Ripartiamo dal concetto di polimorfismo di cui abbiamo parlato nelle

Lezione di Patologia Generale
POLIMORFISMI E VARIABILITA’ GENETICA
Ripartiamo dal concetto di polimorfismo di cui abbiamo parlato nelle lezioni precedenti.
I polimorfismi sono di per loro mutazioni.
Se inquadriamo il concetto di variabilità genetica individuale nel concetto di mutazioni in
evoluzione che danno caratteristiche peculiari all’individuo, per cui esso interagisce con l’ambiente
in maniera diversa e questa interazione può essere positiva o negativa.
Tale interazione dunque determina una selezione di questa variabilità.
La talassemia e l’anemia falciforme sono esempi di variabilità negativa che però in alcune zone
geografiche si stratificava – in modo particolare nei climi temperati e umidi (Mediterraneo,
Tailandia).
Siamo soliti chiamare la malattia con il nome della zona geografica ad indicare che in tali zone vi
era un elevata frequenza di queste mutazioni e quindi delle malattie che ne generano.
Queste malattie erano protettive per altri problemi grossi come la malaria.
Tenete conto che le malattie su cui ci sono più grossi investimenti sia a livello delle politiche
sociale sia da parte delle industre farmaceutiche sono quelle meno importanti di tutte le altre: la
AIDS ha distribuzione nel mondo quasi irrisoria rispetto ad altre malattie altrettanto mortali.
Bisogna sviluppare un senso critico tale per cui possiamo essere capaci di discernere ciò che non è
vero anche se attestato da grandi organizzazioni mondiali come la FAO e l’ONU.
Molto spesso le decisioni che vengono prese in tali sedi internazionali fondano su altri interessi.
La malaria è la malattia più diffusa sul pianeta. Questo dato sembra essere sconosciuto a tutti. Basti
pensare che i prodotti più competitivi contro la malaria sono stati sviluppati dalle forze armate degli
Stati Uniti. Il vaccino più potente contro la malaria è dell’esercito degli Stati Uniti che ovviamente
non lo mette in commercio.
Tali prodotti non sono quindi alla portata di tutti per motivi puramente economici.
In questa logica la malattia genetica diventa una mutazione non favorevole in quel contesto. Il
giudizio “morale” non può avere come oggetto questi concetti scientifici: il polimorfismo può
essere favorevole o sfavorevole.
Il polimorfismo si inserisce nella capacità del nostro genoma di evolvere.
Altro concetto fondamentale è quello della razza.
Noi siamo stati abituati a considerare che le razze abbiano un contenuto sostanziale dal punto di
vista genetico: la razza è qualcosa che si definisce a livello genetico.
Esempi ci sono anche nella storia: Hitler era uno dei più grandi sostenitori di una correlazione
esistente tra genetica e fattori razziali. Quello che risultata post progetto genoma umano e a livello
delle nostre conoscenze è che quanto sostenuto sopra è assolutamente falso.
Il concetto di razza denota una unità costruita socialmente come funzione di un incorretto uso del
termine.
Su Nature Genetics è stato pubblicato un numero monografico sull’Individualità genetica e il
concetto di razza.
Ivi si sosteneva che la tassologia di razza non incontra criteri filogenetici: il concetto di razza non
ha una origine genetica.
Il progenitore ancestrale si evolve attraverso una serie di strade: gli africani, poi arrivano i ceppi
caucasici e da questo quello occidentale europeo e quello asiatico che si evolvono secondo
specifiche linee.
Questa è la filogenesi ragionando sul nostro genoma.
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Gli autori di questo articolo hanno preso in esame i polimorfismi più comuni e diffusi nel genoma
umano.
Si è cercato di far coincidere polimorfismo con razza. Seguendo tale criterio si è visto che in effetti
esiste una logica di distribuzione perchè i primi polimorfismi li trovo concentrati in Africa e i
successivi nei ceppi caucasici, in quello occidentale e in quello asiatico.
Si tratta di quella che in statistica è detta analisi di Cluster.
