L’IVA Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. AttuALità, prAticA e Approfondimento Agosto-settembre 2016 – rivista mensile - Anno 16, n. 8-9 - direzione e redazione strada 1, palazzo f6, 20090 milanofiori Assago (mi). tariffa r.o.c.: poste italiane spa - spedizione in abbonamento postale d.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, dcB milano 2016 7 8-9 incertezze e incongruenze nella disciplina dell’autoconsumo 15 depositi doganali: novità in tema di momento impositivo e trattazione per equivalenza 21 reverse charge per pc, tablet e console di gioco 26 Aliquota iVA per prestazioni rese da cooperative sociali 30 iVA sul trasporto “inbound” per piccole importazioni 37 notizia di reato e raddoppio dei termini di accertamento osserVAtorio ue rAssegnA di documentAzione 5 00200974 AgendA ON-LINE www.edicolaprofessionale.com Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Sommario 8-9 AGOSTO-SETTEMBRE 2016 Base imponibile L’approfondimento - Incertezze e incongruenze nella disciplina dell’autoconsumo Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE, la destinazione di beni a finalità estranee all’impresa (anche per effetto della cessazione dell’attività), laddove sussistano i presupposti per l’assimilazione ad una cessione a titolo oneroso, si configura indipendentemente dal tempo trascorso dal momento dell’acquisto del bene e deve essere tassata sulla base del suo “valore residuo”, che corrisponde al “prezzo sul mercato”. di Franco Ricca .................................................................................................................................. 7 Nuovo Codice Doganale L’approfondimento - Depositi doganali: novità in tema di momento impositivo e trattazione per equivalenza. La recente giurisprudenza della CGE Il quadro giuridico comunitario in materia doganale, dal 1° maggio 2016, è radicalmente mutato, con diretti impatti su numerosi istituti e procedure tipiche del diritto doganale. Tra questi, in particolare, è il deposito doganale - regime sospensivo per eccellenza - uno degli istituti maggiormente modificati dalla nuova regolazione unionale. Atteso il suo rilievo strategico per molte imprese europee, il nuovo deposito doganale continua a presentarsi come una opportunità fondamentale per gli operatori economici, in grado non solo di differire il momento impositivo doganale, ma anche di gestire in sospensione di imposta la filiera logistica, grazie al nuovo metodo dell’applicazione del regime per equivalenza. In ultimo, continuano ad essere di assoluto rilievo le decisioni della Corte di Giustizia dell’UE (sentenza del 2 giugno 2016, cause riunite C-226/14 e C-228/14) che, sebbene riferite al precedente quadro normativo, non mancano di ribadire la netta distinzione, nella contiguità, tra le questioni doganali e quelle dell’IVA, i cui regimi sono applicabili in ragione di diversi e ben distinti presupposti. di Benedetto Santacroce, Ettore Sbandi e Anna Abagnale................................................................. 15 Inversione contabile L’approfondimento - PC, tablet e console di gioco: reverse charge esteso ma non per tutti A partire dal 2 maggio 2016, si applica la disciplina dell’inversione contabile (“reverse charge”) alle cessioni di “console” da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale. L’estensione alle console da gioco, tablet PC e laptop si è avuta ad opera del D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24 che ha recepito le Direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del Consiglio del 22 luglio 2013. Per chiarire alcuni dubbi applicativi della nuova disposizione, soprattutto in merito all’applicazione o meno del reverse charge ai consumatori finali, è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare 25 maggio 2016, n. 21/E. Nel documento di prassi, inoltre, si affrontano altri aspetti relativi al meccanismo dell’inversione contabile che risultano toccati dal Decreto sopra citato. di Saverio Cinieri ............................................................................................................................... 21 Aliquote L’approfondimento - L’aliquota IVA per le prestazioni rese dalle cooperative sociali La circolare Assonime n. 15 del 23 maggio 2016, nell’illustrare le modifiche riguardanti le aliquote IVA ridotte disposte dalla Legge n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), si è soffermata sulla portata della nuova aliquota del 5% applicabile alle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali e loro consorzi nei confronti di particolari categorie di “soggetti svantaggiati”. L’Associazione ha risposto ai dubbi di compatibilità con la disciplina unionale sollevati dalla nuova aliquota e, a questo riguardo, si pone il problema se, per le prestazioni rese dalle cooperative sociali, l’aliquota ridotta sia ammessa solo per quelle non considerate esenti da imposta, come in effetti sono le prestazioni in esame, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972. di Marco Peirolo ................................................................................................................................ 26 L’IVA 8-9/2016 3 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Sommario Servizi internazionali L’approfondimento - All’attenzione degli euro giudici l’IVA sul trasporto “inbound” per le piccole importazioni Dal 2016 sono esenti da IVA anche i servizi accessori, tra cui le spese di trasporto “inbound”, per le importazioni relative a piccole spedizioni. La questione oggetto di analisi dell’ordinanza n. 9150/2016 della Cassazione concerne però un recupero effettuato dal Fisco nel 2007 nei confronti di una società di spedizioni che conformemente alla disciplina comunitaria ma in antitesi a quella domestica aveva attuato detto principio. L’Amministrazione finanziaria, diversamente, riteneva non imponibili detti oneri qualora avessero scontato l’IVA in dogana. I magistrati di legittimità con un’ordinanza interlocutoria passano la palla ai colleghi unionali chiedendo lumi sulla conformità del disposto interno, vigente “ratione temporis”, con la Direttiva IVA. di Gabriele Liberatore ....................................................................................................................... 30 Accertamento L’approfondimento - Notizia di reato e raddoppio dei termini di accertamento In tema di accertamenti fiscali (redditi e IVA), la Corte di cassazione ha affermato, con ordinanza n. 9725/2016, che il fatto storico dell’archiviazione della notizia di reato a carico del contribuente non impedisce, di per sé, in assenza di altre e autosufficienti specificazioni, il raddoppio dei termini di accertamento, non potendosi da ciò desumere un travisamento dello strumento legale. La questione rimanda, in particolare, al problematico coordinamento interpretativo tra l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/2015 e l’art. 1, comma 132, della Legge di stabilità 2016, che hanno diversamente regolamentato la previsione del raddoppio dei termini di accertamento di cui all’art. 57, D.P.R. n. 633/1972 e all’art. 43, D.P.R. n. 600/1973, in presenza di rapporto penale per reati fiscali. di Salvatore Servidio .......................................................................................................................... 37 Immobili L’approfondimento - Prestazioni di servizi su fabbricati a prevalente destinazione abitativa: le diverse aliquote IVA L’individuazione della corretta aliquota IVA sulle prestazioni e cessioni rese nel settore edile ha, da sempre, presentato notevoli difficoltà sia per la corretta interpretazione della definizione delle diverse fattispecie agevolabili, sia per la frequenza con cui il legislatore è intervenuto nel settore. Con il presente contributo si vuole analizzare la corretta applicazione delle diverse aliquote IVA, agevolate del 4% e del 10% ovvero ordinaria del 22%, in tema di prestazioni di servizi nel settore edile riferite a fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata. di Stefano Setti ................................................................................................................................... Dall’Unione Europea 45 Osservatorio • Corte di Giustizia con NOTE di Marco Peirolo .............................................................................................................. Panorama normativo 51 Rassegna Legislazione .......................................................................................................................................................................... Prassi ..................................................................................................................................................................................... Giurisprudenza .................................................................................................................................................................... 61 63 64 Agenda Settembre - Ottobre 2016 a cura di Valerio Artina e Roberta Aiolfi .......................................................................................... 4 L’IVA 8-9/2016 70 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Sommario L’IVA ATTUALITÀ, PRATICA E APPROFONDIMENTO Editrice Wolters Kluwer Italia Srl Strada 1, Palazzo F6 20090 Milanofiori Assago (Mi) http://www.ipsoa.it Direttore responsabile Giulietta Lemmi Fotocomposizione Abbonamenti Integra Software Services Pvt. Ltd. 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I Suoi recapiti postali e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi dell’art. 130, comma 4, del D.Lgs. n. 196/2003, anche a fini di vendita diretta di prodotti o servizi analoghi a quelli oggetto della presente vendita. Lei potrà in ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/2003, fra cui il diritto di accedere ai Suoi dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di opporsi al trattamento dei Suoi dati ai fini di invio di materiale pubblicitario, vendita diretta e comunicazioni commerciali e di richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer Italia S.r.l. - PRIVACY Centro Direzionale Milanofiori Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403. L’IVA 8-9/2016 5 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Base imponibile Incertezze e incongruenze nella disciplina dell’autoconsumo di Franco Ricca L’approfondimento Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia UE, la destinazione di beni a finalità estranee all’impresa (anche per effetto della cessazione dell’attività), laddove sussistano i presupposti per l’assimilazione ad una cessione a titolo oneroso, si configura indipendentemente dal tempo trascorso dal momento dell’acquisto del bene e deve essere tassata sulla base del suo “valore residuo”, che corrisponde al “prezzo sul mercato”. Riferimenti CGE, sentenza 16 giugno 2016, causa C-229/15 Agenzia delle entrate, circolare 1° giugno 2016, n. 26/E Direttiva 2006/112/CE, artt. 18, lett. c), 184; 187 La recente sentenza della Corte di Giustizia UE 16 giugno 2016, causa C-229/15, riaccende i riflettori sulle problematiche inerenti l’imposizione delle operazioni che, pur non rientrando nella categoria delle cessioni di beni secondo la definizione tipica della nozione, sono tuttavia a queste assimilate ai fini del tributo. Tra le ipotesi di “cessione per assimilazione”, in questa sede ci si sofferma su quella che ha come presupposto la sottrazione dall’impresa di beni che hanno formato oggetto di detrazione all’atto dell’acquisto (e sono, dunque, sgravati dell’imposta), allorché sono prelevati dall’imprenditore per utilizzarli a fini privati, oppure per trasferirli a titolo gratuito o, più generalmente, per destinarli a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. In questa fattispecie, l’assenza del corrispettivo, che costituisce la base imponibile delle operazioni a titolo oneroso, rende necessario assumere un parametro alternativo per il calcolo dell’imposta, che la legge individua nel prezzo di acquisto o di costo del bene, determinato però nel momento in cui è effettuata l’operazione. Cessioni di beni: definizione ed estensioni Il principio del sistema comune dell’IVA, com’è noto, consiste nell’applicare ai beni e ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, quale che sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione. A ciascuna transazione, l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio secondo l’aliquota stabilita, è esigibile, previa deduzione dell’ammontare dell’IVA che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo (1). In armonia con il richiamato principio fondamentale, l’oggetto dell’imposta comprende le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate “a titolo oneroso” (2) (oltre che, per motivi particolari, le importazioni e gli acquisti intracomunitari, che non rilevano in questa sede). L’onerosità è dunque un elemento strutturale nella definizione delle operazioni soggette al tributo, il quale è commisurato, peraltro, al corrispettivo versato o dovuto al cedente o prestatore quale contropartita della fornitura del bene o del servizio, sicché in mancanza di un corrispettivo - inteso soggettivamente, come l’effettivo controvalore dovuto al fornitore dal destinatario o da un terzo, e non come un valore stimato in termini oggettivi - l’operazione, in via di principio, non è soggetta all’imposta (3). Note: (1) Art. 1, par. 2, della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, di seguito indicata come “Direttiva IVA” o semplicemente “Direttiva”. (2) Art. 2, par. 1, lett. a) e c), Direttiva. (3) Cfr., ex multis, sentenze CGE 5 febbraio 1981, causa C-154/80 e 29 ottobre 2009, causa C-246/08. L’IVA 8-9/2016 7 Base Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. imponibile Tuttavia, ampliando il campo di applicazione dell’imposta, l’art. 16 della Direttiva assimila ad una cessione a titolo oneroso “il prelievo di un bene dalla propria impresa da parte di un soggetto passivo il quale lo destina al proprio uso privato o all’uso del suo personale, lo trasferisce a titolo gratuito o, più generalmente, lo destina a fini estranei alla sua impresa, quando detto bene o gli elementi che lo compongono hanno dato diritto ad una detrazione totale o parziale dell’IVA”. Sono però esclusi dall’assimilazione “i prelievi ad uso dell’impresa per regali di scarso valore e campioni”, che rimangono così estranei alla sfera impositiva. L’art. 18 della Direttiva, inoltre, attribuisce agli Stati membri la facoltà di assimilare ad una cessione a titolo oneroso altre fattispecie, fra cui “c) ... il possesso di beni da parte di un soggetto passivo o dei suoi aventi causa in caso di cessazione della sua attività economica imponibile, quando detti beni hanno dato diritto ad una detrazione totale o parziale dell’IVA ...”. Obiettivo di queste disposizioni estensive della sfera delle operazioni imponibili, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, è quello di garantire una parità di trattamento tra il soggetto passivo che prelevi un bene dalla sua impresa e un consumatore ordinario che acquisti un bene dello stesso tipo: a tal fine, l’assimilazione del prelievo ad una cessione a titolo oneroso evita che il soggetto passivo che ha potuto detrarre l’IVA sull’acquisto di un bene destinato alla sua impresa sfugga al pagamento dell’imposta quando preleva il bene stesso dal patrimonio della sua impresa per fini privati e goda così di indebiti vantaggi rispetto al consumatore ordinario che acquista il bene pagando il tributo. Nell’ordinamento nazionale, queste disposizioni estensive trovano riscontro (non del tutto puntuale) nell’ambito delle previsioni dettate dal secondo comma dell’art. 2 del D.P.R. n. 633/1972, volte ad assimilare alle cessioni a titolo oneroso: • le cessioni gratuite che riguardano beni oggetto dell’attività propria dell’impresa, ovvero anche altri beni se di costo unitario superiore a 50 euro, eccettuati “quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta a norma dell’art. 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’art. 36-bis” (art. 2, secondo comma, n. 4); • la destinazione di beni all’uso personale o familiare, o comunque a finalità estranee all’esercizio 8 L’IVA 8-9/2016 dell’attività economica, anche a seguito di cessazione dell’attività, con esclusione dei beni “per i quali non è stata operata, all’atto dell’acquisto, la detrazione dell’imposta di cui all’art. 19” (n. 5); • le assegnazioni ai soci fatte a qualsiasi titolo da società di ogni tipo e oggetto (n. 6). La circostanza della mancata detrazione dell’imposta “a monte”, che esclude l’assimilazione alla cessione a titolo oneroso, nella previsione del n. 4) (cessioni gratuite) è enunciata diversamente che in quella del n. 5) (autoconsumo), mentre è assente in quella del n. 6) (assegnazioni ai soci). La diversificazione non ha però ragion d’essere: poiché le tre fattispecie sono riconducibili all’unica matrice impiegata dal legislatore sovranazionale nella declinazione dei presupposti delle corrispondenti cessioni assimilate di cui agli artt. 16 e 18 della Direttiva, la loro disciplina deve essere uniforme. Questa conclusione, relativamente alle fattispecie di cui ai nn. 5) e 6), rilevanti nel quadro delle disposizioni in materia di cessione e assegnazione agevolata ai soci, nonché di trasformazione in società semplice, contenute nella Legge n. 448/2001, è stata fatta propria dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 40 del 13 maggio 2002. Nella circolare, infatti, si afferma che la trasformazione agevolata in società semplice, l’estromissione dei beni dall’impresa e l’assegnazione agevolata ai soci sono “da ricomprendere, unitamente all’autoconsumo, tra le fattispecie di cui all’art. 5, par. 6, della VI Direttiva IVA [ora art. 16 della Direttiva IVA, N.d.A.] da assoggettare ad IVA, ai sensi dell’art. 2, secondo comma, n. 5 del D.P.R. n. 633/1972 ... sempreché all’atto dell’acquisto sia stata operata la detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 19. Pertanto non è dovuta l’IVA ... per quei beni per i quali l’imposta non è stata detratta all’atto del relativo acquisto, non verificandosi, infatti, per tali fattispecie il presupposto oggettivo richiesto dal citato art. 2, secondo comma, n. 5.”. L’orientamento è stato confermato nella recente circolare n. 26/E del 1° giugno 2016, in relazione alle disposizioni contenute nell’art. 1, commi da 115 a 121, della Legge n. 208/2015. La base imponibile delle cessioni “per assimilazione” Venendo alla base imponibile, l’art. 13, secondo comma, lett. c) del D.P.R. n. 633/1972 prevede Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Base imponibile IL PROBLEMA che per le cessioni - prive di ma deve comprendere anche Posto che la base imponibile delle corrispettivo - indicate ai tutte le spese sostenute per “cessioni per assimilazione” è costituita numeri 4), 5) e 6) del comma riparare e completare il bene dal “valore residuo del bene al momento 2 dell’art. 2, questa è costituita stesso durante la sua vita del prelievo”, bisogna stabilire come “dal prezzo di acquisto o, in aziendale (sempreché si tratti debba determinarsi tale valore residuo; in mancanza, dal prezzo di costo di spese relative ad acquisto di particolare, se debba identificarsi con il dei beni o di beni simili, deterbeni e servizi in relazione ai prezzo (o costo) non ancora “consumato” minati nel momento in cui si quali sia stata applicata l’imnello svolgimento dell’attività economica effettuano tali operazioni ...”. posta e sia stata operata la (il costo non ammortizzato), oppure con il La disposizione è stata così detrazione della medesima), valore di mercato del bene (valore riformulata dalla Legge n. 88/ tenendosi, comunque, conto, commerciale), oppure altrimenti. 2009 a fini di adeguamento anche con riferimento a queall’art. 74 della Direttiva, che ste, del deprezzamento che il dispone esattamente nel medebene ha subito nel tempo”. simo senso; nella versione precedente, infatti, la Ad avviso dell’Agenzia, inoltre, per i beni riscattati disposizione nazionale identificava la base imponinell’ambito dei contratti di leasing, “ferma restando bile delle cessioni in esame nel “valore normale”, la generale qualificazione del leasing come prestacriterio che la Direttiva riserva invece alla fattispezione di servizio (4), l’assegnazione dopo il riscatto cie particolare - non recepita nell’ordinamento assume, pertanto, rilevanza, ai fini dell’IVA, non nazionale - dell’autoconsumo interno di prestazioni già in funzione del solo prezzo di riscatto, ma di un di servizi (artt. 77 e 27 della Direttiva), nonché alle valore che, oltre gli apprezzamenti e deprezzamenti operazioni fra soggetti collegati [art. 80 della di cui si è detto, deve essere calcolato tenendo conto Direttiva e art. 13, comma 3, lett. a), b) e c), del anche dei canoni di leasing pagati alla società conD.P.R. n. 633/1972]. cedente prima dell’esercizio del riscatto”. L’Agenzia delle entrate, occupandosi - a quanto Quest’ultima precisazione conduce alla questione consta, per la prima volta - della disposizione centrale: posto che la base imponibile delle “cescome modificata dalla Legge n. 88/2009, nella sioni per assimilazione” è costituita dal “valore citata circolare n. 26/2016 ha osservato che “la residuo del bene al momento del prelievo”, rimane previsione del criterio del prezzo di acquisto o di ancora da stabilire come debba determinarsi tale costo, in sostituzione di quello del valore normale, valore residuo; in particolare, se debba identificarsi implica che la base imponibile IVA della cessione con il prezzo (o costo) non ancora “consumato” gratuita non comprenda il ‘ricarico’ normalmente nello svolgimento dell’attività economica praticato sul mercato per quel bene, bensì sia costi(potremmo dire, il costo non ammortizzato), oppure tuito dal prezzo di acquisto del bene ‘attualizzato’ al con il valore di mercato del bene (valore commermomento della cessione”. ciale), oppure altrimenti. Nella circolare viene poi richiamata la sentenza della Corte di Giustizia UE 17 maggio 2001, a) L’ipotesi del “costo non ammortizzato” cause riunite C-322/99 e C-323/99, secondo cui la Illustrando le modifiche apportate all’art. 13 del base imponibile della cessione senza corrispettivo D.P.R. n. 633/1972 dalla Legge n. 88/2009, coincide con “il valore residuo del bene al momento del prelievo”, per la cui quantificazione occorre Nota: tenere conto “anche delle spese relative agli inter(4) La precisazione appare interessante in relazione all’evoluzione venti consistenti nell’incorporazione nel bene prindella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, volta a qualificare cipale oggetto di cessione di altri beni che ne non senza qualche contraddizione e con riflessi problematici di non poco conto - le operazioni di locazione finanziaria, in presenza di abbiano comportato un incremento duraturo di determinate circostanze (affatto particolari, bensì tipiche del negozio valore non interamente consumato al momento giuridico in questione), come cessioni di beni anziché prestazioni di del prelievo”. servizi. In tal senso, le sentenze 2 luglio 2015, causa C-209/14 e Pertanto, “il prezzo di acquisto non può essere 16 febbraio 2012, causa C-118/11, alle cui statuizioni si è allineata la limitato all’importo pagato per acquistare il bene, Corte di cassazione nella sentenza 16 ottobre 2015, n. 20951. L’IVA 8-9/2016 9 Base Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. imponibile Assonime, nella circolare n. 42 del 13 ottobre 2009, osservava che “la locuzione utilizzata dalla Direttiva, ripresa letteralmente nella nuova disposizione ... potrebbe dare adito a qualche incertezza poiché, da un canto, fa riferimento a un dato già determinato (il prezzo di acquisto), dall’altro sembra prevedere una attualizzazione del dato (da stabilire con riferimento al momento in cui si effettuano le operazioni). Tale contraddittorietà è stata rilevata anche dalla Corte di Giustizia in sede di interpretazione della disposizione comunitaria, ma a ben vedere essa è solamente apparente: la norma trova giustificazione proprio nella ratio che ha portato a stabilire l’imponibilità delle operazioni nelle quali il corrispettivo è assente ... L’imponibilità di tali operazioni, in sostanza, ha la funzione di consentire all’Erario il recupero dell’imposta applicata nelle fasi precedenti l’operazione e regolarmente detratta dal contribuente.” Assonime osservava, ancora, che “Il prezzo di acquisto, quindi, ai fini della determinazione dell’imponibile, non può essere limitato solo all’importo pagato per acquistare il bene, ma dovrebbe comprendere anche le spese relative ad acquisti di beni e servizi sostenute, in ipotesi, per riparare o completare il bene (naturalmente se rilevanti ai fini IVA: non sono tali, ad esempio, le retribuzioni ai dipendenti impiegati nella manutenzione), tenendosi conto, inoltre, di quanto è stato già consumato al momento della effettuazione dell’operazione; non potrebbe, ad esempio, essere assunto come imponibile della cessione il prezzo di acquisto ‘tal quale’, se il bene nel frattempo è stato usato ed è diminuito di valore, così come non potrebbe assumersi il mero prezzo di acquisto se il bene è stato migliorato (riparato o completato) ed è aumentato di valore. In tale ottica, il riferimento al prezzo di acquisto tende a coincidere con il valore residuo del bene al momento del prelievo, intendendo, però, come valore residuo, non il valore normale, ma la somma dei prezzi pagati per l’acquisto dei beni e dei servizi che hanno consentito la realizzazione del bene, al netto del deprezzamento che il bene ha subìto nel corso del tempo ... Il nuovo criterio dovrebbe comportare, di regola, una riduzione degli imponibili, rispetto a quelli determinati con riferimento al valore normale: sembra evidente, infatti, che il prezzo di acquisto o quello di costo di un bene portano a stabilire importi inferiori a quelli ricavabili in base ai prezzi che il cessionario o 10 L’IVA 8-9/2016 il committente dovrebbe pagare per ottenere, in condizioni di libera concorrenza, gli stessi beni o servizi”. Concludendo l’analisi, Assonime richiamava il criterio del “valore residuo” indicato dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza del 17 maggio 2001, da determinarsi addizionando al prezzo storico il valore degli incrementi e sottraendo quello dei decrementi (incluso il deprezzamento per decorso del tempo). Si deve evidenziare, in proposito, che secondo quanto precisato al punto 78 della sentenza con riguardo agli elementi addizionati al bene in un momento successivo all’acquisto, la base imponibile è calcolata sull’incremento duraturo del valore del bene, “non interamente consumato al momento del prelievo”. La precisazione - a nostro avviso riferibile non solo agli elementi addizionati, ma anche al cespite - poteva indurre a ritenere che il deprezzamento del bene dovesse valutarsi in un’ottica aziendalistico/fiscale, tenendo cioè conto che il costo del cespite strumentale ad utilizzazione pluriennale viene trasferito nel prezzo dei beni e servizi forniti dall’impresa, attraverso il processo di ammortamento, e che su tale prezzo è applicata l’IVA; l’imposta va così a gravare anche sulla quota di costo, ma il diritto alla detrazione “a monte” garantisce la neutralità, evitando gli effetti di imposizione “a cascata” che si verificavano nel sistema dell’IGE. In questa prospettiva, il “valore residuo” sarebbe coinciso, come si diceva, con l’eventuale costo non ancora “consumato”, ossia non trasferito sui prezzi e non tassato “a valle”. Per questa via, si poteva concludere che qualora il bene avesse esaurito la propria utilità nel processo economico dell’impresa, la sua destinazione a finalità estranee all’attività dell’impresa non dovesse assoggettarsi ad imposizione IVA per assenza di “valore residuo” e, dunque, di base imponibile, indipendentemente dall’esistenza di un residuo valore di mercato. Una simile conclusione, all’apparenza dirompente, soprattutto in relazione agli esiti del precedente criterio del “valore normale”, parrebbe coerente con il sistema e l’oggetto dell’imposta, considerato che, come si è detto, da un lato, il prezzo o costo d’acquisto del bene interamente consumato nel processo economico, avendo concorso alla determinazione del prezzo di vendita dei beni e/o servizi Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Base imponibile forniti dall’impresa, è stato integralmente assoggettato al tributo e, dall’altro, non sussiste alcun trasferimento a titolo oneroso. Sotto questo profilo, quindi, mentre si giustifica pienamente la tassazione dell’eventuale cessione a titolo oneroso anche del bene che, mutuando la definizione aziendalistico-reddituale, potremmo dire “completamente ammortizzato”, non altrettanto giustificata pare la tassazione dell’eventuale “prelievo” di tale bene, che implica una duplicazione d’imposta. In via subordinata, lo scopo delle disposizioni sulle “cessioni per assimilazione” sembrava autorizzare la tesi che, in ogni caso, l’importo dell’imposta dovuta all’atto della tassazione del prelievo non dovesse superare quello dell’imposta detratta all’atto dell’acquisto del bene (e delle eventuali spese incrementative); diversamente, il soggetto passivo che prelevi dall’impresa un bene per il cui acquisto aveva esercitato la detrazione subirebbe ingiustificatamente un’imposizione più gravosa rispetto a quello che, invece, prelevi un bene per il cui acquisto non aveva fruito (anche volontariamente) di alcuna detrazione. Restava l’interrogativo su come si dovesse stabilire il “valore residuo” del cespite, ossia il valore non consumato nel processo economico: ad esempio, se in relazione ai coefficienti di ammortamento, mutuati dall’imposizione sul reddito, oppure ricorrendo al criterio, per certi aspetti similare, del periodo di “vita utile” previsto, in materia di IVA, ai fini della rettifica della detrazione, introdotto nell’ordinamento interno a decorrere dal 1998, con l’inserimento dell’art. 19-bis2 nel D.P.R. n. 633/1972. Si rammenta, in proposito, che nella circolare ministeriale n. 328/1997 è stato precisato che se il cambio di destinazione di un bene ammortizzabile avviene dopo il decorso del c.d. periodo di sorveglianza (cinque anni a partire da quello di acquisto, elevati a dieci per gli immobili), nessuna rettifica va più effettuata “poiché si considera che il bene, sotto il profilo del tributo, abbia esaurito ogni sua funzione”. b) L’ipotesi del “valore commerciale” Due successivi interventi della Corte di Giustizia, tuttavia, hanno imposto di rivedere le argomentazioni di cui sopra. Nella sentenza 8 novembre 2012, causa C-299/11, la Corte, riguardo alla base imponibile di una “cessione per assimilazione”, accenna infatti al “valore di mercato” del bene. Questo riferimento è stato ripreso nella sentenza 8 maggio 2013, causa C-142/12, avente ad oggetto una questione concernente in modo specifico la lett. c) dell’art. 18 della Direttiva, in base alla quale gli stati membri possono assimilare ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso anche “... il possesso di beni da parte di un soggetto passivo o dei suoi aventi causa in caso di cessazione della sua attività economica imponibile, quando detti beni hanno dato diritto ad una detrazione totale o parziale dell’IVA al momento dell’acquisto ...”