leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it ROMANZI E RACCONTI 0010.collana.indd 1 03/05/11 17.06 Dello stesso autore nei «Romanzi e racconti» Ritorno nella valle degli angeli nei «Tascabili Maxi» L’estate del cane nero 0020.dsa.indd 2 03/05/11 17.06 Francesco Carofiglio Radiopirata Marsilio 0030.frontespizio.indd 3 03/05/11 17.06 © 2011 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: maggio 2011 ISBN 978-88-317-0898 www.marsilioeditori.it 0040.colophon.indd 4 03/05/11 17.06 RADIOPIRATA 0050.testo.indd 5 03/05/11 17.07 0050.testo.indd 6 03/05/11 17.07 Così i giorni, gli ultimi giorni, turbinano nella mia memoria, indistinti, autunnali, tutti eguali come foglie: fino a un giorno diverso da tutti quelli che ho vissuto. TRUMAN CAPOTE 0050.testo.indd 7 03/05/11 17.07 0050.testo.indd 8 03/05/11 17.07 Era la più piccola radio del mondo. Trasmetteva sui 99 megahertz. Era Radiopirata, e non ce ne sarebbe stata mai più una uguale. 0050.testo.indd 9 03/05/11 17.07 0050.testo.indd 10 03/05/11 17.07 Uno Arrivò con la sua vecchia automobile, una Citroën ds, ereditata dal padre. L’auto aveva un unico sedile anteriore, di pelle marrone, e il volante era grande quanto quello di un camion. Scese dinanzi al sagrato della chiesa, aveva viaggiato tutta la notte. In giro non c’era nessuno. Due leoni di marmo reggevano le colonne all’ingresso dell’edificio. Fece qualche passo, fino al portale. Toccò la pietra fredda, poi guardò la piazza, era da poco passata l’alba. Solo qualche rumore di stoviglie, gli sembrava di vederle quelle case, donne che preparavano il caffè e uomini che si alzavano, l’odore saturo della notte. Un uomo vestito di nero attraversò la piazza in bicicletta. Era piccolo e con il naso schiacciato. Posò la bici e si avvicinò. «Sono Lagrasta Nicola.» «Buongiorno.» «Sono il sagrestano.» «Ah.» «Siete voi il nuovo parroco?» «Sì.» «Don Lorenzo?» «Sono io.» 11 0050.testo.indd 11 03/05/11 17.07 «Siete arrivato con quella macchina?» «Sì.» «Benvenuto.» Dentro l’auto un nastro che andava. Heart and Soul, Joy Division. 12 0050.testo.indd 12 03/05/11 17.07 Due Entrò in casa verso le sette del mattino. Il sagrestano fece strada e aprì le imposte delle finestre che affacciavano sul cortile. La casa era grande, con le volte alte e i pavimenti di graniglia. I proprietari, i baroni Mazzacane, avevano messo a disposizione l’appartamento per ospitare il parroco, in attesa di una sistemazione definitiva. Nicola mostrò a Lorenzo le stanze. La camera da letto, luminosa, con un armadio e un piccolo scrittoio. La cucina, arredata con vecchi mobili di occasione. Le altre stanze, vuote. «Bella casa, vero?» «Bella. Anche troppo grande per me.» «Quella, la baronessa, non bada a spese quando deve fare una buona figura, la cucina l’ha fatta aggiustare il mese scorso. Certo vi servirà qualche signora che vi viene a cucinare, siete giovane. Se volete ci sta mia moglie...» «Grazie, non sarà necessario, riesco ad arrangiarmi da solo.» Nicola sorrise. Anche Lorenzo sorrise. Poi l’uomo si congedò, dopo avergli lasciato un foglio con l’indirizzo e il numero dei proprietari. Per il telefono in casa bisognava fare il contratto con la Sip. Se voleva, in piazza c’era un bar con il telefono a gettoni. 