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L’IVA
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
AttuALità, prAticA e Approfondimento
Agosto-settembre 2016 – rivista mensile - Anno 16, n. 8-9 - direzione e redazione strada 1, palazzo f6, 20090 milanofiori Assago (mi).
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2016
7
8-9
incertezze e incongruenze
nella disciplina dell’autoconsumo
15
depositi doganali: novità in tema di momento
impositivo e trattazione per equivalenza
21
reverse charge per pc, tablet e console di gioco
26
Aliquota iVA per prestazioni rese da cooperative
sociali
30
iVA sul trasporto “inbound” per piccole
importazioni
37
notizia di reato e raddoppio dei termini
di accertamento
osserVAtorio ue
rAssegnA di documentAzione
5
00200974
AgendA
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Sommario 8-9
AGOSTO-SETTEMBRE 2016
Base imponibile
L’approfondimento - Incertezze e incongruenze nella disciplina dell’autoconsumo
Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE, la destinazione di beni a finalità estranee all’impresa
(anche per effetto della cessazione dell’attività), laddove sussistano i presupposti per l’assimilazione ad una
cessione a titolo oneroso, si configura indipendentemente dal tempo trascorso dal momento dell’acquisto del
bene e deve essere tassata sulla base del suo “valore residuo”, che corrisponde al “prezzo sul mercato”.
di Franco Ricca ..................................................................................................................................
7
Nuovo Codice Doganale
L’approfondimento - Depositi doganali: novità in tema di momento impositivo e trattazione
per equivalenza. La recente giurisprudenza della CGE
Il quadro giuridico comunitario in materia doganale, dal 1° maggio 2016, è radicalmente mutato, con diretti
impatti su numerosi istituti e procedure tipiche del diritto doganale. Tra questi, in particolare, è il deposito
doganale - regime sospensivo per eccellenza - uno degli istituti maggiormente modificati dalla nuova
regolazione unionale.
Atteso il suo rilievo strategico per molte imprese europee, il nuovo deposito doganale continua a presentarsi
come una opportunità fondamentale per gli operatori economici, in grado non solo di differire il momento
impositivo doganale, ma anche di gestire in sospensione di imposta la filiera logistica, grazie al nuovo metodo
dell’applicazione del regime per equivalenza.
In ultimo, continuano ad essere di assoluto rilievo le decisioni della Corte di Giustizia dell’UE (sentenza del
2 giugno 2016, cause riunite C-226/14 e C-228/14) che, sebbene riferite al precedente quadro normativo, non
mancano di ribadire la netta distinzione, nella contiguità, tra le questioni doganali e quelle dell’IVA, i cui regimi
sono applicabili in ragione di diversi e ben distinti presupposti.
di Benedetto Santacroce, Ettore Sbandi e Anna Abagnale.................................................................
15
Inversione contabile
L’approfondimento - PC, tablet e console di gioco: reverse charge esteso ma non per tutti
A partire dal 2 maggio 2016, si applica la disciplina dell’inversione contabile (“reverse charge”) alle cessioni
di “console” da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali
microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati
al consumatore finale.
L’estensione alle console da gioco, tablet PC e laptop si è avuta ad opera del D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24
che ha recepito le Direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del Consiglio del 22 luglio 2013.
Per chiarire alcuni dubbi applicativi della nuova disposizione, soprattutto in merito all’applicazione o meno
del reverse charge ai consumatori finali, è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare 25 maggio 2016,
n. 21/E.
Nel documento di prassi, inoltre, si affrontano altri aspetti relativi al meccanismo dell’inversione contabile
che risultano toccati dal Decreto sopra citato.
di Saverio Cinieri ...............................................................................................................................
21
Aliquote
L’approfondimento - L’aliquota IVA per le prestazioni rese dalle cooperative sociali
La circolare Assonime n. 15 del 23 maggio 2016, nell’illustrare le modifiche riguardanti le aliquote IVA ridotte
disposte dalla Legge n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), si è soffermata sulla portata della nuova aliquota del
5% applicabile alle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali e loro
consorzi nei confronti di particolari categorie di “soggetti svantaggiati”.
L’Associazione ha risposto ai dubbi di compatibilità con la disciplina unionale sollevati dalla nuova aliquota e, a
questo riguardo, si pone il problema se, per le prestazioni rese dalle cooperative sociali, l’aliquota ridotta sia
ammessa solo per quelle non considerate esenti da imposta, come in effetti sono le prestazioni in esame, ai sensi
dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972.
di Marco Peirolo ................................................................................................................................
26
L’IVA 8-9/2016
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Sommario
Servizi internazionali
L’approfondimento - All’attenzione degli euro giudici l’IVA sul trasporto “inbound” per le piccole
importazioni
Dal 2016 sono esenti da IVA anche i servizi accessori, tra cui le spese di trasporto “inbound”, per le importazioni
relative a piccole spedizioni.
La questione oggetto di analisi dell’ordinanza n. 9150/2016 della Cassazione concerne però un recupero
effettuato dal Fisco nel 2007 nei confronti di una società di spedizioni che conformemente alla disciplina
comunitaria ma in antitesi a quella domestica aveva attuato detto principio. L’Amministrazione finanziaria,
diversamente, riteneva non imponibili detti oneri qualora avessero scontato l’IVA in dogana. I magistrati di
legittimità con un’ordinanza interlocutoria passano la palla ai colleghi unionali chiedendo lumi sulla conformità
del disposto interno, vigente “ratione temporis”, con la Direttiva IVA.
di Gabriele Liberatore .......................................................................................................................
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Accertamento
L’approfondimento - Notizia di reato e raddoppio dei termini di accertamento
In tema di accertamenti fiscali (redditi e IVA), la Corte di cassazione ha affermato, con ordinanza n. 9725/2016,
che il fatto storico dell’archiviazione della notizia di reato a carico del contribuente non impedisce, di per sé, in
assenza di altre e autosufficienti specificazioni, il raddoppio dei termini di accertamento, non potendosi da ciò
desumere un travisamento dello strumento legale.
La questione rimanda, in particolare, al problematico coordinamento interpretativo tra l’art. 2, comma 3,
del D.Lgs. n. 128/2015 e l’art. 1, comma 132, della Legge di stabilità 2016, che hanno diversamente
regolamentato la previsione del raddoppio dei termini di accertamento di cui all’art. 57, D.P.R. n. 633/1972
e all’art. 43, D.P.R. n. 600/1973, in presenza di rapporto penale per reati fiscali.
di Salvatore Servidio ..........................................................................................................................
37
Immobili
L’approfondimento - Prestazioni di servizi su fabbricati a prevalente destinazione abitativa:
le diverse aliquote IVA
L’individuazione della corretta aliquota IVA sulle prestazioni e cessioni rese nel settore edile ha, da sempre,
presentato notevoli difficoltà sia per la corretta interpretazione della definizione delle diverse fattispecie
agevolabili, sia per la frequenza con cui il legislatore è intervenuto nel settore. Con il presente contributo si vuole
analizzare la corretta applicazione delle diverse aliquote IVA, agevolate del 4% e del 10% ovvero ordinaria del
22%, in tema di prestazioni di servizi nel settore edile riferite a fabbricati a prevalente destinazione abitativa
privata.
di Stefano Setti ...................................................................................................................................
Dall’Unione Europea
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Osservatorio
• Corte di Giustizia
con NOTE di Marco Peirolo ..............................................................................................................
Panorama normativo
51
Rassegna
Legislazione ..........................................................................................................................................................................
Prassi .....................................................................................................................................................................................
Giurisprudenza ....................................................................................................................................................................
61
63
64
Agenda
Settembre - Ottobre 2016
a cura di Valerio Artina e Roberta Aiolfi ..........................................................................................
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L’IVA 8-9/2016
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Sommario
L’IVA
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Base
imponibile
Incertezze e incongruenze
nella disciplina dell’autoconsumo
di Franco Ricca
L’approfondimento
Secondo l’orientamento della Corte di
Giustizia UE, la destinazione di beni a finalità
estranee all’impresa (anche per effetto della
cessazione dell’attività), laddove sussistano i
presupposti per l’assimilazione ad una cessione a titolo oneroso, si configura indipendentemente dal tempo trascorso dal
momento dell’acquisto del bene e deve essere
tassata sulla base del suo “valore residuo”, che
corrisponde al “prezzo sul mercato”.
Riferimenti
CGE, sentenza 16 giugno 2016, causa
C-229/15
Agenzia delle entrate, circolare 1° giugno
2016, n. 26/E
Direttiva 2006/112/CE, artt. 18, lett. c),
184; 187
La recente sentenza della Corte di Giustizia UE
16 giugno 2016, causa C-229/15, riaccende i riflettori sulle problematiche inerenti l’imposizione delle
operazioni che, pur non rientrando nella categoria
delle cessioni di beni secondo la definizione tipica
della nozione, sono tuttavia a queste assimilate ai
fini del tributo.
Tra le ipotesi di “cessione per assimilazione”, in
questa sede ci si sofferma su quella che ha come
presupposto la sottrazione dall’impresa di beni che
hanno formato oggetto di detrazione all’atto dell’acquisto (e sono, dunque, sgravati dell’imposta),
allorché sono prelevati dall’imprenditore per utilizzarli a fini privati, oppure per trasferirli a titolo
gratuito o, più generalmente, per destinarli a
finalità estranee all’esercizio dell’impresa. In questa fattispecie, l’assenza del corrispettivo, che costituisce la base imponibile delle operazioni a titolo
oneroso, rende necessario assumere un parametro
alternativo per il calcolo dell’imposta, che la legge
individua nel prezzo di acquisto o di costo del bene,
determinato però nel momento in cui è effettuata
l’operazione.
Cessioni di beni: definizione ed estensioni
Il principio del sistema comune dell’IVA, com’è
noto, consiste nell’applicare ai beni e ai servizi
un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, quale che
sia il numero di transazioni intervenute nel processo
di produzione e di distribuzione.
A ciascuna transazione, l’IVA, calcolata sul prezzo
del bene o del servizio secondo l’aliquota stabilita, è
esigibile, previa deduzione dell’ammontare
dell’IVA che ha gravato direttamente sul costo
dei diversi elementi costitutivi del prezzo (1).
In armonia con il richiamato principio fondamentale, l’oggetto dell’imposta comprende le cessioni
di beni e le prestazioni di servizi effettuate “a titolo
oneroso” (2) (oltre che, per motivi particolari, le
importazioni e gli acquisti intracomunitari, che non
rilevano in questa sede).
L’onerosità è dunque un elemento strutturale nella
definizione delle operazioni soggette al tributo, il
quale è commisurato, peraltro, al corrispettivo versato o dovuto al cedente o prestatore quale contropartita della fornitura del bene o del servizio, sicché
in mancanza di un corrispettivo - inteso soggettivamente, come l’effettivo controvalore dovuto al fornitore dal destinatario o da un terzo, e non come un
valore stimato in termini oggettivi - l’operazione, in
via di principio, non è soggetta all’imposta (3).
Note:
(1) Art. 1, par. 2, della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, di
seguito indicata come “Direttiva IVA” o semplicemente “Direttiva”.
(2) Art. 2, par. 1, lett. a) e c), Direttiva.
(3) Cfr., ex multis, sentenze CGE 5 febbraio 1981, causa C-154/80 e
29 ottobre 2009, causa C-246/08.
L’IVA 8-9/2016
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imponibile
Tuttavia, ampliando il campo di applicazione dell’imposta, l’art. 16 della Direttiva assimila ad una
cessione a titolo oneroso “il prelievo di un bene dalla
propria impresa da parte di un soggetto passivo il
quale lo destina al proprio uso privato o all’uso del
suo personale, lo trasferisce a titolo gratuito o, più
generalmente, lo destina a fini estranei alla sua
impresa, quando detto bene o gli elementi che lo
compongono hanno dato diritto ad una detrazione
totale o parziale dell’IVA”. Sono però esclusi dall’assimilazione “i prelievi ad uso dell’impresa per
regali di scarso valore e campioni”, che rimangono
così estranei alla sfera impositiva.
L’art. 18 della Direttiva, inoltre, attribuisce agli Stati
membri la facoltà di assimilare ad una cessione a titolo
oneroso altre fattispecie, fra cui “c) ... il possesso di
beni da parte di un soggetto passivo o dei suoi aventi
causa in caso di cessazione della sua attività economica imponibile, quando detti beni hanno dato diritto
ad una detrazione totale o parziale dell’IVA ...”.
Obiettivo di queste disposizioni estensive della
sfera delle operazioni imponibili, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia UE, è quello di garantire una parità di
trattamento tra il soggetto passivo che prelevi un
bene dalla sua impresa e un consumatore ordinario
che acquisti un bene dello stesso tipo: a tal fine,
l’assimilazione del prelievo ad una cessione a titolo
oneroso evita che il soggetto passivo che ha potuto
detrarre l’IVA sull’acquisto di un bene destinato
alla sua impresa sfugga al pagamento dell’imposta
quando preleva il bene stesso dal patrimonio della
sua impresa per fini privati e goda così di indebiti
vantaggi rispetto al consumatore ordinario che
acquista il bene pagando il tributo.
Nell’ordinamento nazionale, queste disposizioni
estensive trovano riscontro (non del tutto puntuale)
nell’ambito delle previsioni dettate dal secondo
comma dell’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972, volte
ad assimilare alle cessioni a titolo oneroso:
• le cessioni gratuite che riguardano beni oggetto
dell’attività propria dell’impresa, ovvero anche
altri beni se di costo unitario superiore a 50 euro,
eccettuati “quelli per i quali non sia stata operata,
all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta a
norma dell’art. 19, anche se per effetto dell’opzione
di cui all’art. 36-bis” (art. 2, secondo comma, n. 4);
• la destinazione di beni all’uso personale o familiare, o comunque a finalità estranee all’esercizio
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L’IVA 8-9/2016
dell’attività economica, anche a seguito di cessazione dell’attività, con esclusione dei beni “per i
quali non è stata operata, all’atto dell’acquisto, la
detrazione dell’imposta di cui all’art. 19” (n. 5);
• le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da
società di ogni tipo e oggetto (n. 6).
La circostanza della mancata detrazione dell’imposta “a monte”, che esclude l’assimilazione alla
cessione a titolo oneroso, nella previsione del
n. 4) (cessioni gratuite) è enunciata diversamente
che in quella del n. 5) (autoconsumo), mentre è
assente in quella del n. 6) (assegnazioni ai soci).
La diversificazione non ha però ragion d’essere:
poiché le tre fattispecie sono riconducibili all’unica
matrice impiegata dal legislatore sovranazionale
nella declinazione dei presupposti delle corrispondenti cessioni assimilate di cui agli artt. 16 e 18 della
Direttiva, la loro disciplina deve essere uniforme.
Questa conclusione, relativamente alle fattispecie
di cui ai nn. 5) e 6), rilevanti nel quadro delle
disposizioni in materia di cessione e assegnazione
agevolata ai soci, nonché di trasformazione
in società semplice, contenute nella Legge
n. 448/2001, è stata fatta propria dall’Agenzia
delle entrate nella circolare n. 40 del 13 maggio
2002. Nella circolare, infatti, si afferma che la
trasformazione agevolata in società semplice,
l’estromissione dei beni dall’impresa e l’assegnazione agevolata ai soci sono “da ricomprendere,
unitamente all’autoconsumo, tra le fattispecie di
cui all’art. 5, par. 6, della VI Direttiva IVA [ora
art. 16 della Direttiva IVA, N.d.A.] da assoggettare
ad IVA, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, n. 5 del
D.P.R. n. 633/1972 ... sempreché all’atto dell’acquisto sia stata operata la detrazione dell’imposta ai
sensi dell’art. 19. Pertanto non è dovuta l’IVA ... per
quei beni per i quali l’imposta non è stata detratta
all’atto del relativo acquisto, non verificandosi,
infatti, per tali fattispecie il presupposto oggettivo
richiesto dal citato art. 2, secondo comma, n. 5.”.
L’orientamento è stato confermato nella recente
circolare n. 26/E del 1° giugno 2016, in relazione
alle disposizioni contenute nell’art. 1, commi da
115 a 121, della Legge n. 208/2015.
La base imponibile delle
cessioni “per assimilazione”
Venendo alla base imponibile, l’art. 13, secondo
comma, lett. c) del D.P.R. n. 633/1972 prevede
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Base
imponibile
IL PROBLEMA
che per le cessioni - prive di
ma deve comprendere anche
Posto che la base imponibile delle
corrispettivo - indicate ai
tutte le spese sostenute per
“cessioni per assimilazione” è costituita
numeri 4), 5) e 6) del comma
riparare e completare il bene
dal “valore residuo del bene al momento
2 dell’art. 2, questa è costituita
stesso durante la sua vita
del prelievo”, bisogna stabilire come
“dal prezzo di acquisto o, in
aziendale (sempreché si tratti
debba determinarsi tale valore residuo; in
mancanza, dal prezzo di costo
di spese relative ad acquisto di
particolare, se debba identificarsi con il
dei beni o di beni simili, deterbeni e servizi in relazione ai
prezzo (o costo) non ancora “consumato”
minati nel momento in cui si
quali sia stata applicata l’imnello svolgimento dell’attività economica
effettuano tali operazioni ...”.
posta e sia stata operata la
(il costo non ammortizzato), oppure con il
La disposizione è stata così
detrazione della medesima),
valore di mercato del bene (valore
riformulata dalla Legge n. 88/
tenendosi, comunque, conto,
commerciale), oppure altrimenti.
2009 a fini di adeguamento
anche con riferimento a queall’art. 74 della Direttiva, che
ste, del deprezzamento che il
dispone esattamente nel medebene ha subito nel tempo”.
simo senso; nella versione precedente, infatti, la
Ad avviso dell’Agenzia, inoltre, per i beni riscattati
disposizione nazionale identificava la base imponinell’ambito dei contratti di leasing, “ferma restando
bile delle cessioni in esame nel “valore normale”,
la generale qualificazione del leasing come prestacriterio che la Direttiva riserva invece alla fattispezione di servizio (4), l’assegnazione dopo il riscatto
cie particolare - non recepita nell’ordinamento
assume, pertanto, rilevanza, ai fini dell’IVA, non
nazionale - dell’autoconsumo interno di prestazioni
già in funzione del solo prezzo di riscatto, ma di un
di servizi (artt. 77 e 27 della Direttiva), nonché alle
valore che, oltre gli apprezzamenti e deprezzamenti
operazioni fra soggetti collegati [art. 80 della
di cui si è detto, deve essere calcolato tenendo conto
Direttiva e art. 13, comma 3, lett. a), b) e c), del
anche dei canoni di leasing pagati alla società conD.P.R. n. 633/1972].
cedente prima dell’esercizio del riscatto”.
L’Agenzia delle entrate, occupandosi - a quanto
Quest’ultima precisazione conduce alla questione
consta, per la prima volta - della disposizione
centrale: posto che la base imponibile delle “cescome modificata dalla Legge n. 88/2009, nella
sioni per assimilazione” è costituita dal “valore
citata circolare n. 26/2016 ha osservato che “la
residuo del bene al momento del prelievo”, rimane
previsione del criterio del prezzo di acquisto o di
ancora da stabilire come debba determinarsi tale
costo, in sostituzione di quello del valore normale,
valore residuo; in particolare, se debba identificarsi
implica che la base imponibile IVA della cessione
con il prezzo (o costo) non ancora “consumato”
gratuita non comprenda il ‘ricarico’ normalmente
nello svolgimento dell’attività economica
praticato sul mercato per quel bene, bensì sia costi(potremmo dire, il costo non ammortizzato), oppure
tuito dal prezzo di acquisto del bene ‘attualizzato’ al
con il valore di mercato del bene (valore commermomento della cessione”.
ciale), oppure altrimenti.
Nella circolare viene poi richiamata la sentenza
della Corte di Giustizia UE 17 maggio 2001,
a) L’ipotesi del “costo non ammortizzato”
cause riunite C-322/99 e C-323/99, secondo cui la
Illustrando le modifiche apportate all’art. 13 del
base imponibile della cessione senza corrispettivo
D.P.R. n. 633/1972 dalla Legge n. 88/2009,
coincide con “il valore residuo del bene al momento
del prelievo”, per la cui quantificazione occorre
Nota:
tenere conto “anche delle spese relative agli inter(4) La precisazione appare interessante in relazione all’evoluzione
venti consistenti nell’incorporazione nel bene prindella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, volta a qualificare cipale oggetto di cessione di altri beni che ne
non senza qualche contraddizione e con riflessi problematici di non
poco conto - le operazioni di locazione finanziaria, in presenza di
abbiano comportato un incremento duraturo di
determinate circostanze (affatto particolari, bensì tipiche del negozio
valore non interamente consumato al momento
giuridico in questione), come cessioni di beni anziché prestazioni di
del prelievo”.
servizi. In tal senso, le sentenze 2 luglio 2015, causa C-209/14 e
Pertanto, “il prezzo di acquisto non può essere
16 febbraio 2012, causa C-118/11, alle cui statuizioni si è allineata la
limitato all’importo pagato per acquistare il bene,
Corte di cassazione nella sentenza 16 ottobre 2015, n. 20951.
L’IVA 8-9/2016
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imponibile
Assonime, nella circolare n. 42 del 13 ottobre 2009,
osservava che “la locuzione utilizzata dalla Direttiva,
ripresa letteralmente nella nuova disposizione ...
potrebbe dare adito a qualche incertezza poiché, da
un canto, fa riferimento a un dato già determinato (il
prezzo di acquisto), dall’altro sembra prevedere una
attualizzazione del dato (da stabilire con riferimento
al momento in cui si effettuano le operazioni). Tale
contraddittorietà è stata rilevata anche dalla Corte di
Giustizia in sede di interpretazione della disposizione comunitaria, ma a ben vedere essa è solamente
apparente: la norma trova giustificazione proprio
nella ratio che ha portato a stabilire l’imponibilità
delle operazioni nelle quali il corrispettivo è assente
... L’imponibilità di tali operazioni, in sostanza, ha la
funzione di consentire all’Erario il recupero dell’imposta applicata nelle fasi precedenti l’operazione e
regolarmente detratta dal contribuente.”
Assonime osservava, ancora, che “Il prezzo di
acquisto, quindi, ai fini della determinazione dell’imponibile, non può essere limitato solo all’importo pagato per acquistare il bene, ma dovrebbe
comprendere anche le spese relative ad acquisti di
beni e servizi sostenute, in ipotesi, per riparare o
completare il bene (naturalmente se rilevanti ai fini
IVA: non sono tali, ad esempio, le retribuzioni ai
dipendenti impiegati nella manutenzione), tenendosi conto, inoltre, di quanto è stato già consumato
al momento della effettuazione dell’operazione;
non potrebbe, ad esempio, essere assunto come
imponibile della cessione il prezzo di acquisto ‘tal
quale’, se il bene nel frattempo è stato usato ed è
diminuito di valore, così come non potrebbe assumersi il mero prezzo di acquisto se il bene è stato
migliorato (riparato o completato) ed è aumentato di
valore. In tale ottica, il riferimento al prezzo di
acquisto tende a coincidere con il valore residuo
del bene al momento del prelievo, intendendo, però,
come valore residuo, non il valore normale, ma la
somma dei prezzi pagati per l’acquisto dei beni e dei
servizi che hanno consentito la realizzazione del
bene, al netto del deprezzamento che il bene ha
subìto nel corso del tempo ... Il nuovo criterio
dovrebbe comportare, di regola, una riduzione
degli imponibili, rispetto a quelli determinati con
riferimento al valore normale: sembra evidente,
infatti, che il prezzo di acquisto o quello di costo
di un bene portano a stabilire importi inferiori a
quelli ricavabili in base ai prezzi che il cessionario o
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il committente dovrebbe pagare per ottenere, in
condizioni di libera concorrenza, gli stessi beni o
servizi”.
Concludendo l’analisi, Assonime richiamava il criterio del “valore residuo” indicato dalla Corte di
Giustizia nella citata sentenza del 17 maggio 2001,
da determinarsi addizionando al prezzo storico il
valore degli incrementi e sottraendo quello dei
decrementi (incluso il deprezzamento per decorso
del tempo).
Si deve evidenziare, in proposito, che secondo
quanto precisato al punto 78 della sentenza con
riguardo agli elementi addizionati al bene in un
momento successivo all’acquisto, la base imponibile è calcolata sull’incremento duraturo del valore
del bene, “non interamente consumato al momento
del prelievo”. La precisazione - a nostro avviso
riferibile non solo agli elementi addizionati, ma
anche al cespite - poteva indurre a ritenere che il
deprezzamento del bene dovesse valutarsi in un’ottica aziendalistico/fiscale, tenendo cioè conto che il
costo del cespite strumentale ad utilizzazione pluriennale viene trasferito nel prezzo dei beni e servizi
forniti dall’impresa, attraverso il processo di
ammortamento, e che su tale prezzo è applicata
l’IVA; l’imposta va così a gravare anche sulla
quota di costo, ma il diritto alla detrazione “a
monte” garantisce la neutralità, evitando gli effetti
di imposizione “a cascata” che si verificavano nel
sistema dell’IGE. In questa prospettiva, il “valore
residuo” sarebbe coinciso, come si diceva, con
l’eventuale costo non ancora “consumato”, ossia
non trasferito sui prezzi e non tassato “a valle”.
Per questa via, si poteva concludere che qualora il
bene avesse esaurito la propria utilità nel processo
economico dell’impresa, la sua destinazione a
finalità estranee all’attività dell’impresa non
dovesse assoggettarsi ad imposizione IVA per
assenza di “valore residuo” e, dunque, di base
imponibile, indipendentemente dall’esistenza di
un residuo valore di mercato.
Una simile conclusione, all’apparenza dirompente,
soprattutto in relazione agli esiti del precedente
criterio del “valore normale”, parrebbe coerente
con il sistema e l’oggetto dell’imposta, considerato
che, come si è detto, da un lato, il prezzo o costo
d’acquisto del bene interamente consumato nel
processo economico, avendo concorso alla determinazione del prezzo di vendita dei beni e/o servizi
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imponibile
forniti dall’impresa, è stato integralmente assoggettato al tributo e, dall’altro, non sussiste alcun trasferimento a titolo oneroso.
Sotto questo profilo, quindi, mentre si giustifica
pienamente la tassazione dell’eventuale cessione a
titolo oneroso anche del bene che, mutuando la definizione aziendalistico-reddituale, potremmo dire
“completamente ammortizzato”, non altrettanto giustificata pare la tassazione dell’eventuale “prelievo”
di tale bene, che implica una duplicazione d’imposta.
In via subordinata, lo scopo delle disposizioni sulle
“cessioni per assimilazione” sembrava autorizzare
la tesi che, in ogni caso, l’importo dell’imposta
dovuta all’atto della tassazione del prelievo non
dovesse superare quello dell’imposta detratta
all’atto dell’acquisto del bene (e delle eventuali
spese incrementative); diversamente, il soggetto
passivo che prelevi dall’impresa un bene per il cui
acquisto aveva esercitato la detrazione subirebbe
ingiustificatamente un’imposizione più gravosa
rispetto a quello che, invece, prelevi un bene per
il cui acquisto non aveva fruito (anche volontariamente) di alcuna detrazione.
Restava l’interrogativo su come si dovesse stabilire
il “valore residuo” del cespite, ossia il valore non
consumato nel processo economico: ad esempio, se
in relazione ai coefficienti di ammortamento,
mutuati dall’imposizione sul reddito, oppure ricorrendo al criterio, per certi aspetti similare, del
periodo di “vita utile” previsto, in materia di IVA,
ai fini della rettifica della detrazione, introdotto
nell’ordinamento interno a decorrere dal 1998,
con l’inserimento dell’art. 19-bis2 nel D.P.R.
n. 633/1972. Si rammenta, in proposito, che nella
circolare ministeriale n. 328/1997 è stato precisato
che se il cambio di destinazione di un bene ammortizzabile avviene dopo il decorso del c.d. periodo di
sorveglianza (cinque anni a partire da quello di
acquisto, elevati a dieci per gli immobili), nessuna
rettifica va più effettuata “poiché si considera che il
bene, sotto il profilo del tributo, abbia esaurito ogni
sua funzione”.
b) L’ipotesi del “valore commerciale”
Due successivi interventi della Corte di Giustizia,
tuttavia, hanno imposto di rivedere le argomentazioni di cui sopra. Nella sentenza 8 novembre 2012,
causa C-299/11, la Corte, riguardo alla base imponibile di una “cessione per assimilazione”, accenna
infatti al “valore di mercato” del bene. Questo
riferimento è stato ripreso nella sentenza 8 maggio
2013, causa C-142/12, avente ad oggetto una questione concernente in modo specifico la lett. c)
dell’art. 18 della Direttiva, in base alla quale gli
stati membri possono assimilare ad una cessione di
beni effettuata a titolo oneroso anche “... il possesso
di beni da parte di un soggetto passivo o dei suoi
aventi causa in caso di cessazione della sua attività
economica imponibile, quando detti beni hanno
dato diritto ad una detrazione totale o parziale
dell’IVA al momento dell’acquisto ...”.
Si trattava, in sostanza, di stabilire se, in forza di tale
disposizione, il Fisco potesse pretendere di tassare i
beni posseduti da una società al momento della
cancellazione della sua posizione IVA e, in caso
affermativo, come dovesse determinarsi la base
imponibile, in particolare se fosse compatibile
con l’ordinamento dell’UE la normativa bulgara
che assume il criterio del “valore normale”.
In proposito, la Corte ha osservato che “la determinazione della base imponibile di un’operazione del
tipo di quella prevista dall’art. 18, lett. c), della
Direttiva IVA rientra nell’ambito di applicazione
dell’art. 74 della Direttiva IVA e non in quello
dell’art. 80”, sicché la base imponibile è costituita
non dal “valore normale”, ma “dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del
prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati
nel momento in cui si effettuano tali operazioni”. Ha
ricordato, poi, di avere già dichiarato che con tale
locuzione si deve intendere “il valore residuo del
bene al momento del prelievo” e che, con riferimento ad un’operazione di destinazione di un bene
ad attività esente, anch’essa rientrante, al pari della
destinazione per cessata attività, nell’art. 18 della
Direttiva, la base imponibile è “il valore del bene in
questione determinato al momento della destinazione, che corrisponde al prezzo sul mercato di un
bene simile tenuto conto dei costi di trasformazione
di tale bene”.
Pertanto, “la base imponibile dell’operazione in
caso di cessazione dell’attività economica imponibile è il valore dei beni di cui trattasi determinato al
momento di tale cessazione, che tiene quindi conto
dell’evoluzione del valore di detti beni tra la loro
acquisizione e la cessazione.”.
Ciò posto, atteso che, secondo la normativa bulgara,
la base imponibile dell’operazione è il “valore
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imponibile
normale”, definito dalla stessa normativa “come
l’importo pagato alle stesse condizioni per un
bene identico o simile tra persone non collegate”,
la Corte ha concluso che “spetta al giudice del rinvio
verificare se il valore normale ai sensi di tale
disposizione, come interpretata e applicata
dall’Amministrazione tributaria bulgara, corrisponda in pratica al valore residuo dei beni alla
data della cessazione dell’attività economica
imponibile”.
Da ultimo, la Corte, nella sentenza del 16 giugno
2016 cui si accennava all’inizio, pur non aggiungendo nulla di nuovo in merito alla determinazione
del “valore residuo”, rigetta apertamente alcune
argomentazioni svolte a supporto della tesi del
“costo non ammortizzato”.