. Si trattava, in sostanza, di stabilire se, in forza di tale disposizione, il Fisco potesse pretendere di tassare i beni posseduti da una società al momento della cancellazione della sua posizione IVA e, in caso affermativo, come dovesse determinarsi la base imponibile, in particolare se fosse compatibile con l’ordinamento dell’UE la normativa bulgara che assume il criterio del “valore normale”. In proposito, la Corte ha osservato che “la determinazione della base imponibile di un’operazione del tipo di quella prevista dall’art. 18, lett. c), della Direttiva IVA rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 74 della Direttiva IVA e non in quello dell’art. 80”, sicché la base imponibile è costituita non dal “valore normale”, ma “dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni”. Ha ricordato, poi, di avere già dichiarato che con tale locuzione si deve intendere “il valore residuo del bene al momento del prelievo” e che, con riferimento ad un’operazione di destinazione di un bene ad attività esente, anch’essa rientrante, al pari della destinazione per cessata attività, nell’art. 18 della Direttiva, la base imponibile è “il valore del bene in questione determinato al momento della destinazione, che corrisponde al prezzo sul mercato di un bene simile tenuto conto dei costi di trasformazione di tale bene”. Pertanto, “la base imponibile dell’operazione in caso di cessazione dell’attività economica imponibile è il valore dei beni di cui trattasi determinato al momento di tale cessazione, che tiene quindi conto dell’evoluzione del valore di detti beni tra la loro acquisizione e la cessazione.”. Ciò posto, atteso che, secondo la normativa bulgara, la base imponibile dell’operazione è il “valore L’IVA 8-9/2016 11 Base Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. imponibile normale”, definito dalla stessa normativa “come l’importo pagato alle stesse condizioni per un bene identico o simile tra persone non collegate”, la Corte ha concluso che “spetta al giudice del rinvio verificare se il valore normale ai sensi di tale disposizione, come interpretata e applicata dall’Amministrazione tributaria bulgara, corrisponda in pratica al valore residuo dei beni alla data della cessazione dell’attività economica imponibile”. Da ultimo, la Corte, nella sentenza del 16 giugno 2016 cui si accennava all’inizio, pur non aggiungendo nulla di nuovo in merito alla determinazione del “valore residuo”, rigetta apertamente alcune argomentazioni svolte a supporto della tesi del “costo non ammortizzato”. La causa principale riguardava il ricorso di un contribuente avverso il parere rilasciato dell’Amministrazione finanziaria polacca in merito al trattamento applicabile, a seguito e in dipendenza della cessazione dell’attività professionale, ad una porzione di un fabbricato, utilizzata come strumentale, che il soggetto passivo aveva fatto costruire detraendo l’IVA sulle relative spese. Il professionista aveva interpellato preventivamente l’Amministrazione per sapere se la fattispecie rientrasse fra le cessioni “per assimilazione” e, in caso affermativo, quale fosse la base imponibile. Egli sosteneva, al riguardo, che il valore del suddetto bene non dovesse essere preso in considerazione, pena la violazione del principio della neutralità dell’IVA, in quanto la cessazione dell’attività era avvenuta dopo la scadenza del periodo di rettifica, che per i beni immobili è di dieci anni. In subordine, nel caso in cui tale tesi non fosse condivisa, prospettava che la base imponibile dell’operazione dovesse essere il prezzo di costo del cespite, se inferiore all’attuale valore di mercato; ciò, evidentemente, al fine di evitare che la tassazione dell’autoconsumo facesse emergere un’imposta dovuta di importo superiore a quello dell’imposta detratta. L’Amministrazione aveva però risposto che l’assoggettamento del bene all’IVA, in ragione della cessazione dell’attività, era giustificato dalla natura di imposta sul consumo ed era in linea con il principio di neutralità dell’imposta, dovendosi assoggettare all’IVA tutti i beni sull’acquisto dei quali è stata detratta l’imposta “a monte”, allo scopo di controbilanciare detta detrazione. 12 L’IVA 8-9/2016 Il giudice investito della controversia in ultima istanza dubitava della correttezza della tesi del Fisco, osservando puntualmente che, poiché “la durata giuridica di vita utile dei beni d’investimento impiegati ai fini dell’attività economica del soggetto passivo, espressa per il periodo di rettifica (art. 187 della Direttiva IVA), si è esaurita, si potrebbe presumere che il soggetto passivo, nel corso del periodo in cui il bene durevole è stato usato nell’ambito della sua attività soggetta ad imposta, abbia ‘consumato’ l’imposta detratta per il suo acquisto, essendo tale imposta connessa, durante tutto il periodo del suo utilizzo (rettifica), all’imposta dovuta, generata da tale bene durevole destinato all’attività economica del soggetto passivo.” Il giudice decideva quindi di rivolgersi alla Corte di Giustizia UE, sollevando una questione che, nei termini in cui è stata riformulata dalla Corte, mirava a chiarire se la fattispecie imponibile dell’autoconsumo per cessata attività, di cui all’art. 18, lett. c), della Direttiva, si concretizzi anche con riguardo ai beni d’investimento per il cui acquisto sia stata detratta l’imposta, in relazione ai quali sia però decorso il periodo della rettifica della detrazione previsto dall’art. 187 della Direttiva. Nella sentenza, la Corte ricorda di avere chiarito che “il principale obiettivo dell’art. 18, lett. c), della Direttiva IVA è quello di evitare che beni che abbiano dato diritto a detrazione siano oggetto di un consumo finale non assoggettato ad imposta a seguito della cessazione dell’attività imponibile, a prescindere dai motivi o dalle circostanze di essa.”. Il meccanismo della rettifica delle detrazioni “mira, a sua volta, ad aumentare la precisione delle detrazioni così da assicurare la neutralità dell’IVA, in modo che le operazioni effettuate nella fase anteriore continuino a dare luogo al diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui esse siano destinate a fornire prestazioni soggette ad una simile imposta. Tale meccanismo ha così lo scopo di stabilire una relazione stretta e diretta tra il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte e l’impiego dei beni o dei servizi di cui trattasi per operazioni soggette ad imposta a valle”. Ciò premesso, la Corte riconosce che, effettivamente, “la finalità dell’assoggettamento ad imposta del possesso dei beni che hanno dato luogo alla detrazione in forza dell’art. 18, lett. c), della Direttiva IVA si avvicina a quella del meccanismo Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Base imponibile IN SINTESI di rettifica, posto che si tratta, dal prezzo di acquisto dei beni La Corte di Giustizia, nella sentenza del da un lato, di evitare di procuo di beni simili, ovvero, in 16 giugno 2016 causa C-229/15, pur non rare un indebito vantaggio ecomancanza del prezzo di acquiaggiungendo nulla di nuovo in merito alla nomico al soggetto passivo sto, dal prezzo di costo, deterdeterminazione del “valore residuo”, rispetto ad un consumatore minati nel momento in cui tali rigetta apertamente alcune finale che acquisti il bene operazioni sono effettuate. La argomentazioni svolte a supporto della pagando l’IVA e, dall’altro, base imponibile dell’operatesi del “costo non ammortizzato”. di garantire una corrisponzione in caso di cessazione denza tra la detrazione dell’imdell’attività economica impoposta a monte e la riscossione nibile è il valore dei beni di cui dell’imposta a valle”. trattasi determinato al momento della cessazione, Tuttavia, questa corrispondenza di obiettivi “non che tiene quindi conto dell’evoluzione del valore di significa che il periodo previsto per la rettifica di una detti beni tra la loro acquisizione e la cessazione. detrazione ... possa essere considerato quale In conclusione, per “conseguire l’obiettivo di cui periodo di scadenza oltre il quale l’assoggettamento all’art. 18, lett. c), della Direttiva IVA, che consiste all’imposta in forza dell’art. 18, lett. c), non sia più nell’evitare che beni che hanno dato diritto a detrapossibile.”. zione siano oggetto di un consumo finale non assogIn primo luogo, perché una tale circostanza non gettato ad imposta a seguito della cessazione figura in quest’ultima disposizione, che prevede dell’attività economica imponibile e ad eliminare l’assoggettamento all’imposta, in caso di cessaeffettivamente qualunque disparità in materia di zione dell’attività, quando i beni hanno formato IVA tra i consumatori che acquistano i loro beni oggetto di detrazione al momento dell’acquisto, presso un altro soggetto passivo e quelli che li senza porre altre condizioni. acquistano nell’ambito della propria impresa, l’asLa disposizione, poi, non contiene alcun rinvio alle soggettamento ad imposta previsto dall’art. 18, lett. disposizioni sulla rettifica della detrazioni, a diffec), della Direttiva IVA deve aver luogo ... quando un renza dell’art. 168-bis, paragrafo 1, comma 2, della bene che abbia dato diritto ad una detrazione Direttiva, che invece rinvia a tali disposizioni reladell’IVA conserva un valore residuo al momento tivamente all’assoggettamento ad imposta dell’uso della cessazione dell’attività economica imponiprivato di un bene immobile in forza dell’art. 26 bile, indipendentemente dal periodo trascorso tra della Direttiva. la data dell’acquisizione di detto bene e quella della Infine, mentre la rettifica è un meccanismo corretcessazione dell’attività stessa.”. tivo a posteriori delle detrazioni operate, l’assoggettamento di cui all’art. 18, lett. c), non si fonda Osservazioni conclusive sulla premessa secondo cui la detrazione operata al La conclusione della Corte, riguardo alla configumomento dell’acquisto dei beni posseduti all’atto razione della fattispecie, appare indiscutibile. Resta della cessazione dell’attività economica sia supeperò la questione della base imponibile. riore o inferiore a quella che il soggetto passivo Si deve prendere atto, al riguardo, che la tesi della aveva diritto di effettuare, bensì sulla realizzazione tassazione delle “cessioni per assimilazioni” per il di una nuova operazione imponibile alla data della solo costo non consumato nel senso illustrato sub a), cessazione dell’attività economica. come prospettato anche dal ricorrente nella causa Tanto precisato in merito agli elementi strutturali principale, non è stata condivisa dalla Corte, che delle operazioni imponibili delineate dall’art. 18, rimane invece orientata ad identificare il “valore lett. c), per quanto concerne la relativa base imporesiduo”, base imponibile delle cessioni in esame, nibile la Corte rileva che l’assoggettamento ad nel valore di mercato. Questa interpretazione, di imposta tiene conto delle modifiche del valore fatto, ridimensiona la portata della modifica del degli attivi d’impresa, durante tutta la durata del 2009, attenuando le differenze tra il “valore norloro uso per le attività di impresa, giacché, conformale” (definito dall’art. 72 della Direttiva) e il memente all’art. 74 della Direttiva IVA, per le “prezzo rideterminato” (di cui all’art. 74), che operazioni in esame, la base imponibile è costituita pure restano due concetti distinti. L’IVA 8-9/2016 13 Base Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. imponibile D’altronde, ai sensi dell’art. 72, per “valore normale” si intende, in prima battuta “l’intero importo che l’acquirente o il destinatario, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente ...”. Secondo la stessa disposizione, però, “qualora non siano accertabili cessioni di beni o prestazioni di servizi analoghe, per ‘valore normale’ si intendono i seguenti importi: 1) nel caso di beni, un importo non inferiore al prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del presso di acquisto, al prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni ...”. In concreto, la differenza essenziale parrebbe risiedere nel fatto che, come osservato dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 26/2016, nella quantificazione del “prezzo attualizzato” non entra in gioco il “ricarico normalmente praticato sul mercato per quel bene”; anche questa circostanza, tuttavia, si ridimensiona allorché il “prezzo attualizzato” debba assumersi pari al valore di mercato. Il quadro che ne scaturisce, in definitiva, denota a nostro avviso alcune incongruenze nella disciplina impositiva dell’autoconsumo, soprattutto (ma non solo) in relazione ai beni suscettibili di incremento di valore nel tempo, come gli immobili. In primo luogo, come già detto, pare esservi doppia imposizione sui beni che vengono tassati, una prima volta, indirettamente in virtù della ripercussione del relativo costo sul prezzo dei beni e servizi forniti dall’impresa e, una seconda volta, in sede di autoconsumo, ove peraltro il tributo, essendo calcolato su una base imponibile che corrisponde al “valore di mercato”, finisce per colpire anche l’eventuale incremento di valore dovuto al mero trascorrere del tempo. In secondo luogo, il soggetto passivo che, a suo tempo, aveva detratto l’imposta sull’acquisto del bene oggetto di autoconsumo, può andare incontro ad un trattamento deteriore rispetto al soggetto passivo che invece, non aveva esercitato la detrazione, per il quale, non realizzandosi la fattispecie della “cessione per assimilazione”, l’entità del carico tributario è circoscritta all’imposta non detratta. 14 L’IVA 8-9/2016 Per buona sorte, in relazione all’autoconsumo di fabbricati, i soggetti passivi nazionali (come pure quelli di altri Stati membri che abbiano adottato disposizioni analoghe) hanno l’opportunità di sottrarsi alla penalizzante disciplina di cui sopra applicando, ove sussistano i relativi presupposti, il regime di esenzione ai sensi dell’art. 10, nn. 8bis) e 8-ter), del D.P.R. n. 633/1972, sembrando pacifica l’applicabilità di queste disposizioni non soltanto alle “cessioni proprie” (ossia a titolo oneroso), ma anche a quelle “per assimilazione”. In tal caso, se al momento dell’autoconsumo esente è trascorso il periodo di sorveglianza ai fini della rettifica della detrazione (dieci anni ai sensi dell’art. 19-bis2, comma 8, D.P.R. n. 633/1972), non vi saranno conseguenze agli effetti dell’IVA (salvo l’eventuale pro-rata). Se invece il periodo non è trascorso, occorrerà rettificare la detrazione e restituire, così, l’IVA detratta e non ancora “consumata”, ma nulla di più; il che porta alla luce, rispetto al regime dell’autoconsumo imponibile, un’ulteriore incongruenza, questa volta non giustificabile con la motivazione del differente ambito delle disposizioni in materia di “cessioni per assimilazione” rispetto a quelle in materia di rettifica della detrazione. A quest’ultimo riguardo, infine, sarebbe forse opportuna una riflessione sulle relazioni delle disposizioni in esame e sugli effetti differenti che, come si è visto, a parità di scopo, derivano dall’applicazione delle prime piuttosto che delle seconde. Effetti che talvolta sono addirittura lasciati alla discrezionalità degli Stati membri, come nell’ipotesi dell’autoconsumo per cessata attività (art. 18, lett. c), nonché in quella della destinazione di un bene ad un settore di attività non assoggettato ad imposta (art. 18, lett. b), operazioni che gli Stati membri “possono” assimilare ad una cessione di beni a titolo oneroso: a seconda che il proprio Stato abbia esercitato o meno questa facoltà, il carico fiscale per il soggetto passivo che pone in essere una di tali fattispecie potrà essere molto diverso, dovendo nel primo caso assoggettare all’IVA il valore di mercato del bene e, nel secondo, operare la rettifica della detrazione. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Nuovo Codice Doganale Depositi doganali: novità in tema di momento impositivo e trattazione per equivalenza. La recente giurisprudenza della CGE di Benedetto Santacroce, Ettore Sbandi e Anna Abagnale L’approfondimento Il quadro giuridico comunitario in materia doganale, dal 1° maggio 2016, è radicalmente mutato, con diretti impatti su numerosi istituti e procedure tipiche del diritto doganale. Tra questi, in particolare, è il deposito doganale regime sospensivo per eccellenza - uno degli istituti maggiormente modificati dalla nuova regolazione unionale. Atteso il suo rilievo strategico per molte imprese europee, il nuovo deposito doganale continua a presentarsi come una opportunità fondamentale per gli operatori economici, in grado non solo di differire il momento impositivo doganale, ma anche di gestire in sospensione di imposta la filiera logistica, grazie al nuovo metodo dell’applicazione del regime per equivalenza. In ultimo, continuano ad essere di assoluto rilievo le decisioni della Corte di Giustizia dell’UE (sentenza del 2 giugno 2016, cause riunite C-226/14 e C-228/14) che, sebbene riferite al precedente quadro normativo, non mancano di ribadire la netta distinzione, nella contiguità, tra le questioni doganali e quelle dell’IVA, i cui regimi sono applicabili in ragione di diversi e ben distinti presupposti. Riferimenti CGE 2 giugno 2016, sentenza cause riunite C-226/14 e C-228/14 Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952/2013 Regolamento delegato UE 28 luglio 2015, n. 2446 Regolamento di esecuzione UE 24 novembre 2015, n. 2447 I regimi speciali nel Codice Doganale dell’UE La disciplina doganale comunitaria è stata oggetto di una profonda revisione che, dal 1° maggio 2016, vede radicalmente modificate le fonti normative UE, ora divise in quattro norme regolamentari, ossia il Codice Doganale (Reg. UE 952/13 - CDU), il Regolamento delegato (Reg. UE 2446/15 - R.D.), il Regolamento di esecuzione (Reg. UE 2447/15 - RE) e il Regolamento delegato transitorio sull’informatizzazione (Reg. UE 341/16 - RDT) (1). I regimi doganali, in particolare, hanno subito una radicale opera di modifica che ne ha ridisegnato i contorni in termini sostanziali ed operativi. In sostanza, ad eccezione dei regimi doganali di immissione in libera pratica e di esportazione, Benedetto Santacroce - Professore presso l’Università N. Cusano di Roma. Avvocato in Roma e Milano, Studio Legale Tributario SantacroceProcida-Fruscione Ettore Sbandi - Avvocato in Roma e Milano, Studio Legale Tributario Santacroce-Procida-Fruscione Anna Abagnale - Studio Legale Tributario Santacroce-Procida-Fruscione Nota: (1) Più compiutamente, sono ora in vigore: 1. Codice Doganale dell’Unione (CDU): è il Reg. UE n. 952/2013 del 9 ottobre 2013, che istituisce il Codice Doganale dell’Unione; 2. Reg. delegato del CDU (R.D.): è il Reg. delegato UE n. 2446 del 28 luglio 2015, che integra il Reg. UE n. 952/2013; 3. Regolamento di esecuzione del CDU (RE): è il Reg. di esecuzione UE n. 2447 del 24 novembre 2015; 4. Regolamento delegato transitorio del CDU (RDT): è il Reg. delegato UE n. 341/2016 della Commissione, del 17 dicembre 2015, che stabilisce misure transitorie relative ai mezzi per lo scambio e l’archiviazione di dati di cui all’art. 278 del CDU fino a quando i sistemi elettronici necessari per l’applicazione delle disposizioni del codice non siano operativi. L’IVA 8-9/2016 15 Nuovo Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Codice Doganale OSSERVAZIONI pure modificati (2), tutti i Per questo, che in Un primo elemento di considerazione, in restanti movimenti attivabili realtà, a livello generale, termini di novità operative, sta nel fatto in dogana sono ora convopone più di qualche che i depositi sono ormai luoghi fisici nei gliati sotto una unica disciperplessità (o difficoltà) quali la merce può essere stoccata in plina orizzontale dedicata ai in termini di accertasospensione dalla fiscalità di confine, la regimi c.d. speciali, disciplimento del requisito, è di cui applicazione è demandata ad un nati agli artt. 210 e seguenti interesse notare come la momento futuro ed eventuale connesso del CDU (3). legislazione ponga una all’immissione in libera pratica delle Le merci possono essere vinpresunzione di sussimerci che si realizza con l’estrazione colate a una delle seguenti stenza del requisito ritedelle stesse dal deposito. categorie di regimi speciali: nendo che un operatore a) transito, che comprende il economico autorizzato transito esterno e interno (4); per le semplificazioni b) deposito, che comprende il deposito doganale e doganali soddisfi detta condizione (11); le zone franche (5); c) qualora per le merci vincolate a un regime c) uso particolare, che comprende l’ammissione speciale possa sorgere un’obbligazione dogatemporanea (6) e l’uso finale (7); nale o per altre imposte, costituiscono una d) perfezionamento, che comprende il perfezionagaranzia a norma dell’art. 89 CDU. Si badi mento attivo e passivo (8). che la garanzia in commento è riducibile o Vale anzitutto la regola generale dell’autorizzaesonerabile, a livello singolo o globale, in zione preventiva, per tutti i regimi speciali, con presenza di una serie di requisiti e per particolare riferimento al ricorso al regime di mezzo di apposita istanza, ex art. 84 DA; perfezionamento attivo o passivo, di ammissione temporanea o di uso finale, ed alla gestione di strutture di deposito per il deposito doganale Note: delle merci (9). (2) Per l’export, cfr. B. Santacroce e E. Sbandi, “Il regime dell’esportaSalvo che sia altrimenti disposto, l’autorizzazione zione e i nuovi oneri di stabilimento nel Codice Doganale dell’UE”, in ai regimi speciali è concessa esclusivamente alle questa Rivista, n. 6/2016, pag. 7. (3) Disposizioni generali in materia di regimi speciali, titolo VII persone che soddisfano tutte le condizioni del CDU. seguenti: (4) Di fatto non incisi dalla nuova disciplina e confermati nel loro a) sono stabilite nel territorio doganale carattere sospensivo, l’uno riservato alle merci non unionali in trandell’Unione. Per questo requisito, si richiama sito per l’UE e l’altro, viceversa, per merci unionali in transito per territori extra UE. al concetto generale di stabilimento quale (5) Zone franche che, ora, non sono mere destinazioni doganali, ma regola di base per l’accesso non solo ai veri e propri regimi unici e sospensivi, con conseguente abolizione del regimi speciali (ed all’esportazione), ma deposito franco. anche alle facilitazioni previste dalla disci(6) Di fatto invariata per merci extra UE sono momentaneamente introdotte nell’UE in sospensione o riduzione dal dazio. plina doganale unionale, primo fra tutti il (7) Ora non più mera specie del genere immissione in libera pratica, ma riconoscimento dello status di operatore ecovero e proprio regime designato ad accompagnare le merci in esennomico autorizzato AEO (10). Per complezione o riduzione dal dazio, in virtù del loro peculiare utilizzo. tezza, si rileva come la regola di base sia in (8) Pienamente confermati e potenziati, con particolare riferimento al perfezionamento attivo che non obbliga più gli operatori alla riesporalcuni casi derogabile, ex art. 161 DA, in tazione di prodotti lavorati a seguito dell’introduzione in sospensione quanto le autorità doganali possono occasiodi imposta di materie prime; dunque, il regime può esitarsi con la nalmente, ove lo ritengano giustificato, conriesportazione, come già avveniva, o con l’importazione dei prodotti cedere un’autorizzazione per il regime di uso trasformati, come riservato precedentemente al regime, ora abolito, della trasformazione sotto controllo doganale. finale o il regime di perfezionamento attivo a (9) Ad eccezione dei casi in cui il gestore delle strutture di deposito sia persone stabilite al di fuori del territorio l’autorità doganale. doganale dell’Unione; (10) Cfr. artt. 38 ss. CDU. b) offrono tutte le necessarie garanzie di un (11) Ovviamente se nell’autorizzazione si tiene conto dell’attività ordinato svolgimento delle operazioni. relativa al regime speciale interessato. 16 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Nuovo Codice Doganale d) per i regimi di ammissione temporanea o perfezionamento attivo, utilizzano o fanno utilizzare le merci o effettuano o fanno effettuare operazioni di perfezionamento delle merci. Il deposito doganale privato nel CDU La disciplina unionale in materia di depositi abbandona il precedente approccio diviso per tipologia, con i noti depositi di tipo A, B, C, D, E, F, tutti gestiti o dall’autorità doganale, o dai privati, con differente cristallizzazione dei momenti impositivi (all’introduzione (12) o all’estrazione) (13) o individuazione dei luoghi di deposito (singoli spazi o porzioni di spazi (14), ovvero interi hub o centri produttivi) (15). Ora i depositi, più semplicemente, si distinguono in depositi privati e depositi pubblici, tutti con il vincolo impositivo individuato nel momento dell’estrazione e senza vincoli di spazio che non siano dovuti alla garanzia dei controlli delle autorità (16), con predilezione per gli accertamenti di tipo contabile. In continuità con il passato regime del Codice Doganale Comunitario, nel CDU è infatti stabilito che, nel quadro del regime di deposito doganale, le merci non unionali possono essere collocate in locali o altri luoghi autorizzati per tale regime dalle autorità doganali e soggette alla loro vigilanza (“depositi doganali”); questi, poi, possono essere strutture utilizzabili da qualsiasi persona per il magazzinaggio doganale di merci (“deposito doganale pubblico”) oppure strutture destinate al magazzinaggio di merci da parte del titolare di un’autorizzazione per il deposito doganale (“deposito doganale privato”). Restano poi invariate le responsabilità per i titolari delle autorizzazioni e per i soggetti per conto dei quali questi operano (in caso di operatività per conto di terzi). Il titolare dell’autorizzazione e del regime, infatti, garantiscono anzitutto che le merci in regime di deposito doganale non siano sottratte alla vigilanza doganale e il rispetto degli obblighi risultanti dal magazzinaggio delle merci che si trovano in regime di deposito doganale; inoltre, il titolare del regime resta responsabile dell’osservanza degli obblighi risultanti dal vincolo delle merci, segnatamente a garanzia dell’obbligazione tributaria. Dunque, un primo elemento di considerazione, in termini di novità operative, sta nel fatto che i depositi sono ormai luoghi fisici nei quali la merce può essere stoccata in sospensione dalla fiscalità di confine, la cui applicazione è demandata ad un momento futuro ed eventuale connesso all’immissione in libera pratica delle merci che si realizza con l’estrazione delle stesse dal deposito. Inoltre, il regime, vincolato ad una identificazione fisica, ha ora una gestione di tipo eminentemente contabile, con il pacifico ricorso, se del caso, allo stoccaggio promiscuo di merci unionali e non, distinte in ragione delle relative iscrizioni nella contabilità aziendale. La trattazione per equivalenza Oltre a ciò, però, si sottolinea quella che si ritiene essere la reale chiave e novità dell’utilizzo del deposito, che sta nella trattazione per equivalenza delle merci ivi stoccate. In maniera orizzontale, sebbene con alcune distinzioni, ai regimi speciali, tra i quali il deposito, è ora accordata ex lege (17) la possibilità di operare solo a livello contabile, senza distinzioni tra merci in concreto già in libera pratica e merci vincolate ad un regime sospensivo. Per il CDU, sono infatti equivalenti le merci unionali immagazzinate, utilizzate o trasformate al posto di merci vincolate a un regime speciale e che, salvo che sia altrimenti disposto, hanno lo stesso codice di nomenclatura combinata a otto cifre, la stessa qualità commerciale e le stesse Note: (12) Per i depositi privati, il deposito di tipo D. (13) Per i depositi privati, il deposito di tipo C. (14) Per i depositi privati, il deposito di tipo C e il deposito di tipo D. (15) Per i depositi privati, il deposito di tipo E, gestito secondo le modalità del deposito di tipo C o D. (16) Fuori dal regime del deposito, le autorità doganali possono, quando risponda a un’esigenza economica e sempre che la vigilanza doganale non venga compromessa, autorizzare che la trasformazione di merci in regime di perfezionamento attivo o di uso finale abbia luogo in un deposito doganale, fatte salve le condizioni previste da tali regimi. (17) Cfr. art. 223 CDU. L’IVA 8-9/2016 17 Nuovo Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Codice Doganale OSSERVAZIONI caratteristiche tecniche delle dell’IVA, i cui regimi sono In maniera orizzontale, sebbene con merci che sostituiscono. applicabili in ragione di alcune distinzioni, ai regimi speciali, È chiaro come l’opportunità diversi e ben distinti tra i quali il deposito, è ora accordata dell’offerta dal CDU possa presupposti. ex lege la possibilità di operare solo a potenzialmente tradursi in Più nello specifico, la Corte livello contabile, senza distinzioni tra enormi vantaggi competitivi ha affermato che l’art. 7, merci in concreto già in libera pratica per l’impresa che intende par. 3, della Dir. 77/388/ e merci vincolate ad un regime avere unicità dei locali di CEE (22) deve essere sospensivo. stoccaggio, trattazione congiunta delle materie prime o di quelle oggetto di comNote: (18) Nel dettaglio, ex lege il CDU ritiene che un operatore economico mercializzazione e riduzione drastica dei temi di autorizzato per le semplificazioni doganali soddisfi la condizione attesa per lo svincolo delle merci. relativa all’ordinato svolgimento del regime se nell’autorizzazione di A condizione che sia garantito l’ordinato svolcui all’art. 38, paragrafo 2, lett. a) si tiene conto dell’attività relativa gimento del regime (che si presume per i sogall’uso di merci equivalenti per il regime interessato. (19) Può altresì essere autorizzato: (i) l’uso di merci equivalenti getti AEOC) (18), in particolare per quanto nell’ambito del regime di ammissione temporanea in casi specifici; attiene alla vigilanza doganale, le autorità doga(ii) nel caso del regime di perfezionamento attivo, l’esportazione di nali, su richiesta, possono dunque autorizzare, prodotti trasformati ottenuti da merci equivalenti prima dell’importra l’altro (19), l’uso di merci equivalenti tazione delle merci che sostituiscono; (iii) nel caso del regime di perfezionamento passivo, l’importazione di prodotti trasformati ottenell’ambito di un regime di deposito doganale, nuti da merci equivalenti prima dell’esportazione delle merci che di zone franche, di uso finale e di sostituiscono. perfezionamento. (20) L’uso di merci equivalenti non è autorizzato nei casi seguenti: La norma in esame ha una portata oggettivaa) se unicamente le manipolazioni usuali quali definite all’art. 220 sono effettuate in regime di perfezionamento attivo; b) se un mente innovativa e rivoluzionaria per il quadro divieto di restituzione dei, o di esenzione dai, dazi all’importadei regimi doganali speciali e, in particolare, per zione si applica a merci non originarie utilizzate nella fabbricail deposito e il perfezionamento, ponendosi zione di prodotti trasformati in regime di perfezionamento attivo, come disposizione standard (20), orizzontale, per i quali è rilasciata o compilata una prova d’origine nel quadro accessibile per gli operatori interessati all’ottidi un accordo preferenziale tra l’Unione e alcuni Paesi o territori non facenti parte del suo territorio doganale o gruppi di tali Paesi mizzazione dei flussi logistici e che intendono o territori; oppure c) se esso comporta un vantaggio ingiustificato minimizzare tempi e costi di attesa o di svincolo a livello di dazi all’importazione o se previsto nella normativa per l’approvvigionamento. dell’Unione. Le novità della giurisprudenza UE in materia di depositi doganali In conclusione della presente rassegna, è bene segnalare, per contiguità di materia, una recente pronuncia della Corte di Giustizia che ha confermato - e meglio esplicitato - il principio secondo il quale l’obbligazione doganale sorta a causa di inosservanza delle formalità doganali non comporta automaticamente l’obbligo di versare l’IVA (21). Continuano ad essere di assoluto rilievo, infatti, le decisioni della Corte di Giustizia dell’UE (cause riunite C-226/14 e C-228/14) che, sebbene riferite al precedente quadro normativo doganale, non mancano di ribadire la netta distinzione, nella contiguità, tra le questioni doganali e quelle 18 L’IVA 8-9/2016 (21) Sentenza 2 giugno 2016, cause riunite C-226/14 e C-228/14 (22) Art. 7 della Sesta Direttiva 77/388/CEE: “1. Si considera ‘importazione di un bene’: a) l’entrata nella Comunità di un bene non rispondente alle condizioni di cui agli artt. 9 e 10 del trattato che istituisce la Comunità economica europea ovvero, se si tratta di un bene oggetto del trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che non è in libera pratica; b) l’entrata nella Comunità di un bene proveniente da un territorio terzo, diverso dai beni di cui alla lettera a). 