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Oreste Cannizzaro
HELICOBACTER PYLORI
e Cancerogenesi gastrica
MEETING SERVICE EDITORE
2015
INDICE
• ASPETTI MICROBIOLOGICI
• EVOLUZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
• CENNI STORICI
• ASPETTI ETIOPATOGENETICI E FISIOPATOLOGICI DEL
DANNO HP-CORRELATO
• LA MALATTIA ULCEROSA PEPTICA
• CANCEROGENESI GASTRICA ED INFEZIONE DA H.PYLORI
• IL LINFOMA GASTRICO
• ASPETTI DIAGNOSTICI
• ASPETTI TERAPEUTICI
• VACCINAZIONE ANTI-H.PYLORI
• BIBLIOGRAFIA
L'Helicobacter pylori (Hp) è un batterio di forma elicoidale, Gram negativo e
microaerofilo che vive nella
mucosa gastrica dell'ospite
umano, ben adattato a questo
ambiente ostile e difficile, che
rappresenta una “nicchia
ecologica” ottimale per questo
batterio, la cui colonizzazione e
la conseguente infezione tende
a persistere per tutta la vita del
suo ospite, a meno che non
venga eseguita una terapia antibiotica eradicante (Fig.1).
La scoperta dell'Hp ha comportato una “rivoluzione” nelle conoscenze riguardanti
l’etiopatogenesi delle malattie del tratto digestivo superiore sia benigne che
maligne e, soprattutto di quelle acido-correlate (es. la malattia ulcerosa peptica).
ASPETTI MICROBIOLOGICI
Dal punto di vista tassonomico, L'Hp appartiene ad un nuovo genere
(Helicobacter- specie: H.pylori, famiglia Helicobacteraceae v. piramide
tassonomica (Fig.2).
L'H. pylori è un batterio Gram
negativo di forma elicoidale o
spirale classificabile più spesso come
un “bastoncello ricurvo”, dotato di
flagelli multipli (da due a sei) ad uno
dei suoi poli, rivestiti da una
m e m b r a n a . Ta l i f l a g e l l i g l i
conferiscono una notevole motilità. E’
dotato di glicocalice, ha una
lunghezza di circa 3 μm con un
diametro di circa 0.5 μm. Tuttavia, esistono anche forme differenti di Hp, come in
particolare le forme coccoidi, che verosimilmente rappresentano uno “stato di
resistenza “ e di adattamento del germe a condizioni ambientali più difficili ed
ostili.
L’H.pylori è un microrganismo definito dagli addetti ai lavori “ fastidious” (con
esigenze di crescita particolari), è capnofilo, in quanto esso richiede un
arricchimento dell'atmosfera di coltura con CO2 (5-10%). Inoltre è considerato un
microaerofilo ma non c’è un consenso generale sulle concentrazioni di O2 ottimali
per la sua crescita. Secondo alcuni autori (Park et al 54) L’H. pylori può essere
considerato un “aerobio capnofilo”, la cui crescita è favorita dall’ossigeno
atmosferico ma in presenza di una concentrazione del 10% di CO2.
Tipicamente, la coltura dell'H. pylori viene effettuata su biopsie gastriche ma
poichè i batteri mostrano una distribuzione irregolare nella mucosa gastrica, la
coltura richiede piu di un frammento bioptico , possibilmente da aree diverse dello
stomaco, sia dall’antro che dal corpo. Il tempo medio per lo sviluppo delle colonie
si attesta attorno ai 5 giorni. La coltura sembra avere una minore sensibilità
quando i campioni tissutali
provengono da pazienti con
ulcera gastrica sanguinante,
abuso di alcol, gastrite senza
attività, bassa carica batterica,
recente uso di farmaci
antisecretori (H2 antagonisti,
Inibitori della pompa
protonica ). La coltura prevede
terreni specifici come in
particolare L'Agar Columbia al 5% di sangue ovino, a cui si aggiunge il
“supplemento di Skirrow (miscela di vari antibiotici) per impedire la crescita di altri
batteri contaminanti. Dopo incubazione di 5 giorni, si possono osservare piccole
colonie traslucide, successivamente caratterizzabili attraverso il peculiare profilo di
attività enzimatica (ureasi, catalasi ed ossidasi positive).
L'Hp viene identificato sui tessuti con
diverse colorazioni: con il metodo Gram
(Fig.3), con il Giemsa (utilizzato di routine)
e l’ematossilina-eosina, ma viene
osservato ancora meglio ricorrendo
all’impregnazione argentica sec. WarthinStarry (Fig.4 )
L'Hp mostra una notevole eterogeneità
di ceppi. Va sottolineato che è possibile
distinguere in modo chiaro i vari ceppi
solo tramite metodi di indagine genetico-molecolari. Di tre di questi ceppi il
genoma è stato completamente sequenziato. Il genoma del ceppo “26695”
comprende circa 1576 geni con un contenuto di circa 1.7 milioni di coppie di basi.
Evoluzione ed Epidemiologia
I ceppi che predominano in determinate aree geografiche sono correlabili
perfettamente con i pattern migratori. Si è ricostruito che l’Hp è migrato
dalL'Africa insieme al suo ospite umano circa 60,000 anni fa. Successivamente si
sono sviluppati 7 prototipi diversi: Europe (isolato in Europa, Medio Oriente, India
ed Iran), NE Africa (dalL'Africa nord orientale), Africa1 (nei Paesi dell'Africa
occidentale e Sud Africa), Africa2 (dal Sud Africa), Asia2 (dalL'India settentrionale,
Bangladesh, Tailandia, e malesia , Sahul (dagli aborigeni australiani ed i Papua
della Nuova Guinea), East Asia dai Paei dell'Estremo oriente, Maori e Polinesiani
Polynesians) ed Amerind. I precursori di questi prototipi sono stati denominati :
“ancestral Europe1, ancestral Europe2, ancestral East Asia, ancestral Africa1,
ancestral Africa2, ancestral Sahul”.
Questi prototipi ancestrali sembrano essere originati in Africa e nell’Asia centrale
e nei paesi asiatici orientali. I ceppi Europei ed Africani sembrano essere stati
introdotti nel continente americano durante la colonizzazione e,più recentemente,
con la tratta degli schiavi. Ricerche recenti mostrano come la diversità genetica
del’HP diminuisce con la distanza geografica dall’Africa Occidentale. Utilizzando i
dati sulla diversità genetica sembra che il batterio si sia diffuso a partire dall’Africa
Occidentale circa 58000 anni fa.
Si stima che circa la metà della popolazione mondiale sia affetta
dall'Helicobacter pylori. Attualmente la prevalenza dell'infezione varia
considerevolmente tra i diversi paesi del mondo. Picchi di prevalenza si notano nei
paesi in via di sviluppo rispetto ai paesi piu industrializzati, in cui i tassi sono stimati
intorno al 25%. La prevalenza di infezione nella popolazione pediatrica dei paesi in
via di sviluppo è maggiore rispetto ai paesi industrializzati e ciò probabilmente è
attribuibile alle scarse condizioni igieniche e ad un minore utilizzo di antibiotici.
Negli Stati Uniti la prevalenza dell'infezione da HP è maggiore negli AfroAmericani e negli Ispanici.
Inoltre, la più bassa prevalenza di infezione da Hp nei paesi industrializzati è
verosimilmente attribuibile alle migliori condizioni igienico-sanitarie ed all’uso di
gran lunga più diffuso degli antibiotici. Tuttavia, va anche precisato che,
nonostante gli elevati tassi di prevalenza nei paesi emergenti ed in via di sviluppo,
la prevalenza globale dell'infezione da HP appare in netta diminuzione come pure i
tassi d’ incidenza (nuovi casi).
L'età in cui avviene il
contagio influenza sia il
comportamento del batterio
sia
gli
“outcomes”
dell'infezione stessa. Soggetti
che contraggono l’infezione ad
un età più precoce sembrano
sviluppare un’ infiammazione
più intensa che può
determinare l’insorgenza di
gastrite cronica atrofica. Il
contagio in età adulta sembra invece determinare una maggiore frequenza di
ulcere duodenali. (Fig.5)
L'H. pylori, come tutte le infezioni da patogeni, è “trasmissibile”, nonostante non
si conosca a tutt’oggi con assoluta certezza l'esatta via di trasmissione o quella
prevalente. I dati raccolti fino a questo momento suggeriscono due modalità più
probabili: 1- la trasmissione oro-fecale; 2- trasmissione orale-orale (ovvero oroorale) con la “variante di quest’ultima definita “ gastro-orale”. In tutti i casi,
l’evidenza epidemiologica raccolta nel tempo suggerisce che la trasmissione
dell'Hp avvenga principalmente favorita dallo stretto contatto interpersonale (es.
tra membri familiari, paziente istituzionalizzati).
Per quanto riguarda la trasmissione oro-fecale , è possibile che il contagio preveda
“un medium” come in particolare L'acqua contaminata.
L’H. pylori ha una distribuzione ubiquitaria ed è da tempo noto come L'Hp
rappresenti uno degli agenti patogeni più diffusi nella razza umana . L’infezione
tende a cronicizzare ed a persistere nella sua “nicchia ecologica naturale” (la
mucosa gastrica degli individui infetti); inoltre, la sua prevalenza aumenta con l’età
e presenta un caratteristico “effetto coorte”.
A questo riguardo, va notato che, nei paesi occidentali, l’infezione interessa
particolarmente gli individui nati prima del 1940 e che, a partire da quell’epoca,
l'infezione mostra trends d’incidenza in costante declino.
Nella popolazione caucasica e nei paesi industrializzati, l’infezione da HP è poco
frequente durante l’infanzia e la sua prevalenza aumenta con l’avanzare dell'età,
raggiungendo appena il 20% nei soggetti sotto i 40 anni ed arrivando al 50%, nei
soggetti al di sopra dei 60 anni.
I dati epidemiologici oggi disponibili suggeriscono che la prevalenza nella
popolazione anziana possa essere sottostimata, a causa soprattutto della possibile
influenza dell'atrofia della mucosa gastrica, evento quest’ultimo strettamente
correlato all’età dei soggetti testati ed alla durata complessiva dell'infezione.
Nei paesi in via di sviluppo invece, l’infezione viene contratta più precocemente
rispetto ai paesi industrializzati. Da diverse casistiche è possibile notare che la
prevalenza infatti arriva anche al 75% già dall’età di 2 anni e risulta aumentare
ulteriormente nella popolazione adulta con picchi attorno al 90% , già all’età di
30-40 anni.
Un motivo di questa differenza sostanziale tra diversi paesi ed aree geografiche
può essere spiegata dal fatto che l’incidenza di infezione da HP sta lentamente
declinando nei paesi industrializzati.
A conferma di ciò, sono interessanti i risultati di alcune osservazioni
epidemiologiche (Parsonnet J. et al.) che documentano come sopra i 30 anni la
prevalenza di infezione sia caduta bruscamente dal 40% degli anni ‘70 al 21% degli
anni ’90.
Numerose evidenze mostrano come la prevalenza sia molto più alta all’interno dei
nuclei familiari rispetto ai soggetti di controllo. In particolare, l’associazione più
forte è quella tra madre e figlio.
Questo dato epidemiologico conferma che la trasmissione viene favorita dalla
vicinanza e dallo stretto contatto interpersonale ed è in linea con il riscontro di una
maggior prevalenza di infezione nei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni di
vita ed ambientali, il sovraffollamento, un’alta densità abitativa ed un livello
igienico-sanitario più basso promuovono la trasmissione interindividuale dell'Hp.
Inoltre, nelle casistiche provenienti da paesi meno industrializzati e più poveri si
osserva anche un più alto tasso di reinfezione dopo terapia eradicante.
L’associazione riscontrata tra positività per HP ed evidenza di pregressa infezione
da virus dell'epatite A rinforza l’ipotesi della trasmissione fecale-orale dell'H.pylori.
L’ipotesi di una trasmissione sessuale invece è stata completamente accantonata.
La prevalenza di infezione nella popolazione pediatrica statunitense mostra una
differenza significativa tra famiglie povere (dove si attesta al 50%) e famiglie a
reddito piu alto (circa 10%). All’interno della stessa famiglia la prevalenza di
infezione arriva anche all’80%.
Questa osservazione è stata supportata anche dalle analisi genetiche su diverse
generazioni della stessa famiglia. I ceppi di HP sono diversi tra gli individui
appartenenti a nuclei familiari diversi mentre risultano gli stessi all’interno della
stesso gruppo familiare fino a tre generazioni studiate.
L'elevata prevalenza dell'infezione tra gli individui “istituzionalizzati” (reparti di
lungodegenza, RSA, orfanotrofi, reparti psichiatrici) indica che, nei paesi
occidentali e con un più alto livello igienico-sanitario, l'infezione si trasmetta
prevalentemente per via interpersonale diretta (tra individui a stretto contatto).
Tuttavia, i dati disponibili ad oggi non riescono a chiarire se prevalga la via di
trasmissione fecale-orale oppure quella oro-orale con la variante gastro-orale
(attraverso il vomito ed i succhi gastrici ).
Vi sono anche evidenze a favore della trasmissibilità dell'HP tramite L'acqua,
mezzo in cui si sa che il batterio può sopravvivere fino a 3 giorni.
A tale riguardo, è stato documentato che la prevalenza dell'Hp nella popolazione
pediatrica, in alcune aree geografiche, era legata alle modalità di
approviggionamento idrico piuttosto che alle condizioni socio-economiche.
Inoltre, in alcuni studi epidemiologici, la prevalenza era pari al 63% in famiglie a
basso reddito, che utilizzavano acqua proveniente da “fonti” esterne rispetto al
39% delle famiglie che utilizzavano acqua proveniente da tubature interne.
Vi sono alcuni studi che hanno identificato con tecniche di biologia molecolare
DNA di Hp nelle acque di scarico. Va notato comunque che, diversamente da altre
infezioni intestinali legate alla contaminazione dell'acqua, quella da H.pylori non
presenta il profilo epidemiologico tipico della “malattia del viaggiatore” (traveler’s
diarrhea).
Il reflusso gastro-esofageo potrebbe portare il batterio a livello della cavità orale e
la trasmissibilità per via orale sembra essere influenzata dal fatto che L'HP
colonizza elettivamente gli spazi periodontali e la placca dentaria. Vi sono studi
eseguiti con PCR secondo cui circa il 50% delle persone infette hanno L'Hp nel
cavo orale e, più spesso, negli spazi periodontali. Questi dati suggeriscono nel
complesso un ruolo importante, nei meccanismi di trasmissione dell'Hp, della
saliva.
Finora non è stata mai dimostrata l'esistenza di un reservoir animale dell'H.pylori e
quindi si può escludere che questa infezione sia una zoonosi. Inoltre, è stato
documentato il contagio dopo l’esecuzione di procedure diagnostiche invasive
(gastroscopia, sonde per pH-metria). Questi dati, sebbene piuttosto esigui e
sporadici, ripropongono la “variante gastro-orale” della trasmissione dell'Hp, cioè
direttamente attraverso i succhi gastrici e, talvolta, il vomito.
