3.1- Vicenza, Il Teatro Olimpico, Bene protetto dall'UNESCO, Patrimonio dell'umanità Il Teatro Olimpico è il primo e più antico teatro stabile coperto dell'epoca moderna, una delle meraviglie artistiche di Vicenza. Si trova all'interno del cosiddetto Palazzo del Territorio, che prospetta su piazza Matteotti, all'estremità orientale di corso Palladio, principale direttrice del centro storico vicentino. Nel Rinascimento infatti un teatro non è un edificio a se stante - come diventerà di prassi in seguito - ma consiste nell'allestimento temporaneo di spazi all'aperto o di volumi preesistenti; nel caso di Vicenza, cortili di palazzo o il salone del Palazzo della Ragione. La realizzazione del teatro, all'interno di un preesistente complesso medievale, venne commissionata a Palladio dall'Accademia Olimpica per la messa in scena di commedie classiche. Nel 1579 l'Accademia aveva ottenuto dalla municipalità la concessione di un luogo adatto ove poter realizzare stabilmente un proprio spazio scenico, all'interno delle prigioni vecchie del Castello del Territorio. Il contesto era una vecchia fortezza di impianto medioevale, più volte rimaneggiata ed utilizzata nel tempo anche come prigione e polveriera prima del suo abbandono. Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l'incarico dall'Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile. Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio: una cavea gradinata ellittica, cinta da un colonnato, con statue sul fregio, fronteggiante un palcoscenico rettangolare e un maestoso proscenio su due ordini architettonici, aperto da tre arcate e ritmato da semicolonne, all'interno delle quali si trovano edicole e nicchie con statue e riquadri con bassorilievi. La critica definisce l'opera 'manierista' per l'intenso chiaroscuro, accentuato tra l'altro da una serie di espedienti ottici dettati dalla grande esperienza dell'architetto: Il progressivo arretramento delle fronti con l'altezza, compensato visivamente dalle statue sporgenti; il gioco di aggetti e nicchie che aumentano l'illusione di profondità. Il Palladio appronta il disegno pochi mesi prima della sua morte e non lo vedrà realizzato; la sua costruzione iniziò nel 1580 ma sarà il figlio Silla a curarne l'esecuzione consegnando il teatro alla città nel 1583. Si pose dunque il problema di realizzare la scena a prospettive, che era stata prevista fin dal principio dall'Accademia ma di cui Palladio non aveva lasciato un vero progetto. Venne quindi chiamato Vincenzo Scamozzi, il più importante architetto vicentino dopo la morte del maestro. Scamozzi disegnò le scene lignee, di grande effetto per il loro illusionismo prospettico e la cura del dettaglio, costruite appositamente per lo spettacolo inaugurale, apportando inoltre alcuni adattamenti e i necessari completamenti al progetto di Palladio. Sempre allo Scamozzi viene affidata anche la realizzazione, oltre che il portale d'ingresso originale, degli ambienti accessori: l'Odeo, ovvero la sala dove avevano luogo le riunioni dell'Accademia, e l'Antiodeo, decorati nel Seicento con riquadri monocromi del valente pittore vicentino Francesco Maffei. Il teatro venne inaugurato il 3 marzo 1585, dopo la realizzazione delle celebri scene fisse, piccola meraviglia nella meraviglia, di Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del Palladio. La prima rappresentazione è memorabile: la scelta ricade su una tragedia greca, l'Edipo Re di Sofocle, e la scenografia riproduce le sette vie di Tebe che si intravedono nelle cinque aperture del proscenio con un raffinato gioco prospettico. In questa e altre rare occasioni le scene con le sette vie della città di Tebe furono illuminate con un originale e complesso sistema artificiale, ideato sempre da Scamozzi. Le scene, realizzate