line
eBook. Il Progetto Gutenberg si
concentra principalmente sulle opere letterarie storicamente più significative, su opere di
riferimento e dizionari. Lo
slogan del progetto è “rompere le barriere dell’ignoranza e
dell’analfabetismo”.
In casa nostra, tra le molteplici opportunità digitali, si
segnala la Biblioteca della Letteratura Italiana, un’antologia
di classici dello scorso millennio. Tutte le opere di Tasso,
Ariosto, Dante, Foscolo, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, ma non solo. Il portale è
un’esauriente risposta ai bisogni di una scuola che sta sperimentando nuove tecnologie e nuovi contenuti.
PoesieRacconti è una community on line in cui gli
utenti possono pubblicare
gratuitamente le loro opere
letterarie: poesie, racconti,
frasi e aforismi. Il sito raccoglie inoltre opere di autori fa-
IL MIRACOLO WIKIPEDIA
«L’enciclopedia partecipata mi preoccupa meno: la uso regolarmente, e trovo che la qualità e l’affidabilità delle informazioni sia notevole. Qualche problema c’è solo quando il soggetto è estremamente controverso. In questo caso la
neutralità, e le reciproche obiezioni, spingono verso il minimo comune denominatore, e bisogna accontentarsi. Ma
questo è inevitabile, e in fondo accadeva già con le enciclopedie tradizionali».
Le parole di Beppe Servegnini ben sintetizzano i vantaggi e le controversie di
uno dei più geniali strumenti di consultazione on line. Wikipedia è un’enciclopedia libera ed “universale”, in
termini sia di ampiezza che di profondità degli argomenti trattati. Il portale,
In oltre 270 lingue
tutto il sapere
frutto di confronto
che ogni anno si riconferma tra i primi
dieci siti più consultati al mondo con un
totale di 60 milioni di visualizzazioni al
giorno, è stato descritto dal fondatore
Jimmy Wales come «uno sforzo per creare e distribuire un’enciclopedia libera della più alta qualità possibile ad ogni singola persona sul pianeta nella sua propria lingua». È pubblicata in oltre 270
lingue e contiene voci sia sugli argomenti
propri di una tradizionale enciclopedia
sia su quelli di almanacchi, dizionari geografici e di attualità. Il suo scopo è quello di creare e distribuire un’enciclopedia libera e ricca di contenuti, nel maggior numero di lingue possibile.
Da due anni si è convertito al web
l’unico, vero colosso del sapere dei nostri tempi. l’enciclopedia Treccani, con
le sue 300 mila voci, riconferma il suo
ruolo di guida nella cultura italiana, con
le sue tonnellate di pagine a portata di
clic. Arricchita da un menu interattivo,
la Treccani on line offre anche un costante aggiornamento delle notizie dell’ultim’ora, grazie alla collaborazione di
Blitzquotidiano e dell’Aeronautica Militare per quanto riguarda le previsioni
del tempo.
mosi per un totale di 8000
pubblicazioni. PoesieRacconti è quindi uno strumento di
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letteratura e cultura. Il sito offre molti strumenti gratuiti
per condividere le proprie
opere, promuovere i propri libri e confrontarsi con altri
utenti tramite voti e commenti.
Oasi delle anime è un mondo di immagini, musica, videosigle, libri, trame, curiosità
e tanto altro sui personaggi
più famosi dei cartoni animati
dagli anni ‘70 ad oggi, il tutto rigorosamente controllato
per una navigazione sicura anche per i bambini Per chi, invece, ha trent’anni sarà davvero un’emozione riscoprire le
tavole originali di manga e
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Oltre, ovviamente, a tutti i libri pubblicati sino a oggi sul
comico napoletano.
Biblioteche/Le musicali A Santa Cecilia manoscritti rari, libretti e video
Un crocevia di studiosi e
amatori probenienti da ogni
parte del mondo. La Biblioteca
Musicale Governativa del
Conservatorio “S.Cecilia” possiede circa 300.000 unità catalografiche distinte in due sezioni: 200.000 edizioni musicali e libri, 2.200 edizioni
“rare” (1500-1820) fra cui
320 cinquecentine e 8 incunaboli, 11.000 manoscritti,
125 periodici estinti, 98 periodici in corso, 30.000 libretti, una discoteca composta da circa 2.500 unità fra LP,
nastri, CD, video e audio cassette.
Un numero impressionante, un catalogo unico in
Italia, uno dei luoghi del sapere più affascinanti al mon-
8
11 Febbraio 2011
Un gigantesco patrimonio di note
do insieme alla biblioteca di
San Pietro a Majella a Napoli, che affonda le sue radici
febbraio 1875, quando la Regia Accademia di Santa Cecilia nominò il primo bibliotecario nella persona di Adolfo
Berwin. Il Conservatorio non
esisteva ancora come lo conosciamo oggi. Era una scuola composta da due classi di
poche decine di allievi. La Regia Accademia di Santa Cecilia ottenne proprio nel 1875
il riconoscimento ministeriale a Liceo Musicale, e nel
maggio 1876 il Ministro concesse una parte dell’ex mo-
nastero delle Suore Orsoline
con l’attuale ingresso in Via
dei Greci.
Una svolta storica per la biblioteca fu la creazione al suo
interno della Sezione Governativa. Il regio decreto che la
istituì (2.3.1882) disponeva
che in tale sezione fossero “depositati tutti i libri, opuscoli
e fogli stampati dal 1501 in
poi riguardanti esclusivamente la musica” posseduti
dalle biblioteche governative
di Roma. Successivamente
il Ministero acquistò per la
Sezione governativa parte
della Bibliotheca Burghesiana,
che il principe Paolo Borghese mise all’asta nel 1892,
nonché le partiture autografe di Bellini (Norma e Beatrice
di Tenda) e diverse opere autografe di Pietro Raimondi.
Altri oculati acquisti ministeriali consentirono poi la
formazione di un’imponente
collezione di 21.000 libretti
del fondo Carvalhaes, di
6.000 libretti della collezione Silvestri e dei 4.000 libretti
dei secoli XVII-XIX della
Pagina a cura di Dario Parascandolo
raccolta Carotti. In quegli
anni il Liceo Musicale Santa
Cecilia si avviò a una rapida
espansione grazie agli assegni
del Regio Governo. Gli insegnanti che per tanti anni avevano prestato gratuitamente
la loro opera percepirono il
loro primo stipendio. Gli studenti seguivano un turbinio
di lezioni di composizione,
canto, organo, pianoforte,
violino e viola, violoncello,
contrabbasso, flauto, oboe,
clarino, fagotto, corno, tromba e trombone, arpa, strumenti a percussione, solfeggio, storia ed estetica musi-
cale, diritti e doveri, declamazione e gesto, letteratura
poetica e drammatica, oltre
alle lingue italiana e latina,
geografia e aritmetica.
Quando nel 1923 il Liceo
si trasformò in conservatorio,
il nuovo istituto ereditò, fra le
altre cose, anche l’onere e
l’onore di gestire la Biblioteca Musicale Governativa del
Conservatorio di Musica
“S.Cecilia”. Aperta tutti i giorni dal lunedì al venerdì, la sala
principale permette la consultazione di tutte le edizioni
aggiornate dei dizionari musicali, dal Deumm al Grove,
veri patrimoni enciclopedici.
Oggi l’intero archivio della biblioteca è consultabile sul
sito dell’Opac.
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