La causa principale riguardava il ricorso di un
contribuente avverso il parere rilasciato
dell’Amministrazione finanziaria polacca in merito
al trattamento applicabile, a seguito e in dipendenza
della cessazione dell’attività professionale, ad una
porzione di un fabbricato, utilizzata come strumentale, che il soggetto passivo aveva fatto costruire
detraendo l’IVA sulle relative spese.
Il professionista aveva interpellato preventivamente
l’Amministrazione per sapere se la fattispecie rientrasse fra le cessioni “per assimilazione” e, in caso
affermativo, quale fosse la base imponibile. Egli
sosteneva, al riguardo, che il valore del suddetto
bene non dovesse essere preso in considerazione,
pena la violazione del principio della neutralità
dell’IVA, in quanto la cessazione dell’attività era
avvenuta dopo la scadenza del periodo di rettifica,
che per i beni immobili è di dieci anni. In subordine,
nel caso in cui tale tesi non fosse condivisa, prospettava che la base imponibile dell’operazione dovesse
essere il prezzo di costo del cespite, se inferiore
all’attuale valore di mercato; ciò, evidentemente, al
fine di evitare che la tassazione dell’autoconsumo
facesse emergere un’imposta dovuta di importo
superiore a quello dell’imposta detratta.
L’Amministrazione aveva però risposto che l’assoggettamento del bene all’IVA, in ragione della
cessazione dell’attività, era giustificato dalla natura
di imposta sul consumo ed era in linea con il principio di neutralità dell’imposta, dovendosi assoggettare all’IVA tutti i beni sull’acquisto dei quali è
stata detratta l’imposta “a monte”, allo scopo di
controbilanciare detta detrazione.
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L’IVA 8-9/2016
Il giudice investito della controversia in ultima
istanza dubitava della correttezza della tesi del
Fisco, osservando puntualmente che, poiché “la
durata giuridica di vita utile dei beni d’investimento
impiegati ai fini dell’attività economica del soggetto passivo, espressa per il periodo di rettifica
(art. 187 della Direttiva IVA), si è esaurita, si
potrebbe presumere che il soggetto passivo, nel
corso del periodo in cui il bene durevole è stato
usato nell’ambito della sua attività soggetta ad
imposta, abbia ‘consumato’ l’imposta detratta per
il suo acquisto, essendo tale imposta connessa,
durante tutto il periodo del suo utilizzo (rettifica),
all’imposta dovuta, generata da tale bene durevole
destinato all’attività economica del soggetto passivo.” Il giudice decideva quindi di rivolgersi alla
Corte di Giustizia UE, sollevando una questione
che, nei termini in cui è stata riformulata dalla Corte,
mirava a chiarire se la fattispecie imponibile dell’autoconsumo per cessata attività, di cui all’art. 18,
lett. c), della Direttiva, si concretizzi anche con
riguardo ai beni d’investimento per il cui acquisto
sia stata detratta l’imposta, in relazione ai quali sia
però decorso il periodo della rettifica della detrazione previsto dall’art. 187 della Direttiva.
Nella sentenza, la Corte ricorda di avere chiarito che
“il principale obiettivo dell’art. 18, lett. c), della
Direttiva IVA è quello di evitare che beni che
abbiano dato diritto a detrazione siano oggetto di
un consumo finale non assoggettato ad imposta a
seguito della cessazione dell’attività imponibile, a
prescindere dai motivi o dalle circostanze di essa.”.
Il meccanismo della rettifica delle detrazioni “mira,
a sua volta, ad aumentare la precisione delle detrazioni così da assicurare la neutralità dell’IVA, in
modo che le operazioni effettuate nella fase anteriore continuino a dare luogo al diritto di detrazione
soltanto nei limiti in cui esse siano destinate a
fornire prestazioni soggette ad una simile imposta.
Tale meccanismo ha così lo scopo di stabilire una
relazione stretta e diretta tra il diritto alla detrazione
dell’IVA pagata a monte e l’impiego dei beni o dei
servizi di cui trattasi per operazioni soggette ad
imposta a valle”.
Ciò premesso, la Corte riconosce che, effettivamente, “la finalità dell’assoggettamento ad imposta
del possesso dei beni che hanno dato luogo alla
detrazione in forza dell’art. 18, lett. c), della
Direttiva IVA si avvicina a quella del meccanismo
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imponibile
IN SINTESI
di rettifica, posto che si tratta,
dal prezzo di acquisto dei beni
La Corte di Giustizia, nella sentenza del
da un lato, di evitare di procuo di beni simili, ovvero, in
16 giugno 2016 causa C-229/15, pur non
rare un indebito vantaggio ecomancanza del prezzo di acquiaggiungendo nulla di nuovo in merito alla
nomico al soggetto passivo
sto, dal prezzo di costo, deterdeterminazione del “valore residuo”,
rispetto ad un consumatore
minati nel momento in cui tali
rigetta apertamente alcune
finale che acquisti il bene
operazioni sono effettuate. La
argomentazioni svolte a supporto della
pagando l’IVA e, dall’altro,
base imponibile dell’operatesi del “costo non ammortizzato”.
di garantire una corrisponzione in caso di cessazione
denza tra la detrazione dell’imdell’attività economica impoposta a monte e la riscossione
nibile è il valore dei beni di cui
dell’imposta a valle”.
trattasi determinato al momento della cessazione,
Tuttavia, questa corrispondenza di obiettivi “non
che tiene quindi conto dell’evoluzione del valore di
significa che il periodo previsto per la rettifica di una
detti beni tra la loro acquisizione e la cessazione.
detrazione ... possa essere considerato quale
In conclusione, per “conseguire l’obiettivo di cui
periodo di scadenza oltre il quale l’assoggettamento
all’art. 18, lett. c), della Direttiva IVA, che consiste
all’imposta in forza dell’art. 18, lett. c), non sia più
nell’evitare che beni che hanno dato diritto a detrapossibile.”.
zione siano oggetto di un consumo finale non assogIn primo luogo, perché una tale circostanza non
gettato ad imposta a seguito della cessazione
figura in quest’ultima disposizione, che prevede
dell’attività economica imponibile e ad eliminare
l’assoggettamento all’imposta, in caso di cessaeffettivamente qualunque disparità in materia di
zione dell’attività, quando i beni hanno formato
IVA tra i consumatori che acquistano i loro beni
oggetto di detrazione al momento dell’acquisto,
presso un altro soggetto passivo e quelli che li
senza porre altre condizioni.
acquistano nell’ambito della propria impresa, l’asLa disposizione, poi, non contiene alcun rinvio alle
soggettamento ad imposta previsto dall’art. 18, lett.
disposizioni sulla rettifica della detrazioni, a diffec), della Direttiva IVA deve aver luogo ... quando un
renza dell’art. 168-bis, paragrafo 1, comma 2, della
bene che abbia dato diritto ad una detrazione
Direttiva, che invece rinvia a tali disposizioni reladell’IVA conserva un valore residuo al momento
tivamente all’assoggettamento ad imposta dell’uso
della cessazione dell’attività economica imponiprivato di un bene immobile in forza dell’art. 26
bile, indipendentemente dal periodo trascorso tra
della Direttiva.
la data dell’acquisizione di detto bene e quella della
Infine, mentre la rettifica è un meccanismo corretcessazione dell’attività stessa.”.
tivo a posteriori delle detrazioni operate, l’assoggettamento di cui all’art. 18, lett. c), non si fonda
Osservazioni conclusive
sulla premessa secondo cui la detrazione operata al
La conclusione della Corte, riguardo alla configumomento dell’acquisto dei beni posseduti all’atto
razione della fattispecie, appare indiscutibile. Resta
della cessazione dell’attività economica sia supeperò la questione della base imponibile.
riore o inferiore a quella che il soggetto passivo
Si deve prendere atto, al riguardo, che la tesi della
aveva diritto di effettuare, bensì sulla realizzazione
tassazione delle “cessioni per assimilazioni” per il
di una nuova operazione imponibile alla data della
solo costo non consumato nel senso illustrato sub a),
cessazione dell’attività economica.
come prospettato anche dal ricorrente nella causa
Tanto precisato in merito agli elementi strutturali
principale, non è stata condivisa dalla Corte, che
delle operazioni imponibili delineate dall’art. 18,
rimane invece orientata ad identificare il “valore
lett. c), per quanto concerne la relativa base imporesiduo”, base imponibile delle cessioni in esame,
nibile la Corte rileva che l’assoggettamento ad
nel valore di mercato. Questa interpretazione, di
imposta tiene conto delle modifiche del valore
fatto, ridimensiona la portata della modifica del
degli attivi d’impresa, durante tutta la durata del
2009, attenuando le differenze tra il “valore norloro uso per le attività di impresa, giacché, conformale” (definito dall’art. 72 della Direttiva) e il
memente all’art. 74 della Direttiva IVA, per le
“prezzo rideterminato” (di cui all’art. 74), che
operazioni in esame, la base imponibile è costituita
pure restano due concetti distinti.
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D’altronde, ai sensi dell’art. 72, per “valore normale” si intende, in prima battuta “l’intero importo
che l’acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene
la cessione di beni o la prestazione di servizi,
dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente ...”.
Secondo la stessa disposizione, però, “qualora non
siano accertabili cessioni di beni o prestazioni di
servizi analoghe, per ‘valore normale’ si intendono i
seguenti importi: 1) nel caso di beni, un importo non
inferiore al prezzo di acquisto dei beni o di beni
simili, o, in mancanza del presso di acquisto, al
prezzo di costo, determinati nel momento in cui si
effettuano tali operazioni ...”.
In concreto, la differenza essenziale parrebbe risiedere nel fatto che, come osservato dall’Agenzia delle
entrate nella circolare n. 26/2016, nella quantificazione del “prezzo attualizzato” non entra in gioco il
“ricarico normalmente praticato sul mercato per quel
bene”; anche questa circostanza, tuttavia, si ridimensiona allorché il “prezzo attualizzato” debba assumersi pari al valore di mercato.
Il quadro che ne scaturisce, in definitiva, denota a
nostro avviso alcune incongruenze nella disciplina
impositiva dell’autoconsumo, soprattutto (ma non
solo) in relazione ai beni suscettibili di incremento
di valore nel tempo, come gli immobili.
In primo luogo, come già detto, pare esservi doppia
imposizione sui beni che vengono tassati, una prima
volta, indirettamente in virtù della ripercussione del
relativo costo sul prezzo dei beni e servizi forniti
dall’impresa e, una seconda volta, in sede di autoconsumo, ove peraltro il tributo, essendo calcolato su
una base imponibile che corrisponde al “valore di
mercato”, finisce per colpire anche l’eventuale incremento di valore dovuto al mero trascorrere del
tempo.
In secondo luogo, il soggetto passivo che, a suo
tempo, aveva detratto l’imposta sull’acquisto del
bene oggetto di autoconsumo, può andare incontro
ad un trattamento deteriore rispetto al soggetto passivo che invece, non aveva esercitato la detrazione,
per il quale, non realizzandosi la fattispecie della
“cessione per assimilazione”, l’entità del carico tributario è circoscritta all’imposta non detratta.
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Per buona sorte, in relazione all’autoconsumo di
fabbricati, i soggetti passivi nazionali (come pure
quelli di altri Stati membri che abbiano adottato
disposizioni analoghe) hanno l’opportunità di sottrarsi alla penalizzante disciplina di cui sopra applicando, ove sussistano i relativi presupposti, il
regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, nn. 8bis) e 8-ter), del D.P.R. n. 633/1972, sembrando
pacifica l’applicabilità di queste disposizioni non
soltanto alle “cessioni proprie” (ossia a titolo oneroso), ma anche a quelle “per assimilazione”. In tal
caso, se al momento dell’autoconsumo esente è
trascorso il periodo di sorveglianza ai fini della
rettifica della detrazione (dieci anni ai sensi dell’art.
19-bis2, comma 8, D.P.R. n. 633/1972), non vi
saranno conseguenze agli effetti dell’IVA (salvo
l’eventuale pro-rata). Se invece il periodo non è
trascorso, occorrerà rettificare la detrazione e restituire, così, l’IVA detratta e non ancora “consumata”, ma nulla di più; il che porta alla luce,
rispetto al regime dell’autoconsumo imponibile,
un’ulteriore incongruenza, questa volta non giustificabile con la motivazione del differente ambito
delle disposizioni in materia di “cessioni per
assimilazione” rispetto a quelle in materia di rettifica della detrazione.
A quest’ultimo riguardo, infine, sarebbe forse
opportuna una riflessione sulle relazioni delle
disposizioni in esame e sugli effetti differenti
che, come si è visto, a parità di scopo, derivano
dall’applicazione delle prime piuttosto che delle
seconde. Effetti che talvolta sono addirittura
lasciati alla discrezionalità degli Stati membri,
come nell’ipotesi dell’autoconsumo per cessata
attività (art. 18, lett. c), nonché in quella della
destinazione di un bene ad un settore di attività
non assoggettato ad imposta (art. 18, lett. b),
operazioni che gli Stati membri “possono” assimilare ad una cessione di beni a titolo oneroso: a
seconda che il proprio Stato abbia esercitato o
meno questa facoltà, il carico fiscale per il
soggetto passivo che pone in essere una di tali
fattispecie potrà essere molto diverso, dovendo
nel primo caso assoggettare all’IVA il valore di
mercato del bene e, nel secondo, operare la
rettifica della detrazione.
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Codice Doganale
Depositi doganali: novità
in tema di momento impositivo
e trattazione per equivalenza. La recente
giurisprudenza della CGE
di Benedetto Santacroce, Ettore Sbandi e Anna Abagnale
L’approfondimento
Il quadro giuridico comunitario in materia
doganale, dal 1° maggio 2016, è radicalmente
mutato, con diretti impatti su numerosi istituti
e procedure tipiche del diritto doganale. Tra
questi, in particolare, è il deposito doganale regime sospensivo per eccellenza - uno degli
istituti maggiormente modificati dalla nuova
regolazione unionale.
Atteso il suo rilievo strategico per molte
imprese europee, il nuovo deposito doganale
continua a presentarsi come una opportunità
fondamentale per gli operatori economici, in
grado non solo di differire il momento impositivo doganale, ma anche di gestire in sospensione di imposta la filiera logistica, grazie al
nuovo metodo dell’applicazione del regime
per equivalenza.
In ultimo, continuano ad essere di assoluto
rilievo le decisioni della Corte di Giustizia
dell’UE (sentenza del 2 giugno 2016, cause
riunite C-226/14 e C-228/14) che, sebbene
riferite al precedente quadro normativo, non
mancano di ribadire la netta distinzione, nella
contiguità, tra le questioni doganali e quelle
dell’IVA, i cui regimi sono applicabili in ragione
di diversi e ben distinti presupposti.
Riferimenti
CGE 2 giugno 2016, sentenza cause riunite
C-226/14 e C-228/14
Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952/2013
Regolamento delegato UE 28 luglio 2015,
n. 2446
Regolamento di esecuzione UE 24 novembre
2015, n. 2447
I regimi speciali nel Codice Doganale dell’UE
La disciplina doganale comunitaria è stata
oggetto di una profonda revisione che, dal
1° maggio 2016, vede radicalmente modificate
le fonti normative UE, ora divise in quattro
norme regolamentari, ossia il Codice Doganale
(Reg. UE 952/13 - CDU), il Regolamento delegato (Reg. UE 2446/15 - R.D.), il Regolamento di
esecuzione (Reg. UE 2447/15 - RE) e il
Regolamento delegato transitorio sull’informatizzazione (Reg. UE 341/16 - RDT) (1).
I regimi doganali, in particolare, hanno subito
una radicale opera di modifica che ne ha ridisegnato i contorni in termini sostanziali ed
operativi.
In sostanza, ad eccezione dei regimi doganali di
immissione in libera pratica e di esportazione,
Benedetto Santacroce - Professore presso l’Università N. Cusano di
Roma. Avvocato in Roma e Milano, Studio Legale Tributario SantacroceProcida-Fruscione
Ettore Sbandi - Avvocato in Roma e Milano, Studio Legale Tributario
Santacroce-Procida-Fruscione
Anna Abagnale - Studio Legale Tributario Santacroce-Procida-Fruscione
Nota:
(1) Più compiutamente, sono ora in vigore: 1. Codice Doganale
dell’Unione (CDU): è il Reg. UE n. 952/2013 del 9 ottobre 2013,
che istituisce il Codice Doganale dell’Unione; 2. Reg. delegato del
CDU (R.D.): è il Reg. delegato UE n. 2446 del 28 luglio 2015, che
integra il Reg. UE n. 952/2013; 3. Regolamento di esecuzione del CDU
(RE): è il Reg. di esecuzione UE n. 2447 del 24 novembre 2015; 4.
Regolamento delegato transitorio del CDU (RDT): è il Reg. delegato
UE n. 341/2016 della Commissione, del 17 dicembre 2015, che
stabilisce misure transitorie relative ai mezzi per lo scambio e l’archiviazione di dati di cui all’art. 278 del CDU fino a quando i sistemi
elettronici necessari per l’applicazione delle disposizioni del codice
non siano operativi.
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Codice Doganale
OSSERVAZIONI
pure modificati (2), tutti i
Per questo, che in
Un primo elemento di considerazione, in
restanti movimenti attivabili
realtà, a livello generale,
termini di novità operative, sta nel fatto
in dogana sono ora convopone più di qualche
che i depositi sono ormai luoghi fisici nei
gliati sotto una unica disciperplessità (o difficoltà)
quali la merce può essere stoccata in
plina orizzontale dedicata ai
in termini di accertasospensione dalla fiscalità di confine, la
regimi c.d. speciali, disciplimento del requisito, è di
cui applicazione è demandata ad un
nati agli artt. 210 e seguenti
interesse notare come la
momento futuro ed eventuale connesso
del CDU (3).
legislazione ponga una
all’immissione in libera pratica delle
Le merci possono essere vinpresunzione di sussimerci che si realizza con l’estrazione
colate a una delle seguenti
stenza del requisito ritedelle stesse dal deposito.
categorie di regimi speciali:
nendo che un operatore
a) transito, che comprende il
economico
autorizzato
transito esterno e interno (4);
per le semplificazioni
b) deposito, che comprende il deposito doganale e
doganali soddisfi detta condizione (11);
le zone franche (5);
c) qualora per le merci vincolate a un regime
c) uso particolare, che comprende l’ammissione
speciale possa sorgere un’obbligazione dogatemporanea (6) e l’uso finale (7);
nale o per altre imposte, costituiscono una
d) perfezionamento, che comprende il perfezionagaranzia a norma dell’art. 89 CDU. Si badi
mento attivo e passivo (8).
che la garanzia in commento è riducibile o
Vale anzitutto la regola generale dell’autorizzaesonerabile, a livello singolo o globale, in
zione preventiva, per tutti i regimi speciali, con
presenza di una serie di requisiti e per
particolare riferimento al ricorso al regime di
mezzo di apposita istanza, ex art. 84 DA;
perfezionamento attivo o passivo, di ammissione
temporanea o di uso finale, ed alla gestione di
strutture di deposito per il deposito doganale
Note:
delle merci (9).
(2) Per l’export, cfr. B. Santacroce e E. Sbandi, “Il regime dell’esportaSalvo che sia altrimenti disposto, l’autorizzazione
zione e i nuovi oneri di stabilimento nel Codice Doganale dell’UE”, in
ai regimi speciali è concessa esclusivamente alle
questa Rivista, n. 6/2016, pag. 7.
(3) Disposizioni generali in materia di regimi speciali, titolo VII
persone che soddisfano tutte le condizioni
del CDU.
seguenti:
(4) Di fatto non incisi dalla nuova disciplina e confermati nel loro
a) sono stabilite nel territorio doganale
carattere sospensivo, l’uno riservato alle merci non unionali in trandell’Unione. Per questo requisito, si richiama
sito per l’UE e l’altro, viceversa, per merci unionali in transito per
territori extra UE.
al concetto generale di stabilimento quale
(5) Zone franche che, ora, non sono mere destinazioni doganali, ma
regola di base per l’accesso non solo ai
veri e propri regimi unici e sospensivi, con conseguente abolizione del
regimi speciali (ed all’esportazione), ma
deposito franco.
anche alle facilitazioni previste dalla disci(6) Di fatto invariata per merci extra UE sono momentaneamente
introdotte nell’UE in sospensione o riduzione dal dazio.
plina doganale unionale, primo fra tutti il
(7) Ora non più mera specie del genere immissione in libera pratica, ma
riconoscimento dello status di operatore ecovero e proprio regime designato ad accompagnare le merci in esennomico autorizzato AEO (10). Per complezione o riduzione dal dazio, in virtù del loro peculiare utilizzo.
tezza, si rileva come la regola di base sia in
(8) Pienamente confermati e potenziati, con particolare riferimento al
perfezionamento attivo che non obbliga più gli operatori alla riesporalcuni casi derogabile, ex art. 161 DA, in
tazione di prodotti lavorati a seguito dell’introduzione in sospensione
quanto le autorità doganali possono occasiodi imposta di materie prime; dunque, il regime può esitarsi con la
nalmente, ove lo ritengano giustificato, conriesportazione, come già avveniva, o con l’importazione dei prodotti
cedere un’autorizzazione per il regime di uso
trasformati, come riservato precedentemente al regime, ora abolito,
della trasformazione sotto controllo doganale.
finale o il regime di perfezionamento attivo a
(9) Ad eccezione dei casi in cui il gestore delle strutture di deposito sia
persone stabilite al di fuori del territorio
l’autorità doganale.
doganale dell’Unione;
(10) Cfr. artt. 38 ss. CDU.
b) offrono tutte le necessarie garanzie di un
(11) Ovviamente se nell’autorizzazione si tiene conto dell’attività
ordinato svolgimento delle operazioni.
relativa al regime speciale interessato.
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d) per i regimi di ammissione temporanea o perfezionamento attivo, utilizzano o fanno utilizzare le merci o effettuano o fanno effettuare
operazioni di perfezionamento delle merci.
Il deposito doganale privato nel CDU
La disciplina unionale in materia di depositi
abbandona il precedente approccio diviso per
tipologia, con i noti depositi di tipo A, B, C, D,
E, F, tutti gestiti o dall’autorità doganale, o dai
privati, con differente cristallizzazione dei
momenti impositivi (all’introduzione (12) o all’estrazione) (13) o individuazione dei luoghi di
deposito (singoli spazi o porzioni di spazi (14),
ovvero interi hub o centri produttivi) (15).
Ora i depositi, più semplicemente, si distinguono in
depositi privati e depositi pubblici, tutti con il vincolo impositivo individuato nel momento dell’estrazione e senza vincoli di spazio che non siano
dovuti alla garanzia dei controlli delle autorità (16),
con predilezione per gli accertamenti di tipo
contabile.
In continuità con il passato regime del Codice
Doganale Comunitario, nel CDU è infatti stabilito che, nel quadro del regime di deposito
doganale, le merci non unionali possono essere
collocate in locali o altri luoghi autorizzati per
tale regime dalle autorità doganali e soggette
alla loro vigilanza (“depositi doganali”); questi,
poi, possono essere strutture utilizzabili da qualsiasi persona per il magazzinaggio doganale di
merci (“deposito doganale pubblico”) oppure
strutture destinate al magazzinaggio di merci
da parte del titolare di un’autorizzazione per il
deposito
doganale
(“deposito
doganale
privato”).
Restano poi invariate le responsabilità per i titolari
delle autorizzazioni e per i soggetti per conto dei
quali questi operano (in caso di operatività per conto
di terzi).
Il titolare dell’autorizzazione e del regime,
infatti, garantiscono anzitutto che le merci in
regime di deposito doganale non siano sottratte
alla vigilanza doganale e il rispetto degli obblighi risultanti dal magazzinaggio delle merci che
si trovano in regime di deposito doganale; inoltre, il titolare del regime resta responsabile dell’osservanza degli obblighi risultanti dal vincolo
delle merci, segnatamente a garanzia dell’obbligazione tributaria.
Dunque, un primo elemento di considerazione,
in termini di novità operative, sta nel fatto che i
depositi sono ormai luoghi fisici nei quali la
merce può essere stoccata in sospensione dalla
fiscalità di confine, la cui applicazione è demandata ad un momento futuro ed eventuale connesso all’immissione in libera pratica delle
merci che si realizza con l’estrazione delle stesse
dal deposito.
Inoltre, il regime, vincolato ad una identificazione
fisica, ha ora una gestione di tipo eminentemente
contabile, con il pacifico ricorso, se del caso, allo
stoccaggio promiscuo di merci unionali e non,
distinte in ragione delle relative iscrizioni nella
contabilità aziendale.
La trattazione per equivalenza
Oltre a ciò, però, si sottolinea quella che si ritiene
essere la reale chiave e novità dell’utilizzo del
deposito, che sta nella trattazione per equivalenza
delle merci ivi stoccate.
In maniera orizzontale, sebbene con alcune
distinzioni, ai regimi speciali, tra i quali il
deposito, è ora accordata ex lege (17) la
possibilità di operare solo a livello contabile,
senza distinzioni tra merci in concreto già in
libera pratica e merci vincolate ad un regime
sospensivo.
Per il CDU, sono infatti equivalenti le merci unionali immagazzinate, utilizzate o trasformate al
posto di merci vincolate a un regime speciale e
che, salvo che sia altrimenti disposto, hanno lo
stesso codice di nomenclatura combinata a otto
cifre, la stessa qualità commerciale e le stesse
Note:
(12) Per i depositi privati, il deposito di tipo D.
(13) Per i depositi privati, il deposito di tipo C.
(14) Per i depositi privati, il deposito di tipo C e il deposito di tipo D.
(15) Per i depositi privati, il deposito di tipo E, gestito secondo le
modalità del deposito di tipo C o D.
(16) Fuori dal regime del deposito, le autorità doganali possono,
quando risponda a un’esigenza economica e sempre che la vigilanza
doganale non venga compromessa, autorizzare che la trasformazione
di merci in regime di perfezionamento attivo o di uso finale abbia luogo
in un deposito doganale, fatte salve le condizioni previste da tali regimi.
(17) Cfr. art. 223 CDU.
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OSSERVAZIONI
caratteristiche tecniche delle
dell’IVA, i cui regimi sono
In maniera orizzontale, sebbene con
merci che sostituiscono.
applicabili in ragione di
alcune distinzioni, ai regimi speciali,
È chiaro come l’opportunità
diversi e ben distinti
tra i quali il deposito, è ora accordata
dell’offerta dal CDU possa
presupposti.
ex lege la possibilità di operare solo a
potenzialmente tradursi in
Più nello specifico, la Corte
livello contabile, senza distinzioni tra
enormi vantaggi competitivi
ha affermato che l’art. 7,
merci in concreto già in libera pratica
per l’impresa che intende
par. 3, della Dir. 77/388/
e merci vincolate ad un regime
avere unicità dei locali di
CEE (22) deve essere
sospensivo.
stoccaggio, trattazione congiunta delle materie prime
o di quelle oggetto di comNote:
(18) Nel dettaglio, ex lege il CDU ritiene che un operatore economico
mercializzazione e riduzione drastica dei temi di
autorizzato per le semplificazioni doganali soddisfi la condizione
attesa per lo svincolo delle merci.
relativa all’ordinato svolgimento del regime se nell’autorizzazione di
A condizione che sia garantito l’ordinato svolcui all’art. 38, paragrafo 2, lett. a) si tiene conto dell’attività relativa
gimento del regime (che si presume per i sogall’uso di merci equivalenti per il regime interessato.
(19) Può altresì essere autorizzato: (i) l’uso di merci equivalenti
getti AEOC) (18), in particolare per quanto
nell’ambito del regime di ammissione temporanea in casi specifici;
attiene alla vigilanza doganale, le autorità doga(ii) nel caso del regime di perfezionamento attivo, l’esportazione di
nali, su richiesta, possono dunque autorizzare,
prodotti trasformati ottenuti da merci equivalenti prima dell’importra l’altro (19), l’uso di merci equivalenti
tazione delle merci che sostituiscono; (iii) nel caso del regime di
perfezionamento passivo, l’importazione di prodotti trasformati ottenell’ambito di un regime di deposito doganale,
nuti da merci equivalenti prima dell’esportazione delle merci che
di zone franche, di uso finale e di
sostituiscono.
perfezionamento.
(20) L’uso di merci equivalenti non è autorizzato nei casi seguenti:
La norma in esame ha una portata oggettivaa) se unicamente le manipolazioni usuali quali definite all’art. 220
sono effettuate in regime di perfezionamento attivo; b) se un
mente innovativa e rivoluzionaria per il quadro
divieto di restituzione dei, o di esenzione dai, dazi all’importadei regimi doganali speciali e, in particolare, per
zione si applica a merci non originarie utilizzate nella fabbricail deposito e il perfezionamento, ponendosi
zione di prodotti trasformati in regime di perfezionamento attivo,
come disposizione standard (20), orizzontale,
per i quali è rilasciata o compilata una prova d’origine nel quadro
accessibile per gli operatori interessati all’ottidi un accordo preferenziale tra l’Unione e alcuni Paesi o territori
non facenti parte del suo territorio doganale o gruppi di tali Paesi
mizzazione dei flussi logistici e che intendono
o territori; oppure c) se esso comporta un vantaggio ingiustificato
minimizzare tempi e costi di attesa o di svincolo
a livello di dazi all’importazione o se previsto nella normativa
per l’approvvigionamento.
dell’Unione.
Le novità della giurisprudenza
UE in materia di depositi doganali
In conclusione della presente rassegna, è bene
segnalare, per contiguità di materia, una recente
pronuncia della Corte di Giustizia che ha confermato - e meglio esplicitato - il principio secondo il
quale l’obbligazione doganale sorta a causa di
inosservanza delle formalità doganali non comporta automaticamente l’obbligo di versare
l’IVA (21).
Continuano ad essere di assoluto rilievo, infatti, le
decisioni della Corte di Giustizia dell’UE (cause
riunite C-226/14 e C-228/14) che, sebbene riferite
al precedente quadro normativo doganale, non
mancano di ribadire la netta distinzione, nella
contiguità, tra le questioni doganali e quelle
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(21) Sentenza 2 giugno 2016, cause riunite C-226/14 e C-228/14
(22) Art. 7 della Sesta Direttiva 77/388/CEE: “1. Si considera
‘importazione di un bene’: a) l’entrata nella Comunità di un
bene non rispondente alle condizioni di cui agli artt. 9 e 10 del
trattato che istituisce la Comunità economica europea ovvero, se
si tratta di un bene oggetto del trattato che istituisce la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio, che non è in libera pratica; b)
l’entrata nella Comunità di un bene proveniente da un territorio
terzo, diverso dai beni di cui alla lettera a). 2. L’importazione di
un bene è effettuata nello Stato membro nel cui territorio si trova
il bene nel momento in cui entra nella Comunità. 3. In deroga al
paragrafo 2, se un bene di cui al paragrafo 1, lettera a) è posto, al
momento della sua entrata nella Comunità, in uno dei regimi di
cui all’art. 16, paragrafo 1, parte B, lettere a), b), c) e d) o in un
regime di ammissione temporanea in esenzione totale dei dazi
all’importazione o in un regime di transito esterno, la sua importazione è effettuata nello Stato membro nel cui territorio il bene
stesso è svincolato da tali regimi. Analogamente, se un bene di cui
al paragrafo 1, lettera b) è soggetto al momento del suo ingresso
nella Comunità a uno dei regimi previsti dall’art. 33-bis, paragrafo
1, lettere b) o c), l’importazione del bene è effettuata nello Stato
membro nel cui territorio il bene esce da tali regimi”.