in legno e stucco per un uso temporaneo, non furono tuttavia mai rimosse e, malgrado pericoli d'incendio e bombardamenti bellici, si sono miracolosamente conservate fino ai giorni nostri, peraltro in ottimo stato di conservazione, uniche della loro epoca. La fama del nuovo teatro si sparge prima a Venezia e poi in tutta Italia suscitando l'ammirazione di quanti vi vedevano materializzato il sogno di generazioni di umanisti e architetti rinascimentali: erigere in forma stabile uno degli edifici simbolo della tradizione culturale classica. Il progetto palladiano ricostruisce il teatro dei romani con una precisione archeologica fondata sullo studio accurato del testo di Vitruvio e delle rovine dei complessi teatrali antichi. In ciò costituisce una sorta di testamento spirituale del grande architetto vicentino. Con l'Olimpico rinasce il teatro degli Antichi, e nel progettarlo Palladio raggiunge una consonanza assoluta con il linguaggio della grande architettura classica, di cui per una vita intera "con lunga fatica, e gran diligenza e amore" aveva cercato di ritrovare le leggi della segreta armonia. Poi, nonostante un avvio così esaltante, l'attività dell'Olimpico venne interrotta dalla censura antiteatrale imposta dalla Controriforma e il teatro si riduce a semplice luogo di rappresentanza: vi viene accolto papa Pio VI nel 1782, l'imperatore Francesco I d'Austria nel 1816 e il suo erede Ferdinando I nel 1838. Con la metà dell'Ottocento riprendono saltuariamente le rappresentazioni classiche, ma si dovrà attendere l'ultimo dopoguerra, scampato il pericolo dei bombardamenti aerei, per tornare seriamente a fare spettacolo in un teatro che non ha uguali al mondo. Il teatro è tuttora sede di rappresentazioni e concerti ed è stato incluso nel 1994 nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO, come le altre opere palladiane a Vicenza. 3.2- Vicenza, Palazzo Chiericati, Bene protetto dall'UNESCO, Patrimonio dell'umanità Palazzo Chiericati è un edificio rinascimentale, progettato nel 1550 come residenza nobiliare per i conti Chiericati dall'architetto Andrea Palladio e costruito a partire dal 1551; fu completato solo alla fine del Seicento in forme sostanzialmente fedeli al disegno originario. Sede storica del museo civico (dal 1855), ospita la pinacoteca civica, che comprende collezioni di stampe, disegni, numismatica, statuaria medievale e moderna. Il palazzo fu commissionato ad Andrea Palladio dal conte Girolamo Chiericati agli inizi del 1550. Nel novembre di quell'anno Chiericati registra nel proprio “libro dei conti” un pagamento a favore dell'architetto per i progetti della propria residenza in città. Nello stesso mese, Girolamo è chiamato a sovraintendere alla gestione del cantiere delle Logge della Basilica, inauguratosi nel maggio del 1549. Tale coincidenza non è affatto casuale: insieme a Giangiorgio Trissino, Chiericati era tra i fautori dell’affidamento del prestigioso incarico pubblico al giovane Palladio, per il quale si era battuto in prima persona in Consiglio, e a lui ricorreva per la propria abitazione privata. Del resto anche suo fratello Giovanni, pochi anni più tardi, commissionerà all'architetto la villa di Vancimuglio. Nel 1546 Girolamo aveva ottenuto in eredità alcune vecchie case prospicienti la cosiddetta “piazza dell’Isola” (oggi Piazza Matteotti), uno spazio aperto all’estremità est della città, che doveva il proprio nome all’essere circondato su due lati dal corso del Retrone e dal Bacchiglione, che confluivano l’uno nell’altro: porto fluviale cittadino, l’Isola era sede del mercato di legname e bestiame. L’esiguità del corpo delle vecchie case spinge Girolamo a chiedere al Consiglio cittadino di poter utilizzare una fascia di circa quattro metri e mezzo di suolo comunale antistante