13 0050.testo.indd 13 03/05/11 17.07 «Grazie di tutto allora.» «E di che cosa. Domenica vengo una mezzora prima della messa, se avete bisogno di una mano. Qui stanno le chiavi, quelle dell’ingresso laterale. Il portone lo apriamo da dentro che ci stanno i ferri. Ho fatto lavare a terra e pulire per bene l’altare e le panche.» «Benissimo.» «Questa più piccola è la chiave della sagrestia, si entra dalla porticina a destra. Comunque qualsiasi cosa avete bisogno io abito a cinquanta metri da qui, è facile. Il mio telefono sta pure scritto sopra al foglietto.» «D’accordo.» «Allora io vado.» «Grazie di nuovo. Arrivederci.» Lorenzo chiuse la porta. Il sole inondava le stanze, le pareti erano imbiancate da poco, si sentiva l’odore penetrante della calce. Raccolse la valigia e le borse e le trasportò nella camera da letto. Prese un asciugamano e un sapone e andò nel bagno. La vasca aveva una traccia marrone, il rubinetto perdeva. Ma la stanza profumava di pulito, ed era molto luminosa. Come tutta la casa. Si guardò allo specchio, aveva il viso stanco. Si lavò la faccia, e tornò in camera. Il materasso era duro e la rete rigida. Chiuse gli occhi, avrebbe messo in ordine più tardi. Si sdraiò su un fianco, il viso sul cuscino senza federa e la sensazione ruvida della lana sulla guancia. Si addormentò. * In quello stesso istante Francesco Spera, detto Ciccio, affondava una fetta di pane in una tazza di caffellatte. Sul tavolo della cucina una tovaglia di plastica a quadri e sul 14 0050.testo.indd 14 03/05/11 17.07 frigorifero la foto di suo padre, con una candela elettrica che tremolava, giorno e notte. Sul piatto dello stereo ruotavano i Clash, Police on my back. Ciccio registrava il vinile e lo riportava in negozio. Lavorava a Foggia, in un negozio di articoli musicali e ogni giorno infilava di nascosto un disco nella borsa, una volta a casa registrava, archiviava e il giorno dopo rimetteva tutto a posto. «Ciccio vuoi abbassare ’sto volume, o ci dobbiamo far urlare appresso dalle persone...» «Ho finito, ora spengo.» «E poi ti vuoi muovere, che devi perdere l’autobus.» «Non ti preoccupare, sto in orario.» «E non mi pare, sono le sette e trentacinque, quello il pullman parte alle otto meno un quarto...» «Non ti preoccupare ma’, sta tutto calcolato.» Finì di bere il latte e si alzò, spense il registratore e infilò il disco nella custodia. Si guardò allo specchio, tirò fuori il pettine dalla tasca del giubbotto e si fece la riga. Precisa. Poi salutò la mamma e uscì. Da quasi un anno faceva questa vita. Il pullman impiegava un’ora esatta per arrivare alla stazione di Foggia. Da lì in dieci minuti raggiungeva il negozio. Stereomondo – dischi e articoli musicali. Alle nove trovava Mimmo Campanella, il proprietario, davanti al negozio, prendeva le chiavi, apriva il catenaccio e insieme tiravano su la saracinesca. Gli piaceva moltissimo. Entrare nel negozio, la mattina, quando ancora non c’era nessuno. Gli sembrava che fosse tutto suo, i dischi, gli strumenti musicali, gli spartiti. Lo aveva sempre desiderato. Un anno prima, stava passeggiando per il corso a Foggia, era domenica. Non c’era niente da fare, come al solito. 