Questa consiste nel cercare elementi statistici che definiscano dei gruppi: dopo aver acquisito una
un numero esorbitante di informazioni cerco di rendere coerenti tali informazioni secondo parametri
comuni. Quindi se effetto l’analisi di Cluster mettendo come parametro comune le razze ottengo i
risultati sopra citati. Se invece adotto come parametro comune non le razze ma l’evoluzione dal
polimorfismo che è più comune a tutti quanti a quello che è più tipico di una certa popolazione,
decodificando i risultati, mi accorgo che non esistono più le razze: trovo somiglianze tra africani,
asiatici e europei molto di più di quanto ne trovavo prima classificando per razze.
Per cui la razza diventa un accumunare gli individui secondo denominazioni geografiche, colore di
pelle o cose del genere piuttosto che da un punto di vista filogenetico.
Da un punto di vista filogenetico posso avere similitudini maggiori all’interno di razze diverse
piuttosto che all’interno della stessa razza.
Oggettivamente anche se l’origine dell’uomo può essere fissata in Africa, gli africani sono i meno
mischiati, sono sempre molto compatti, fatta eccezione di alcune popolazione africane che si sono
mischiate di più.
Da un punto di vista medico è importante capire come il parametro che veniva usato fino a poco
tempo fa - invitando a fare attenzione ai flussi migratori attraverso i quali giungono persone che
potrebbero essere molto diverse da noi e quindi la necessità di adattare la terapia…. - non ha alcun
valore: negli italiani stessi possiamo avere delle variazioni enormi.
In effetti è quello che succede: il caso classico è quello del medico che ha somministrato a tutti i
pazienti per una determinata patologia lo stesso farmaco senza avere effetti collaterali gravi fino a
quando un paziente cui viene somministrato il medesimo farmaco per la medesima malattia muore.
Ciò è proprio dovuto al fatto che esistono notevoli variazioni interclassiali.
A questo punto è necessario capire come utilizzare tali informazioni in campo medico.
Se analizziamo i concetti di predisposizione e resistenza possiamo vedere come due persone che
hanno stili di vita identici possono avere una evoluzione negli anni completamente diversa.
Esistono famiglie in cui si verificano con una frequenza costante tumori o malattie cardiovascolari:
le persone che compongono tali famigli non sono affette da malattie genetiche eppure arrivate a
cinquanta anni possono sviluppare malattie cardiovascolari o tumori.
Quindi è importante capire il ruolo dei polimorfismi in campo medico.
Tornando a esaminare quella 310.000esima parte del genoma umano possiamo notare che esistono
dei polimorfismi. Utilizzando sistemi di analisi più sofisticati posso associare ai polimorfismi delle
funzioni. Ciò che posso vedere chiaramente è quando la funzione legato a un polimorfismo è
patogenetica: la mutazione – malattia la si vede perchè causa una malattia (Fibrosi cistica,
Galattosemia…).
Ribadiamo il concetto che alcuni polimorfismi (Diabete, Talassemia…) in certi contesti e in certi
ambienti possono essere favorevoli o probabilmente lo sono stati in passato.
Procedendo nell’analisi comincio a vedere i polimorfismi che predispongono a una malattia:
vedrò più facilmente quei polimorfismi correlati a proteine o ad altri fattori che sono direttamente
correlati con la malattia. Se ho più fattori che concorrono a determinare la malattia (Albinismo che
non è una malattia) più difficilmente vedrò il polimorfismo: il fatto che ci siano famiglie in cui le
malattie cardiovascolari sono più frequenti evidentemente è legato non solo all’alimentazione – che
in occidente è in assoluto sbagliata – ma anche ad altri fattori.
Nella popolazione normali i fattori che incidono sulla malattia coronarica sono moltissimi: ci sono
almeno una cinquantina di polimorfismi principali e poi ce ne sono ancora di più minori.
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Per cui il polimorfismo che mi dà una predisposizione lo vedo più facilmente se mi entra
direttamente in quel fattore di rischio; se non mi entra direttamente è più difficile rendermi conto
perché magari la sua incidenza statistica è molto bassa.
Ciò è legato al concetto di rischio relativo. Questo è legato al concetto di malattia multifattoriale.