Cenni Storici
L'H. pylori è stato “riscoperto” nello stomaco di pazienti affetti da gastrite ed
ulcera nel 1982 dal dott. Barry Marshall e Robin Warren nella città di Perth in
Australia. All'epoca, vi era la convinzione che nessun batterio potesse sopravvivere
in un ambiente con un ph molto acido come quello dello stomaco. Marshall e
Warren sono stati insigniti del Nobel Prize in Fisiologia e Medicina nel 2005 per
questa loro scoperta.
In realtà, prima delle ricerche portate avanti da Marshall e Warren, diversi scienziati
avevano descritto la presenza “batteri spiraliformi” sulla superficie della mucosa
gastrica, con osservazioni sporadiche, risalenti addirittura al 1875. Ma nessuno era
stato capace di isolarli in terreno di coltura prima di Marshall e Warren.
Il ricercatore italiano Giulio Bizzozero descrisse la presenza di batteri con aspetto
simile all'Hp nella mucosa gastrica dei cani già nel 1893.
Il polacco Walery Jaworski aveva studiato il sedimento del liquido di “lavaggi
gastrici” nel lontano 1899. Egli fu storicamente il primo a suggerire il possibile
ruolo eziologico dei germi nella patologia gastrica. I risultati del suo lavoro furono
inclusi in un trattato dell'epoca che, tuttavia, ebbe scarso impatto e diffusione
all'estero poichè l'unica versione stampata era in lingua polacca.
Numerosi altri studi condotti all'inizio del 20mo secolo dimostrarono la presenza di
bastoncelli curvi nello stomaco di molti pazienti affetti da ulcera e carcinoma
gastrico. L'interesse nei confronti di questi batteri si è affievolito però quando uno
studio americano riportò il mancato ritrovamento di questi organismi in più di 1180
biopsie della mucosa gastrica.
L'interesse nei confronti del ruolo dei batteri nelle affezioni gastriche e duodenali
si riaccese negli anni ’70 e soprattutto dopo l’introduzione e la diffusione degli
endoscopi flessibili, che consentirono di eseguire in modo più agevole e “mirato”
campionamenti bioptici della mucosa gastrica e d’identificare i batteri nello
stomaco di pazienti con ulcera gastrica. Tali germi furono segnalati dall’anatomopatologo australiano Robin Warren già nel 1979, prima della “scoperta ufficiale” e,
successivamente, queste osservazioni preliminari furono confermate in
associazione ed in sinergia con le ricerche di Barry Marshall, nel 1981. Dopo diversi
tentativi senza successo di isolamento colturale di questi batteri, provenienti dalla
mucosa gastrica dei pazienti studiati fino a quel periodo, finalmente i due
ricercatori riuscirono ad isolarli ed a visualizzarli, aiutati peraltro dalla fortuna e da
un evento del tutto casuale, come spesso si verifica nella storia della medicina.
Infatti, accadde che alcune piastre (“terreni di coltura”) furono conservati per un
tempo più lungo di quello solitamente previsto dai protocolli di studio fino a quel
momento applicati (due giorni ). Tale prolungamento non era intenzionale bensì
dovuto alla “pausa forzata “ del periodo festivo della Pasqua nel 1982. Tali piastre
dunque rimasero ad incubare per 5 giorni, consentendo all'Hp di “venire alla
luce”. Infatti, fu proprio questo ritardo nell’eliminazione delle piastre che consentì
la crescita e la formazioni di colonie di Hp, da cui fu possibile in ultimo
l’isolamento colturale, che avvenne esattamente nell’aprile del 1982 presso il
Dipartimento di Microbiologia del Royal Perth Hospital, allora diretto dal
microbiologo Stewart Goodwin. I batteri inizialmente isolati furono
provvisoriamente ascritti al genere Campylobacter e denominati C. “pyloridis” e,
successivamente, “pylori” (“genitivo” più corretto, derivato dal latino e non dal
greco, come prevede la tassonomia internazionale).
Sebbene all'inizio alcuni ricercatori avessero espresso perplessità e scetticismo nei
confronti di questa scoperta, successivamente altri gruppi confermarono
L'associazione tra H. pylori con la gastrite e con l’ulcera. Inoltre, per dimostrare il
nesso associativo causale e soddisfare i cosddetti “Postulati di Koch”, lo stesso
Marshall ingerì un brodo di coltura, sviluppando dopo alcuni giorni una sindrome
dispeptica acuta (nausea e vomito). Egli si sottopose ad un EGDscopia 10 giorni
dopo l’inoculo e questo esame documentò la presenza sia della gastrite che
dell'Hp. Un analogo procedimento di autoesposizione all'Hp, fu condotto da un
altro ricercatore Arthur Morris che giunse alle medesime conclusioni. Questi
risultati infatti suffragavano un ruolo etiologico del germe e non di mero
“spettatore innocente”. In seguito, Marshall e Warren dimostrarono anche l’effetto
positivo degli antibiotici sulla gastrite (criterio clinico ex adiuvantibus).
Nel 1987, il gastroenterologo australiano Thomas Borody introdusse il primo
protocollo di terapia per il trattamento dell'ulcera duodenale.
Nel 1994, l'NIH Americano affermò che l’ulcera duodenale e quella gastrica erano
causate dall'H.pylori e raccomandava l’impiego degli antibiotici nei protocolli di
trattamento.
Il batterio fu inizialmente ascritto al genere Campylobacter come, ad esempio, il
noto Campylobacter jejuni, per una serie di “somiglianze” tra i due generi.
Tuttavia, quando si utilizzarono tecniche di analisi più sofisticate (tra cui, il
sequenziamento dell'RNA ribosomiale 16S, ed analisi ultrastrutturali), il batterio fu
riclassificato come appartenente ad un nuovo genere “Helicobacter” ed una
nuova famiglia (“Helicobacteraceae” vs “Campylobacteraceae”, peraltro
entrambe ascrivibili all'ordine dei “Campylobacterales” (Fig.2)
ASPETTI ETIOPATOGENETICI E FISIOPATOLOGICI
DEL DANNO HP-CORRELATO
L'Hp possiede numerosi fattori di patogenicità e virulenza (Fig.6) . La patologia
indotta scaturisce da un’interazione tra meccanismi diretti di danno tissutale e
cellulare e da meccanismi
indiretti, cioè ascrivibili alla
risposta immunitaria e flogistica
dell'ospite stesso a questa
infezione (Fig.7).
La caratteristica peculiare di
questo batterio è la sua
capacità di sopravvivere
nelL'ambiente gastrico
nonostante il pH così basso.
Inoltre, l ‘H. pylori determina
nell’ospite una risposta immunitaria e flogistica allo stress ossidativo che avviene
già durante la colonizzazione. La risposta allo stress ossidativo, con il passare del
tempo, induce lesioni della mucosa gastrica di entità ed estensione topografica
variabile, lesioni che possono anche diventare evolutive (atrofia, metaplasia) e,
talvolta, anche acquisire un potenziale mutageno e quindi cancerogeno.
L’abilità dell'Hp di sopravvivere all’acidità dell'ambiente gastrico è da attribuire
soprattutto all’elevatissima attività ureasica del batterio. L’ammoniaca prodotta
dalla reazione agisce come accettore di ioni idrogeno, determinando una
riduzione significativa del ph locale, nelle immediate vicinanze del germe.
La colonizzazione della mucosa gastrica avviene in tappe successive:
• - “Orientamento chemiotattico” verso il muco e la superificie epiteliale.
• - Ingresso attraverso la barriera di muco.
• - Adesione ai recettori del muco e delle cellule epiteliali sottostanti
• - Persistenza e proliferazione dei batteri adesi alla mucosa.
La capacità di colonizzare la
mucosa gastrica e la
persistenza dell'infezione da
H.pylori è determinata da
alcune proprietà peculiari:
tutti i ceppi di H.pylori isolati
esprimono un’elevatissima
attività ureasica. L'Hp
mostra la più alta attività
ureasica tra i batteri che
possiedono questo tipo di
enzima. I ceppi di Hp con
più elevata attività ureasica sono correlati ad una maggiore incidenza di atrofia
della mucosa gastrica. Risulta infatti da numerosi lavori che l’ammoniaca prodotta
determini un effetto lesivo diretto sull’epitelio della mucosa gastrica.
L’ureasi è un enzima che converte l’urea in ammoniaca e anidride carbonica,
processo che aumenta il ph della nicchia gastrica circostante. Questo consente la
temporanea protezione contro l’acidità gastrica che, tuttavia, col passare del
tempo, sarebbe letale anche per l’Hp. Pertanto va sottolineato che questo germe
non è propriamente un microrganismo acidofilo. Infatti, anche L'Hp necessita, nel
lungo termine, di un ph meno acido rispetto a quello del lume gastrico, un pH più
vicino alla neutralità come quello riscontrabile nello strato di muco aderente
all’epitelio gastrico. La forma elicoidale del batterio e l’energico movimento
impresso dall’apparato flagellare polare condizionano queste fasi precoci della
colonizzazione dell'Hp. L'Hp ha una vivace motilità dovuta alla presenza di flagelli
unipolari . Quindi la motilità e l’attività ureasica sono tra i primi e più importanti
fattori in grado di determinare l’abilità di questo batterio di colonizzare e
sopravvivere nell’ambiente gastrico. (Fig.1)
Il movimento del batterio è orientato da un sistema chemiotattico e dal
riconoscimento di strutture a funzione recettoriale. L'attraversamento dello strato
di muco è probabilmente facilitato dall’azione litica di alcune attività enzimatiche
(fosfatasi e fosfolipasi ). Esso inoltre è capace di aderire alle cellule epiteliali grazie
a particolari proteine della classe delle adesine. Una di queste, la proteina BabA,
si lega all'antigene Lewis b antigen esposto sulla superficie delle cellule epiteliali.
Un'altra adesina espressa, l'adesina SabA si lega all'antigene sialyl-Lewis esposto
sulle cellule epiteliali.
Caratteristica peculiare dell'H.pylori è pure il fatto che la colonizzazione, in
assenza di un intervento terapeutico eradicante, persiste per tutta la vita
dell'ospite. Tale proprietà è legata a fattori intrinseci dell'Hp, tra cui senza dubbio
la presenza nel suo cell wall di un lipopolisaccaride (LPS) non tossico ed a bassa
tossicità, che ha la capacità di “frenare” in tempi rapidi la risposta locale,
immunitaria ed infiammatoria, dell'ospite.
Siti di colonizzazione
Oltre che nella mucosa gastrica, L'Hp si reperta in aree di metaplasia o di
tessuto ectopico gastrico com nel caso della prima porzione duodenale, sede
elettiva dell'ulcera peptica, ed alL'interno del diverticolo di Meckel. Inoltre, Dna di
Hp è stato amplificato a livello delle placche aterosclerotiche e nella cavità orale
(placca dentaria, spazi periodontali) ma il significato di questi risultati non è ancora
completamente chiarito .
Gli esiti (“outcomes”) dell'infezione da Hp e dell'interazione batterio-ospite”
dipendono da molteplici fattori, che si possono suddividere in due grandi
categorie: fattori legati al batterio e quindi alla variabile virulenza dei ceppi;
dalL'altro i fattori “intrinseci” dell'ospite (Fig.7). Inoltre, hanno un peso
determinante anche l’età del soggetto al momento del contagio, il pattern
gastritico ed altri cofattori ambientali. Nel complesso, l’interplay di tutti i suddetti
meccanismi e fattori contribuisce a spiegare la variabilità dello spettro anatomoclinico indotto dall'infezione da Hp (Fig.8 )
Fattori di virulenza
L'Hp possiede una serie di fattori di virulenza, il cui ruolo si riflette non solo sulle
capacità adattative del batterio all’interno della nicchia gastrica ma soprattutto
sembra influenzare l’eterogeneità e la gravità del danno tissutale Hp-indotto.
In diverse popolazioni, numerosi studi mettono in relazione i fattori di virulenza del
batterio, in associazione sinergica con specifici polimorfismi genetici dell'ospite, a
patterns diversi di
gastrite e ad un rischio
anch’esso variabile di
sviluppare
le
“patologie maggiori”,
come in particolare
l’ulcera peptica (UP)
ed il carcinoma
gastrico (CG). Tra i
fattori di virulenza più
conosciuti da molto
tempo vi è senza
dubbio la citotossina
capace
di
determinare la formazione di vacuoli nelle colture cellulari, denominata tossina
Vac A (vacuolating cytotoxin A). Tale proteina è di 87 kilodaltons ed è espressa
da circa il 65 % dei ceppi di Hp . La citotossina vacuolizzante è in grado di
danneggiare le cellule epiteliali, alterando le “giunzioni intercellulari” e causando
anche apoptosi.
La seconda proteina più nota da tempo è la citotossina associata al gene A
(Cytotoxin-associated gene A) di 128 kilodaltons, che fa parte di una sequenza
genica particolare la CagA pathogenicity island (v. par. succ.)
I ceppi che possiedono entrambe le citotossine vengono definiti di tipo I (CagA+,
VacA+), quelli in cui le suddette proteine sono assenti sono definiti di tipo II
(CagA-, VacA-).
Della VacA si conoscono oggi dei sottotipi: tipo i1 e tipo i2, che rispecchiano
varianti alleliche diverse del gene codificante per questa tossina: s1/m1 ed s2/m2,
rispettivamente. Il tipo i1 con le varianti alleliche s1 ed m1 sembra essere correlato
ad un più alto rischio di cancro gastrico, almeno in alcune delle popolazioni
studiate. Inoltre il tipo i2 appare correlato solo alla presenza di gastrite. Tuttavia, il
Vac A tipo i1 non è specifico solo per il CG ma risulta associato anche alL'ulcera
duodenale, sebbene il rapporto appaia meno stretto rispetto al CG. I ceppi di Hp
Vac A+ tipo i1, tra i pazienti senza CG, sono più strettamente correlati ad una
gastrite più diffusa (pangastrite) rispetto ai casi in cui vi è una gastrite ristretta
all’antro gastrico. Questo dato è coerente con quello precedente in quanto è noto
come un terreno gastritico più esteso sia predisponente al CG rispetto alL'UD, che
di solito risulta associata ad una gastrite prevalentemente antrale (gastrite tipo B).
Inoltre, molti studi mettono in evidenza un’ elevata corrispondenza tra Cag A
status ed il genotipo Vac A i1, s1 ed m1. Questo effetto sinergico si rispecchia in
una stretta associazione tra ceppi CagA+ e con i suddetti polimorfismi del Vac A e
lo sviluppo di ulcera peptica o di CG comprese le lesioni precancerose come la
metaplasia intestinale.
