Adattamento

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ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
ADATTAMENTO
(adaptation;
Anpassung;
accomodation,
adaptation;
adaptación).
–
SOMMARIO:
I.
Biologia:
1.
Aspetti
dell’adattamento
biologico.
‐
2.
Questioni
storiche
ed
epistemologiche
relative
alla
nozione
di
adattamento.
‐
II.
Psicologia
adattamento
‐
III.
Sociologia
adattamento
I.
BIOLOGIA
1.
Aspetti
dell’adattamento
biologico.
–
Sul
piano
fenomenologico
l’evoluzione
della
materia
vivente
si
manifesta
attraverso
due
modalità:
una
è
la
produzione
di
biodiversità,
l’altra
è
la
produzione
di
adattamento
biologico.
Nello
spazio
concettuale
e
teorico
della
biologia,
l’adattamento
occupa
il
centro
della
vasta
area
semantica
popolata
dai
concetti
di
carattere,
variazione,
genotipo,
fe‐notipo,
ambiente,
selezione,
fitness,
organismo,
popolazione,
evoluzione.
Il
termine
adattamento
è
entrato
nel
lessico
specialistico
della
biologia
portandosi
dietro
significati
fondati
sul
senso
comune,
così
come
è
accaduto
per
termini
come
evoluzione
e
selezione
che
possono
veicolare
anche
visioni
del
mondo
del
tutto
estranee,
se
non
proprio
in
conflitto,
con
la
rappresentazione
scientifica
della
natura
(E.
Fox
Keller
‐
E.
Lloyd,
Keywords
in
Evolutionary
Biology,
Cambridge
(Massachusetts)
1992).
I
sistemi
viventi
sono
sistemi
gerarchici
sia
in
termini
strutturali
(organismo
unicellulare,
organismo
multicellulare,
popolazione
e
biocenosi
sono
quattro
distinti
livelli
di
organizzazione
unitaria
della
materia
vivente,
ognuno
caratterizzato
da
proprietà
nuove
non
prevedibili
a
partire
dal
livello
inferiore),
sia
funzionali
(c’è
gerarchia
anche
nell’azione
dei
vincoli
esterni
e
interni
che
modellano
l’organizzazione
di
un
sistema
vivente);
e
gli
adattamenti,
che
si
manifestano
come
risultati
di
vicende
evolutive
diverse,
si
presentano
sotto
forme
differenti.
Tuttavia,
la
forza
(e
anche
in
parte
la
debolezza)
del
concetto
di
adattamento
si
basa
sulla
sua
enorme
ineguagliata
capacità
di
riunire
un’immensa
ed
eterogenea
rac‐colta
di
dati
osservativi
e
sperimentali
servendosi
di
un
unico
principio
esplicativo:
il
principio
di
selezione.
Gli
adattamenti
si
manifestano
e
possono
essere
indagati
nella
loro
dinamica
diacronica
(si
tratta
allora
del
processo
di
adattamento),
oppure
nella
loro
configurazione
(pattern
negli
autori
anglosassoni)
sincronica
(stato
di
adattamento,
condizione
dell’essere
adattato);
perciò
l’adattamento
è
definibile
in
almeno
due
modi
diversi:
diacronicamente,
l’adatta‐mento
consiste
in
una
reazione
favorevole
di
un
soggetto
esposto
al
cambiamento
di
un
fattore
ambientale;
sincronicamente
è
percepito
come
stato
di
congruità
tra
organismo
e
ambiente.
Questa
differenza
tra
processo
e
configurazione
è
di
grande
importanza,
dato
che
le
cause
che
hanno
originato
un
adattamento
evolutivo
non
necessariamente
ancora
agiscono
quando
noi
ne
osserviamo
gli
effetti.
Assolutamente
decisiva
è
poi
la
differenza
tra
gli
adattamenti
rispetto
al
tipo
di
soggetto
che
si
adatta.