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IN SINTESI
interpretato nel senso che
nell’Unione (24), fermo
Nella sentenza del 2 giugno 2016, cause
l’imposta sul valore aggiunto
restando che, per i beni vinriunite C-226/14 e C-228/14, la CGE ha
su merci riesportate come
colati ad un regime doganale
chiarito che non è dovuta l’IVA su merci
merci non comunitarie non
sospensivo, l’importazione
riesportate come merci non comunitarie se
è dovuta se tali merci non
si
considera effettuata nello
tali merci non sono state svincolate dai
sono state svincolate dai
Stato
membro nel cui terriregimi doganali previsti ai sensi dell’art. 7,
regimi doganali previsti
torio i beni sono svincolati.
par. 3, della Sesta Direttiva, alla data della
dalla norma alla data della
Ed è in questo momento,
loro riesportazione, ma sono state
loro
riesportazione,
ma
ovvero all’atto dello svinsvincolate dai regimi in parola a motivo di
sono state svincolate da tali
colo, che si realizza il
quest’ultima. Ciò anche se l’obbligazione
regime a motivo di quest’ul“fatto generatore dell’impodoganale è sorta esclusivamente in forza
tima, e ciò anche se l’obblista” e pertanto la stessa
dell’art. 204 del Regolamento CEE n. 2913/
gazione doganale è sorta
diventa esigibile (25).
92, ovvero per inadempienza di uno degli
esclusivamente in forza delNel caso in specie - osserva la
obblighi legati al regime di deposito
l’art. 204 del Reg. 2913/92
Corte - le merci provenienti
doganale. Inoltre la Corte aggiunge che,
(c.d.c.) (23).
dall’estero erano state poste
poiché l’imposta sul valore aggiunto su
I casi esaminati dalla Corte
nel regime di deposito dogamerci riesportate come merci non
hanno riguardato, tra l’altro,
nale di uno Stato membro
comunitarie non è dovuta se tali merci non
merci in transito, accolte da
prima di essere riesportate
sono state svincolate dai regimi doganali
una Società di diritto tedesco
fuori dal territorio doganale,
previsti all’art. 61 della Direttiva 2006/112/
nel proprio deposito doganale,
rimanendo vincolate fino a
CE, e ciò anche se un’obbligazione
per conto di terzi che poi protale momento.
doganale è sorta esclusivamente in forza
cedevano con la riesportaL’inadempienza che ha fatto
del citato art. 204, non ci sono, di
zione; la merce, pertanto, non
sorgere l’obbligazione dogaconseguenza, debitori dell’imposta sul
veniva mai assoggettata alla
nale (26), ha posto poi un
valore aggiunto.
fiscalità di confine in quanto
problema ai fini dell’IVA
stazionava nell’UE vincolata
(27). Tuttavia, siccome le
al regime sospensivo del
merci non erano state svindeposito.
colate fino alla loro riesportazione, nonostante si
In seguito ad una verifica, però, era emerso che, in
trovassero nel territorio dell’Unione, secondo un
alcuni casi, il prelievo delle merci dal deposito
doganale era stato iscritto nella contabilità di
magazzino prevista dal diritto doganale solo tardivamente e, pertanto, l’autorità doganale procedeva
Note:
al recupero dei dazi e dell’IVA all’importazione.
(23) Ora invariato agli artt. 77 ss. CDU.
Riunite con ordinanza le due cause, la Corte ha
(24) Artt. 60 e 61 della Direttiva del 2006/112/CE.
(25) Art. 71 della Direttiva 2006/112/CE.
così stabilito che, poiché le merci non erano
(26) Sul punto cfr. la sentenza della Corte di Giustizia del 6 settembre
svincolate dal regime doganale al momento
2012, causa C-28/11 (Eurogate Distribution), la quale ha stabilito che,
della loro riesportazione, pur trovandosi matein caso di merce non comunitaria, l’inadempienza dell’obbligo di
rialmente nel territorio dell’UE, non si può dire
iscrivere nella contabilità di magazzino l’uscita della merce da un
deposito doganale, al momento di tale uscita, fa sorgere un’obbligache esse fossero entrate nel circuito economico
zione doganale per la suddetta merce, ex art. 204, par. 1, lett. a) del
dell’Unione ai sensi dell’art. 2, punto 2, Sesta
Codice Doganale (Reg. 2913/92/CEE), anche qualora la merce sia stata
Direttiva; di conseguenza, non essendoci stata
riesportata.
un’importazione, le stesse non potevano essere
(27) L’Avvocato Generale, nelle conclusioni presentate il 12 gennaio
2016, al paragrafo 97, afferma che l’esigibilità dell’IVA potrebbe
soggette ad IVA.
aggiungersi all’obbligazione doganale nel caso in cui si potesse riteInfatti, la normativa comunitaria qualifica le
nere, sulla base della specifica condotta illecita da cui è sorta tale
importazioni come operazioni imponibili effetobbligazione, che le merci in questione siano entrate nel circuito
tuate nel territorio dello Stato membro nel quale
economico dell’Unione. In questo caso, potendo le stesse essere
i beni si trovano nel momento in cui entrano
oggetto di consumo, sono soggette ad IVA.
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precedente orientamento della Corte (28), non si
poteva ritenere che esse fossero state oggetto di
importazione, ai sensi dell’art. 2, punto 2 della
Sesta Direttiva (29) e, di conseguenza, che fosse
applicabile l’IVA (30).
Note:
(28) CGE, sentenza del 8 novembre 2012, causa C-165/11
(Profitube).
(29) Art. 2 della Sesta Direttiva 77/388/CEE: “Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto: 1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi,
effettuate a titolo oneroso all’interno del Paese da un soggetto passivo
che agisce in quanto tale; 2. le importazioni di beni”.
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(30) Come evidenziato dai giudici europei, la sentenza del 15 maggio
2014, causa C-480/12 non può mettere in discussione tale assunto.
Nella causa che ha dato origine a tale sentenza, era stato applicato l’art.
866 del Regolamento d’applicazione (Regolamento CEE n. 2454/93), il
quale prevede che quando un’obbligazione doganale all’importazione
sorge, in particolare, a norma degli artt. 203 o 204 del Codice
Doganale e i dazi all’importazione sono stati pagati, la merce in
questione è considerata comunitaria, senza che sia necessaria una
dichiarazione d’immissione in libera pratica. Tuttavia, l’art. 866 ha un
ambito di applicazione circoscritto alle merci che si trovano nel
territorio doganale dell’Unione e non si estende alle merci che
sono riesportate. Di conseguenza, nel caso in specie, siccome le
merci avevano già lasciato il territorio doganale dell’Unione, non
potevano essere introdotte materialmente nel suo circuito economico e quindi l’art. 866 non può essere ivi applicato.
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Inversione
contabile
PC, tablet e console di gioco:
reverse charge esteso ma non per tutti
di Saverio Cinieri
L’approfondimento
A partire dal 2 maggio 2016, si applica la
disciplina dell’inversione contabile (“reverse
charge”) alle cessioni di “console” da gioco,
tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di
dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti
destinati al consumatore finale.
L’estensione alle console da gioco, tablet PC e
laptop si è avuta ad opera del D.Lgs. 11 febbraio
2016, n. 24 che ha recepito le Direttive 2013/
42/UE e 2013/43/UE del Consiglio del 22 luglio
2013.
Per chiarire alcuni dubbi applicativi della nuova
disposizione, soprattutto in merito all’applicazione o meno del reverse charge ai consumatori finali, è intervenuta l’Agenzia delle entrate
con la circolare 25 maggio 2016, n. 21/E.
Nel documento di prassi, inoltre, si affrontano
altri aspetti relativi al meccanismo dell’inversione contabile che risultano toccati dal
Decreto sopra citato.
Riferimenti
Agenzia delle entrate, circolare 25 maggio
2016, n. 21/E
D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24, art. 1, co. 1,
lett. a)
Direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del
Consiglio del 22 luglio 2013
Tali Direttive istituiscono un “meccanismo di reazione rapida” (“QRM-Quick Reaction Mechanism”)
(2) contro le frodi dell’imposta attraverso l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge) a determinate
operazioni a rischio di frodi.
La Direttiva 2013/43/UE:
• ha ampliato l’elenco delle operazioni per le quali
gli Stati membri, in via sperimentale fino al 2018,
possono istituire un regime di inversione
contabile;
• ha previsto specifici obblighi informativi a carico
degli Stati membri che si avvalgono di tale
facoltà.
Come anticipato, il D.Lgs. n. 24/2016 ha introdotto
una procedura particolarmente veloce e semplificata che consente agli Stati di applicare il reverse
charge quando i controlli fiscali rilevino l’esistenza
di frodi improvvise e massicce su specifiche transazioni commerciali.
Il provvedimento, inoltre, ha ampliato l’elenco delle
operazioni alle quali gli Stati membri, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2018, possono applicare il regime dell’inversione contabile per il
versamento dell’IVA.
Il reverse charge è stato, quindi, esteso alle cessioni
di console da gioco, tablet PC e laptop, ai dispositivi
a circuito integrato.
Andando un po’ più nello specifico, modificando
l’art. 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il
Decreto ha:
• riformulato la lett. b), concernente le cessioni di
apparecchiature terminali per il servizio pubblico
Saverio Cinieri - Dottore commercialista e pubblicista
La nuova disciplina prevista dal
D.Lgs. n. 24/2016
Il D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24 (1) ha recepito le
Direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del Consiglio
del 22 luglio 2013.
Note:
(1) Pubblicato sulla G.U. 3 marzo 2016, n. 52.
(2) Il QRM può avere una durata massima di sei mesi e prevede la
standardizzazione della richiesta di deroga che va inoltrata dallo Stato
membro tramite un apposito modulo e fissa i termini stringenti per lo
svolgimento dell’istruttoria.
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contabile
IN SINTESI
radiomobile terrestre di
• indica nella stessa, sia il
Nella circolare n. 21/E/2016 l’Agenzia
comunicazioni, non riporta
numero di partita IVA del
delle entrate chiarisce che l’obbligo del
più il riferimento ai “loro
cessionario che la relativa
reverse charge trova applicazione per le
componenti e accessori” (3);
norma di riferimento.
sole cessioni dei beni effettuate nella fase
Dal
canto suo, il cessionario:
• sostituito la lett. c) che
distributiva che precede il commercio al
integra
la fattura con l’indiadesso fa riferimento alle
•
dettaglio.
cazione dell’aliquota e della
cessioni “di console da
Tale interpretazione è coerente con le
relativa imposta;
gioco, tablet PC e laptop,
caratteristiche che connotano il
annota la stessa sia nel reginonché alle cessioni di dispo•
meccanismo del reverse charge, vale a
stro delle fatture emesse (5)
sitivi a circuito integrato,
dire l’utilità ad evitare e scoraggiare
entro il mese di ricevimento
quali microprocessori e
eventuali tentativi di frode, nonché
ovvero anche successivaunità centrali di elaborasemplificare la procedura di riscossione
mente, ma, comunque,
zione, effettuate prima della
dell’IVA.
entro quindici giorni dal
loro installazione in prodotti
ricevimento e con riferidestinati al consumatore
mento al relativo mese, sia
finale”. Come verrà appronel registro degli acquisti (6).
fondito in seguito, la novità vera e propria consiste
Tale meccanismo di applicazione dell’imposta, le
nella parte in cui estende, a decorrere dal 2 maggio
cui violazioni, tra l’altro, sono sanzionate pesante2016, il reverse charge alle cessioni di console di
mente (7), elimina dunque la detrazione dell’IVA
gioco, tablet PC e laptop;
• abrogato, le disposizioni di cui alla lett. d) e d- sugli acquisti e, nel contempo, deroga all’obbligo di
quinquies) che non aveva trovato applicazione
rivalsa.
per assenza della necessaria autorizzazione
Se infatti il cliente è un soggetto passivo (imprendell’UE. Si tratta delle cessioni di:
ditore o professionista) l’IVA non viene addebitata
– materiali e prodotti lapidei, direttamente proe quindi mancano i presupposti per la detrazione,
venienti da cave e miniere;
che è ugualmente esclusa se il cliente è un consu– beni effettuate nei confronti degli ipermercati
matore finale, restando, in quanto tale, inciso dal
(codice attività 47.11.1), supermercati (codice
tributo.
attività 47.11.2) e discount alimentari (codice
È chiara, dunque la sua utilità per contrastare i
attività 47.11.3).
fenomeni di evasione di cui si è detto in precedenza.
Infatti, lo scopo della diffusione di questo sistema è
di evitare, nei rapporti intracomunitari, la detraCome funziona il meccanismo
zione di IVA applicata da fornitori esteri e incassata,
del “reverse charge”
quindi, da Stati esteri.
Prima di entrare nel merito delle novità sopra elencate, per meglio comprenderle, è utile accennare ai
principi su cui si fonda il meccanismo dell’inversione contabile (4).
Si tratta di un meccanismo che consente la traslazione legale dell’obbligo d’imposta dal cedente/preNote:
(3) Come chiarito nella circolare n. 21/E/2016, si tratta di un interstatore al cessionario/committente, purché
vento legislativo di mero aggiornamento formale senza alcuna consequest’ultimo sia un soggetto passivo (si veda la
guenza atteso che, in relazione ai componenti e accessori di computer,
Tavola n. 1).
il meccanismo dell’inversione contabile previsto dalla previgente
Il sistema del reverse charge consiste, infatti, nel
formulazione della lett. b) non aveva trovato applicazione per assenza
dell’autorizzazione da parte degli organi dell’UE.
porre l’obbligazione tributaria a carico del cessiona(4) Le operazioni soggette all’inversione contabile sono disciplinate
rio che è il reale debitore dell’imposta dell’operadall’art. 17 D.P.R. n. 633/1972.
zione in luogo del cedente.
(5) Art. 23 D.P.R. n. 633/1972.
Più in dettaglio, il cedente:
(6) Art. 25 D.P.R. n. 633/1972.
(7) Art. 6, comma 9-bis del D.Lgs. n. 471/1997.
• emette fattura senza l’applicazione dell’IVA;
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Inversione
contabile
Le cessioni interessate dall’estensione
del meccanismo
Come accennato, l’art. 17, comma 6, lett. c), del
D.P.R. n. 633/1972 prevede l’applicazione del
reverse charge in relazione alle cessioni “di console
da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di
dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima
della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”.
Si tratta di una norma che trae origine da disposizioni comunitarie: in particolare si fa riferimento
all’art. 199-bis della Direttiva del Consiglio del
28 novembre 2006, 2006/112/CE (meglio conosciuta come “Direttiva IVA”) secondo cui fino al
31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due
anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto
passivo nei cui confronti sono effettuate, tra l’altro,
le operazioni di cui alla lett. h) della citata Direttiva
IVA che fa riferimento a “cessioni di console di
gioco, tablet PC e laptop”.
Seguendo tale facoltà, il legislatore nazionale ha
ampliato l’art. 17, comma 6, lett. c), del D.P.R.
n. 633/1972, che, nella versione previgente, faceva
riferimento solo “alle cessioni di personal computer
e dei loro componenti ed accessori” (8).
Per effetto della modifica normativa in commento il
medesimo reverse charge è applicabile anche alle
cessioni, territorialmente rilevanti in Italia, effettuate tra soggetti passivi, dei seguenti prodotti:
• console da gioco, (NC 9504 50 00);
• tablet PC (NC 8471 30 00);
• laptop (NC 8471 30 00).
Nella circolare n. 21/E/2016 è stato precisato che, ai
fini dell’individuazione dei predetti beni, non rileva
la denominazione “commerciale” ma, bensì, la circostanza che si tatti di beni della stessa qualità
commerciale, aventi le stesse caratteristiche tecniche
e lo stesso codice di Nomenclatura Combinata (NC).
Operatori interessati
La più importante precisazione contenuta nella circolare, riguarda i soggetti che devono applicare le
nuove diposizioni.
In particolare, viene specificato che il reverse charge
trova applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio
al dettaglio (9).
Ciò è coerente con la facoltà concessa agli Stati
membri in forza dell’art. 199-bis della Direttiva
IVA e con le caratteristiche che connotano il meccanismo del reverse charge, vale a dire, l’utilità ad
evitare e scoraggiare eventuali tentativi di frode,
nonché semplificare la procedura di riscossione
dell’IVA.
Pertanto, il meccanismo dell’inversione contabile
per le fattispecie in esame non trova applicazione
per la fase del commercio al dettaglio la cui attività
è, di regola, caratterizzata da una frequenza tale da
rendere particolarmente onerosa l’osservanza dell’applicazione del meccanismo dell’inversione
contabile in ragione della qualità di soggetto passivo del cessionario/cliente.
Diversamente, per le cessioni dei beni in argomento
che si verificano in tutte le fasi di commercializzazione precedenti la vendita al dettaglio, il destinatario della cessione, se soggetto passivo d’imposta
nel territorio dello Stato, è obbligato all’assolvimento dell’imposta, in luogo del cedente.
Chiarito questo importante aspetto, viene ricordato che:
• l’applicazione del meccanismo del reverse charge
comporta che il destinatario della cessione territorialmente rilevante, se soggetto passivo d’imposta,
è obbligato all’assolvimento dell’imposta, in
luogo del cedente;
• il cessionario è obbligato all’assolvimento dell’imposta mediante reverse charge anche se non
stabilito in Italia o avente stabile organizzazione
in Italia.
Note:
(8) La previgente disposizione era entrata in vigore dopo la decisione
di esecuzione del Consiglio del 22 novembre 2010, n. 2010/710/UE,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 25 novembre 2010, che aveva autorizzato l’Italia ad applicare il reverse charge alle
operazioni, tra soggetti passivi, aventi ad oggetto, tra l’altro, “dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di
elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al
consumatore finale”. L’argomento è stato oggetto di approfondimento da parte della stessa Agenzia delle entrate con la circolare
n. 59/E/2010 e la risoluzione n. 36/E/2011.
(9) La posizione, comunque, era abbastanza scontata anche perché
conforme a quanto già in passato affermato con la circolare n. 59/E/
2010 e la risoluzione n. 36/E/2011. In particolare, nella circolare n. 59/
E, a proposito dell’applicazione del reverse charge al settore della
telefonia, l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito che l’inversione
contabile riguardava tutti i soggetti “intermedi” che intervengono
nella cessione dei prodotti, restandone esclusi i dettaglianti che,
posti alla fine della catena, cedono i prodotti ai consumatori finali.
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Inversione
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contabile
SOLUZIONI OPERATIVE
In merito a quest’ultimo aspetto,
dal sessantesimo giorno sucIn relazione alle cessioni di console di
si segnala che per assolvere tale
cessivo a quello dell’entrata in
gioco, tablet PC e laptop, il reverse charge
obbligo il cessionario - non stavigore del Decreto legislaè applicabile alle operazioni effettuate a
bilito o in assenza di stabile
tivo (11).
decorrere dal 2 maggio 2016. La misura
organizzazione nel territorio
Pertanto, il reverse charge è
ha carattere temporaneo, e si applica alle
dello Stato - dovrà identificarsi
applicabile alle operazioni
operazioni effettuate fino al 31 dicembre
ai fini IVA in Italia (10).
effettuate a decorrere dal
2018.
Pertanto, come anticipato sopra:
2 maggio 2016.
Come già accennato, è bene,
• il cedente dei beni in argomento è tenuto ad emettere
comunque, tenere presente,
regolare fattura senza addebito d’imposta, con l’osche la misura ha carattere temporaneo, e si applica
servanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 SS. del
alle operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2018,
D.P.R. n. 633/1972 e con l’indicazione della norma
coerentemente alla previsione di cui all’art. 199-bis
che prevede l’applicazione del reverse charge (art.
della Direttiva IVA.
17, comma 6, lett. c);
• il cessionario deve integrare la fattura con l’indi- Sanzioni
cazione dell’aliquota e della relativa imposta e
Con riguardo alle violazioni relative all’omessa o
annotarla nel registro delle fatture emesse o in
errata applicazione del reverse charge tornano appliquello dei corrispettivi, di cui agli artt. 23 o 24
cabili le sanzioni di cui all’art. 6, commi 9-bis1 e 9del D.P.R. n. 633/1972, entro il mese di ricevimento
bis2 del D.Lgs. n. 471/1997 (cfr. Tavola n. 2).
ovvero anche successivamente, ma comunque
Nella circolare che si sta commentando è riportata
entro quindici giorni dal ricevimento e con riferiun’ultima importante precisazione: in consideramento al relativo mese;
zione dell’incertezza in materia e della circostanza
• lo stesso documento, ai fini della detrazione, è
annotato anche nel registro degli acquisti di cui
Note:
all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972.
(10) Ciò è conforme a quanto detto nella risoluzione n. 28/E/2012.
Decorrenza delle nuove norme
Premesso che il D.Lgs. n. 24/2016 è entrato in
vigore il 3 marzo 2016, le nuove norme prevedono
la decorrenza dalle operazioni effettuate a partire
(11) Infatti, l’art. 2 del D.Lgs. n. 24/2016, dispone che “Le disposizioni
di cui all’art. 17, sesto comma, lettera c), del decreto del Presidente
della Repubblica n. 633/1972, come sostituite dall’art. 1, comma 1,
lettera c), del presente decreto, si applicano alle operazioni effettuate
a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’entrata in
vigore del presente decreto”.
Tavola n. 1 - Funzionamento del “reverse charge”
Indica in fattura il numero di partita IVA
del cessionario
Cedente
Emette la fattura senza
addebitare l’IVA
Indica in fattura la norma di riferimento
(art. 17, comma 6, lett. c)
Integra la fattura con aliquota e
relativa imposta
Cessionario
Applica il reverse charge
Annota la fattura sui registri IVA
acquisti e IVA vendite
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contabile
che la nuova disciplina in commento ha esplicato
comunque la sua efficacia già in relazione alle
operazioni effettuate a decorrere dal 2 maggio
2016, nonché in ossequio ai principi dello Statuto
del contribuente, sono fatti salvi i comportamenti
adottati dai contribuenti sino all’emanazione della
circolare n. 21/E, ai quali, pertanto, non dovranno
essere applicate sanzioni per le violazioni eventualmente commesse anteriormente all’emanazione del
presente documento di prassi.
Tavola n. 2 - Sanzioni (D.Lgs. n. 471/1997, art. 6, commi 9-bis.1 e 9-bis.2)
9-bis.1. In deroga al comma 9-bis, primo periodo (norma che si occupa delle sanzioni normalmente dovute in caso di
reverse charge), qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a
una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia
stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla
detrazione, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la
sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il
cedente o prestatore. Le disposizioni di cui sopra non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione
di cui al comma 1 (sanzione amministrativa compresa fra il 90% e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non
correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio o da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione
non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo) quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché
mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il
cessionario o committente era consapevole.
9-bis.2. In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile
l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo
del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o
committente alla detrazione, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la
sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il
cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito
con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo
ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era
consapevole.
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Aliquote
L’aliquota IVA per le prestazioni rese
dalle cooperative sociali
di Marco Peirolo
L’approfondimento
La circolare Assonime n. 15 del 23 maggio
2016, nell’illustrare le modifiche riguardanti
le aliquote IVA ridotte disposte dalla Legge
n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), si è
soffermata sulla portata della nuova aliquota
del 5% applicabile alle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali e loro consorzi nei confronti di
particolari categorie di “soggetti svantaggiati”.
L’Associazione ha risposto ai dubbi di
compatibilità con la disciplina unionale sollevati dalla nuova aliquota e, a questo riguardo, si
pone il problema se, per le prestazioni rese
dalle cooperative sociali, l’aliquota ridotta sia
ammessa solo per quelle non considerate
esenti da imposta, come in effetti sono le
prestazioni in esame, ai sensi dell’art. 10 del
D.P.R. n. 633/1972.
Riferimenti
Assonime, circolare 23 maggio 2016, n. 15
Legge 28 dicembre 2016, n. 208, art. 1, commi
960-963
Aliquota IVA per le prestazioni rese
dalle cooperative sociali
L’art. 1, commi 960-963, della Legge n. 208/2015
(Legge di stabilità 2015) ha introdotto, nella Tabella
A, allegata al D.P.R. n. 633/1972, la nuova Parte IIbis, riguardante i beni e servizi soggetti all’aliquota
IVA del 5%.
Dal 1° gennaio 2016, le operazioni che beneficiano
della nuova aliquota ridotta sono le prestazioni
socio-sanitarie, assistenziali ed educative di cui ai
n. 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R.
n. 633/1972, rese da cooperative sociali e loro
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L’IVA 8-9/2016
consorzi a favore dei soggetti indicati nello stesso
n. 27-ter), ossia:
i. anziani ed inabili adulti;
ii. tossicodipendenti e malati di AIDS;
iii. handicappati psicofisici;
iv. minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza;
v. persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo;
vi. persone detenute;
vii. donne vittime di tratta a scopo sessuale e
lavorativo.
Dal punto di vista oggettivo, l’agevolazione si
applica alle:
i. prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle
professioni e arti sanitarie;
ii. prestazioni di ricovero e cura, compresa la
somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto, nonché delle prestazioni di cura rese
da stabilimenti termali;
iii. prestazioni educative dell’infanzia e della
gioventù e a quelle didattiche di ogni genere,
anche per la formazione, l’aggiornamento, la
riqualificazione e riconversione professionale,
comprese le prestazioni relative all’alloggio, al
vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici,
nonché le lezioni relative a materie scolastiche
e universitarie;
iv. prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi,
asili, case di riposo per anziani e simili, delle
colonie marine, montane e campestri e degli
alberghi e ostelli per la gioventù, comprese le
somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni
accessorie;
Marco Peirolo - Dottore commercialista in Torino, Advisor scientifico di
Adacta Studio Associato
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Aliquote
v. prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili.
Rispetto all’originaria formulazione della novellata
disposizione, che faceva riferimento alle sole prestazioni rese in esecuzione di contratti di appalto e
convenzioni in generale, l’ambito applicativo della
nuova aliquota è stato esteso, in sede di approvazione definitiva, anche alle prestazioni rese direttamente a favore dei richiamati “soggetti
svantaggiati”.
Di conseguenza, per le cooperative sociali, l’aliquota del 4% di cui al n. 41-bis) della Tabella A,
Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972, già
soppressa dalla Legge n. 228/2012 (Legge di
stabilità 2013) per essere poi ripristinata dalla
Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), è
stata abrogata, come detto con esclusivo riferimento
a tali soggetti e, allo stesso tempo, la Legge di
stabilità 2016 ha abrogato, sempre in riferimento
agli stessi soggetti, la facoltà di opzione per il
regime di esenzione previsto dall’art. 1, comma
331, della Legge n. 296/2006.
In definitiva, dal 1° gennaio 2016, le prestazioni
socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle
cooperative sociali nei confronti dei “soggetti svantaggiati”, sia direttamente che in esecuzione di
contratti d’appalto e di convenzioni in genere,
sono soggette, per obbligo, al regime di
imponibilità con l’aliquota del 5%.
Dubbi di compatibilità con la disciplina
unionale
Come rilevato da Assonime nella circolare
n. 15/2016, l’istituzione della nuova aliquota ha
sollevato dubbi di compatibilità con la disciplina
unionale.
Divieto degli Stati membri di applicare più di due
aliquote ridotte
Secondo la normativa unionale, ciascuno Stato
membro dell’Unione Europea applica un’aliquota
IVA “normale”, identica per le cessioni di beni e le
prestazioni di servizi, in misura non inferiore al
15% (1).
Facoltativamente, gli Stati membri applicano una o
due aliquote ridotte esclusivamente alle cessioni di
beni e alle prestazioni di servizi appartenenti alle
categorie elencate nell’Allegato III (2), tra le quali
sono comprese - sempreché non siano esenti ex artt.
132, 135 e 136 della Direttiva 2006/112/CE - le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi da parte di
organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale
dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di
assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui
tali operazioni non siano esenti.
Le aliquote ridotte non possono essere inferiori al
5% (3). Tuttavia, in base alla “clausola di standstill”, di cui agli artt. 110 e 113 della Direttiva 2006/
112/CE, gli Stati membri possono continuare ad
applicare le aliquote ridotte inferiori al 5% se già
adottate al 1° gennaio 1991, anche ove riferite a beni
e servizi diversi da quelli contemplati
nell’Allegato III.
In materia, è intervenuta più volte la Corte di
Giustizia, stabilendo che le disposizioni in tema di
aliquote ridotte vanno interpretate restrittivamente,
con il conseguente divieto, per gli Stati membri, di
estendere l’applicazione delle aliquote ridotte alle
operazioni non previste dalla normativa unionale,
ovvero, con riguardo alle aliquote inferiori al 5%,
alle operazioni non contemplate al 1° gennaio
1991 (4).
I giudici europei hanno, inoltre, affermato che gli
Stati membri non possono più applicare l’aliquota
“super-ridotta” prevista per un determinato bene o
servizio dopo che hanno deciso di incrementarla (5).
Nella prospettiva nazionale, la Legge IVA italiana
prevedeva, al 31 dicembre 2015, solo un’aliquota
ridotta nella misura del 10%: l’aliquota del 4%,
infatti, è una aliquota speciale, c.d. super-ridotta,
applicabile in forza della citata “clausola
standstill”.
Pertanto, Assonime ha rilevato che l’introduzione
dell’aliquota ridotta del 5% operata dalla Legge di
stabilità 2016, in aggiunta a quella ridotta del 10%
già vigente al 31 dicembre 2015, non sembra incompatibile, sotto il profilo evidenziato, con le disposizioni unionali ed, anzi, è in linea con la normativa
attualmente vigente in altri Stati membri: dei cinque
Stati membri (Italia, Francia, Lussemburgo, Spagna
Note:
(1) Cfr. art. 96 della Direttiva 2006/112/CE.
(2) Cfr. art. 98, par. 1 e 2, della Direttiva 2006/112/CE.
(3) Cfr. art. 99, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE.
(4) Cfr. causa C-462/05 del 12 giugno 2008; causa C-240/05 del
7 dicembre 2006; causa C-169/00 del 7 marzo 2002.
(5) Cfr. causa C-119/11 del 28 febbraio 2012; causa C-462/05; causa
C-414/97 del 16 settembre 1999; causa C-74/91 del 27 ottobre 1992.
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Aliquote
OSSERVAZIONI
e Irlanda) che, al 1° gennaio
2016, avevano adottato un’aliquota IVA “super-ridotta”, già
due Stati, e cioè la Francia e
l’Irlanda, hanno adottato, contemporaneamente a tale aliquota, anche due aliquote
ridotte (6).
Aliquota IVA ridotta per
operazioni effettuate da
organismi aventi carattere
sociale riconosciuto
da Stati membri
L’Associazione ha, inoltre, sottolineato che la previsione
della nuova aliquota agevolata
per le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative
rese dalle cooperative sociali
nei confronti dei “soggetti
svantaggiati” è conforme al
punto 15) dell’Allegato III alla Direttiva 2006/112/
CE, che consente agli Stati membri di applicare
un’aliquota IVA ridotta alle “cessioni di beni e
prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è
riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e
che sono impegnati in attività di assistenza e di
sicurezza sociale, nella misura in cui tali operazioni
non siano esenti in virtù degli artt. 132, 135 e 136”.
Da questo punto di vista, l’abolizione tout court
dell’aliquota ridotta del 4% operata dalla Legge
n. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) ed il suo
successivo ripristino dall’art. 1, comma 172, della
Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) limitatamente alle prestazioni rese dalle cooperative
sociali (sia direttamente che in esecuzione di contratti
d’appalto e di convenzioni in genere) ha consentito di
escludere le cooperative non sociali dall’agevolazione, in linea con il citato punto 15) dell’Allegato
III alla Direttiva 2006/112/CE, che limita l’aliquota
ridotta alle “cessioni di beni e prestazioni di servizi da
parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere
sociale dagli Stati membri (...)”.
