L`energia potenziale elettrostatica

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L’energia potenziale elettrostatica
1. Il lavoro di una forza non costante
Sappiamo dallo studio della meccanica che ogni volta che una forza agisce su di un punto materiale – e più
in generale su di un corpo esteso - ha interesse considerare se il punto di applicazione di tale forza si sposta
durante l’azione della forza stessa, oppure se non lo fa. Al primo caso corrisponde infatti il conferimento di
alcune proprietà al corpo stesso, proprietà che possono essere legate alla nuova posizione che esso assume
rispetto ad un prefissato riferimento, allo stato di moto in cui esso si porta, oppure allo stato termodinamico
in cui esso si viene a trovare successivamente all’azione della forza.
Esempio 1: mantenere una macchina ferma in salita tirando il freno a mano non richiede alcun consumo di
carburante, mentre lo richiede lo spostamento del punto di applicazione della forza che agisce sulla
macchina. Quanto più si vorrà far salire l’automobile tanto maggiore sarà l’impiego richiesto di risorse.
Trasportare un corpo in alto richiede l’applicazione di una forza che abbia una componente lungo la
direzione dello spostamento, ed in conseguenza il corpo acquista la proprietà di cadere.
Esempio 2: in modo analogo, portare una macchina da ferma fino alla velocità di 80 Km/h richiede consumo
di carburante, ed in seguito a tale consumo essa ha acquistato la proprietà di muoversi con una velocità non
nulla rispetto al riferimento della Terra.
Esempio 3: strofinare una gomma su di un foglio di carta comporta l’applicazione della forza dovuta
all’attrito parallelamente allo spostamento della gomma. In conseguenza di tale strofinio la gomma subisce
un incremento di temperatura acquisendo così le proprietà del nuovo stato termodinamico in cui essa si è
portata.
Parallelamente a questi fatti, l’osservazione del mondo fisico porta anche a concludere che nessuna nuova
proprietà viene conferita ad un punto materiale che pur sotto l’azione di una forza si spostasse
perpendicolarmente alla retta di azione della forza stessa.
Esempio 4: nessun dispendio di risorse è richiesto per mantenere la Luna in una orbita approssimativamente
circolare con velocità di modulo costante attorno alla Terra. In un tale moto la traiettoria è in ogni punto
perpendicolare alla retta lungo cui agisce la forza di gravità.
W >0
F
Da queste e da molte altre osservazioni si ricava la necessità di quantificare,
tramite una opportuna grandezza fisica, la seguente evidenza: l’effetto di una
forza su di un punto materiale che si sta spostando è differente se la forza in
questione ha una componente diretta lungo lo spostamento oppure se è
perpendicolare allo spostamento stesso. Tale necessità conduce alla definizione
della grandezza fisica nota come lavoro nella maniera seguente.
Quando un punto materiale, sottoposto all’azione di una forza costante F ,
subisce uno spostamento rettilineo individuato da un vettore ∆ ℓ , diremo che
la forza F , in relazione allo spostamento ∆ ℓ ha compiuto il lavoro elementare:
∆ℓ
α
| F | cos α
W <0
F
α
∆ℓ
| F || ∆ ℓ | cos α
dove con α si intende l’angolo formato dalla forza e dallo spostamento.
Indicheremo il lavoro elementare con il simbolo ∆W , e per esprimerlo useremo
anche la scrittura sintetica F ⋅ ∆ ℓ ≡| F || ∆ ℓ | cos α , che prende il nome di
prodotto scalare fra i due vettori F e ∆ ℓ . Il prodotto scalare di due vettori ha per
risultato la moltiplicazione dell’intensità di uno qualunque dei due per la
proiezione dell’altro su di esso e per il segno di cos α , che indica se questa
proiezione punta nello stesso verso dell’altro vettore oppure in verso opposto.