Le
possibilità
sono
due
sole:
chi
si
adatta
è
un
organismo
individuale
(non
importa
se
uni
o
pluricellulare),
oppure
è
una
popolazione
(in
genetica,
popolazione
non
è
una
semplice
classe
di
oggetti‐individui
a
cui
è
estesa
una
proprietà
individuale,
ma
un
insieme
di
oggetti‐
individui
che
godono
di
una
proprietà
Adattamento
1
sopraindividuale:
cioè
la
capacità
di
una
totale
mescolanza
genetico‐riproduttiva
–
panmissia
–
che
in
quanto
proprietà
relazionale
non
può
essere
goduta
singolarmente).
Gli
adattamenti,
inoltre,
si
manifestano
alle
scale
micro‐
e
macroevolutiva;
mentre
gli
adattamenti
microevolutivi,
però,
sono
passibili
di
indagine
sperimentale,
per
quelli
macroevolutivi,
finora,
si
possono
raccogliere
solo
prove
indirette
della
passata
dinamica
processuale.
Da
quanto
detto,
allora,
si
comprende
come
la
biologia
non
possieda
una
definizione
non
ambigua
di
adattamento,
anche
se
poi
l’adattamento
compare
nelle
definizioni
di
organismo
vivente,
come
quella
di
Pietro
Omodeo:
«Un
organismo
vivente
è
definibile
come
un
sistema
aperto,
cellulare,
delimitato
da
un
confine
selettivo,
percorso
da
flussi
autoregolati
di
materia,
energia
e
informazione
grazie
ai
quali
è
suscettibile
di
riprodursi
e
di
evolvere
attraverso
le
generazioni,
adattandosi
ad
ambienti
mutevoli»
(P.
Omodeo,
What
is
a
Living
Being?,
in
M.
Rizzotti
[a
cura
di],
Defining
Life,
Padova
1996,
pp.
187‐198).
Globalmente
il
termine
adattamento
si
applica
ad
almeno
tre
tipi
di
fenomeni
molto
diversi
tra
loro:
1)
il
processo
inerente
tutti
i
viventi,
che
comporta
l’aggiustamento
di
caratteristiche
fisiologiche,
morfologiche,
etologiche
in
accordo
con
l’ambiente
di
vita
(adattamento
come
“risposta
adattativa”
indotta
da
un
fattore
ecologico:
p.
es.
l’abbronzatura
della
pelle
per
esposizione
ai
raggi
UV);
2)
lo
stato
con
cui
un
carattere
geneticamente
determinato
si
manifesta
e
che,
in
un
certo
contesto,
conferisce
un
vantaggio
al
suo
portatore
rispetto
ad
altri
individui
che
sono
portatori
di
stati
alternativi
del
carattere
(come
nel
caso
del
gene
per
l’emoglobina
s,
emoglobina
mutata
responsabile
dell’anemia
falciforme,
una
patologia
anche
molto
grave;
la
mutazione
negli
individui
eterozigoti
conferisce
però
una
notevole
protezione
contro
l’infezione
malarica,
per
cui
nelle
aree
malariche
gli
individui
falcemici
eterozigoti
hanno
salute
migliore
sia
rispetto
agli
omozigoti
falcemici
affetti
da
gravissima
anemia,
sia
rispetto
agli
omozigoti
sani,
non
anemici,
ma
assai
facilmente
soggetti
alla
malaria;
e
ancora
come
nel
caso
del
mimetismo
fanerico
di
certe
farfalle,
o
della
resistenza
dei
batteri
patogeni
agli
antibiotici);
3)
il
possesso
di
strutture
complesse,
ereditate
filogeneticamente,
che
permettono
lo
svolgimento
di
funzioni
di
livello
elevato
(branchie
e
pinne
dei
pesci
come
macroscopi‐
ci
adattamenti
all’ambiente
acquatico
e
al
nuoto;
dispositivi
di
ecolocazione
dei
pipistrelli
come
adattamenti
per
la
predazione,
ecc.).
Le
differenze
tra
questi
tre
tipi
di
adattamento
sono
rimarchevoli.