Tuttavia, vi sono numerosi studi che documentano L'importanza di alcuni
polimorfismi genetici nell’ospite, nel determinare il rischio individuale di acquisire
una determinata patologia. Ad esempio, in qualche studio si osservava un odds
ratio (OR ) di ben 87 per il cancro gastrico, quando i pazienti erano infetti da ceppi
di Hp con Vac A di tipo s1 e, nello stesso tempo, avevano uno specifico genotipo
di Interleuchina 1 b (Polimorfismo T carrier dell'IL-1B-511 ).
Gene e proteina CagA- Isola di patogenicità (Cag- PAI)
Molti ceppi di H.pylori mostrano nel loro genoma un’isola di patogenicità di circa
40 kb, denominata Cag-pathogenicity island (Cag-PAI). Tale isola è in realtà una
sequenza genica correlata ad una maggiore patogenicità dei ceppi e contiene
oltre 40 geni. La Cag-PAI è assente invece nei ceppi meno virulenti, isolati spesso
da pazienti del tutto asintomatici. All’interno di questa sequenza, è presente il
gene che codifica per una delle più importanti proteine associate alla virulenza
dell'Hp, denominata proteina CagA, piuttosto lunga, composta da 1186
aminoacidi. I ceppi di Hp che la possiedono sono associati alle patologie più
importanti, come l’ulcera peptica ed il carcinoma gastrico. Gli altri geni della
sequenza Cag codificano per altri fattori che formano un sistema secretorio di tipo
IV . Il basso contenuto in basi G-C della Cag-PAI rispetto al resto del genoma
dell'Hp suggerisce che l’isola è stata acquisita attraverso un tranfer orizzontale.
Circa il 50-70 % dei ceppi nei paesi occidentali possiedono la Cag-PAI e la
presenza di quest’ultima si associa ad una risposta infiammatoria più intensa nella
mucosa gastrica, comportando anche un maggiore rischio di ulcera peptica e di
cancro rispetto ai soggetti infettati da ceppi di Hp che non contengono tale
sequenza genica. Subito dopo l’adesione all’epitelio gastrico, viene attivato dal
Cag-PAI il sistema secretorio di tipo IV che “inietta” un fattore flogogeno, il
peptidoglicano, trasferendolo dal cell wall batterico all’interno della cellula
epiteliale dell'ospite.
Il peptidoglicano viene riconosciuto da un sistema recettoriale citoplasmatico,
Nod1 (pattern recognition receptor che fa parte dell'immunità “innata”) che, a sua
volta, stimola l’espressione di citochine proinfiammatorie.
L’apparato secretorio, inoltre, inietta anche la proteina Cag A nelle cellule
epiteliali gastriche, che determina vari effetti citotossici (alterazione del
citoscheletro, adesione intercellulare, la polarità cellulare, “signalling pathways”,
etc). Dopo “fosforilazione-attivazione” da parte di una tirosin-kinasi dell'ospite, la
proteina Cag A, a sua volta, attiva altri fattori , tra cui il proto-oncogene Shp2 ed il
recettore del fattore di crescita EGF. L’attivazione dell'EGFR si accompagna ad
un’alterata traduzione dei segnali ed espressione genica nelle cellule della mucosa
gastrica, fattore questo che sembra contribuire ad i meccanismi di danno Hpcorrelata ed alla stessa cancerogenesi gastrica. La regione C-terminale della
proteina Cag A (aminoacidi 873-1002) sembra riuscire a regolare la trascrizione
genica delle cellule epiteliali, indipendentemente dai processi di fosforilazioneattivazione tirosin-kinasi-dipendenti.
L’adattamento alla risposta infiammatoria dell'ospite è il fattore determinante per
la persistenza dell'infezione. Sono stati chiamati in causa numerosi fattori per
spiegare questa proprietà. Il basso ph dello stomaco sembra rendere difficile
l’azione delle IgA mucosali (risposta immunitaria umorale). Questo spiega come
L'Hp possa resistere nonostante presenti un elevato numero di antigeni bersaglio
per le IgA (es. Ureasi). La produzione di catalasi garantisce la protezione contro
l’azione dei polimorfonucleati che rilasciano radicali liberi dell'ossigeno.
Le “Heat-shock proteins” (“proteine da stress”) agiscono come “chaperoni” per
le proteine, riparandole e rendendole stabili dopo un danneggiamento.
L'Hp è in grado di danneggiare il rivestimento epiteliale gastroduodenale
dell'ospite attraverso molteplici meccanismi, diretti ed indiretti: L'ammoniaca
prodotta dall’attività ureasica ha un effetto tossico diretto sulle cellule epiteliali. Le
proteine ricche di cisteina (Hcp), specialmente L'HcpA0211, sono note come fattori
trigger della risposta immunitaria che, a sua volta, sottende l’infiammazione. La
citotossina CagA può causare infiammazione ed è, nello stesso tempo, un
potenziale fattore mutageno.
Per quanto riguarda i meccanismi di danno indiretto, essi sono rappresentati in
larga misura dai meccanismi immunitari legati all’ospite, che coinvolgono sia
l’immunità innata che quella adattativa.
Quest’ultima viene interessata in entrambe le componenti, sia quella umorale
(anticorpale) che, specialmente, quella cellulo-mediata. L'infezione da H.pylori
elicita una risposta immunitaria antigene-specifica con attivazione di cellule T
CD4+, evento chiave nella risposta adattativa, che conduce alla liberazione di
numerose citochine.
In base al profilo citochinico, la risposta cellulare alL'Hp è di tipo TH1. E’ noto
che un’efficace risposta immunitaria verso agenti patogeni microbici di tipo
extracellulare tipicamente è una risposta di tipo TH2. Paradossalmente , invece, in
presenza da Hp, la risposta immunitaria dell'ospite è mediata da linfociti T helper
con fenotipo TH1, che conduce all’attivazione del sistema monocitariomacrofagico (cellule mononucleate ) ed al rilascio in abbondanza di IL-12 e di IFN-t
da parte delle cellule T.
Ciò unitamente alla “down regolazione” dell'espressione di IL -15, determina una
risposta immunitaria “attenuata e persistente” ma insufficiente ad eliminare
completamente il germe.
Diversi studi hanno pure dimostrato la presenza di autoanticorpi nel siero di
pazienti con infezione da Hp. Questi autoanticorpi sono rivolti principalmente
contro i canalicoli secretori delle cellule parietali (ossintiche, acido-secernenti). Tali
osservazioni suggeriscono l’esistenza di strutture cellulari o molecolari in comune
tra L'Hp e l’ospite.
Si tratta di una sorta di “mimetismo molecolare (molecular mimicry), spiegata,
almeno in parte, dalla dimostrazione che il lipopolisaccaride del cell wall batterico
(LPS) esprime ha delle componenti molto simili agli antigeni presenti sulle cellule
epiteliali gastriche, appartenenti al sistema Lewis ed associati ai gruppi sanguigni.
L'infezione e la colonizzazione della mucosa gastrica da parte dell'Hp esita quindi
in una flogosi che tende a cronicizzare, creando un “terreno e condizioni
predisponenti” per lo sviluppo di altre patologie, sia benigne che maligne.
LA MALATTIA ULCEROSA PEPTICA
L’ ulcera peptica è una soluzione di continuo o perdita di sostanza della mucosa
(cratere) che supera sempre la muscolaris mucosae, talvolta raggiungendo anche la
muscolaris propria, e la cui sede prevalente è lo stomaco o il bulbo duodenale. L’
ulcera peptica interessa circa il 2-3% della popolazione generale con una maggiore
frequenza dell' ulcera duodenale rispetto a quella gastrica.
La malattia ulcerosa si associa ad una significativa morbidità e può essere causa di
mortalità per l’ insorgenza di gravi complicanze, sebbene raramente. Tuttavia, l’
incidenza dell' ulcera peptica, in particolare quella duodenale, ha visto nell’ultimo
decennio, nei paesi occidentali ed industrializzati, un calo significativo,
parallelamente ad una riduzione progressiva dell'incidenza dell'infezione da H.
pylori.
L’ età più colpita appare più bassa nell’ulcera duodenale ( 30-40 anni) rispetto all’
ulcera gastrica ( 50-70 anni).
Dal punto di vista etiopatogenetico, da tempo ormai l‘infezione da Hp è ritenuta
la causa principale dell' ulcera peptica, sia gastrica che
duodenale. L’altro
agente etiologico, rilevante sul piano clinico ed epidemiologico, è l’assunzione di
farmaci anti-infiammatori non steroidei ( FANS).
L’ infezione da Hp è infatti la causa di circa il 70- 80% delle ulcere gastriche e di
oltre il 90% di quelle ulcere duodenali.
Il ruolo etiologico di questo batterio nella patogenesi dell'ulcera peptica è
supportato innanzitutto da due forti evidenze epidemiologiche :
• il riscontro dell'infezione da H. pylori in quasi tutti i soggetti con ulcera
duodenale e nella maggior parte dei soggetti con ulcera gastrica
• L’aumento statisticamente significativo, nei soggetti Hp-positivi, del rischio di
ulcera peptica (circa
4 volte superiore a quello dei soggetti Hp-i negativi).
Tuttavia l’ evidenza più forte nel sostenere il ruolo causale dell'Hp nell’ulcera
peptica è rappresentata dal fatto che l’eradicazione del batterio determina la
cura definitiva della malattia ulcerosa peptica, in quanto
l’eradicazione è in
grado di prevenire l’ insorgenza delle recidive e delle complicanze. Pertanto, va
sottolineato che l’ infezione da Hp è in grado di influenzare la stessa “storia
naturale” della malattia ulcerosa, considerata nel suo complesso.
L’ulcera peptica è di fatto una malattia cronica, il cui decorso è caratterizzato da
fasi di riacutizzazione della lesione ulcerativa e/o dei sintomi, da fasi di remissione
e dalla comparsa di complicanze, quali l’emorragia e la perforazione.
L’80% circa delle ulcere duodenali recidiva entro 1 anno dalla cicatrizzazione, in
assenza di terapia eradicante anti-Hp.
Al contrario, ampia evidenza documenta che l’avvenuta eradicazione dell'Hp
determina una riduzione significativa
della recidiva della malattia ulcerosa che
scende dall’80% ( in caso di persistenza dell'infezione) al 5% nei soggetti eradicati.
Tuttavia, non sono ancora del tutto chiariti tutti i fattori ed i meccanismi
patogenetici attraverso i quali l’infezione da Hp causa la malattia ulcerosa. Ciò non
consente di distinguere il sottogruppo dei soggetti positivi che svilupperanno un’
ulcera peptica da quelli che rimarranno “liberi” dalla malattia ulcerosa per tutta la
loro vita.
Ciò che è noto è che i soggetti con ulcera gastrica e quelli con ulcera duodenale
presentano un diverso pattern di distribuzione topografica della gastrite cronica
con conseguenze significative sulla secrezione acida gastrica nelle 24 ore.
L’ulcera duodenale è associata ad una gastrite cronica prevalentemente antrale a
cui si accompagnano valori normali di secrezione acida oppure un’ipersecrezione
acida ( ipercloridria), mentre l’ ulcera gastrica è associata ad una gastrite cronica
diffusa o prevalentemente del corpo con tendenza all’ atrofia delle ghiandole
ossintiche e conseguente ipo-secrezione acida ( ipocloridria) ( Fig. 8).
Nei pazienti con ulcera duodenale, la gastrite interessa prevalentemente l’ antro
con la mucosa del corpo risparmiata o interessata solo da una lieve infiammazione
( gastrite tipo B): la mucosa acido-secernente è normalmente rappresentata e
quindi normosecernente oppure, talvolta, ipersecernente.
Nella maggior parte dei soggetti con ulcera duodenale, i tests funzionali
(sondaggio gastrico) documentano un aumento della secrezione acida sia basale
che stimolata, fenomeno questo che risulta essere Hp-dipendente, tanto vero che
si osserva una riduzione dei parametri secretori del 50% già ad 1 mese
dall’eradicazione del batterio, fino alla normalizzazione dopo circa 1 anno. Il
principale meccanismo con cui l’Hp si ritiene determini un aumento della
secrezione acida è ascrivibile all’ aumento della gastrinemia basale e stimolata, che
torna ai livelli normali dopo eradicazione del batterio.
L’ H. pylori infatti è in grado di determinare un aumento del livelli sierici di
gastrina ( ormone prodotto dalla cellule G antrali) attraverso una riduzione della
concentrazione della somatostatina prodotta dalle cellule D della mucosa
antrale. La somatostatina inibisce con un’azione paracrina la liberazione di gastrina
da parte delle cellule G gastrino-secernenti, come confermato in diversi studi
condotti su questo specifico aspetto. Infatti, è stato osservato che dopo
eradicazione vi è un aumento ed un ripristino del numero e della densità media
delle cellule neuroendocrine D antrali. Al contrario, l’ eradicazione non sembra
modificare direttamente né il numero né la densità media delle cellule G,
gastrino-secernenti.
Un altro fattore rilevante
nell’etiopatogenesi dell'
ulcera duodenale è senza
dubbio la riduzione della
secrezione di bicarbonati da
parte della mucosa
duodenale. La ridotta
secrezione di bicarbonati
nella mucosa duodenale è
legata all’infezione da Hp, in
quanto l’eradicazione
dell'infezione si associa ad un
ripristino della normale secrezione di bicarbonati duodenali, sebbene il
meccanismo con cui l’ Hp riesce ad alterare la secrezione dei bicarbonati non sia
stato chiarito. La presenza di un’ ipersecrezione acida gastrica e, soprattutto, di
“aumentato carico acido” nel bulbo duodenale, da un lato, la ridotta secrezione
di bicarbonati duodenali, dall’ altro, determinano lo sviluppo nel bulbo di aree di
metaplasia gastrica come risposta all’ aumentato carico acido duodenale ( Fig.9 ).
L’ Hp presente nello stomaco può in tal modo colonizzare le suddette
aree di
metaplasia gastrica con conseguente sviluppo di duodenite che implica, a sua
volta, un’ aumenta suscettibilità della mucosa all’acido e predispone allo sviluppo
della lesione ulcerativa vera e propria.
A differenza dell'ulcera duodenale, l’ulcera gastrica spesso si associa ad una
gastrite cronica prevalentemente del corpo con atrofia e ridotta secrezione acida.
La patogenesi dell'ulcera gastrica è da ascriversi piuttosto ad un indebolimento
della barriera mucosa gastrica dovuta alla flogosi
cronica della mucosa con
conseguente riduzione dei meccanismi di difesa della mucosa gastrica ( Fig.10)
Va ribadito inoltre che
solo il 10-15% dei soggetti con infezione da H. pylori
sviluppa un’ ulcera peptica e ciò suggerisce la multifattorialità e complessità della
eziopatogenesi di questa affezione. Pertanto, bisogna tenere in considerazione sia
i fattori legati al batterio sia i fattori legati all’ ospite e la loro interazione con
eventuali altri fattori ambientali.