Come si vede in figura, il segno del lavoro elementare ha un significato fisico:
| F | cos α
F
W =0
α
∆ℓ
1
una forza F che, relativamente ad uno spostamento ∆ ℓ , compie lavoro elementare positivo, sta
contribuendo al moto nella direzione dello spostamento, mentre se compie un lavoro negativo sta
contrastando il moto nella direzione di ∆ ℓ . Un lavoro positivo è detto anche lavoro motore, mentre un
lavoro negativo è detto lavoro resistente. E’ importante notare che:
1.
2.
3.
Il lavoro elementare ∆W , benché sia una grandezza costruita a partire da due vettori, è uno scalare e
non un vettore
La forza F in esame non è necessariamente la sola ad agire sul punto materiale
La forza F in esame non è necessariamente la causa dello spostamento
La definizione data non è tuttavia di molta utilità nel caso generale. Infatti abbiamo supposto uno
spostamento rettilineo ed una forza costante per poter esprimere il lavoro elementare, mentre di solito si ha
a che fare con spostamenti più complessi, che seguono traiettorie curve, e con forze che variano la loro
direzione e la loro intensità in ogni punto dello spazio.
Per poter rendere operativo il concetto di lavoro in questi casi, dovremo immaginare di suddividere la
traiettoria in tanti spostamenti elementari ∆ ℓi , così piccoli da poter essere considerati rettilinei. Gli
spostamenti elementari dovranno inoltre essere così minuti rispetto alla scala sulla quale varia F , che gli
eventuali cambiamenti di direzione ed intensità della forza al loro interno possano essere trascurati. Ad
ognuno dei ∆ ℓ potremo così associare un vettore costante Fi , che rappresenti la forza F nel tratto
interessato da quello spostamento elementare, ed un angolo αi fra ∆ ℓ ed Fi .
Con questi accorgimenti possiamo definire come lavoro W
Fi
αi
compiuto dalla forza F , in relazione allo spostamento di
B
un punto materiale da una posizione A nello spazio ad una
posizione B, la somma dei lavori elementari ∆Wi che la
F4
∆ ℓi
forza compie durante gli spostamenti elementari ∆ ℓi nei
quali può essere scomposta la traiettoria che il punto segue
F3
per andare da A verso B:
F2
∆ ℓ3
W =
∆Wi =
| Fi || ∆ ℓi | cos αi
α2
F1
i
i
α1
∆ ℓ2
In effetti questa definizione contiene un certo grado di
∆
ℓ1
approssimazione: non ci viene detto in che modo, nella A
pratica, dobbiamo effettuare la scomposizione in spostamenti elementari della traiettoria! In generale,
infatti, si potranno avere valori differenti del lavoro a seconda di quanto si scelgono grandi i vettori ∆ ℓi .
∑
∑
Sarebbe bene avere una definizione di lavoro più accurata, che non dipendesse da tale scelta.
Quello che possiamo ragionevolmente ritenere è che, quanto più sono piccoli i ∆ ℓi , tanto più nel dettaglio
descriviamo l’azione della forza. Osservando la definizione di W si nota però che quando gli spostamenti
elementari si avvicinano ad assumere un valore nullo, il lavoro si riduce ad una sommatoria di numeri
prossimi a degli zeri. Si potrebbe pensare che il risultato di tale sommatoria sia zero, ma non è così. Infatti,
più piccoli scegliamo i ∆ ℓi più finemente stiamo suddividendo la traiettoria, e maggiore sarà il numero
degli addendi che dovremo includere.
Detto diversamente, quando la lunghezza degli spostamenti elementari si approssima a zero, il loro numero
si approssima ad essere infinito, e questo in qualche modo impedisce che la sommatoria dia un risultato
nullo. Stiamo sommando addendi sì di entità microscopica, ma in numero infinito; è un po’ come scomporre
una torta nelle sue briciole e poi ricomporle: otterremo di nuovo la torta completa! Quindi, mentre il singolo
∆ ℓi va perdendo di significato mentre si fa piccolissimo, così non è per l’intera sommatoria che ci dà W:
essa andrà stabilizzandosi attorno ad un valore ed accadrà che ad un certo punto, per quanto possiamo fare
2
piccoli gli spostamenti elementari, il valore del lavoro corrispondente non cambierà più. L’ambiguità di
risultato dovuta alla scelta dei ∆ ℓi che avevamo evidenziato, si elimina assumendo come lavoro il numero
attorno a cui la sommatoria che dà W si stabilizza.