15 0050.testo.indd 15 03/05/11 17.07 Vide il cartello sulla vetrina, appiccicato con lo scotch. CERCASI COMMESSO. La mattina dopo, alle otto e mezza in punto era davanti al negozio. Quando arrivò Campanella, Ciccio disse che era lì per l’annuncio, per il posto di commesso. Campanella gli disse di entrare e aspettare. Sparì nel retrobottega e tornò dopo qualche minuto. Si era messo una camicia di flanella a quadri e aveva preso la pipa. Si accomodò sullo sgabello, vicino alla cassa, dove c’erano il giradischi e le cuffie. E cominciò a riempire il fornello in radica con una miscela di tabacco, la teneva in una scatola di legno intagliata. Stette un paio di minuti così, senza dire niente, senza guardarlo. Poi alzò la testa e lo fissò. «Se io ti dico...» Fece una pausa di una trentina di secondi. Aspirò due o tre volte dalla pipa, fino a quando la brace cominciò a sfrigolare. «Se ti dico Heroin?» «Prego?» Campanella buttò fuori una nube di fumo denso. Respirò. «Se ti dico Heroin, I’m waiting for the man.» «Ah... i Velvet... Velvet Underground. Si riferisce a quello?» «Uhm... Se ti dico...» Restò in silenzio a pensare. Senza distogliere lo sguardo. «...se ti dico Heroes.» «...Bowie.» «By this river?» «Brian Eno.» «Help me somebody?» «Byrne, David Byrne.» «The magnificent Seven.» «Vabbè, i Clash.» 16 0050.testo.indd 16 03/05/11 17.07 «Uhm...» Si alzò e fece il giro del banco, prese dalla tasca della camicia un fazzoletto scuro, forse usato. Si avvicinò a Ciccio e gli disse di voltarsi. Il ragazzo lo guardò, perplesso, poi si girò lentamente. Gli legò il fazzoletto sugli occhi e disse di aspettare. Ritornò con un disco, fece scivolare dalla custodia il vinile e lo mise sul piatto. Puntò la testina sul solco e passò a Ciccio la cuffia. «Ascolta.» Il basso e una percussione, un ritmo lento, incalzante. Quel pezzo lo conosceva benissimo. «È Fever.» «Ovvio che è Fever, ma chi suona?» Ciccio tolse il fazzoletto e guardò Campanella dritto negli occhi. Al cuore Ramon, al cuore. Poi estrasse la rivoltella e sparò. «Sono i Cramps.» «Ok. Puoi cominciare da domani.» L’autobus arrivò in ritardo. Ciccio salì e andò a sedersi in fondo, come ogni mattina. Nella corriera la solita gente, le stesse facce, l’odore di finta pelle e sudore. Si sistemò sull’ultima poltrona e prese dalla borsa le cuffie e il walkman, infilò gli occhiali da sole e spinse sul play. Mentre il pullman viaggiava sulla strada deserta pensò che quella campagna era il posto più bello del mondo. * Antonio Castaldi era iscritto al secondo anno di ingegneria, ma non aveva fatto neanche un esame. Forse non aveva mai frequentato. Sapeva costruire una radio a transistor e modificare le marmitte, era un mago con i motori. 17 0050.testo.indd 17 03/05/11 17.07 Il suo califfone toccava i novanta grattando l’aria della valle come una ruspa sul ghiaccio. Quella mattina suo padre lo buttò giù dal letto, doveva aiutarlo in officina perché Pascal, il ragazzo senegalese che lavorava con lui, era a letto con la febbre. «Cazzo... tutta ’sta luce, chiudi la finestra...» «È la luce delle nove meno cinque, alza il culo da quel letto e muoviti.» «Ma che ora è?» «Allora sei scemo, sono le nove. Alzati.» «Le nove? E che bisogno c’era di svegliarsi alle nove. È l’alba.» «Senti, Tonio, tra cinque minuti ti voglio fuori con la tuta e tutto il resto. Ti aspetto in macchina.» «Le nove...» «E vedi di non farmi incazzare.» «Ouh... non urlare, tutti ’sti rumori, di prima mattina.» «E pettinati ’na volta ogni tanto.» Tonio si mise a sedere sul letto, gli occhi ancora chiusi e la bocca impastata. Aveva bisogno di un caffè. Ma nessuno glielo avrebbe portato. Sua madre era già uscita da una buona mezzora, faceva la maestra elementare, e sua sorella era a scuola. Si alzò barcollando e andò a ficcarsi sotto la doccia. Dopo cinque minuti era in macchina con suo padre, gli occhiali