2. L’importazione di un bene è effettuata nello Stato membro nel cui territorio si trova il bene nel momento in cui entra nella Comunità. 3. In deroga al paragrafo 2, se un bene di cui al paragrafo 1, lettera a) è posto, al momento della sua entrata nella Comunità, in uno dei regimi di cui all’art. 16, paragrafo 1, parte B, lettere a), b), c) e d) o in un regime di ammissione temporanea in esenzione totale dei dazi all’importazione o in un regime di transito esterno, la sua importazione è effettuata nello Stato membro nel cui territorio il bene stesso è svincolato da tali regimi. Analogamente, se un bene di cui al paragrafo 1, lettera b) è soggetto al momento del suo ingresso nella Comunità a uno dei regimi previsti dall’art. 33-bis, paragrafo 1, lettere b) o c), l’importazione del bene è effettuata nello Stato membro nel cui territorio il bene esce da tali regimi”. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Nuovo Codice Doganale IN SINTESI interpretato nel senso che nell’Unione (24), fermo Nella sentenza del 2 giugno 2016, cause l’imposta sul valore aggiunto restando che, per i beni vinriunite C-226/14 e C-228/14, la CGE ha su merci riesportate come colati ad un regime doganale chiarito che non è dovuta l’IVA su merci merci non comunitarie non sospensivo, l’importazione riesportate come merci non comunitarie se è dovuta se tali merci non si considera effettuata nello tali merci non sono state svincolate dai sono state svincolate dai Stato membro nel cui terriregimi doganali previsti ai sensi dell’art. 7, regimi doganali previsti torio i beni sono svincolati. par. 3, della Sesta Direttiva, alla data della dalla norma alla data della Ed è in questo momento, loro riesportazione, ma sono state loro riesportazione, ma ovvero all’atto dello svinsvincolate dai regimi in parola a motivo di sono state svincolate da tali colo, che si realizza il quest’ultima. Ciò anche se l’obbligazione regime a motivo di quest’ul“fatto generatore dell’impodoganale è sorta esclusivamente in forza tima, e ciò anche se l’obblista” e pertanto la stessa dell’art. 204 del Regolamento CEE n. 2913/ gazione doganale è sorta diventa esigibile (25). 92, ovvero per inadempienza di uno degli esclusivamente in forza delNel caso in specie - osserva la obblighi legati al regime di deposito l’art. 204 del Reg. 2913/92 Corte - le merci provenienti doganale. Inoltre la Corte aggiunge che, (c.d.c.) (23). dall’estero erano state poste poiché l’imposta sul valore aggiunto su I casi esaminati dalla Corte nel regime di deposito dogamerci riesportate come merci non hanno riguardato, tra l’altro, nale di uno Stato membro comunitarie non è dovuta se tali merci non merci in transito, accolte da prima di essere riesportate sono state svincolate dai regimi doganali una Società di diritto tedesco fuori dal territorio doganale, previsti all’art. 61 della Direttiva 2006/112/ nel proprio deposito doganale, rimanendo vincolate fino a CE, e ciò anche se un’obbligazione per conto di terzi che poi protale momento. doganale è sorta esclusivamente in forza cedevano con la riesportaL’inadempienza che ha fatto del citato art. 204, non ci sono, di zione; la merce, pertanto, non sorgere l’obbligazione dogaconseguenza, debitori dell’imposta sul veniva mai assoggettata alla nale (26), ha posto poi un valore aggiunto. fiscalità di confine in quanto problema ai fini dell’IVA stazionava nell’UE vincolata (27). Tuttavia, siccome le al regime sospensivo del merci non erano state svindeposito. colate fino alla loro riesportazione, nonostante si In seguito ad una verifica, però, era emerso che, in trovassero nel territorio dell’Unione, secondo un alcuni casi, il prelievo delle merci dal deposito doganale era stato iscritto nella contabilità di magazzino prevista dal diritto doganale solo tardivamente e, pertanto, l’autorità doganale procedeva Note: al recupero dei dazi e dell’IVA all’importazione. (23) Ora invariato agli artt. 77 ss. CDU. Riunite con ordinanza le due cause, la Corte ha (24) Artt. 60 e 61 della Direttiva del 2006/112/CE. (25) Art. 71 della Direttiva 2006/112/CE. così stabilito che, poiché le merci non erano (26) Sul punto cfr. la sentenza della Corte di Giustizia del 6 settembre svincolate dal regime doganale al momento 2012, causa C-28/11 (Eurogate Distribution), la quale ha stabilito che, della loro riesportazione, pur trovandosi matein caso di merce non comunitaria, l’inadempienza dell’obbligo di rialmente nel territorio dell’UE, non si può dire iscrivere nella contabilità di magazzino l’uscita della merce da un deposito doganale, al momento di tale uscita, fa sorgere un’obbligache esse fossero entrate nel circuito economico zione doganale per la suddetta merce, ex art. 204, par. 1, lett. a) del dell’Unione ai sensi dell’art. 2, punto 2, Sesta Codice Doganale (Reg. 2913/92/CEE), anche qualora la merce sia stata Direttiva; di conseguenza, non essendoci stata riesportata. un’importazione, le stesse non potevano essere (27) L’Avvocato Generale, nelle conclusioni presentate il 12 gennaio 2016, al paragrafo 97, afferma che l’esigibilità dell’IVA potrebbe soggette ad IVA. aggiungersi all’obbligazione doganale nel caso in cui si potesse riteInfatti, la normativa comunitaria qualifica le nere, sulla base della specifica condotta illecita da cui è sorta tale importazioni come operazioni imponibili effetobbligazione, che le merci in questione siano entrate nel circuito tuate nel territorio dello Stato membro nel quale economico dell’Unione. In questo caso, potendo le stesse essere i beni si trovano nel momento in cui entrano oggetto di consumo, sono soggette ad IVA. L’IVA 8-9/2016 19 Nuovo Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Codice Doganale precedente orientamento della Corte (28), non si poteva ritenere che esse fossero state oggetto di importazione, ai sensi dell’art. 2, punto 2 della Sesta Direttiva (29) e, di conseguenza, che fosse applicabile l’IVA (30). Note: (28) CGE, sentenza del 8 novembre 2012, causa C-165/11 (Profitube). (29) Art. 2 della Sesta Direttiva 77/388/CEE: “Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto: 1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del Paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; 2. le importazioni di beni”. 20 L’IVA 8-9/2016 (30) Come evidenziato dai giudici europei, la sentenza del 15 maggio 2014, causa C-480/12 non può mettere in discussione tale assunto. Nella causa che ha dato origine a tale sentenza, era stato applicato l’art. 866 del Regolamento d’applicazione (Regolamento CEE n. 2454/93), il quale prevede che quando un’obbligazione doganale all’importazione sorge, in particolare, a norma degli artt. 203 o 204 del Codice Doganale e i dazi all’importazione sono stati pagati, la merce in questione è considerata comunitaria, senza che sia necessaria una dichiarazione d’immissione in libera pratica. Tuttavia, l’art. 866 ha un ambito di applicazione circoscritto alle merci che si trovano nel territorio doganale dell’Unione e non si estende alle merci che sono riesportate. Di conseguenza, nel caso in specie, siccome le merci avevano già lasciato il territorio doganale dell’Unione, non potevano essere introdotte materialmente nel suo circuito economico e quindi l’art. 866 non può essere ivi applicato. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Inversione contabile PC, tablet e console di gioco: reverse charge esteso ma non per tutti di Saverio Cinieri L’approfondimento A partire dal 2 maggio 2016, si applica la disciplina dell’inversione contabile (“reverse charge”) alle cessioni di “console” da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale. L’estensione alle console da gioco, tablet PC e laptop si è avuta ad opera del D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24 che ha recepito le Direttive 2013/ 42/UE e 2013/43/UE del Consiglio del 22 luglio 2013. Per chiarire alcuni dubbi applicativi della nuova disposizione, soprattutto in merito all’applicazione o meno del reverse charge ai consumatori finali, è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare 25 maggio 2016, n. 21/E. Nel documento di prassi, inoltre, si affrontano altri aspetti relativi al meccanismo dell’inversione contabile che risultano toccati dal Decreto sopra citato. Riferimenti Agenzia delle entrate, circolare 25 maggio 2016, n. 21/E D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24, art. 1, co. 1, lett. a) Direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del Consiglio del 22 luglio 2013 Tali Direttive istituiscono un “meccanismo di reazione rapida” (“QRM-Quick Reaction Mechanism”) (2) contro le frodi dell’imposta attraverso l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile (reverse charge) a determinate operazioni a rischio di frodi. La Direttiva 2013/43/UE: • ha ampliato l’elenco delle operazioni per le quali gli Stati membri, in via sperimentale fino al 2018, possono istituire un regime di inversione contabile; • ha previsto specifici obblighi informativi a carico degli Stati membri che si avvalgono di tale facoltà. Come anticipato, il D.Lgs. n. 24/2016 ha introdotto una procedura particolarmente veloce e semplificata che consente agli Stati di applicare il reverse charge quando i controlli fiscali rilevino l’esistenza di frodi improvvise e massicce su specifiche transazioni commerciali. Il provvedimento, inoltre, ha ampliato l’elenco delle operazioni alle quali gli Stati membri, in via sperimentale fino al 31 dicembre 2018, possono applicare il regime dell’inversione contabile per il versamento dell’IVA. Il reverse charge è stato, quindi, esteso alle cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, ai dispositivi a circuito integrato. Andando un po’ più nello specifico, modificando l’art. 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il Decreto ha: • riformulato la lett. b), concernente le cessioni di apparecchiature terminali per il servizio pubblico Saverio Cinieri - Dottore commercialista e pubblicista La nuova disciplina prevista dal D.Lgs. n. 24/2016 Il D.Lgs. 11 febbraio 2016, n. 24 (1) ha recepito le Direttive 2013/42/UE e 2013/43/UE del Consiglio del 22 luglio 2013. Note: (1) Pubblicato sulla G.U. 3 marzo 2016, n. 52. (2) Il QRM può avere una durata massima di sei mesi e prevede la standardizzazione della richiesta di deroga che va inoltrata dallo Stato membro tramite un apposito modulo e fissa i termini stringenti per lo svolgimento dell’istruttoria. L’IVA 8-9/2016 21 Inversione Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. contabile IN SINTESI radiomobile terrestre di • indica nella stessa, sia il Nella circolare n. 21/E/2016 l’Agenzia comunicazioni, non riporta numero di partita IVA del delle entrate chiarisce che l’obbligo del più il riferimento ai “loro cessionario che la relativa reverse charge trova applicazione per le componenti e accessori” (3); norma di riferimento. sole cessioni dei beni effettuate nella fase Dal canto suo, il cessionario: • sostituito la lett. c) che distributiva che precede il commercio al integra la fattura con l’indiadesso fa riferimento alle • dettaglio. cazione dell’aliquota e della cessioni “di console da Tale interpretazione è coerente con le relativa imposta; gioco, tablet PC e laptop, caratteristiche che connotano il annota la stessa sia nel reginonché alle cessioni di dispo• meccanismo del reverse charge, vale a stro delle fatture emesse (5) sitivi a circuito integrato, dire l’utilità ad evitare e scoraggiare entro il mese di ricevimento quali microprocessori e eventuali tentativi di frode, nonché ovvero anche successivaunità centrali di elaborasemplificare la procedura di riscossione mente, ma, comunque, zione, effettuate prima della dell’IVA. entro quindici giorni dal loro installazione in prodotti ricevimento e con riferidestinati al consumatore mento al relativo mese, sia finale”. Come verrà appronel registro degli acquisti (6). fondito in seguito, la novità vera e propria consiste Tale meccanismo di applicazione dell’imposta, le nella parte in cui estende, a decorrere dal 2 maggio cui violazioni, tra l’altro, sono sanzionate pesante2016, il reverse charge alle cessioni di console di mente (7), elimina dunque la detrazione dell’IVA gioco, tablet PC e laptop; • abrogato, le disposizioni di cui alla lett. d) e d- sugli acquisti e, nel contempo, deroga all’obbligo di quinquies) che non aveva trovato applicazione rivalsa. per assenza della necessaria autorizzazione Se infatti il cliente è un soggetto passivo (imprendell’UE. Si tratta delle cessioni di: ditore o professionista) l’IVA non viene addebitata – materiali e prodotti lapidei, direttamente proe quindi mancano i presupposti per la detrazione, venienti da cave e miniere; che è ugualmente esclusa se il cliente è un consu– beni effettuate nei confronti degli ipermercati matore finale, restando, in quanto tale, inciso dal (codice attività 47.11.1), supermercati (codice tributo. attività 47.11.2) e discount alimentari (codice È chiara, dunque la sua utilità per contrastare i attività 47.11.3). fenomeni di evasione di cui si è detto in precedenza. Infatti, lo scopo della diffusione di questo sistema è di evitare, nei rapporti intracomunitari, la detraCome funziona il meccanismo zione di IVA applicata da fornitori esteri e incassata, del “reverse charge” quindi, da Stati esteri. Prima di entrare nel merito delle novità sopra elencate, per meglio comprenderle, è utile accennare ai principi su cui si fonda il meccanismo dell’inversione contabile (4). Si tratta di un meccanismo che consente la traslazione legale dell’obbligo d’imposta dal cedente/preNote: (3) Come chiarito nella circolare n. 21/E/2016, si tratta di un interstatore al cessionario/committente, purché vento legislativo di mero aggiornamento formale senza alcuna consequest’ultimo sia un soggetto passivo (si veda la guenza atteso che, in relazione ai componenti e accessori di computer, Tavola n. 1). il meccanismo dell’inversione contabile previsto dalla previgente Il sistema del reverse charge consiste, infatti, nel formulazione della lett. b) non aveva trovato applicazione per assenza dell’autorizzazione da parte degli organi dell’UE. porre l’obbligazione tributaria a carico del cessiona(4) Le operazioni soggette all’inversione contabile sono disciplinate rio che è il reale debitore dell’imposta dell’operadall’art. 17 D.P.R. n. 633/1972. zione in luogo del cedente. (5) Art. 23 D.P.R. n. 633/1972. Più in dettaglio, il cedente: (6) Art. 25 D.P.R. n. 633/1972. (7) Art. 6, comma 9-bis del D.Lgs. n. 471/1997. • emette fattura senza l’applicazione dell’IVA; 22 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Inversione contabile Le cessioni interessate dall’estensione del meccanismo Come accennato, l’art. 17, comma 6, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 prevede l’applicazione del reverse charge in relazione alle cessioni “di console da gioco, tablet PC e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione, effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”. Si tratta di una norma che trae origine da disposizioni comunitarie: in particolare si fa riferimento all’art. 199-bis della Direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006, 2006/112/CE (meglio conosciuta come “Direttiva IVA”) secondo cui fino al 31 dicembre 2018 e per un periodo minimo di due anni, gli Stati membri possono stabilire che il soggetto tenuto al pagamento dell’IVA sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate, tra l’altro, le operazioni di cui alla lett. h) della citata Direttiva IVA che fa riferimento a “cessioni di console di gioco, tablet PC e laptop”. Seguendo tale facoltà, il legislatore nazionale ha ampliato l’art. 17, comma 6, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, che, nella versione previgente, faceva riferimento solo “alle cessioni di personal computer e dei loro componenti ed accessori” (8). Per effetto della modifica normativa in commento il medesimo reverse charge è applicabile anche alle cessioni, territorialmente rilevanti in Italia, effettuate tra soggetti passivi, dei seguenti prodotti: • console da gioco, (NC 9504 50 00); • tablet PC (NC 8471 30 00); • laptop (NC 8471 30 00). Nella circolare n. 21/E/2016 è stato precisato che, ai fini dell’individuazione dei predetti beni, non rileva la denominazione “commerciale” ma, bensì, la circostanza che si tatti di beni della stessa qualità commerciale, aventi le stesse caratteristiche tecniche e lo stesso codice di Nomenclatura Combinata (NC). Operatori interessati La più importante precisazione contenuta nella circolare, riguarda i soggetti che devono applicare le nuove diposizioni. In particolare, viene specificato che il reverse charge trova applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio (9). Ciò è coerente con la facoltà concessa agli Stati membri in forza dell’art. 199-bis della Direttiva IVA e con le caratteristiche che connotano il meccanismo del reverse charge, vale a dire, l’utilità ad evitare e scoraggiare eventuali tentativi di frode, nonché semplificare la procedura di riscossione dell’IVA. Pertanto, il meccanismo dell’inversione contabile per le fattispecie in esame non trova applicazione per la fase del commercio al dettaglio la cui attività è, di regola, caratterizzata da una frequenza tale da rendere particolarmente onerosa l’osservanza dell’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile in ragione della qualità di soggetto passivo del cessionario/cliente. Diversamente, per le cessioni dei beni in argomento che si verificano in tutte le fasi di commercializzazione precedenti la vendita al dettaglio, il destinatario della cessione, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato, è obbligato all’assolvimento dell’imposta, in luogo del cedente. Chiarito questo importante aspetto, viene ricordato che: • l’applicazione del meccanismo del reverse charge comporta che il destinatario della cessione territorialmente rilevante, se soggetto passivo d’imposta, è obbligato all’assolvimento dell’imposta, in luogo del cedente; • il cessionario è obbligato all’assolvimento dell’imposta mediante reverse charge anche se non stabilito in Italia o avente stabile organizzazione in Italia. Note: (8) La previgente disposizione era entrata in vigore dopo la decisione di esecuzione del Consiglio del 22 novembre 2010, n. 2010/710/UE, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 25 novembre 2010, che aveva autorizzato l’Italia ad applicare il reverse charge alle operazioni, tra soggetti passivi, aventi ad oggetto, tra l’altro, “dispositivi a circuito integrato quali microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale”. L’argomento è stato oggetto di approfondimento da parte della stessa Agenzia delle entrate con la circolare n. 59/E/2010 e la risoluzione n. 36/E/2011. (9) La posizione, comunque, era abbastanza scontata anche perché conforme a quanto già in passato affermato con la circolare n. 59/E/ 2010 e la risoluzione n. 36/E/2011. In particolare, nella circolare n. 59/ E, a proposito dell’applicazione del reverse charge al settore della telefonia, l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito che l’inversione contabile riguardava tutti i soggetti “intermedi” che intervengono nella cessione dei prodotti, restandone esclusi i dettaglianti che, posti alla fine della catena, cedono i prodotti ai consumatori finali. L’IVA 8-9/2016 23 Inversione Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. contabile SOLUZIONI OPERATIVE In merito a quest’ultimo aspetto, dal sessantesimo giorno sucIn relazione alle cessioni di console di si segnala che per assolvere tale cessivo a quello dell’entrata in gioco, tablet PC e laptop, il reverse charge obbligo il cessionario - non stavigore del Decreto legislaè applicabile alle operazioni effettuate a bilito o in assenza di stabile tivo (11). decorrere dal 2 maggio 2016. La misura organizzazione nel territorio Pertanto, il reverse charge è ha carattere temporaneo, e si applica alle dello Stato - dovrà identificarsi applicabile alle operazioni operazioni effettuate fino al 31 dicembre ai fini IVA in Italia (10). effettuate a decorrere dal 2018. Pertanto, come anticipato sopra: 2 maggio 2016. Come già accennato, è bene, • il cedente dei beni in argomento è tenuto ad emettere comunque, tenere presente, regolare fattura senza addebito d’imposta, con l’osche la misura ha carattere temporaneo, e si applica servanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 SS. del alle operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2018, D.P.R. n. 633/1972 e con l’indicazione della norma coerentemente alla previsione di cui all’art. 199-bis che prevede l’applicazione del reverse charge (art. della Direttiva IVA. 17, comma 6, lett. c); • il cessionario deve integrare la fattura con l’indi- Sanzioni cazione dell’aliquota e della relativa imposta e Con riguardo alle violazioni relative all’omessa o annotarla nel registro delle fatture emesse o in errata applicazione del reverse charge tornano appliquello dei corrispettivi, di cui agli artt. 23 o 24 cabili le sanzioni di cui all’art. 6, commi 9-bis1 e 9del D.P.R. n. 633/1972, entro il mese di ricevimento bis2 del D.Lgs. n. 471/1997 (cfr. Tavola n. 2). ovvero anche successivamente, ma comunque Nella circolare che si sta commentando è riportata entro quindici giorni dal ricevimento e con riferiun’ultima importante precisazione: in consideramento al relativo mese; zione dell’incertezza in materia e della circostanza • lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro degli acquisti di cui Note: all’art. 25 del D.P.R. n. 633/1972. (10) Ciò è conforme a quanto detto nella risoluzione n. 28/E/2012. Decorrenza delle nuove norme Premesso che il D.Lgs. n. 24/2016 è entrato in vigore il 3 marzo 2016, le nuove norme prevedono la decorrenza dalle operazioni effettuate a partire (11) Infatti, l’art. 2 del D.Lgs. n. 24/2016, dispone che “Le disposizioni di cui all’art. 17, sesto comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633/1972, come sostituite dall’art. 1, comma 1, lettera c), del presente decreto, si applicano alle operazioni effettuate a partire dal sessantesimo giorno successivo a quello dell’entrata in vigore del presente decreto”. Tavola n. 1 - Funzionamento del “reverse charge” Indica in fattura il numero di partita IVA del cessionario Cedente Emette la fattura senza addebitare l’IVA Indica in fattura la norma di riferimento (art. 17, comma 6, lett. c) Integra la fattura con aliquota e relativa imposta Cessionario Applica il reverse charge Annota la fattura sui registri IVA acquisti e IVA vendite 24 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Inversione contabile che la nuova disciplina in commento ha esplicato comunque la sua efficacia già in relazione alle operazioni effettuate a decorrere dal 2 maggio 2016, nonché in ossequio ai principi dello Statuto del contribuente, sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti sino all’emanazione della circolare n. 21/E, ai quali, pertanto, non dovranno essere applicate sanzioni per le violazioni eventualmente commesse anteriormente all’emanazione del presente documento di prassi. Tavola n. 2 - Sanzioni (D.Lgs. n. 471/1997, art. 6, commi 9-bis.1 e 9-bis.2) 9-bis.1. In deroga al comma 9-bis, primo periodo (norma che si occupa delle sanzioni normalmente dovute in caso di reverse charge), qualora, in presenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione, il cessionario o il committente anzidetto non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cedente o prestatore. Le disposizioni di cui sopra non si applicano e il cessionario o il committente è punito con la sanzione di cui al comma 1 (sanzione amministrativa compresa fra il 90% e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio o da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo) quando l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario anziché mediante l’inversione contabile è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole. 9-bis.2. In deroga al comma 1, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano e il cedente o prestatore è punito con la sanzione di cui al comma 1 quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile anziché nel modo ordinario è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole. L’IVA 8-9/2016 25 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Aliquote L’aliquota IVA per le prestazioni rese dalle cooperative sociali di Marco Peirolo L’approfondimento La circolare Assonime n. 15 del 23 maggio 2016, nell’illustrare le modifiche riguardanti le aliquote IVA ridotte disposte dalla Legge n. 208/2015 (Legge di stabilità 2016), si è soffermata sulla portata della nuova aliquota del 5% applicabile alle prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali e loro consorzi nei confronti di particolari categorie di “soggetti svantaggiati”. L’Associazione ha risposto ai dubbi di compatibilità con la disciplina unionale sollevati dalla nuova aliquota e, a questo riguardo, si pone il problema se, per le prestazioni rese dalle cooperative sociali, l’aliquota ridotta sia ammessa solo per quelle non considerate esenti da imposta, come in effetti sono le prestazioni in esame, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972. Riferimenti Assonime, circolare 23 maggio 2016, n. 15 Legge 28 dicembre 2016, n. 208, art. 1, commi 960-963 Aliquota IVA per le prestazioni rese dalle cooperative sociali L’art. 1, commi 960-963, della Legge n. 208/2015 (Legge di stabilità 2015) ha introdotto, nella Tabella A, allegata al D.P.R. n. 633/1972, la nuova Parte IIbis, riguardante i beni e servizi soggetti all’aliquota IVA del 5%. Dal 1° gennaio 2016, le operazioni che beneficiano della nuova aliquota ridotta sono le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative di cui ai n. 