Questo è il criterio rigoroso di calcolo da seguire per ottenere il lavoro di una forza non costante lungo una
traiettoria curva. Applicarlo praticamente, cioè quantificare il fatto che infittire indefinitamente la
suddivisione della traiettoria, comporta uno stabilizzarsi del valore della sommatoria che dà W intorno ad
un numero, è una operazione che prende il nome di passaggio al limite.
Tuttavia nei casi in cui la forza si mantenga costante in direzione e verso e la traiettoria che il punto segue è
rettilinea, la definizione è priva di ambiguità ed il calcolo diviene semplice.
Esempio
Uno strato piano indefinito, è carico con una densità superficiale σ = 5.5 × 10−8 C/m 2 . Una carica puntiforme
q = 2.0 × 10−6 C , di massa m = 2.1 × 10−2 Kg , si trova inizialmente vincolata a stare ferma ad una distanza di 0.5
m dal piano. Su di essa agisce una forza costante F , che forma un angolo di 140° con il versore normale al piano, la
cui intensità vale | F |= 2.5 × 10−2 N . Calcolare il lavoro svolto da F ed il lavoro svolto dalla forza elettrostatica FE
sia relativamente ad uno spostamento | ∆ ℓ |= 0.1 m sia dopo che sia trascorso un intervallo di tempo di 0.2 secondi.
Soluzione
Sappiamo che lo strato piano infinito genera un campo elettrostatico
costante in intensità e direzione, le cui linee di forza risultano ortogonali
al piano, hanno direzione uscente da esso (essendo σ > 0 ) e la sua
intensità vale:
E
FR
σ
5.5 × 10−8 C/m 2
N
=
= 0.62 × 104
.
| E |=
−12 2
2
C
2ε0
8.85 × 10 C /Nm
F
La forza risultante FR che complessivamente agisce su q è la somma
vettoriale della forza elettrostatica FE = qE e di F ed ha intensità
| FR |=| F + FE | che si calcola applicando il teorema di Carnot al
triangolo che ha per lati consecutivi proprio | FE | ed | F | .
Osservando che:
β=
α
140°
q
β
FE
σ
360° − 2 × 140°
= 40°
2
otteniamo:
| FR |2 =| F |2 + | FE |2 −2 | F || FE | cos 40°
ed essendo:
| FE |= q | E |= (2.0 × 10−6 )(0.62 × 104 ) = 1.2 × 10−2 N
si ha infine:
| FR |= (2.5 × 10−2 )2 + (1.2 × 10−2 )2 − 2(2.5 × 10−2 )(1.2 × 10−2 )(0.766) = 3.1 × 10−2 N
3
∆ℓ
Lo spostamento ∆ ℓ che ne risulta è quello di un punto sottoposto alla forza
costante FR , quindi che si muove di moto uniformemente accelerato nella
direzione di FR . Per calcolare il lavoro è necessario conoscere il coseno
dell’angolo α in figura che ∆ ℓ (parallelo ad FR )
forma con F .