le sue proprietà per realizzarvi il porticato della propria abitazione, garantendone una disponibilità pubblica. All’accoglimento dell’istanza segue l’immediato avvio del cantiere nel 1551, per arrestarsi nel 1557 alla morte di Girolamo, il cui figlio Valerio si limita a decorare gli ambienti interni, coinvolgendo una straordinaria équipe di artisti. Il palazzo rimase incompiuto per più di un secolo, interrotto a metà della quarta campata, così come documentano la Pianta Angelica e i taccuini dei viaggiatori. Fu completato solo intorno al 1680, seguendo i disegni che il progettista - morto un secolo prima, nel 1580 - aveva pubblicato nel suo trattato I quattro libri dell'architettura del 1570. Il Comune di Vicenza acquistò il palazzo nel 1839 dalla famiglia Chiericati, con l’intenzione di raccogliervi le civiche collezioni d’arte. Restaurato dagli architetti Berti e Giovanni Miglioranza. Il museo civico fu inaugurato il 18 agosto 1855. Il corpo occidentale del cortile fu realizzato nell’Ottocento. Miglioranza inoltre demolì la casa confinante che segnava il passaggio della piazza dell'Isola nel corso Palladio, mutando il contesto originario. Palladio per questo edificio utilizzò una tipologia per l'epoca inedita per le residenze cittadine, che ricorda in parte quella delle sue ville. Il palazzo, di imponenti dimensioni, è costituito da un corpo centrale con due ali simmetriche leggermente arretrate, dotate di grandi logge al livello del piano nobile. Esistono diversi autografi palladiani che restituiscono l’evolversi del progetto, da una prima soluzione dove il portico aggetta solamente al centro della facciata (per altro coperto da un timpano, come sarà per villa Cornaro) sino a quella attuale. La pianta è determinata dalle strette dimensioni del sito: un atrio biabsidato centrale è fiancheggiato da due nuclei di tre stanze con dimensioni armonicamente legate (3:2; 1:1; 3:5), ognuna con una scala a chiocciola di servizio e una monumentale al lato della loggia posteriore, elemento che tornerà nelle ville Pisani e Cornaro costruite negli stessi anni. Per conferire magnificenza all’edificio, ma anche per proteggerlo dalle frequenti inondazioni (e dai bovini che venivano venduti davanti al palazzo nei giorni di mercato), Palladio lo solleva su un podio, che nella parte centrale mostra una scalinata chiaramente mutuata da un tempio antico. Il piano inferiore presenta un portico colonnato, lungo tutta la facciata, in ordine dorico, con la relativa trabeazione che presenta il classico fregio con metope e triglifi alternati; il piano superiore, in ordine ionico con la relativa trabeazione con fregio continuo, è chiuso nelle parte centrale del prospetto e presenta due eleganti logge alle estremità. La straordinaria novità costituita da palazzo Chiericati nel panorama delle residenze urbane rinascimentali deve moltissimo alla capacità palladiana di interpretare il luogo in cui sorge: un grande spazio aperto ai margini della città, davanti al fiume, un contesto che lo rende un edificio ambiguo, palazzo e villa suburbana insieme. Sulla piazza dell’Isola, Palladio imposta una facciata a doppio ordine di logge in grado di reggere visivamente lo spazio aperto, e che si pone come elemento di un ipotetico fronte di un Foro romano antico. L'armonica facciata è strutturata in due ordini sovrapposti, soluzione fino ad allora mai utilizzata per una residenza privata di città, con un coronamento di statue. Sebbene logge sovrapposte siano presenti in palazzo Massimo a Roma del Peruzzi e nel Cortile antico del Bo di Moroni a Padova, l’uso che di esse ne fa Palladio nella facciata di palazzo Chiericati è qualcosa di assolutamente inedito per forza e consapevolezza espressiva. A palazzo Chiericati compare per la prima volta la chiusura