Uno dei fattori legati al batterio è la virulenza del ceppo batterico. Ceppi di H.
pylori CagA e VacA positivi ( tipo I), i più virulenti ed “ulcerogeni”, si riscontrano
in circa l’80-90% dei pazienti con ulcera peptica rispetto al 30-60% di quelli senza
ulcera. Altri fattori di virulenza sono stati più recentemente identificati: ICE A1
( induced by contact with epithelium, il babA2 ( blood group antigen binding
adhesin), che si lega ai recettori di tipo Lewis B presenti nelle cellule epiteliali
gastriche, il dupA ( duodenal ulcer promoting gene), che si isola soprattutto dai
pazienti con ulcera duodenale ma
in misura minore anche dai pazienti con
carcinoma gastrico.
Il dupA gene era inizialmente ritenuto un marker specifico per l’ulcera duodenale.
Tuttavia, altri studi non hanno confermato questa osservazione, mentre hanno
evidenziato un’ associazione d questo fattore di virulenza anche con il carcinoma
gastrico. Roesler et al hanno riscontrato un aumento del rischio di CG quando
questo gene è presente nei ceppi VacA s1m1 e CagA e T- positivi. I dati della
ricerca indicano che il gene Ice A ha due principali varianti alleliche, iceA1 ed ice
A2.
In alcuni studi è la prima variante ad avere un nesso etiologico più stretto con
l’ulcera peptica. Inoltre, è stato osservato che il gene ice A è un fattore predittivo
di ulcera, indipendente dal CagA status; in un altro studio l’ iceA1 era associato ad
un’ aumentata espressione di interleukina 8.
In una meta-analisi, includente 50 studi, per un totale di 5357 pazienti, è stata
osservata una più alta prevalenza di ceppi ice A1 nei paesi asiatici rispetto a quelli
occidentali ( 64.6% vs 42.1 %), mentre l’ ice A2
è più frequente nei pesi
occidentali.
Il Bab A, l’adesina più studiata dai ricercatori,
si lega agli antigeni assciati al
sistema ABO dei gruppi sanguigni ed al sistema Lewis , antigeni ben espressi sulla
superficie delle cellule epiteliali gastriche . Sono stati identificati tre alleli diversi
(babB, bab A1 e babA2), sebbene il babA2 sia ritenuto necessario per il legame
con l’antigene Lewis b. Inoltre, alcuni studi hanno documentato un’associazione
significativa tra il gene babA2 e l’ulcera peptica, sebbene il rapporto rimanga a
tutt’oggi controverso. Alcune osservazioni suggeriscono un sinergismo tra babA2,
CagA e VacA s1/m1 nell’aumentare l’infiammazione della mucosa gastrica,
incrementando il rischio di metaplasia intestinale.
Per quanto riguarda i fattori legati all’ospite, fattori genetici possono
aumentare la suscettibilità all’ ulcera peptica. Tali fattori possono riguardare la
presenza di una maggiore massa di cellule parietali, acido- secernenti oppure di
una maggiore sensibilità alla gastrina e quindi una risposta acida più intensa in
presenza di infezione da H. pylori. La predisposizione genetica
è rispecchiata
anche dalla presenza di ‟aggregazione/clustering familiare”, ben nota anche in era
pre-Hp. Infatti, la familiarità di I grado per ulcera peptica aumenta di tre volte il
rischio di ulcera.
Infine, fattori ambientali come il fumo, l’assunzione di farmaci anti-infiammatori
non steroidei ( FANS), lo stress contribuiscono in modo sinergico con l’ Hp e con
un “peso variabile” da caso a caso, all’etiopatogenesi dell'ulcera peptica .
CANCEROGENESI GASTRICA ED INFEZIONE DA
HELICOBACTER PYLORI
Sebbene nelle ultime 4-5 decadi si possa osservare una progressiva riduzione
dell' incidenza del carcinoma gastrico di tipo epiteliale (CG), questa forma
neoplastica rimane ai primi posti come causa di mortalità per cancro nei paesi
occidentali ed industrializzati.
Vi sono poi aree geografiche e popolazioni che risultano più esposti e con tassi di
incidenza e mortalità a tutt’oggi ancora elevati ( es. Giappone). Tra i paesi
occidentali l’incidenza è meno di 10 casi su 100.000 abitanti per anno.
Da ciò deriva l’attenzione e gli sforzi della ricerca, a livello internazionale, verso
strategie di cura ( in fase precoce) e, soprattutto, di prevenzione del CG, strategie
focalizzate sull’identificazione dei “fattori di rischio” individuali. Tra questi, vi sono
ovviamente quelli di natura ambientale e, in questo contesto, si colloca senza
dubbio l’ Helicobacter pylori, che è da tempo ormai considerato un fattore di
primo piano, su cui è possibile “intervenire” nella pratica clinica.
Dopo circa 10 anni dalla sua scoperta ad opera degli australiani Marshall e Warren,
l’ agenzia internazionale per la ricerca sul cancro- IARC) definiva l’H.pylori fattore
cancerogeno di I classe, sulla base delle evidenze epidemiologioche accumulate
fino all’epoca ( 1994).
Da allora le osservazioni cliniche, epidemiologiche e sperimentali (su modelli
animali) sono costantemente aumentate, sempre confermando e mai smentendo il
ruolo dell'Hp anche nella cancerogenesi gastrica.
Tuttavia, il carcinoma gastrico appare una patologia multifattoriale e complessa,
come confermato dall’osservazione ormai storica che in alcuni paesi e popolazioni,
dove la prevalenza dell'infezione è molto alta ( > 80-90% in alcune regioni
africane), solo una piccola parte degli individui portatori va incontro a questa
neoplasia ( “African Enigma”).
Tuttavia, l’evidenza clinico-epidemiologica disponibile a tutt’oggi è ampia e, nel
complesso, concordante e coerente nell’indicare un forte nesso associativo tra
Hp e CG:
studi prospettici (caso-controllo) hanno dimostrato, nei pazienti con
infezione da Hp testati sierologicamente, un rischio significativamente più alto
( circa 3-6 volte in termini di rischio relativo) rispetto ai controlli Hp-negativi.
Generalmente, laddove si registrano tassi elevati di prevalenza dell'infezione nella
popolazione generale ( con l’eccezione di alcune aree geografiche come alcuni
paesi africani – “African Enigma”), specialmente, quando sono interessati i gruppi
d’ età più giovane ( dato che indica l’acquisizione dell'Hp in età infantile),
vengono riscontrati anche elevati tassi di prevalenza ed incidenza del CG.
La prevalenza dell'infezione nei pazienti in cui è stato diagnosticato il CG mostra
comunque un range ampio : 43%- 78%, range che rispecchia vari fattori
interferenti: ampiezza delle casistiche, campioni di popolazione con rischio
differente e provenienti da aree geografiche diverse, pazienti con forme più
avanzate e pazienti con forme di early gastric cancer ( in questi ultimi peraltro la
frequenza di Hp è tendenzialmente più alta), diversità tra aree geografiche studiate
dei ceppi infettanti, etc.
La maggior parte dei carcinomi gastrici sono adenocarcinomi, che si
suddividono in due tipi principali, secondo la storica classificazione di Lauren
( 1965): il tipo intestinale ed il tipo diffuso, che corrispondono alla forma ben
differenziata ed a quella scarsamente differenziata, rispettivamente, delle
classificazioni giapponesi più recenti.
Ebbene, il rapporto dell' Hp con il CG riguarda soprattutto la forma intestinale
dell'adenocarcinoma gastrico. Infatti, è proprio il CG di tipo intestinale, la forma
cancerosa che caratteristicamente si sviluppa nel contesto di una flogosi cronica e
che implica un’evoluzione graduale secondo tappe successive.
Tali “steps”prevedono la comparsa di lesioni precancerose nella mucosa gastrica
cronicamente infetta ed infiammata ( Fig. 11). Di fatto, il rapporto tra CG e gastrite
cronica è ben noto da decenni ed anche già in era pre-Hp si sapeva bene che la
gastrite evoluta in senso atrofico, coinvolgente l’antro ed il corpo gastrico o la sua
forma estesa “multifocale”, comporta un aumento significativo di incidenza del
CG, aumento strettamente età –correlato.
In epoca più recente, i “dati storici” sono stati reinterpretati criticamente alla luce
della scoperta dell'Hp e del suo ruolo fondamentale come principale agente
etiologico della gastrite cronica.
Va ricordato, a questo riguardo,
che la presenza dell' Hp
comporta l’insorgenza di flogosi
attiva con una costante e
persistente stimolazione
antigenica, da un lato ed una
risposta immunitaria intensa e
continuativa, dall’altro, che
implica il coinvolgimento di
numerose citochine.
Questo spiegherebbe la
tendenza evolutiva della gastrite
cronica ( non sottoposta ad alcun trattamento) che, col passare del tempo, si
trasforma da superficiale in atrofica; la gastrite atrofica favorisce l’insorgenza di
metaplasia intestinale ( o enteroide). Quest’ultima ( soprattutto il tipo III) è ritenuta
una vera e propria lesione precancerosa, in quanto più facilmente nel suo contesto
avviene la trasformazione in displasia; dalla displasia al carcinoma il passo è di
fatto breve (Fig.11).
L’eradicazione dell' Hp è da tempo considerata una delle strategie principali di
prevenzione del CG: vi sono evidenze sperimentali, ottenute in modelli animali,
che lo confermano. Vi sono, sebbene poco numerosi, alcuni studi condotti nell’
uomo, come trials terapeutici in cui il “trattamento attivo” è confrontato con un
gruppo di controllo in cui viene utilizzato il placebo oppure non viene eseguito
alcun trattamento ( eradicazione vs non eradicazione ).
Ebbene, analizzando criticamente e con metodo scientifico i risultati di alcuni di
questi studi si conferma la possibilità di ridurre l’incidenza del cancro gastrico
attraverso l’eradicazione dell'Hp.
Non è ancora oggi facile valutare l’ entità dell'effetto preventivo dell'eradicazione.
Facendo riferimento ai dati disponibili, è di grande rilievo, in particolare,
uno
studio recentissimo di meta-analisi ( Ford et al BMJ 2015 ), che ha incluso 6 trials
controllati, ritenuti
di migliore qualità ( 5 condotti in Giappone e Cina, 1 in
Colombia ), per un totale di 3294 pazienti sottoposti ad un trattamento antibiotico
eradicante. Tra questi solo 51 ( 1.6 % ) hanno sviluppato nel tempo un cancro
gastrico, manifestatosi in 75 pazienti ( 2.4 %) del gruppo di controllo ( senza
terapia o con placebo) .
L’elaborazione statistica di questi dati indicano un relative risk ratio 0.66 con
relative risk reduction (RRR) del 44%. Che cosa significano questi numeri?
Esaminando da un altro punto di vista i dati ( number needed to treat NNT) risulta
in sostanza che per prevenire 1 caso di CG bisogna trattare 124 pazienti ( NNT=
124). In realtà, tale parametro statistico è più variabile, in quanto può oscillare da
un minimo di 15 come nella popolazione cinese maschile ( ad alto rischio di CG) a
ben 245, come riscontrato nelle donne americane.
Questi dati vanno interpretati comunque sempre con cautela, poiché si riferiscono
a campioni di popolazione specifici ( nel suddetto studio, prevalentemente
asiatiche in aree ad alto rischio) e non è possibile quindi estrapolare i dati e
trasferirli “automaticamente” ad altre popolazioni di aree geografiche diverse ( es.
popolazioni occidentali).
Ma che cosa significano realmente queste cifre ? Va notato che i paramentri della
suddetta meta-analisi suggeriscono una riduzione assoluta del rischio ( ARR ) di
0.8 per 100 pazienti eradicati.
Nel complesso, i dati dei trials e delle meta-analisi informano che è possibile
prevenire il CG attraverso l’eradicazione dell'Hp, sebbene i risultati non siano così
entusiasmanti come nei modelli sperimentali animali e, nello stesso tempo,
suggeriscono che la strategia preventiva non può limitarsi allo sola eradicazione
del’ Hp ma deve prendere in considerazione anche altre opzioni: smettere di
fumare, aumentare l’ introito di frutta e verdura nella dieta, ridurre il consumo di
sale e di cibi salati.
Dal punto di vista della patogenesi e della biologia molecolare, tuttavia bisogna
sempre tenere conto dei fattori legati all’ospite, da un lato, e della diversa
virulenza dei ceppi dall’altro.
In tal senso, nella patogenesi del CG ha un impatto notevole anche la diversità in
termini di polimorfismo genetico dei ceppi infettanti( Basso D et al. Clinical
Relevance of Helicobacter pylori cagA and vacA Gene
Gastroenterology 2008).
Polymorphisms.
Da diversi studi viene confermata l’ importanza dei polimorfismi geniciriguardanti
I due principali fattori di virulenza noti dell' Hp. Il CagA e la CAg pathonecity
Island, da un lato, il Vac A , dall’ altro .
In particolare, è stato documentato un aumento del rischio di CG e di precursori
(es. metaplasia intestinale) nei pazienti portatori di ceppi di tipo s1 m1
( polimorfismi del VacA). Analogamente, il rischio appare più elevato in presenza
di ceppi CagA+ con presenza di segmenti ripetitivi C –EPIYAe correla
linearmente con il numero stesso di tali segmenti, rispetto ai ceppi di Hp Cagnegativi: 7 volte più alto nei ceppi con un solo segmento C, fino a 30 volte più alto
con ceppi dotati di 2 o più segmenti.
Va notato, inoltre, che la presenza di alleli Vac A s1 m1 è strettamente correlata
con l’espressione del Cag PAI, sebbene localizzati in differenti loci cromosomici e
che, pertanto, i ceppi che esprimono la combinazione di questi alleli mostrano un
maggiore “ potenziale” di danno cellulare diretto e cancerogeno. In alcuni studi la
correlazione con il CG avanzato era dell' 83 % e 71 % circa per i ceppi CagA
+ e VacA+ s1m1, rispettivamente.
I dati della letteratura, per quanto concerne, in particolare il CagA, indicano che i
pazienti che ne sono portatori hanno una probabilità circa 3 volte maggiore di
sviluppare un CG, rispetto ai pazienti con Hp CagA-negativi.
Un rinnovato interesse è stato recentemente rivolto verso il VacA , dopo la
scoperta di una nuova regione, sede di polimorfismo ( regione “intermedia i” ),
che sembra essere un determinante maggiore di tossicità dell' Hp. Vi è di più: i
ceppi VacA+ tipo i1 appaiono ancora più strettamente correlati al CG in diversi
paesi, tra cui anche l’ Italia.
Per quanto concerne il rapporto della regione intermedia del gene codificante la
tossina vacuolizzantecon gli altri alleli s/m, è stato dimostrato che tutti i ceppi s1/
m1 sono anche di tipo i1, mentre i ceppi s2/m2 sono di tipoi2; infine, i ceppi s1/
m2 possono essere i1 o i2.
L’evidenza della ricerca più recente indica che i ceppi VacA positivi di tipo s1, m1
ed i1 sono tutti associati
al CG e che il tipo i1 predispone più facilmente alla
pangastrite ed alla gastrite predominate nel corpo gastrico ( “corpus-predominat
gastritis”), entrambi terreni predisponenti al carcinoma.