F
Applicando il teorema di Carnot al triangolo che contiene α , i cui lati
misurano | FR | , | F | ed | FE | si ha:
FR
α
q
FE
| F |2 + | FR |2 − | FE |2
(2.52 + 3.12 − 1.22 ) × 10−4
=
= 0.93
cos α =
2(2.5)(3.1) × 10−4
2 | F || FR |
da cui possiamo calcolare il lavoro richiesto nel caso con | ∆ ℓ |= 0.1 m ottenendo:
W =| F || ∆ ℓ | cos α = (2.5 × 10−2 )(0.1)(0.93) = 2.3 × 10−3 J
F
e considerando che il coseno dell’angolo 140° - α fra FE e ∆ ℓ vale :
cos(140° − α) = cos(140°) cos(α) + sin(140°)sin(α) ≡ −0.62 ,
si ha :
WE =| FE || ∆ ℓ | cos(140° − α) = (2.5 × 10−2 )(0.1)(−0.62) = −1.6 × 10−3 J
negativo, cioè resistente come deve essere, dato che FE si oppone allo spostamento. Nel secondo caso, per
calcolare il lavoro occorre trovare prima | ∆ ℓ | sapendo che il moto è uniformemente accelerato dalla forza
FR . Dal secondo principio della dinamica ricaviamo l’accelerazione di q, e poi dalla legge oraria del moto
uniformemente accelerato1 si ottiene | ∆ ℓ | :
| FR | 3.1 × 10−2
=
= 1.5 m/s
a=
m
2.1 × 10−2
⇒
1
1
| ∆ ℓ |= at 2 = (1.5)(0.522 ) = 0.21 m
2
2
gli angoli fra i vettori sono gli stessi di prima e quindi:
W =| F || ∆ ℓ | cos α = (2.5 × 10−2 )(0.2)(0.93) = 4.6 × 10−3 J
F
WE =| FE || ∆ ℓ | cos(140° − α) = (2.5 × 10−2 )(0.2)(−0.62) = −3.2 × 10−3 J
1
La legge oraria dello spostamento x (t ) in una data direzione, per un moto uniformemente accelerato, è
1
x (t ) = x 0 + v0t + at 2 . In questo caso sappiamo che la velocità iniziale v 0 di q è nulla, ed inoltre ponendo l’origine
2
del riferimento nella posizione di partenza si ha anche x 0 = 0
4
2. La forza elettrostatica è conservativa
Vogliamo ora mettere in evidenza una
importante proprietà del lavoro svolto dalla
forza elettrostatica. Poniamoci
in una
regione di spazio che sia sede di un campo
E dovuto ad una carica puntiforme Q . In un
punto A vi sia un’altra carica puntiforme q,
così piccola rispetto a Q, da non alterare il
campo che Q genera. Per semplicità
supporremo che entrambe le cariche siano
positive, ma il discorso potrebbe ripetersi in
modo analogo anche nel caso in cui una delle
due, od entrambe, fossero negative.
Supponiamo ora che la carica q si sposti dalla
posizione A ad una nuova posizione B,
seguendo una traiettoria qualunque. Si faccia
attenzione che non si sta dicendo che è la
forza elettrostatica FE = qE , dovuta a Q, ad
F1 = qE 1
A
q
F2
α1
∆ ℓ1
∆ ℓ2
F3
α2
∆ ℓ3
α3
α4
α5
Q
α6
essere la causa dello spostamento. In
α7
generale potremo pensare di prendere q con
le nostre mani e di portala da A in B, e
B
durante una tale operazione la forza
elettrostatica FE potrebbe sia agevolarci che fare resistenza: dipenderà dalle reciproche posizioni A e B
rispetto a Q. Durante il percorso, in ogni caso, il punto di applicazione di FE si sposta: suddividendo la
traiettoria seguita da q negli spostamenti elementari ∆ ℓ1 , ∆ ℓ2 , … ∆ ℓN , in corrispondenze dei quali il
campo elettrostatico assume i valori E1 , E2 , … EN , come in figura possiamo calcolare il lavoro svolto dalla
forza elettrostatica in relazione a tale spostamento, e
cioè: WAE→B =
q | Ei || ∆ ℓi | cos αi . Mostriamo
∑
i
adesso che se scegliamo di andare da A in B
seguendo una traiettoria differente, WAE→B non
cambia. Consideriamo la figura successiva dove
sono mostrate due posizioni qualunque A e B, ed è
stata costruita una quadrettatura dello spazio
intorno a Q facendo uso solo di linee radiali e
circolari. Supponiamo ora di muovere q da A in B
spostandosi solamente lungo dei pezzettini di
quadrettatura. Sono evidenziate due traiettorie di
questo tipo, individuate dai numeri 1 e 2, ma molte
altre sono possibili. Ora il lavoro svolto dalla forza
elettrostatica FE = qE lungo un qualunque tratto
circolare è chiaramente zero dato che E (e quindi
FE ) è sempre diretto lungo la direzione radiale,
perpendicolare in ogni
circonferenza centrata in Q.
punto
a
1
B
A
q
2
Q
qualunque
Durante un qualunque tratto radiale, invece,
FE
forma sempre, con la traiettoria, un angolo che sarà
5
di 0° se q si sta movendo verso l’esterno (e quindi cos α = 1 ) oppure di 180° se q si sta movendo verso
l’interno (e quindi cos α = −1 ).