del fianco delle logge con un tratto di muro in cui si apre un’arcata: una soluzione mutuata dal Portico di Ottavia a Roma che diventerà usuale nei pronai delle ville. Collezioni: La sede ospita ora le collezioni di pittura e scultura, il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe e il Gabinetto Numismatico. Un nucleo importante di dipinti è costituito dalle pale d’altare provenienti dalla distrutta chiesa di San Bartolomeo, opera di Bartolomeo Montagna, Bonconsiglio, Cima da Conegliano, Speranza e Fogolino, cui si aggiunge un gruppo di opere di carattere civile, costituito da sette lunettoni raffiguranti Glorificazioni di Podestà veneziani, di mano di J. Bassano, Maffei, Carpioni. Nell’Ottocento pervennero al Museo grandi lasciti gentilizi, comprendenti capolavori di Tintoretto, Van Dyck, Sebastiano e Marco Ricci, Luca Giordano, Tiepolo e Piazzetta. I 33 disegni di Palladio, autentica gemma delle collezioni, furono donati al Museo da Gaetano Pinali nel 1839. Le donazioni comprendono infine il lascito di Neri Pozza, costituito da sculture e incisioni dello stesso artista e dalla sua collezione d’arte contemporanea, comprendente opere di Carrà, De Pisis, Guidi, Licini, Rosai, Severini, Vedova, Mafai e Arturo Martini. Il lascito del marchese Giuseppe Roi, del 2012, consiste in una collezione con un centinaio tra dipinti, sculture e incisioni di artisti quali Édouard Manet, Camille Pisarro, Pablo Picasso, John Sargent, Medardo Rosso, Boldini, Pisanello, Garofalo, Canaletto, Giambattista Tiepolo. Assieme alle altre architetture palladiane di Vicenza, il palazzo è inserito dal 1994 nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Dal 1998 al 2000 ha subito un esteso intervento di restauro. 3.3- Vicenza, Basilica Palladiana, Bene protetto dall'UNESCO, Patrimonio dell'umanità La Basilica Palladiana è l’edificio pubblico che affaccia su Piazza dei Signori indissolubilmente legato all'architetto rinascimentale Andrea Palladio, che riprogettò il Palazzo della Ragione aggiungendo alla preesistente costruzione gotica le celebri logge in marmo bianco a serliane. Piazza dei Signori, così chiamata perchè vi sorgeva il Palazzo della Signoria o del Podestà e quello del Capitanio rappresenta il cuore della città. La Basilica è uno dei gioielli di Vicenza, probabilmente il più prezioso, assieme a La Rotonda ed il Teatro Olimpico certamente il più conosciuto e apprezzato nel mondo. All’inizio del 500, in quello che fu il secolo del Palladio, la Piazza fu in gran parte pavimentata, per essere poi lastricata completamente nei secoli successivi fino ad assumere verso la metà dell’800 l’aspetto attuale. Attigua alla Basilica, alla sinistra dell'edificio, sorge tuttora la Torre di Piazza, detta anche Torre Bissara, (XII sec), alta 82 metri, che in origine apparteneva alla famiglia dei Bissari, la quale di li a poco la cedette al Comune. Durante la dominazione della Serenissima Repubblica, vi fu collocato il Leone di San Marco, e nel 1444 la torre fu completata con l’innesto del pinnacolo. Ai piedi della torre sorgono le due Colonne di Piazza, che separano Piazza dei Signori da Piazza delle Biade. La Colonna del Leone, posta nel 1464, fu danneggiata nello stesso bombardamento che colpì la Basilica nel 1945, e quella che si può vedere oggi è solo un restauro dell’originale. La Colonna del Redentore è invece del 1640, disegnata dall’architetto Pizzocaro sul modello di quella del Leone. L'edificio su cui in seguito sarebbe intervenuto Palladio era il Palazzo della Ragione, realizzato secondo il progetto di Domenico da Venezia, che inglobava a sua volta due edifici pubblici preesistenti. Realizzato in forme gotiche verso la metà del Duecento, il Palazzo della Ragione nel suo piano superiore era interamente occupato da un