Nel
primo
caso,
la
risposta
adattativa
individuale
è
esclusivamente
fenotipica;
si
tratta
di
un
cambiamento
di
natura
quantitativa
nella
regolazione
genica
che
provoca
l’aumento
o
la
diminuzione
di
una
o
più
proteine
(p.
es.
viene
sintetizzata
più
o
meno
melanina),
ed
è
di
solito
reversibile;
si
parla
in
tal
caso
di
adattamento
biologico
di
tipo
ecologico,
fisiologico,
postgenetico;
in
pratica
c’è
un
processo
di
adattamento
individuale
ma
non
c’è
evoluzione,
perché
la
costituzione
genetica
dell’individuo
non
viene
per
nulla
modificata
durante
il
processo
reattivo.
Nel
secondo
caso
si
tratta
di
adattamento
ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
biologico
di
tipo
genetico,
evolutivo;
è
un
cambiamento
qualitativo
(alla
base
si
trova
una
mutazione
che
produce
novità
genetica)
e
di
norma
irreversibile;
c’è
adattamento
perché
c’è
evoluzione
della
popolazione
attraverso
selezione
naturale
(secondo
il
precedente
esempio,
in
ambiente
malarico
gli
eterozigoti
anemici
arrivano
all’età
adulta
con
maggiore
probabilità
rispetto
agli
altri
due
genotipi;
il
numero
delle
copie
dei
genotipi
eterozigoti
aumenta
nel
tempo:
la
costituzione
genetica
della
popolazione
–
i
rapporti
di
frequenza
tra
i
tre
genotipi
–
cambia
deterministicamente
nel
passaggio
da
una
generazione
alla
successiva).
L’adattamento
di
terzo
tipo
è
macroevolutivo
e
di
norma
irreversibile;
le
sue
cause,
molteplici
e
complesse,
coinvolgono
i
processi
di
sviluppo
su
tempi
lunghi.
2.
Questioni
storiche
ed
epistemologiche
relative
alla
nozione
di
adattamento.
–
Uno
dei
fondamenti
della
biologia
moderna
è
costituito
dall’assunto
secondo
il
quale
tutti
gli
adattamenti
di
un
organismo
(inteso
o
come
individuo
o
come
popolazione)
al
proprio
ambiente
sono
spiegabili
ricorrendo
al
processo
di
selezione
naturale.
Quest’ultima
è
innanzitutto
un
effetto,
precisamente
è
il
risultato
dell’interazione
tra
la
variazione
genetica
fenotipicamente
espressa
e
la
variazione
spazio‐temporale
dell’ambiente;
di
fatto
si
presenta
come
riproduzione
differenziale
di
genotipi
incarnati
in
fenotipi.
La
selezione
diventa
una
causa,
la
prima
causa
di
evoluzione,
quando
dalla
descrizione
del
processo
evolutivo
si
passa
all’indagine
sui
fattori
eziologici;
la
selezione
è
la
causa,
l’unica
causa,
dell’adattamento.
Come
è
noto,
furono
Charles
Darwin
e
Alfred
Russell
Wallace
a
identificare
nella
selezione
naturale
la
causa
dell’evoluzione
adattativa;
le
loro
idee
furono
illustrate
nel
1858
alla
Linnean
Society
di
Londra.
Darwin
aveva
riflettuto
a
lungo
sulla
questione
a
partire
dal
1838,
quando,
dopo
avere
letto
il
Saggio
sul
principio
di
popolazione
(London
1798)
di
Thomas
R.
Malthus,
aveva
iniziato
un
processo
ventennale
di
revisione
critica
delle
proprie
idee
giovanili
(D.
Ospovat,
The
Development
of
Darwin's
Theory,
Cambridge
1981;
Mayr,
1982),
innanzitutto
rifiutando
la
posizione
finalistica
che
all’epoca
caratterizzava
lo
studio
della
natura
ispirato
alla
Natural
Theology
(London
1802)
di
William
Paley
(1743‐1805).