Qualunque sia la traiettoria che si segue per andare da A in B, al lavoro W E di FE contribuiranno quindi
solo gli spostamenti lungo i tratti radiali. Il calcolo di W E non è comunque immediato, perché lungo i
tratti radiali l’intensità di FE varia, a norma della legge di Coulomb, proporzionalmente all’inverso del
quadrato della distanza. Tuttavia, sempre dalla legge di Coulomb, sappiamo che l’intensità del campo
elettrostatico di una carica puntiforme Q ha una simmetria sferica. Ponendoci ad una fissata distanza r da Q ,
non ha nessuna importanza trovarsi sopra di essa o sotto, oppure ad est o a nord: misureremo sempre lo
stesso campo elettrostatico e quindi, nel caso in esame, avrà la stessa intensità la FE che agisce sulla carica q
che stiamo movendo.
Questa proprietà permette di concludere che quando spostiamo q da A in B lungo la traiettoria 1, il lavoro
W1A→B che FE compie è uguale al lavoro W2A→B che compie lungo la traiettoria 2. Infatti in entrambi i casi la
somma dei percorsi radiali che q segue è esattamente la stessa, ed è pari alla differenza fra il raggio della
circonferenza che passa per B e quello della circonferenza che passa per A.
Potremmo anche divertirci a considerare dei percorsi più complessi che da A portano in B, percorsi
comprendenti delle anse, con tratti in cui q procede prima avanti, poi indietro e poi ancora avanti. Ma il
risultato non cambierebbe: ogni tratto radiale percorso due volte in direzioni opposte, comporterebbe un
lavoro complessivamente nullo, dato che, come si è visto, cos α = 1 quando ci si allontana da Q e
cos α = −1 quando si procede verso Q.
Che dire però di una traiettoria qualunque, come quella in figura che non segue tratti radiali e circolari?
Scegliendo una quadrettatura sufficientemente fitta, è possibile approssimare, con la precisione desiderata,
una traiettoria curvilinea qualunque con un percorso fatto di tratti radiali e circolari. Con attenzione al
dettaglio di ciò che succede negli spigoli, si può dimostrare che calcolare il calcolo del lavoro lungo la
spezzata radiale e circolare è proprio lo stesso che calcolarlo lungo la traiettoria curva.
Risulta così verificata l’importante proprietà che:
IL LAVORO DELLA FORZA ELETTROSTATICA DOVUTA AD UNA CARICA PUNTIFORME
Q, RELATIVO ALLO
SPOSTAMENTO DI UNA PICCOLA CARICA q DA UN PUNTO A AD UN PUNTO B, NON DIPENDE DALLA TRAIETTORIA
q PER ANDARE DA A IN B. QUESTO CONCETTO SI ESPRIME SINTETICAMENTE DICENDO CHE LA
FORZA ELETTROSTATICA È CONSERVATIVA.
SEGUITA DA
Grazie al principio di sovrapposizione avremo anche che, qualunque sia la configurazione che origina il
campo elettrostatico: un piano infinito, un filo, un corpo carico, essendo questa il risultato della azione di
tante cariche puntiformi, ed essendo conservative tutte le singole forze elettriche corrispondenti, lo sarà
anche la forza dovuta all’intera distribuzione di cariche.
Va osservato anche che la caratteristica della forza del campo elettrostatico di essere conservativa è stata
dimostrata facendo unicamente uso del fatto di essere centrale, cioè di dipendere solo dalla distanza r da un
punto. In linea di principio per qualunque forza centrale, come ad esempio la forza di gravità, si può ripetere
il ragionamento.