enorme salone senza supporti intermedi, il salone del Consiglio dei Quattrocento. L'ambiziosa copertura a carena di nave rovesciata, ricoperto da lastre di rame, in parte sollevata da grandi archivolti, era ispirata a quella realizzata nel 1306 per il Palazzo della Ragione di Padova. Il rivestimento della facciata gotica era a rombi in marmo rosso e gialletto di Verona, tuttora visibile dietro l'aggiunta palladiana. L'edificio era sede delle Magistrature pubbliche di Vicenza e, al piano terreno, di un attivo gruppo di botteghe. Dal 1481 al 1494 Tommaso Formenton circonda di un doppio ordine di logge l'antico palazzo. Due anni dopo la fine del cantiere crolla l’angolo sud-ovest e per oltre quarant’anni i vicentini dibatteranno sulle modalità della ricostruzione. Nel corso dei decenni vengono investiti del problema i più quotati architetti operanti nella regione: Antonio Rizzo e Giorgio Spavento nel 1496, Antonio Scarpagnino nel 1525 e quindi Jacopo Sansovino nel 1538, Sebastiano Serlio nel 1539, Michele Sanmicheli nel 1541, e da ultimo Giulio Romano (1542) che elabora la singolare proposta di innalzare piazza delle Erbe e isolare l’edificio al centro di una grande piazza simmetrica. Nonostante pareri tanto illustri, nel marzo del 1546 il Consiglio cittadino approva il progetto di un architetto locale di appena trentotto anni, allora decisamente poco conosciuto: Andrea Palladio. L’incarico al proprio protetto fu senza dubbio una delle migliori vittorie di Giangiorgio Trissino (il mentore di Palladio), capace di coagulare intorno al suo nome la maggioranza dei consensi. Per dissipare ogni dubbio il Consiglio chiede la costruzione di un modello ligneo di una delle nuove arcate da sottoporre al giudizio dei vicentini. Dopo altri tre anni di discussioni, che rimettono in gioco i progetti Rizzo-Spavento e Giulio Romano, nel maggio del 1549 viene definitivamente approvato il progetto di Andrea Palladio per il quale si esprimono con forza i nobili Gerolamo Chiericati e Alvise Valmarana, che negli anni successivi saranno committenti di Palladio per i propri palazzi di famiglia (Palazzo Chiericati e Palazzo Valmarana). Per la sua costruzione fu impiegata la pietra bianca delle cave di Piovene, e il Palladio volle come partner del progetto il suo primo maestro, Giovanni da Pedemuro che lo prese a bottega, giovanissimo, come umile tagliapietre. Sotto la Repubblica di Venezia la Basilica costituì il fulcro di attività non solo politiche (consiglio cittadino, tribunale) ma anche economiche. All'interno del salone fu ospitato per un certo periodo il teatro all'antica, uno degli spazi scenici ad uso temporaneo progettati da Palladio (1561, 1562) prima del Teatro Olimpico. Si sono conservati diversi disegni autografi che documentano il precisarsi dell’idea progettuale dalla primitiva versione del 1546 alla struttura poi realizzata. La soluzione proposta da Palladio è una struttura per così dire elastica, in grado di tener conto dei necessari allineamenti con le aperture e i varchi del preesistente palazzo quattrocentesco. Il sistema si basa sull’iterazione della cosiddetta “serliana”, vale a dire una struttura composta da un arco a luce costante affiancato da due aperture laterali rettangolari, di larghezza variabile e quindi in grado di assorbire le differenze di ampiezza delle campate. Il funzionamento è evidente nelle arcate angolari, dove le aperture architravate sono ridotte quasi a zero, ma è presente in tutte le campate, la cui larghezza varia sempre, seppure di poco. La serliana (che Sebastiano Serlio pubblica nel IV Libro del suo trattato, edito a Venezia nel 1537) è in realtà una traduzione in linguaggio classico della polifora gotica, utilizzata per la prima volta da Donato Bramante in Santa Maria del Popolo a Roma e