da sole, i capelli bagnati e la bocca di gesso. «Ci fermiamo a prendere un caffè, per favore?» Il padre non rispose. Si fermarono al Caffè Stella, entrarono. Tonio si impigliò i capelli nei coralli di plastica delle tendine, come al solito. «Ciao, Gennaro.» «Ciao, Benito.» «Ti sei portato l’apprendista oggi?» Il barista, Benito Stella, era un ex pugile, grande e grosso. Era stato vicecampione italiano dei mediomassimi, 18 0050.testo.indd 18 03/05/11 17.07 trent’anni prima. Adesso pesava centoventi chili e non aveva più un capello in testa. Portava sempre una maglia di lana attillata, inverno ed estate. Diceva che la lana isola e che stava bene così. «Fammi due caffè.» «Due caffè. Vuoi un cornetto, qualche cosa?» «Io il caffè e basta, tu vuoi il cornetto?» Tonio fece segno di no con la testa, la mattina era di poche parole. Quando arrivarono in officina, il padre portò fuori le auto che custodiva all’interno e le parcheggiò sul marciapiede. Era una zona periferica e non passava nessuno. In fila, una dietro l’altra, una Lancia Appia del cinquantotto, una Seicento multipla dei primi anni sessanta e un’Alfa Romeo Spider 1600. Tutte in ottimo stato, lustrate come prima di un matrimonio. Erano di un collezionista che di tanto in tanto le dava a Castaldi per una revisione. E lui le teneva lì, per giorni e giorni, controllava ogni dettaglio, le lavava, le lucidava, le accarezzava. Tonio a volte, scherzando con i suoi amici, immaginava che l’atteggiamento ossessivo del padre nascondesse qualcosa di terrificante, una specie di disturbo che prima o poi si sarebbe manifestato in tutta la sua violenza dirompente. Tipo che avrebbe rapito tutte le donne con i capelli a caschetto del paese e le avrebbe fatte sciogliere nell’acido dentro la cisterna degli oli usati. Una cosa del genere. Oppure era gay. E riversava sulle auto le cure che avrebbe volentieri offerto a Benito Stella e al suo quintale di lana cotta. «Vedi che razza di bestia è questa.» Gli mostrò la motocicletta che stava sollevando sul carrello, dopo averla liberata dal mantello di cerata. Era una Honda CBX 1000 a sei cilindri del 1978, rossa fiammante con una fascia nera sul serbatoio e il sellone di pelle lucida. 19 0050.testo.indd 19 03/05/11 17.07 «Senti come canta.» Mise in moto, il rombo del motore risuonò nell’officina, il pauroso ruggito di un grosso predatore dentro una caverna. Il padre di Tonio lo guardò soddisfatto, e Tonio sorrise. «Di chi è?» «Di Facchini, quello della Banca Popolare. Non so dove li trova i soldi per questa roba.» «Ma chi Facchini, quello di Melenzano? Il playboy?» «È sposato.» «E che c’entra. Non se ne lascia scappare una.» «Io non lo so a te chi te le racconta ’ste cose.» «Lo sanno tutti, pa’.» «Vabbè, mettiamoci al lavoro.» * Alle dieci e quindici in punto Giovanni Lauria si presentò al campo di allenamento. Vito Francone, l’allenatore dell’Aquilana Calcio, aveva combinato l’incontro con Pierluigi Barzini, osservatore dell’Avellino. La squadra, che militava in serie B, era interessata a opzionare il ragazzo per la stagione successiva, e magari ad acquistarlo. Giovanni arrivò con la moto e parcheggiò vicino alla recinzione. Aveva il cuore che batteva a mille, ma nessuno se ne sarebbe accorto. Lo chiamavano Alain Delon, per via degli occhi chiari e quell’espressione impenetrabile. Tutte le ragazze di Aquilana erano innamorate di lui, e lui era innamorato di Teresa. Francone e Barzini lo aspettavano seduti sulle gradinate, quattro tavole di legno fissate a una struttura di tubi innocenti. Giovanni si avvicinò e sorrise, tendendo la mano a Barzini. «Buongiorno, piacere...» 