Ripristino della facoltà di esenzione
Occorre ulteriormente osservare che il punto 15)
dell’Allegato III alla Direttiva 2006/112/CE subordina l’imponibilità, sia pure con aliquota ridotta,
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L’IVA 8-9/2016
alla condizione che le operazioni poste in essere non rientrino fra quelle esenti.
In base alla legislazione nazionale, alle cooperative sociali si
applica l’aliquota del 5%
restando vietata la facoltà di
avvalersi del regime di esenzione, abrogata dalla stessa
Legge di stabilità 2016.
Laddove, pertanto, le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle
cooperative sociali ricadano
nell’ambito applicativo dell’esenzione di cui all’art. 10
del D.P.R. n. 633/1972 sembra
prioritaria l’applicazione della
detassazione
in
luogo
dell’imponibilità con aliquota
ridotta (7).
Affinché la nuova aliquota
possa considerarsi maggiormente aderente alla
disciplina unionale sembra allora quantomeno
doveroso consentire alle cooperative sociali di scegliere se applicare l’esenzione o l’imponibilità con
aliquota del 5%, in modo da evitare un aggravio di
costi nei confronti del “soggetto svantaggiato”, al
quale sono destinati i servizi (8).
Assonime ha sottolineato che la
previsione della nuova aliquota agevolata
per le prestazioni socio-sanitarie,
assistenziali ed educative rese dalle
cooperative sociali e loro consorzi nei
confronti dei “soggetti svantaggiati” è
conforme al punto 15) dell’Allegato III alla
Direttiva 2006/112/CE, che consente agli
Stati membri di applicare un’aliquota IVA
ridotta alle “cessioni di beni e prestazioni
di servizi da parte di organismi di cui è
riconosciuto il carattere sociale dagli Stati
membri e che sono impegnati in attività di
assistenza e di sicurezza sociale, nella
misura in cui tali operazioni non siano
esenti in virtù degli artt. 132, 135 e 136”
della medesima Direttiva: tale aliquota
non può, come già detto, essere inferiore
al 5%.
Disciplina applicabile dal 1° gennaio 2016
A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di
stabilità 2016, la normativa applicabile in materia
risulta così articolata:
• le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed
educative rese dalle cooperative sociali, sia
Note:
(6) In particolare, al 1° gennaio 2016, la Francia, oltre all’aliquota
“super-ridotta” del 2,1%, aveva le aliquote ridotte del 5,5% e del 10%,
mentre l’Irlanda, oltre all’aliquota “super-ridotta” del 4,8%, aveva le
aliquote ridotte del 9% e del 13,5%.
(7) Cfr. M. Peirolo, “Prestazioni socio-sanitarie, educative ed assistenziali rese da coop sociali: IVA al 5%”, in Cooperative & Enti non profit
n. 2/2016, pag. 25 ss.
(8) Cfr. P. Centore e M. Peirolo, “Nuova aliquota IVA del 5% per le
cooperative sociali”, in Quotidiano IPSOA del 6 giugno 2016. Nello
stesso senso, anche: G. Provaggi e G. Sassara, “Le modifiche al regime
IVA delle prestazioni rese da cooperative sociali”, in Corr. Trib., n. 22/
2016, pag. 1731 ss. e, da ultimo, P. Centore e F. Spaziante, “Interventi
di ‘soft law’ sulle modifiche IVA 2016”, ivi, n. 25/2016, pag. 1939.
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Aliquote
•
•
direttamente che in esecuzione di contratti di
appalto o di convenzioni in genere, sono imponibili ad IVA, seppure con l’aliquota ridotta
del 5% (9);
le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed
educative, se effettuate da cooperative “generiche” divenute ONLUS “di fatto” previa
iscrizione nell’apposita Anagrafe (10), oppure
dagli altri soggetti elencati nel n. 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, continuano
ad essere esenti dal tributo se rese direttamente in favore dei “soggetti svantaggiati”;
qualora tali prestazioni siano, invece, rese
sulla base di appalti o convenzioni con soggetti terzi sono soggette all’aliquota IVA ordinaria (22%);
le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed
educative rese da cooperative non sociali (e che
non sono diventate ONLUS “di fatto”), o da altri
soggetti non rientranti tra quelli elencati nel n. 27ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, continuano ad essere soggette all’aliquota IVA ordinaria (22%) (11).
Decorrenza della disciplina vigente
In merito alla decorrenza delle nuove disposizioni,
l’art. 1, comma 963, della Legge di stabilità 2016 ha
specificato che le modifiche normative si rendono
applicabili “alle operazioni effettuate sulla base di
contratti stipulati, rinnovati o prorogati” successivamente al 1° gennaio 2016.
Conseguentemente, la circolare Assonime n. 15/
2016 ha specificato che:
• le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed
educative rese dalle cooperative sociali, sia
direttamente in favore dei fruitori finali delle
medesime, sia sulla base di contratti di appalto
o di convenzioni, rimangono soggette alla previgente aliquota IVA ridotta del 4% o al regime di
esenzione, qualora i relativi contratti siano già in
essere al 31 dicembre 2015;
• le medesime prestazioni, se derivanti da contratti stipulati, rinnovati o prorogati a partire dal
1° gennaio 2016, devono essere obbligatoriamente assoggettate ad IVA con la nuova aliquota
del 5%.
Le prestazioni di analoga natura che vengono rese
dalle cooperative non sociali (e non ONLUS “di
fatto”), ovvero dagli altri soggetti non rientranti nel
novero di quelli elencati nel n. 27-ter) dell’art.
10 del D.P.R. n. 633/1972, sono invece soggette
all’aliquota IVA ordinaria (22%), se fornite direttamente ai “soggetti svantaggiati” oppure in virtù di
contratti di appalto o di convenzioni in genere con
soggetti terzi.
Note:
(9) Resta, tuttavia, dubbia la possibilità di applicare l’esenzione laddove le prestazioni in esame rientrino oggettivamente tra quelle
elencate dai n. 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R.
n. 633/1972.
(10) Si ricorda che l’art. 10, comma 8, del D.Lgs. n. 460/1997 dispone
che “sono in ogni caso considerate ONLUS, nel rispetto della loro
struttura e delle loro finalità (…) le cooperative sociali di cui alla Legge
8 novembre 1991, n. 381”. In pratica, occorre distinguere tra le
ONLUS “di fatto”, che acquisiscono tale qualifica solo a seguito
dell’iscrizione all’Anagrafe prevista per tali particolari organizzazioni,
e le ONLUS “di diritto”, che - come le cooperative sociali - acquisiscono la suddetta qualifica ex lege.
(11) Si ricorda, infatti, che, l’art. 1, comma 172, della Legge
n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), con effetto dal 1° gennaio
2014, aveva già introdotto, per tali soggetti, il divieto di applicazione dell’aliquota ridotta del 4%.
L’IVA 8-9/2016
29
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All’attenzione degli euro giudici l’IVA
sul trasporto “inbound”
per le piccole importazioni
di Gabriele Liberatore
L’approfondimento
Dal 2016 sono esenti da IVA anche i servizi
accessori, tra cui le spese di trasporto
“inbound”, per le importazioni relative a piccole spedizioni.
La questione oggetto di analisi dell’ordinanza
n. 9150/2016 della Cassazione concerne però
un recupero effettuato dal Fisco nel 2007 nei
confronti di una società di spedizioni che conformemente alla disciplina comunitaria ma in
antitesi a quella domestica aveva attuato detto
principio. L’Amministrazione finanziaria,
diversamente, riteneva non imponibili detti
oneri qualora avessero scontato l’IVA in
dogana. I magistrati di legittimità con un’ordinanza interlocutoria passano la palla ai colleghi
unionali chiedendo lumi sulla conformità del
disposto interno, vigente “ratione temporis”,
con la Direttiva IVA.
Riferimenti
Cass., ordinanza interlocutoria 6 maggio 2016,
n. 9150
D.P.R. 26 ottobre 1972, artt. 9, comma 1, n. 2,
e 69, comma 1
Le norme spesso cambiano, soprattutto quelle relative all’imposta sulla cifra d’affari ove, a volte, il
recepimento domestico non proprio corretto del
disposto comunitario crea problemi interpretativi.
Ciò è nell’ordinarietà. Meno consueto è che ci si
interroghi su dette vicende anche dopo che il
paziente sia deceduto, ossia quando la disposizione
in commento, a seguito di apposita procedura d’infrazione europea (1), promossa anche dal contribuente parte della diatriba (2), viene conformata alla
30
L’IVA 8-9/2016
Direttiva IVA risolvendo dubbi o situazioni non
preventivabili.
Questo è quanto accade sui trasporti c.d. inbound
ove la Suprema Corte si interroga e rimanda (3) la
quaestio ai colleghi unionali sull’imponibilità di
detti servizi relativi alle piccole spedizioni a carattere non commerciale e di “valore trascurabile”.
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Note:
(1) Commissione europea, MEMO n. 13/1005.
(2) Il ricorso della contribuente, promosso dinanzi alla Comm. trib.
prov. di Milano il 27 marzo 2013, prevedeva, tra l’altro, anche l’inoltro
alla Commissione europea per l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana, ex art. 258 T.F.U.E., a
fronte di un trattamento IVA dei corrispettivi per il trasporto di beni
importati, di valore trascurabile, non conforme agli artt. 86, comma 1,
lett. b) e 144, Direttiva 2006/112/CEE. La richiesta ha dapprima
ottenuto parere favorevole dal Comitato IVA (“Working paper
n. 711” del 18 ottobre 2011), poi l’avvio della procedura di infrazione
in data 27 settembre 2012, ufficializzata con la Reasoned Opinion del
20 novembre 2013, ed infine (come emerge da successivo ed analogo
giudizio pendente tra le parti) l’adeguamento della normativa interna,
culminato nell’inserimento, ad opera dell’art. 12, comma 1, Legge
29 luglio 2015, n. 115, del novello n. 4-bis) all’interno dell’art. 9, comma
1, D.P.R. n. 633/1972. Disposizione finalizzata a concedere l’esenzione
dall’IVA ai “servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere
non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle
Direttive 2006/79/CE e 2009/132/CE del Consiglio dell’Unione
Europea sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’art. 69 e
ancorché la medesima non sia stata assoggettata ad imposta”. Per
un approfondimento cfr. M. Peirolo, “La nuova previsione di non
imponibilità IVA per i servizi all’importazione”, in questa Rivista, n. 10/
2015, pag. 7.
(3) Rappresentando giudice di ultima istanza e non avendo rinvenuto
una specifica soluzione nella giurisprudenza comunitaria, previa
sospensione del giudizio, invita la CGE ha pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea.
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Disciplina vigente “ratione temporis”
La legislazione italiana accordava l’esenzione
dall’IVA per gli oneri accessori relativi alle piccole
spedizioni solo se già tassate alla frontiera. Tale
approccio ha violato, a parere della Commissione
europea, le norme comunitarie rischiando di generare oneri amministrativi sproporzionati a carico dei
trasportatori e dei commercianti.
La disciplina ante modifica stabiliva che i costi
accessori di trasporto relativi alle importazioni di
beni, anche di valore esiguo, erano non imponibili
solo
se
assoggettati
a
IVA
all’atto
dell’importazione.
Tale disposizione risultava in aperto contrasto con
la normativa europea così come interpretata dal
Comitato IVA, che in un suo orientamento,
benché non vincolante, ha chiarito che detta
norma, quando stabilisce che gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base
imponibile della medesima, non specifica che i
prodotti importati devono effettivamente essere
tassati.
È necessario, altresì, rilevare “che concorrono
comunque a formare il valore di detti beni in
dogana, sul cui ammontare globale deve essere
quindi corrisposta l’IVA con l’aliquota propria
della merce, anche le spese di trasporto, assicurazione, commissione, imballaggio fino al primo
luogo di destinazione all’interno del territorio doganale che risulta dal documento di trasporto che
accompagna i beni medesimi” (4).
Vicenda
La società FedEx, filiale italiana appartenente ad un
gruppo multinazionale, effettua servizi consistenti
nel prendere in carico le spedizioni provenienti dal
circuito internazionale e consegnarli ai destinatari sul
territorio italiano (trasporto c.d. inbound). Il contribuente, a proprio dire, in virtù del combinato disposto
degli 9, comma 1, n. 2, e 69, comma 1, del D.P.R.
n. 633/1972 (in proseguo Decreto IVA) ha ritenuto
dette prestazioni non imponibili forte anche della
correlata disposizione comunitaria (5).
Di parere opposto i militari della Guardia di Finanza,
prima, ed i funzionari dell’Amministrazione finanziaria, in seguito, che riprendevano a tassazione una
maggiore e cospicua IVA per l’anno 2007, con
irrogazione di sanzioni, a titolo di “omessa
fatturazione di operazioni imponibili” e “dichiarazione di imposta inferiore a quella dovuta”, per non
avere il contribuente assoggettato al tributo i corrispettivi del trasporto al destinatario di documenti e
beni di valore trascurabile (c.d.piccole spedizioni, di
valore inferiore, allora, a 22 euro), nonostante essi
non avessero scontato l’IVA in dogana, poiché non
soggetti a tale imposta ex art. 1, Legge n. 479/
1992 (6).
La società, non affatto convinta della normativa di
recepimento del dettato unionale ed ancor meno
dell’interpretazione del Fisco, ha impugnato l’atto
impositivo. Sotto il profilo sostanziale tra le varie
eccezioni proposte focalizziamo l’attenzione
sull’infondatezza della citata interpretazione da
cui scaturisce il mancato assoggettamento ad IVA
delle c.d. piccole spedizioni. La tesi accusatoria non
aveva distinto tra l’introduzione di prodotti “franco
destino”, come nel caso di specie, in cui le spese di
trasporto sul territorio nazionale sono incluse nella
base imponibile in dogana, da quella “franco
confine”, ove viceversa la mancata inclusione comporta l’imponibilità dei relativi corrispettivi (7).
In subordine veniva formulata richiesta di sospensione del giudizio e rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea su una presunta (in)
compatibilità della normativa interna con l’art. 144
della Direttiva IVA.
L’“iter” processuale
Il contribuente in sede contenziosa trovava ragione in
entrambi i giudizi di merito stante l’“evidente contrasto” dell’interpretazione dell’Amministrazione
con il citato art. 144 che “faceva dipendere il regime
IVA sul trasporto delle piccole spedizioni dalla insindacabile decisione della Dogana di applicare o meno
l’IVA all’importazione, tanto più che nella
Note:
(4) C.M. 9 aprile 1981, n. 12.
(5) Direttiva 2006/112/CE, art. 144 per cui, ai fini dell’esenzione da IVA
dei servizi di trasporto eseguiti in Italia di simili beni, sarebbe stata
sufficiente l’inclusione dei relativi corrispettivi nella base imponibile
all’importazione, ai fini del pagamento dell’IVA, tanto sui beni importati quanto sui servizi ad essi accessori, solo se dovuta e senza
duplicazione d’imposta.
(6) Oltre che non soggette ai dazi, ex art. 27, Regolamento CEE 918/83,
ora art. 23, Reg. 1186/2009.
(7) CC.MM. 3 agosto 1979, n. 26, e 9 aprile 1981, n. 12, cit.
L’IVA 8-9/2016
31
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IN SINTESI
fattispecie concreta si trattava
di beni in importazione ‘franco
destino’, e non ‘franco confine’” (8).
Diversamente il Fisco, forte di
un dettato normativo interno
(abbastanza chiaro quanto
poco conforme a quello comunitario), riteneva che la condizione della non imponibilità ai
fini IVA dei servizi di trasporto “interno” fosse rappresentata dall’assolvimento del
tributo in dogana.
In secondo luogo viene ricordata sia la non diretta
applicabilità della Direttiva
IVA, comunque entrata in
vigore dal 1° gennaio 2008,
sia il fatto che la fattispecie
concreta sarebbe fuori dal
campo di applicazione tanto
dell’art. 144 della Direttiva,
che esenta le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni il cui valore è
compreso nella base imponibile, quanto dell’art. 86 della
stessa, che fa rientrare nella
base imponibile il trasporto
fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio
dello Stato, in quanto:
a) l’importazione ed il trasporto internazionale sono
stati effettuati dalla FedEx
(casa madre), mentre la
filiale italiana ha effettuato
solo il successivo trasporto
interno;
b) le merci in questione non
sono soggette ad applicazione dell’IVA in dogana.
È domandato alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea di pronunciarsi in via
pregiudiziale sulla seguente questione
“Se il combinato disposto degli artt. 144 e
86, primo paragrafo, della Direttiva 2006/
112/CE del Consiglio, del 28 novembre
2006 (corrispondenti agli artt. 14,
paragrafi 1 e 2, ed 11, parte B, paragrafo
3, della Direttiva 77/388/CEE del
Consiglio, del 17 maggio 1977) possa
essere interpretato nel senso che unica
condizione per la non imponibilità ai fini
IVA delle prestazioni connesse,
consistenti nel servizio di trasporto
interno c.d. inbound - dagli spazi
aeroportuali sino a destinazione, nel
territorio dello Stato membro, e con la
clausola ‘franco destino’ - è che il loro
valore sia compreso nella base
imponibile, a prescindere dal loro
effettivo assoggettamento ad imposta in
dogana, all’atto dell’importazione dei
beni; e che quindi non sia compatibile con
le suddette disposizioni comunitarie una
lettura del combinato disposto delle
norme interne di cui agli artt. 9, comma 1,
n. 2), e 69, comma 1, del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, nella versione allora
vigente, ratione temporis, in base alla
quale in ogni caso, e quindi anche nelle
ipotesi di importazioni non imponibili ai
fini IVA - come nella specie, trattandosi di
documenti e beni di trascurabile valore debba essere soddisfatto l’ulteriore
requisito del loro effettivo
assoggettamento ad IVA (e del concreto
versamento dell’imposta in dogana)
all’atto dell’importazione dei beni
medesimi; e ciò eventualmente anche in
considerazione del rapporto di
accessorietà dei servizi di trasporto
rispetto alle prestazioni principali
(importazioni) e della ratio di
semplificazione sottesa ad entrambe le
operazioni”.
Rinvio pregiudiziale
La Suprema Corte si chiede
quale sia la corretta interpretazione, alla luce delle disposizioni comunitarie, delle norme interne sul
32
L’IVA 8-9/2016
trattamento ai fini IVA dei
corrispettivi delle prestazioni
di trasporto sul territorio
nazionale, effettuate dagli
spazi aeroportuali ai destinatari italiani con la clausola
“franco destino” di documenti
e beni importati c.d. di valore
trascurabile (non superiore ad
euro 22).
Più precisamente risulta con
evidenza che il legislatore
domestico non abbia recepito
correttamente gli artt. 143 e
144 della Direttiva IVA nel
D.P.R. n. 633/1972.
Infatti la Commissione europea ha avviato a riguardo una
specifica procedura di infrazione nei confronti dell’Italia
a cui è seguito apposito parere
motivato che evidenziava
“secondo l’art. 86 della
Direttiva IVA, nella base
imponibile dei beni importati
in un Paese UE da uno Stato
terzo devono essere conteggiati, oltre al corrispettivo,
anche le spese accessorie, ivi
comprese quelle dovute per il
trasporto; che in caso di
importazione di un bene da
uno Stato terzo, l’IVA può
essere pagata dall’importatore
direttamente alla dogana, cioè
all’ingresso nello Stato membro dell’Unione; che in base
all’art. 144 della Direttiva
IVA, alla soggezione ad IVA
dei servizi resi dietro corrispettivo fanno eccezione i
casi in cui gli stessi servizi,
in quanto connessi alle importazioni, siano stati già compresi nella base imponibile
Nota:
(8) Sentenza in commento, punto 6.
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IVA sul bene importato, al momento del pagamento
di quest’ultima alla dogana, essendo la ratio della
norma evitare una doppia imposizione (laddove uno
stesso servizio, già oggetto di imposizione IVA al
passaggio della dogana, venga nuovamente tassato
durante l’esecuzione del trasporto nello Stato membro); che l’art. 143 della Direttiva IVA, in combinato disposto con l’art. 23 della Direttiva 2009/132/
CE e con l’art. 1 della Direttiva 2006/79/CE, stabilisce che siano esenti da IVA le importazioni, da
Paesi terzi, di beni aventi valore non superiore a 10
euro (innalzabile fino a 22 euro dallo Stato membro)
ovvero oggetto di piccole spedizioni prive di carattere commerciale; che, di conseguenza, anche i
servizi di trasporto - accessori a tali importazioni
esenti da IVA - devono beneficiare della stessa
esenzione.”.
Diversamente la normativa italiana disciplinava i
suddetti servizi accessori, nel caso di specie di
trasporto, in maniera analoga a quelli accessori ad
importazioni soggette ad IVA, stabilendo che essi:
• dovessero essere soggetti ad imposta;
• potevano considerarsi esenti solo se l’IVA stessa
fosse stata già pagata alla dogana, e quindi non
anche quando le importazioni fossero ex se
esenti (9).
Le ragioni
L’Amministrazione finanziaria assume che la contribuente avrebbe dovuto fatturare come imponibili
i corrispettivi per i servizi di trasporto inbound
relativi ai documenti e agli altri beni di valore
trascurabile, proprio in quanto essi non erano stati
assoggettati ad imposta stante la ratio della non
imponibilità stabilita dal combinato disposto di
cui all’art. 9, comma 1, n. 2), e dell’art. 69,
comma 1, che sarebbe appunto (e solo) quella di
evitare una doppia imposizione. Immediato corollario è che il mancato assoggettamento dei beni ad
IVA, al momento dell’importazione, farebbe riespandere la regola generale della imponibilità delle
connesse prestazioni di trasporto sul territorio
nazionale. La disciplina domestica ai fini dell’esenzione dei servizi, connessi agli scambi internazionali, pone una (discussa) condizione ulteriore,
rispetto agli artt. 144 e 86 della Direttiva IVA,
“pretendendo non solo che le spese di inoltro fino
al luogo di destinazione siano incluse nella base
imponibile alla Dogana, ma anche che esse siano in
concreto assoggettate all’imposta, perciò escludendo la non imponibilità - nonostante la loro
accessorietà - in tutti i casi in cui si tratti di importazioni di beni a loro volta non imponibili, come
appunto per i documenti ed i beni di valore
trascurabile”.
I giudici di Cassazione ritengono “non palesemente
infondata” detta interpretazione sia in virtù della
richiamata giurisprudenza, sia della stessa necessità
di un intervento del legislatore domestico per addivenire ad una diversa conclusione. In aggiunta nel
momento in cui l’art. 9 fa riferimento, ai fini della
non imponibilità ai fini IVA dei servizi di trasporto
connessi agli scambi internazionali, al successivo
art. 69 - il quale disciplina le modalità di applicazione dell’imposta per le importazioni di beni che
sono soggette all’IVA - esso sembrerebbe riguardare (solo) operazioni di importazione imponibili;
ed entro questi limiti pare indubbiamente corretta la
lettura dell’Amministrazione finanziaria, che individua la ratio delle norme in questione nell’esigenza di evitare una duplicazione di imposta.” Ma
così come scritta la norma (nella versione ratione
temporis) dimenticava le importazioni che sono non
imponibili lasciando il dubbio “se riprenda vigore,
per i relativi servizi di trasporto interno, l’ordinaria
soggezione ad IVA, in forza del principio di
territorialità; ovvero se la natura accessoria di quelle
prestazioni le renda non imponibili ai fini IVA per le
stesse ragioni - in ultima analisi, un’esigenza di
semplificazione - che sono alla base della non
imponibilità delle importazioni di documenti e
beni di trascurabile valore (10)”.
Il “revirement” nazionale
Il legislatore italiano, conscio del gap normativo, ha
allineato con la Legge europea 2014 (11) il trattamento fiscale delle spese accessorie al disposto
Note:
(9) Ai sensi dell’art. 9, comma 1, n. 4), Decreto IVA, i costi accessori di
trasporto relativi alle importazioni di beni, anche di valore modesto,
sono ritenuti non imponibili solo ove siano stati già assoggettati ad IVA
all’atto dell’importazione.
(10) CGE, sent. 2 luglio 2009, causa C-7/08, Har Vaessen Douane
Service, punti 34-38.
(11) Legge 29 luglio 2015, n. 115, art. 12, rubricato “Modifiche alla
disciplina dell’imposta sul valore aggiunto relativa a talune importazioni di merci di valore modesto. Procedura di infrazione n. 2012/
2088”.
L’IVA 8-9/2016
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Tavola n. 1 - Indicazioni della Corte di Giustizia europea
I servizi di trasporto in questione (quand’anche effettuati direttamente in Sentenza 16 luglio 2015, causa C-584/13,
favore del destinatario e da soggetto diverso dal vettore internazionale, Mapfre warranty SpA, punti 49 ss.
come asserito, in ricorso, dell’Amministrazione) paiono integrare delle
“prestazioni accessorie”
– Anche se ai fini dell’IVA, ciascuna operazione deve essere normalmente
considerata distinta e indipendente, come risulta dall’art. 2, punto 1, della
sesta Direttiva tuttavia, “in determinate circostanze più prestazioni formalmente distinte, che potrebbero essere fornite separatamente e dare
così luogo separatamente a imposizione o a esenzione, devono essere
considerate come un’unica operazione quando non sono indipendenti”
Sentenze:
– Aktiebolaget NN, causa C-111/05, p.to 22
– Field Fisher Waterhouse, causa C-392/11,
p.to 14
– BG2 Leasing, causa C-224/11, p.to 29
Si è in presenza di un’operazione unica, in particolare, quando due o più Sentenza BG2 Leasing, cit., punto 30 e giurielementi o atti forniti dal soggetto passivo sono così strettamente collegati sprudenza ivi citata
da formare, oggettivamente, un’unica prestazione economica inscindibile
la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso. Ciò accade anche nel
caso in cui uno o più elementi debbano essere considerati nel senso che
costituiscono la prestazione principale mentre, al contrario, uno o più
elementi debbano essere considerati alla stregua di una o più prestazioni
accessorie cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione
principale
Pur non apparendo le prestazioni nel caso concreto (vendita di un veicolo Sentenza BG2 Leasing, cit., punto 40
usato e garanzia per guasti meccanici prestata da altro operatore economico) “così strettamente connesse da costituire un’operazione unica”
(poiché la loro considerazione separata “non può costituire, di per sé, una
scomposizione artificiosa di un’operazione economica unica, tale da alterare la funzionalità del sistema dell’IVA”), resta comunque in capo al
giudice nazionale di rinvio il compito di valutare se esistano ragioni
specifiche relative alle circostanze di cui ai procedimenti principali che
possano indurre a ritenere che gli elementi in questione costituiscano
un’operazione unica
Con riguardo alla nozione giurisprudenziale di operazione unica, una Sentenza BG2 Leasing, punto 41
prestazione è considerata accessoria a una prestazione principale, in
particolare, quando costituisce per la clientela non già un fine in sé, ma
il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale
comunitario, in particolare ai citati articoli art. 143
e 144.
Dal 18 agosto 2015 è stata modificata la disciplina
IVA applicabile ai servizi accessori relativi:
a) alle piccole spedizioni a carattere non commerciale (Direttiva 2006/79/UE);
b) alle spedizioni di “valore trascurabile”
(Direttiva 2009/132/UE);
estendendo la franchigia IVA all’importazione,
applicabile alle suddette spedizioni, anche alle relative spese accessorie, a prescindere dal loro ammontare. In secondo luogo è stato demandato al Ministro
34
L’IVA 8-9/2016
dell’Economia e delle Finanze l’onere di modificare
il Regolamento recante norme in tema di franchigie
fiscali per estendere l’esenzione dai diritti doganali.
Piccole importazioni
La Direttiva 2006/79/CE stabilisce che le merci
oggetto di piccole spedizioni, prive di carattere
commerciale, spedite da un privato stabilito in un
Paese terzo e destinate ad un altro privato che si trovi
in uno Stato membro, godono all’importazione di
una franchigia dalle imposte sulla cifra di affari e
dalle altre imposizioni indirette interne.
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Tavola n. 2 - Art. 12: modifiche alla disciplina IVA relativa a talune importazioni di merci di valore modesto (Procedura
di infrazione n. 2012/2088)
Punto
Contenuto
1
All’art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 dopo il n. 4) è inserito il seguente:
“4-bis) i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore
trascurabile di cui alle Direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del
19 ottobre 2009, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base
imponibile ai sensi dell’art. 69 del presente Decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata
all’imposta”.
2
“Con regolamento adottato con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ai sensi dell’art. 17,
comma 3, della Legge 23 agosto 1988, n. 400, sono apportate modifiche al regolamento recante norme in tema
di franchigie fiscali, di cui al Decreto del Ministro delle finanze 5 dicembre 1997, n. 489, con le quali si stabilisce
che, nel caso di applicazione della franchigia alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle
spedizioni di valore trascurabile di cui alle Direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/
CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sono ammessi alla franchigia dai diritti doganali anche i relativi servizi
accessori indipendentemente dal loro ammontare, trasportati o spediti al committente, soggetto passivo
d’imposta, nel territorio dello Stato, ovvero per i beni inviati in altro Stato membro per essere ivi temporaneamente utilizzati per l’esecuzione di prestazioni” (12).
Sono classificate “piccole spedizioni prive di carattere commerciale” quelle che al contempo soddisfano le seguenti caratteristiche:
1) natura occasionale;
2) riguardano esclusivamente merci riservate
all’uso personale o familiare dei destinatari e
che, per la loro natura o quantità, escludano
qualsiasi interesse di ordine commerciale;
3) valore globale non superiore 45 euro;
4) inviate dallo speditore al destinatario senza
pagamento di alcun genere.
La Direttiva citata chiarisce all’art. 2 che la franchigia opera entro precisi limiti quantitativi, se
riguarda determinati prodotti (es. tabacco, bevande
alcoliche, profumi, caffè) e, comunque, resta nella
facoltà degli Stati membri ridurre o escludere dal
beneficio della franchigia i citati prodotti.
Qualora le predette tipologie di merci siano oggetto
di una piccola spedizione priva di carattere commerciale ma in quantità superiore a quelle previste
dalla Direttiva, sono totalmente escluse dal
beneficio.
La Direttiva 2009/132/CE definisce l’ambito d’applicazione dell’esenzioni dall’imposta sul valore
aggiunto, individuando le categorie di beni che
godono di tale trattamento agevolato.
In particolare ammette il beneficio per le importazioni di beni di importo “trascurabile” (13), non
superiore a 10 euro, con facoltà degli Stati membri di:
1) ammettere in esenzione le importazioni di beni
di valore totale compreso fra 10 e 22 euro;
2) escludere dall’esenzione detti beni se importati nell’ambito di una vendita per
corrispondenza.
Sono esclusi i prodotti alcolici, profumi, acqua da
toletta, tabacchi e prodotti del tabacco (14).
Osservazioni conclusive
La Cassazione, come scrupolosamente esaminato,
pone il fardello dell’efficacia temporale della nuova
previsione di non imponibilità IVA per i servizi di
trasporto inbound relative alle piccole spedizioni,
introdotta dalla Legge europea 2014, sulle spalle dei
colleghi comunitari. Il revirement italiano pur
essendo entrato in vigore il 18 agosto 2015, ma
con efficacia giuridica differita al successivo 1°
gennaio 2016 in virtù dei princìpi dello Statuto
Note:
(12) Dallo scorso 22 giugno, in virtù del citato rimando normativo, è in
vigore anche il Decreto n. 96 del 29 aprile 2016, Pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 2016, che da piena attuazione alla
franchigia fiscale dei servizi accessori alle importazioni di modesto
valore.
(13) Art. 23, Direttiva cit.
(14) Art. 24, Direttiva cit.