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, rese da cooperative sociali e loro 26 L’IVA 8-9/2016 consorzi a favore dei soggetti indicati nello stesso n. 27-ter), ossia: i. anziani ed inabili adulti; ii. tossicodipendenti e malati di AIDS; iii. handicappati psicofisici; iv. minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza; v. persone migranti, senza fissa dimora, richiedenti asilo; vi. persone detenute; vii. donne vittime di tratta a scopo sessuale e lavorativo. Dal punto di vista oggettivo, l’agevolazione si applica alle: i. prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie; ii. prestazioni di ricovero e cura, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto, nonché delle prestazioni di cura rese da stabilimenti termali; iii. prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e a quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie; iv. prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, delle colonie marine, montane e campestri e degli alberghi e ostelli per la gioventù, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni accessorie; Marco Peirolo - Dottore commercialista in Torino, Advisor scientifico di Adacta Studio Associato Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Aliquote v. prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili. Rispetto all’originaria formulazione della novellata disposizione, che faceva riferimento alle sole prestazioni rese in esecuzione di contratti di appalto e convenzioni in generale, l’ambito applicativo della nuova aliquota è stato esteso, in sede di approvazione definitiva, anche alle prestazioni rese direttamente a favore dei richiamati “soggetti svantaggiati”. Di conseguenza, per le cooperative sociali, l’aliquota del 4% di cui al n. 41-bis) della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972, già soppressa dalla Legge n. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) per essere poi ripristinata dalla Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), è stata abrogata, come detto con esclusivo riferimento a tali soggetti e, allo stesso tempo, la Legge di stabilità 2016 ha abrogato, sempre in riferimento agli stessi soggetti, la facoltà di opzione per il regime di esenzione previsto dall’art. 1, comma 331, della Legge n. 296/2006. In definitiva, dal 1° gennaio 2016, le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali nei confronti dei “soggetti svantaggiati”, sia direttamente che in esecuzione di contratti d’appalto e di convenzioni in genere, sono soggette, per obbligo, al regime di imponibilità con l’aliquota del 5%. Dubbi di compatibilità con la disciplina unionale Come rilevato da Assonime nella circolare n. 15/2016, l’istituzione della nuova aliquota ha sollevato dubbi di compatibilità con la disciplina unionale. Divieto degli Stati membri di applicare più di due aliquote ridotte Secondo la normativa unionale, ciascuno Stato membro dell’Unione Europea applica un’aliquota IVA “normale”, identica per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, in misura non inferiore al 15% (1). Facoltativamente, gli Stati membri applicano una o due aliquote ridotte esclusivamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi appartenenti alle categorie elencate nell’Allegato III (2), tra le quali sono comprese - sempreché non siano esenti ex artt. 132, 135 e 136 della Direttiva 2006/112/CE - le cessioni di beni e le prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui tali operazioni non siano esenti. Le aliquote ridotte non possono essere inferiori al 5% (3). Tuttavia, in base alla “clausola di standstill”, di cui agli artt. 110 e 113 della Direttiva 2006/ 112/CE, gli Stati membri possono continuare ad applicare le aliquote ridotte inferiori al 5% se già adottate al 1° gennaio 1991, anche ove riferite a beni e servizi diversi da quelli contemplati nell’Allegato III. In materia, è intervenuta più volte la Corte di Giustizia, stabilendo che le disposizioni in tema di aliquote ridotte vanno interpretate restrittivamente, con il conseguente divieto, per gli Stati membri, di estendere l’applicazione delle aliquote ridotte alle operazioni non previste dalla normativa unionale, ovvero, con riguardo alle aliquote inferiori al 5%, alle operazioni non contemplate al 1° gennaio 1991 (4). I giudici europei hanno, inoltre, affermato che gli Stati membri non possono più applicare l’aliquota “super-ridotta” prevista per un determinato bene o servizio dopo che hanno deciso di incrementarla (5). Nella prospettiva nazionale, la Legge IVA italiana prevedeva, al 31 dicembre 2015, solo un’aliquota ridotta nella misura del 10%: l’aliquota del 4%, infatti, è una aliquota speciale, c.d. super-ridotta, applicabile in forza della citata “clausola standstill”. Pertanto, Assonime ha rilevato che l’introduzione dell’aliquota ridotta del 5% operata dalla Legge di stabilità 2016, in aggiunta a quella ridotta del 10% già vigente al 31 dicembre 2015, non sembra incompatibile, sotto il profilo evidenziato, con le disposizioni unionali ed, anzi, è in linea con la normativa attualmente vigente in altri Stati membri: dei cinque Stati membri (Italia, Francia, Lussemburgo, Spagna Note: (1) Cfr. art. 96 della Direttiva 2006/112/CE. (2) Cfr. art. 98, par. 1 e 2, della Direttiva 2006/112/CE. (3) Cfr. art. 99, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE. (4) Cfr. causa C-462/05 del 12 giugno 2008; causa C-240/05 del 7 dicembre 2006; causa C-169/00 del 7 marzo 2002. (5) Cfr. causa C-119/11 del 28 febbraio 2012; causa C-462/05; causa C-414/97 del 16 settembre 1999; causa C-74/91 del 27 ottobre 1992. L’IVA 8-9/2016 27 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Aliquote OSSERVAZIONI e Irlanda) che, al 1° gennaio 2016, avevano adottato un’aliquota IVA “super-ridotta”, già due Stati, e cioè la Francia e l’Irlanda, hanno adottato, contemporaneamente a tale aliquota, anche due aliquote ridotte (6). Aliquota IVA ridotta per operazioni effettuate da organismi aventi carattere sociale riconosciuto da Stati membri L’Associazione ha, inoltre, sottolineato che la previsione della nuova aliquota agevolata per le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali nei confronti dei “soggetti svantaggiati” è conforme al punto 15) dell’Allegato III alla Direttiva 2006/112/ CE, che consente agli Stati membri di applicare un’aliquota IVA ridotta alle “cessioni di beni e prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui tali operazioni non siano esenti in virtù degli artt. 132, 135 e 136”. Da questo punto di vista, l’abolizione tout court dell’aliquota ridotta del 4% operata dalla Legge n. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) ed il suo successivo ripristino dall’art. 1, comma 172, della Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014) limitatamente alle prestazioni rese dalle cooperative sociali (sia direttamente che in esecuzione di contratti d’appalto e di convenzioni in genere) ha consentito di escludere le cooperative non sociali dall’agevolazione, in linea con il citato punto 15) dell’Allegato III alla Direttiva 2006/112/CE, che limita l’aliquota ridotta alle “cessioni di beni e prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri (...)”. Ripristino della facoltà di esenzione Occorre ulteriormente osservare che il punto 15) dell’Allegato III alla Direttiva 2006/112/CE subordina l’imponibilità, sia pure con aliquota ridotta, 28 L’IVA 8-9/2016 alla condizione che le operazioni poste in essere non rientrino fra quelle esenti. In base alla legislazione nazionale, alle cooperative sociali si applica l’aliquota del 5% restando vietata la facoltà di avvalersi del regime di esenzione, abrogata dalla stessa Legge di stabilità 2016. Laddove, pertanto, le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali ricadano nell’ambito applicativo dell’esenzione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972 sembra prioritaria l’applicazione della detassazione in luogo dell’imponibilità con aliquota ridotta (7). Affinché la nuova aliquota possa considerarsi maggiormente aderente alla disciplina unionale sembra allora quantomeno doveroso consentire alle cooperative sociali di scegliere se applicare l’esenzione o l’imponibilità con aliquota del 5%, in modo da evitare un aggravio di costi nei confronti del “soggetto svantaggiato”, al quale sono destinati i servizi (8). Assonime ha sottolineato che la previsione della nuova aliquota agevolata per le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali e loro consorzi nei confronti dei “soggetti svantaggiati” è conforme al punto 15) dell’Allegato III alla Direttiva 2006/112/CE, che consente agli Stati membri di applicare un’aliquota IVA ridotta alle “cessioni di beni e prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, nella misura in cui tali operazioni non siano esenti in virtù degli artt. 132, 135 e 136” della medesima Direttiva: tale aliquota non può, come già detto, essere inferiore al 5%. Disciplina applicabile dal 1° gennaio 2016 A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di stabilità 2016, la normativa applicabile in materia risulta così articolata: • le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali, sia Note: (6) In particolare, al 1° gennaio 2016, la Francia, oltre all’aliquota “super-ridotta” del 2,1%, aveva le aliquote ridotte del 5,5% e del 10%, mentre l’Irlanda, oltre all’aliquota “super-ridotta” del 4,8%, aveva le aliquote ridotte del 9% e del 13,5%. (7) Cfr. M. Peirolo, “Prestazioni socio-sanitarie, educative ed assistenziali rese da coop sociali: IVA al 5%”, in Cooperative & Enti non profit n. 2/2016, pag. 25 ss. (8) Cfr. P. Centore e M. Peirolo, “Nuova aliquota IVA del 5% per le cooperative sociali”, in Quotidiano IPSOA del 6 giugno 2016. Nello stesso senso, anche: G. Provaggi e G. Sassara, “Le modifiche al regime IVA delle prestazioni rese da cooperative sociali”, in Corr. Trib., n. 22/ 2016, pag. 1731 ss. e, da ultimo, P. Centore e F. Spaziante, “Interventi di ‘soft law’ sulle modifiche IVA 2016”, ivi, n. 25/2016, pag. 1939. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Aliquote • • direttamente che in esecuzione di contratti di appalto o di convenzioni in genere, sono imponibili ad IVA, seppure con l’aliquota ridotta del 5% (9); le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative, se effettuate da cooperative “generiche” divenute ONLUS “di fatto” previa iscrizione nell’apposita Anagrafe (10), oppure dagli altri soggetti elencati nel n. 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, continuano ad essere esenti dal tributo se rese direttamente in favore dei “soggetti svantaggiati”; qualora tali prestazioni siano, invece, rese sulla base di appalti o convenzioni con soggetti terzi sono soggette all’aliquota IVA ordinaria (22%); le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese da cooperative non sociali (e che non sono diventate ONLUS “di fatto”), o da altri soggetti non rientranti tra quelli elencati nel n. 27ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, continuano ad essere soggette all’aliquota IVA ordinaria (22%) (11). Decorrenza della disciplina vigente In merito alla decorrenza delle nuove disposizioni, l’art. 1, comma 963, della Legge di stabilità 2016 ha specificato che le modifiche normative si rendono applicabili “alle operazioni effettuate sulla base di contratti stipulati, rinnovati o prorogati” successivamente al 1° gennaio 2016. Conseguentemente, la circolare Assonime n. 15/ 2016 ha specificato che: • le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative rese dalle cooperative sociali, sia direttamente in favore dei fruitori finali delle medesime, sia sulla base di contratti di appalto o di convenzioni, rimangono soggette alla previgente aliquota IVA ridotta del 4% o al regime di esenzione, qualora i relativi contratti siano già in essere al 31 dicembre 2015; • le medesime prestazioni, se derivanti da contratti stipulati, rinnovati o prorogati a partire dal 1° gennaio 2016, devono essere obbligatoriamente assoggettate ad IVA con la nuova aliquota del 5%. Le prestazioni di analoga natura che vengono rese dalle cooperative non sociali (e non ONLUS “di fatto”), ovvero dagli altri soggetti non rientranti nel novero di quelli elencati nel n. 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, sono invece soggette all’aliquota IVA ordinaria (22%), se fornite direttamente ai “soggetti svantaggiati” oppure in virtù di contratti di appalto o di convenzioni in genere con soggetti terzi. Note: (9) Resta, tuttavia, dubbia la possibilità di applicare l’esenzione laddove le prestazioni in esame rientrino oggettivamente tra quelle elencate dai n. 18), 19), 20), 21) e 27-ter) dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972. (10) Si ricorda che l’art. 10, comma 8, del D.Lgs. n. 460/1997 dispone che “sono in ogni caso considerate ONLUS, nel rispetto della loro struttura e delle loro finalità (…) le cooperative sociali di cui alla Legge 8 novembre 1991, n. 381”. In pratica, occorre distinguere tra le ONLUS “di fatto”, che acquisiscono tale qualifica solo a seguito dell’iscrizione all’Anagrafe prevista per tali particolari organizzazioni, e le ONLUS “di diritto”, che - come le cooperative sociali - acquisiscono la suddetta qualifica ex lege. (11) Si ricorda, infatti, che, l’art. 1, comma 172, della Legge n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), con effetto dal 1° gennaio 2014, aveva già introdotto, per tali soggetti, il divieto di applicazione dell’aliquota ridotta del 4%. L’IVA 8-9/2016 29 Servizi Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. internazionali All’attenzione degli euro giudici l’IVA sul trasporto “inbound” per le piccole importazioni di Gabriele Liberatore L’approfondimento Dal 2016 sono esenti da IVA anche i servizi accessori, tra cui le spese di trasporto “inbound”, per le importazioni relative a piccole spedizioni. La questione oggetto di analisi dell’ordinanza n. 9150/2016 della Cassazione concerne però un recupero effettuato dal Fisco nel 2007 nei confronti di una società di spedizioni che conformemente alla disciplina comunitaria ma in antitesi a quella domestica aveva attuato detto principio. L’Amministrazione finanziaria, diversamente, riteneva non imponibili detti oneri qualora avessero scontato l’IVA in dogana. I magistrati di legittimità con un’ordinanza interlocutoria passano la palla ai colleghi unionali chiedendo lumi sulla conformità del disposto interno, vigente “ratione temporis”, con la Direttiva IVA. Riferimenti Cass., ordinanza interlocutoria 6 maggio 2016, n. 9150 D.P.R. 26 ottobre 1972, artt. 9, comma 1, n. 2, e 69, comma 1 Le norme spesso cambiano, soprattutto quelle relative all’imposta sulla cifra d’affari ove, a volte, il recepimento domestico non proprio corretto del disposto comunitario crea problemi interpretativi. Ciò è nell’ordinarietà. Meno consueto è che ci si interroghi su dette vicende anche dopo che il paziente sia deceduto, ossia quando la disposizione in commento, a seguito di apposita procedura d’infrazione europea (1), promossa anche dal contribuente parte della diatriba (2), viene conformata alla 30 L’IVA 8-9/2016 Direttiva IVA risolvendo dubbi o situazioni non preventivabili. Questo è quanto accade sui trasporti c.d. inbound ove la Suprema Corte si interroga e rimanda (3) la quaestio ai colleghi unionali sull’imponibilità di detti servizi relativi alle piccole spedizioni a carattere non commerciale e di “valore trascurabile”. Gabriele Liberatore - Esperto tributario Note: (1) Commissione europea, MEMO n. 13/1005. (2) Il ricorso della contribuente, promosso dinanzi alla Comm. trib. prov. di Milano il 27 marzo 2013, prevedeva, tra l’altro, anche l’inoltro alla Commissione europea per l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana, ex art. 258 T.F.U.E., a fronte di un trattamento IVA dei corrispettivi per il trasporto di beni importati, di valore trascurabile, non conforme agli artt. 86, comma 1, lett. b) e 144, Direttiva 2006/112/CEE. La richiesta ha dapprima ottenuto parere favorevole dal Comitato IVA (“Working paper n. 711” del 18 ottobre 2011), poi l’avvio della procedura di infrazione in data 27 settembre 2012, ufficializzata con la Reasoned Opinion del 20 novembre 2013, ed infine (come emerge da successivo ed analogo giudizio pendente tra le parti) l’adeguamento della normativa interna, culminato nell’inserimento, ad opera dell’art. 12, comma 1, Legge 29 luglio 2015, n. 115, del novello n. 4-bis) all’interno dell’art. 9, comma 1, D.P.R. n. 633/1972. Disposizione finalizzata a concedere l’esenzione dall’IVA ai “servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle Direttive 2006/79/CE e 2009/132/CE del Consiglio dell’Unione Europea sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’art. 69 e ancorché la medesima non sia stata assoggettata ad imposta”. Per un approfondimento cfr. M. Peirolo, “La nuova previsione di non imponibilità IVA per i servizi all’importazione”, in questa Rivista, n. 10/ 2015, pag. 7. (3) Rappresentando giudice di ultima istanza e non avendo rinvenuto una specifica soluzione nella giurisprudenza comunitaria, previa sospensione del giudizio, invita la CGE ha pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi internazionali Disciplina vigente “ratione temporis” La legislazione italiana accordava l’esenzione dall’IVA per gli oneri accessori relativi alle piccole spedizioni solo se già tassate alla frontiera. Tale approccio ha violato, a parere della Commissione europea, le norme comunitarie rischiando di generare oneri amministrativi sproporzionati a carico dei trasportatori e dei commercianti. La disciplina ante modifica stabiliva che i costi accessori di trasporto relativi alle importazioni di beni, anche di valore esiguo, erano non imponibili solo se assoggettati a IVA all’atto dell’importazione. Tale disposizione risultava in aperto contrasto con la normativa europea così come interpretata dal Comitato IVA, che in un suo orientamento, benché non vincolante, ha chiarito che detta norma, quando stabilisce che gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile della medesima, non specifica che i prodotti importati devono effettivamente essere tassati. È necessario, altresì, rilevare “che concorrono comunque a formare il valore di detti beni in dogana, sul cui ammontare globale deve essere quindi corrisposta l’IVA con l’aliquota propria della merce, anche le spese di trasporto, assicurazione, commissione, imballaggio fino al primo luogo di destinazione all’interno del territorio doganale che risulta dal documento di trasporto che accompagna i beni medesimi” (4). Vicenda La società FedEx, filiale italiana appartenente ad un gruppo multinazionale, effettua servizi consistenti nel prendere in carico le spedizioni provenienti dal circuito internazionale e consegnarli ai destinatari sul territorio italiano (trasporto c.d. inbound). Il contribuente, a proprio dire, in virtù del combinato disposto degli 9, comma 1, n. 2, e 69, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 (in proseguo Decreto IVA) ha ritenuto dette prestazioni non imponibili forte anche della correlata disposizione comunitaria (5). Di parere opposto i militari della Guardia di Finanza, prima, ed i funzionari dell’Amministrazione finanziaria, in seguito, che riprendevano a tassazione una maggiore e cospicua IVA per l’anno 2007, con irrogazione di sanzioni, a titolo di “omessa fatturazione di operazioni imponibili” e “dichiarazione di imposta inferiore a quella dovuta”, per non avere il contribuente assoggettato al tributo i corrispettivi del trasporto al destinatario di documenti e beni di valore trascurabile (c.d.piccole spedizioni, di valore inferiore, allora, a 22 euro), nonostante essi non avessero scontato l’IVA in dogana, poiché non soggetti a tale imposta ex art. 1, Legge n. 479/ 1992 (6). La società, non affatto convinta della normativa di recepimento del dettato unionale ed ancor meno dell’interpretazione del Fisco, ha impugnato l’atto impositivo. Sotto il profilo sostanziale tra le varie eccezioni proposte focalizziamo l’attenzione sull’infondatezza della citata interpretazione da cui scaturisce il mancato assoggettamento ad IVA delle c.d. piccole spedizioni. La tesi accusatoria non aveva distinto tra l’introduzione di prodotti “franco destino”, come nel caso di specie, in cui le spese di trasporto sul territorio nazionale sono incluse nella base imponibile in dogana, da quella “franco confine”, ove viceversa la mancata inclusione comporta l’imponibilità dei relativi corrispettivi (7). In subordine veniva formulata richiesta di sospensione del giudizio e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea su una presunta (in) compatibilità della normativa interna con l’art. 144 della Direttiva IVA. L’“iter” processuale Il contribuente in sede contenziosa trovava ragione in entrambi i giudizi di merito stante l’“evidente contrasto” dell’interpretazione dell’Amministrazione con il citato art. 144 che “faceva dipendere il regime IVA sul trasporto delle piccole spedizioni dalla insindacabile decisione della Dogana di applicare o meno l’IVA all’importazione, tanto più che nella Note: (4) C.M. 9 aprile 1981, n. 12. (5) Direttiva 2006/112/CE, art. 144 per cui, ai fini dell’esenzione da IVA dei servizi di trasporto eseguiti in Italia di simili beni, sarebbe stata sufficiente l’inclusione dei relativi corrispettivi nella base imponibile all’importazione, ai fini del pagamento dell’IVA, tanto sui beni importati quanto sui servizi ad essi accessori, solo se dovuta e senza duplicazione d’imposta. (6) Oltre che non soggette ai dazi, ex art. 27, Regolamento CEE 918/83, ora art. 23, Reg. 1186/2009. (7) CC.MM. 3 agosto 1979, n. 26, e 9 aprile 1981, n. 12, cit. L’IVA 8-9/2016 31 Servizi Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. internazionali IN SINTESI fattispecie concreta si trattava di beni in importazione ‘franco destino’, e non ‘franco confine’” (8). Diversamente il Fisco, forte di un dettato normativo interno (abbastanza chiaro quanto poco conforme a quello comunitario), riteneva che la condizione della non imponibilità ai fini IVA dei servizi di trasporto “interno” fosse rappresentata dall’assolvimento del tributo in dogana. In secondo luogo viene ricordata sia la non diretta applicabilità della Direttiva IVA, comunque entrata in vigore dal 1° gennaio 2008, sia il fatto che la fattispecie concreta sarebbe fuori dal campo di applicazione tanto dell’art. 144 della Direttiva, che esenta le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni il cui valore è compreso nella base imponibile, quanto dell’art. 86 della stessa, che fa rientrare nella base imponibile il trasporto fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio dello Stato, in quanto: a) l’importazione ed il trasporto internazionale sono stati effettuati dalla FedEx (casa madre), mentre la filiale italiana ha effettuato solo il successivo trasporto interno; b) le merci in questione non sono soggette ad applicazione dell’IVA in dogana. È domandato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla seguente questione “Se il combinato disposto degli artt. 144 e 86, primo paragrafo, della Direttiva 2006/ 112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (corrispondenti agli artt. 14, paragrafi 1 e 2, ed 11, parte B, paragrafo 3, della Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977) possa essere interpretato nel senso che unica condizione per la non imponibilità ai fini IVA delle prestazioni connesse, consistenti nel servizio di trasporto interno c.d. inbound - dagli spazi aeroportuali sino a destinazione, nel territorio dello Stato membro, e con la clausola ‘franco destino’ - è che il loro valore sia compreso nella base imponibile, a prescindere dal loro effettivo assoggettamento ad imposta in dogana, all’atto dell’importazione dei beni; e che quindi non sia compatibile con le suddette disposizioni comunitarie una lettura del combinato disposto delle norme interne di cui agli artt. 9, comma 1, n. 2), e 69, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella versione allora vigente, ratione temporis, in base alla quale in ogni caso, e quindi anche nelle ipotesi di importazioni non imponibili ai fini IVA - come nella specie, trattandosi di documenti e beni di trascurabile valore debba essere soddisfatto l’ulteriore requisito del loro effettivo assoggettamento ad IVA (e del concreto versamento dell’imposta in dogana) all’atto dell’importazione dei beni medesimi; e ciò eventualmente anche in considerazione del rapporto di accessorietà dei servizi di trasporto rispetto alle prestazioni principali (importazioni) e della ratio di semplificazione sottesa ad entrambe le operazioni”. Rinvio pregiudiziale La Suprema Corte si chiede quale sia la corretta interpretazione, alla luce delle disposizioni comunitarie, delle norme interne sul 32 L’IVA 8-9/2016 trattamento ai fini IVA dei corrispettivi delle prestazioni di trasporto sul territorio nazionale, effettuate dagli spazi aeroportuali ai destinatari italiani con la clausola “franco destino” di documenti e beni importati c.d. di valore trascurabile (non superiore ad euro 22). Più precisamente risulta con evidenza che il legislatore domestico non abbia recepito correttamente gli artt. 143 e 144 della Direttiva IVA nel D.P.R. n. 633/1972. Infatti la Commissione europea ha avviato a riguardo una specifica procedura di infrazione nei confronti dell’Italia a cui è seguito apposito parere motivato che evidenziava “secondo l’art. 86 della Direttiva IVA, nella base imponibile dei beni importati in un Paese UE da uno Stato terzo devono essere conteggiati, oltre al corrispettivo, anche le spese accessorie, ivi comprese quelle dovute per il trasporto; che in caso di importazione di un bene da uno Stato terzo, l’IVA può essere pagata dall’importatore direttamente alla dogana, cioè all’ingresso nello Stato membro dell’Unione; che in base all’art. 144 della Direttiva IVA, alla soggezione ad IVA dei servizi resi dietro corrispettivo fanno eccezione i casi in cui gli stessi servizi, in quanto connessi alle importazioni, siano stati già compresi nella base imponibile Nota: (8) Sentenza in commento, punto 6. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi internazionali IVA sul bene importato, al momento del pagamento di quest’ultima alla dogana, essendo la ratio della norma evitare una doppia imposizione (laddove uno stesso servizio, già oggetto di imposizione IVA al passaggio della dogana, venga nuovamente tassato durante l’esecuzione del trasporto nello Stato membro); che l’art. 143 della Direttiva IVA, in combinato disposto con l’art. 23 della Direttiva 2009/132/ CE e con l’art. 1 della Direttiva 2006/79/CE, stabilisce che siano esenti da IVA le importazioni, da Paesi terzi, di beni aventi valore non superiore a 10 euro (innalzabile fino a 22 euro dallo Stato membro) ovvero oggetto di piccole spedizioni prive di carattere commerciale; che, di conseguenza, anche i servizi di trasporto - accessori a tali importazioni esenti da IVA - devono beneficiare della stessa esenzione.”