Paley
aveva
impiegato
l’analogia
dell’orologiaio
cieco,
un
argomento
finalistico
fondato
sull’idea
che
qualcosa
di
irriducibilmente
complesso
come
un
orologio
spinge
inevitabilmente
a
credere
all’esistenza
di
un
orologiaio,
di
complessità
superiore
a
quella
del
manufatto.
Paley
sosteneva
che
l’adattamento
perfetto
delle
specie
al
loro
ambiente
dimostrava
l’esistenza
di
un
architetto
divino.
Il
tema
dell’intelligent
design,
cruciale
nelle
argomentazioni
del
creazionismo
contemporaneo,
riprende
esplicitamente
l’analogia
di
Paley,
criticando
alcuni
aspetti
della
spiegazione
scientifica,
materialista
e
laica
dell’adattamento.
Prima
di
Darwin,
la
nozione
di
adattamento
era
utilizzata
da
Lamarck
e
si
caratterizzava
per
l’idea
di
un
adeguamento
all’ambiente
raggiunto
in
forza
di
una
tendenza
interna
degli
organismi
ad
agire
secondo
i
propri
bisogni.
Nell’ottica
lamarckiana
gli
adattamenti
conse‐
guiti
dai
genitori
vengono
trasmessi
alla
pro‐genie
(ereditarietà
dei
caratteri
acquisiti).
Negli
anni
Adattamento
2
posteriori
all’elaborazione
della
teoria
sintetica
dell’evoluzione,
gli
studi
sull’adattamento
sono
stati
caratterizzati
da
un
approccio
funzionalista
e
ingegneristico
che
culmina
in
quello
che,
negli
anni
Settanta,
alcuni
critici
hanno
chiamato
«adattamentismo»
(R.
Lewontin,
Adattamento,
in
Enciclopedia
Einaudi,
vol.
I,Torino
1977,
pp.198‐214;
Id.,
L'adatta­mento,
in
P.
Omodeo
[a
cura
di],
Storia
naturale
ed
evoluzione,
Milano
1978,
pp.
39‐49;
S.J.
Gould
‐
R.
Lewontin,
The
Spandrels
of
San
Marco
and
the
Panglossian
Paradigm,
in
«Proceedings
of
the
Royal
Society
of
London,
B»
205
[1979],
pp.
581‐598.).
Per
“programma
adattamentista”
si
intende
il
ricorso
pregiudiziale
a
spiegazioni
selezioniste,
scartando
dall’analisi
causale
fattori
che,
come
la
crescita
allometrica
e
i
vincoli
dello
sviluppo,
potrebbero
in
linea
di
principio
essere
altrettanto
esplicativi.
I
due
paleontologi
Stephen
J.
Gould
(1942‐2002)
e
Elisabeth
Vrba,
che
sono
tra
i
maggiori
critici
degli
eccessi
del
selezionismo,
distinguono
tra
adattamenti
veri
e
propri
(caratteri
che
sono
evoluti
per
effetto
diretto
del
meccanismo
di
selezione)
ed
esattamenti
(ex­
aptations,
in
inglese),
cioè
caratteri
evoluti
inizialmente
per
un
certo
uso,
i
quali,
una
volta
allentati
i
vincoli
selettivi
che
li
hanno
modellati,
sono
disponibili
a
essere
cooptati
per
una
nuova
differente
funzione
(S.J.
Gould
‐
E.
Vrba,
Exaptation:
a
Missing
Term
in
the
Science
of
Form,in
«Paleobiology»
8
(1982),
pp.
4‐15;
E.
Mayr,
The
Growth
of
Biological
Thought,
Cambridge
(Massachus‐setts)
1982,
tr.
it.
di
B.
Continenza
et
al.,
Storia
del
pensiero
biologico,Torino
1990).
S.
FORESTIERO
II.
PSICOLOGIA.