Tuttavia, non va dimenticato che molti studi sottolineano l’ importanza di alcuni
polimorfismi genetici nell’ospite, polimorfismi in grado di “modulare il rischio” o
meglio d’influenzare la suscettibilità individuale nei confronti di una determinata
patologia (Fig.12 ).
Anche in era pre-Hp era nota l’esistenza di una predisposizione genetica al cancro
dello stomaco come dimostrato dal fatto che una storia familiare positiva per
cancro gastrico aumenta il rischio di cancro di circa 2-3 volte.
Tale predisposizione è innanzi tutto di natura genetica. I dati più recenti
suggeriscono che essa potrebbe essere, almeno in parte, legata alla trasmissione
ereditaria di specifici polimorfismi del gene dell' ‟interleuchina 1B (IL-1B),
citochina dotata di una potente attività inibitoria sulla secrezione acida gastrica e
pro-infiammatoria.
L’ Il 1b viene liberata in grande quantità in presenza d’ infezione da H. pilori. Sono
stati documentati
specifici polimorfismi del gene dell' IL-1B ( es. l’IL-1B-31T e
l’IL-1RN*2), che appaiono strettamente
associati alla liberazione nella mucosa
gastrica di IL-1B con conseguente marcata ipoacidità, intensa attività infiammatoria
e spiccata tendenza a sviluppare atrofia della mucosa gastrica.
E’ stato recentemente dimostrato che nei soggetti con cancro gastrico vi è una
maggiore prevalenza di questi due specifici polimorfismi genetici, a cui è possibile
ascrivere circa la metà dei cancri gastrici H. pylori-correlati. In linea con queste
osservazioni, è pure il dato di una probabilità aumentata, espressa in termini di
“odds ratio ( OR )”, di ben 87 volte per il cancro gastrico, quando i pazienti erano
infetti da ceppi di Hp con Vac A di tipo s1 e, nello stesso tempo, avevano uno
specifico polimorfismo del gene dell' IL 1B (IL1B-511 ).
MALT-LINFOMA GASTRICO ED INFEZIONE DA
H.PYLORI
Da tempo, diversi studi epidemiologici hanno evidenziato un’ elevata incidenza (
nuovi casi) di linfomi gastrici in aree ad alta prevalenza di infezione da H.pylori.
Tali linfomi sono di tipo “MALT”, così definiti in quanto direttamente derivati
dal tessuto linfoide associato alla mucosa gastrica (mucosa-associated lymphoid
tissue). Va ricordato che il tessuto linfoide presente nella parete gastrointestinale
(“Gut-associated lymphoid tissue-GALT”), in condizioni fisiologiche,
è
rappresentato :
1- dalle placche di Peyer e da follicoli linfoidi, più frequentemente presenti nel
piccolo intestino e, in misura minore nel colon
2- dall’ infiltrato linfo-plasmacellulare sparso, presente nella lamina propria
3- da rari linfociti in sede intraepiteliale nei vari segmenti del tubo digerente.
In alcuni soggetti portatori di infezione da H.pylori, si assiste alla comparsa, nella
mucosa gastrica,
di un abbondante infiltrato linfo-plasmacellulare, spesso
strutturato in follicoli ( simili alle placche di Peyer del tenue).
Tale tessuto patologico, denominato MALT, è costituito prevalentemente da
linfociti B e, in misura minore, da linfociti T e cellule dendritiche. L’ acquisizione di
tale tessuto
rappresenta senza dubbio una risposta abnorme del sistema
immunitario dell'ospite all’ Hp e, nello stesso tempo, il MALT è ritenuto il
precursore del linfoma gastrico, definito appunto MALT-linfoma o
“Maltoma” ( MLG), che rappresenta il più frequente dei linfomi a sede extranodale.
I linfomi non-Hodgkin ( NHL) rappresentano il 24-29 % di tutti i linfomi negli USA,
Canada e Taiwan, il 36-44 % in Israele, Danimarca , Olanda ed il 48 % in Italia.
Il tratto gastrointestinale è la sede anatomica più frequentemente coinvolta dai
linfomi extranodali e lo stomaco risulta interessato nella maggior parte dei casi
( fino ai 2/3). Infatti, il 30-45 % di tutti i linfomi extranodali si riscontrano a livello
gastrico.
Nonostante la frequenza di questi tumori sia apparsa in aumento nelle ultime
decadi, il linfoma gastrico primario è, nel complesso, una condizione anatomoclinica piuttosto rara, rappresentando circa il 2-8 % del totale delle neoplasie
gastriche, tanto vero che il carcinoma gastrico, in confronto, è ben 5-10 volte più
frequente.
Il Malt-L. gastrico ha un decorso indolente, la sua incidenza aumenta con
l’avanzare dell'età e la maggioranza dei pazienti ha un’ età superiore ai 50 anni
( con una mediana di 61 anni ). Esso costituisce un modello di studio, in quanto
rappresenta il paradigma dell'associazione tra cancerogenesi
e l’effetto di una
stimolazione antigenica ed infiammatoria cronica. Inoltre, nel campo oncologico,
occupa un ruolo particolare con notevole rilevanza clinica, in quanto per molti casi
è possibile una cura definitiva, consistente nell’ impiego della terapia antibiotica
eradicante anti-Hp.
Patogenesi
Praticamente tutti i linfomi gastrici derivano dai linfociti B, mentre le forme Tcellulari nello stomaco sono estremamente rare. Inoltre, esistono due forme
principali di linfoma gastrico:
1- il MALT-L. della zona marginale ( circa il 50 % del totale dei linfomi gastrici);
2- la forma “diffusa a grandi cellule B” ( DLBCL).
La prima forma è tipicamente a basso grado di malignità, caratterizzata da un
denso infiltrato composto principalmente da linfociti di piccole dimensioni. Tale
infiltrato tende ad invadere e distruggere le ghiandole gastriche, configurando la
cosiddetta “ lesione linfo-epiteliale”, che è patognomonica del linfoma stesso.
Il MALT-L. gastrico a basso grado è fortemente associato alla presenza dell' Hp,
mentre la forma linfomatosa DLBCL è invece ad alto grado di malignità ed il suo
nesso etiologico con l’infezione da Hp è a tutt’ oggi meno chiaro e definito.
La sequenza patogenetica del MALT- LG è da tempo ormai in gran parte nota .
Mentre nella mucosa gastrica sana manca un tessuto linfoide strutturato in follicoli,
questo tipo di tessuto invece compare in risposta ad un processo infiammatorio
cronico quale in particolare la gastrite Hp-correlata.
L’evidenza accumulata da tempo suggerisce che lo sviluppo di MALT possa essere
considerato un segno patognomonico della presenza dell' Hp nella mucosa
gastrica. Di conseguenza, ogni paziente Hp-positivo è a rischio aumentato nei
confronti del linfoma gastrico.
Tuttavia, è anche vero che, considerata l’alta prevalenza dell' infezione da Hp nella
popolazione generale, da un lato, e la bassa incidenza
dall’altra,
del linfoma gastrico,
è verosimile che altri particolari fattori, non ben identificati, sono
necessari perché questa neoplasia possa svilupparsi.
Alcune osservazioni sperimentali sono utili per spiegare la patogenesi del MLG:
mettendo in coltura i linfociti provenienti da pazienti affetti da MLG con diversi
ceppi di Hp , in alcune ricerche, si osservava una proliferazione dei linfociti B che
esprimevano il recettore dell' IL 2 e, nello stesso tempo, l’ aumentata
produzione di questa citochina da parte delle cellule T nel surnatante. Va
sottolineato che solo alcuni ceppi risultavano in grado di stimolare la
proliferazione B-cellulare
e che tale proliferazione Hp-indotta era fortemente
ridotta quando le T-cellule venivano rimosse dalla coltura.
Questa osservazione suggerisce inequivocabilmente un’ interazione tra Hp ed i
linfociti T-helper dell' ospite. Inoltre, utilizzando altri agenti patogeni ( E.coli,
Campylobacter j.) la proliferazione dei linfociti B, prima descritta, non si verificava
più, dato sperimentale che indica uno specifico ruolo etiopatogenetico dell' Hp o
meglio di alcuni
ceppi. E’ pure interessante notare che l’ Hp, in altre ricerche
sperimentali, non è apparso in grado di stimolare i linfociti derivanti da linfomi di
altre sedi ( es. ghiandole salivari, tiroide ).
Da ulteriori studi proviene poi l’ evidenza del ruolo delle citochine nel processo di
linfomagenesi gastrica, alcune delle quali ( es. April - ligando) sono prodotte dai
macrofagi attivati in prossimità dei cloni B-linfocitari neoplastici, a loro volta indotti
dai linfociti T Hp-specifici.
Per quanto riguarda il ruolo di altri fattori di virulenza dell' Hp, questo non è chiaro
così come nell’ ulcera peptica o nel carcinoma gastrico. Tuttavia, alcune evidenze
indicano un’ alta prevalenza dei ceppi CagA+
sia nel MALT-L che nelle forme
DLBCL. La proteina CagA sembra in grado di influenzare l’attivazione di pathways
chinasi- dipendenti e l’ up-regolazione di proteine come la Bcl-2 con il risultato
finale di un’ inibizione dell' apoptosi linfocitaria. Inoltre, è stata descritta un
migliore e più rapida risposta alla terapia eradicante nei pazienti portatori di ceppi
CagA+.
Da tempo è
ben noto il ruolo delle alterazioni genetiche nel processo
trasformativo da cellule
B normali a cloni maligni.
Tr e
sono
le
“traslocazioni
cromosomiche” più
frequentemente
osservate dai ricercatori :
t(11;18)(q21;q21), t(1;14)
(p22;q32) e t(14;18)
(q32;q21).
Queste alterazioni sono
coinvolte nei “signaling
pathways” che esitano
nell’ attivazione del fattore nucleare kappa B ( NF-kB), che gioca un ruolo chiave in
diversi aspetti: immunità, infiammazione, apoptosi.
In particolare, la traslocazione t(11;18)(q21;q21) è quella che si riscontra in circa
un terzo dei casi, determina la” fusione API2- MALT1”, che codifica per una
proteina aberrante priva di effetto pro-apoptotico sulle cellule B.
Il risultato finale, in sintesi, è quello di una mancata funzione di controllo ed
inibizione della crescita cellulare linfocitaria e, conseguentemente, di un
incremento dell' espansione neoplastica monoclonale. E’ pure interessante
notare che la prevalenza dei ceppi Cag A+ è più alta nei casi di MALT-L associato
alla traslocazione t (11;18).
E’ indiscutibile il ruolo della predisposizione genetica dell'ospite allo sviluppo del
linfoma gastrico, come suggerito dal più frequente riscontro di specifici alleli ed
aplotipi (alleli HLADQA1* 0103e HLA-DQB1*0601
ed aplotipi DQA1*0103-
DQB1*0601 ) nei pazienti con MLG rispetto ai controlli. Oggi sappiamo che
esistono alcune mutazioni genetiche che sembrano incrementare il rischio
individuale nei confronti del linfoma gastrico: ad esempio, la mutazione R702W nel
gene NOD2/CARD15 ( riguardante alcune funzioni recettoriali dell' immunità
innata ) o la presenza di rari alleli ( es. TNF -857 T oppure la mutazione TLR4
Asp299Gly del recettore Toll 4. In conclusione, l’ evidenza attuale e più recente
sottolinea come lo sviluppo del MALT-L gastrico sia la risultante di un’ interazione
tra alcuni specifici ceppi di Hp ed una particolare costituzione genotipica dell'
ospite che implica una suscettibilità genetica al linfoma stesso.
Staging
Il MLG si caratterizza
per il suo
decorso clinico indolente
con ridotta
propensione ad evolvere in maniera disseminata ed interessando solo raramente il
tessuto midollare e dunque con un tasso di sopravvivenza molto elevato rispetto
alla controparte a genesi linfonodale. Pertanto, uno staging accurato è
obbligatorio in tutti i casi diagnosticati, proprio in considerazione della
fondamentale l’ influenza dello stadio della neoplasia sulla prognosi e la risposta
alla terapia. I dati della letteratura ( trials clinici e terapeutici) indicano che il
linfoma a basso grado è diagnosticato in uno stadio avanzato ( III-IV) e con
interessamento extra-gastrico solo in circa il 10 % del totale dei casi.
Pertanto, la maggior parte dei pazienti presentano uno stadio meno avanzato
con una buona prognosi a distanza. Un protocollo di staging completo, che
includa l’esame obiettivo, il laboratorio, le tecniche di imaging , la biopsia
midollare, l’ EGDscopia con biopsie ed esame istologico, va applicato in tutti i
pazienti con diagnosi di MLG a basso grado. In particolare, un ruolo fondamentale
è svolto dall’ecoendoscopia che è un metodo diagnostico molto preciso nel
determinare il livello di invasione ed infiltrazione della parete gastrica e l’eventuale
presenza di coinvolgimento dei linfonodi loco-regionali.
Management terapeutico
La scoperta del ruolo etiologico del’ infezione da Hp nel determinismo del
linfoma gastrico ha ovviamente cambiato in modo radicale l’approccio terapeutico
a questa neoplasia.
Secondo gli esperti in campo oncologico e
gastroenterologico e le linee-guida internazionali, è consigliato il trattamento
eradicante come terapia di prima linea nelle fasi precoci del Malt-LG di basso
grado (Fig.14).
In particolare, l’eradicazione dell' Hp è efficace quando la neoplasia è confinata
alla parete gastrica o nei linfonodi perigastrici. ( I-II1 stadio sec. la classificazione di
Ann Arbor modificata). Invece nei pazienti con linfoma in stadio più avanzato è
richiesta una terapia anti-tumorale aggiuntiva.
Dopo una terapia di eradicazione avvenuta con successo, la remissione del linfoma
è stata ottenuta in circa l’ 80% dei casi di M-LG a basso grado ed in fase precoce.
Sono stati identificati diversi fattori in grado d’influenzare la remissione,che
includono :
lo stadio, la profondità di invasione parietale, la presenza/assenza
della traslocazione API2-MALT1, la localizzazione gastrica esclusiva e l’etnia. In
particolare, la remissione è risultata più alta nelle seguenti condizioni : nello stadio
I rispetto alla stadio II1, cioè quando la neoplasia era confinata alla sottomucosa
rispetto a livelli d’ invasione più profonda ( 82 % vs 54 % circa ), quando era
assente la traslocazione API2-MALT1( 78 vs 22 %), nelle forme a localizzazione
gastrica distale rispetto a quelle prossimali ( 92 % vs 76 %), negli asiatici rispetto
agli occidentali ( 84 % vs 74 %).
Diversi studi di follow-up a lungo-termine hanno documentato che i tassi di
sopravvivenza sono più alti quando il linfoma è scoperto e trattato in uno stadio
più precoce ( fino al 90 % dei casi – overall survival).
La remissione viene definita sulla base della negatività di due controlli consecutivi.