. Diversamente la normativa italiana disciplinava i suddetti servizi accessori, nel caso di specie di trasporto, in maniera analoga a quelli accessori ad importazioni soggette ad IVA, stabilendo che essi: • dovessero essere soggetti ad imposta; • potevano considerarsi esenti solo se l’IVA stessa fosse stata già pagata alla dogana, e quindi non anche quando le importazioni fossero ex se esenti (9). Le ragioni L’Amministrazione finanziaria assume che la contribuente avrebbe dovuto fatturare come imponibili i corrispettivi per i servizi di trasporto inbound relativi ai documenti e agli altri beni di valore trascurabile, proprio in quanto essi non erano stati assoggettati ad imposta stante la ratio della non imponibilità stabilita dal combinato disposto di cui all’art. 9, comma 1, n. 2), e dell’art. 69, comma 1, che sarebbe appunto (e solo) quella di evitare una doppia imposizione. Immediato corollario è che il mancato assoggettamento dei beni ad IVA, al momento dell’importazione, farebbe riespandere la regola generale della imponibilità delle connesse prestazioni di trasporto sul territorio nazionale. La disciplina domestica ai fini dell’esenzione dei servizi, connessi agli scambi internazionali, pone una (discussa) condizione ulteriore, rispetto agli artt. 144 e 86 della Direttiva IVA, “pretendendo non solo che le spese di inoltro fino al luogo di destinazione siano incluse nella base imponibile alla Dogana, ma anche che esse siano in concreto assoggettate all’imposta, perciò escludendo la non imponibilità - nonostante la loro accessorietà - in tutti i casi in cui si tratti di importazioni di beni a loro volta non imponibili, come appunto per i documenti ed i beni di valore trascurabile”. I giudici di Cassazione ritengono “non palesemente infondata” detta interpretazione sia in virtù della richiamata giurisprudenza, sia della stessa necessità di un intervento del legislatore domestico per addivenire ad una diversa conclusione. In aggiunta nel momento in cui l’art. 9 fa riferimento, ai fini della non imponibilità ai fini IVA dei servizi di trasporto connessi agli scambi internazionali, al successivo art. 69 - il quale disciplina le modalità di applicazione dell’imposta per le importazioni di beni che sono soggette all’IVA - esso sembrerebbe riguardare (solo) operazioni di importazione imponibili; ed entro questi limiti pare indubbiamente corretta la lettura dell’Amministrazione finanziaria, che individua la ratio delle norme in questione nell’esigenza di evitare una duplicazione di imposta.” Ma così come scritta la norma (nella versione ratione temporis) dimenticava le importazioni che sono non imponibili lasciando il dubbio “se riprenda vigore, per i relativi servizi di trasporto interno, l’ordinaria soggezione ad IVA, in forza del principio di territorialità; ovvero se la natura accessoria di quelle prestazioni le renda non imponibili ai fini IVA per le stesse ragioni - in ultima analisi, un’esigenza di semplificazione - che sono alla base della non imponibilità delle importazioni di documenti e beni di trascurabile valore (10)”. Il “revirement” nazionale Il legislatore italiano, conscio del gap normativo, ha allineato con la Legge europea 2014 (11) il trattamento fiscale delle spese accessorie al disposto Note: (9) Ai sensi dell’art. 9, comma 1, n. 4), Decreto IVA, i costi accessori di trasporto relativi alle importazioni di beni, anche di valore modesto, sono ritenuti non imponibili solo ove siano stati già assoggettati ad IVA all’atto dell’importazione. (10) CGE, sent. 2 luglio 2009, causa C-7/08, Har Vaessen Douane Service, punti 34-38. (11) Legge 29 luglio 2015, n. 115, art. 12, rubricato “Modifiche alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto relativa a talune importazioni di merci di valore modesto. Procedura di infrazione n. 2012/ 2088”. L’IVA 8-9/2016 33 Servizi Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. internazionali Tavola n. 1 - Indicazioni della Corte di Giustizia europea I servizi di trasporto in questione (quand’anche effettuati direttamente in Sentenza 16 luglio 2015, causa C-584/13, favore del destinatario e da soggetto diverso dal vettore internazionale, Mapfre warranty SpA, punti 49 ss. come asserito, in ricorso, dell’Amministrazione) paiono integrare delle “prestazioni accessorie” – Anche se ai fini dell’IVA, ciascuna operazione deve essere normalmente considerata distinta e indipendente, come risulta dall’art. 2, punto 1, della sesta Direttiva tuttavia, “in determinate circostanze più prestazioni formalmente distinte, che potrebbero essere fornite separatamente e dare così luogo separatamente a imposizione o a esenzione, devono essere considerate come un’unica operazione quando non sono indipendenti” Sentenze: – Aktiebolaget NN, causa C-111/05, p.to 22 – Field Fisher Waterhouse, causa C-392/11, p.to 14 – BG2 Leasing, causa C-224/11, p.to 29 Si è in presenza di un’operazione unica, in particolare, quando due o più Sentenza BG2 Leasing, cit., punto 30 e giurielementi o atti forniti dal soggetto passivo sono così strettamente collegati sprudenza ivi citata da formare, oggettivamente, un’unica prestazione economica inscindibile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso. Ciò accade anche nel caso in cui uno o più elementi debbano essere considerati nel senso che costituiscono la prestazione principale mentre, al contrario, uno o più elementi debbano essere considerati alla stregua di una o più prestazioni accessorie cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale Pur non apparendo le prestazioni nel caso concreto (vendita di un veicolo Sentenza BG2 Leasing, cit., punto 40 usato e garanzia per guasti meccanici prestata da altro operatore economico) “così strettamente connesse da costituire un’operazione unica” (poiché la loro considerazione separata “non può costituire, di per sé, una scomposizione artificiosa di un’operazione economica unica, tale da alterare la funzionalità del sistema dell’IVA”), resta comunque in capo al giudice nazionale di rinvio il compito di valutare se esistano ragioni specifiche relative alle circostanze di cui ai procedimenti principali che possano indurre a ritenere che gli elementi in questione costituiscano un’operazione unica Con riguardo alla nozione giurisprudenziale di operazione unica, una Sentenza BG2 Leasing, punto 41 prestazione è considerata accessoria a una prestazione principale, in particolare, quando costituisce per la clientela non già un fine in sé, ma il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale comunitario, in particolare ai citati articoli art. 143 e 144. Dal 18 agosto 2015 è stata modificata la disciplina IVA applicabile ai servizi accessori relativi: a) alle piccole spedizioni a carattere non commerciale (Direttiva 2006/79/UE); b) alle spedizioni di “valore trascurabile” (Direttiva 2009/132/UE); estendendo la franchigia IVA all’importazione, applicabile alle suddette spedizioni, anche alle relative spese accessorie, a prescindere dal loro ammontare. In secondo luogo è stato demandato al Ministro 34 L’IVA 8-9/2016 dell’Economia e delle Finanze l’onere di modificare il Regolamento recante norme in tema di franchigie fiscali per estendere l’esenzione dai diritti doganali. Piccole importazioni La Direttiva 2006/79/CE stabilisce che le merci oggetto di piccole spedizioni, prive di carattere commerciale, spedite da un privato stabilito in un Paese terzo e destinate ad un altro privato che si trovi in uno Stato membro, godono all’importazione di una franchigia dalle imposte sulla cifra di affari e dalle altre imposizioni indirette interne. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Servizi internazionali Tavola n. 2 - Art. 12: modifiche alla disciplina IVA relativa a talune importazioni di merci di valore modesto (Procedura di infrazione n. 2012/2088) Punto Contenuto 1 All’art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 dopo il n. 4) è inserito il seguente: “4-bis) i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle Direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’art. 69 del presente Decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all’imposta”. 2 “Con regolamento adottato con Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della Legge 23 agosto 1988, n. 400, sono apportate modifiche al regolamento recante norme in tema di franchigie fiscali, di cui al Decreto del Ministro delle finanze 5 dicembre 1997, n. 489, con le quali si stabilisce che, nel caso di applicazione della franchigia alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle Direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/ CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sono ammessi alla franchigia dai diritti doganali anche i relativi servizi accessori indipendentemente dal loro ammontare, trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nel territorio dello Stato, ovvero per i beni inviati in altro Stato membro per essere ivi temporaneamente utilizzati per l’esecuzione di prestazioni” (12). Sono classificate “piccole spedizioni prive di carattere commerciale” quelle che al contempo soddisfano le seguenti caratteristiche: 1) natura occasionale; 2) riguardano esclusivamente merci riservate all’uso personale o familiare dei destinatari e che, per la loro natura o quantità, escludano qualsiasi interesse di ordine commerciale; 3) valore globale non superiore 45 euro; 4) inviate dallo speditore al destinatario senza pagamento di alcun genere. La Direttiva citata chiarisce all’art. 2 che la franchigia opera entro precisi limiti quantitativi, se riguarda determinati prodotti (es. tabacco, bevande alcoliche, profumi, caffè) e, comunque, resta nella facoltà degli Stati membri ridurre o escludere dal beneficio della franchigia i citati prodotti. Qualora le predette tipologie di merci siano oggetto di una piccola spedizione priva di carattere commerciale ma in quantità superiore a quelle previste dalla Direttiva, sono totalmente escluse dal beneficio. La Direttiva 2009/132/CE definisce l’ambito d’applicazione dell’esenzioni dall’imposta sul valore aggiunto, individuando le categorie di beni che godono di tale trattamento agevolato. In particolare ammette il beneficio per le importazioni di beni di importo “trascurabile” (13), non superiore a 10 euro, con facoltà degli Stati membri di: 1) ammettere in esenzione le importazioni di beni di valore totale compreso fra 10 e 22 euro; 2) escludere dall’esenzione detti beni se importati nell’ambito di una vendita per corrispondenza. Sono esclusi i prodotti alcolici, profumi, acqua da toletta, tabacchi e prodotti del tabacco (14). Osservazioni conclusive La Cassazione, come scrupolosamente esaminato, pone il fardello dell’efficacia temporale della nuova previsione di non imponibilità IVA per i servizi di trasporto inbound relative alle piccole spedizioni, introdotta dalla Legge europea 2014, sulle spalle dei colleghi comunitari. Il revirement italiano pur essendo entrato in vigore il 18 agosto 2015, ma con efficacia giuridica differita al successivo 1° gennaio 2016 in virtù dei princìpi dello Statuto Note: (12) Dallo scorso 22 giugno, in virtù del citato rimando normativo, è in vigore anche il Decreto n. 96 del 29 aprile 2016, Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 2016, che da piena attuazione alla franchigia fiscale dei servizi accessori alle importazioni di modesto valore. (13) Art. 23, Direttiva cit. (14) Art. 24, Direttiva cit. L’IVA 8-9/2016 35 Servizi Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. internazionali dei diritti del contribuente (15), potrebbe avere valenza retroattiva considerato che le disposizioni unionali di riferimento potrebbero essere sufficientemente dettagliate e precise per consentire agli operatori di invocarne l’applicazione diretta anche prima di tale data (16). Ciò premesso il rinvio pregiudiziale alla CGE effettuato con l’ordinanza n. 9150/2016 in commento potrebbe persino essere superfluo. Anche la Suprema Corte rileva che “[n]el caso di specie, è pacifico che i trasporti de quibus sono stati effettuati con la clausola ‘franco destino’; ma è anche pacifico - di qui la problematica sulla quale si richiede l’interlocuzione della Corte di Giustizia che i beni oggetto di importazione non sono imponibili ai fini IVA”. Di conseguenza viene chiesto ai magistrati europei di chiarire “senza margini di ragionevole dubbio” se, segnatamente gli artt. 144 e 86 della Direttiva IVA, la disciplina italiana possa aggiungere lecitamente un ulteriore requisito valevole ai fini dell’esenzione dall’imposta. Ma ci chiediamo se ci sia effettivamente qualche ragionevole dubbio anche in virtù di quanto rilevato nella relazione del Servizio Studi del Senato ove si ritengono esenti, alla luce della Direttiva IVA, “anche i servizi di trasporto, accessori a tali importazioni esenti da IVA (...) al contrario, la norma italiana disciplina tali servizi 36 L’IVA 8-9/2016 allo stesso modo di quelli accessori ad importazioni soggette ad IVA, stabilendo che essi siano soggetti ad imposta e siano esenti solo se l’IVA stessa sia stata già pagata alla dogana” (17). Note: (15) Legge n. 212/2000 che all’art. 3, comma 1, prevede “(r)elativamente ai tributi periodici [qual è l’IVA] le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”(Agenzia delle entrate, circolare 14 maggio 2002, n. 44/ E, § 3.5 e risoluzione 5 marzo 2002, n. 74/E). (16) In precedenza la circolare n. 58/E/2009 ha stabilito con riferimento alle novità apportate dalla Direttiva 2008/8/CE del Consiglio del 12 febbraio 2008 relativamente al luogo di prestazione dei servizi che “considerato che alcune delle disposizioni contenute nella Direttiva Servizi risultano sufficientemente dettagliate e tali da consentirne la diretta applicazione almeno per ciò che riguarda le regole generali, nelle more dell’adozione del formale provvedimento di recepimento delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, si forniscono di seguito istruzioni operative di massima, sulla base delle norme contenute nella ripetuta Direttiva che appaiono oggettivamente suscettibili di immediata applicazione. Ciò allo scopo di evitare che si verifichino fenomeni di doppia tassazione o di detassazione in contrasto con i dettami dell’IVA e con un coerente funzionamento del mercato interno, che potrebbero emergere qualora dal 1° gennaio 2010 in Italia si continuassero ad applicare le previgenti norme.” (17) Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 1962 “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea - Legge europea 2014”. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento Notizia di reato e raddoppio dei termini di accertamento di Salvatore Servidio L’approfondimento In tema di accertamenti fiscali (redditi e IVA), la Corte di cassazione ha affermato, con ordinanza n. 9725/2016, che il fatto storico dell’archiviazione della notizia di reato a carico del contribuente non impedisce, di per sé, in assenza di altre e autosufficienti specificazioni, il raddoppio dei termini di accertamento, non potendosi da ciò desumere un travisamento dello strumento legale. La questione rimanda, in particolare, al problematico coordinamento interpretativo tra l’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/2015 e l’art. 1, comma 132, della Legge di stabilità 2016, che hanno diversamente regolamentato la previsione del raddoppio dei termini di accertamento di cui all’art. 57, D.P.R. n. 633/1972 e all’art. 43, D.P.R. n. 600/1973, in presenza di rapporto penale per reati fiscali. Riferimenti Cass., ordinanza 12 maggio 2016, n. 9725 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 Il fatto oggetto dell’ordinanza 12 maggio 2016, n. 9725 della Corte di cassazione (1), riguarda una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento IRPEG, IRAP ed IVA, dovute a seguito di rettifica del reddito d’impresa/ volume d’affari, per effetto del disconoscimento della deducibilità di costi, non inerenti o portati da fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti, e della contestazione di omessa dichiarazione di ricavi, nella quale la Commissione tributaria regionale, accogliendo l’appello della società contribuente, ha annullato in via pregiudiziale l’atto impositivo perché emesso fuori termine. In particolare, in ordine all’eccezione preliminare accolta di decadenza dell’azione della finanza dalla potestà di accertamento, ai sensi dell’art. 43, comma 3, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e del raddoppio dei relativi termini di accertamento in presenza di un reato tributario di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il giudice regionale ha sostenuto che, nella specie, in difetto di produzione da parte dell’ente impositore di copia della denuncia penale e di documentazione in ordine alla pendenza del processo penale, la Commissione del riesame si era trovata impossibilitata a valutare che non vi fosse stato utilizzo pretestuoso dell’Amministrazione finanziaria delle disposizioni normative “al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”. Nel conseguente ricorso per cassazione l’Amministrazione finanziaria lamenta innanzitutto violazione di legge (artt. 43, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 600/1973 per le imposte sui redditi e 57, commi 1 e 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per l’IVA), avendo il giudice di appello dato rilievo a circostanze ininfluenti, in base alle richiamate disposizioni di legge, conseguendo invece il raddoppio dei termini al mero riscontro giudiziale di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione o dall’inizio dell’azione penale. La ricorrente lamenta altresì vizi di motivazione, avendo la Commissione del riesame omesso di accertare la sussistenza di fatti, emergenti dal verbale di constatazione, comportanti l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. di uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000. La decisione n. 9725/2016 Nel decidere la vertenza, con l’ordinanza n. 9725/ 2016 in esame, la Corte di cassazione accoglie le Salvatore Servidio - Pubblicista Nota: (1) Cfr. in Banca Dati BIG Suite, IPSOA. L’IVA 8-9/2016 37 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento censure della ricorrente, stabilendo il principio che i termini per l’accertamento possono essere raddoppiati anche quando l’Amministrazione finanziaria non ha ancora presentato una denuncia penale contro il contribuente per un presunto reato fiscale. È infatti sufficiente la configurabilità in astratto dell’illecito. Nel merito della vicenda - contrariamente a quanto deciso dal giudice di appello il quale, dalla mancata produzione di copia della denuncia penale e di documentazione in ordine alla pendenza del processo penale, ne ha fatto discendere decadenza dell’ente impositore dall’azione di accertamento -, con l’opposta soluzione il giudice di legittimità ha ritenuto sussistente nella fattispecie violazione dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e della disciplina sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, in presenza di una notitia criminis di natura fiscale. Peraltro, ha aggiunto, ai fini dell’operatività dell’istituto del raddoppio dei termini di cui trattasi, è ininfluente l’esercizio dell’azione penale da parte del P.M. o l’eventuale sentenza di condanna. Il giudice di merito, per assicurarsi che l’Ufficio non abbia fatto un uso distorto dei termini “lunghi” per l’accertamento, deve però verificare se il reato fiscale è astrattamente configurabile e a tal fine è irrilevante la mancata produzione della documentazione attestante la trasmissione della notizia di reato o la pendenza del processo penale. Per fugare il ventilato pericolo ora accennato, ossia l’utilizzo pretestuoso dell’Amministrazione finanziaria delle disposizioni normative di cui agli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/ 1972, in modo da poter fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di decadenza dell’azione accertatrice, comunicando al P.M. notizie di reato manifestamente infondate, necessita ricordare che con sentenza 25 luglio 2011, n. 247, la Corte costituzionale ha devoluto al giudice di merito il compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del termine allungato in casi di iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto dello strumento legale apprestato dall’art. 37 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. Decreto “Visco-Bersani”), convertito dalla Legge n. 248 del 4 agosto 2006. 38 L’IVA 8-9/2016 Perciò, alla Sezione tributaria è apparsa fondata la tesi della difesa erariale, oltre che della violazione di legge, anche dei vizi motivazionali, in quanto la Commissione del gravame non si è attenuta ai principi individuati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011 e a quelli di legittimità fissati al riguardo. Quadro normativo di riferimento L’istituto del raddoppio dei termini è stato introdotto dal riferito art. 37 del D.L. n. 223/2006, i cui commi 24 e 25, modificando il D.P.R. n. 600/1973 e il D.P.R. n. 633/1972, hanno inserito, rispettivamente, negli artt. 43 e 57, un comma 3, in base al quale in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, “i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”. Questa ricaduta sui termini dell’accertamento tributario si produce “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia”, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., con ciò sottolineando che il raddoppio dei termini è legato non solo alla presentazione ma anche alla “presentabilità” della denuncia, così da non far riversare sull’Erario il pregiudizio derivante dalla non rilevazione, dolosa o colposa, dell’illecito penal-tributario. La ragione della norma, come precisato nella relazione governativa al provvedimento, è quella di “garantire la possibilità di utilizzare per un periodo di tempo più ampio di quello ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dalla Autorità giudiziaria”. L’art. 331 c.p.p. disciplina la “denuncia da parte di Pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio”, precisando i tempi, i modi e il contesto nei quali si configura quello che è un vero e proprio obbligo di segnalazione all’Autorità giudiziaria della “notizia di un reato perseguibile di Ufficio”. La configurazione della segnalazione di reato come un obbligo cui adempiere “senza ritardo” è desumibile dagli artt. 361 e 362 c.p. che - attraverso la comminatoria di una sanzione penale - vogliono escludere spazi (e tempi) di gestione discrezionale della notizia di reato. Con riguardo ai reati tributari, tutti perseguibili d’Ufficio, la normativa processuale sulla notitia criminis determina una situazione per la quale la Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento IN SINTESI Guardia di Finanza e gli Uffici La sentenza n. 247/2011 L’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 definisce Finanziari, nel dubbio circa il Corte costituzionale i termini perentori entro i quali deve configurarsi di una situazione Sulla vicenda è intervenuta la essere esercitata, ai fini dell’IVA, l’azione Corte costituzionale, la quale, di rilievo penale, optano per la di accertamento da parte denuncia, anche al fine di evicon la richiamata sentenza dell’Amministrazione finanziaria, pena la tare l’addebito penale al funzion. 247/2011, nel dichiarare decadenza del potere di esercizio nario che risultasse infondate le questioni di dell’azione stessa. legittimità, per violazione inadempiente all’obbligo di L’art. 37, comma 25, del D.L. n. 223/ segnalare l’illecito tributario degli artt. 3 e 24 Cost. (invo2006 ha introdotto un comma 3 del citato di rilievo penale. cati in quanto la norma art. 57 che dispone il raddoppio dei avrebbe irragionevolmente La ratio legis sottostante è termini ordinari di accertamento “in caso quella di evitare che la gestione prorogato o riaperto termini di violazione che comporta obbligo di amministrativa della notizia di di decadenza ormai scaduti, denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice così ledendo l’esigenza di cerreato si traduca in impunità del di procedura penale per uno dei reati colpevole: il legislatore ha antitezza dei rapporti giuridici e il previsti dal decreto legislativo 10 marzo cipato i tempi di intervento della diritto di difesa dei contri2000, n. 74”. buenti), del combinato dispogiustizia penale e l’ha sganciato Per effetto di tali modifiche, l’art. 57 del dai tempi del procedimento tristo dell’art. 57, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972 consente agli Uffici butario proprio per evitare che D.P.R. n. 633/1972, e dell’art. Finanziari di emettere avvisi di sotto la discrezionalità ammini37, comma 26, del D.L. n. 223/ accertamento in un arco temporale 2006, nella parte in cui strativa possano trovare spazio doppio rispetto a quello ordinario nel caso l’omissione, l’abuso, il pregiuprevede il raddoppio dei in cui, durante l’attività di verifica, venisse dizio delle ragioni erariali e un termini di accertamento nel riscontrata la rilevanza penale, ex D.Lgs. caso di violazioni comportanti deficit nel contrasto all’evan. 74/2000, di determinati sione fiscale e all’indebito obbligo di denuncia ai sensi comportamenti del contribuente. risparmio fiscale. dell’art. 331 c.p.p. per uno La ratio della norma, come precisato nella dei reati di cui al D.Lgs. La disposizione di cui all’art. relazione governativa al provvedimento, 37 del D.L. n. 223/2006, ha n. 74/2000, ha affermato i mira a “garantire la possibilità di dato adito a dubbi interpretaseguenti principi: utilizzare per un periodo di tempo più tivi concernenti, in particolare: a) che “il raddoppio dei terampio di quello ordinario gli elementi mini consegue dal mero • la possibilità di utilizzare la istruttori emersi nel corso delle indagini norma sul raddoppio dei terriscontro di fatti comporcondotte dalla Autorità giudiziaria”. mini anche in relazione ad tanti l’obbligo di denuncia annualità già definite per penale, indipendenteeffetto dello spirare degli mente dall’effettiva preordinari termini di decadenza; sentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”; • e l’incidenza, sul regime di raddoppio dei termini, delle cause di non punibilità o di estinzione del b) che l’obbligo di denuncia “sorge anche ove reato nonché degli esiti del procedimento penale sussistano cause di non punibilità impeditive eventualmente favorevoli al contribuente, quali il della prosecuzione delle indagini penali ed il Decreto di archiviazione ovvero, nel caso di rincui accertamento resti riservato all’Autorità giuvio a giudizio, la sentenza di proscioglimento. diziaria penale”; In merito alla prima questione, qui di interesse, era c) che “la lettera della legge impedisce di interpreampiamente dibattuto se la norma consentisse la tare le disposizioni denunciate nel senso che il riapertura di termini già trascorsi oppure se, in un’otraddoppio dei termini presuppone necessariatica più garantista, essa dovesse essere intesa come mente un accertamento penale definitivo circa volta a consentire il solo raddoppio dei termini non la sussistenza del reato”; ancora decorsi al momento dell’inoltro della notitia d) che subordinare il raddoppio dei termini a un criminis. accertamento penale definitivo circa la L’IVA 8-9/2016 39 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento sussistenza del reato, “contrasterebbe anche con il vigente regime del c.d. doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dall’art. 20 del D.Lgs. n. 74 del 2000”; e) che l’obbligo di denuncia opera quando si “sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’Autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita”; f) che il pubblico ufficiale “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 c.p. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia”; g) che sussiste “il dovere del giudice tributario di vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) la presenza dell’obbligo di denuncia. Esiti conclusivi della sentenza n. 9725/2016 Sulla vexata quaestio è anche intervenuta la stessa Corte di cassazione, con la paradigmatica sentenza 15 maggio 2015, n. 9974, la quale si è occupata per la prima volta della questione del raddoppio dei termini di accertamento in presenza dell’obbligo di presentazione della notizia di reato all’Autorità giudiziaria. Con la sentenza n. 9974/2015, la Cassazione ha preso posizione sulla questione, ribadendo che i principi enunciati dall’art. 37, come interpretato dalla Corte costituzionale, sono quelli consolidati nella giurisprudenza di legittimità, ovvero che il raddoppio dei termini di accertamento fiscale “scatta”, in ogni caso, in presenza dell’obbligo di presentazione della notizia di reato, a prescindere dal fatto che poi essa sia stata effettivamente inoltrata all’Autorità giudiziaria e tanto più dall’esito dell’eventuale procedimento penale instauratosi. Sussiste l’obbligo di presentazione della notitia criminis - ha stabilito il giudice di legittimità quando il pubblico ufficiale ravvisi nel fatto il fumus del reato, ovvero quando il fatto sia riconducibile ad una fattispecie illecita, non essendo, però, necessaria la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza del reato (cfr. Cass., Sez. VI pen., 6 febbraio 2014, n. 12021). 40 L’IVA 8-9/2016 È compito del giudice tributario - conferma la Suprema Corte - vagliare la sussistenza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per la presentazione della notizia di reato, negando l’operatività del raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, quando tali elementi siano carenti, evitando così che tale strumento legale si presti ad iniziative di denunzia palesemente pretestuose o addirittura calunniose da parte del Fisco, al solo fine di rendere operativo il raddoppio dei termini per espletare gli accertamenti di competenza. Il che significa che presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire all’Autorità giudiziaria è l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita, mentre i giudizi di valore complementari al fatto tipico, vale a dire antigiuridicità e dolo, competono invece in via esclusiva all’Autorità giudiziaria. Secondo la Sezione tributaria, infine, le disposizioni recate dalla delega fiscale, in particolare l’art. 8 della Legge 11 marzo 2014, n. 23, depongono a favore delle conclusioni opzionate, fissando soltanto, in aggiunta, limiti temporali più stringenti per l’operatività del termine raddoppiato. In effetti, il citato art. 8 dispone al comma 2 che negli emanandi Decreti legislativi sia previsto che l’invio della notitia criminis debba avvenire “entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza”, fatti comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei Decreti legislativi. Traendo le conclusioni, ha affermato quindi il giudice di legittimità nella sentenza n. 9725/2016, che, applicando i riferiti principi di diritto derivanti dalle emergenze giurisprudenziali alla fattispecie in trattazione, risulta evidente che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non l’esercizio dell’azione penale da parte del P.M., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, cristallizzato nell’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000 (secondo cui il procedimento amministrativo di accertamento Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento IN SINTESI ed il processo tributario non provvedimenti che irrogano Con l’ordinanza n. 9725/2016, la possono essere sospesi per la sanzioni amministrative tribuCassazione ha affermato che ai fini pendenza del procedimento tarie e degli altri atti impugnadell’operatività dell’istituto del raddoppio penale avente ad oggetto i bili con i quali l’Agenzia delle dei termini (artt. 43 del D.P.R. n. 600/ medesimi fatti o fatti dal entrate fa valere una pretesa 1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972), è cui accertamento comunque impositiva o sanzionatoria, ininfluente l’esercizio dell’azione penale dipende la relativa notificati alla data di entrata da parte del Pm o l’eventuale sentenza di definizione). in vigore del presente condanna. Il giudice di merito, per Nulla di tutto questo emerge Decreto”. accertare che l’Ufficio non abbia fatto un nella specie ove invece risulta Le modifiche sopra richiauso distorto dell’istituto de quo, deve essere intervenuta una denunmate si pongono in linea con verificare se il reato fiscale è cia penale a carico del legale i principi di certezza del diritto astrattamente configurabile, essendo rappresentante della società, e di trasparenza nei rapporti tra irrilevante, a tal fine, la mancata per presentazione di dichiaraFisco e contribuente declinati produzione della documentazione zione fraudolenta mediante dalla Legge delega n. 23/2014. attestante la trasmissione della notizia di uso di fatture o altri documenti In merito alla questione, che reato o la pendenza del processo penale. per operazioni inesistenti, con involge i rapporti tra processo imposta evasa superiore al penale e procedimento tribulimite individuato dall’art. 2 tario, già con la circolare del D.Lgs. n. 74/2000. 