Infine esistono i polimorfismi neutri: questi non sono visibili perché non solo correlati a malattia e
posso scoprirli sono sequenziando il materiale genetico.
Probabilmente molti di questi polimorfismo neutri non sono completamente neutri ma hanno una
incidenza statistica così bassa che sono poco visibili. In altri termini alcuni di questi polimorfismi
neutri non posso correlarli a una patologia; infatti posso correlarli solo se è possibile calibrare il loro
effetto funzionale.
Bisogna tenere conto che il concetto di polimorfismo è cambiato rispetto agli ultimi anni.
Si definivano polimorfismi mutazioni che hanno una frequenza nella popolazione superiore all’1%.
Questo non è vero: ci sono polimorfismi più rari dell’1% e che sono polimorfismi.
D’altra parte non è vero neppure il concetto che il polimorfismo non è legato a un difetto funzionale
di una proteina perché per esempio quasi tutti i polimorfismi in farmacogenetica presentano
amplificazione genica o delezione di interi geni.
Questi non li posso considerare polimorfismi secondo il canone tradizionale perché se ho la
delezione di un gene significa che il gene non c’è; quindi non si tratta di un polimorfismo nel senso
classico della parola ma nel senso moderno si.
Chi mi dice se un polimorfismo è buono o cattivo?
Ovviamente la correlazione con qualcosa; questa però può essere strettamente dipendente
dall’ambiente. Per cui se prendo lo stesso polimorfismo e lo porto in un altro ambiente posso avere
il contrario: quel polimorfismo che era vantaggioso in un determinato ambiente mi diventa
svantaggiosissimo in un altro.
Polimorfismo e ambiente sono strettamente correllati: questa è la grande novità della genetica e
della medicina degli anni ’90 e 2000.
Si è finalmente capito che il polimorfismo e la variabilità genetica individuale ci dà la capacità di
interagire con l’ambiente in maniera differenziale.
Ognuno di noi ha una sua peculiare capacità di interagire con l’ambiente: c’è chi non ha freddo
perché ha un determinato tipo di metabolismo, c’è che invece sente freddo molto più facilmente; c’è
il bambino che a dicembre gioca a pallone con la canottiera e non prende il raffreddore e quello che
si è coperto con maglie e maglioni e ha il raffreddore. E potremo fare altri esempi.
La Fibrosi cistica è la malattia genetica più frequente nei caucasici: i cosiddetti portatori sani sono
estremamente frequenti. Dalla distribuzione della fibrosi cistica posso capire l’effetto fondatore –
perché ho frequenza assai elevate - e la distribuzione di questo polimorfismo nel mondo.
Mentre un tempo il portatore sano veniva considerato tale perché la Fibrosi Cistica è una malattia
autosomica recessiva, oggi è venuto fuori che non è un portatore sano: molti di quei bambini che si
ammalano frequentemente di malattie respiratorie rientrano nel contesto di portatore sano.
Questo dato è estremamente importante in quanto può aiutare le politiche sanitarie.
Il portatore sano non affetto dalla Fibrosi cistica è più soggetto a infezioni respiratorie non così
gravi come colui che omozigote recessivo per la Fibrosi Cistica.
Sottolineamo ancora il ruolo del contesto in cui l’individuo viene a trovarsi: le due mutazione nella
beta emoglobina possono essere entrambe negative.
Però se ho altri fattori che in quel contesto genetico mi permettono di modificare l’effetto della
mutazione originaria avrò una malattia molto più blanda.
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Nella popolazione del centro Africa la gamma globina non riesce ad attivarsi mentre nell’Arabia
Saudita il gene della gamma globina può essere riattivato.
Riassumendo:
I polimorfismi genetici allo stato attuale delle conoscenze rappresentano il sistema di
marcare l’individualità genetica in ogni singolo essere vivente.
I polimorfismo rappresentano la variabilità di ogni individuo di interagire con l’ambiente.
I polimorfismi genetici sono neutri da un punto di vista morale.
I polimorfismi genetici acquisiscono un valore funzionale in relazione all’ambiente e al tipo
e al grado di interazione che definiscono.
La vecchia definizione di polimorfismo è ormai superata.