In particolare, dopo la terapia eradicante e la chemioterapia, almeno 2 controlli
endoscopici ed istobioptici, ad 1 e 3 mesi post-trattamento, sono raccomandati
dagli esperti per stabilire correttamente la remissione completa .
Inoltre, confermata la remissione, ulteriori controlli endoscopici con “mapping
bioptico” di sedi multiple della mucosa gastrica dovrebbe essere eesguito ogni 6
mesi per i primi due anni ed ogni 12 mesi nei successivi 5 anni.
L’ecoendoscopica, così preziosa nella diagnosi e staging iniziale del MLG, nel
follow-up sembra non essere uno strumento altrettanto utile ed affidabile, in
quanto i dati della letteratura mostrano una bassa concordanza (circa il 30%) tra
questo metodo e l’ istologia che, pertanto, rimane ancora il gold standard.
Nonostante una remissione istologica completa, è possibile la recidiva del linfoma
anche a distanza di alcuni anni. Tale recidiva linfomatosa interessa quasi sempre
solo lo stomaco. In uno studio di follow-up su vasta casistica ( poco meno di 1000
pazienti) solo il 7% circa ha
mostrato una recidiva di MLG.
Inoltre, una piccolissima quota di
pazienti ( 0.05 %), inizialmente
eradicati e clinicamente guariti,
hanno sviluppato un linfoma di
alto grado. Va sottolineato che la
recidiva può avvenire sia con che
senza la reinfezione da Hp.
Sebbene i dati siano ancora limitati, alcuni studi suggeriscono inoltre che l’ Hp
possa svolgere un ruolo importante anche nel linfoma gastrica d alto grado
( DLBCL), come evidenziato da una review sistematica che ha documentato una
remissione nel 70 % dei casi di questo tipo di linfoma gastrico dopo terapia
antibiotica eradicante .
HELICOBACTER PYLORI E PATOLOGIA EXTRADIGESTIVE
Dal 1994, è stata
segnalata un’associazione tra l’ infezione gastrica da
Helicobacter pylori ( Hp) ed alcune patologie extra-digestiva. Storicamente, la
prima di queste affezioni è stata la malattia coronarica ( cardiopatia ischemica,
Mendall MA et al. Brit.Heart J. 1994). Nei primi studi sull’argomento si osservava
che l’ infezione da Hp era un fattore di rischio indipendente rispetto ad altri fattori
noti, quali l’ipertensione arteriosa ed il fumo. Da altri autori ( Gasbarrini A. et al) è
stato riscontrata una correlazione tra Hp e fenomeno di Raynaud primitivo
( vasospasmo delle piccole arteriole delle falangi distali delle mani e/o dei piedi;
nei pazienti affetti da questa condizione patologica, l’eradicazione comportava una
riduzione della frequenza e dell'intensità degli attacchi.
Un’altra associazione suggestiva è quella esistente tra infezione da Hp e cefalea:
tra le varie forme studiate, l’emicrania senza aura è risultata essere quella dove
l’associazione è più evidente. Nell’ambito della patologie dermatologiche, è stata
riportata da tempo un’associazione significativa tra Hp ed acne rosacea. Infatti,
molti pazienti affetti da questa malattia cutanea sono Hp-positivi ed inoltre la
terapia eradicante determina una scomparsa della sintomatologia in molti casi così
trattati.
Numerose osservazioni suggeriscono un nesso associativo rilevante tra due
affezioni ematologiche: l’anemia sideropenica; a tale riguardo, sono stati descritti
numerosi casi di anemia sideropenica refrattaria alla terapia marziale per os, in
soggetti portatori di infezione da Hp, in cui l’eradicazione del batterio ha
determinato la completa risoluzione del quadro ematologico.
Due diverse meta-analisi confermano tali dati e sono a favore di questa
associazione. Pertanto, nelle linee-guida internazionali (Maastricht 4, Gut 2012) il
livello di evidenza è classificato 1a con grado di raccomandazione A. Un livello di
evidenza elevato ( 1 b) con grado di raccomandazione A è attribuito anche alla
porpora trombocitopenica idiopatica: nelle review sistematiche condotte su questa
peculiare affezione viene documentato un beneficio clinico in più del 50 % dei
pazienti eradicati con successo ( come comprovato dall’aumento della conta
piastrinica) ( Fig.15)
La lista delle malattie extra-digestive associate all’ infezione da Hp si è allungata
progressivamente negli ultimi anni, includendo alcune malattie neurologiche ed
autoimmuni. Tuttavia, manca a tutt’oggi per molte di queste patologie un’
evidenza ampia e consistente ed il rapporto con l’ Hp rimane pertanto controverso
e non chiarito, in attesa di ulteriori ricerche e conferme.
DIAGNOSI Dell' INFEZIONE DA HP
Dalla riscoperta dell'Hp ad oggi, numerosi tests diagnostici sono stati
sviluppati. Essi si possono suddividere in due principali categorie ( Fig.16 ):
• 1- tests invasivi o diretti ( che richiedono l’ EGDScopia con le biopsie della
mucosa gastrica;
• 2- tests non invasivi o indiretti.
L’esistenza di diverse e numerose tecniche diagnostiche rispecchia il fatto che
nessuna di queste è ideale per tutte le situazioni con cui deve confrontarsi
lo
specialista o il medico di famiglia.
Per quanto concerne i tests diretti, essi, come già osservato, si basano sulle
biopsie della mucosa gastrica , che possono essere utilizzate
per il test rapido
all’ureasi, l’esame istologico oppure ancore l’esame colturale o, più raramente,
tests molecolari ( di impiego ancora non routinario ).
Il test rapido all’ureasi si basa dunque sul principio che l’attività ureasica, molto
intensa e tipica dell'Hp, è in grado di idrolizzare l’urea del medium utilizzato nel
test, producendo ioni ammonio e bicarbonato, che aumentano il pH della
soluzione.
La modificazione del pH viene rivelata dal cambiamento di colore del rosso fenolo,
un indicatore: dal giallo scuro a pH 6.8 all’ arancione fino al rosso intenso a pH 8.4.
Il viraggio cromatico è appunto un indice anche “visivo” di positività del test e
quindi della presenza del batterio nei frammenti bioptici immersi nella soluzione.
Esistono vari kits commerciali con caratteristiche un po’ differenti per volume di
medium utilizzato e per le concentrazioni d urea o dell' indicatore di pH. Questo
test ha diversi vantaggi: la rapidità del risultato , in quanto la diagnosi d’ infezione
può essere fatta nelle immediatezze dell' EGDscopia, il basso costo ( se
paragonato all’esame istologico o alla coltura ), la semplicità di esecuzione e una
buona affidabilità; la specificità è praticamente del 100% mentre la sensibilità può
variare tra il 70 e 90%.
Può invece risentire di errori di campionamento, data la non uniforme distribuzione
topografica del batterio nella mucosa gastrica; può dare falsi negativi soprattutto
nei pazienti già trattati.
L’esame istologico ha una sensibilità e specificità variabili, influenzate da alcuni
fattori: esperienza del patologo esaminatore, numero e sede delle biopsie,
grandezza e qualità del campione bioptico, l’impiego di colorazioni speciali per
migliorare la capacità diagnostica.
L’esame istologico ovviamente offre la possibilità di valutare in dettaglio la gastrite,
la sua gravità, l’ estensione e di ottenere un grading ed una classificazione
( Sydney/Houston Classification). Per quanto riguarda le colorazioni, l’ematossilinaeosina è più appropriata per l’analisi della biopsie gastriche ma ha una più bassa
sensibilità per il batterio, soprattutto se la carica batterica non è elevata. Altre
colorazioni hanno dimostrato una più alta sensibilità come, in particolare il Giemsa
modificato, che è ormai il metodo più diffusamente
utilizzato, in quanto
relativamente semplice, rapido e di basso costo; altrettanto valida è la colorazione
di Genta, che è “una variante del Giemsa”, utile soprattutto nei casi di ridotta
densità batterica e che consente di effettuare sullo stesso vetrino sia la diagnosi di
gastrite che quella di infezione.
Il metodo Warthin-Starry d’ impregnazione argentica è la colorazione che di fatto
permette di ottenere le migliori immagini del batterio,ma è limitata da alcuni
svantaggi: la complessità, lungo tempo di esecuzione, possibilità di artefatti, costo
piuttosto elevato.
Al fine di ottimizzare la valutazione istologica, gli esperti raccomandano
di
ottenere almeno 5 campioni bioptici da sedi diverse: 2 dall’antro, 2 dal corpo ed 1
dall’ incisura angolare.
L’esame colturale
rappresenta il “gold standard teorico” per la diagnosi
d’infezione, ma nella pratica clinica routinaria, non è di solito ritenuto necessario
né come test principale né per confermare o validare il risultato di altre metodiche
diagnostiche. Inoltre, va ricordato che l’esame colturale è indaginoso, in quanto l’
Hp ha esigenze di crescita del tutto particolari, tanto vero che esso fu identificato
per la prima volta
su piastre “dimenticate” nel termostato per una settimana,
tempo necessario per lo sviluppo delle colonie.
L’esame colturale ha come substrato
ottimale le biopsie della mucosa gastrica,
prelevate nel corso di un’ EGDscopia. Gli esperti consigliano di utilizzare almeno
3-4 campioni bioptici ( 2 dall’antro 1 – 2 dal corpo o dal fondo gastrico ).
L’esame colturale prevede diverse fasi:
1- il trasporto: tale fase richiede appunto l’utilizzo di terreni di trasporto specifici. I
frammenti di tessuto devono essere messi in coltura il più rapidamente possibile
per prevenirne l’essicamento, dato che l’ Hp è molto sensibile alle condizioni
ambientali.
2- processo di omogeneizzazione: la biopsia inclusa nel mezzo di trasporto
dev’essere centrifugata e sottoposta ad un ‘omogeneizzazione che consente anche
il distacco dei batteri dalla superficie mucosa gastrica;
3- fase di semina su terreno di coltura: viene eseguita tramite spatolamento su due
piastre, una con terreno selettivo ( contenente agenti antimicrobici che bloccano la
crescita di germi diversi ), l’altra con un terreno non selettivo
4- fase analitica: una volta ottenuto un numero adeguato di “colonie batteriche”,
sarà possibile osservarle con microscopio a contrasto di fase o più semplicemente,
colorandole con metodo Gram per evidenziare le caratteristiche morfologiche
fondamentali del batterio.
Successivamente saranno effettuati i tests biochimici per la “fenotipizzazione”,
utile tra l’altro per differenziare l’ Hp da altri batteri simili. L’ isolamento colturale è
il “percorso diagnostico” indispensabile per poter effettuare la valutazione della
sensibilità in vitro del batterio agli antibiotici ( epsilon-test / MIC ) ma anche per
eseguire più sofisticati tests di biologia molecolare.
Per quanto riguarda i tests molecolari restano al momento ancora dei tests di
impiego non routinario e confinati principalmente all’ambito della ricerca
scientifica, in quanto sofisticati, complessi e costosi.
Tuttavia, recentemente sono stati sviluppati dei kits “più commerciali”,
relativamente meno costosi,
per essere utilizzati, in alternativa all’ isolamento
c o l t u r a l e q u a n d o q u e s t o n o n s i a d i s p o n i b i l e , d i re t t a m e n t e s u l l e
biopsie,consentendo in tal modo di valutare la sensibilità dell' Hp agli antibiotici
( es. fluorescent in situ hybridization- FISH ). Va pure detto che vi sono recenti
tentativi di applicazione dei tests molecolari su campioni fecali sebbene con
risultati al momento ancora incerti.
Le tecniche molecolari hanno senza dubbio una capacità diagnostica superiore a
quella delle altre metodiche, potendo infatti identificare anche livelli di infezione
molto bassi ed anche in substrati di piccole dimensioni, mantenendo nello stesso
tempo un’elevata specificità.
I tests molecolari possono essere effettuati su vari tipi di substrati: biopsie
gastriche, sia fresche che congelate o già impiegate per altri tests ( es. test
all’ureasi); succo gastrico, saliva, feci.
Tuttavia, va ricordato che proprio a causa dell'altissima sensibilità della metodica,
la PCR può presentare anche dei falsi positivi, dovuti alla presenza di altri germi
contaminanti, anche non vitali. Va precisato che con il passare del tempo la PCR è
divenuta sempre meno sofisticata, indaginosa e costosa. TESTS NON INVASIVI - SIEROLOGIA
L’infezione da Hp è in grado di elicitare una risposta immunitaria
di tipo
anticorpale sia locale che sistemica. Pertanto, è possibile identificare e misurare gli
anticorpi, sia nel siero che in altri liquidi biologici (es. saliva) prodotti contro il
batterio in toto oppure quelli rivolti contro alcune sue specifiche componenti quali
i fattori di virulenza (es. Cag A, Vac A). Il metodo immune –enzimatico ELISA è
quello maggiormente utilizzato e più diffusamente applicato . La maggior parte
dei kits commerciali identifica gli anticorpi sierici di classe IgG, ritenuti più affidabili
sia negli adulti che nei bambini con una sensibilità e specificità molto variabile ( in
alcuni casi anche > 90%).
La sierologia in ELISA è relativamente poco costosa, mostra un’
agevole
esecuzione ed una buona riproducibilità. Gli addetti ai lavori suggeriscono
inoltre che è utile validare uno specifico test nei singoli laboratori mediante
adeguamento dei cut-offs utilizzati, confrontando i risultati con sieri di pazienti il
cui Hp status sia stato determinato con precisione (Fig.17).
Per un’ analisi più approfondita del profilo antigenico dell' Hp ( es. ricerca di
anticorpi anti- CagA e VacA ) i dati disponibili suggeriscono una migliore capacità
diagnostica del metodo Western-Blotting, che tuttavia risulta più complesso,
indaginoso e costoso rispetto ai metodi in Elisa.
La sierologia trova un’indicazione fondamentale nello screening su vasti
campioni di popolazione, sia adulta che pediatrica , avendo ormai da tempo
trovato applicazione negli studi epidemiologici internazionali.
Dalle linee-guida più recenti la sierologia viene indicata come metodo non
invasivo, alternativo all’ UBT ed il test fecale ,
nello screening del paziente
dispeptico ancora da studiare ( “uninvestigated dyspepsia”), nell ‘ambito di una
strategia “test and treat” che ha
la finalità di ridurre il carico di esami
endoscopici nei soggetti giovani adulti (età <45-50 anni), soprattutto se in assenza
di “segni/sintomi di allarme “. ( Fig. 18 -19).
La sierologia si dimostra invece molto meno affidabile nel follow-up dopo
eradicazione , in quanto il titolo anticorpale tende a ridursi molto lentamente e
possono essere
necessari dai 6 ai 18 mesi perché il titolo anticorpale ritorni a
valori normali. Inoltre, non è raro che gli anticorpi anti-Hp possano rimanere elevati
per molti anni ( “memoria immunologica”).