L’IVA 8-9/2016
35
Servizi
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internazionali
dei diritti del contribuente (15), potrebbe avere
valenza retroattiva considerato che le disposizioni
unionali di riferimento potrebbero essere sufficientemente dettagliate e precise per consentire agli
operatori di invocarne l’applicazione diretta anche
prima di tale data (16). Ciò premesso il rinvio
pregiudiziale alla CGE effettuato con l’ordinanza
n. 9150/2016 in commento potrebbe persino essere
superfluo.
Anche la Suprema Corte rileva che “[n]el caso di
specie, è pacifico che i trasporti de quibus sono stati
effettuati con la clausola ‘franco destino’; ma è
anche pacifico - di qui la problematica sulla quale
si richiede l’interlocuzione della Corte di Giustizia che i beni oggetto di importazione non sono imponibili ai fini IVA”.
Di conseguenza viene chiesto ai magistrati europei
di chiarire “senza margini di ragionevole dubbio”
se, segnatamente gli artt. 144 e 86 della Direttiva
IVA, la disciplina italiana possa aggiungere lecitamente un ulteriore requisito valevole ai fini dell’esenzione dall’imposta. Ma ci chiediamo se ci sia
effettivamente qualche ragionevole dubbio anche in
virtù di quanto rilevato nella relazione del Servizio
Studi del Senato ove si ritengono esenti, alla luce
della Direttiva IVA, “anche i servizi di trasporto,
accessori a tali importazioni esenti da IVA (...) al
contrario, la norma italiana disciplina tali servizi
36
L’IVA 8-9/2016
allo stesso modo di quelli accessori ad importazioni
soggette ad IVA, stabilendo che essi siano soggetti
ad imposta e siano esenti solo se l’IVA stessa sia
stata già pagata alla dogana” (17).
Note:
(15) Legge n. 212/2000 che all’art. 3, comma 1, prevede “(r)elativamente ai tributi periodici [qual è l’IVA] le modifiche introdotte si
applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in
corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le
prevedono”(Agenzia delle entrate, circolare 14 maggio 2002, n. 44/
E, § 3.5 e risoluzione 5 marzo 2002, n. 74/E).
(16) In precedenza la circolare n. 58/E/2009 ha stabilito con riferimento alle novità apportate dalla Direttiva 2008/8/CE del Consiglio
del 12 febbraio 2008 relativamente al luogo di prestazione dei servizi
che “considerato che alcune delle disposizioni contenute nella
Direttiva Servizi risultano sufficientemente dettagliate e tali da consentirne la diretta applicazione almeno per ciò che riguarda le regole
generali, nelle more dell’adozione del formale provvedimento di
recepimento delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, si
forniscono di seguito istruzioni operative di massima, sulla base delle
norme contenute nella ripetuta Direttiva che appaiono oggettivamente suscettibili di immediata applicazione. Ciò allo scopo di evitare
che si verifichino fenomeni di doppia tassazione o di detassazione in
contrasto con i dettami dell’IVA e con un coerente funzionamento del
mercato interno, che potrebbero emergere qualora dal 1° gennaio
2010 in Italia si continuassero ad applicare le previgenti norme.”
(17) Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 1962 “Disposizioni per
l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione Europea - Legge europea 2014”.
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Accertamento
Notizia di reato e raddoppio
dei termini di accertamento
di Salvatore Servidio
L’approfondimento
In tema di accertamenti fiscali (redditi e IVA),
la Corte di cassazione ha affermato, con ordinanza n. 9725/2016, che il fatto storico dell’archiviazione della notizia di reato a carico
del contribuente non impedisce, di per sé, in
assenza di altre e autosufficienti specificazioni,
il raddoppio dei termini di accertamento, non
potendosi da ciò desumere un travisamento
dello strumento legale.
La questione rimanda, in particolare, al problematico coordinamento interpretativo tra
l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/2015 e l’art.
1, comma 132, della Legge di stabilità 2016, che
hanno diversamente regolamentato la previsione del raddoppio dei termini di accertamento di cui all’art. 57, D.P.R. n. 633/1972 e
all’art. 43, D.P.R. n. 600/1973, in presenza di
rapporto penale per reati fiscali.
Riferimenti
Cass., ordinanza 12 maggio 2016, n. 9725
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57
Il fatto oggetto dell’ordinanza 12 maggio 2016,
n. 9725 della Corte di cassazione (1), riguarda una
controversia concernente l’impugnazione di un
avviso di accertamento IRPEG, IRAP ed IVA,
dovute a seguito di rettifica del reddito d’impresa/
volume d’affari, per effetto del disconoscimento
della deducibilità di costi, non inerenti o portati
da fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti,
e della contestazione di omessa dichiarazione di
ricavi, nella quale la Commissione tributaria regionale, accogliendo l’appello della società contribuente, ha annullato in via pregiudiziale l’atto
impositivo perché emesso fuori termine.
In particolare, in ordine all’eccezione preliminare
accolta di decadenza dell’azione della finanza dalla
potestà di accertamento, ai sensi dell’art. 43, comma
3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e del raddoppio
dei relativi termini di accertamento in presenza di un
reato tributario di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000,
n. 74, il giudice regionale ha sostenuto che, nella
specie, in difetto di produzione da parte dell’ente
impositore di copia della denuncia penale e di
documentazione in ordine alla pendenza del processo penale, la Commissione del riesame si era
trovata impossibilitata a valutare che non vi fosse
stato utilizzo pretestuoso dell’Amministrazione
finanziaria delle disposizioni normative “al fine di
fruire ingiustificatamente di un più ampio termine
di accertamento”.
Nel conseguente ricorso per cassazione
l’Amministrazione finanziaria lamenta innanzitutto
violazione di legge (artt. 43, commi 1 e 3, del D.P.R.
n. 600/1973 per le imposte sui redditi e 57, commi 1
e 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per l’IVA),
avendo il giudice di appello dato rilievo a circostanze ininfluenti, in base alle richiamate disposizioni di legge, conseguendo invece il raddoppio dei
termini al mero riscontro giudiziale di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione o dall’inizio
dell’azione penale.
La ricorrente lamenta altresì vizi di motivazione,
avendo la Commissione del riesame omesso di
accertare la sussistenza di fatti, emergenti dal verbale di constatazione, comportanti l’obbligo di
denuncia ex art. 331 c.p.p. di uno dei reati tributari
previsti dal D.Lgs. n. 74/2000.
La decisione n. 9725/2016
Nel decidere la vertenza, con l’ordinanza n. 9725/
2016 in esame, la Corte di cassazione accoglie le
Salvatore Servidio - Pubblicista
Nota:
(1) Cfr. in Banca Dati BIG Suite, IPSOA.
L’IVA 8-9/2016
37
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Accertamento
censure della ricorrente, stabilendo il principio che i
termini per l’accertamento possono essere raddoppiati anche quando l’Amministrazione finanziaria
non ha ancora presentato una denuncia penale contro il contribuente per un presunto reato fiscale. È
infatti sufficiente la configurabilità in astratto
dell’illecito.
Nel merito della vicenda - contrariamente a quanto
deciso dal giudice di appello il quale, dalla mancata
produzione di copia della denuncia penale e di
documentazione in ordine alla pendenza del processo penale, ne ha fatto discendere decadenza
dell’ente impositore dall’azione di accertamento -,
con l’opposta soluzione il giudice di legittimità ha
ritenuto sussistente nella fattispecie violazione dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e della disciplina sul
raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notitia criminis di natura
fiscale.
Peraltro, ha aggiunto, ai fini dell’operatività dell’istituto del raddoppio dei termini di cui trattasi, è
ininfluente l’esercizio dell’azione penale da parte
del P.M. o l’eventuale sentenza di condanna. Il
giudice di merito, per assicurarsi che l’Ufficio
non abbia fatto un uso distorto dei termini “lunghi”
per l’accertamento, deve però verificare se il reato
fiscale è astrattamente configurabile e a tal fine è
irrilevante la mancata produzione della documentazione attestante la trasmissione della notizia di
reato o la pendenza del processo penale.
Per fugare il ventilato pericolo ora accennato, ossia
l’utilizzo pretestuoso dell’Amministrazione finanziaria delle disposizioni normative di cui agli artt.
43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/
1972, in modo da poter fruire ingiustificatamente di
un più ampio termine di decadenza dell’azione accertatrice, comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate, necessita ricordare che con
sentenza 25 luglio 2011, n. 247, la Corte costituzionale ha devoluto al giudice di merito il compito di
vigilare sull’osservanza degli elementi minimi
richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del
termine allungato in casi di iniziative di denuncia
palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto
dello strumento legale apprestato dall’art. 37 del D.L.
4 luglio 2006, n. 223 (c.d. Decreto “Visco-Bersani”),
convertito dalla Legge n. 248 del 4 agosto 2006.
38
L’IVA 8-9/2016
Perciò, alla Sezione tributaria è apparsa fondata la
tesi della difesa erariale, oltre che della violazione di
legge, anche dei vizi motivazionali, in quanto la
Commissione del gravame non si è attenuta ai
principi individuati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011 e a quelli di legittimità fissati
al riguardo.
Quadro normativo di riferimento
L’istituto del raddoppio dei termini è stato introdotto
dal riferito art. 37 del D.L. n. 223/2006, i cui commi
24 e 25, modificando il D.P.R. n. 600/1973 e il D.P.R.
n. 633/1972, hanno inserito, rispettivamente, negli
artt. 43 e 57, un comma 3, in base al quale in caso di
violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi
dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal
D.Lgs. n. 74/2000, “i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di
imposta in cui è stata commessa la violazione”.
Questa ricaduta sui termini dell’accertamento tributario si produce “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia”, ai sensi dell’art. 331
c.p.p., con ciò sottolineando che il raddoppio dei
termini è legato non solo alla presentazione ma
anche alla “presentabilità” della denuncia, così da
non far riversare sull’Erario il pregiudizio derivante
dalla non rilevazione, dolosa o colposa, dell’illecito
penal-tributario.
La ragione della norma, come precisato nella relazione governativa al provvedimento, è quella di
“garantire la possibilità di utilizzare per un periodo
di tempo più ampio di quello ordinario gli elementi
istruttori emersi nel corso delle indagini condotte
dalla Autorità giudiziaria”.
L’art. 331 c.p.p. disciplina la “denuncia da parte di
Pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio”, precisando i tempi, i modi e il contesto nei
quali si configura quello che è un vero e proprio
obbligo di segnalazione all’Autorità giudiziaria
della “notizia di un reato perseguibile di Ufficio”.
La configurazione della segnalazione di reato come
un obbligo cui adempiere “senza ritardo” è desumibile dagli artt. 361 e 362 c.p. che - attraverso la
comminatoria di una sanzione penale - vogliono
escludere spazi (e tempi) di gestione discrezionale
della notizia di reato.
Con riguardo ai reati tributari, tutti perseguibili
d’Ufficio, la normativa processuale sulla notitia
criminis determina una situazione per la quale la
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Accertamento
IN SINTESI
Guardia di Finanza e gli Uffici
La sentenza n. 247/2011
L’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 definisce
Finanziari, nel dubbio circa il
Corte costituzionale
i termini perentori entro i quali deve
configurarsi di una situazione
Sulla vicenda è intervenuta la
essere esercitata, ai fini dell’IVA, l’azione
Corte costituzionale, la quale,
di rilievo penale, optano per la
di accertamento da parte
denuncia, anche al fine di evicon la richiamata sentenza
dell’Amministrazione finanziaria, pena la
tare l’addebito penale al funzion. 247/2011, nel dichiarare
decadenza del potere di esercizio
nario
che
risultasse
infondate le questioni di
dell’azione stessa.
legittimità, per violazione
inadempiente all’obbligo di
L’art. 37, comma 25, del D.L. n. 223/
segnalare l’illecito tributario
degli artt. 3 e 24 Cost. (invo2006 ha introdotto un comma 3 del citato
di rilievo penale.
cati in quanto la norma
art. 57 che dispone il raddoppio dei
avrebbe irragionevolmente
La ratio legis sottostante è
termini ordinari di accertamento “in caso
quella di evitare che la gestione
prorogato o riaperto termini
di violazione che comporta obbligo di
amministrativa della notizia di
di decadenza ormai scaduti,
denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice
così ledendo l’esigenza di cerreato si traduca in impunità del
di procedura penale per uno dei reati
colpevole: il legislatore ha antitezza dei rapporti giuridici e il
previsti dal decreto legislativo 10 marzo
cipato i tempi di intervento della
diritto di difesa dei contri2000, n. 74”.
buenti), del combinato dispogiustizia penale e l’ha sganciato
Per effetto di tali modifiche, l’art. 57 del
dai tempi del procedimento tristo dell’art. 57, comma 3, del
D.P.R. n. 633/1972 consente agli Uffici
butario proprio per evitare che
D.P.R. n. 633/1972, e dell’art.
Finanziari di emettere avvisi di
sotto la discrezionalità ammini37,
comma 26, del D.L. n. 223/
accertamento in un arco temporale
2006,
nella parte in cui
strativa possano trovare spazio
doppio rispetto a quello ordinario nel caso
l’omissione, l’abuso, il pregiuprevede
il raddoppio dei
in cui, durante l’attività di verifica, venisse
dizio delle ragioni erariali e un
termini di accertamento nel
riscontrata la rilevanza penale, ex D.Lgs.
caso di violazioni comportanti
deficit nel contrasto all’evan. 74/2000, di determinati
sione fiscale e all’indebito
obbligo di denuncia ai sensi
comportamenti del contribuente.
risparmio fiscale.
dell’art. 331 c.p.p. per uno
La ratio della norma, come precisato nella
dei reati di cui al D.Lgs.
La disposizione di cui all’art.
relazione governativa al provvedimento,
37 del D.L. n. 223/2006, ha
n. 74/2000, ha affermato i
mira a “garantire la possibilità di
dato adito a dubbi interpretaseguenti principi:
utilizzare per un periodo di tempo più
tivi concernenti, in particolare:
a) che “il raddoppio dei terampio di quello ordinario gli elementi
mini consegue dal mero
• la possibilità di utilizzare la
istruttori emersi nel corso delle indagini
norma sul raddoppio dei terriscontro di fatti comporcondotte dalla Autorità giudiziaria”.
mini anche in relazione ad
tanti l’obbligo di denuncia
annualità già definite per
penale,
indipendenteeffetto dello spirare degli
mente dall’effettiva preordinari termini di decadenza;
sentazione della denuncia o dall’inizio
dell’azione penale”;
• e l’incidenza, sul regime di raddoppio dei termini,
delle cause di non punibilità o di estinzione del
b) che l’obbligo di denuncia “sorge anche ove
reato nonché degli esiti del procedimento penale
sussistano cause di non punibilità impeditive
eventualmente favorevoli al contribuente, quali il
della prosecuzione delle indagini penali ed il
Decreto di archiviazione ovvero, nel caso di rincui accertamento resti riservato all’Autorità giuvio a giudizio, la sentenza di proscioglimento.
diziaria penale”;
In merito alla prima questione, qui di interesse, era
c) che “la lettera della legge impedisce di interpreampiamente dibattuto se la norma consentisse la
tare le disposizioni denunciate nel senso che il
riapertura di termini già trascorsi oppure se, in un’otraddoppio dei termini presuppone necessariatica più garantista, essa dovesse essere intesa come
mente un accertamento penale definitivo circa
volta a consentire il solo raddoppio dei termini non
la sussistenza del reato”;
ancora decorsi al momento dell’inoltro della notitia
d) che subordinare il raddoppio dei termini a un
criminis.
accertamento penale definitivo circa la
L’IVA 8-9/2016
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Accertamento
sussistenza del reato, “contrasterebbe anche con
il vigente regime del c.d. doppio binario tra
giudizio penale e procedimento e processo
tributario, evidenziato dall’art. 20 del D.Lgs.
n. 74 del 2000”;
e) che l’obbligo di denuncia opera quando si “sia in
grado di individuare con sicurezza gli elementi
del reato da denunciare (escluse le cause di
estinzione e di non punibilità, che possono
essere valutate solo dall’Autorità giudiziaria),
non essendo sufficiente il generico sospetto di
una eventuale attività illecita”;
f) che il pubblico ufficiale “non può liberamente
valutare se e quando presentare la denuncia ma
deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 c.p.
per il caso di omissione o ritardo nella
denuncia”;
g) che sussiste “il dovere del giudice tributario di
vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza dell’obbligo di denuncia.
Esiti conclusivi della sentenza n. 9725/2016
Sulla vexata quaestio è anche intervenuta la stessa
Corte di cassazione, con la paradigmatica sentenza
15 maggio 2015, n. 9974, la quale si è occupata per
la prima volta della questione del raddoppio dei
termini di accertamento in presenza dell’obbligo
di presentazione della notizia di reato all’Autorità
giudiziaria.
Con la sentenza n. 9974/2015, la Cassazione ha
preso posizione sulla questione, ribadendo che i
principi enunciati dall’art. 37, come interpretato
dalla Corte costituzionale, sono quelli consolidati
nella giurisprudenza di legittimità, ovvero che il
raddoppio dei termini di accertamento fiscale
“scatta”, in ogni caso, in presenza dell’obbligo di
presentazione della notizia di reato, a prescindere
dal fatto che poi essa sia stata effettivamente inoltrata all’Autorità giudiziaria e tanto più dall’esito
dell’eventuale procedimento penale instauratosi.
Sussiste l’obbligo di presentazione della notitia
criminis - ha stabilito il giudice di legittimità quando il pubblico ufficiale ravvisi nel fatto il
fumus del reato, ovvero quando il fatto sia riconducibile ad una fattispecie illecita, non essendo, però,
necessaria la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza del reato (cfr. Cass., Sez. VI pen., 6 febbraio
2014, n. 12021).
40
L’IVA 8-9/2016
È compito del giudice tributario - conferma la
Suprema Corte - vagliare la sussistenza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per la
presentazione della notizia di reato, negando
l’operatività del raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, quando tali elementi siano carenti,
evitando così che tale strumento legale si presti ad
iniziative di denunzia palesemente pretestuose o
addirittura calunniose da parte del Fisco, al solo
fine di rendere operativo il raddoppio dei termini per
espletare gli accertamenti di competenza. Il che
significa che presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire all’Autorità giudiziaria è l’esistenza di una notizia di reato che, pur non
necessitando la certezza o anche il dubbio circa
l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile
ad una fattispecie illecita, mentre i giudizi di valore
complementari al fatto tipico, vale a dire
antigiuridicità e dolo, competono invece in via
esclusiva all’Autorità giudiziaria.
Secondo la Sezione tributaria, infine, le disposizioni
recate dalla delega fiscale, in particolare l’art. 8
della Legge 11 marzo 2014, n. 23, depongono a
favore delle conclusioni opzionate, fissando soltanto, in aggiunta, limiti temporali più stringenti
per l’operatività del termine raddoppiato.
In effetti, il citato art. 8 dispone al comma 2 che negli
emanandi Decreti legislativi sia previsto che l’invio
della notitia criminis debba avvenire “entro un
termine correlato allo scadere del termine ordinario
di decadenza”, fatti comunque salvi gli effetti degli
atti di controllo già notificati alla data di entrata in
vigore dei Decreti legislativi.
Traendo le conclusioni, ha affermato quindi il giudice di legittimità nella sentenza n. 9725/2016, che,
applicando i riferiti principi di diritto derivanti dalle
emergenze giurisprudenziali alla fattispecie in trattazione, risulta evidente che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione
accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non l’esercizio dell’azione penale
da parte del P.M., ai sensi dell’art. 405 c.p.p.,
mediante la formulazione dell’imputazione, né la
successiva emanazione di una sentenza di condanna
o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso
anche il regime di “doppio binario” tra giudizio
penale e procedimento e processo tributario, cristallizzato nell’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000 (secondo
cui il procedimento amministrativo di accertamento
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Accertamento
IN SINTESI
ed il processo tributario non
provvedimenti che irrogano
Con l’ordinanza n. 9725/2016, la
possono essere sospesi per la
sanzioni amministrative tribuCassazione ha affermato che ai fini
pendenza del procedimento
tarie e degli altri atti impugnadell’operatività dell’istituto del raddoppio
penale avente ad oggetto i
bili con i quali l’Agenzia delle
dei termini (artt. 43 del D.P.R. n. 600/
medesimi fatti o fatti dal
entrate
fa valere una pretesa
1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972), è
cui accertamento comunque
impositiva
o sanzionatoria,
ininfluente l’esercizio dell’azione penale
dipende
la
relativa
notificati alla data di entrata
da parte del Pm o l’eventuale sentenza di
definizione).
in vigore del presente
condanna. Il giudice di merito, per
Nulla di tutto questo emerge
Decreto”.
accertare che l’Ufficio non abbia fatto un
nella specie ove invece risulta
Le modifiche sopra richiauso distorto dell’istituto de quo, deve
essere intervenuta una denunmate si pongono in linea con
verificare se il reato fiscale è
cia penale a carico del legale
i principi di certezza del diritto
astrattamente configurabile, essendo
rappresentante della società,
e di trasparenza nei rapporti tra
irrilevante, a tal fine, la mancata
per presentazione di dichiaraFisco e contribuente declinati
produzione della documentazione
zione fraudolenta mediante
dalla Legge delega n. 23/2014.
attestante la trasmissione della notizia di
uso di fatture o altri documenti
In merito alla questione, che
reato o la pendenza del processo penale.
per operazioni inesistenti, con
involge i rapporti tra processo
imposta evasa superiore al
penale e procedimento tribulimite individuato dall’art. 2
tario, già con la circolare
del D.Lgs. n. 74/2000.
23 dicembre 2009, n. 54, l’Agenzia delle entrate
Peraltro, anche con riguardo alla specifica posiaveva affermato che, siccome l’ampliamento dei
zione del socio di società a ristretta base sociale, il
termini di accertamento è collegato “alla mera susraddoppio dei termini per l’accertamento consegue
sistenza dell’obbligo di denuncia”, esso opera “a
dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di
prescindere dalle successive vicende del giudizio
denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva
penale che consegue alla denuncia”.
presentazione della denuncia o dall’inizio dell’aQuesta ricostruzione sistematica sarebbe avvalozione penale (in termini, cfr. anche Cass. 7 ottobre
rata dall’interpretazione letterale della disposizione
2015, n. 20043, ove si afferma che
e dalla ratio che se ne desume, “non considerando
l’Amministrazione finanziaria può emettere l’acragionevole ipotizzare che il legislatore abbia
certamento godendo del raddoppio dei termini
voluto subordinare l’efficacia del procedimento
anche quando il reato di cui è sospettato il contritributario di accertamento - e delle risultanze istrutbuente è già prescritto).
torie ivi raccolte - al verificarsi di una fattispecie
successiva ed eventuale, quale la condanna penale
del contribuente”.
Il D.Lgs. n. 128/2015
Ulteriori elementi addotti a sostegno di questa
In attuazione della delega fiscale contenuta nel
interpretazione sono il richiamo al “principio di
menzionato art. 8 della Legge n. 23/2014, è stato
separazione tra procedimento amministrativo di
emanato il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, (c.d.
accertamento e procedimento penale” (art. 20
Decreto sulla certezza del diritto), il cui art. 2, in
D.Lgs. n. 74/2000).
vigore dal 2 settembre 2015, ha aggiunto all’art. 43,
La sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011
comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 57,
sopra richiamata, ha avvalorato tale interpretazione
comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, il seguente
laddove ha stabilito che l’obbligo di denuncia
periodo: “Il raddoppio non opera qualora la denunsorge anche ove sussistano cause di non punibilità
cia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in
impeditive della prosecuzione delle indagini penali,
cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presenil cui accertamento è demandato eventualmente
tata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei
all’Autorità giudiziaria penale: è fondamentale,
termini di cui ai commi precedenti”.
invece, l’astratta configurabilità di un’ipotesi delitIl comma 3 della norma in esame, nel prevedere un
tuosa, in quanto il presupposto dell’obbligo di
regime transitorio, fa salvi, per quanto di interesse,
denuncia è “l’esistenza di una notizia di reato che,
“gli effetti degli avvisi di accertamento, dei
L’IVA 8-9/2016
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Accertamento
pur non necessitando la certezza o anche il dubbio
circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita”, mentre “i giudizi
di valore complementari al fatto tipico vale a
dire antigiuridicità e dolo, competono invece in
via esclusiva all’Autorità giudiziaria” (Cass.
n. 9974/2015, cit.).
La Legge di stabilità 2016
Ma su questi aspetti appena descritti, nulla quaestio, in quanto, raccordando il nuovo comma 3
degli artt. 43 D.P.R. n. 600/1973 e 57 D.P.R.
n. 633/1972, con il comma 3 dell’art. 2 del
D.Lgs. n. 128/2015, se ne ricava la conclusione
che per gli atti dell’Amministrazione finanziaria
notificati successivamente al 2 settembre 2015,
vale la nuova regola inserita nei commi 3 degli
artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R.
n. 633/1972, secondo cui “Il raddoppio non
opera
qualora
la
denuncia
da
parte
dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presentata o
trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini
di cui ai commi precedenti”.
Il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015, fa
salvi (da qui il termine “clausola di salvaguardia” o
“clausola salva-accertamenti”) gli effetti dei rapporti pendenti, ossia degli effetti degli avvisi di
accertamento, dei provvedimenti che irrogano
sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti
impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa
valere una pretesa impositiva o sanzionatoria,
notificati alla data di entrata in vigore del Decreto
(2 settembre 2015).
In sostanza, con l’entrata in vigore del D.Lgs.
n. 128/2015, il raddoppio dei termini opererà
solo se la violazione di natura penal-tributaria
sarà denunciata all’Autorità giudiziaria entro il
31 dicembre del quarto anno successivo a quello
di presentazione della dichiarazione dei redditi
ovvero, in caso di presentazione omessa o nulla,
entro il 31 dicembre del quinto anno successivo, ma
non oltre.
Il comma 3, per quanto di interesse, prevede che
sono fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione sanzioni di
natura amministrativa, tutti gli atti impugnabili
con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una
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L’IVA 8-9/2016
pretesa impositiva o sanzionatoria, sempreché notificati alla data di entrata in vigore del Decreto.
Quindi, per il passato (rectius, atti notificati entro il
2 settembre 2015) vige la regola fissata dall’art. 37 D.
L. n. 226/2006, nel senso che in caso di violazione che
all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per
uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, segue il
raddoppio dei termini di accertamento relativamente
al periodo di imposta in cui è stata commessa
la violazione, anche se la denuncia da parte
dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa
la Guardia di Finanza, sia presentata o trasmessa oltre
la scadenza ordinaria dei termini di accertamento.
Su questa situazione, si è poi venuto ad innestare l’art.
l, comma 130, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208
(Legge di stabilità 2016), in vigore dal 1° gennaio
2016, che ha riscritto completamente l’art. 57 del
D.P.R. n. 633/1972, prevedendo lo slittamento di un
anno del termine per la notifica degli avvisi di rettifica
e di accertamento, che dovrà avvenire - a pena di
decadenza - entro il 31 dicembre del quinto anno
successivo a quello in cui è presentata la dichiarazione
(in precedenza, quattro anni).
Inoltre, sono state equiparate le fattispecie della
dichiarazione nulla e dell’omessa presentazione
della dichiarazione: in tali ipotesi, l’avviso di accertamento potrà essere notificato fino al 31 dicembre
del settimo anno (non più il quinto) successivo a
quello in cui si sarebbe dovuta presentare la
dichiarazione.
Espunta, infine, dal testo dell’art. 57 la norma sul
raddoppio dei termini di accertamento in caso di
violazione che comporti l’obbligo di denuncia per
uno dei reati penal-tributari previsti dal D.Lgs.
n. 74/2000, già modificata dall’art. 2 del D.Lgs.
n. 128/2015 (il raddoppio dei termini avrebbe operato solo se la notizia di reato fosse stata presentata o
trasmessa entro la scadenza dei termini di accertamento vigenti ratione temporis).
Modifiche analoghe a quelle in materia di IVA, sono
state apportate anche alle imposte dirette dal comma
131, che ha sostituito il testo dell’art. 43 del D.P.R.
n. 600/1973.
Il comma 132 raccorda le norme in vigore al
31 dicembre 2015 e quelle successive, specificando
che, alla luce della novella normativa, il raddoppio
in caso di comunicazione di notizia di reato è eliminato per il periodo di imposta in corso alla data
del 31 dicembre 2016, mentre continua a operare per
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Accertamento
gli accertamenti relativi ai periodi di imposta
precedenti.
Inoltre, gli avvisi di accertamento relativi alle
annualità ante 2016 devono essere notificati, a
pena di decadenza, entro il quarto anno successivo
a quello di presentazione della dichiarazione
ovvero, nell’ipotesi di dichiarazione omessa o
nulla, entro il quinto anno successivo a quello in
cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Il successivo periodo della norma aggiunge:
“Tuttavia, in caso di violazione che comporta
obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice
di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di
cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora
la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia
presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria
dei termini di cui al primo periodo.”.
Dal descritto quadro normativo ne deriva che, per il
periodo precedente a quello in corso al 1° gennaio
2016, in caso di denuncia per un reato fiscale, i
termini di accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa
la violazione; in deroga a tale criterio, il raddoppio
non opera qualora la denuncia sia presentata o
trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini
di cui al primo periodo.
Tale costrutto, come si nota, si pone in antitesi con il
comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2016, il quale
prevede invece per il passato (atti notificati entro il
2 settembre 2015) il raddoppio dei termini anche se
la notizia criminis è intervenuta dopo l’ordinaria
scadenza dei termini di accertamento (clausola di
salvaguardia).
Osservazioni conclusive
Con l’intento di mettere fine ad utilizzi meramente
strumentali, dunque, la Legge n. 208/2015 ha eliminato per il futuro il meccanismo che consentiva il
prolungamento dei tempi di accertamento, nel caso
di rilevanza penale delle violazioni ipotizzate nei
confronti del contribuente: il c.d. raddoppio dei
termini continua tuttavia ad operare - per gli anni
di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 - a condizione che la denuncia di reato si a
presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria
dei termini di accertamento.
Questa disposizione, senza alcuna specificazione,
va a sovrapporsi a quella del D.Lgs. n. 128/2015,
con la conseguenza che, se così fosse, per tutte le
tipologie di siffatti atti pendenti o da notificare, si
porrebbe la questione della loro caducazione per
incompatibilità tra le due disposizioni, con non
indifferente danno erariale.
Risultato finale del descritto tortuoso iter legislativo
è che, in assenza di una espressa previsione, o, il che
è lo stesso, di un non incompatibile collegamento tra
le due disposizioni, si pone adesso il problema per
l’interprete di stabilire quale sia il rapporto tra le due
discipline succedutesi in questo breve lasso di
tempo, se l’abrogazione implicita dell’art. 2 del
D.Lgs. n. 128/2015 ovvero la convivenza di
entrambe le disposizioni.
Una prima tesi che si può avanzare al riguardo,
favorevole all’Amministrazione finanziaria, è che
le due norme continuino a convivere in ragione di
una asserita autonomia di contenuti ed in considerazione del fatto che l’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015,
avrebbe ad oggetto una disciplina, specifica e temporalmente limitata, compatibile con quella successiva della Legge di stabilità. L’art. 2, peraltro,
sarebbe compatibile anche con la delega fiscale
che all’art. 8, come si è visto, ha disposto che gli
emanandi Decreti legislativi facciano comunque
salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati
alla data di entrata in vigore dei provvedimenti
stessi.