In una interpretazione più estesa del concetto di variabilità genetica individuale anche le
mutazioni – malattia possono rappresentare un adattamento all’ambiente in epoche e
condizioni diverse.
BASI FUNZIONALI DEI POLIMORFISMI
Definiamo alcuni concetti fondamentali:
Si considera gene tutta la regione del promotore, tutta la sequenza codificante – nel cui
contesto ci sono sequenze non codificanti dette introni - e la regione del terminatore.
I livelli di controllo dell’espressione genica si distinguono in:
Controllo trascrizionale
E’ direttamente legato alla sequenza genica e quindi all’efficienza del promotore.
Controllo post-trascrizionale
Consiste nella maturazione dell’RNAm
Controllo traduzionale
Saranno importanti tutte le sequenze segnali di tipo traduzionale
Controllo post-traduzionale
A tutti questi quattro livelli possiamo avere mutazioni che mi causeranno difetti di tipo diverso.
E’ evidente che una mutazione che mi causa un difetto trascrizionale è estremamente difficile.
Mi rendo conto subito che c’è un difetto trascrizionale perchè manca RNAm.
Anche difetti nel controllo post-trascrizionale sono abbastanza evidenti: ho l’RNAm ma non vi è
stata la poliadenilazione: RNAm non arriverà nel citoplasma e non sarà mai letto.
Un po’ più complicato è quando arriviamo al controllo traduzionale o al controllo post-traduzionale
dove potrei non rendermi conto di niente. Vedremo che ci possono essere mutazioni a livello
genomico cioè alterazioni che io non vedo perché non posso sostanziare in nessuna maniera.
Sequenze importanti sono localizzate al livello del promotore; sequenze specifiche si trovano entro
il gene e infine una serie di altri eventi che avvengono dopo.
Ciò che dobbiamo prendere subito in considerazione sono le sequenze segnale: queste non possono
cambiare in alcuna maniera altrimenti la funzione correlata a quella sequenza di segnala viene
persa. Ma poi in questa contesto abbiamo anche le sequenze di consensus.
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Queste ultime non sono sequenze assolutamente immutabili; possono essere relativamente variabili
ma questa variabilità di sequenze può anche determinare degli effetti. E’ quello di cui dobbiamo
parlare ora.
La prima considerazione che facciamo è che il nostro genoma ha geni di diverso tipo perché i geni
sono strutturati rispetto alle proteine funzionali che interagiscono con il gene stesso.
Per cui avremo geni RNApolimerasi2 che sono strutturati in una certa maniera: il promotore e
l’organizzazione del gene RNApolimerasi2 è fatto in una certa maniera. Se vado a considerare il
gene RNApolimerasi1 o RNApolimerasi3 i geni avranno promotori, organizzazione strutturale e
funzionamento completamente differenti.
I geni RNApolimerasi2 e quelli che codificano per proteine sono geni estremamente complessi: il
primo elemento di complessità è che si tratta di geni interrotti cioè che hanno introni ed esoni;
l’altra peculiarità è che hanno una sequenza promotore e sequenze regolative estremamente
complesse. Il promotore dei geni RNApolimerasi 1 e RNApolimerasi3 nonché le sequenze
regolative contenute all’interno dei geni suddetti sono più semplice rispetto all’organizzazione e alla
strutturazione di un gene RNApolimerasi2.
Un promotore RNApolimerasi2 si trova a meno 25 rispetto all’inizio di trascrizione.
Nel gene RNApolimerasi2 l’inizio di trascrizione non è legato alla sequenza segnala specifiche ma
dipende dalla posizione del promotore: quindi l’inizio di trascrizione è localizzato a più 25 o più
trenta dal promotore.
Il TATA BOX - il promotore che permette all’RNApolimerasi2 di atterrare e di attaccarsi sul
genoma - è strettamente legato e dipendente da tutto un pacco di informazioni che si trovano a
monte. Tali informazioni non sono indipendenti dal promotore ma interagiscono strettamente con il
promotore stesso.
La regione del promotore può andare fino a meno 2000 o meno 3000 dal promotore e avere
comunque interazione con il promotore.