già impiegata nel Veneto da Jacopo Sansovino nella Libreria Marciana nel 1537. Tuttavia, il referente diretto dell’idea palladiana per Vicenza si ritrova nell’interno della chiesa del monastero di San Benedetto in Polirone, ristrutturato a partire dal 1540 da Giulio Romano, dove le serliane vengono utilizzate per assorbire le differenze di larghezza delle campate quattrocentesche della vecchia chiesa. Le logge del piano inferiore sono realizzate nell'ordine dorico, con la relativa trabeazione nel cui fregio si alternano metope (decorate con dischi e bucrani) e triglifi. Le logge del piano superiore sono invece in ordine ionico con la relativa trabeazione a fregio continuo. Il portico della Basilica accoglie una scala gotica che porta al piano superiore e al vastissimo salone: a metà della scala si può osservare la marmorea "bocca della verità", una feritoia dove si depositavano le denuncie anonime del tempo contro gli appestati. Dal piano superiore si può godere di una splendida vista delle tre piazze sottostanti, oltre a quella in oggetto anche Piazza delle Erbe e Piazzetta Palladio, mentre l’accesso al terrazzo sovrastante è di norma non consentito, salvo alcune eccezioni. Con una certa enfasi retorica, lo stesso Palladio definisce "basilica" il Palazzo della Ragione circondato dalle nuove logge in pietra, in omaggio alle strutture della Roma antica dove si discuteva di politica e si trattavano affari. Per la carriera di Palladio il cantiere delle logge costituisce un punto di svolta definitivo. Con questo egli diviene ufficialmente l’architetto della città di Vicenza, responsabile di un’opera grandiosa (interamente in pietra e che a consuntivo costerà la notevole somma di 60.000 ducati) senza eguali nel Cinquecento veneto: per ottenere un altro incarico di tale portata dovrà attendere gli anni 1560, con il cantiere della chiesa di San Giorgio a Venezia. Al tempo stesso, il salario di 5 ducati al mese costituirà per Palladio e la sua famiglia una indispensabile fonte costante di reddito, cui non rinuncerà per tutta la vita. Il cantiere procederà a rilento: il primo ordine di arcate settentrionali e occidentali sarà concluso nel 1561, il secondo livello, avviato nel 1564, sarà completato nel 1597 (diciassette anni dopo la morte di Palladio), il prospetto su piazza delle Erbe nel 1614. Il palazzo così trasformato rimase quindi ricordato come Basilica Palladiana dal nome del suo architetto. Nel corso della seconda guerra mondiale, il 18 marzo 1945, la Basilica fu gravemente danneggiata durante un bombardamento, assieme alla Torre Bissara, malgrado fossero stati inseriti dagli angloamericani tra i monumenti che non dovevano essere colpiti durante gli attacchi aerei. Una bomba incendiaria distrusse la copertura originale della Basilica, la quale venne fedelmente ricostruita nell'immediato dopoguerra utilizzando sempre la copertura di rame. L'Altopiano dei Sette Comuni donò il legno necessario. Un tempo sede delle magistrature pubbliche di Vicenza, oggi la Basilica Palladiana, dotata di tre spazi espositivi indipendenti, è teatro di mostre d'architettura e d'arte. Nel 1994 la Basilica, assieme agli altri monumenti di Vicenza "città del Palladio", è entrata nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. 