23 dicembre 2009, n. 54, l’Agenzia delle entrate Peraltro, anche con riguardo alla specifica posiaveva affermato che, siccome l’ampliamento dei zione del socio di società a ristretta base sociale, il termini di accertamento è collegato “alla mera susraddoppio dei termini per l’accertamento consegue sistenza dell’obbligo di denuncia”, esso opera “a dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di prescindere dalle successive vicende del giudizio denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva penale che consegue alla denuncia”. presentazione della denuncia o dall’inizio dell’aQuesta ricostruzione sistematica sarebbe avvalozione penale (in termini, cfr. anche Cass. 7 ottobre rata dall’interpretazione letterale della disposizione 2015, n. 20043, ove si afferma che e dalla ratio che se ne desume, “non considerando l’Amministrazione finanziaria può emettere l’acragionevole ipotizzare che il legislatore abbia certamento godendo del raddoppio dei termini voluto subordinare l’efficacia del procedimento anche quando il reato di cui è sospettato il contritributario di accertamento - e delle risultanze istrutbuente è già prescritto). torie ivi raccolte - al verificarsi di una fattispecie successiva ed eventuale, quale la condanna penale del contribuente”. Il D.Lgs. n. 128/2015 Ulteriori elementi addotti a sostegno di questa In attuazione della delega fiscale contenuta nel interpretazione sono il richiamo al “principio di menzionato art. 8 della Legge n. 23/2014, è stato separazione tra procedimento amministrativo di emanato il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, (c.d. accertamento e procedimento penale” (art. 20 Decreto sulla certezza del diritto), il cui art. 2, in D.Lgs. n. 74/2000). vigore dal 2 settembre 2015, ha aggiunto all’art. 43, La sentenza della Corte costituzionale n. 247/2011 comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 57, sopra richiamata, ha avvalorato tale interpretazione comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, il seguente laddove ha stabilito che l’obbligo di denuncia periodo: “Il raddoppio non opera qualora la denunsorge anche ove sussistano cause di non punibilità cia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in impeditive della prosecuzione delle indagini penali, cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presenil cui accertamento è demandato eventualmente tata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei all’Autorità giudiziaria penale: è fondamentale, termini di cui ai commi precedenti”. invece, l’astratta configurabilità di un’ipotesi delitIl comma 3 della norma in esame, nel prevedere un tuosa, in quanto il presupposto dell’obbligo di regime transitorio, fa salvi, per quanto di interesse, denuncia è “l’esistenza di una notizia di reato che, “gli effetti degli avvisi di accertamento, dei L’IVA 8-9/2016 41 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita”, mentre “i giudizi di valore complementari al fatto tipico vale a dire antigiuridicità e dolo, competono invece in via esclusiva all’Autorità giudiziaria” (Cass. n. 9974/2015, cit.). La Legge di stabilità 2016 Ma su questi aspetti appena descritti, nulla quaestio, in quanto, raccordando il nuovo comma 3 degli artt. 43 D.P.R. n. 600/1973 e 57 D.P.R. n. 633/1972, con il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015, se ne ricava la conclusione che per gli atti dell’Amministrazione finanziaria notificati successivamente al 2 settembre 2015, vale la nuova regola inserita nei commi 3 degli artt. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e 57 del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui “Il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui ai commi precedenti”. Il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015, fa salvi (da qui il termine “clausola di salvaguardia” o “clausola salva-accertamenti”) gli effetti dei rapporti pendenti, ossia degli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del Decreto (2 settembre 2015). In sostanza, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 128/2015, il raddoppio dei termini opererà solo se la violazione di natura penal-tributaria sarà denunciata all’Autorità giudiziaria entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero, in caso di presentazione omessa o nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo, ma non oltre. Il comma 3, per quanto di interesse, prevede che sono fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione sanzioni di natura amministrativa, tutti gli atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una 42 L’IVA 8-9/2016 pretesa impositiva o sanzionatoria, sempreché notificati alla data di entrata in vigore del Decreto. Quindi, per il passato (rectius, atti notificati entro il 2 settembre 2015) vige la regola fissata dall’art. 37 D. L. n. 226/2006, nel senso che in caso di violazione che all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, segue il raddoppio dei termini di accertamento relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione, anche se la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di accertamento. Su questa situazione, si è poi venuto ad innestare l’art. l, comma 130, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità 2016), in vigore dal 1° gennaio 2016, che ha riscritto completamente l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972, prevedendo lo slittamento di un anno del termine per la notifica degli avvisi di rettifica e di accertamento, che dovrà avvenire - a pena di decadenza - entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è presentata la dichiarazione (in precedenza, quattro anni). Inoltre, sono state equiparate le fattispecie della dichiarazione nulla e dell’omessa presentazione della dichiarazione: in tali ipotesi, l’avviso di accertamento potrà essere notificato fino al 31 dicembre del settimo anno (non più il quinto) successivo a quello in cui si sarebbe dovuta presentare la dichiarazione. Espunta, infine, dal testo dell’art. 57 la norma sul raddoppio dei termini di accertamento in caso di violazione che comporti l’obbligo di denuncia per uno dei reati penal-tributari previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, già modificata dall’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015 (il raddoppio dei termini avrebbe operato solo se la notizia di reato fosse stata presentata o trasmessa entro la scadenza dei termini di accertamento vigenti ratione temporis). Modifiche analoghe a quelle in materia di IVA, sono state apportate anche alle imposte dirette dal comma 131, che ha sostituito il testo dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973. Il comma 132 raccorda le norme in vigore al 31 dicembre 2015 e quelle successive, specificando che, alla luce della novella normativa, il raddoppio in caso di comunicazione di notizia di reato è eliminato per il periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016, mentre continua a operare per Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento gli accertamenti relativi ai periodi di imposta precedenti. Inoltre, gli avvisi di accertamento relativi alle annualità ante 2016 devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione ovvero, nell’ipotesi di dichiarazione omessa o nulla, entro il quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Il successivo periodo della norma aggiunge: “Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo.”. Dal descritto quadro normativo ne deriva che, per il periodo precedente a quello in corso al 1° gennaio 2016, in caso di denuncia per un reato fiscale, i termini di accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; in deroga a tale criterio, il raddoppio non opera qualora la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Tale costrutto, come si nota, si pone in antitesi con il comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2016, il quale prevede invece per il passato (atti notificati entro il 2 settembre 2015) il raddoppio dei termini anche se la notizia criminis è intervenuta dopo l’ordinaria scadenza dei termini di accertamento (clausola di salvaguardia). Osservazioni conclusive Con l’intento di mettere fine ad utilizzi meramente strumentali, dunque, la Legge n. 208/2015 ha eliminato per il futuro il meccanismo che consentiva il prolungamento dei tempi di accertamento, nel caso di rilevanza penale delle violazioni ipotizzate nei confronti del contribuente: il c.d. raddoppio dei termini continua tuttavia ad operare - per gli anni di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2016 - a condizione che la denuncia di reato si a presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di accertamento. Questa disposizione, senza alcuna specificazione, va a sovrapporsi a quella del D.Lgs. n. 128/2015, con la conseguenza che, se così fosse, per tutte le tipologie di siffatti atti pendenti o da notificare, si porrebbe la questione della loro caducazione per incompatibilità tra le due disposizioni, con non indifferente danno erariale. Risultato finale del descritto tortuoso iter legislativo è che, in assenza di una espressa previsione, o, il che è lo stesso, di un non incompatibile collegamento tra le due disposizioni, si pone adesso il problema per l’interprete di stabilire quale sia il rapporto tra le due discipline succedutesi in questo breve lasso di tempo, se l’abrogazione implicita dell’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015 ovvero la convivenza di entrambe le disposizioni. Una prima tesi che si può avanzare al riguardo, favorevole all’Amministrazione finanziaria, è che le due norme continuino a convivere in ragione di una asserita autonomia di contenuti ed in considerazione del fatto che l’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015, avrebbe ad oggetto una disciplina, specifica e temporalmente limitata, compatibile con quella successiva della Legge di stabilità. L’art. 2, peraltro, sarebbe compatibile anche con la delega fiscale che all’art. 8, come si è visto, ha disposto che gli emanandi Decreti legislativi facciano comunque salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore dei provvedimenti stessi. La soluzione dell’abrogazione implicita, favorevole al contribuente, dovrebbe invece trovare supporto nell’art. 15 delle preleggi, secondo cui le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. Nel caso di specie, la Legge n. 208/2016, sostituirebbe la precedente normativa trattando in termini diversi la medesima materia (in termini di accertamento) sia sotto il profilo sostanziale sia sotto quello del diritto transitorio. Da qui anche la completezza della regolamentazione della materia. Dovrebbero pertanto ritenersi sussistenti tutte le condizioni di incompatibilità fissate delle preleggi ai fini della configurazione dell’ipotesi di implicita L’IVA 8-9/2016 43 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Accertamento Tavola n. 1 - Le pronunce della giurisprudenza di merito – – – – – – – – Comm. trib. prov. di Savona, n. 26/1/16 del 18 gennaio 2016; Comm. trib. reg. Lombardia, n. 38/5/16 del 22 gennaio 2016; Comm. trib. reg. Lazio, n. 951/1/16 del 22 febbraio 2016; Comm. trib. reg. Toscana, n. 447/6/16 del 21 marzo 2016; Comm. trib. prov. di Como, n. 117/IV/16 del 21 marzo 2016; Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, n. 90/II/16 del 4 aprile 2016; Comm. trib. prov. di Milano, n. 2992/36/16 del 5 aprile 2016; Comm. trib. reg. Lombardia, n. 2898/67/16 del 16 maggio 2016. abrogazione di norme: infatti, l’art. 1, commi 130-132, della Legge di stabilità 2016 contiene previsioni che vanno completamente a sovrapporre a quelle dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128/ 2015, atteso anche che, ai sensi dell’art. 15 disp. prel. c.c., le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori, tra l’altro, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore. Allo stato, risulta comunque davvero difficoltoso sostenere - aderendo alla prima opinione sopra accennata - la sopravvivenza di una disciplina transitoria (quella espressa dal D.Lgs. n. 128/2015) relativa all’applicazione di un comparto normativo che, nella sua formulazione precedente, il legislatore ha inteso completamente rimuovere dallo scenario legislativo. Un’ultima notazione, infine. La soluzione dell’abrogazione implicita, più favorevole al contribuente, sembra avere comunque 44 L’IVA 8-9/2016 fatto breccia nella primissima giurisprudenza di merito (come si desume dalle pronunce riportate nella Tavola n. 1), in cui si afferma sostanzialmente che “... l’interpretazione delle norme richiamate, come avanti esposta, ..., è stata da ultimo confortata dall’orientamento espresso dal legislatore con la Legge di stabilità 2016 la quale, all’art. 132, precisa che ‘il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’A.F., sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini’ - come previsti per la notifica dell’accertamento”. Mette conto però rilevare, che anche l’ordinanza 30 maggio 2016, n. 11171, conferma l’argomentazione che nei casi in esame, il giudice di appello, ritenendo non documentati l’effettivo inoltro della denuncia penale e l’avvio dell’azione penale, circostanze queste non necessarie ai fini che qui ci occupano, ha omesso di compiere l’accertamento, nel concreto richiestogli, delle condizioni legittimanti l’eventuale raddoppio dei termini di decadenza dall’azione accertatrice. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Immobili Prestazioni di servizi su fabbricati a prevalente destinazione abitativa: le diverse aliquote IVA di Stefano Setti L’approfondimento L’individuazione della corretta aliquota IVA sulle prestazioni e cessioni rese nel settore edile ha, da sempre, presentato notevoli difficoltà sia per la corretta interpretazione della definizione delle diverse fattispecie agevolabili, sia per la frequenza con cui il legislatore è intervenuto nel settore. Con il presente contributo si vuole analizzare la corretta applicazione delle diverse aliquote IVA, agevolate del 4% e del 10% ovvero ordinaria del 22%, in tema di prestazioni di servizi nel settore edile riferite a fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata. Riferimenti D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, Tabella A, parte II e parte III In prima analisi si evidenzia che, così come chiarito dalla C.M. n. 247 del 29 dicembre 1999, si considerano fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata: • le singole unità immobiliari (e relative pertinenze non abitative) che risultano accatastate nel gruppo A, ad eccezione della categoria A/10 (Uffici), a prescindere dall’effettivo utilizzo delle stesse; • interi fabbricati con più del 50% della superficie dei piani sopra terra destinati ad abitazione privata; non è necessario che ricorra l’altra condizione richiesta dalla Legge n. 408/1949 c.d. Legge Tupini, ossia che la superficie destinata a negozi non ecceda il 25% della superficie dei piani sopra terra. IVA agevolata del 4% o 10%: costruzioni Sono soggette all’aliquota IVA del 4% le prestazioni di servizi, relative alla nuova costruzione di (Tabella A, parte II, n. 39, del D.P.R. n. 633/1972): • fabbricati c.d. Tupini, svolte nei confronti di imprese costruttrici (soggetti che svolgono l’attività di costruzione di immobili per la successiva rivendita); • fabbricati “Tupini”, svolte nei confronti di cooperative edilizie e loro consorzi, anche a proprietà indivisa, se per i soci ricorrono i requisiti “prima casa”; • fabbricati adibiti ad abitazione, svolte nei confronti di soggetti che hanno i requisiti “prima casa”; • fabbricati rurali, destinati a uso abitativo del proprietario del terreno o di altri addetti alla coltivazione dello stesso o all’allevamento del bestiame, purché permanga l’originaria destinazione (devono sussistere i requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 30 dicembre 1993). L’aliquota IVA 4% torna applicabile anche nei seguenti casi: • ampliamento e completamento di fabbricati “Tupini”, fabbricati “prima casa” e fabbricati rurali destinati ad uso abitativo; • prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto per gli interventi di superamento delle barriere architettoniche. Invece, sono soggette ad aliquota IVA del 10% le prestazioni, relative a nuove costruzioni, concernenti (Tabella A, parte III, n. 127-septies e 127-quaterdecies del D.P.R. n. 633/1972): • fabbricati “Tupini”, svolte nei confronti di soggetti diversi da quelli che svolgono l’attività Stefano Setti - Dottore Commercialista in Milano L’IVA 8-9/2016 45 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Immobili • • • • di costruzione di immobili per la successiva rivendita (ad esempio, per locazione); fabbricati assimilati a quelli “Tupini”; edifici destinati a finalità di istruzione, cura, assistenza e beneficenza; case di abitazione non di lusso quando non ricorrono i requisiti “prima casa”; opere di urbanizzazione primaria e secondaria ex art. 4, Legge n. 847/1964 e assimilate. IVA agevolata del 4%: beni finiti Così come previsto dal n. 24 della Tabella A, Parte II allegata al D.P.R. n. 633/1972 l’aliquota IVA agevolata del 4% torna applicabile alle cessioni di beni c.d. finiti (per meglio dire i beni che concorrono a formare la costruzione degli immobili senza perdere la loro individualità, tanto da essere suscettibili di ripetute utilizzazioni), con esclusione delle materie prime e semilavorate, forniti per la costruzione, anche in economia, di: • fabbricati c.d. Tupini di cui all’art. 13 della Legge n. 408/1949; • costruzioni rurali (di cui al n. 21-bis della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972). Al riguardo si tenga presente che l’aliquota IVA agevolata del 4% torna applicabile solo nella fase finale di commercializzazione di tali beni (si vedano: R.M. 17 gennaio 1986, n. 324048, Tavola n. 1 - Interventi assimilati e non alla definizione di costruzione Assimilazioni – ampliamento e completamento di edifici (R.M. 7 settembre 1973, n. 503164, R.M. 4 dicembre 1973, n. 502670, R.M. 25 marzo 1974, n. 500309, R.M. 24 settembre 1979, n. 363161, R.M. 7 aprile 1981, n. 330968 e R.M. 22 giugno 1983, n. 341334); – ricostruzione totale, ovvero costruzione di nuovi edifici che incorporino i muri perimetrali o altre strutture portanti di fabbricati preesistenti (R.M. 25 gennaio 1974, n. 503991, R.M. 4 dicembre 1974, n. 502331 e R.M. 23 novembre 1976, n. 363563). Interventi non assimilati – i riattamenti, i rifacimenti, i riammodernamenti e le ristrutturazioni (R.M. 30 giugno 1973, n. 501787, R.M. 5 febbraio 1974, n. 504287, R.M. 27 giugno 1974, n. 504306 e R.M. 3 gennaio 1978, n. 363629); – le manutenzioni ordinarie e straordinarie e i lavori di miglioria. Tavola n. 2 - Esempi di beni per i quali si applica l’aliquota IVA del 4% (fermo il rispetto delle condizioni più sopra esposte) – – – – – – – – – – – – – – Ascensori e montacarichi (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E); impianti di edifici ospedalieri di nuova costruzione (R.M. 9 febbraio 1982, n. 334291 e R.M. 19 ottobre 1984, n. 398848); beni finiti per la costruzione di motrici, carrozze e altro materiale rotabile (R.M. 28 luglio 1992, n. 41452); attrezzatura di stoccaggio, trasporto e lavorazione di prodotti agricoli (R.M. 1° giugno 1990, n. 430478), compresi gli impianti di smaltimento delle acque e degli scarti di lavorazione (R.M. 20 luglio 1990, n. 430579); prodotti per impianti idrici (tubi, contatori) e sanitari per bagno (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E); prodotti per impianti a gas e di riscaldamento (caldaie, elementi di termosifone, tubazioni) (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C. M. 2 marzo 1994, n. 1/E); impianti di riscaldamento ad energia solare (R.M. 17 gennaio 1986, n. 324048); caminetti (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e R.M. 18 ottobre 1982, n. 353485); tubi in gres ceramico e loro raccordi, impiegati per la costruzione di impianti di riscaldamento, idrici, del gas, ecc. (R.M. 8 febbraio 1983, n. 354328); prodotti per impianti elettrici (contatore, interruttori, filo elettrico) (C.M. 7 aprile 1981, n. 14 e C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E); infissi interni ed esterni (C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E); porte a scomparsa (R.M. 8 settembre 1986, n. 360866); scale a chiocciola (R.M. 9 marzo 1996, n. 39/E); apparecchiature destinate a incorporarsi nelle strutture dell’edificio, sì da costituirne parte integrante, pur senza perdere la propria individualità (R.M. 29 febbraio 1992, n. 431318). 46 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Immobili R.M. 18 ottobre 1982, n. 353485 e C.M. 2 marzo 1994, n. 1/E). Conseguentemente tale aliquota IVA agevolata non si applica alle cessioni effettuate in favore degli appaltatori (R.M. 10 dicembre 94, n. 18/E). IVA agevolata del 10%: beni finiti Con riferimento alle cessioni di beni finiti si fa presente che il n. 127-terdecies, Tabella A, parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972 è dedicato alle cessioni di beni finiti forniti per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, per le quali è attualmente prevista l’applicazione dell’aliquota IVA 10%. Più nel dettaglio è previsto che beneficiano dell’IVA del 10% i “beni, escluse le materie prime e semilavorate, forniti per la realizzazione degli interventi di recupero di cui all’art. 31 della Legge 5 agosto 1978, n. 457, esclusi quelli di cui alle lettere a) e b) del primo comma dello stesso articolo”. Va da sé che l’IVA agevolata del 10% torna applicabile per le cessioni di beni finiti da destinare ad interventi di: • restauro e risanamento conservativo; • ristrutturazione edilizia; • ristrutturazione urbanistica. Rimangono escluse le cessioni di beni finiti in caso di manutenzione ordinaria ovvero straordinaria. IVA agevolata del 10%: manutenzioni In tema di manutenzioni si ricorda che, a decorrere dal 2010, è stata stabilita a regime l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata del 10% per le prestazioni di servizi relative alla manutenzione ordinaria Tavola n. 3 - Tipologie di manutenzione per le quali torna applicabile l’aliquota IVA agevolata del 10% Manutenzione ordinaria Manutenzione straordinaria Intervento caratterizzato dal mantenimento degli elementi di finitura e degli impianti tecnologici, con opere sostanzialmente di riparazione dell’esistente e riguarda le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti (Legge 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, lett. a). Sulla base di quanto sostenuto dal Ministero delle Finanze nella C.M. 24 febbraio 1998, n. 57/E, rientrano in tale categoria di intervento (a puro titolo esemplificativo): – il rifacimento o riparazione degli impianti elettrici, idrici, termici, fognanti, del gas o antincendio; la sostituzione dei pavimenti, dei rivestimenti e dei sanitari; – l’impermeabilizzazione delle coperture e la tinteggiatura esterna senza mutamenti di colore; – la pitturazione di pareti, il rifacimento o la riparazione di intonaci; – le prestazioni di manutenzione obbligatoria previste per gli impianti elevatori e per quelli di riscaldamento, consistenti in verifiche periodiche e nel ripristino della funzionalità in caso di guasti. Rientrano le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, e le opere e le modifiche per realizzare e integrare i servizi igienicosanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso (Legge n. 457/1978, art. 31, lett. b). Si tratta, sostanzialmente, di interventi che corrispondono al criterio dell’innovazione nel rispetto dell’immobile esistente. Sulla base di quanto contenuto all’interno della C.M. n. 57/E/ 1998, rientrano in questa categoria di intervento (a puro titolo esemplificativo): – il rifacimento o la riparazione del regolato del tetto o della copertura; – la sostituzione del tavolato e delle travi in legno del tetto; – la sostituzione dei singoli macchinari; – il rifacimento degli infissi, sia interni sia esterni; – il rifacimento o la riparazione delle colonne di scarico delle acque pluviali della copertura; – la sostituzione o la riparazione dell’ascensore e dei macchinari relativi; – l’installazione di apparecchiature speciali che abbiano le caratteristiche di migliorare la sicurezza, il funzionamento e l’utilizzo dell’impianto stesso. Attenzione: secondo quanto chiarito dalla C.M. n. 71/E l’agevolazione riguarda sia le prestazioni di servizi derivanti da contratto d’appalto sia quelle da contratto d’opera e anche da altro accordo negoziale diverso dai precedenti. Inoltre, le prestazioni rese dai professionisti (architetti, geometri ecc.) non rientrano nell’agevolazione in esame in quanto non hanno a oggetto la materiale realizzazione dell’intervento di recupero. L’IVA 8-9/2016 47 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Immobili e straordinaria realizzate su immobili a prevalente destinazione abitativa (C.M. 7 aprile 2000, n. 71/E). Analisi di casi particolari Fornitura di beni con posa in opera Le cessioni di beni con posa in opera, sempreché la stessa sia effettuata dal medesimo soggetto che ha fornito i beni, possono beneficiare dell’aliquota IVA ridotta del 10% anche se il valore dei beni ceduti risulta prevalente rispetto alla prestazione di manutenzione. Fanno eccezione i c.d. beni di valore “significativo”, individuati dal D.M. 29 dicembre 1999 (per la disciplina si veda più avanti). Lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione Per le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto o d’opera relativi alla realizzazione degli interventi di: restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione torna applicabile l’aliquota IVA agevolata del 10%. In tal caso l’aliquota IVA agevolata del 10% torna applicabile anche all’acquisto dei beni, con esclusione di materie prime e semilavorati, forniti per la realizzazione degli stessi interventi di restauro, risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia, individuate dall’art. 3, lett. c) e d), del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con D.P.R. n. 380/2001. L’aliquota IVA del 10% si applica, inoltre, alle forniture dei c.d. beni finiti, vale a dire quei beni che, benché incorporati nella costruzione, conservano la propria individualità (per esempio, porte, infissi esterni, sanitari, caldaie, eccetera). L’agevolazione spetta sia quando l’acquisto è fatto direttamente dal committente dei lavori, sia quando ad acquistare i beni è la ditta o il prestatore d’opera che li esegue. Manutenzione con impiego di beni significativi Per i beni di valore “significativo” l’aliquota IVA ridotta del 10% si applica solo fino a concorrenza del valore della prestazione, considerato al netto del valore dei predetti beni. Si ha un bene di valore significativo se il suo valore è superiore al 50% del corrispettivo ricevuto. Può affermarsi, per semplicità, che il “bene significativo” fornito nell’ambito della prestazione resta soggetto interamente alla aliquota del 10% se il suo valore non supera la metà di quello dell’intera prestazione. I beni di importo significativo sono stati determinati con il D.M. 29 dicembre 1999 e sono: • ascensori e montacarichi; • infissi interni ed esterni; • caldaie; • videocitofoni; Esempio - Fatturazione nel caso in cui siano impiegati beni di importo significativo FATTURAZIONE Costo complessivo dell’intervento IMPORTI (in euro) 10.000,00 di cui: – beni significativi impiegati: ascensore 7.000,00 – prestazioni di manutenzione (comprensive altri beni o materiali non significativi) 3.000,00 IVA Prestazioni di manutenzione (comprensive di altri beni o materiali) 3.000,00 Beni significativi impiegati: ascensore (pari al costo della manutenzione più la fornitura di altri beni o materiali non significativi) 3.000,00 Differenza beni significativi (10.000,00-6.000,00) 4.000,00 Tot. imponibile IVA (6.000,00 al 10% e 4.000,00 al 22%) Tot. fattura 48 L’IVA 8-9/2016 10.000,00 1.480,00 11.480,00 10% 10% 22% Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Immobili • apparecchiature di condizio• namento e riciclo dell’aria; sanitari e rubinetterie da bagno, impianti di sicurezza. Modalità di fatturazione in presenza di beni “significativi” Nei casi in cui con la manutenzione ordinaria o straordinaria siano utilizzati anche beni di valore significativo (come sopra identificati), nella fattura si dovranno indicare in modo distinto: • il corrispettivo della manutenzione (incluse le eventuali forniture di beni o materiali non significativi), al netto del valore dei beni significativi; • la parte del valore dei beni significativi cui torna applicabile l’aliquota IVA IL CASO Domanda: in caso di ristrutturazione edilizia di un immobile ad uso abitativo (prima casa) il cui proprietario ha affidato i lavori ad un’impresa che gli fattura l’IVA al 10%, risulta possibile per il proprietario stipulare un contratto di acquisto di fornitura e posa in opera (in particolare condizionatori aria condizionata e/o infissi) senza transitare dalla impresa appaltatrice e usufruendo comunque dell’IVA al 10%? Risposta: si ritiene che nel caso in esame risulti possibile procedere alla stipula di contratto di fornitura con posa in opera beneficiando in tal caso dell’aliquota agevolata IVA del 10% (facendo rientrare tale fornitura nella manutenzione ordinaria/straordinaria). Si tenga, inoltre, presente che con riferimento al quesito posto i condizionatori nonché gli infissi rientrano nel concetto di beni “significativi”, quindi, l’IVA agevolata del 10% tornerà applicabile fino a concorrenza del valore riferito alla prestazione di manutenzione. • ridotta del 10% (che corrisponde al corrispettivo totale senza i beni significativi, ossia la fornitura di altri beni non significativi e la manodopera); l’eventuale parte