–
La
questione
dell’adatta‐mento
ricorre
specie
in
quegli
autori
il
cui
modello
di
mente
si
ispira
in
qualche
modo
alla
biologia
o
quanto
meno
suppone
una
conti‐nuità
tra
corpo
e
psiche;
laddove
invece
si
insiste
sull’alterità
della
psiche,
il
tema,
quando
non
negletto,
è
declinato
nei
termini
di
un
co‐
stitutivo
disadattamento
dell’essere
umano,
per
via
dell’eccedenza
della
cultura
e
del
desiderio
rispetto
alla
realtà
naturale,
e
pure
sociale
(in
questo
senso
Lacan
ripropone
in
sostanza
l’agostiniano
cor
inquietum).
Va
d’altra
parte
notata
la
frequente
indeterminazione
del
termine
ad
quem
dell’adattamento,
ora
l’ambiente
in
senso
biologico,
ora
in
senso
sociale.
Il
funzionalismo
è
certo
la
corrente
che
nella
psicologia
moderna,
a
cavallo
tra
‘800
e
‘900,
ha
per
prima
focalizzato
la
questione
dell’adattamento,
nella
misura
in
cui
esso
abbraccia
incondizionatamente
il
paradigma
evoluzionistico:
scopo
della
psiche,
con
le
sue
varie
funzioni
(facoltà),
è
l’ottimizzazione
dell’adattamento
dell’organismo
all’ambiente,
e
quanto
più
la
psiche
è
evoluta,
tanto
maggiori
possibilità
di
sopravvivenza,
ceteris
pari­bus,
essa
offre.
Se
nel
funzionalismo
l’adattamento
conserva
una
connotazione
finalistica,
il
succedaneo
comportamentismo,
che
pure
ha
a
cuore
il
problema,
ne
prevede
una
concezione
per
lo
più
meccanica:
sono
appresi
e
mantenuti
quei
comportamenti
che,
pur
emessi
casualmente,
vengono
premiati
(il
«rinforzo»
di
cui
parla
Skinner),
cioè
risultano
consoni
alle
richieste
ambientali.
Gli
sviluppi
recenti
del
cognitivismo,
superando
le
forzate
astrazioni
di
studi
meramente
condotti
in
laboratorio,
tornano
dal
canto
loro,
con
la
corrente
«ecologica»,
a
focalizzare
il
Adattamento
ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
rapporto
con
l’ambiente:
il
concreto
essere
umano
non
è
propriamente
assimilabile
a
un
elaboratore
di
informazioni,
dacché
il
computer
non
ha
il
problema
di
sopravvivere
in
un
ambiente
naturale
e
sociale,
né
quello
di
riprodursi
come
specie.
Nella
ricorrente
dialettica
di
«assimilazione»
e
«accomodamento»,
che
secondo
Piaget
qualifica
lo
sviluppo
cognitivo
dal
bambino
all’adulto,
il
secondo
polo
consiste
nella
ri‐
strutturazione
degli
schemi
mentali,
onde
me‐
tabolizzare
quegli
stimoli
e
quelle
situazioni
ambientali
ormai
divenuti
inassimilabili
entro
lo
schema
vigente.
Come
dire
che
l’adatta‐mento
è
work
in
progress,
che
caratterizza
l’ontogenesi
psichica
dell’essere
umano,
procedendo
di
concerto
con
le
fasi
di
sviluppo
biopsicologiche
geneticamente
programmate.
La
psicoanalisi
pone
il
problema
dell’adattamento
in
primo
piano
con
Heinz
Hartmann
e
la
sua
psicologia
dell’io,
individuando,
proprio
nell’adattamento,
un
quarto
punto
di
vista
metapsicologico
da
affiancare
ai
tre
freudiani:
occorre
indagare
i
processi
psichici,
anche
quelli
conflittuali,
interrogandone
altresì
la
funzione
adattiva
o
meno.
Così,
in
luogo
dell’eversivo
disadattamento
dell’es
sia
rispetto
alla
società
(si
ricordi
il
freudiano
«disagio»
della
civiltà),
sia
rispetto
alla
natura
(si
veda
l’antibiologica
pulsione
di
morte),
la
corrente
inaugurata
da
Hartmann
sottolinea
piuttosto
la
funzione
di
normatività
adattiva
svolta
dall’Io.