La soluzione dell’abrogazione implicita, favorevole al contribuente, dovrebbe invece trovare
supporto nell’art. 15 delle preleggi, secondo cui
le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori
per dichiarazione espressa del legislatore o per
incompatibilità tra le nuove disposizioni e le
precedenti o perché la nuova legge regola l’intera
materia già regolata dalla legge anteriore.
Nel caso di specie, la Legge n. 208/2016, sostituirebbe la precedente normativa trattando in termini
diversi la medesima materia (in termini di accertamento) sia sotto il profilo sostanziale sia sotto quello
del diritto transitorio. Da qui anche la completezza
della regolamentazione della materia.
Dovrebbero pertanto ritenersi sussistenti tutte le
condizioni di incompatibilità fissate delle preleggi
ai fini della configurazione dell’ipotesi di implicita
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Accertamento
Tavola n. 1 - Le pronunce della giurisprudenza di merito
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Comm. trib. prov. di Savona, n. 26/1/16 del 18 gennaio 2016;
Comm. trib. reg. Lombardia, n. 38/5/16 del 22 gennaio 2016;
Comm. trib. reg. Lazio, n. 951/1/16 del 22 febbraio 2016;
Comm. trib. reg. Toscana, n. 447/6/16 del 21 marzo 2016;
Comm. trib. prov. di Como, n. 117/IV/16 del 21 marzo 2016;
Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, n. 90/II/16 del 4 aprile 2016;
Comm. trib. prov. di Milano, n. 2992/36/16 del 5 aprile 2016;
Comm. trib. reg. Lombardia, n. 2898/67/16 del 16 maggio 2016.
abrogazione di norme: infatti, l’art. 1, commi
130-132, della Legge di stabilità 2016 contiene
previsioni che vanno completamente a sovrapporre
a quelle dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/
2015, atteso anche che, ai sensi dell’art. 15 disp.
prel. c.c., le leggi non sono abrogate che da leggi
posteriori, tra l’altro, per incompatibilità tra le
nuove disposizioni e le precedenti o perché la
nuova legge regola l’intera materia già regolata
dalla legge anteriore.
Allo stato, risulta comunque davvero difficoltoso
sostenere - aderendo alla prima opinione sopra
accennata - la sopravvivenza di una disciplina transitoria (quella espressa dal D.Lgs. n. 128/2015)
relativa all’applicazione di un comparto normativo
che, nella sua formulazione precedente, il legislatore ha inteso completamente rimuovere dallo scenario legislativo.
Un’ultima notazione, infine.
La soluzione dell’abrogazione implicita, più favorevole al contribuente, sembra avere comunque
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L’IVA 8-9/2016
fatto breccia nella primissima giurisprudenza di
merito (come si desume dalle pronunce riportate
nella Tavola n. 1), in cui si afferma sostanzialmente
che “... l’interpretazione delle norme richiamate,
come avanti esposta, ..., è stata da ultimo confortata
dall’orientamento espresso dal legislatore con la
Legge di stabilità 2016 la quale, all’art. 132, precisa
che ‘il raddoppio non opera qualora la denuncia da
parte dell’A.F., sia presentata o trasmessa oltre la
scadenza ordinaria dei termini’ - come previsti per
la notifica dell’accertamento”.
Mette conto però rilevare, che anche l’ordinanza
30 maggio 2016, n. 11171, conferma l’argomentazione che nei casi in esame, il giudice di appello,
ritenendo non documentati l’effettivo inoltro della
denuncia penale e l’avvio dell’azione penale, circostanze queste non necessarie ai fini che qui ci
occupano, ha omesso di compiere l’accertamento,
nel concreto richiestogli, delle condizioni legittimanti l’eventuale raddoppio dei termini di decadenza dall’azione accertatrice.
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Immobili
Prestazioni di servizi su fabbricati
a prevalente destinazione abitativa:
le diverse aliquote IVA
di Stefano Setti
L’approfondimento
L’individuazione della corretta aliquota IVA
sulle prestazioni e cessioni rese nel settore
edile ha, da sempre, presentato notevoli
difficoltà sia per la corretta interpretazione
della definizione delle diverse fattispecie agevolabili, sia per la frequenza con cui il legislatore è intervenuto nel settore. Con il presente
contributo si vuole analizzare la corretta applicazione delle diverse aliquote IVA, agevolate
del 4% e del 10% ovvero ordinaria del 22%, in
tema di prestazioni di servizi nel settore edile
riferite a fabbricati a prevalente destinazione
abitativa privata.
Riferimenti
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, Tabella A,
parte II e parte III
In prima analisi si evidenzia che, così come chiarito
dalla C.M. n. 247 del 29 dicembre 1999, si considerano fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata:
• le singole unità immobiliari (e relative pertinenze
non abitative) che risultano accatastate nel
gruppo A, ad eccezione della categoria A/10
(Uffici), a prescindere dall’effettivo utilizzo
delle stesse;
• interi fabbricati con più del 50% della superficie
dei piani sopra terra destinati ad abitazione privata; non è necessario che ricorra l’altra condizione richiesta dalla Legge n. 408/1949 c.d.
Legge Tupini, ossia che la superficie destinata a
negozi non ecceda il 25% della superficie dei
piani sopra terra.
IVA agevolata del 4% o 10%: costruzioni
Sono soggette all’aliquota IVA del 4% le prestazioni di servizi, relative alla nuova costruzione di
(Tabella A, parte II, n. 39, del D.P.R. n. 633/1972):
• fabbricati c.d. Tupini, svolte nei confronti di
imprese costruttrici (soggetti che svolgono
l’attività di costruzione di immobili per la
successiva rivendita);
• fabbricati “Tupini”, svolte nei confronti di cooperative edilizie e loro consorzi, anche a proprietà
indivisa, se per i soci ricorrono i requisiti “prima
casa”;
• fabbricati adibiti ad abitazione, svolte nei confronti di soggetti che hanno i requisiti “prima
casa”;
• fabbricati rurali, destinati a uso abitativo del
proprietario del terreno o di altri addetti alla
coltivazione dello stesso o all’allevamento del
bestiame, purché permanga l’originaria destinazione (devono sussistere i requisiti previsti dal
D.L. n. 557 del 30 dicembre 1993).
L’aliquota IVA 4% torna applicabile anche nei
seguenti casi:
• ampliamento e completamento di fabbricati
“Tupini”, fabbricati “prima casa” e fabbricati
rurali destinati ad uso abitativo;
• prestazioni di servizi dipendenti da contratti di
appalto per gli interventi di superamento delle
barriere architettoniche.
Invece, sono soggette ad aliquota IVA del 10% le
prestazioni, relative a nuove costruzioni, concernenti (Tabella A, parte III, n. 127-septies e
127-quaterdecies del D.P.R. n. 633/1972):
• fabbricati “Tupini”, svolte nei confronti di
soggetti diversi da quelli che svolgono l’attività
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Immobili
•
•
•
•
di costruzione di immobili per la successiva
rivendita (ad esempio, per locazione);
fabbricati assimilati a quelli “Tupini”;
edifici destinati a finalità di istruzione, cura, assistenza e beneficenza;
case di abitazione non di lusso quando non ricorrono i requisiti “prima casa”;
opere di urbanizzazione primaria e secondaria ex
art. 4, Legge n. 847/1964 e assimilate.
IVA agevolata del 4%: beni finiti
Così come previsto dal n. 24 della Tabella A, Parte II
allegata al D.P.R. n. 633/1972 l’aliquota IVA agevolata del 4% torna applicabile alle cessioni di beni
c.d. finiti (per meglio dire i beni che concorrono a
formare la costruzione degli immobili senza perdere
la loro individualità, tanto da essere suscettibili di
ripetute utilizzazioni), con esclusione delle materie
prime e semilavorate, forniti per la costruzione,
anche in economia, di:
• fabbricati c.d. Tupini di cui all’art. 13 della Legge
n. 408/1949;
• costruzioni rurali (di cui al n. 21-bis della Tabella
A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972).
Al riguardo si tenga presente che l’aliquota IVA
agevolata del 4% torna applicabile solo nella fase
finale di commercializzazione di tali beni (si
vedano: R.M. 17 gennaio 1986, n. 324048,
Tavola n. 1 - Interventi assimilati e non alla definizione di costruzione
Assimilazioni
– ampliamento e completamento di edifici (R.M. 7 settembre 1973, n. 503164, R.M. 4 dicembre
1973, n. 502670, R.M. 25 marzo 1974, n. 500309, R.M. 24 settembre 1979, n. 363161, R.M.
7 aprile 1981, n. 330968 e R.M. 22 giugno 1983, n. 341334);
– ricostruzione totale, ovvero costruzione di nuovi edifici che incorporino i muri perimetrali o
altre strutture portanti di fabbricati preesistenti (R.M. 25 gennaio 1974, n. 503991, R.M.
4 dicembre 1974, n. 502331 e R.M. 23 novembre 1976, n. 363563).
Interventi non
assimilati
– i riattamenti, i rifacimenti, i riammodernamenti e le ristrutturazioni (R.M. 30 giugno 1973,
n. 501787, R.M. 5 febbraio 1974, n. 504287, R.M. 27 giugno 1974, n. 504306 e R.M. 3 gennaio
1978, n. 363629);
– le manutenzioni ordinarie e straordinarie e i lavori di miglioria.
Tavola n. 2 - Esempi di beni per i quali si applica l’aliquota IVA del 4% (fermo il rispetto delle condizioni
più sopra esposte)
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Ascensori e montacarichi (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E);
impianti di edifici ospedalieri di nuova costruzione (R.M. 9 febbraio 1982, n. 334291 e R.M. 19 ottobre 1984, n. 398848);
beni finiti per la costruzione di motrici, carrozze e altro materiale rotabile (R.M. 28 luglio 1992, n. 41452);
attrezzatura di stoccaggio, trasporto e lavorazione di prodotti agricoli (R.M. 1° giugno 1990, n. 430478), compresi gli
impianti di smaltimento delle acque e degli scarti di lavorazione (R.M. 20 luglio 1990, n. 430579);
prodotti per impianti idrici (tubi, contatori) e sanitari per bagno (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E);
prodotti per impianti a gas e di riscaldamento (caldaie, elementi di termosifone, tubazioni) (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.
M. 2 marzo 1994, n. 1/E);
impianti di riscaldamento ad energia solare (R.M. 17 gennaio 1986, n. 324048);
caminetti (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e R.M. 18 ottobre 1982, n. 353485);
tubi in gres ceramico e loro raccordi, impiegati per la costruzione di impianti di riscaldamento, idrici, del gas, ecc. (R.M. 8
febbraio 1983, n. 354328);
prodotti per impianti elettrici (contatore, interruttori, filo elettrico) (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.M. 2 marzo 1994,
n. 1/E);
infissi interni ed esterni (C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E);
porte a scomparsa (R.M. 8 settembre 1986, n. 360866);
scale a chiocciola (R.M. 9 marzo 1996, n. 39/E);
apparecchiature destinate a incorporarsi nelle strutture dell’edificio, sì da costituirne parte integrante, pur senza
perdere la propria individualità (R.M. 29 febbraio 1992, n. 431318).
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R.M. 18 ottobre 1982, n. 353485 e C.M. 2 marzo
1994, n. 1/E). Conseguentemente tale aliquota IVA
agevolata non si applica alle cessioni effettuate in
favore degli appaltatori (R.M. 10 dicembre 94,
n. 18/E).
IVA agevolata del 10%: beni finiti
Con riferimento alle cessioni di beni finiti si fa
presente che il n. 127-terdecies, Tabella A, parte
III, allegata al D.P.R. n. 633/1972 è dedicato alle
cessioni di beni finiti forniti per gli interventi di
recupero del patrimonio edilizio, per le quali è
attualmente prevista l’applicazione dell’aliquota
IVA 10%.
Più nel dettaglio è previsto che beneficiano
dell’IVA del 10% i “beni, escluse le materie
prime e semilavorate, forniti per la realizzazione
degli interventi di recupero di cui all’art. 31 della
Legge 5 agosto 1978, n. 457, esclusi quelli di cui alle
lettere a) e b) del primo comma dello stesso
articolo”.
Va da sé che l’IVA agevolata del 10% torna applicabile per le cessioni di beni finiti da destinare ad
interventi di:
• restauro e risanamento conservativo;
• ristrutturazione edilizia;
• ristrutturazione urbanistica.
Rimangono escluse le cessioni di beni finiti in caso
di manutenzione ordinaria ovvero straordinaria.
IVA agevolata del 10%: manutenzioni
In tema di manutenzioni si ricorda che, a decorrere
dal 2010, è stata stabilita a regime l’applicazione
dell’aliquota IVA agevolata del 10% per le prestazioni di servizi relative alla manutenzione ordinaria
Tavola n. 3 - Tipologie di manutenzione per le quali torna applicabile l’aliquota IVA agevolata del 10%
Manutenzione ordinaria
Manutenzione straordinaria
Intervento caratterizzato dal mantenimento degli elementi
di finitura e degli impianti tecnologici, con opere sostanzialmente di riparazione dell’esistente e riguarda le opere di
riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture
degli edifici e quelle necessarie a integrare o mantenere
in efficienza gli impianti tecnologici esistenti (Legge 5 agosto
1978, n. 457, art. 31, lett. a). Sulla base di quanto sostenuto
dal Ministero delle Finanze nella C.M. 24 febbraio 1998,
n. 57/E, rientrano in tale categoria di intervento (a puro
titolo esemplificativo):
– il rifacimento o riparazione degli impianti elettrici, idrici,
termici, fognanti, del gas o antincendio;
la sostituzione dei pavimenti, dei rivestimenti e dei sanitari;
– l’impermeabilizzazione delle coperture e la tinteggiatura
esterna senza mutamenti di colore;
– la pitturazione di pareti, il rifacimento o la riparazione di
intonaci;
– le prestazioni di manutenzione obbligatoria previste per
gli impianti elevatori e per quelli di riscaldamento, consistenti in verifiche periodiche e nel ripristino della
funzionalità in caso di guasti.
Rientrano le opere e le modifiche necessarie per rinnovare
e sostituire parti anche strutturali degli edifici, e le opere e le
modifiche per realizzare e integrare i servizi igienicosanitari
e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici
delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche
delle destinazioni d’uso (Legge n. 457/1978, art. 31, lett. b).
Si tratta, sostanzialmente, di interventi che corrispondono
al criterio dell’innovazione nel rispetto dell’immobile
esistente.
Sulla base di quanto contenuto all’interno della C.M. n. 57/E/
1998, rientrano in questa categoria di intervento (a puro
titolo esemplificativo):
– il rifacimento o la riparazione del regolato del tetto o della
copertura;
– la sostituzione del tavolato e delle travi in legno del tetto;
– la sostituzione dei singoli macchinari;
– il rifacimento degli infissi, sia interni sia esterni;
– il rifacimento o la riparazione delle colonne di scarico
delle acque pluviali della copertura;
– la sostituzione o la riparazione dell’ascensore e dei macchinari relativi;
– l’installazione di apparecchiature speciali che abbiano le
caratteristiche di migliorare la sicurezza, il funzionamento
e l’utilizzo dell’impianto stesso.
Attenzione: secondo quanto chiarito dalla C.M. n. 71/E l’agevolazione riguarda sia le prestazioni di servizi derivanti da
contratto d’appalto sia quelle da contratto d’opera e anche da altro accordo negoziale diverso dai precedenti. Inoltre, le
prestazioni rese dai professionisti (architetti, geometri ecc.) non rientrano nell’agevolazione in esame in
quanto non hanno a oggetto la materiale realizzazione dell’intervento di recupero.
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e straordinaria realizzate su immobili a prevalente
destinazione abitativa (C.M. 7 aprile 2000, n. 71/E).
Analisi di casi particolari
Fornitura di beni con posa in opera
Le cessioni di beni con posa in opera, sempreché la
stessa sia effettuata dal medesimo soggetto che ha
fornito i beni, possono beneficiare dell’aliquota
IVA ridotta del 10% anche se il valore dei beni
ceduti risulta prevalente rispetto alla prestazione di
manutenzione. Fanno eccezione i c.d. beni di valore
“significativo”, individuati dal D.M. 29 dicembre
1999 (per la disciplina si veda più avanti).
Lavori di restauro, risanamento conservativo
e ristrutturazione
Per le prestazioni di servizi dipendenti da contratti
di appalto o d’opera relativi alla realizzazione degli
interventi di: restauro, risanamento conservativo e
ristrutturazione torna applicabile l’aliquota IVA
agevolata del 10%. In tal caso l’aliquota IVA agevolata del 10% torna applicabile anche all’acquisto
dei beni, con esclusione di materie prime e semilavorati, forniti per la realizzazione degli stessi interventi di restauro, risanamento conservativo e di
ristrutturazione edilizia, individuate dall’art. 3,
lett. c) e d), del Testo Unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia,
approvato con D.P.R. n. 380/2001. L’aliquota
IVA del 10% si applica, inoltre, alle forniture dei
c.d. beni finiti, vale a dire quei beni che, benché
incorporati nella costruzione, conservano la propria
individualità (per esempio, porte, infissi esterni,
sanitari, caldaie, eccetera). L’agevolazione spetta
sia quando l’acquisto è fatto direttamente dal committente dei lavori, sia quando ad acquistare i beni è
la ditta o il prestatore d’opera che li esegue.
Manutenzione con impiego di beni significativi
Per i beni di valore “significativo” l’aliquota IVA
ridotta del 10% si applica solo fino a concorrenza
del valore della prestazione, considerato al netto del
valore dei predetti beni. Si ha un bene di valore
significativo se il suo valore è superiore al 50% del
corrispettivo ricevuto. Può affermarsi, per
semplicità, che il “bene significativo” fornito nell’ambito della prestazione resta soggetto interamente alla aliquota del 10% se il suo valore non
supera la metà di quello dell’intera prestazione. I
beni di importo significativo sono stati determinati
con il D.M. 29 dicembre 1999 e sono:
• ascensori e montacarichi;
• infissi interni ed esterni;
• caldaie;
• videocitofoni;
Esempio - Fatturazione nel caso in cui siano impiegati beni di importo significativo
FATTURAZIONE
Costo complessivo dell’intervento
IMPORTI
(in euro)
10.000,00
di cui:
– beni significativi impiegati: ascensore
7.000,00
– prestazioni di manutenzione (comprensive altri beni o materiali non
significativi)
3.000,00
IVA
Prestazioni di manutenzione (comprensive di altri beni o materiali)
3.000,00
Beni significativi impiegati: ascensore (pari al costo della manutenzione
più la fornitura di altri beni o materiali non significativi)
3.000,00
Differenza beni significativi (10.000,00-6.000,00)
4.000,00
Tot. imponibile
IVA (6.000,00 al 10% e 4.000,00 al 22%)
Tot. fattura
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10.000,00
1.480,00
11.480,00
10%
10%
22%
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• apparecchiature di condizio•
namento e riciclo dell’aria;
sanitari e rubinetterie da
bagno, impianti di sicurezza.
Modalità di fatturazione
in presenza di beni
“significativi”
Nei casi in cui con la manutenzione ordinaria o straordinaria
siano utilizzati anche beni di
valore significativo (come
sopra identificati), nella fattura
si dovranno indicare in modo
distinto:
• il corrispettivo della manutenzione (incluse le eventuali forniture di beni o
materiali non significativi),
al netto del valore dei beni
significativi;
• la parte del valore dei beni
significativi cui torna applicabile l’aliquota IVA
IL CASO
Domanda: in caso di ristrutturazione
edilizia di un immobile ad uso abitativo
(prima casa) il cui proprietario ha affidato i
lavori ad un’impresa che gli fattura l’IVA al
10%, risulta possibile per il proprietario
stipulare un contratto di acquisto di
fornitura e posa in opera (in particolare
condizionatori aria condizionata e/o
infissi) senza transitare dalla impresa
appaltatrice e usufruendo comunque
dell’IVA al 10%?
Risposta: si ritiene che nel caso in esame
risulti possibile procedere alla stipula di
contratto di fornitura con posa in opera
beneficiando in tal caso dell’aliquota
agevolata IVA del 10% (facendo rientrare
tale fornitura nella manutenzione
ordinaria/straordinaria). Si tenga, inoltre,
presente che con riferimento al quesito
posto i condizionatori nonché gli infissi
rientrano nel concetto di beni
“significativi”, quindi, l’IVA agevolata del
10% tornerà applicabile fino a
concorrenza del valore riferito alla
prestazione di manutenzione.
•
ridotta del 10% (che corrisponde al corrispettivo
totale senza i beni significativi, ossia la fornitura di
altri beni non significativi
e la manodopera);
l’eventuale parte residua del
valore dei beni significativi
per cui torna applicabile l’aliquota IVA dei beni stessi
(nella generalità dei casi l’aliquota ordinaria del 22%).
Servizi su fabbricati
strumentali
Per completezza di trattazione
di seguito il trattamento IVA
riservato alle prestazioni di
servizi su fabbricati strumentali (sono i fabbricati delle
categorie catastali B, C, D, E
e A/10, che si considerano
strumentali anche se non
utilizzati direttamente).
Tavola n. 4 - Prestazioni di servizi su fabbricati a prevalente destinazione abitativa - Aliquote IVA
Descrizione della prestazione
Aliquota IVA in caso di contrato Aliquota IVA in caso di contratto
di appalto
di subappalto
Costruzione di abitazioni non di lusso IVA al 4% nel caso esista il presupposto IVA al 4% nel caso esista il presupposto
ovvero di fabbricati c.d. Tupini
“prima casa” ovvero se impresa che
“prima casa” ovvero se impresa che
costruisce lo fa per rivendere
costruisce lo fa per rivendere
Costruzione di fabbricato rurale
IVA al 4%
IVA al 4%
Altra abitazione
IVA al 10%
IVA al 10%
Costruzione di edifici di lusso
IVA al 22%
IVA al 22%
Opere di urbanizzazione primaria e
secondaria
IVA al 10%
IVA al 10%
Interventi di manutenzione ordinaria e IVA al 10% (tenendo presente le limistraordinaria
tazioni nel caso in cui vi sia l’utilizzo di
beni significativi)
IVA al 22%
Interventi di restauro, risanamento
conservativo e ristrutturazione
IVA al 10%
IVA al 10%
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Tavola n. 5 - Prestazioni di servizi su fabbricati strumentali - Aliquote IVA
Descrizione della prestazione
Aliquota IVA in caso di contrato Aliquota IVA in caso di contratto
di appalto
di subappalto
Costruzione di fabbricato
IVA al 22%
IVA al 22%
Opere di urbanizzazione primaria e
secondaria
IVA al 10%
IVA al 10%
Interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria
IVA al 22%
IVA al 22%
Interventi di restauro, risanamento
conservativo, ristrutturazione edilizia
e ristrutturazione urbanistica
IVA al 10%
IVA al 10%
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Osservatorio
Dall’Unione Europea
con NOTE di Marco Peirolo
Corte di Giustizia
Aliquote di accisa differenziate per i carburanti per motori e i combustibili per riscaldamento
(Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, causa C-418/14 - ROZ-ŚWIT)
La Direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro
comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, nonché il
principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che:
• essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale i venditori di
combustibile per riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un termine
stabilito, un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti
secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento; e
• essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza della
presentazione di un tale elenco entro il termine stabilito, al combustibile per
riscaldamento venduto è applicata l’aliquota di accisa prevista per i carburanti
per motori, sebbene sia stato accertato che è indubbia la destinazione di tale
prodotto a fini di riscaldamento.
Nota - La domanda di pronuncia della Corte di Giustizia, relativa all’interpretazione dell’art. 2, par. 3,
dell’art. 5 e dell’art. 21, par. 4, della Direttiva 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la
tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito
al rifiuto, da parte dell’Ufficio doganale, di concedere alla società il beneficio dell’aliquota di accisa
applicabile al combustibile per riscaldamento a causa del mancato deposito, in tempo utile, dell’elenco
riepilogativo mensile delle dichiarazioni secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento.
Il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se sia conforme alla normativa comunitaria la disciplina nazionale
forza della quale, da un lato, i venditori di combustibile per riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un
termine stabilito, un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti secondo le quali i
prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento e, dall’altro, nel caso in cui un tale elenco riepilogativo non
sia presentato entro il termine stabilito, l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori è applicata al
combustibile per riscaldamento venduto, sebbene sia stato constatato che è indubbio che tale prodotto sia
destinato all’uso per riscaldamento.
In merito all’obbligo di depositare un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti, quest’ultimo
costituisce uno strumento di controllo finalizzato alla prevenzione dell’elusione e dell’evasione fiscale e,
siccome la Direttiva 2003/96/CE non specifica un particolare meccanismo di controllo dell’utilizzo di
combustibile per riscaldamento, né misure per la lotta contro l’evasione fiscale collegata alla vendita di
combustibile per riscaldamento, spetta agli Stati membri prevedere siffatti meccanismi e siffatte misure nel
loro diritto nazionale, nel rispetto del diritto dell’Unione.
Secondo la Corte, tenuto conto del margine di valutazione discrezionale di cui dispongono gli Stati membri
riguardo alle misure e ai meccanismi da adottare al fine di prevenire l’elusione e l’evasione fiscale collegate
alla vendita di combustibile per riscaldamento e poiché l’obbligo di depositare, presso le Amministrazioni
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competenti, un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti non è manifestamente sproporzionato, si deve considerare che un tale obbligo costituisce una misura adeguata per perseguire un obiettivo del
genere e non eccede quanto necessario al suo raggiungimento.
In merito all’applicazione dell’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori in caso di inosservanza
dell’obbligo di depositare un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti, la Corte ha rilevato che
tanto l’impianto sistematico quanto la ratio della Direttiva 2003/96/CE si basano sul principio secondo cui i
prodotti energetici sono tassati in relazione al loro effettivo utilizzo. Di conseguenza, la norma nazionale in
forza della quale, in mancanza del deposito di un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti in
tempo utile, l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori è automaticamente applicata ai
combustibili per riscaldamento sebbene, come è stato constatato nel procedimento principale, questi ultimi
siano utilizzati come tali, è in contrasto con la disciplina comunitaria.
Inoltre, l’applicazione automatica dell’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori in caso di
inosservanza dell’obbligo di depositare un tale elenco riepilogativo viola il principio di proporzionalità.
Infatti, dalla decisione di rinvio risulta accertato che le vendite di combustibile per riscaldamento effettuate
dalla società sono state verificate e che è indubbio che gli acquirenti avessero confermato l’acquisto e il
consumo di tale combustibile con finalità di riscaldamento. Inoltre, non emerge alcun elemento che indichi
che tali vendite siano state effettuate allo scopo di beneficiare in modo fraudolento dell’aliquota di accisa
preferenziale concessa ai combustibili destinati al riscaldamento.
Alla luce delle considerazioni che precedono, i giudici europei hanno affermato che la normativa
comunitaria:
• non osta ad una normativa nazionale in forza della quale i venditori di combustibile per
riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un termine stabilito, un elenco riepilogativo
mensile delle dichiarazioni degli acquirenti secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al
riscaldamento;
• osta ad una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza della presentazione di un tale elenco
entro il termine stabilito, al combustibile per riscaldamento venduto è applicata l’aliquota di accisa
prevista per i carburanti per motori, sebbene sia stato accertato che è indubbia la destinazione di tale
prodotto a fini di riscaldamento.
Determinazione dell’IVA detraibile per i beni destinati ad essere utilizzati sia per operazioni
che danno diritto alla detrazione, sia per operazioni per le quali tale diritto è escluso
(Corte di Giustizia, 9 giugno 2016, causa C-332/14 - Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstücksgemeinschaf)
L’art. 17, paragrafo 5, della sesta Direttiva 77/388/CEE deve essere interpretato
nel senso che, qualora un immobile sia utilizzato, a valle, per realizzare talune
operazioni che danno diritto a detrazione ed altre che non vi danno diritto, gli
Stati membri non hanno l’obbligo di imporre che i beni e i servizi utilizzati, a
monte, per la costruzione, l’acquisizione, l’utilizzo, la conservazione o la manutenzione di tale immobile, in un primo momento, siano imputati a tali diverse
operazioni, qualora una siffatta imputazione sia difficilmente realizzabile,
affinché, in un secondo momento, venga determinato unicamente il diritto a
detrazione derivante da quei beni e servizi utilizzati sia per talune operazioni che
danno diritto a detrazione sia per altre che non vi danno diritto, applicando un
criterio di ripartizione fondato sul volume d’affari oppure, a condizione che
questo metodo garantisca una determinazione più precisa del pro-rata di detrazione, in base alla superficie.
L’art. 20 della sesta Direttiva 77/388, come modificata dalla Direttiva 95/7,
deve essere interpretato nel senso che esso impone che si proceda alla rettifica
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delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto operate a titolo dei beni o dei
servizi rientranti nell’art. 17, paragrafo 5, di detta Direttiva, a seguito dell’adozione, intervenuta durante il periodo di rettifica considerato, di un criterio di
ripartizione di tale imposta utilizzato per il calcolo di tali detrazioni in deroga al
metodo di determinazione del diritto a detrazione previsto dalla medesima
Direttiva.
I principi generali del diritto dell’Unione Europea di certezza del diritto e di tutela
del legittimo affidamento devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad
una normativa nazionale applicabile, la quale non prescriva espressamente la
rettifica, ai sensi dell’art. 20 della sesta Direttiva, come modificata dalla Direttiva
95/7, dell’imposta pagata a monte, a seguito della modifica del criterio di ripartizione dell’imposta sul valore aggiunto utilizzato per il calcolo di alcune detrazioni,
né preveda un regime transitorio nonostante la ripartizione dell’imposta pagata a
monte operata dal soggetto passivo secondo il criterio di ripartizione applicabile
prima di tale modifica sia stata riconosciuta in via generale come ragionevole dal
giudice supremo.
Nota - La pronuncia della Corte di Giustizia ha per oggetto la portata della sentenza resa nella causa
C-511/10 dell’8 novembre 2012, riguardante le modalità di determinazione dell’IVA detraibile per i beni
destinati ad essere utilizzati sia per operazioni che danno diritto alla detrazione, sia per operazioni per le quali
tale diritto è escluso.
L’art. 17, par. 5, comma 3, lett. c), della VI Direttiva, in deroga alla regola generale di ripartizione basata sul
volume d’affari, consente agli Stati membri di determinare l’imposta detraibile in funzione del criterio
dell’utilizzazione del bene o servizio.
Con una impostazione opposta a quella prevista dalle previsioni comunitarie, la legislazione tedesca
stabilisce che, per tutti i beni e servizi ad uso promiscuo, l’IVA ammessa in detrazione può essere calcolata
in proporzione all’ammontare delle operazioni imponibili solo se non è possibile ricorrere ad un altro criterio
di collegamento economico.
Nella sentenza di cui alla causa C-511/10, i giudici comunitari hanno affermato che gli Stati membri possono
autorizzare od obbligare i soggetti passivi ad operare la detrazione in funzione del criterio dell’utilizzo se
l’opzione si riferisce ad una determinata operazione e se il metodo prescelto sia idoneo a determinare in modo
più preciso l’imposta detraibile.
Ne discende che la normativa tedesca si pone in contrasto con la disciplina comunitaria, in quanto generalizzando la portata applicativa della deroga a tutti i beni e servizi ad uso “misto” - non soddisfa le
condizioni individuate dalla Corte di Giustizia e, quindi, non può opporre ai soggetti passivi l’applicazione di
un metodo alternativo, qual è quello basato sulla superficie nel caso in cui le operazioni attive siano
rappresentate da locazioni immobiliari.