residua del valore dei beni significativi per cui torna applicabile l’aliquota IVA dei beni stessi (nella generalità dei casi l’aliquota ordinaria del 22%). Servizi su fabbricati strumentali Per completezza di trattazione di seguito il trattamento IVA riservato alle prestazioni di servizi su fabbricati strumentali (sono i fabbricati delle categorie catastali B, C, D, E e A/10, che si considerano strumentali anche se non utilizzati direttamente). Tavola n. 4 - Prestazioni di servizi su fabbricati a prevalente destinazione abitativa - Aliquote IVA Descrizione della prestazione Aliquota IVA in caso di contrato Aliquota IVA in caso di contratto di appalto di subappalto Costruzione di abitazioni non di lusso IVA al 4% nel caso esista il presupposto IVA al 4% nel caso esista il presupposto ovvero di fabbricati c.d. Tupini “prima casa” ovvero se impresa che “prima casa” ovvero se impresa che costruisce lo fa per rivendere costruisce lo fa per rivendere Costruzione di fabbricato rurale IVA al 4% IVA al 4% Altra abitazione IVA al 10% IVA al 10% Costruzione di edifici di lusso IVA al 22% IVA al 22% Opere di urbanizzazione primaria e secondaria IVA al 10% IVA al 10% Interventi di manutenzione ordinaria e IVA al 10% (tenendo presente le limistraordinaria tazioni nel caso in cui vi sia l’utilizzo di beni significativi) IVA al 22% Interventi di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione IVA al 10% IVA al 10% L’IVA 8-9/2016 49 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Immobili Tavola n. 5 - Prestazioni di servizi su fabbricati strumentali - Aliquote IVA Descrizione della prestazione Aliquota IVA in caso di contrato Aliquota IVA in caso di contratto di appalto di subappalto Costruzione di fabbricato IVA al 22% IVA al 22% Opere di urbanizzazione primaria e secondaria IVA al 10% IVA al 10% Interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria IVA al 22% IVA al 22% Interventi di restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia e ristrutturazione urbanistica IVA al 10% IVA al 10% 50 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Unione europea Osservatorio Dall’Unione Europea con NOTE di Marco Peirolo Corte di Giustizia Aliquote di accisa differenziate per i carburanti per motori e i combustibili per riscaldamento (Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, causa C-418/14 - ROZ-ŚWIT) La Direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, nonché il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che: • essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale i venditori di combustibile per riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un termine stabilito, un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento; e • essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza della presentazione di un tale elenco entro il termine stabilito, al combustibile per riscaldamento venduto è applicata l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori, sebbene sia stato accertato che è indubbia la destinazione di tale prodotto a fini di riscaldamento. Nota - La domanda di pronuncia della Corte di Giustizia, relativa all’interpretazione dell’art. 2, par. 3, dell’art. 5 e dell’art. 21, par. 4, della Direttiva 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito al rifiuto, da parte dell’Ufficio doganale, di concedere alla società il beneficio dell’aliquota di accisa applicabile al combustibile per riscaldamento a causa del mancato deposito, in tempo utile, dell’elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento. Il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se sia conforme alla normativa comunitaria la disciplina nazionale forza della quale, da un lato, i venditori di combustibile per riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un termine stabilito, un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento e, dall’altro, nel caso in cui un tale elenco riepilogativo non sia presentato entro il termine stabilito, l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori è applicata al combustibile per riscaldamento venduto, sebbene sia stato constatato che è indubbio che tale prodotto sia destinato all’uso per riscaldamento. In merito all’obbligo di depositare un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti, quest’ultimo costituisce uno strumento di controllo finalizzato alla prevenzione dell’elusione e dell’evasione fiscale e, siccome la Direttiva 2003/96/CE non specifica un particolare meccanismo di controllo dell’utilizzo di combustibile per riscaldamento, né misure per la lotta contro l’evasione fiscale collegata alla vendita di combustibile per riscaldamento, spetta agli Stati membri prevedere siffatti meccanismi e siffatte misure nel loro diritto nazionale, nel rispetto del diritto dell’Unione. Secondo la Corte, tenuto conto del margine di valutazione discrezionale di cui dispongono gli Stati membri riguardo alle misure e ai meccanismi da adottare al fine di prevenire l’elusione e l’evasione fiscale collegate alla vendita di combustibile per riscaldamento e poiché l’obbligo di depositare, presso le Amministrazioni L’IVA 8-9/2016 51 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Osservatorio Unione europea competenti, un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti non è manifestamente sproporzionato, si deve considerare che un tale obbligo costituisce una misura adeguata per perseguire un obiettivo del genere e non eccede quanto necessario al suo raggiungimento. In merito all’applicazione dell’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori in caso di inosservanza dell’obbligo di depositare un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti, la Corte ha rilevato che tanto l’impianto sistematico quanto la ratio della Direttiva 2003/96/CE si basano sul principio secondo cui i prodotti energetici sono tassati in relazione al loro effettivo utilizzo. Di conseguenza, la norma nazionale in forza della quale, in mancanza del deposito di un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti in tempo utile, l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori è automaticamente applicata ai combustibili per riscaldamento sebbene, come è stato constatato nel procedimento principale, questi ultimi siano utilizzati come tali, è in contrasto con la disciplina comunitaria. Inoltre, l’applicazione automatica dell’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori in caso di inosservanza dell’obbligo di depositare un tale elenco riepilogativo viola il principio di proporzionalità. Infatti, dalla decisione di rinvio risulta accertato che le vendite di combustibile per riscaldamento effettuate dalla società sono state verificate e che è indubbio che gli acquirenti avessero confermato l’acquisto e il consumo di tale combustibile con finalità di riscaldamento. Inoltre, non emerge alcun elemento che indichi che tali vendite siano state effettuate allo scopo di beneficiare in modo fraudolento dell’aliquota di accisa preferenziale concessa ai combustibili destinati al riscaldamento. Alla luce delle considerazioni che precedono, i giudici europei hanno affermato che la normativa comunitaria: • non osta ad una normativa nazionale in forza della quale i venditori di combustibile per riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un termine stabilito, un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento; • osta ad una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza della presentazione di un tale elenco entro il termine stabilito, al combustibile per riscaldamento venduto è applicata l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori, sebbene sia stato accertato che è indubbia la destinazione di tale prodotto a fini di riscaldamento. Determinazione dell’IVA detraibile per i beni destinati ad essere utilizzati sia per operazioni che danno diritto alla detrazione, sia per operazioni per le quali tale diritto è escluso (Corte di Giustizia, 9 giugno 2016, causa C-332/14 - Wolfgang und Dr. Wilfried Rey Grundstücksgemeinschaf) L’art. 17, paragrafo 5, della sesta Direttiva 77/388/CEE deve essere interpretato nel senso che, qualora un immobile sia utilizzato, a valle, per realizzare talune operazioni che danno diritto a detrazione ed altre che non vi danno diritto, gli Stati membri non hanno l’obbligo di imporre che i beni e i servizi utilizzati, a monte, per la costruzione, l’acquisizione, l’utilizzo, la conservazione o la manutenzione di tale immobile, in un primo momento, siano imputati a tali diverse operazioni, qualora una siffatta imputazione sia difficilmente realizzabile, affinché, in un secondo momento, venga determinato unicamente il diritto a detrazione derivante da quei beni e servizi utilizzati sia per talune operazioni che danno diritto a detrazione sia per altre che non vi danno diritto, applicando un criterio di ripartizione fondato sul volume d’affari oppure, a condizione che questo metodo garantisca una determinazione più precisa del pro-rata di detrazione, in base alla superficie. L’art. 20 della sesta Direttiva 77/388, come modificata dalla Direttiva 95/7, deve essere interpretato nel senso che esso impone che si proceda alla rettifica 52 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Unione europea Osservatorio delle detrazioni dell’imposta sul valore aggiunto operate a titolo dei beni o dei servizi rientranti nell’art. 17, paragrafo 5, di detta Direttiva, a seguito dell’adozione, intervenuta durante il periodo di rettifica considerato, di un criterio di ripartizione di tale imposta utilizzato per il calcolo di tali detrazioni in deroga al metodo di determinazione del diritto a detrazione previsto dalla medesima Direttiva. I principi generali del diritto dell’Unione Europea di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale applicabile, la quale non prescriva espressamente la rettifica, ai sensi dell’art. 20 della sesta Direttiva, come modificata dalla Direttiva 95/7, dell’imposta pagata a monte, a seguito della modifica del criterio di ripartizione dell’imposta sul valore aggiunto utilizzato per il calcolo di alcune detrazioni, né preveda un regime transitorio nonostante la ripartizione dell’imposta pagata a monte operata dal soggetto passivo secondo il criterio di ripartizione applicabile prima di tale modifica sia stata riconosciuta in via generale come ragionevole dal giudice supremo. Nota - La pronuncia della Corte di Giustizia ha per oggetto la portata della sentenza resa nella causa C-511/10 dell’8 novembre 2012, riguardante le modalità di determinazione dell’IVA detraibile per i beni destinati ad essere utilizzati sia per operazioni che danno diritto alla detrazione, sia per operazioni per le quali tale diritto è escluso. L’art. 17, par. 5, comma 3, lett. c), della VI Direttiva, in deroga alla regola generale di ripartizione basata sul volume d’affari, consente agli Stati membri di determinare l’imposta detraibile in funzione del criterio dell’utilizzazione del bene o servizio. Con una impostazione opposta a quella prevista dalle previsioni comunitarie, la legislazione tedesca stabilisce che, per tutti i beni e servizi ad uso promiscuo, l’IVA ammessa in detrazione può essere calcolata in proporzione all’ammontare delle operazioni imponibili solo se non è possibile ricorrere ad un altro criterio di collegamento economico. Nella sentenza di cui alla causa C-511/10, i giudici comunitari hanno affermato che gli Stati membri possono autorizzare od obbligare i soggetti passivi ad operare la detrazione in funzione del criterio dell’utilizzo se l’opzione si riferisce ad una determinata operazione e se il metodo prescelto sia idoneo a determinare in modo più preciso l’imposta detraibile. Ne discende che la normativa tedesca si pone in contrasto con la disciplina comunitaria, in quanto generalizzando la portata applicativa della deroga a tutti i beni e servizi ad uso “misto” - non soddisfa le condizioni individuate dalla Corte di Giustizia e, quindi, non può opporre ai soggetti passivi l’applicazione di un metodo alternativo, qual è quello basato sulla superficie nel caso in cui le operazioni attive siano rappresentate da locazioni immobiliari. Tariffa doganale comune: classificazione tariffaria di grembiuli-mantello antiradiazioni (Corte di Giustizia, 9 giugno 2016, causa C-288/15 - MIS) La nomenclatura combinata contenuta nell’allegato I del Regolamento CEE n. 2658/ 87 deve essere interpretata nel senso che un grembiule-mantello antiradiazioni, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, va classificato nella sottovoce 6211 33 10 00 0 di detta nomenclatura, a causa delle sue caratteristiche e proprietà oggettive, tra cui, in particolare, il suo aspetto esteriore, senza che sia necessario fare riferimento agli elementi che conferiscono al prodotto in questione il suo carattere essenziale. L’IVA 8-9/2016 53 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Osservatorio Unione europea Nota - La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia volta ad individuare la classificazione doganale di grembiuli-mantello antiradiazioni in seno alla NC. Al fine di dirimere la controversia, la Corte di Giustizia ha ricordato che, per garantire la certezza del diritto e facilitare i controlli, il criterio decisivo per la classificazione doganale delle merci va ricercato, in linea di principio, nelle loro caratteristiche e proprietà oggettive, quali definite nel testo della voce della NC e delle note delle sezioni o dei capitoli. Riguardo alle note esplicative elaborate, per quanto riguarda la NC, dalla Commissione e, per quanto concerne il sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci (SA), dall’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD), esse forniscono un rilevante contributo all’interpretazione della portata delle varie voci doganali, senza però essere giuridicamente vincolanti. Inoltre, secondo una giurisprudenza parimenti consolidata, la destinazione di un prodotto può costituire un criterio oggettivo di classificazione sempreché sia inerente a detto prodotto, ove l’inerenza deve potersi valutare in funzione delle caratteristiche e delle proprietà oggettive dello stesso. Peraltro, la destinazione del prodotto è un criterio rilevante solo qualora non possa essere effettuata una classificazione in base alle sole caratteristiche e proprietà oggettive del prodotto. Le considerazioni che precedono sono alla base della decisione della Corte, per la quale un grembiulemantello antiradiazioni, come quello di cui trattasi nel procedimento principale va classificato nella sottovoce 6211 33 10 00 0 della NC, a causa delle sue caratteristiche e proprietà oggettive, tra cui, in particolare, il suo aspetto esteriore, senza che sia necessario fare riferimento agli elementi che conferiscono al prodotto in questione il suo carattere essenziale. Detrazione dell’IVA a monte: gestione di scuderie per cavalli da corsa (Avvocato Generale, 14 giugno 2016, causa C-432/15 - Baštová) Nei limiti in cui la partecipazione di un cavallo a una corsa è una componente dell’attività economica di un soggetto che opera nel settore dell’allevamento e dell’allenamento dei cavalli da corsa, le spese relative a tale componente danno diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte. L’assegnazione di premi ai cavalli che realizzano le migliori performance configura un’operazione imponibile ai sensi della Direttiva del Consiglio 2006/112/CE, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto. Fatta salva una verifica ad opera del giudice nazionale, la gestione di scuderie per cavalli da corsa non può essere integralmente assoggettata ad un’aliquota ridotta di imposta sul valore aggiunto in virtù del punto 14 dell’allegato III della Direttiva IVA. Nota - Il primo aspetto esaminato dall’Avvocato Generale riguarda la possibilità, da parte del gestore di una scuderia per cavalli da corsa, di detrarre l’IVA relativa alle spese sostenute per la partecipazione alle competizioni e di qualificare come operazione imponibile l’assegnazione di un premio ai cavalli vincitori. Fermo restando che la partecipazione dei cavalli alle gara di corsa assume carattere oneroso, in quanto il gestore della scuderia ottiene un beneficio che può essere sia diretto (sotto forma di premio), sia indiretto (sotto forma di maggiore notorietà e visibilità), la detrazione può essere esercitata tenuto conto che la partecipazione alle competizione rientra nello svolgimento dell’attività in considerazione dei ritorni positivi in termini di notorietà e di immagine. In merito all’imponibilità del premio ottenuto dai cavalli vincitori, l’Avvocato Generale ha affermato che il fatto che il premio non sia assegnato ad ogni cavallo che partecipa alla gara e che il riconoscimento del premio dipenda dal verificarsi di un evento che non può essere completamente controllato dalle parti non significa che l’operazione non sia effettuata a titolo oneroso, anche perché la giurisprudenza comunitaria ha messo in luce 54 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Unione europea Osservatorio che la variabilità del controvalore ricevuto non esclude l’esistenza del nesso diretto tra la prestazione resa e il corrispettivo che deve essere versato. Il secondo aspetto esaminato dall’Avvocato Generale riguarda la possibilità di applicare l’aliquota IVA ridotta di cui al punto 14) dell’allegato III della Direttiva all’attività di gestione di scuderie per cavalli da corsa. In senso negativo, è stato affermato che tale attività non è riconducibile alla nozione di “uso di impianti sportivi”, cui fa riferimento la previsione in esame, siccome la nozione di “uso di impianti sportivi” riguarda l’utilizzo di impianti fissi, aventi carattere stabile (come piscine, piste da corsa, palestre e centri di fitness) o provvisorio (come piazze pubbliche, spiagge o terreni adibiti provvisoriamente a campi sportivi per uno specifico evento), da parte di soggetti che stanno effettivamente allenandosi o partecipando ad una competizione. Per contro, quando un cavallo viene semplicemente nutrito, pulito o curato, ovvero quando sta solo riposando nelle stalle o nei recinti, non si configura alcun uso di impianti sportivi anche perché nessun soggetto sta praticando uno sport. Determinazione del valore in dogana (Corte di Giustizia, 16 giugno 2016, causa C-291/15 - EURO 2004. Hungary) L’art. 181-bis del Regolamento CEE n. 2454/93 deve essere interpretato nel senso che non osta a una prassi delle Autorità doganali, come quella di cui al procedimento principale, secondo la quale il valore in dogana delle merci importate è determinato con riferimento al valore di transazione di merci similari, metodo di cui all’art. 30 del Regolamento CEE n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un Codice Doganale Comunitario, come modificato dal Regolamento CE n. 82/97 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 1996, ove si ritenga che il valore di transazione indicato, confrontato con la media statistica dei prezzi di acquisto riscontrati nell’importazione di merci similari, sia anormalmente basso quantunque l’Autorità doganale non confuti né ponga altrimenti in dubbio l’autenticità della fattura o del documento probatorio del bonifico presentati per giustificare il prezzo effettivamente corrisposto per le merci importate e senza che l’importatore, in risposta alla richiesta in tal senso dell’Autorità doganale, adduca prove aggiuntive per dimostrare l’esattezza del valore di transazione delle stesse. Nota - Alla Corte di Giustizia è stato chiesto se l’art. 181-bis del Reg. CEE 2454/1993 osta a una prassi delle Autorità doganali, come quella di cui al procedimento principale, secondo la quale il valore in dogana delle merci importate è determinato con riferimento al valore di transazione di merci similari, ove si ritenga che il valore di transazione indicato, confrontato con la media statistica dei prezzi di acquisto riscontrati nell’importazione di merci similari, sia anormalmente basso quantunque l’Autorità doganale non confuti né ponga altrimenti in dubbio l’autenticità della fattura o del documento probatorio del trasferimento presentati per giustificare il prezzo effettivamente corrisposto per le merci importate e senza che l’importatore, in risposta alla richiesta in tal senso dell’Autorità doganale, adduca prove aggiuntive per dimostrare il valore di transazione delle stesse. In base all’art. 29 del Reg. CEE 2913/1992, il valore in dogana delle merci importate è costituito dal loro valore di transazione, ossia dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale dell’Unione, fatte salve, però, rettifiche da effettuare conformemente agli artt. 32 e 33 dello stesso Regolamento. Secondo la giurisprudenza comunitaria, se il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci costituisce, in linea generale, la base di calcolo del valore in dogana, tale prezzo è un dato che deve eventualmente essere oggetto di rettifiche qualora tale operazione sia necessaria per evitare di determinare un valore in dogana arbitrario o fittizio. L’IVA 8-9/2016 55 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Osservatorio Unione europea In merito ai poteri a disposizione delle Autorità doganali allorché una dichiarazione presentata dinanzi ad esse suscita dubbi, l’art. 181-bis del Reg. CEE 2454/1993 prevede che, qualora abbiano fondati dubbi che il valore dichiarato delle merci importate rappresenti l’importo totale pagato o da pagare, le Autorità doganali non sono tenute a determinare il valore doganale in base al metodo del valore di transazione. Esse possono, di conseguenza, respingere il prezzo dichiarato qualora tali dubbi persistano anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi. La Corte ha già rilevato che, per quanto riguarda il valore che deve essere sostituito al valore di transazione, l’art. 181-bis si limita ad enunciare che le Autorità doganali “non sono tenute a determinare il valore in dogana (...) in base al metodo del valore di transazione”, ma non precisa quale altro valore debba, in tal caso, essere sostituito al valore di transazione. A tal fine, conformemente agli artt. 30 e 31 del Reg. CEE 2913/1992, qualora il valore in dogana delle merci importate non possa essere determinato ai sensi dell’art. 29, esso deve essere stabilito ai sensi, in primo luogo, dell’art. 30 e, in secondo luogo, dell’art. 31. Ne deriva che le Autorità doganali possono, per determinare il valore in dogana, non tenere conto del prezzo dichiarato delle merci importate e ricorrere ai metodi secondari di determinazione del valore in dogana delle merci importate, quali previsti agli artt. 30 e 31 del Reg. CEE 2913/1992, e, segnatamente, al prezzo di vendita di merci similari, qualora i loro dubbi sul valore di transazione delle merci persistano, anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni o complementi di documentazione e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi. Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio determinare se i dubbi dell’Autorità doganale di cui al procedimento principale siano fondati al fine di ricorrere a detti metodi secondari e se tale Autorità abbia fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali sono fondati tali dubbi. Rettifica di detrazioni in caso di cessazione dell’attività economica imponibile (Corte di Giustizia, 16 giugno 2016, causa C-229/15 - Mateusiak) L’art. 18, lett. c), della Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretato nel senso che, in caso di cessazione dell’attività economica imponibile di un soggetto passivo, il possesso di beni da parte di quest’ultimo, allorché tali beni hanno dato diritto ad una detrazione dell’imposta sul valore aggiunto al momento del loro acquisto, può essere assimilato ad una cessione di beni effettuata a titolo oneroso e soggetta all’imposta sul valore aggiunto, se il periodo di rettifica previsto dall’art. 187 della Direttiva 2006/ 112, come modificata dalla Direttiva 2009/162, è scaduto. Nota - Nel caso affrontato dalla Corte di Giustizia, un notaio polacco ha acquistato un immobile da utilizzare sia come abitazione privata che come studio professionale e ha, conseguentemente, detratto la relativa IVA in funzione dell’utilizzo professionale. A seguito della cessazione dell’attività professionale, si è posto il problema se, essendo scaduto il periodo di “tutela fiscale” previsto per la rettifica della detrazione, sia applicabile la disciplina dell’autoconsumo, con il conseguente obbligo di riversamento all’Erario dell’imposta precedentemente detratta. Secondo i giudici comunitari, l’autoconsumo da cessazione dell’attività è imponibile purché il bene conservi un valore residuo, assumendo rilevanza la somma dei prezzi pagati per l’acquisto dei beni e dei servizi che hanno consentito la realizzazione del bene, al netto del deprezzamento che il bene ha subìto nel tempo. A favore di questa conclusione, è stato osservato che entrambi i regimi si prefiggono l’obiettivo di evitare che il soggetto passivo possa utilizzare i beni per i quali ha esercitato la detrazione senza che sia ribaltata a valle l’imposta, ma - nonostante il medesimo effetto economico - si basano su presupposti differenti siccome: 56 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Unione europea Osservatorio • la rettifica della detrazione mira ad adeguare ex post la detrazione sulla base dell’utilizzo effettivo del bene per la produzione di operazioni imponibili o ad esse assimilate ai fini della detrazione; • l’imposizione sull’autoconsumo, invece, è commisurata al valore del bene al momento del prelievo o della cessazione dell’attività e, quindi, tiene conto dell’evoluzione del valore verificatosi nel periodo intercorrente tra l’acquisto e l’utilizzo estraneo all’attività. È evidente, pertanto, che l’applicazione dell’IVA in caso di autoconsumo non presuppone che l’utilizzo privato avvenga nel periodo di “tutela fiscale” previsto ai fini della rettifica della detrazione, anche perché l’art. 18, lett. c), della Direttiva 2006/112/CE non prevede una specifica limitazione temporale per l’assoggettamento a IVA dell’autoconsumo da cessazione dell’attività e non rinvia neppure alle disposizioni in materia di rettifica della detrazione. Regola di arrotondamento del pro-rata di detrazione (Corte di Giustizia, 16 giugno 2016, causa C-186/15 - Kreissparkasse Wiedenbrück) L’art. 175, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri non sono tenuti ad applicare la regola di arrotondamento prevista da tale disposizione quando il pro-rata di detrazione è calcolato secondo uno dei metodi derogatori di cui all’art. 173, paragrafo 2, di detta Direttiva. Gli artt. 184 e seguenti della Direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che, quando il pro-rata di detrazione è stato calcolato, ai sensi delle rispettive normative nazionali, in base ad uno dei metodi previsti all’art. 173, paragrafo 2, di detta Direttiva o all’art. 17, paragrafo 5, comma 3, della sesta Direttiva 77/388/CEE, gli Stati membri sono tenuti ad applicare la regola di arrotondamento di cui all’art. 175, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112, in caso di rettifica, soltanto nell’ipotesi in cui tale regola sia stata applicata per determinare l’importo iniziale della detrazione. Nota - Posto che l’art. 175, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE dispone che “il pro-rata di detrazione è determinato su base annuale, in percentuale e viene arrotondato al massimo all’unità superiore”, la prima questione esaminata dalla Corte di Giustizia è diretta a sapere se gli Stati membri non sono tenuti ad applicare la regola dell’arrotondamento quando il pro-rata è calcolato secondo uno dei metodi alternativi previsti dall’art. 173, par. 2, della Direttiva. Dato che la possibilità di deroga in esame è intesa a consentire agli Stati membri di pervenire a risultati più precisi nella determinazione della portata del diritto alla detrazione, con particolare riferimento alle caratteristiche specifiche delle attività del soggetto passivo, l’applicazione della regola secondo cui la percentuale di detrazione ottenuta deve essere arrotondata al massimo all’unità superiore contrasta con tale obiettivo. Con la seconda questione, alla Corte di Giustizia è stato chiesto se la regola dell’arrotondamento debba essere applicata dai soggetti passivi in regime di pro-rata ai fini della rettifica della detrazione. Dagli artt. 184 e 185 della Direttiva si desume che, da una parte, quando, a causa del mutamento di uno degli elementi inizialmente assunti per il calcolo delle detrazioni, si rende necessaria una rettifica, il calcolo dell’importo della rettifica deve far sì che l’importo delle detrazioni eseguite corrisponda a quello che il soggetto passivo avrebbe avuto diritto di operare se tale mutamento fosse stato considerato inizialmente. Dall’altra parte, il calcolo di tale importo deve tenere conto dei medesimi elementi inizialmente assunti, ad eccezione di quello che è stato modificato. Ne consegue, secondo i giudici comunitari, che gli Stati membri sono tenuti ad applicare la regola di arrotondamento, in caso di rettifica, soltanto nell’ipotesi in cui abbiano utilizzato detta regola per determinare l’importo iniziale della detrazione. L’IVA 8-9/2016 57 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Osservatorio Unione europea Imposta versata a monte: detrazione (Corte di Giustizia, 22 giugno 2016, causa C-267/15 - Gemeente Woerden) La Direttiva 2006/112/CE deve essere interpretata nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, in cui il soggetto passivo ha fatto costruire un edificio e lo ha venduto a un prezzo inferiore ai costi di costruzione, detto soggetto passivo ha diritto alla detrazione dell’integralità dell’imposta sul valore aggiunto assolta per la costruzione di tale edificio e non soltanto alla detrazione parziale di detta imposta, in proporzione alle parti di detto edificio che l’acquirente destina ad attività economiche. Il fatto che tale acquirente ceda gratuitamente