3.4- Vicenza, Palazzo Barbaran Da Porto, Bene UNESCO, Patrimonio dell'umanità Palazzo Barbarano o Barbaran Da Porto, realizzato fra il 1570 e il 1575 dall'architetto Andrea Palladio è attualmente la sede del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio (CISA) e del Palladio Museum. Palladio lavorò a questa costruzione contemporaneamente alla pubblicazione del suo trattato (156970) come rammenta egli stesso. La facciata solenne è arricchita da un duplice ordine ionico (fascia inferiore) e corinzio (fascia superiore) e da decorazioni ai lati delle finestre del piano nobile. Anche le sale interne del pianterreno ed il salone sono decorati da ricchi stucchi. L’attico è caratterizzato da finestre quadrate e pilastrini. L’asimmetria della facciata è causata dal fatto che il proprietario acquistò in un secondo momento un’ulteriore area sufficiente per costruire altri due intercolumni. Anche costruendo questo palazzo, Palladio seppe adattarsi e rispettare il sito e la rete viaria esistenti a scapito dell’ortogonalità delle strutture. La fastosa residenza per il nobile vicentino Montano Barbarano è il solo grande palazzo di città che Andrea Palladio riuscì a realizzare integralmente. A testimonianza degli interessi culturali del committente, nella sua Historia di Vicenza del 1591, Iacopo Marzari ricorda Montano Barbarano come “di belle lettere e musico eccellentissimo”; nell'inventario del 1592 figurano diversi flauti, che confermano l’esistenza nel palazzo di un’intensa attività musicale. Esistono almeno tre differenti progetti autografi (conservati a Londra) che documentano ipotesi alternative per la planimetria dell'edificio, ben diverse dalla soluzione realizzata, a testimonianza di un complesso iter progettuale. Il Barbarano chiede infatti a Palladio di tener conto dell’esistenza di varie case appartenenti alla sua famiglia già presenti sull’area del nuovo palazzo e, a progetto già definito, acquista un’ulteriore casa adiacente, col risultato di rendere asimmetrica la posizione del portone d’ingresso. In ogni caso i vincoli posti dal sito e da un committente esigente diventano occasione di soluzioni coraggiose e raffinate: l’intervento palladiano è magistrale, elaborando un sofisticato progetto di “ristrutturazione” che fonde le diverse preesistenze in un edificio unitario. Al pianterreno, un magnifico atrio a quattro colonne salda insieme le due unità edilizie preesistenti. Nel realizzarlo Palladio è chiamato a risolvere due problemi: quello statico di sostenere il pavimento del grande salone al piano nobile, e quello compositivo di restituire un’apparenza simmetrica a un ambiente penalizzato dall’andamento sghembo dei muri perimetrali delle case preesistenti. Sulla base del modello delle ali del Teatro di Marcello a Roma, Palladio ripartisce l’ambiente in tre navate, disponendo al centro quattro colonne ioniche che gli consentono di ridurre l’ampiezza della luce delle crociere centrali, controventate da volte a botte laterali. Pone così in opera un sistema staticamente molto efficiente, in grado di reggere senza difficoltà il pavimento del salone soprastante Le colonne centrali vengono poi raccordate ai muri perimetrali da frammenti di trabeazione rettilinea, che assorbono l’irregolarità planimetrica dell’atrio: si realizza così una sorta di sistema a “serliane”, un accorgimento concettualmente simile a quello delle logge della Basilica Palladiana. Anche il tipo insolito di capitello ionico — derivante dal tempio di Saturno nel Foro romano — viene adottato perché consente di mascherare le lievi ma significative rotazioni necessarie ad allineare colonne e semicolonne. Nella decorazione del palazzo, Montano Barbarano coinvolge a più riprese alcuni grandi artisti del suo tempo: Battista Zelotti, già intervenuto negli spazi palladiani di villa Emo a Fanzolo, Anselmo Canera e Andrea Michieli detto il Vicentino; gli stucchi sono affidati a Lorenzo Rubini, autore negli stessi anni della decorazione esterna della Loggia del Capitanio, e, dopo la sua morte avvenuta nel 1574, al figlio Agostino. L’esito è un palazzo sontuoso in grado di rivaleggiare con le dimore dei Thiene, dei Porto e dei Valmarana, e che consente al suo committente di rappresentarsi in città come esponente di punta dell’élite culturale vicentina.