Un altro concetto fondamentale è come la conformazione della cromatina – le deformazioni che
avvengono in questa regione in relazione a fattori proteici – nella regione del promotore sono
estremamente importanti per l’attività del promotore.
Questa organizzazione ci fa capire che c’è una elevata complessità: la regolazione di questi geni è
dipendente da tanti fattori diversi. Di conseguenza la regolazione dei geni RNApolimerasi2 è una
regolazione estremamente fine: il gene non deve soltanto funzionare ma deve funzionare come,
dove e quando mi serve, tenendo sempre conto che i nostri geni sono già tutti presenti nello zigote.
Questi gene presenti nell’embrione singola cellula dovranno essere espressi in maniera differenziale
non solo nelle diverse epoche della vita ma anche nei diversi tessuti.
Questi geni devono essere finemente regolati.
Il promotore del gene RNApolimerasi 3 è già nella sequenza codificante e ha pochissimo di
regolazione. Esso non ha alcun grado di complicazione.
Il promotore del gene RNApolimerasi1 ha qualche grado di complicazione perché ha un alcune
regioni a monte ma sono molto semplici.
Quando mi trovo diversi livelli di complessità vuol dire che la regolazione è più o meno fine: per
cui in certi casi ho bisogno di produrre quella cosa sempre o solo dove, quando e come mi serve
(RNApolimerasi2).
La costituzione del promotore è estremamente correlata con la funzione.
Nell’RNApolimerasi1 ci sono upting control elements importanti per regolare l’attività del
promotore le cui sequenze sono sempre sequenze di legame per proteine funzionali.
Teniamo presente che negli ultimi tempi si stanno evidenziando mutazioni nei geni che codificano
per queste proteine indispensabili per la vita con conseguenti difetti nella produzione dei ribosomi e
quindi nella traduzione dei geni RNApolimerasi2.
Interessante è notare come sia stato creato un sistema perfetto per avere alla fine
contemporaneamente in quantità estremamente omogenee le tre componenti del ribosoma: il gene
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produce un trascritto primario che viene successivamente tagliato in maniera tale che il taglio
definitivo avvenga solo alla fine.
I tagli preliminari danno sempre origine a RNA che non hanno la capacità di formare il ribosoma.
Si avrà la capacità di formare il ribosoma soltanto alla fine.
Si tratta di un controllo estremamente fine: da un trascritto unico man mano mi taglio le componenti
che mi servono e soltanto alla fine avrò le componenti che si andranno ad assemblare per il
ribosoma. E anche la costruzione del gene RNAribosomiale è tale per cui si possano produrre tanti
RNA ribosomiali quanti me ne servono perché è fatto in maniera semplice con transcrition units di
13 chilobasi e una regione adiacente di 27 chilobasi. Queste unità sono ripetute 50 – 60 volte sul
braccio corto di ciascuno dei cinque cromosomi acro centrici.
E’ una costituzione logica e perfetta.
Tornando alla regione del promotore del gene RNApolimerasi2 il TATA BOX è quello che
permette alla RNApolimerasi2 di attaccarsi al genoma. Questo posizionamento della polimerasi è
legato anche all’intervento di altre proteine. Insieme al TATA BOX vi sono anche altre regioni
adiacenti – la regione prossimale - che va fino a meno 200 e la regione distale del promotore che
può essere più o meno lunga e arrivare anche a meno 10.000 in relazione alla complessità di
regolazione di quel gene. Tanto più la regolazione di quel gene è tessuto specifica e complessa tanto
più avrò nella regione distale del promotore una serie di sequenze che possono modificare l’attività
del promotore. Il fatto che il promotore induca l’inizio di trascrizione a più 25 rispetto al promotore
stesso è dovuto al fatto che sia RNApolimerasi2 che il complesso RNApolimerasi due hanno un
ingombro sterico che è a valle di circa 25 nucleotidi. Una delle cose che fa il complesso
trascrizionale è quella di andare a deformare la cromatina che deve essere stata a sua volta
deformata per poter permettere all’RNApolimerasi2 di attaccarsi sul genoma. E’ questo un concetto
che verrà ripreso quando parleremo di epigenetica.