La sierologia, nelle linee-guida più recenti, è suggerita come indagine di scelta in
alcune situazioni cliniche particolari: nel paziente con uso recente di antibiotici o
PPIs, in caso di ulcera sanguinante, in presenza di gastrite atrofica. Infine, non va
dimenticato che la sierologia offre la possibilità, in modo non invasivo,
di
identificare i pazienti portatori dei ceppi più altamente patogeni di Hp ( tipo I),
attraverso l’ identificazione dei principali fattori di virulenza ( Maastricht IV 2012).
IL TEST DEL RESPIRO CON C13-UREA
Il C-13 UBT è ritenuto ancor oggi la più importante metodica di tipo non
invasivo per la diagnosi dell' infezione gastrica da H.pylori. Essa si basa su un
principio piuttosto semplice: il batterio ha un’ intensa attività enzimatica ureasica,
capace di idrolizzare l’urea in ammoniaca ed anidride carbonica.
Pertanto, se si somministra per via orale una soluzione di urea, preventivamente
marcata con 13C, che è un isotopo del carbonio stabile, non radioattivo
e
quindi innocuo, se vi è attività ureasica nella mucosa gastrica come si verifica in
presenza di infezione “attiva” da Hp, l’urea viene rapidamente idrolizzata.
Da questa idrolisi enzimatica si genera anidride carbonica marcata (13CO2), che
diffonde nel circolo ematico attraverso la parete gastrica, raggiunge i polmoni, da
cui viene eliminata con l’aria espirata dal paziente in esame, potendo in tal modo
essere “campionata” e misurata. In particolare,la CO2 marcata, escreta nell’aria
espirata, viene raccolta in appositi contenitori (provette con un tappo speciale) e
successivamente analizzata mediante uno spettrometro di massa.
Più recentemente, per ovviare al problema dei costi elevati che tale tipo di
analizzatore presenta, sono stati sviluppati spettrometri ad infrarossi e con tecniche
laser, la cui capacità diagnostica rimane tuttavia leggermente inferiore allo
spettrometro di massa.
Il test viene eseguito facendo espirare il paziente a digiuno da almeno 6 ore in
provette particolari sia all’ inizio del test (T0) sia 30 minuti dopo l’ingestione della
soluzione con urea marcata C13 , previa assunzione di un “ substrato alimentare”
ricco di lipidi oppure una soluzione contenente urea + acido citrico.
Tale substrato/soluzione di acido citrico ha lo scopo di rallentare lo svuotamento
gastrico e consentire una migliore distribuzione dell' urea ed anche un contatto
più prolungato della stessa con la superficie mucosa. L’analizzatore misura la
differenza tra i valori del campione “post-urea” rispetto a quello “base” ( delta-c13
excess). Tale differenza viene espressa in parti per mille.
Un “delta” pari o superiore 5 parti per mille ( secondo l’ European Standard
Protocol) definisce la positività del test e quindi la presenza di Hp. La sensibilità e
la specificità dell'UBT sono molto elevate ( 90-100%, se correttamente eseguito).
Falsi negativi possono essere dovuti ad uno svuotamento gastrico troppo rapido
( es. pazienti gastroresecati) oppure all’ assunzione di farmaci antisecretori come in
particolare i PPIs, oppure ancora ad antibiotici o preparati di bismuto che possono
ridurre la “carica batterica” (bacterial load).
E’ questo il motivo per cui si raccomanda di eseguire i tests diagnostici ( non solo l’
UBT!) dopo almeno 1 mese dalla fine di una terapia antibiotica e dopo almeno 2
settimane dalla sospensione dei farmaci antisecretori (PPIs).
Falsi positivi possono invece essere dovuti alla presenza di batteri ureasi-produttori
presenti nel cavo orale o altre specie batteriche che possono colonizzare
transitoriamente la mucosa gastrica in condizioni particolari come l’atrofia della
mucosa gastrica con conseguente ipo-acloridria oppure un trattamento prolungato
con PPIs ( ipocloridria
iatrogena). L’ informazione
fornita dall’UBT è la
presenza di infezione da
Hp in atto: quindi l’
indicazione all’esecuzione
dell'UBT è la diagnosi o
conferma dell'infezione
come pure il controllo
dell'eradicazione dopo
trattamento e rispetto a
questa indicazione il test è
ritenuto il gold standard
diagnostico, considerato anche il fatto che esso consente d’ identificare l’ Hp
anche con una “carica batterica” piuttosto bassa.
RICERCA DI ANTIGENI Dell' HP NELLE FECI
Il test fecale per H.pylori ( Stool antigene test- SAT) rappresenta il terzo metodo
diagnostico di tipo non invasivo, introdotto nella pratica clinica dopo la sierologia
e l’ UBT, per la diagnosi di infezione da H.pylori. Il dato che è possibile ottenere
colture di Hp a partire da campioni di materiale fecale, sebbene cellule batteriche
vive e vitali siano presenti in una piccola percentuale, ha stimolato la ricerca a
sviluppare di un metodo capace d’ identificare l’ Hp, utilizzando direttamente le
feci come substrato. Il SAT è un test immuno-enzimatico ( EIA) che si è rivelato
utile ed affidabile sia nella diagnosi d’infezione pre-trattamento sia nel follow-up
per verificare l’avvenuta eradicazione. Al momento sono disponibili tre tipi di SAT:
uno che utilizza anticorpi policlonali ( il primo test fecale ad essere introdotto nella
pratica clinica), un secondo tipo “rapido” basato su una tecnica
immunocromatografica (in office rapid test), un terzo tipo, di più recente sviluppo,
che si basa sull’impiego di anticorpi monoclonali.
Gli esperti e le linee-guida internazionali ( es. Maastricht IV- statement 1, Evidence
level 1a, grado di raccomandazione A : raccomandano di utilizzare il SAT con
anticorpi monoclonali, in quanto esso mostra una sensibilità, una specificità ed
un’accuratezza diagnostica molte elevate, pressocché sovrapponibili a quelle dell'
UBT e superiori a quelle degli altri due tipi di test fecale.
Il vantaggio del SAT, in confronto con l’ UBT, è di essere semplice, affidabile e
costo-efficace, sebbene il costo del test con anticorpi monoclonali ( SAT-mab) sia
un po’ più alto rispetto agli due tipi.
Un recente studio di meta-analisi ( Gisbert et al. Am.J.Gastroentero.2006),
includente 22 trials per un totale di 2500 pazienti ha confermato l’elevata
performance del SAT-mab, tanto che nelle LG di Maastricht IV ( statement 2 ,
evidence level: 2a .
Grado di raccomandazione: B) viene indicato come test di riferimento, alla stessa
stregua dell'UBT, nel contesto clinico di una strategia “test and treat” ( senza
ricorrere alla gastroscopia) nei pazienti con dispepsia in corso di valutazione
(uninvestigated dyspepsia) (Fig.19)
In questo setting clinico, la sensibilità e la specificità dell' UBT è risultata pari a
88-95 % e 95-100 %, rispettivamente. Per il SAT,i valori corrispondenti erano 94 e
92 %, rispettivamente.
Le Linee-guida internazionali identificano nell’UBT, ma anche nel SAT con anticorpi
monoclonali, i test di riferimento da utilizzare per la conferma dell'eradicazione
dell'Hp, sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica. Del resto, i dati della
letteratura mostrano chiaramente che il SAT con anticorpi policlonali ed i test
immuno-cromatografici
hanno un’accuratezza
diagnostica inferiore all’
UBT nel verificare
l’eradicazione . TERAPIA ERADICANTE
La terapia eradicante prevede l’ associazione di più farmaci, di cui uno è più
spesso un inibitore di pompa
protonica (ad azione
antisecretoria: omeprazolo,
lansoprazolo, pantoprazolo,
rabeprazolo, esmeprazolo),
gli altri ( due o tre) sono
antibiotici. La principale
difficoltà nel mettere a
punto una “terapia ideale”
per l’infezione da Hp risiede
nel fatto che molti
antibiotici efficaci in vitro,
spesso non lo sono nella
pratica clinica.
Questa discrepanza tra efficacia in vitro e quella in vivo degli antibiotici è dovuta al
fatto che la “ nicchia ecologica” in cui vive l’ Hp rappresenta una sede “protetta”,
che limita fortemente l’efficacia di molti antibiotici, le cui concentrazioni non sono
spesso sufficienti a livello della mucosa gastrica ad eliminare il batterio. Inoltre,
molti degli antibiotici utilizzabili ( tranne i nitroimidazolici) hanno un meccanismo
d’azione pH-dipendente e, pertanto, la loro efficacia aumenta in seguito all’
inibizione della dell'acidità gastrica.
La riduzione dell'acidità gastrica
comporta una maggiore concentrazione del
farmaco a livello della mucosa gastrica. Infine, non sorprende il fatto che i livelli
sierici degli antibiotici correlano poco con la capacità eradicante del protocollo
utilizzato. Gli antibiotici maggiormente utilizzati e più adatti ad agire nell’ambiente
gastrico sono la claritromicina (macrolide), l’amoxicillina, i nitro imidazoli
( metronidazolo, tinidazolo), le tetracicline.
Vi sono poi preparati ad azione antibatterica, non antibiotici, come in particolare
alcuni sali di bismuto, attualmente non disponibili in Italia ( bismuto sub salicilato,
bismuto-tripotassio-dicitrato), di solito impiegati nella cosiddetta quadruplice
terapia ( PPI-bismutom e t ro n i d a z o l o ,
tetraciclina).
La terapia anti-Hp è
f o r t e m e n t e
raccomandata nelle
seguenti condizioni ( Fig.
20):
1- in tutti i casi di malattia
u l c e ro s a p e p t i c a , s i a
gastrica che duodenale,
sia in fase attiva che in
remissione o nei pazienti
operati (gastroresecati, con la finalità di eradicare l’ infezione “residua” del
moncone gastrico);
2-nei pazienti affetti da MALT-linfoma gastrico a basso grado di malignità ed in
stadio precoce ( I-II Ann Arbor/Lugano);
3- nella gastrite cronica atrofica ( per il suo potenziale evolutivo nella direzione
della cancerogenesi)
4- dopo resezione di cancro gastrico.
5- l’eradicazione dell' Hp è raccomandata anche nei parenti di I grado di pazienti
con cancro gastrico.
6- nei pazienti che, dopo adeguata e completa informazione, esprimono
consapevole volontà di essere eradicati
7- nei pazienti affetti da dispepsia funzionale ( o non ulcerosa, in assenza cioè di
una vera e propria ulcera peptica).
Nelle linee-guida più recenti ( Maastricht IV, 2012 ), gli esperti raccomandano la
terapia eradicante anche nei pazienti con dispepsia funzionale (Fig.21), che
spesso sono portatori di questa infezione ed in cui vi può essere una significativa
riduzione della qualità di vita in rapporto alla sintomatologia, che è cronica
ricorrente. L’evidenza raccolta fino ad oggi è dunque a favore dell'eradicazione
anche in questo contesto clinico,sebbene il beneficio della terapia eradicante
appaia meno chiaro rispetto ai pazienti ulcerosi.
I dati ad oggi disponibili indicano comunque un miglioramento o scomparsa della
sintomatologia dispeptica a lungo-termine in 1 caso su 12 pazienti (“number
needed to treat”- NNT- 12 ),
dato statistico che rispecchia il risultato migliore
rispetto a tutte le altre opzioni terapeutiche utilizzabili per questa condizione
clinica.
L’ efficacia della terapia eradicante appare condizionata da alcuni fattori: da un
lato, la complessità del protocollo impiegato, in termini di numero di farmaci
somministrati e di durata complessiva del trattamento, dall’altro la compliance del
paziente; il profilo di tollerabilità e sicurezza del trattamento e quindi dalla
frequenza di eventi avversi, che, in alcuni casi, possono essere tali da costringere
ad un’ interruzione prematura del trattamento; la resistenza dei ceppi di Hp agli
antibiotici utilizzati ( soprattutto la claritromicina ed il metronidazolo). L’efficacia
dei protocolli eradicanti contenenti PPI e due antibiotici (triplice terapia) può
essere migliorata anche raddoppiando il dosaggio del PPI e ciò, come si evince
dagli studi di meta-analisi, incrementa i tassi di eradicazione del 6-10 % rispetto ai
protocolli con dosi standard di PPI. Un aumento dei tassi di eradicazione della
triplice terapia si ottiene anche estendendo la durata del trattamento da 7 a 10-14
giorni. Quattro meta-analisi documentano questo dato, mostrando un
miglioramento di entità pari al 4% per gli schemi di 10 giorni e del 5-6 % per gli
schemi di 14 giorni ( Fig. 22)
Dal 1996 le linee guida internazionali hanno proposto che la terapia standard di
prima linea preveda
7-14 giorni di trattamento con un inibitore della pompa
protonica (PPI) associato ad claritromicina e amoxicillina oppure metronidazolo
(triplice standard) (Fig.23). Tuttavia, va sottolineato che l’efficacia di questo
trattamento è fortemente influenzata dai livelli di resistenza alla claritromicina;
negli ultimi dieci anni, infatti, i dati della letteratura registrano un progressivo
declino del tasso di eradicazione (in alcune aree degli Stati Uniti e dell'Europa) al
di sotto della soglia di accettabilità ( 80%), ascrivibile ad un parallelo incremento
della resistenza alla claritromicina, antibiotico largamente utilizzato per altre
indicazioni .
Secondo le più recenti linee-guida ( Maastricht IV), la soglia del 20% di resistenza
alla claritromicinadovrebbe essere applicata per discriminare
le regioni ( aree
geografiche) ad alta da quelle a bassa resistenza a questo antibiotico, lasciando
l’impiego di questo protocollo
terapeutico solo nelle regioni
con resistenza
inferiore al 20% (Olanda, Svezia, Irlanda, Germania, Malesia, Taiwan),
dove si
raggiungono ancora tassi di eradicazione superiori al 90%.
terapia
La triplice
standard (PPI- claritromicina-amoxicillina) nondovrebbe essere invece utilizzata
nelle aree con resistenza alla claritromicina uguale o superiore al 20% (Spagna,
Turchia, Italia,Alaska, Cina, Giappone, Camerun), in quanto i tassi di eradicazione
risultano inferiori al 80% ( Fig. 24 ).
Il problema della resistenza antibiotica ha indotto a mettere a punto altre
strategie per aumentare il tasso di eradicazione ( Fig.25 ):
1- l’estensione della durata del trattamento a 14 giorni; 2- l’uso di un regime con
quattro farmaci (quadruplice terapia contenente bismuto); 3- terapia sequenziale;
4-terapia concomitante; 5- terapia ibrida 6- l’uso di nuovi antibiotici come la
levofloxacina .
Come accade per il trattamento di altre malattie infettive, i risultati della terapia
antibiotica sono migliori quando i ceppi sono sensibili agli antibiotici impiegati.