Tariffa doganale comune: classificazione tariffaria di grembiuli-mantello antiradiazioni
(Corte di Giustizia, 9 giugno 2016, causa C-288/15 - MIS)
La nomenclatura combinata contenuta nell’allegato I del Regolamento CEE n. 2658/
87 deve essere interpretata nel senso che un grembiule-mantello antiradiazioni, come
quello di cui trattasi nel procedimento principale, va classificato nella sottovoce 6211
33 10 00 0 di detta nomenclatura, a causa delle sue caratteristiche e proprietà
oggettive, tra cui, in particolare, il suo aspetto esteriore, senza che sia necessario
fare riferimento agli elementi che conferiscono al prodotto in questione il suo
carattere essenziale.
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Nota - La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia volta ad
individuare la classificazione doganale di grembiuli-mantello antiradiazioni in seno alla NC.
Al fine di dirimere la controversia, la Corte di Giustizia ha ricordato che, per garantire la certezza del diritto e
facilitare i controlli, il criterio decisivo per la classificazione doganale delle merci va ricercato, in linea di
principio, nelle loro caratteristiche e proprietà oggettive, quali definite nel testo della voce della NC e delle
note delle sezioni o dei capitoli.
Riguardo alle note esplicative elaborate, per quanto riguarda la NC, dalla Commissione e, per quanto
concerne il sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci (SA), dall’Organizzazione
mondiale delle dogane (OMD), esse forniscono un rilevante contributo all’interpretazione della portata delle
varie voci doganali, senza però essere giuridicamente vincolanti.
Inoltre, secondo una giurisprudenza parimenti consolidata, la destinazione di un prodotto può costituire un
criterio oggettivo di classificazione sempreché sia inerente a detto prodotto, ove l’inerenza deve potersi
valutare in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive dello stesso. Peraltro, la destinazione del
prodotto è un criterio rilevante solo qualora non possa essere effettuata una classificazione in base alle sole
caratteristiche e proprietà oggettive del prodotto.
Le considerazioni che precedono sono alla base della decisione della Corte, per la quale un grembiulemantello antiradiazioni, come quello di cui trattasi nel procedimento principale va classificato nella sottovoce
6211 33 10 00 0 della NC, a causa delle sue caratteristiche e proprietà oggettive, tra cui, in particolare, il suo
aspetto esteriore, senza che sia necessario fare riferimento agli elementi che conferiscono al prodotto in
questione il suo carattere essenziale.
Detrazione dell’IVA a monte: gestione di scuderie per cavalli da corsa
(Avvocato Generale, 14 giugno 2016, causa C-432/15 - Baštová)
Nei limiti in cui la partecipazione di un cavallo a una corsa è una componente
dell’attività economica di un soggetto che opera nel settore dell’allevamento e
dell’allenamento dei cavalli da corsa, le spese relative a tale componente danno
diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte. L’assegnazione di premi ai cavalli
che realizzano le migliori performance configura un’operazione imponibile ai sensi
della Direttiva del Consiglio 2006/112/CE, del 28 novembre 2006, relativa al sistema
comune di imposta sul valore aggiunto.
Fatta salva una verifica ad opera del giudice nazionale, la gestione di scuderie per
cavalli da corsa non può essere integralmente assoggettata ad un’aliquota ridotta di
imposta sul valore aggiunto in virtù del punto 14 dell’allegato III della Direttiva IVA.
Nota - Il primo aspetto esaminato dall’Avvocato Generale riguarda la possibilità, da parte del gestore di una
scuderia per cavalli da corsa, di detrarre l’IVA relativa alle spese sostenute per la partecipazione alle
competizioni e di qualificare come operazione imponibile l’assegnazione di un premio ai cavalli vincitori.
Fermo restando che la partecipazione dei cavalli alle gara di corsa assume carattere oneroso, in quanto il
gestore della scuderia ottiene un beneficio che può essere sia diretto (sotto forma di premio), sia indiretto
(sotto forma di maggiore notorietà e visibilità), la detrazione può essere esercitata tenuto conto che la
partecipazione alle competizione rientra nello svolgimento dell’attività in considerazione dei ritorni positivi
in termini di notorietà e di immagine.
In merito all’imponibilità del premio ottenuto dai cavalli vincitori, l’Avvocato Generale ha affermato che il
fatto che il premio non sia assegnato ad ogni cavallo che partecipa alla gara e che il riconoscimento del premio
dipenda dal verificarsi di un evento che non può essere completamente controllato dalle parti non significa che
l’operazione non sia effettuata a titolo oneroso, anche perché la giurisprudenza comunitaria ha messo in luce
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che la variabilità del controvalore ricevuto non esclude l’esistenza del nesso diretto tra la prestazione resa e il
corrispettivo che deve essere versato.
Il secondo aspetto esaminato dall’Avvocato Generale riguarda la possibilità di applicare l’aliquota IVA
ridotta di cui al punto 14) dell’allegato III della Direttiva all’attività di gestione di scuderie per cavalli da corsa.
In senso negativo, è stato affermato che tale attività non è riconducibile alla nozione di “uso di impianti
sportivi”, cui fa riferimento la previsione in esame, siccome la nozione di “uso di impianti sportivi” riguarda
l’utilizzo di impianti fissi, aventi carattere stabile (come piscine, piste da corsa, palestre e centri di fitness) o
provvisorio (come piazze pubbliche, spiagge o terreni adibiti provvisoriamente a campi sportivi per uno
specifico evento), da parte di soggetti che stanno effettivamente allenandosi o partecipando ad una
competizione. Per contro, quando un cavallo viene semplicemente nutrito, pulito o curato, ovvero quando
sta solo riposando nelle stalle o nei recinti, non si configura alcun uso di impianti sportivi anche perché nessun
soggetto sta praticando uno sport.
Determinazione del valore in dogana
(Corte di Giustizia, 16 giugno 2016, causa C-291/15 - EURO 2004. Hungary)
L’art. 181-bis del Regolamento CEE n. 2454/93 deve essere interpretato nel senso che
non osta a una prassi delle Autorità doganali, come quella di cui al procedimento
principale, secondo la quale il valore in dogana delle merci importate è determinato
con riferimento al valore di transazione di merci similari, metodo di cui all’art. 30 del
Regolamento CEE n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un
Codice Doganale Comunitario, come modificato dal Regolamento CE n. 82/97 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 1996, ove si ritenga che il valore
di transazione indicato, confrontato con la media statistica dei prezzi di acquisto
riscontrati nell’importazione di merci similari, sia anormalmente basso quantunque
l’Autorità doganale non confuti né ponga altrimenti in dubbio l’autenticità della
fattura o del documento probatorio del bonifico presentati per giustificare il prezzo
effettivamente corrisposto per le merci importate e senza che l’importatore, in
risposta alla richiesta in tal senso dell’Autorità doganale, adduca prove aggiuntive
per dimostrare l’esattezza del valore di transazione delle stesse.
Nota - Alla Corte di Giustizia è stato chiesto se l’art. 181-bis del Reg. CEE 2454/1993 osta a una prassi delle
Autorità doganali, come quella di cui al procedimento principale, secondo la quale il valore in dogana delle
merci importate è determinato con riferimento al valore di transazione di merci similari, ove si ritenga che il
valore di transazione indicato, confrontato con la media statistica dei prezzi di acquisto riscontrati nell’importazione di merci similari, sia anormalmente basso quantunque l’Autorità doganale non confuti né
ponga altrimenti in dubbio l’autenticità della fattura o del documento probatorio del trasferimento presentati
per giustificare il prezzo effettivamente corrisposto per le merci importate e senza che l’importatore, in
risposta alla richiesta in tal senso dell’Autorità doganale, adduca prove aggiuntive per dimostrare il valore di
transazione delle stesse.
In base all’art. 29 del Reg. CEE 2913/1992, il valore in dogana delle merci importate è costituito dal loro
valore di transazione, ossia dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute
per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve, però, rettifiche da effettuare
conformemente agli artt. 32 e 33 dello stesso Regolamento.
Secondo la giurisprudenza comunitaria, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci
costituisce, in linea generale, la base di calcolo del valore in dogana, tale prezzo è un dato che deve
eventualmente essere oggetto di rettifiche qualora tale operazione sia necessaria per evitare di determinare un
valore in dogana arbitrario o fittizio.
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In merito ai poteri a disposizione delle Autorità doganali allorché una dichiarazione presentata dinanzi ad esse
suscita dubbi, l’art. 181-bis del Reg. CEE 2454/1993 prevede che, qualora abbiano fondati dubbi che il valore
dichiarato delle merci importate rappresenti l’importo totale pagato o da pagare, le Autorità doganali non sono
tenute a determinare il valore doganale in base al metodo del valore di transazione. Esse possono, di
conseguenza, respingere il prezzo dichiarato qualora tali dubbi persistano anche dopo una richiesta di ulteriori
informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole
possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi.
La Corte ha già rilevato che, per quanto riguarda il valore che deve essere sostituito al valore di transazione,
l’art. 181-bis si limita ad enunciare che le Autorità doganali “non sono tenute a determinare il valore in dogana
(...) in base al metodo del valore di transazione”, ma non precisa quale altro valore debba, in tal caso, essere
sostituito al valore di transazione. A tal fine, conformemente agli artt. 30 e 31 del Reg. CEE 2913/1992,
qualora il valore in dogana delle merci importate non possa essere determinato ai sensi dell’art. 29, esso deve
essere stabilito ai sensi, in primo luogo, dell’art. 30 e, in secondo luogo, dell’art. 31.
Ne deriva che le Autorità doganali possono, per determinare il valore in dogana, non tenere conto del prezzo
dichiarato delle merci importate e ricorrere ai metodi secondari di determinazione del valore in dogana delle
merci importate, quali previsti agli artt. 30 e 31 del Reg. CEE 2913/1992, e, segnatamente, al prezzo di vendita
di merci similari, qualora i loro dubbi sul valore di transazione delle merci persistano, anche dopo una
richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una
ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali
dubbi.
Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio determinare se i dubbi dell’Autorità doganale di cui al procedimento
principale siano fondati al fine di ricorrere a detti metodi secondari e se tale Autorità abbia fornito
all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui
quali sono fondati tali dubbi.
Rettifica di detrazioni in caso di cessazione dell’attività economica imponibile
(Corte di Giustizia, 16 giugno 2016, causa C-229/15 - Mateusiak)
L’art. 18, lett. c), della Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretato nel senso che,
in caso di cessazione dell’attività economica imponibile di un soggetto passivo, il
possesso di beni da parte di quest’ultimo, allorché tali beni hanno dato diritto ad una
detrazione dell’imposta sul valore aggiunto al momento del loro acquisto, può essere
assimilato ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso e soggetta all’imposta sul
valore aggiunto, se il periodo di rettifica previsto dall’art. 187 della Direttiva 2006/
112, come modificata dalla Direttiva 2009/162, è scaduto.
Nota - Nel caso affrontato dalla Corte di Giustizia, un notaio polacco ha acquistato un immobile da
utilizzare sia come abitazione privata che come studio professionale e ha, conseguentemente, detratto la
relativa IVA in funzione dell’utilizzo professionale.
A seguito della cessazione dell’attività professionale, si è posto il problema se, essendo scaduto il periodo di
“tutela fiscale” previsto per la rettifica della detrazione, sia applicabile la disciplina dell’autoconsumo, con il
conseguente obbligo di riversamento all’Erario dell’imposta precedentemente detratta.
Secondo i giudici comunitari, l’autoconsumo da cessazione dell’attività è imponibile purché il bene conservi
un valore residuo, assumendo rilevanza la somma dei prezzi pagati per l’acquisto dei beni e dei servizi che
hanno consentito la realizzazione del bene, al netto del deprezzamento che il bene ha subìto nel tempo.
A favore di questa conclusione, è stato osservato che entrambi i regimi si prefiggono l’obiettivo di evitare che
il soggetto passivo possa utilizzare i beni per i quali ha esercitato la detrazione senza che sia ribaltata a valle
l’imposta, ma - nonostante il medesimo effetto economico - si basano su presupposti differenti siccome:
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•
la rettifica della detrazione mira ad adeguare ex post la detrazione sulla base dell’utilizzo effettivo del
bene per la produzione di operazioni imponibili o ad esse assimilate ai fini della detrazione;
• l’imposizione sull’autoconsumo, invece, è commisurata al valore del bene al momento del prelievo o
della cessazione dell’attività e, quindi, tiene conto dell’evoluzione del valore verificatosi nel periodo
intercorrente tra l’acquisto e l’utilizzo estraneo all’attività.
È evidente, pertanto, che l’applicazione dell’IVA in caso di autoconsumo non presuppone che l’utilizzo
privato avvenga nel periodo di “tutela fiscale” previsto ai fini della rettifica della detrazione, anche perché
l’art. 18, lett. c), della Direttiva 2006/112/CE non prevede una specifica limitazione temporale per
l’assoggettamento a IVA dell’autoconsumo da cessazione dell’attività e non rinvia neppure alle disposizioni
in materia di rettifica della detrazione.
Regola di arrotondamento del pro-rata di detrazione
(Corte di Giustizia, 16 giugno 2016, causa C-186/15 - Kreissparkasse Wiedenbrück)
L’art. 175, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretato nel
senso che gli Stati membri non sono tenuti ad applicare la regola di arrotondamento
prevista da tale disposizione quando il pro-rata di detrazione è calcolato secondo uno
dei metodi derogatori di cui all’art. 173, paragrafo 2, di detta Direttiva.
Gli artt. 184 e seguenti della Direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso
che, quando il pro-rata di detrazione è stato calcolato, ai sensi delle rispettive
normative nazionali, in base ad uno dei metodi previsti all’art. 173, paragrafo 2, di
detta Direttiva o all’art. 17, paragrafo 5, comma 3, della sesta Direttiva 77/388/CEE,
gli Stati membri sono tenuti ad applicare la regola di arrotondamento di cui all’art.
175, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112, in caso di rettifica, soltanto nell’ipotesi in
cui tale regola sia stata applicata per determinare l’importo iniziale della detrazione.
Nota - Posto che l’art. 175, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE dispone che “il pro-rata di detrazione è
determinato su base annuale, in percentuale e viene arrotondato al massimo all’unità superiore”, la prima
questione esaminata dalla Corte di Giustizia è diretta a sapere se gli Stati membri non sono tenuti ad applicare
la regola dell’arrotondamento quando il pro-rata è calcolato secondo uno dei metodi alternativi previsti
dall’art. 173, par. 2, della Direttiva.
Dato che la possibilità di deroga in esame è intesa a consentire agli Stati membri di pervenire a risultati più precisi
nella determinazione della portata del diritto alla detrazione, con particolare riferimento alle caratteristiche
specifiche delle attività del soggetto passivo, l’applicazione della regola secondo cui la percentuale di detrazione
ottenuta deve essere arrotondata al massimo all’unità superiore contrasta con tale obiettivo.
Con la seconda questione, alla Corte di Giustizia è stato chiesto se la regola dell’arrotondamento debba essere
applicata dai soggetti passivi in regime di pro-rata ai fini della rettifica della detrazione.
Dagli artt. 184 e 185 della Direttiva si desume che, da una parte, quando, a causa del mutamento di uno degli
elementi inizialmente assunti per il calcolo delle detrazioni, si rende necessaria una rettifica, il calcolo
dell’importo della rettifica deve far sì che l’importo delle detrazioni eseguite corrisponda a quello che il
soggetto passivo avrebbe avuto diritto di operare se tale mutamento fosse stato considerato inizialmente.
Dall’altra parte, il calcolo di tale importo deve tenere conto dei medesimi elementi inizialmente assunti, ad
eccezione di quello che è stato modificato.
Ne consegue, secondo i giudici comunitari, che gli Stati membri sono tenuti ad applicare la regola di
arrotondamento, in caso di rettifica, soltanto nell’ipotesi in cui abbiano utilizzato detta regola per determinare
l’importo iniziale della detrazione.
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Imposta versata a monte: detrazione
(Corte di Giustizia, 22 giugno 2016, causa C-267/15 - Gemeente Woerden)
La Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretata nel senso che, in circostanze come
quelle di cui al procedimento principale, in cui il soggetto passivo ha fatto costruire un
edificio e lo ha venduto a un prezzo inferiore ai costi di costruzione, detto soggetto
passivo ha diritto alla detrazione dell’integralità dell’imposta sul valore aggiunto
assolta per la costruzione di tale edificio e non soltanto alla detrazione parziale di detta
imposta, in proporzione alle parti di detto edificio che l’acquirente destina ad attività
economiche. Il fatto che tale acquirente ceda gratuitamente l’utilizzo di una parte
dell’edificio di cui trattasi ad un terzo non ha al riguardo alcun rilievo.
Nota - Con la sentenza in esame, la Corte di Giustizia si è pronunciata in merito alla detraibilità dell’IVA da
parte di un ente pubblico che ha costruito un edifico per poi venderlo ad un prezzo inferiore al costo di
costruzione ad un cliente che, a sua volta, lo ha utilizzato soltanto in parte nell’ambito dell’attività economica.
Secondo i giudici comunitari, la detraibilità può essere esercitata in misura integrale essendo subordinata ad
una duplice condizione di carattere sostanziale, cioè che il bene/servizio sia acquistato presso un soggetto
passivo e che il medesimo sia utilizzato per effettuare operazioni soggette a IVA.
Ne discende, quindi, che la detrazione non dipende da alcuna condizione collegata all’utilizzo del bene/servizio da
parte del soggetto al quale lo stesso bene/servizio è stato rivenduto, “perché ciò implicherebbe che ogni
operazione effettuata dal soggetto passivo con un acquirente o con un cessionario che non eserciti attività
economiche, come i privati, limiterebbe il diritto a detrazione del soggetto passivo” e, inoltre, una siffatta
condizione “avrebbe la conseguenza che il diritto a detrazione del soggetto passivo dipenderebbe dall’ulteriore
azione dell’acquirente o del cessionario, che avrebbe sempre il diritto di modificare l’utilizzo del bene, a breve o a
lungo termine”.
La Corte di Giustizia ha dovuto anche stabilire se, nel caso di specie, la detrazione possa essere esercitata in
misura integrale nonostante l’ente pubblico abbia venduto l’immobile ad un prezzo inferiore al costo
sostenuto in fase di costruzione. Al riguardo, i giudici comunitari hanno ritenuto che, fatta salvo l’ipotesi
in cui il prezzo di vendita sia puramente simbolico, la detrazione è ammessa in misura piena e non in
proporzione alla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di costo o di acquisto, in quanto il risultato
dell’operazione economica è irrilevante ai fini dell’esercizio della detrazione purché l’attività sia soggetta
a IVA.
Radiodiffusione pubblica finanziata mediante un canone legale obbligatorio
(Corte di Giustizia, 22 giugno 2016, causa C-11/15 - Český rozhlas)
L’art. 2, punto 1, della sesta Direttiva 77/388/CEE deve essere interpretato nel senso
che un’attività di radiodiffusione pubblica, come quella di cui al procedimento
principale, finanziata mediante un canone legale obbligatorio versato dai proprietari
o dai detentori di un ricevitore radiofonico e esercitata da una società di radiodiffusione istituita dalla legge non costituisce una prestazione di servizi “effettuata a
titolo oneroso”, ai sensi di tale disposizione, e non rientra quindi nell’ambito di
applicazione di tale Direttiva.
Nota - Secondo la Corte di Giustizia, l’emittente radiofonico di diritto pubblico, costituito per legge e
finanziato con il canone pagato per il possesso dell’apparecchio radiofonico anziché per l’ascolto della radio
pubblica, svolge un’attività che, non avendo titolo oneroso, è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA.
Nell’ambito della fornitura del servizio di radiodiffusione pubblica, infatti, l’emittente e le persone tenute al
pagamento del canone non sono vincolate da alcun rapporto contrattuale che implica la stipula di un prezzo e
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neppure da un impegno giuridico assunto liberamente dall’uno nei confronti dell’altro. Inoltre, l’obbligo di
pagare il canone non deriva dalla fornitura di un servizio di cui il canone costituisce il controvalore diretto,
poiché tale obbligo non è collegato all’utilizzo del servizio di radiodiffusione pubblica, ma solamente al
possesso di un ricevitore radiofonico e ciò indipendentemente dall’uso che è fatto di quest’ultimo. Pertanto, le
persone che possiedono un ricevitore radiofonico sono obbligate a pagare il canone, anche qualora utilizzino
tale dispositivo solo per ascoltare programmi radiofonici emessi da emittenti radiofoniche diverse dall’emittente in questione, quali programmi radiofonici commerciali finanziati mediante fonti diverse rispetto al
canone, per la lettura di compact disc o di altri supporti digitali, oppure per altre funzioni di cui dispongono in
genere gli apparecchi che consentono di ricevere e riprodurre trasmissioni radiofoniche.
Si ricorda che l’Avvocato Generale ha affermato che l’imposta assolta sugli acquisti di beni/servizi imputabili
all’attività dell’emittente radiofonico di diritto pubblico è indetraibile, mentre quella pagata in relazione agli
acquisti utilizzati anche per lo svolgimento di un’attività commerciale imponibile può essere detratta con il
metodo del “pro-rata fisico”, cioè in funzione di un criterio di calcolo che rifletta oggettivamente la quota di
imputazione reale delle spese a monte a ciascuna di queste due attività. In particolare, la detrazione non può
essere effettuata con il metodo del “pro-rata matematico”, in quanto previsto esclusivamente per i soggetti
passivi che effettuano contemporaneamente operazioni imponibili e operazioni esenti: l’espressione “operazioni che non danno diritto a detrazione” - contenuta negli artt. 17, par. 5, e 19 della VI Direttiva - non si
riferisce, infatti, alle operazioni escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA perché non effettuate a titolo
oneroso.
Detrazione pro-rata: calcolo
(Avvocato Generale, 29 giugno 2016, causa C-378/15 - Mercedes Benz Italia)
L’art. 17, paragrafi 2 e 5, e l’art. 19 della sesta Direttiva 77/388/CEE devono essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale e a una prassi
dell’amministrazione fiscale nazionale, come quelle in questione nel procedimento
principale, che impongono a soggetti passivi che effettuano nel contempo operazioni
che danno diritto a detrazione e operazioni che non conferiscono tale diritto, di
determinare l’importo dell’imposta sul valore aggiunto detraibile mediante l’applicazione di un pro-rata, calcolato ai sensi dell’art. 19 di tale Direttiva, nei confronti
della totalità dei beni e servizi acquistati, ivi compresi i beni e servizi utilizzati
esclusivamente per effettuare sia operazioni che danno diritto alla detrazione sia
operazioni che non conferiscono tale diritto.
Nota - Le conclusioni dell’Avvocato Generale hanno per oggetto la conformità sul piano comunitario del
pro-rata generale di detrazione previsto dall’art. 19, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, applicato dai soggetti
passivi che effettuano sia operazioni imponibili che operazioni esenti non già sui soli beni/servizi ad utilizzo
promiscuo, ma sulla totalità dei beni/servizi acquistati, a prescindere dalla loro destinazione effettiva.
La normativa comunitaria, all’art. 17, par. 5, commi 1 e 2, della VI Direttiva, prevede l’applicazione del prorata esclusivamente sui beni/servizi ad utilizzo “misto”, ma dà la possibilità agli Stati membri di avvalersi
delle deroghe previste dall’art. 17, par. 5, comma 3, della VI Direttiva, tra cui quella che consente ad essi di
autorizzare od obbligare i soggetti passivi ad operare la detrazione secondo il metodo del pro-rata
“relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate”.
Ad avviso dell’Avvocato Generale, la specifica deroga applicata dallo Stato italiano riguarda soltanto i beni/
servizi ad utilizzo promiscuo, in quanto la giurisprudenza comunitaria ha, in più occasioni, affermato che gli
Stati membri possono utilizzare i criteri di calcolo del pro-rata alternativi a quello ordinario esclusivamente
per i beni/servizi ad uso “misto” e, del resto, gli stessi giudici comunitari hanno stabilito che i suddetti criteri di
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calcolo alternativi trovano applicazione in situazioni specifiche, laddove si renda necessario determinare
l’imposta detraibile in modo più preciso rispetto a quello ottenuto con il metodo ordinario.
Se la Corte di Giustizia confermerà tale conclusione dovrà anche rispondere all’ulteriore questione sollevata
dal giudice del rinvio, ossia la modalità di calcolo della detrazione prevista dagli Stati membri che, come
l’Italia, si sono avvalsi della deroga prevista dal citato art. 17, par. 5, comma 3, lett. d), della VI Direttiva. Sul
punto, l’Avvocato Generale è dell’avviso che la detrazione deve essere determinata in funzione dell’utilizzo
dei beni/servizi, per cui potrebbe ritenersi valido il metodo del pro-rata “fisico” di cui all’art. 19, comma 4, del
D.P.R. n. 633/1972.
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Panorama normativo
Legislazione
IVA sui “voucher”: nuove regole dal 2019
(Consiglio UE, Direttiva 27 giugno 2016, n. 2016/1065/UE)
È stata pubblicata nella G.U.U.E. 1° luglio 2016, L177 la nuova Direttiva europea che
individua il trattamento ai fini IVA dei buoni: le regole dettate dalla Direttiva 2016/
1065/UE troveranno applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2019.
La Direttiva fissa la definizione di ”buono”, individuato come:
uno strumento che contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale
corrispettivo a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi e nel quale i
beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono
indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le
condizioni generali di utilizzo ad esso relative, distinguendo due tipologie di buoni, da
cui dipende il diverso trattamento ai fini dell’IVA delle operazioni loro associate:
• buono monouso: buono in relazione al quale il luogo della cessione dei beni o della
prestazione dei servizi cui il buono si riferisce e l’IVA dovuta su tali beni o servizi
sono noti al momento dell’emissione del buono;
• buono multiuso: buono diverso da un buono monouso.
Regole IVA applicabili
Buoni monouso
Ogni trasferimento di un buono monouso effettuato da un soggetto passivo che agisce
in nome proprio è considerato come cessione dei beni o prestazione dei servizi cui il
buono si riferisce.
La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi dietro presentazione
di un buono monouso accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo dal cedente
o dal prestatore non sono considerate operazioni indipendenti.
Se il trasferimento di un buono monouso è effettuato da un soggetto passivo che agisce
in nome di un altro soggetto passivo, tale trasferimento è considerato come cessione
dei beni o prestazione dei servizi cui il buono si riferisce effettuate dall’altro soggetto
passivo per conto del quale il soggetto passivo agisce.
Se il cedente dei beni o il prestatore dei servizi non è il soggetto passivo che, agendo in
nome proprio, ha emesso il buono monouso, si considera che tale cedente o prestatore
abbia comunque ceduto i beni o prestato i servizi cui il buono si riferisce a detto
soggetto passivo.
Buoni multiuso
La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi effettuate dietro
presentazione di un buono multiuso accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo dal cedente o dal prestatore sono soggette all’IVA ai sensi dell’art. 2, mentre
ogni trasferimento precedente di tale buono multiuso non è soggetto all’IVA.
Qualora il trasferimento di un buono multiuso sia effettuato da un soggetto passivo
diverso da quello che esegue l’operazione soggetta all’IVA a norma del comma 1, le
prestazioni di servizi che possano essere individuate, quali i servizi di distribuzione o
di promozione, sono soggette all’IVA.
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La base imponibile della cessione di beni o della prestazione di servizi effettuate a
fronte di un buono multiuso è pari al corrispettivo versato per il buono o, in assenza di
informazioni su tale corrispettivo, al valore monetario indicato sul buono multiuso
stesso o nella relativa documentazione diminuito dell’importo dell’IVA relativo ai
beni ceduti o ai servizi prestati.
Relazione di valutazione
Entro il 31 dicembre 2022, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al
Consiglio, in base alle informazioni ottenute dagli Stati membri, una relazione di
valutazione sull’applicazione delle disposizioni della Direttiva 2016/1065/UE in
ordine al trattamento dei buoni a fini IVA, con particolare riferimento a:
• definizione di buoni;
• norme in materia di IVA applicabili alla tassazione dei buoni nella catena di
distribuzione;
• buoni non riscattati,
corredata - se del caso - da un’opportuna proposta di modifica delle relative norme.
“Vending machine”: pronte le regole per trasmettere i corrispettivi
(Agenzia delle entrate, provvedimento 30 giugno 2016, n. 102807/2016)
Nuovo passo in avanti dell’Agenzia verso la digitalizzazione: con il provvedimento
n.102807/2016, l’Agenzia delle entrate ha definito:
• le informazioni;
• le regole tecniche;
• gli strumenti;
• i termini,
per la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri derivanti dall’utilizzo di distributori automatici - vending machine.
Il provvedimento attua le previsioni contenute nel Decreto attuativo della delega
fiscale sulla fatturazione elettronica tra privati (D.Lgs. n. 127/2015).
Le regole tecniche pubblicate dalle Entrate sono necessarie per consentire ai gestori
delle vending machine di organizzarsi per tempo in vista dell’obbligo di comunicazione dei dati dei corrispettivi che scatterà a partire dal 1° gennaio 2017.
Fiscalizzazione graduale
L’obbligo della memorizzazione e trasmissione telematica viene assolto mediante
soluzioni tecniche che, tenendo conto dei normali tempi di obsolescenza e rinnovo
delle vending machine in essere alla data del 1° gennaio 2017, consentano di non
incidere sull’attuale funzionamento degli apparecchi, garantendo comunque livelli di
sicurezza e inalterabilità dei dati dei corrispettivi.
Pertanto, al fine di garantire un passaggio al nuovo regime secondo i principi di
“normali tempi di obsolescenza e rinnovo” degli apparecchi, è stato definito un
percorso di “fiscalizzazione graduale” delle vending machine, costituito da:
• una soluzione ”transitoria”, da utilizzare non oltre il 31 dicembre 2022; e
• una soluzione ”a regime” che verrà disciplinata con successivo provvedimento
dell’Agenzia delle entrate.
Primo step: censimento on line
L’Agenzia delle entrate metterà a disposizione dei contribuenti e degli operatori del
settore del vending un’area dedicata all’interno del proprio sito internet in cui trovare i
servizi per censire on line i propri distributori ed ottenere certificati per “sigillare
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elettronicamente” il file XML con cui trasmettere i dati dei corrispettivi registrati
dagli apparecchi nella fase di erogazione dei prodotti.
I dati verranno “sigillati” elettronicamente e trasmessi on line, su canale sicuro,
all’Agenzia delle entrate mediante i dispositivi mobili con cui i gestori rilevano gli
incassi registrati dal distributore.
Il sigillo elettronico verrà applicato grazie ad un certificato digitale, rilasciato on line
dall’Agenzia delle entrate agli operatori del settore del vending, e garantirà
l’autenticità, l’inalterabilità e la riservatezza dei dati dei corrispettivi.
Al termine della fase di censimento, l’Agenzia fornirà un QRCODE da applicare su
ogni apparecchio in modo da consentire anche al singolo consumatore di riconoscere
che il distributore, da cui sta acquistando il prodotto, è conosciuto all’Amministrazione
e i dati dei suoi incassi verranno trasmessi alla stessa.
Prassi
Fatturazione elettronica tra privati: in “test” fino a metà ottobre
(Agenzia delle entrate, comunicato stampa 20 giugno 2016)
L’Agenzia delle entrate ha pubblicato in bozza i documenti tecnici per la fatturazione
elettronica tra privati.
Le bozze delle specifiche tecniche descrivono:
• le regole da osservare per utilizzare il Sistema di interscambio;
• la struttura della fattura elettronica, ordinaria o semplificata, che dovrà essere
veicolata dal Sistema.
Prende così avvio la fase di sperimentazione del Sistema di Interscambio SDI:
attraverso questa piattaforma, attualmente utilizzata per la fatturazione elettronica
verso le Pubbliche amministrazioni, dal 1° gennaio 2017 potranno trasmettere le
proprie fatture elettroniche le imprese, gli artigiani e i professionisti.