6
3. L’energia potenziale elettrostatica
E
Se siamo in una regione che sia sede di un campo elettrostatico
E , torna particolarmente utile definire una posizione di riferimento
R. In questo modo infatti, in qualunque punto dello spazio A si
trovi una carica puntiforme q, potremo associare ad esso, senza
ambiguità, il lavoro WAE→R che le forze elettriche svolgono se
qualcuno prende la carica q e la porta da A nella posizione di
riferimento. Sappiamo infatti che tale lavoro non dipende dalla
traiettoria (ad esempio 1, 2 o 3 in figura) che si decide di seguire
per portare q in R, e quindi non è necessario specificare altro.
Individuando quindi ogni posizione dello spazio con un vettore
r , avremo così la possibilità di costruire una funzione U (r ) , alla
R
1
2
A
3
q
r
quale diamo il nome di energia potenziale elettrostatica della carica
puntiforme q rispetto alla posizione di riferimento R:
SI CHIAMA ENERGIA POTENZIALE ELETTROSTATICA U (r ) , DI UNA CARICA PUNTIFORME q, CHE SI TROVI IN UN
PUNTO DELLO SPAZIO INDIVIDUATO DA UN VETTORE r , IL LAVORO CHE LA FORZA DEL CAMPO ELETTROSTATICO
COMPIE QUANDO q SI SPOSTA, DA DOVE STA, IN UNA POSIZIONE SCELTA COME RIFERIMENTO.
Chiaramente ad una scelta differente della posizione di riferimento corrisponderà un valore differente
dell’energia potenziale. L’energia potenziale è un po’ come la distanza: non possiamo dire semplicemente
“la mia distanza è 4 km”, dobbiamo riferirci a qualcosa.
In base alla nostra definizione avremo che l’energia potenziale nella posizione di riferimento dovrà essere
zero perché, se la carica q già si trova in R, evidentemente nessuno spostamento deve essere fatto per
portarcela e quindi nessun lavoro viene compiuto dalla forza elettrostatica.
Spostiamo ora la carica q dalla posizione A ad una posizione B: le forze del campo elettrostatico
compiranno il lavoro WAE→B . Supponiamo poi di eseguire lo stesso spostamento seguendo la via più lunga:
portiamo prima q da A in R e poi, successivamente, da R in B, come in figura.
E’ una via scomoda, è come se per andare da Roma a Firenze decidessimo di passare per Milano: tuttavia
alla fine saremo comunque giunti a Firenze. In questo caso le forze del campo compiranno prima il lavoro
WAE→R e poi il lavoroWRE→B . Ma sappiamo che, per quanto complessa sia la traiettoria che si segue, il lavoro
complessivamente svolto deve essere lo stesso di prima, e cioè:
WAE→B = WAE→R +WRE→B
Dalla definizione che abbiamo dato risulta che
WAE→R = U A mentre WBE→R = U B . Ma percorrere al
A
contrario la traiettoria da R verso B significa solamente
invertire la direzione di tutti i ∆ ℓi e quindi cambiare il
q
B
R
segno di tutti i cos αi , con il risultato che avremo
cambiato di segno a tutto il lavoro:
WRE→B = −WBE→R = −U B
.
Si ottiene dunque:
7
WAE→B = U A −U B = −(U B −U A ) = −∆U
dove – lo ricordiamo- il simbolo delta ( ∆ ) davanti ad una grandezza indica il valore finale meno il valore
iniziale. Abbiamo così mostrato l’utilità pratica della funzione energia potenziale U (r ) : quando una carica q
si sposta da una posizione A individuata dal vettore rA ad una posizione B individuata dal vettore rB
possiamo ottenere il lavoro WAE→B svolto dalle forze del campo elettrostatico senza effettuare materialmente
il calcolo suddividendo la traiettoria in spostamenti elementari, ma semplicemente facendo la differenza fra
il valore che l’energia potenziale elettrostatica assume nella posizione iniziale e quello che assume nella
posizione finale:
WAE→B = U (rA ) −U (rB )
8
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