M.
FORNARO
III.
SOCIOLOGIA.
–
In
sociologia
il
termine
adattamento
è
stato
originariamente
introdotto,
mutuandolo
dalla
biologia,
da
quegli
autori
che,
soprattutto
nel
corso
del
sec.
XIX,
interpretavano
l’evoluzione
sociale
in
analogia
con
quella
naturale,
e
ripreso
in
tempo
più
recenti
segnatamente
da
quanti
hanno
riproposto
un'interpretazione
biologica
unificata
del
comportamento
sociale.
Esso
è
conseguentemente
venuto
a
indicare
il
rapporto
che
intercorre
tra
una
collettività
e
il
suo
ambiente
cir‐
costante,
sia
sociale
sia
naturale,
e
implica
l’idea
che
un
certo
grado
di
adattamento,
maggiore
o
minore,
sia
una
condizione
di
esistenza
per
qualsiasi
collettività
3
umana
(gruppi,
organizzazioni,
società).
L’evoluzione
delle
strutture
sociali
sarebbe,
in
quest’ottica,
l’espressione
del
principio
biologico
per
cui
la
vita
è
il
costante
adattamento
delle
relazioni
interne
di
un
organismo
alle
sue
relazioni
esterne.
Talcott
Parsons
ha
approfondito
e
sistematizzato
questo
pensiero,
separandolo
tuttavia
dall’originaria
impronta
bioanalogica,
dal
momento
che
il
parallelismo
tra
organismo
sociale
e
organismo
animale
non
è
mai
riuscito
ad
andare
oltre
i
limiti
di
una
mera
similitudine.
Egli
ha
inserito
l’adattamento
tra
i
quattro
imperativi
funzionali
di
ogni
sistema
sociale,
al
pari
del
conseguimento
degli
scopi
collettivi,
dell’integrazione
dei
ruoli
e
del
mantenimento
della
struttura
latente.
La
sopravvivenza
di
una
collettività
è
legata
alla
sua
capacità
di
stabilire
e
coltivare
dei
rapporti
con
l’ambiente
esterno,
sia
adattandosi
alle
sue
coercizioni,
alle
sue
esigenze
e
ai
suoi
eventuali
cambiamenti,
sia
adattando
l’ambiente
ai
propri
bisogni,
cioè
controllandolo
e
modificandolo.
Così
si
spiega
la
continua
invenzione
e
modifica
di
strutture
sociali
e
istituzioni,
sviluppate
dalle
collettività
per
far
fronte
alle
esigenze
poste
dall’interazione
con
l’ambiente.
P.
VOLONTÉ
BIBL.:
Per
la
parte
II:
H.
HARTMANN,
Ich­Psychologie
und
Anpassungsproblem,
Wien‐Leipzig
1939;
tr.
it.
di
M.
Low‐Beer,
Psicologia
dell’Io
e
problema
dell’adattamento,
Torino
1966;
L.
GORLOW
‐
W.
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Readings
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the
Psychology
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New
York
1959;
AA.VV.,
Les
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française,
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cura
di
F.
Meyer
et
al.,
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J.
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L’équilibration
des
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cognitives:
problème
central
du
développement,
Paris
1975;
tr.
it.
di
G.
Di
Stefano,
L’equilibrazione
delle
strutture
cognitive:
problema
centrale
dello
sviluppo,
Torino
1981.
Per
la
parte
III:
AA.VV.,
Toward
a
General
Theory
of
Action,
a
cura
di
T.
Parsons
‐
E.A.
Shils,
Cambridge
(Massachusetts)
1951;
AA.VV.,
Man
in
Adaptation.
The
Bio­social
Background,
a
cura
di
Y.A.
Cohen,
Chicago
1974.
➨ COGNITIVISMO; COMPORTAMENTISMO;
EVOLUZIONE; FUNZIONALISMO; METAPSICOLOGIA;
SOCIOBIOLOGIA. ➨
ENCICLOPEDIA FILOSOFICA
BOMPIANI, MILANO, 2006
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