20 0050.testo.indd 20 03/05/11 17.07 «Ciao, Lauria.» «Buongiorno, Mister.» Francone gli sorrise. Lo conosceva da quando era un ragazzino e lo aveva tirato su come un figlio. Il padre di Giovanni non c’era mai, lavorava in Germania, e spesso il ragazzo nel corso degli anni se l’era dovuta cavare da solo, anche in situazioni difficili. Il vecchio allenatore era l’unica persona con cui era stato capace di confidarsi. «Allora, Giovanni, Vito ti avrà già parlato. Ma voglio riassumerti le cose, brevemente.» Gli disse che la società era interessata, ma avrebbero fatto prima un periodo di prova. A metà della stagione successiva. «Quanti anni hai?» «Diciannove a ottobre.» «Devi fare il servizio militare.» «Ho fatto il rinvio, con la scuola, ma credo che il prossimo anno mi tocca.» «Vedremo come possiamo aiutarti anche per quello. Nel frattempo continua ad allenarti, e finisci di studiare. Di tanto in tanto verrò a dare un’occhiata.» L’uomo sorrise e guardò il vecchio Benelli, parcheggiato dinanzi al campo. «Quella moto è tua?» «Sì.» «Ne avevo una uguale, dieci anni fa.» «Era di mio zio, me l’ha regalata quest’anno.» «È un gioiellino. Bei tempi, quelli.» «Lo dice anche lui.» «Ok, allora ci vediamo presto, Lauria.» «È stato un piacere. Arrivederci.» Giovanni sorrise e si girò. Andò verso la moto, senza voltarsi, mentre i due restarono a chiacchierare sulle gradinate. Non accelerò il passo, se ne andò tranquillo, non 21 0050.testo.indd 21 03/05/11 17.07 voleva che il tizio si accorgesse di quanto era felice. Voleva che gli sembrasse una cosa normale, dovuta. Era o non era la migliore ala destra in circolazione? Era o non era la più grande promessa del calcio italiano? Era giusto così. Nel giro di un anno avrebbe giocato in serie B. Mise in moto e partì, sollevando una nuvola di polvere sulla strada sterrata. Il Benelli modificato inghiottì il sentiero e si infilò sulla provinciale, il campo era fuori del ­paese. Tirò il motore al massimo nella contrada del Morello, rideva controvento, dentro il vento felice di quella mattina. Arrivò a casa di Teresa in pochi minuti e si attaccò al citofono. «Chi è?» «Scendi.» «Nanni, vuoi salire?» «Scendi, ti ho detto.» «Che è successo?» «Cazzo, scendi.» Quando Teresa si affacciò dal cancello lui la baciò, senza dire altro. La baciò a lungo, spingendola sul pilastro di cemento. Lei rideva e gli chiedeva cosa, chi. Lui continuava a baciarla, senza dire nulla. Poi le prese il viso tra le mani, era bellissima, gli occhi neri, i capelli lunghi che scendevano fino ai fianchi. «L’anno prossimo ci sposiamo.» «Che dici, scemo...» Lei rise, scoprendo i denti bianchissimi, e aprendo le fossette sulle guance. Lui le tenne il viso tra le mani e la guardò negli occhi. «Non scherzo. L’anno prossimo ti sposo.» «Che vuol dire?» «Quello che ho detto. Mi hanno preso.» «Chi, cosa dici?» 22 0050.testo.indd 22 03/05/11 17.07 «L’Avellino. Tra un anno gioco in serie B. Guadagnerò un sacco di soldi. E ti sposo.» Lei non disse nulla, restò a guardarlo. E lui sorrise. Gli occhi celesti, umidi e dritti, come spade. Nei suoi. «Ti amo, Terè.» «Anche io, Nanni.» Si alzò il vento, senza preavviso. E una busta di plastica prese il volo. 23 0050.testo.indd 23 03/05/11 17.07