La sperimentazione mira a risolvere in tempo utile eventuali criticità che dovessero
presentarsi e si concluderà entro la metà del prossimo mese di ottobre. Sulla base dei
feedback ricevuti, saranno consolidati i supporti e le regole di processo.
Fatturazione elettronica tra privati dal 2017
Dal 1° gennaio 2017, imprese, artigiani e professionisti potranno trasmettere le
proprie fatture elettroniche utilizzando il Sistema di interscambio. Il Sistema di
Interscambio funzionerà con regole procedurali di fatto identiche a quelle oggi attive
per la veicolazione delle fatture elettroniche destinate alle Pubbliche amministrazioni; infatti il formato in uso è stato integrato per rappresentare anche le fatture
destinate ai privati.
Esportazione delle navi da diporto: prova “leggera” per dimostrare l’uscita dall’UE
(Agenzia delle dogane, circolare 12 maggio 2016, n. 14/D)
Come ricordato nel documento di prassi, a partire dal 1° gennaio 2012 al fine di
beneficiare del regime di non imponibilità IVA all’esportazione con riferimento alle
unità da diporto di nuova realizzazione cedute a clienti extra UE, è necessario
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dimostrare l’uscita dal territorio doganale fornendo la prova del raggiungimento di un
porto extra UE e la produzione della correlata documentazione.
Tale prassi imponeva ai costruttori italiani di doversi fare carico degli extra costi,
talora molto rilevanti, di viaggio, rifornimento ed equipaggio, e lasciava in capo al
cantiere il rischio di dover versare le imposte dovute qualora il comandante o
l’armatore avessero deciso di non onorare l’impegno a fornire le suddette attestazioni.
Per risolvere la problematica, con la circolare n. 14/D/2016 l’Agenzia delle dogane ha
individuato procedure più snelle, compatibili con il quadro giuridico di riferimento,
che delineano diverse modalità di accertamento.
Con la predetta circolare è stato infatti chiarito che l’uscita dal territorio doganale
potrà essere provata, oltre che dal raggiungimento di un porto extra UE, anche tramite
la dichiarazione resa dall’armatore/comandante della nave accompagnata dall’attestazione del superamento del confine delle acque nazionali (uscita dalle 12 miglia)
effettuata tramite dispositivo AIS.
Giurisprudenza
“Split payment” costituzionalmente legittimo
(Corte costituzionale, sentenza 16 giugno 2016, n. 145)
Il meccanismo dello split payment, introdotto dalla Legge di stabilità per l’anno
2015, risulta costituzionalmente legittimo, in quanto non lesivo dei principi
costituzionali.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 145 depositata il 16 giugno
2016.
Secondo la Corte costituzionale, le questioni sollevate dalla Regione Veneto sono
inammissibili in quanto:
• non è fondato il rilievo secondo il quale il legislatore nazionale avrebbe introdotto il
meccanismo in questione con decorrenza 1° gennaio 2015 senza attendere l’autorizzazione della Commissione UE.
Secondo costante giurisprudenza della Corte, infatti, le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dalla Regioni in riferimento a parametri non attinenti al
riparto delle competenze statali e regionali sono ammissibili solo se la ricorrente
individua gli ambiti di competenza regionale (legislativa, amministrativa e finanziaria) incisi dalla disciplina statale, indicando le disposizioni costituzionali sulle quale
trovano fondamento le proprie competenze indirettamente lese e se la Corte ritiene
che sussistano tali competenze lese dalla disciplina impugnata.
Nel caso di specie, la disciplina dello split payment non risulta ledere la sfera di
competenza costituzionalmente attribuita alla Regione;
• non è fondato il rilievo secondo il quale viene violata indirettamente l’autonomia
finanziaria ed amministrativa della Regione Veneto, dal momento che essa sarebbe
costretta a sostenere il costo di adeguamento dei sistemi informativi.
Secondo la Corte detti inconvenienti riguardano tutti i soggetti che effettuano cessioni
di beni o prestano servizi alle PA, ai quali il legislatore ha legittimamente imposto un
diverso sistema di versamento dell’IVA;
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• non è fondato il rilievo secondo il quale le PA non potrebbero più compensare l’IVA
assolta sugli acquisti ma dovrebbero richiederla a rimborso.
La circostanza di non poter compensare l’IVA ricade così come sulla Regione, anche
su tutti gli operatori privati che intrattengono rapporti con le PA, sia su tutte le
amministrazioni pubbliche, nelle loro reciproche relazioni.
Fuori campo IVA la cessione di un terreno agricolo poi divenuto edificabile
(Corte di cassazione, sez. VI, ordinanza 6 giugno 2016, n. 11600)
Il trasferimento di un terreno dapprima agricolo, poi divenuto edificabile per successiva modifica del piano regolatore, deve considerarsi fuori del campo di applicazione dell’IVA.
Lo ha deciso la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 11600/2016.
La Commissione tributaria di II° Grado - in controversia concernente l’impugnazione
di avviso di accertamento per maggiori IRPEF, IVA ed IRAP dovute, per l’anno
d’imposta 2006, in relazione alla cessione di terreni, di proprietà del contribuente,
imprenditore agricolo, suscettibili di utilizzazione edificatoria - confermava la
decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente limitatamente
alla contestazione dell’IVA dovuta per la cessione dei terreni (in luogo dell’imposta di
registro applicata), sul presupposto, ritenuto non provato dall’Ufficio, della natura
strumentale all’esercizio dell’impresa agricola.
In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Ufficio (limitatamente al capo della sentenza concernente l’IVA dovuta ed il mancato riconoscimento
del nesso di strumentalità dei terreni all’attività agricola, con i riflessi anche in ordine
all’IRAP ed alle sanzioni), hanno sostenuto che, “a prescindere” dalla considerazione
degli elementi di prova addotti dal contribuente “a riprova della non strumentalità dei
detti terreni all’attività agricola e - cioè, certificazione tavolare, risultanze catastali,
limitata estensione, aderenza alla casa di abitazione ed indicazione contenuta nella
scrittura privata autenticata costituente il contratto di compravendita”, la cessione da
parte di un imprenditore agricolo di un terreno divenuto edificabile non rientra,
avendo il terreno perduto la qualità di bene strumentale, tra le operazioni imponibili ai
sensi degli art. 1 e ss., D.P.R. n. 633/1972. I giudici della Commissione tributaria
regionale ritenevano pertanto caducata anche la contestazione relativa all’IRAP
(sulla quale i giudici di primo grado nulla avevano statuito) e riducevano le sanzioni
(essendo dovute limitatamente al solo rilievo concernente l’accertamento della
plusvalenza ai fini IRPEF).
Contro la sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, in particolare sostenendone l’erroneità avendo la Commissione tributaria regionale dato rilievo, al fine di
escludere la natura strumentale all’attività agricola dei terreni oggetto di compravendita, a documentazione irrilevante ovvero alla circostanza della loro sopravvenuta
edificabilità, del pari ininfluente, con conseguente inidoneità della prova offerta al
riguardo dal contribuente e debenza dell’IVA sulla cessione.
La Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia. Al fine di meglio comprendere la
questione, va sottolineato che la giurisprudenza di legittimità, con riguardo al regime
di tassazione - IVA o imposta di registro - cui assoggettare la cessione a titolo oneroso,
da parte di impresa agricola, di immobile che abbia acquisito una destinazione
(edificatoria) diversa da quella goduta, allorché era stato impiegato nell’attività
produttiva, si è consolidata nel senso dell’esclusione dell’applicabilità dell’IVA
all’operazione imponibile.
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La Cassazione ha affermato che, avendo il terreno assunto il carattere di suolo destinato
alla edificazione, così perdendo la qualità di bene strumentale di bene relativo all’impresa, come desumibile dal coordinato disposto degli artt. 54 e 40 T.U.I.R.,detto bene è
uscito dalla tipologia degli atti soggetti ad IVA considerati dall’art. 2, D.P.R.n. 633/1972.
La determinazione dell’imprenditore di escludere il bene (trasformatosi, per effetto di
modifica del piano regolatore, in area destinata all’edificazione) dalla sua organizzazione, in linea con la sua mutata valenza economica, ha infatti tolto “in via
definitiva” ad esso “il carattere originario di bene strumentale”, con conseguente
assoggettamento del relativo atto di cessione all’imposta di registro.
Da qui, dunque, il rigetto del ricorso dell’Agenzia delle entrate.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza.
Il trasferimento di un terreno dapprima agricolo poi divenuto edificabile per successiva modifica del piano regolatore deve considerarsi fuori del campo di applicazione
dell’IVA.
Fatture per operazioni inesistenti: cosa impedisce la detrazione IVA
(Cass., Sez. trib., sentenza 11 maggio 2016, n. 9608)
Per detrarre l’IVA su fatture per operazioni insistenti, l’utilizzatore deve provare
l’impossibilità di conseguire la consapevolezza che l’operazione si colloca all’interno
di un meccanismo fraudolento. Così la Corte di cassazione nella sentenza n. 9608/
2016.
Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società e l’Agenzia delle entrate.
Una S.r.l. impugnò avviso di accertamento relativo all’IVA e alle imposte dirette per
l’anno d’imposta 2000, emesso sulla base di PVC in cui si rilevavano una serie di
operazioni di acquisto di merce soggettivamente inesistenti.
La Commissione tributaria provinciale rigettò il ricorso.
L’appello della contribuente venne disatteso dalla Commissione tributaria regionale
sulla base della seguente motivazione, per quanto qui rileva.
La contribuente si è servita per gli acquisti dal cedente francese di due società cartiere,
una prima società operante fino al giugno 1999, quindi altra società, composta dalle
medesime persone e priva di attrezzature e dipendenti tali da poter commercializzare
bestiame per valori di miliardi di lire.
La società non avrebbe mai potuto portare in detrazione l’IVA, perché le operazioni
rispondono alla disciplina di cui all’art. 40, comma 2, D.L. n. 331/1993 che prevede
l’acquisto triangolare comunitario, e cioè la merce viene trasportata direttamente dal
primo cedente al cessionario del secondo cedente.
Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione la società, in particolare
censurandola per vizio di motivazione, in quanto priva di cenni alla questione,
posta nell’atto di appello, della mancanza di consapevolezza da parte della contribuente dell’attività svolta dalle società presunte cartiere. Più specificamente si doleva
del fatto che la sentenza, prima ancora che da vizio di motivazione, fosse errata in
diritto, nel senso che, ipotizzando che la Commissione tributaria regionale abbia
interpretato la disciplina nel senso dell’irrilevanza della mancanza di consapevolezza
da parte del contribuente, la sentenza sarebbe sbagliata, avendo il contribuente diritto
a dedurre l’IVA pagata se inconsapevole della frode.
La Corte di cassazione ha respinto il ricorso della contribuente.
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L’IVA 8-9/2016
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In particolare, ritengono i Supremi giudici che la tesi della società, secondo cui, stante
l’assenza di consapevolezza in ordine alla ipotizzata frode carosello, doveva essere
riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA corrisposta, non è accoglibile in quanto
non coerente ai principi affermati dalla Cassazione sulla scorta di quanto risultante
dalla giurisprudenza comunitaria.
Ha affermato il giudice comunitario che va negato il beneficio del diritto a detrazione
dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al
quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione,
sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione
commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte.
Così, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità
o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie,
vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale
prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità.
A questi principi si è attenuta la Cassazione, affermando che, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore
aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto
dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di
elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere
che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva - per
l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati
dall’amministrazione - in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni.
È poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato
nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il
possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non
essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni
degli altri soggetti coinvolti.
Fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è dunque - per gli Ermellini soltanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a
detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che
l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle
circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione.
La società contribuente, nel caso in esame, limitando la rilevanza della questione dello
stato soggettivo alla mancanza di consapevolezza circa la collocazione dell’operazione all’interno di un meccanismo fraudolento, non ha colto il principio di diritto di
cui sopra. In sostanza, non sufficiente è denunciare l’assenza di consapevolezza,
poiché ciò che il contribuente deve denunciare è anche l’impossibilità di conseguire la
detta consapevolezza.
Da, qui, dunque il rigetto del ricorso della società contribuente.
Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza.
In tema di detrazione IVA da parte dell’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti, costituisce fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non soltanto la
consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che
l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle
circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione.
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Cessazione attività: la riscossione dei “vecchi” compensi professionali è imponibile IVA
(Cass., SS.UU., sentenza 21 aprile 2016, n. 8059)
Con parere n. 3 del 26 aprile 2016, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro
analizza la sentenza 21 aprile 2016, n. 8059 emessa dalle Sezioni Unite civili della
Suprema Corte di cassazione, che si sono espresse sulla rilevante questione giuridica
della tassabilità o meno ai fini dell’IVA dei compensi riscossi successivamente alla
cessazione dell’attività professionale e relativi a prestazioni di servizi rese prima di
tale cessazione.
Tendendo conto dell’impostazione teorica dell’Agenzia delle entrate la sentenza ha
confermato il seguente principio di diritto: “il compenso di prestazione professionale
è imponibile a fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione
dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa
formalizzazione”.
Secondo le Sezioni Unite, la soluzione di assoggettare ad IVA il corrispettivo
conseguito dopo la cessazione dell’attività professionale, troverebbe fondamento
nella necessità di assicurare il principio della neutralità fiscale dell’IVA, in quanto
solo così si impedirebbe la sottrazione all’IVA, che è un’imposta destinata a gravare
esclusivamente sul consumatore finale, del valore aggiunto relativo alla prestazione
di servizi effettuata precedentemente a tale evento e rispetto alla quale i relativi
acquisti fatti a monte hanno partecipati al sistema della detrazione d’imposta.
Inoltre le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, nel testo della sentenza, hanno
fatto presente di aver deciso di affrontare la delicata questione giuridica, nonostante la
riscontrata inammissibilità del ricorso per cassazione, per rimuovere incertezze e
prevenire contrasti interpretativi.
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE SU QUESTA RIVISTA
Danno da svalutazione monetaria se l’Erario rimborsa in ritardo il credito IVA
(Cass., Sez. trib., sentenza 29 aprile 2016, n. 8540)
In tema di contenzioso tributario, la Sezione tributaria della Cassazione ha affermato
il principio secondo cui l’art. 1224 c.c. - nel riconoscere il risarcimento ulteriore da
svalutazione monetaria - non richiede altro che la dimostrazione del danno subito,
mentre non è richiesto nell’accertamento di tale danno che si valuti se il creditore ha
iscritto a bilancio, quale misura compensativa crediti affermati verso l’erario.
Al contribuente deve essere riconosciuto il maggior danno da svalutazione monetaria
se l’Erario rimborsa in ritardo il credito IVA. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con
la sentenza n. 8540/2016.
Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società e l’Agenzia delle entrate.
La società vantava nei confronti dell’Agenzia delle entrate un credito per rimborso
IVA relativo al 3° trimestre del 1989 per un ammontare di 530 milioni di lire.
Il rimborso veniva, però, sospeso dall’Agenzia sul presupposto che la società aveva
debiti verso l’Erario che andavano in compensazione. Il provvedimento di fermo
veniva meno nel 2004, e la società con istanza del 14 luglio 2004 reiterava la richiesta
di rimborso. Su tale richiesta si formava il silenzio rigetto, e conseguentemente la
società faceva ricorso alla Commissione tributaria provinciale per ottenere il rimborso della somma, comprensiva di interessi semplici, anatocistici e del maggior
danno da svalutazione monetaria.
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La Commissione tributaria provinciale accoglieva la domanda di rimborso facendo
decorrere gli interessi legali dal 14 luglio 2004 e quelli composti dal semestre
successivo al 14 marzo 2005, ma rigettava la domanda di riconoscimento del maggior
danno da svalutazione.
La società proponeva appello alla Commissione tributaria regionale, relativamente
alla decorrenza degli interessi e al mancato riconoscimento del maggior danno,
ottenendo l’accoglimento quanto alla prima doglianza, ed il rigetto quanto al maggior
danno.
Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione - per quanto qui di interesse - la
società contribuente, relativamente al mancato riconoscimento del maggior danno da
svalutazione monetaria.
In sintesi, la Commissione tributaria regionale ha negato il maggior danno dicendo
che l’impresa, non ricevendo il rimborso, ha provveduto a iscrivere a bilancio crediti
verso l’erario che compenserebbero il danno da svalutazione. Cosi facendo, la
Commissione tributaria regionale, secondo la società, avrebbe non solo violato il
disposto dell’art. 1224 c.c. che non prevede come condizione ostativa al risarcimento
del maggior danno una iscrizione di crediti verso l’erario, e ciò tenendo anche conto
della dimostrazione fornita dalla società circa il danno da svalutazione subito, ma
avrebbe anche fatto ricorso ad una contraddittoria motivazione per supportare la
decisione presa. In particolare, la sentenza, pur prendendo atto della svalutazione
subita dalla somma oggetto di rimborso, per il ritardo in cui è avvenuto, avrebbe
concluso per escludere il maggior danno.
La Corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso della contribuente, ha affermato un
principio di diritto inedito nella giurisprudenza della Cassazione. I Supremi giudici
osservano che la società aveva chiesto il pagamento del maggior danno da svalutazione monetaria, adducendo, con il deposito sia dei bilanci che di altri documenti, che
nel frattempo, la somma inizialmente oggetto di rimborso (540 milioni di lire) si era
svalutata del 68,1%.
La decisione di merito ha negato il diritto al maggior danno da svalutazione, pur
prendendo atto della intervenuta perdita della disponibilità di denaro e comunque del
ricorso al sistema creditizio che il mancato pagamento ha imposto alla società, in
quanto l’impresa avrebbe fatto ricorso ai rimedio di iscrivere a bilancio crediti verso
l’erario.
Orbene, l’argomento in base al quale la Commissione tributaria regionale ha negato il
danno da svalutazione monetaria non è fondato e costituisce invero una discutibile
interpretazione dell’art. 1224 c.c.
Non ricorre infatti un’ipotesi di compensatio lucri cum danno tra il danno subito per il
ritardato pagamento e il vantaggio fiscale legato alla iscrizione in bilancio degli
interessi passivi.
Va, comunque, osservato che l’Agenzia non aveva affatto addotto quale eccezione
per paralizzare la richiesta di maggior danno la circostanza che l’impresa avesse
iscritto a bilancio imposte anticipate o altri crediti verso l’Erario. Cosi che l’esame di
tale circostanza non era neanche imposta da una domanda di parte, oltre, come si è
detto, a non essere necessaria per l’applicazione della norma. Da, qui, dunque,
l’accoglimento del ricorso della società. Di rilievo le conseguenze pratiche della
sentenza: l’art. 1224 c.c., nel riconoscere il risarcimento ulteriore da svalutazione
monetaria non richiede altro che la dimostrazione del danno subito, mentre non è
richiesto nell’accertamento di tale danno che si valuti se il creditore ha iscritto a
bilancio, quale misura compensativa crediti affermati verso l’Erario.
L’IVA 8-9/2016
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Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Agenda
Settembre - Ottobre 2016
a cura di Valerio Artina e Roberta Aiolfi
Dottori commercialisti in Bergamo
5
settembre
lunedì
14
settembre
mercoledì
15
settembre
giovedì
Ravvedimento entro 15 giorni
Ultimo giorno utile per il ravvedimento entro 15 giorni del versamento in scadenza il mese
precedente non effettuato o effettuato in misura ridotta.
Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 15%
introdotta per regolarizzazioni entro i 90 giorni, oltre a quanto previsto per i ravvedimenti
dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per
ciascun giorno di ritardo (quindi 0,1% per ogni giorno di ritardo): la convenienza ad utilizzare
tale regolarizzazione si ha quindi effettuando il versamento entro il quattordicesimo giorno
successivo al termine.
Ravvedimento entro 90 giorni dell’IVA mensile
I contribuenti possono effettuare l’adempimento omesso o insufficiente entro 90
giorni dal termine ordinario versando il tributo unitamente alla sanzione ridotta
pari all’1,67% (1/9 del 15%) dell’imposta non versata e gli interessi moratori calcolati
al tasso legale con maturazione giorno per giorno esclusivamente mediante modalità
telematiche.
Annotazione separata dei corrispettivi
Termine per la registrazione nel registro corrispettivi delle operazioni effettuate nel mese
solare precedente per le quali è stato rilasciato lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale.
Fatturazione differita
Ultimo giorno utile per emettere le fatture differite relative a beni consegnati o spediti nel
mese di agosto.
16
settembre
venerdì
Liquidazione periodica IVA per soggetti con obbligo mensile
• Versamento dell’IVA per i contribuenti mensili relativa al mese di agosto.
• Versamento dell’imposta relativa al mese di luglio per i contribuenti mensili che hanno
optato per il regime di cui all’art. 1, comma 3, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100 (contabilità
affidata a terzi).
Versamento imposta di produzione e consumo
Ultimo giorno utile per il versamento dell’imposta indiretta sulla produzione e sui consumi
per i prodotti in regime fiscale delle accise immessi al consumo nel mese precedente.
Versamento imposta unica
Versamento imposta unica dovuta per scommesse al totalizzatore e a quota fissa ovvero per
concorsi pronostici svolti nel corso del mese precedente.
Rateizzazione versamento IVA annuale
Versamento rateale IVA annuale.
I soggetti che abbiano optato per la rateizzazione mensile dell’imposta a debito risultante dalla
liquidazione annuale possono effettuare il relativo versamento maggiorato dell’interesse pari
allo 0,33% mensile, esclusivamente mediante modalità telematiche, anche servendosi di
intermediari.
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L’IVA 8-9/2016
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Agenda
Rateizzazione versamento imposte da UNICO 2016 per soggetti titolari
di partita IVA
Versamento quarta rata (per i soggetti che rateizzano dal 16 giugno o dal 6 luglio) o terza rata
(per i soggetti che rateizzano dal 18 luglio) o seconda rata (per i soggetti che rateizzano dal 22
agosto) delle imposte dovute risultanti dal Mod. UNICO 2016 per soggetti titolari di
partita IVA.
21
settembre
mercoledì
26
settembre
lunedì
30
settembre
venerdì
Ravvedimento relativo al versamento dell’IVA mensile/trimestrale
Ultimo giorno utile per la regolarizzazione entro 30 giorni, con sanzione ridotta
all’1,5% (1/10 del 15%), del versamento IVA relativo al mese di luglio/secondo
trimestre 2016, non effettuato o effettuato in misura ridotta.
Operazioni intracomunitarie
Presentazione all’Ufficio doganale competente per territorio degli elenchi riepilogativi degli
acquisti e delle cessioni intracomunitarie effettuate nel mese precedente.
Ravvedimento entro 15 giorni
Ultimo giorno utile per il ravvedimento entro 15 giorni del versamento in scadenza il mese
precedente non effettuato o effettuato in misura ridotta.
Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 15%
introdotta per regolarizzazioni entro i 90 giorni, oltre a quanto previsto per i ravvedimenti
dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per
ciascun giorno di ritardo (quindi 0,1% per ogni giorno di ritardo): la convenienza ad utilizzare
tale regolarizzazione si ha quindi effettuando il versamento entro il quattordicesimo giorno
successivo al termine.
Presentazione dei modelli INTRA 12
Invio telematico del modello INTRA 12 relativo agli acquisti intracomunitari effettuati nel
periodo precedente. Sono tenuti alla presentazione del modello INTRA 12 gli enti non
commerciali, non soggetti passivi d’imposta, ed i produttori agricoli di cui all’art. 34, comma
6, del D.P.R. n. 633/1972.
Invio telematico dichiarazione annuale Mod. IVA 2016
Invio telematico della dichiarazione annuale ai fini dell’IVA e per l’esercizio delle opzioni ivi
indicate, per i soggetti non tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata.
Dichiarazione integrativa Mod. IVA 2015
Regolarizzazione delle omissioni e delle irregolarità, relative alla dichiarazione annuale
Mod. IVA 2015 ed al versamento dell’IVA relativa al 2014, che andava presentata entro il
30 settembre 2015 in via telematica, con l’effettuazione dell’adempimento omesso o
irregolarmente eseguito e il versamento della relativa sanzione per soggetti non tenuti alla
presentazione della dichiarazione unificata.
Richiesta rimborso IVA assolta in altri Stati membri
Richiesta da parte dei soggetti passivi nazionali del rimborso dell’IVA assolta in un altro Stato
membro e le modalità di richiesta ed esecuzione dei rimborsi dell’IVA assolta nel territorio
dello Stato da soggetti passivi ivi non stabiliti.
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Agenda
Versamento IVA in seguito ad adeguamento ai parametri per i ricavi o
compensi conseguiti nel corso del 2015
Versamento maggior IVA da parte dei contribuenti che adeguano l’importo dei ricavi e
compensi conseguiti nel 2015 ai fini dei parametri fiscali.
Richiesta di rimborso del credito IVA relativo al 2015
Presentazione della richiesta di rimborso del credito IVA relativo al 2015 per soggetti
obbligati all’invio telematico di UNICO o della dichiarazione IVA 2016 entro la data odierna.
Ravvedimento UNICO 2015
Termine per la regolarizzazione delle omissioni ed irregolarità relative alle dichiarazioni
UNICO 2015 per persone fisiche, società di persone e società di capitali, soggetti equiparati,
enti non commerciali con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, tenuti alla
presentazione di UNICO 2016 entro la data odierna, relative al versamento delle imposte
dovute sui redditi del 2014, usufruendo della riduzione ad un ottavo del minimo della sanzione
ordinaria.
Presentazione in via telematica di UNICO 2016
Presentazione in via telematica, tramite Entratel o Internet, delle dichiarazioni dei redditi, ed
eventuale IVA da dichiarazione unificata, ed IRAP, oltre ai modelli per i dati rilevanti ai fini
dell’applicazione degli studi di settore e dei parametri.
Adempimenti di fine mese
Termine adempimenti contabili di fine mese tra i quali si segnalano le autofatture per scambi
intracomunitari, la rilevazione dei chilometri sulle schede carburanti, adempimenti agenzie di
viaggi.
15
ottobre
sabato
Annotazione separata dei corrispettivi
Termine per la registrazione nel registro corrispettivi delle operazioni effettuate nel mese
solare precedente per le quali è stato rilasciato lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale.
Fatturazione differita
Ultimo giorno utile per emettere le fatture differite relative a beni consegnati o spediti nel
mese di settembre.
17
ottobre
lunedì
Ravvedimento entro 90 giorni dell’IVA mensile
I contribuenti possono effettuare l’adempimento omesso o insufficiente entro 90 giorni dal
termine ordinario versando il tributo unitamente alla sanzione ridotta pari all’1,67% (1/9 del
15%) dell’imposta non versata e gli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno esclusivamente mediante modalità telematiche.
Ravvedimento relativo al versamento dell’IVA mensile
Ultimo giorno utile per la regolarizzazione entro 30 giorni, con sanzione ridotta all’1,5% (1/
10 del 15%), del versamento IVA relativo al mese di agosto, non effettuato o effettuato in
misura ridotta.
Liquidazione periodica IVA per soggetti con obbligo mensile
• Versamento dell’IVA per i contribuenti mensili relativa al mese di settembre.
• Versamento dell’imposta relativa al mese di agosto per i contribuenti mensili che hanno
optato per il regime di cui all’art. 1, comma 3, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100 (contabilità
affidata a terzi).
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Agenda
Versamento imposta di produzione e consumo
Ultimo giorno utile per il versamento dell’imposta indiretta sulla produzione e sui consumi
per i prodotti in regime fiscale delle accise immessi al consumo nel mese precedente.
Versamento imposta unica
Versamento imposta unica dovuta per scommesse al totalizzatore e a quota fissa ovvero per
concorsi pronostici svolti nel corso del mese precedente.
Rateizzazione versamento IVA annuale
Versamento rateale IVA annuale.
I soggetti che abbiano optato per la rateizzazione mensile dell’imposta a debito risultante dalla
liquidazione annuale possono effettuare il relativo versamento maggiorato dell’interesse pari
allo 0,33% mensile, esclusivamente mediante modalità telematiche, anche servendosi di
intermediari.
Rateizzazione versamento imposte da UNICO 2016 per soggetti titolari
di partita IVA
Versamento quinta rata (per i soggetti che rateizzano dal 16 giugno o dal 6 luglio) o quarta rata
(per i soggetti che rateizzano dal 18 luglio) o terza rata (per i soggetti che rateizzano dal 22
agosto) delle imposte dovute risultanti dal Mod. UNICO 2016 per soggetti titolari di
partita IVA.
20
ottobre
giovedì
Trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni di verificazione
periodica degli apparecchi misuratori fiscali
Trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni di verificazione periodica degli
apparecchi misuratori fiscali con riferimento ai dati relativi al terzo trimestre 2016.
Presentazione dichiarazione IVA e versamento trimestrale IVA
per i soggetti che hanno aderito al MOSS
Dal 1° gennaio 2015 è in vigore il nuovo regime IVA speciale MOSS (Mini One Stop
Shop), il mini sportello unico che consente alle aziende di dichiarare e versare l’IVA
dovuta sui servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici prestati a
persone che non sono soggetti passivi IVA (B2C) stabiliti in altri Stati membri.
Limitatamene a tali operazioni, l’adesione facoltativa al regime consente ai soggetti
registrati al Portale MOSS di eseguire gli adempimenti relativi alla Dichiarazione
Trimestrale e al Versamento dell’imposta esclusivamente in modalità telematica,
attraverso il sito Internet www.agenziaentrate.it.
L’Agenzia delle entrate rende disponibili agli operatori nazionali ed a quelli Extra UE
registrati al Portale MOSS le funzionalità operative per la trasmissione della dichiarazione IVA, da eseguirsi a partire dal 1° giorno successivo alla chiusura del trimestre
precedente e fino al giorno 20 dello stesso mese; entro lo stesso termine, deve essere
eseguito il versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione.
25
ottobre
martedì
Operazioni intracomunitarie
Presentazione all’Ufficio doganale competente per territorio degli elenchi riepilogativi degli
acquisti e delle cessioni intracomunitarie effettuate nel mese/trimestre precedente.
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Agenda
31
ottobre
lunedì
Ravvedimento entro 15 giorni
Ultimo giorno utile per il ravvedimento entro 15 giorni del versamento in scadenza il mese
precedente non effettuato o effettuato in misura ridotta.
Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 15%
introdotta per regolarizzazioni entro i 90 giorni, oltre a quanto previsto per i ravvedimenti
dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per
ciascun giorno di ritardo (quindi 0,1% per ogni giorno di ritardo): la convenienza ad utilizzare
tale regolarizzazione si ha quindi effettuando il versamento entro il quattordicesimo giorno
successivo al termine.
Presentazione istanza/modelli di rimborso infrannuale
Termine per la presentazione dell’istanza per il rimborso IVA infrannuale relativo al trimestre
precedente.
I titolari di partita IVA con IVA a credito possono richiedere il rimborso infrannuale, anche
per procedere mediante compensazione, al competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate
mediante presentazione esclusivamente telematica di apposito modello.
Presentazione dei modelli INTRA 12
Invio telematico del Modello INTRA 12 relativo agli acquisti intracomunitari effettuati nel
periodo precedente. Sono tenuti alla presentazione del Modello INTRA 12 gli enti non
commerciali, non soggetti passivi d’imposta, ed i produttori agricoli di cui all’art. 34, comma
6, del D.P.R. n. 633/1972.
Adempimenti di fine mese
Termine adempimenti contabili di fine mese tra i quali si segnalano le autofatture per scambi
intracomunitari, la rilevazione dei chilometri sulle schede carburanti, adempimenti agenzie di
viaggi.
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