Nella maggior parte dei casi, la scelta della terapia è empirica, basata cioè
sull’utilizzo della combinazione farmacologica-antibiotica
maggiormente affidabile
che si è dimostrata
in una determinata area geografica,
considerazione i “ dati locali “ sull’antibiotico resistenza.
prendendo in
TERAPIA DI PRIMA LINEA
La triplice terapia con un inibitore della pompa protonica ( PPI)-claritromicinaamoxicillina oppure quella con PPI--claritromicina metronidazolo, risultate
pressocchè sovrapponibili in termini di efficacia eradicante , è consigliata come
terapia di prima linea nelle aree a bassa resistenza alla claritromicina
e non
applicabile nelle aree con resistenza >20%.
Inoltre, la durata della terapia varia da 7 giorni ( protocolli maggiormenti usati in
Europa) a 10 o 14 giorni ( schemi preferiti nel Nord America ed in altri Paesi). Va
precisato che alcune meta-analisi sono a favore della triplice di 10-14 giorni, in
quanto tali studi hanno documentato incrementi del tasso di eradicazione di circa
il 4% e 5%, rispettivamente, in confronto alla triplice più breve ( 7 giorni) .
L’uso di un chinolonico di nuova generazione ( levofloxacina, moxifloxacina) ) ha
dimostrato efficacia nell’eradicare l’infezione da Hp come terapia di prima linea
nel 72-96% . A causa della crescente emergenza
di ceppi di Hp resistenti ai
chinolonici, tale approccio terapeutico è tuttavia
raccomandato solo in
popolazioni con resistenza alla claritromicina superiore al 20% e resistenza ai
chinolonici inferiore al 10%.
Questa cautela è suggerita dagli esperti
anche con la finalità di prevenire
lo
sviluppo di patogeni resistenti ai chinolonici, che potrebbero diventare
responsabili di infezioni anche gravi e difficili da controllare, del tratto respiratorio
e urogenitale.
Laddove la resistenza alla claritromicina superi la soglia del 20 %, è stata proposta
la terapia sequenziale: il regime è costituito da 5 giorni di duplice terapia con PPI
e amoxicillina, seguito da altri 5 giorni di triplice terapia con PPI, claritromicina e
metronidazolo/tinidazolo. La t. sequenziale
ha dimostrato un tasso globale di
eradicazione dell' 84% con il 73% di capacità di eradicazione dei ceppi resistenti
alla claritromicina (6).
Va notato che questo protocollo eradicante ha mostrato tassi di eradicazione
maggiori rispetto alla triplice terapia standard di 7 o 10 giorni, ma in alcuni trials è
risultata di uguale efficacia quando confrontata con la triplice terapia di 14 giorni.
Uno studio prospettico randomizzato eseguito in un’ area con resistenza alla
claritromicina maggiore del 20% e resistenza alla levofloxacina minore del 6% ha
dimostrato che regimi sequenziali contenenti levofloxacina (sia a 250 mg e sia a
500 mg due volte al giorno) sono superiori a regimi sequenziali contenenti
claritromicina, ottenendo tassi di eradicazione superiori al 90% (7), mentre
l’estensione della terapia sequenziale a 14 giorni non sembra migliorare in modo
significativo i tassi di eradicazione.
Inoltre, l’utilizzo del bismuto nella terapia di tipo sequenziale sembra ridurre i tassi
di risposta all’ 82% nei regimi contenenti claritromicina e al 78% nei regimi
contenenti metronidazolo.
Una strategia alternativa, più recentemente proposta, è la cosiddetta “ terapia
concomitante”, prevede l’assunzione contemporanea di quattro farmaci (PPI,
claritromicina, amoxicillina e metronidazolo).
Tale terapia si è dimostrata superiore alla triplice terapia standard e con una
maggiore compliance parte del paziente anche rispetto alla terapia sequenziale.
Un recente studio clinico prospettico randomizzato ha dimostrato l’equivalenza di
due regimi contenenti levofloxacina, uno concomitante di 5 giorni e uno
sequenziale di 10 giorni con tassi di eradicazione ( analisi intention to treat –ITT)
rispettivamente del 92.2% e 93.3%, ottenuti peraltro in una regione ad alta
resistenza alla claritromicina e bassa resistenza alla levofloxacina.
Pertanto, la quadruplice terapia concomitante viene attualmente raccomandata
come prima linea nelle aree geografiche
con alta prevalenza di resistenza alla
claritromicina, consentendo di raggiungere tassi di eradicazione del 93% .
Esiste da tempo la quadruplice terapia con bismuto. Questo schema terapeutico è
caratterizzato dalla somministrazione contemporanea di bismuto con tetraciclina,
metronidazolo e PPI e ha il principale vantaggio di essere scarsamente influenzato
dall’antibiotico-resistenza alla claritromicina, al metronidazolo o ad entrambi
(“duplice resistenza”), mostrando nei vari trials tassi di eradicazione superiori al
90% (10). Inoltre, non sono state mai riportate resistenze ai sali di bismuto mentre
la resistenza alle tetracicline è a tutt’oggi ancora molto bassa, rendendo questa
terapia efficace in molte aree geografiche.
Tuttavia, va ricordato che il bismuto in alcune nazioni (inclusa l’Italia) non è al
momento disponibile. Inoltre, l’assunzione di questa terapia può risultare più
complessa di altri regimi terapeutici con una compliance quindi difficile ed una
frequenza di effetti collaterali talora molto alta, che costringe all’ interruzione del
trattamento con conseguente mancata eradicazione.
La terapia ibrida è una recente innovazione terapeutica, che prevede la
somministrazione di PPI + amoxicillina per 14 giorni con l’aggiunta, dopo primi 7
giorni di terapia, di metronidazolo e claritromicina.
Questa terapia ha dimostrato elevata efficacia in aree con bassa resistenza alla
claritromicina (i.e. <7%) con tassi di eradicazione del 97% all’ intention –to-treat
analysis). Recentemente,
una terapia ibrida di 14 giorni si è rivelata altamente
efficace anche in aree con elevata resistenza alla claritromicina, raggiungendo tassi
di eradicazione del 90% (11).
TERAPIA ERADICANTE DI SECONDA LINEA
Indipendentemente dal trattamento di prima linea utilizzato, bisogna attendersi
un insuccesso con i protocolli eradicanti in circa il 10-20% dei pazienti,
verosimilmente in rapporto ad una resistenza primaria verso uno o più degli
antibiotici adoperati nel trattamento di prima linea.
In questo contesto, si rende necessaria la scelta di un trattamento alternativo,
partendo dalla premessa che non bisogna riutilizzare l’antibiotico “chiave”
utilizzato nel trattamento di prima linea.
In particolare, claritromicina o levofloxacina non dovranno essere utilizzati una
seconda volta per l’elevato impatto clinico che la resistenza a questi antibiotici
comporta. Al contrario, va tenuto presente che l’impatto clinico della resistenza ad
antibiotici quali il metronidazolo, l’amoxicillina e le tetracicline (oltre
che al
bismuto) è molto meno rilevante.
Dopo il fallimento di una terapia contenente claritromicina (triplice standard,
sequenziale, concomitante o ibrida), possono essere utilizzate sia la triplice
terapia contente levofloxacina, sia la quadruplice contenente bismuto.
La triplice terapia con levofloxacina per 10 giorni somministrata dopo fallimento
della sequenziale o della concomitante ha mostrato tassi di eradicazione del 74.4%
e del 71.4%, rispettivamente, con
un tasso di eradicazione
complessivo del 74% come
terapia di seconda linea.
La quadruplice terapia con
bismuto, scarsamente influenzata
dalla resistenza alla claritromicina
o al metronidazolo, è risultata
efficace anche come seconda
linea di trattamento.
Somministrata per 7 giorni, la
quadruplice terapia con bismuto
ha mostrato percentuali di eradicazione superiori al 80% con valori che superano
l’85%, se la durata si estende a 14 giorni.
Nel caso in cui il trattamento contenente levofloxacina sia stato utilizzato come
prima linea senza aver ottenuto l’eradicazione dell'Hp, la terapia di scelta come
seconda linea è rappresentata dalla quadruplice terapia con il bismuto che non
contiene levofloxacina e claritromicina. Tale terapia assicura tassi di eradicazione
>80-85%.
Qualora la prima linea di trattamento con la quadruplice con bismuto non sia stata
efficace, bisogna optare per una “terapia di salvataggio” contenente
levofloxacina o, in alternativa, una quadruplice (sequenziale, concomitante o
ibrida) contente claritromicina.
Dopo il fallimento di due tentativi terapeutici, l’ulteriore trattamento eradicante
deve, anche in questo caso, prevedere un regime che escluda gli antibiotici
risultati in precedenza inefficaci. In particolare, è stato dimostrato che l’ impiego
corretto sia
di una quadruplice con bismuto
che di un protocollo contenente
levofloxacina oppure claritromicina di curare l’infezione nella quasi totalità dei casi
con tassi di eradicazione superiori al 95% .
Pertanto, va ribadito che se due dei trattamenti prima menzionati sono risultati
inefficaci, è necessario utilizzare un protocollo eradicante mai adoperato fino a
quel momento.
Può accadere, sebbene sia un’evenienza piuttosto rara, che anche dopo tre
differenti trattamenti, l’infezione da Hp non venga eradicata. In questa situazione,
prima di eseguire un’ulteriore tentativo terapeutico eradicante, è necessario di
testare la sensibilità del batterio ai vari antibiotici.
Va precisato, tuttavia, che nelle raccomandazioni degli esperti più recenti
( Maastricht IV 2012) vi è quella di ricorrere ai tests di sensibilità agli antibiotici già
dopo due tentativi di terapia eradicante falliti, se vi è la disponibilità di utilizzato di
questi tests ( Fig.26 ).
È possibile effettuare una valutazione della sensibilità del batterio ad un
determinato antibiotico mediante tests diretti e indiretti. Il test diretto si effettua
mediante coltura dell'organismo e successivo test di sensibilità in vitro; quelli
indiretti comprendono
il test molecolare su feci di pazienti infetti o il test di
ibridazione fluorescente in situ (FISH) su biopsie gastriche incluse in paraffina.
Tale approccio permette di selezionare i pazienti da avviare ad una
terapia
personalizzata e mirata, basata sull’effettiva sensibilità dei ceppi di Hp agli
antibiotici.
Tuttavia, va sottolineato
che l’applicazione di tali test è
molto costosa, non
disponibile su vasta scala, oltre al fatto che essa può richiedere un approccio
invasivo, quale quello endoscopico, per ottenere il campionamento bioptico. Tale
strategia va dunque
riservata esclusivamente ai casi in cui multipli trattamenti
eradicanti siano risultati inefficaci.
Nei casi in cui multipli cicli terapeutici non abbiano ottenuto l’eradicazione del
batterio, trova indicazione, anche secondo le attuali linee-guida internazionali, un
tentativo terapeutico con rifabutina, della rifamicina ( 150 mg x 2-amoxicillina 1 g
x 2 di 7-14 giorni “rescue therapy - terapia di salvataggio”).
Una recente meta-analisi di trials in cui la rifabutina viene impiegata come terapia
di salvataggio ha mostrato tassi di eradicazione fino al 70%. Tuttavia, va notato che
si tratta di un regime terapeutico più costoso rispetto agli altri ( per l’impiego della
rifabutina, farmaco usato nella terapia anti-tubercolare) e che presenta frequenti
eventi avversi, talvolta
anche gravi, tra cui la comparsa di severa leucopenia e
trombocitopenia, riportati in circa il 20-25% dei casi.
FOLLOW-UP DOPO LA TERAPIA ERADICANTE
Vi è un’ampia evidenza da tempo che il C13 – UBT è un test eccellente per il
follow-up dopo una terapia anti-Hp, per la verifica dell'eradicazione. Tuttavia,
recenti pareri autorevoli suggeriscono un’ opzione alternativa, ritenuta altrettanto
valida ed affidabile, quale il test di ricerca degli antigeni Hp-correlati nelle feci
( Stool antigen test –SAT), purchè vengano impiegati i kits di nuova generazione
con anticorpi monoclonali ( v. capitolo precedente ”ASPETTI DIAGNOSTICI”) ( Fig.
27).
A tutt’oggi il corretto “timing” di esecuzione dei suddetti tests resta ancora
argomento di discussione tra gli addetti ai lavori: l’intervallo da tempo
raccomandato è quello di almeno 4 settimane dal termine del ciclo eradicante. Più
recentemente, alcuni autori propongono di allungare il suddetto intervallo a 6- 8
settimane.
VACCINAZIONE ANTI-H.PYLORI: ATTUALITA’ E
PROSPETTIVE
Alla luce dei risultati ottenuti con i programmi di vaccinazione per altra malattie
infettive e contagiose ( es. poliomielite, difterite, pertosse), è auspicabile l’impiego
della immunoprofilassi anche per l’infezione da H.pylori, considerato che essa è
una delle infezioni croniche più diffuse al mondo.
Inoltre, in considerazione del dato epidemiologico di un continuo aumento dei
ceppi resistenti alle terapie antibiotiche finora utilizzate, la vaccinazione diventa un’
opzione interessante al fine di migliorare il rapporto costi-benefici nella gestione di
questa peculiare infezione e nella prevenzione delle patologie Hp-correlate.
La messa a punto di un vaccino per l’uomo che sia efficace e privo di rischi è
ancora in divenire e non esiste al momento un vaccino con caratteristiche tali da
renderlo immediatamente utilizzabile nell’uomo ed applicabile su vasta scala.
La ricerca ha utilizzato finora diversi modelli animali e sperimentali su cui sono stati
testati vari tipi di vaccino.
Vi sono alcune problematiche con cui i ricercatori devono a tutt’oggi confrontarsi:
scelta dell'antigene migliore ma anche dell'adiuvante più efficace, la migliore via di
somministrazione ( orale vs parenterale), l’efficacia anche in termini di durata
dell'effetto protettivo, la sicurezza del vaccino ed i possibili rischi di innesco
nell’organismo di reazioni abnormi e di tipo autoimmune.
Bisogna inoltre chiarire le differenze tra i meccanismi immunitari attivati durante
l’infezione naturale e quelli innescati “artificialmente” in seguito alla
somministrazione del vaccino.
Nel primo caso, va ricordato infatti che la risposta immunitaria dell' ospite è quasi
sempre inefficace e consente la persistenza dell'Hp, mentre quella postimmunizzazione
alcune settimane.
riesce a neutralizzarla, almeno nei modelli animali,
nel giro di
Alla luce di quanto esposto, non è prevedibile un’applicazione del vaccino anti-Hp
nell’ uomo nell’immediato, sebbene la ricerca sia molto attiva e veloce ma deve
ancora dare risposta ai quesiti e problematiche prima menzionate ( Fig. 28).
In base alla diversa combinazione di
componenti antigeniche e di
sostanze adiuvanti sono stati
sperimentati vari tipi di vaccino: 1vaccino a cellule intere ( “sonicati
batterici”);2- vaccino a sub unità
antigeniche specifiche
( es. ureasi
+LT, tossina termolabile dell'e.coli); 3vaccini con “nuovi targets antigenici”
(es. adesine, gamma-GT).
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