Affinchè il complesso RNApolimerasi2 possa attaccarsi al TATA BOX è necessario che la
sequenza sia accessibile. Se questa non è accessibile perchè ha una conformazione particolare o
perché è complessata già con proteine quel gene anche se ipoteticamente potrebbe essere attivato
non può essere attivato perché l’RNApolimerasi2 non può avere accesso a quel gene.
L’RNApolimerasi2 può attaccarsi alla regione del promotore o direttamente (ovviamente sempre
con il complesso trascrizionale) o in maniera mediata da altri fattori.
In quest’ultimo caso saranno i fattori che mediano l’attacco dell’RNApolimerasi2 a fare da
regolatori dell’RNApolimerasi2.
E’ il concetto del cosiddetto fattore trascrizionale
Quindi l’attività dell’RNApolimerasi2 e del promotore potrà essere legata a un diretto aggancio
dell’RNApolimerasi2 al promotore: il gene quindi avrà una regolazione più grossolana; oppure può
essere dipendente da altre piattaforme formate da DNA binding protein che possono adattare e
permettere all’RNApolimerasi2 di entrare in quella regione.
E’ evidente che queste DNA binding protein possono essere dipendenti da altre DNA binding
protein.
Questo ci permette di capire che qualsiasi cosa che avviene a livello genetico avviene sempre per
meccanismi.
Nel promotore del gene dell’insulina, in una regione abbastanza prossimale, (meno 300) ci sono
numerose sequenze di segnale per DNA binding protein.
Se entriamo nello specifico e considero PX1 posso dire che questa sequenza fa sì che il gene
dell’insulina sia espresso esclusivamente nelle isole di Langherans.
Nella sequenza di questo promotore vi sono una serie di segnali che non sono solo di quel gene e
basta ma sono segnali condivisi anche con altri geni. la regione prossimale e distale del gene
contiene una serie di sequenze di legame per proteine e fattori trascrizionali i quali non hanno la
funzione di attivare un solo gene – altrimenti dovremmo avere tantissimi fattori trascrizionali per
ciascun gene – ma hanno la funzione di attivare dei meccanismi e dei processi.
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Quindi promotori di geni diversi possono condividere sequenze segnali uguali ma la
combinazione di queste sequenze segnale sarà sempre tipica di quel gene e non di tutti i geni
Quindi il livello di controllo del fattore trascrizionale è un livello plurigenico: si crea una
gerarchia nei fattori trascrizonali. Avremo dei fattori trascrizionali che sono correlati a cose molto
ad esempio alla proliferazione: quindi ogni volta che avrò proliferazione avrò certi fattori
trascrizionali; oppure avrò fattori trascrizionali tessuto specifici per cui li fabbricherò soltanto in
quel tessuto e non in altri e in quel tessuto saranno tutti espressi e poi avrò altri fattori trascrizonali
correlati al differenziamento.
Quindi dobbiamo tener ben presente che i fattori trascrizionali:
Agiscono su più geni
Possono avere un’azione differenziale su geni diversi
L’effetto netto finale nella regione del promotore dipenderà da tutte le sequenze di legame per le
DNA binding protein che si trovano nella regione del promotore.
Per cui quello stesso fattore su un gene può avere una azione promuovente ma su un altro gene deve
avere una azione inibente.
Facciamo l’esempio del differenziamento.
Se ho un fattore trascrizonale che mi regola il differenziamento, su un certo numero di geni devo
favorire l’espressione perchè magari mi devono codificare proteine specifiche presenti in quelle
cellule – da qui il differenziamento - ma su altri geni devo esercitare una azione inibitoria.
Se inibisco a casaccio quel fattore trascrizionale rischio di non produrre più la proteina specifica per
il differenziamento cellulare. Siccome l’effetto netto su tutti i geni dipenderà dalla combinazione
dei fattori trascrizionali rischio di fare un gran macello.
A questo punto ci viene da chiederci: chi controlla i fattori trascrizionali?
CINIC è un fattore trascrizonale che attivato controlla la proliferazione.
Però CNIC è importante anche nel differenziamento in cui CNIC deve essere necessariamente
modulato.
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