l’utilizzo di una parte dell’edificio di cui trattasi ad un terzo non ha al riguardo alcun rilievo. Nota - Con la sentenza in esame, la Corte di Giustizia si è pronunciata in merito alla detraibilità dell’IVA da parte di un ente pubblico che ha costruito un edifico per poi venderlo ad un prezzo inferiore al costo di costruzione ad un cliente che, a sua volta, lo ha utilizzato soltanto in parte nell’ambito dell’attività economica. Secondo i giudici comunitari, la detraibilità può essere esercitata in misura integrale essendo subordinata ad una duplice condizione di carattere sostanziale, cioè che il bene/servizio sia acquistato presso un soggetto passivo e che il medesimo sia utilizzato per effettuare operazioni soggette a IVA. Ne discende, quindi, che la detrazione non dipende da alcuna condizione collegata all’utilizzo del bene/servizio da parte del soggetto al quale lo stesso bene/servizio è stato rivenduto, “perché ciò implicherebbe che ogni operazione effettuata dal soggetto passivo con un acquirente o con un cessionario che non eserciti attività economiche, come i privati, limiterebbe il diritto a detrazione del soggetto passivo” e, inoltre, una siffatta condizione “avrebbe la conseguenza che il diritto a detrazione del soggetto passivo dipenderebbe dall’ulteriore azione dell’acquirente o del cessionario, che avrebbe sempre il diritto di modificare l’utilizzo del bene, a breve o a lungo termine”. La Corte di Giustizia ha dovuto anche stabilire se, nel caso di specie, la detrazione possa essere esercitata in misura integrale nonostante l’ente pubblico abbia venduto l’immobile ad un prezzo inferiore al costo sostenuto in fase di costruzione. Al riguardo, i giudici comunitari hanno ritenuto che, fatta salvo l’ipotesi in cui il prezzo di vendita sia puramente simbolico, la detrazione è ammessa in misura piena e non in proporzione alla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di costo o di acquisto, in quanto il risultato dell’operazione economica è irrilevante ai fini dell’esercizio della detrazione purché l’attività sia soggetta a IVA. Radiodiffusione pubblica finanziata mediante un canone legale obbligatorio (Corte di Giustizia, 22 giugno 2016, causa C-11/15 - Český rozhlas) L’art. 2, punto 1, della sesta Direttiva 77/388/CEE deve essere interpretato nel senso che un’attività di radiodiffusione pubblica, come quella di cui al procedimento principale, finanziata mediante un canone legale obbligatorio versato dai proprietari o dai detentori di un ricevitore radiofonico e esercitata da una società di radiodiffusione istituita dalla legge non costituisce una prestazione di servizi “effettuata a titolo oneroso”, ai sensi di tale disposizione, e non rientra quindi nell’ambito di applicazione di tale Direttiva. Nota - Secondo la Corte di Giustizia, l’emittente radiofonico di diritto pubblico, costituito per legge e finanziato con il canone pagato per il possesso dell’apparecchio radiofonico anziché per l’ascolto della radio pubblica, svolge un’attività che, non avendo titolo oneroso, è esclusa dal campo di applicazione dell’IVA. Nell’ambito della fornitura del servizio di radiodiffusione pubblica, infatti, l’emittente e le persone tenute al pagamento del canone non sono vincolate da alcun rapporto contrattuale che implica la stipula di un prezzo e 58 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Unione europea Osservatorio neppure da un impegno giuridico assunto liberamente dall’uno nei confronti dell’altro. Inoltre, l’obbligo di pagare il canone non deriva dalla fornitura di un servizio di cui il canone costituisce il controvalore diretto, poiché tale obbligo non è collegato all’utilizzo del servizio di radiodiffusione pubblica, ma solamente al possesso di un ricevitore radiofonico e ciò indipendentemente dall’uso che è fatto di quest’ultimo. Pertanto, le persone che possiedono un ricevitore radiofonico sono obbligate a pagare il canone, anche qualora utilizzino tale dispositivo solo per ascoltare programmi radiofonici emessi da emittenti radiofoniche diverse dall’emittente in questione, quali programmi radiofonici commerciali finanziati mediante fonti diverse rispetto al canone, per la lettura di compact disc o di altri supporti digitali, oppure per altre funzioni di cui dispongono in genere gli apparecchi che consentono di ricevere e riprodurre trasmissioni radiofoniche. Si ricorda che l’Avvocato Generale ha affermato che l’imposta assolta sugli acquisti di beni/servizi imputabili all’attività dell’emittente radiofonico di diritto pubblico è indetraibile, mentre quella pagata in relazione agli acquisti utilizzati anche per lo svolgimento di un’attività commerciale imponibile può essere detratta con il metodo del “pro-rata fisico”, cioè in funzione di un criterio di calcolo che rifletta oggettivamente la quota di imputazione reale delle spese a monte a ciascuna di queste due attività. In particolare, la detrazione non può essere effettuata con il metodo del “pro-rata matematico”, in quanto previsto esclusivamente per i soggetti passivi che effettuano contemporaneamente operazioni imponibili e operazioni esenti: l’espressione “operazioni che non danno diritto a detrazione” - contenuta negli artt. 17, par. 5, e 19 della VI Direttiva - non si riferisce, infatti, alle operazioni escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA perché non effettuate a titolo oneroso. Detrazione pro-rata: calcolo (Avvocato Generale, 29 giugno 2016, causa C-378/15 - Mercedes Benz Italia) L’art. 17, paragrafi 2 e 5, e l’art. 19 della sesta Direttiva 77/388/CEE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale e a una prassi dell’amministrazione fiscale nazionale, come quelle in questione nel procedimento principale, che impongono a soggetti passivi che effettuano nel contempo operazioni che danno diritto a detrazione e operazioni che non conferiscono tale diritto, di determinare l’importo dell’imposta sul valore aggiunto detraibile mediante l’applicazione di un pro-rata, calcolato ai sensi dell’art. 19 di tale Direttiva, nei confronti della totalità dei beni e servizi acquistati, ivi compresi i beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare sia operazioni che danno diritto alla detrazione sia operazioni che non conferiscono tale diritto. Nota - Le conclusioni dell’Avvocato Generale hanno per oggetto la conformità sul piano comunitario del pro-rata generale di detrazione previsto dall’art. 19, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, applicato dai soggetti passivi che effettuano sia operazioni imponibili che operazioni esenti non già sui soli beni/servizi ad utilizzo promiscuo, ma sulla totalità dei beni/servizi acquistati, a prescindere dalla loro destinazione effettiva. La normativa comunitaria, all’art. 17, par. 5, commi 1 e 2, della VI Direttiva, prevede l’applicazione del prorata esclusivamente sui beni/servizi ad utilizzo “misto”, ma dà la possibilità agli Stati membri di avvalersi delle deroghe previste dall’art. 17, par. 5, comma 3, della VI Direttiva, tra cui quella che consente ad essi di autorizzare od obbligare i soggetti passivi ad operare la detrazione secondo il metodo del pro-rata “relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate”. Ad avviso dell’Avvocato Generale, la specifica deroga applicata dallo Stato italiano riguarda soltanto i beni/ servizi ad utilizzo promiscuo, in quanto la giurisprudenza comunitaria ha, in più occasioni, affermato che gli Stati membri possono utilizzare i criteri di calcolo del pro-rata alternativi a quello ordinario esclusivamente per i beni/servizi ad uso “misto” e, del resto, gli stessi giudici comunitari hanno stabilito che i suddetti criteri di L’IVA 8-9/2016 59 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Osservatorio Unione europea calcolo alternativi trovano applicazione in situazioni specifiche, laddove si renda necessario determinare l’imposta detraibile in modo più preciso rispetto a quello ottenuto con il metodo ordinario. Se la Corte di Giustizia confermerà tale conclusione dovrà anche rispondere all’ulteriore questione sollevata dal giudice del rinvio, ossia la modalità di calcolo della detrazione prevista dagli Stati membri che, come l’Italia, si sono avvalsi della deroga prevista dal citato art. 17, par. 5, comma 3, lett. d), della VI Direttiva. Sul punto, l’Avvocato Generale è dell’avviso che la detrazione deve essere determinata in funzione dell’utilizzo dei beni/servizi, per cui potrebbe ritenersi valido il metodo del pro-rata “fisico” di cui all’art. 19, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972. 60 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna Panorama normativo Legislazione IVA sui “voucher”: nuove regole dal 2019 (Consiglio UE, Direttiva 27 giugno 2016, n. 2016/1065/UE) È stata pubblicata nella G.U.U.E. 1° luglio 2016, L177 la nuova Direttiva europea che individua il trattamento ai fini IVA dei buoni: le regole dettate dalla Direttiva 2016/ 1065/UE troveranno applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2019. La Direttiva fissa la definizione di ”buono”, individuato come: uno strumento che contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o una prestazione di servizi e nel quale i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori sono indicati sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative, distinguendo due tipologie di buoni, da cui dipende il diverso trattamento ai fini dell’IVA delle operazioni loro associate: • buono monouso: buono in relazione al quale il luogo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi cui il buono si riferisce e l’IVA dovuta su tali beni o servizi sono noti al momento dell’emissione del buono; • buono multiuso: buono diverso da un buono monouso. Regole IVA applicabili Buoni monouso Ogni trasferimento di un buono monouso effettuato da un soggetto passivo che agisce in nome proprio è considerato come cessione dei beni o prestazione dei servizi cui il buono si riferisce. La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi dietro presentazione di un buono monouso accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo dal cedente o dal prestatore non sono considerate operazioni indipendenti. Se il trasferimento di un buono monouso è effettuato da un soggetto passivo che agisce in nome di un altro soggetto passivo, tale trasferimento è considerato come cessione dei beni o prestazione dei servizi cui il buono si riferisce effettuate dall’altro soggetto passivo per conto del quale il soggetto passivo agisce. Se il cedente dei beni o il prestatore dei servizi non è il soggetto passivo che, agendo in nome proprio, ha emesso il buono monouso, si considera che tale cedente o prestatore abbia comunque ceduto i beni o prestato i servizi cui il buono si riferisce a detto soggetto passivo. Buoni multiuso La consegna fisica dei beni o la concreta prestazione dei servizi effettuate dietro presentazione di un buono multiuso accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo dal cedente o dal prestatore sono soggette all’IVA ai sensi dell’art. 2, mentre ogni trasferimento precedente di tale buono multiuso non è soggetto all’IVA. Qualora il trasferimento di un buono multiuso sia effettuato da un soggetto passivo diverso da quello che esegue l’operazione soggetta all’IVA a norma del comma 1, le prestazioni di servizi che possano essere individuate, quali i servizi di distribuzione o di promozione, sono soggette all’IVA. L’IVA 8-9/2016 61 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna La base imponibile della cessione di beni o della prestazione di servizi effettuate a fronte di un buono multiuso è pari al corrispettivo versato per il buono o, in assenza di informazioni su tale corrispettivo, al valore monetario indicato sul buono multiuso stesso o nella relativa documentazione diminuito dell’importo dell’IVA relativo ai beni ceduti o ai servizi prestati. Relazione di valutazione Entro il 31 dicembre 2022, la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio, in base alle informazioni ottenute dagli Stati membri, una relazione di valutazione sull’applicazione delle disposizioni della Direttiva 2016/1065/UE in ordine al trattamento dei buoni a fini IVA, con particolare riferimento a: • definizione di buoni; • norme in materia di IVA applicabili alla tassazione dei buoni nella catena di distribuzione; • buoni non riscattati, corredata - se del caso - da un’opportuna proposta di modifica delle relative norme. “Vending machine”: pronte le regole per trasmettere i corrispettivi (Agenzia delle entrate, provvedimento 30 giugno 2016, n. 102807/2016) Nuovo passo in avanti dell’Agenzia verso la digitalizzazione: con il provvedimento n.102807/2016, l’Agenzia delle entrate ha definito: • le informazioni; • le regole tecniche; • gli strumenti; • i termini, per la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri derivanti dall’utilizzo di distributori automatici - vending machine. Il provvedimento attua le previsioni contenute nel Decreto attuativo della delega fiscale sulla fatturazione elettronica tra privati (D.Lgs. n. 127/2015). Le regole tecniche pubblicate dalle Entrate sono necessarie per consentire ai gestori delle vending machine di organizzarsi per tempo in vista dell’obbligo di comunicazione dei dati dei corrispettivi che scatterà a partire dal 1° gennaio 2017. Fiscalizzazione graduale L’obbligo della memorizzazione e trasmissione telematica viene assolto mediante soluzioni tecniche che, tenendo conto dei normali tempi di obsolescenza e rinnovo delle vending machine in essere alla data del 1° gennaio 2017, consentano di non incidere sull’attuale funzionamento degli apparecchi, garantendo comunque livelli di sicurezza e inalterabilità dei dati dei corrispettivi. Pertanto, al fine di garantire un passaggio al nuovo regime secondo i principi di “normali tempi di obsolescenza e rinnovo” degli apparecchi, è stato definito un percorso di “fiscalizzazione graduale” delle vending machine, costituito da: • una soluzione ”transitoria”, da utilizzare non oltre il 31 dicembre 2022; e • una soluzione ”a regime” che verrà disciplinata con successivo provvedimento dell’Agenzia delle entrate. Primo step: censimento on line L’Agenzia delle entrate metterà a disposizione dei contribuenti e degli operatori del settore del vending un’area dedicata all’interno del proprio sito internet in cui trovare i servizi per censire on line i propri distributori ed ottenere certificati per “sigillare 62 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna elettronicamente” il file XML con cui trasmettere i dati dei corrispettivi registrati dagli apparecchi nella fase di erogazione dei prodotti. I dati verranno “sigillati” elettronicamente e trasmessi on line, su canale sicuro, all’Agenzia delle entrate mediante i dispositivi mobili con cui i gestori rilevano gli incassi registrati dal distributore. Il sigillo elettronico verrà applicato grazie ad un certificato digitale, rilasciato on line dall’Agenzia delle entrate agli operatori del settore del vending, e garantirà l’autenticità, l’inalterabilità e la riservatezza dei dati dei corrispettivi. Al termine della fase di censimento, l’Agenzia fornirà un QRCODE da applicare su ogni apparecchio in modo da consentire anche al singolo consumatore di riconoscere che il distributore, da cui sta acquistando il prodotto, è conosciuto all’Amministrazione e i dati dei suoi incassi verranno trasmessi alla stessa. Prassi Fatturazione elettronica tra privati: in “test” fino a metà ottobre (Agenzia delle entrate, comunicato stampa 20 giugno 2016) L’Agenzia delle entrate ha pubblicato in bozza i documenti tecnici per la fatturazione elettronica tra privati. Le bozze delle specifiche tecniche descrivono: • le regole da osservare per utilizzare il Sistema di interscambio; • la struttura della fattura elettronica, ordinaria o semplificata, che dovrà essere veicolata dal Sistema. Prende così avvio la fase di sperimentazione del Sistema di Interscambio SDI: attraverso questa piattaforma, attualmente utilizzata per la fatturazione elettronica verso le Pubbliche amministrazioni, dal 1° gennaio 2017 potranno trasmettere le proprie fatture elettroniche le imprese, gli artigiani e i professionisti. La sperimentazione mira a risolvere in tempo utile eventuali criticità che dovessero presentarsi e si concluderà entro la metà del prossimo mese di ottobre. Sulla base dei feedback ricevuti, saranno consolidati i supporti e le regole di processo. Fatturazione elettronica tra privati dal 2017 Dal 1° gennaio 2017, imprese, artigiani e professionisti potranno trasmettere le proprie fatture elettroniche utilizzando il Sistema di interscambio. Il Sistema di Interscambio funzionerà con regole procedurali di fatto identiche a quelle oggi attive per la veicolazione delle fatture elettroniche destinate alle Pubbliche amministrazioni; infatti il formato in uso è stato integrato per rappresentare anche le fatture destinate ai privati. Esportazione delle navi da diporto: prova “leggera” per dimostrare l’uscita dall’UE (Agenzia delle dogane, circolare 12 maggio 2016, n. 14/D) Come ricordato nel documento di prassi, a partire dal 1° gennaio 2012 al fine di beneficiare del regime di non imponibilità IVA all’esportazione con riferimento alle unità da diporto di nuova realizzazione cedute a clienti extra UE, è necessario L’IVA 8-9/2016 63 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna dimostrare l’uscita dal territorio doganale fornendo la prova del raggiungimento di un porto extra UE e la produzione della correlata documentazione. Tale prassi imponeva ai costruttori italiani di doversi fare carico degli extra costi, talora molto rilevanti, di viaggio, rifornimento ed equipaggio, e lasciava in capo al cantiere il rischio di dover versare le imposte dovute qualora il comandante o l’armatore avessero deciso di non onorare l’impegno a fornire le suddette attestazioni. Per risolvere la problematica, con la circolare n. 14/D/2016 l’Agenzia delle dogane ha individuato procedure più snelle, compatibili con il quadro giuridico di riferimento, che delineano diverse modalità di accertamento. Con la predetta circolare è stato infatti chiarito che l’uscita dal territorio doganale potrà essere provata, oltre che dal raggiungimento di un porto extra UE, anche tramite la dichiarazione resa dall’armatore/comandante della nave accompagnata dall’attestazione del superamento del confine delle acque nazionali (uscita dalle 12 miglia) effettuata tramite dispositivo AIS. Giurisprudenza “Split payment” costituzionalmente legittimo (Corte costituzionale, sentenza 16 giugno 2016, n. 145) Il meccanismo dello split payment, introdotto dalla Legge di stabilità per l’anno 2015, risulta costituzionalmente legittimo, in quanto non lesivo dei principi costituzionali. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 145 depositata il 16 giugno 2016. Secondo la Corte costituzionale, le questioni sollevate dalla Regione Veneto sono inammissibili in quanto: • non è fondato il rilievo secondo il quale il legislatore nazionale avrebbe introdotto il meccanismo in questione con decorrenza 1° gennaio 2015 senza attendere l’autorizzazione della Commissione UE. Secondo costante giurisprudenza della Corte, infatti, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regioni in riferimento a parametri non attinenti al riparto delle competenze statali e regionali sono ammissibili solo se la ricorrente individua gli ambiti di competenza regionale (legislativa, amministrativa e finanziaria) incisi dalla disciplina statale, indicando le disposizioni costituzionali sulle quale trovano fondamento le proprie competenze indirettamente lese e se la Corte ritiene che sussistano tali competenze lese dalla disciplina impugnata. Nel caso di specie, la disciplina dello split payment non risulta ledere la sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione; • non è fondato il rilievo secondo il quale viene violata indirettamente l’autonomia finanziaria ed amministrativa della Regione Veneto, dal momento che essa sarebbe costretta a sostenere il costo di adeguamento dei sistemi informativi. Secondo la Corte detti inconvenienti riguardano tutti i soggetti che effettuano cessioni di beni o prestano servizi alle PA, ai quali il legislatore ha legittimamente imposto un diverso sistema di versamento dell’IVA; 64 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna • non è fondato il rilievo secondo il quale le PA non potrebbero più compensare l’IVA assolta sugli acquisti ma dovrebbero richiederla a rimborso. La circostanza di non poter compensare l’IVA ricade così come sulla Regione, anche su tutti gli operatori privati che intrattengono rapporti con le PA, sia su tutte le amministrazioni pubbliche, nelle loro reciproche relazioni. Fuori campo IVA la cessione di un terreno agricolo poi divenuto edificabile (Corte di cassazione, sez. VI, ordinanza 6 giugno 2016, n. 11600) Il trasferimento di un terreno dapprima agricolo, poi divenuto edificabile per successiva modifica del piano regolatore, deve considerarsi fuori del campo di applicazione dell’IVA. Lo ha deciso la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 11600/2016. La Commissione tributaria di II° Grado - in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento per maggiori IRPEF, IVA ed IRAP dovute, per l’anno d’imposta 2006, in relazione alla cessione di terreni, di proprietà del contribuente, imprenditore agricolo, suscettibili di utilizzazione edificatoria - confermava la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente limitatamente alla contestazione dell’IVA dovuta per la cessione dei terreni (in luogo dell’imposta di registro applicata), sul presupposto, ritenuto non provato dall’Ufficio, della natura strumentale all’esercizio dell’impresa agricola. In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Ufficio (limitatamente al capo della sentenza concernente l’IVA dovuta ed il mancato riconoscimento del nesso di strumentalità dei terreni all’attività agricola, con i riflessi anche in ordine all’IRAP ed alle sanzioni), hanno sostenuto che, “a prescindere” dalla considerazione degli elementi di prova addotti dal contribuente “a riprova della non strumentalità dei detti terreni all’attività agricola e - cioè, certificazione tavolare, risultanze catastali, limitata estensione, aderenza alla casa di abitazione ed indicazione contenuta nella scrittura privata autenticata costituente il contratto di compravendita”, la cessione da parte di un imprenditore agricolo di un terreno divenuto edificabile non rientra, avendo il terreno perduto la qualità di bene strumentale, tra le operazioni imponibili ai sensi degli art. 1 e ss., D.P.R. n. 633/1972. I giudici della Commissione tributaria regionale ritenevano pertanto caducata anche la contestazione relativa all’IRAP (sulla quale i giudici di primo grado nulla avevano statuito) e riducevano le sanzioni (essendo dovute limitatamente al solo rilievo concernente l’accertamento della plusvalenza ai fini IRPEF). Contro la sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, in particolare sostenendone l’erroneità avendo la Commissione tributaria regionale dato rilievo, al fine di escludere la natura strumentale all’attività agricola dei terreni oggetto di compravendita, a documentazione irrilevante ovvero alla circostanza della loro sopravvenuta edificabilità, del pari ininfluente, con conseguente inidoneità della prova offerta al riguardo dal contribuente e debenza dell’IVA sulla cessione. La Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia. Al fine di meglio comprendere la questione, va sottolineato che la giurisprudenza di legittimità, con riguardo al regime di tassazione - IVA o imposta di registro - cui assoggettare la cessione a titolo oneroso, da parte di impresa agricola, di immobile che abbia acquisito una destinazione (edificatoria) diversa da quella goduta, allorché era stato impiegato nell’attività produttiva, si è consolidata nel senso dell’esclusione dell’applicabilità dell’IVA all’operazione imponibile. L’IVA 8-9/2016 65 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna La Cassazione ha affermato che, avendo il terreno assunto il carattere di suolo destinato alla edificazione, così perdendo la qualità di bene strumentale di bene relativo all’impresa, come desumibile dal coordinato disposto degli artt. 54 e 40 T.U.I.R.,detto bene è uscito dalla tipologia degli atti soggetti ad IVA considerati dall’art. 2, D.P.R.n. 633/1972. La determinazione dell’imprenditore di escludere il bene (trasformatosi, per effetto di modifica del piano regolatore, in area destinata all’edificazione) dalla sua organizzazione, in linea con la sua mutata valenza economica, ha infatti tolto “in via definitiva” ad esso “il carattere originario di bene strumentale”, con conseguente assoggettamento del relativo atto di cessione all’imposta di registro. Da qui, dunque, il rigetto del ricorso dell’Agenzia delle entrate. Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. Il trasferimento di un terreno dapprima agricolo poi divenuto edificabile per successiva modifica del piano regolatore deve considerarsi fuori del campo di applicazione dell’IVA. Fatture per operazioni inesistenti: cosa impedisce la detrazione IVA (Cass., Sez. trib., sentenza 11 maggio 2016, n. 9608) Per detrarre l’IVA su fatture per operazioni insistenti, l’utilizzatore deve provare l’impossibilità di conseguire la consapevolezza che l’operazione si colloca all’interno di un meccanismo fraudolento. Così la Corte di cassazione nella sentenza n. 9608/ 2016. Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società e l’Agenzia delle entrate. Una S.r.l. impugnò avviso di accertamento relativo all’IVA e alle imposte dirette per l’anno d’imposta 2000, emesso sulla base di PVC in cui si rilevavano una serie di operazioni di acquisto di merce soggettivamente inesistenti. La Commissione tributaria provinciale rigettò il ricorso. L’appello della contribuente venne disatteso dalla Commissione tributaria regionale sulla base della seguente motivazione, per quanto qui rileva. La contribuente si è servita per gli acquisti dal cedente francese di due società cartiere, una prima società operante fino al giugno 1999, quindi altra società, composta dalle medesime persone e priva di attrezzature e dipendenti tali da poter commercializzare bestiame per valori di miliardi di lire. La società non avrebbe mai potuto portare in detrazione l’IVA, perché le operazioni rispondono alla disciplina di cui all’art. 40, comma 2, D.L. n. 331/1993 che prevede l’acquisto triangolare comunitario, e cioè la merce viene trasportata direttamente dal primo cedente al cessionario del secondo cedente. Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione la società, in particolare censurandola per vizio di motivazione, in quanto priva di cenni alla questione, posta nell’atto di appello, della mancanza di consapevolezza da parte della contribuente dell’attività svolta dalle società presunte cartiere. Più specificamente si doleva del fatto che la sentenza, prima ancora che da vizio di motivazione, fosse errata in diritto, nel senso che, ipotizzando che la Commissione tributaria regionale abbia interpretato la disciplina nel senso dell’irrilevanza della mancanza di consapevolezza da parte del contribuente, la sentenza sarebbe sbagliata, avendo il contribuente diritto a dedurre l’IVA pagata se inconsapevole della frode. La Corte di cassazione ha respinto il ricorso della contribuente. 66 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna In particolare, ritengono i Supremi giudici che la tesi della società, secondo cui, stante l’assenza di consapevolezza in ordine alla ipotizzata frode carosello, doveva essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA corrisposta, non è accoglibile in quanto non coerente ai principi affermati dalla Cassazione sulla scorta di quanto risultante dalla giurisprudenza comunitaria. Ha affermato il giudice comunitario che va negato il beneficio del diritto a detrazione dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte. Così, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità. A questi principi si è attenuta la Cassazione, affermando che, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva - per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione - in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni. È poi onere del contribuente dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è dunque - per gli Ermellini soltanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione. La società contribuente, nel caso in esame, limitando la rilevanza della questione dello stato soggettivo alla mancanza di consapevolezza circa la collocazione dell’operazione all’interno di un meccanismo fraudolento, non ha colto il principio di diritto di cui sopra. In sostanza, non sufficiente è denunciare l’assenza di consapevolezza, poiché ciò che il contribuente deve denunciare è anche l’impossibilità di conseguire la detta consapevolezza. Da, qui, dunque il rigetto del ricorso della società contribuente. Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza. In tema di detrazione IVA da parte dell’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti, costituisce fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non soltanto la consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione. L’IVA 8-9/2016 67 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna Cessazione attività: la riscossione dei “vecchi” compensi professionali è imponibile IVA (Cass., SS.UU., sentenza 21 aprile 2016, n. 8059) Con parere n. 3 del 26 aprile 2016, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro analizza la sentenza 21 aprile 2016, n. 8059 emessa dalle Sezioni Unite civili della Suprema Corte di cassazione, che si sono espresse sulla rilevante questione giuridica della tassabilità o meno ai fini dell’IVA dei compensi riscossi successivamente alla cessazione dell’attività professionale e relativi a prestazioni di servizi rese prima di tale cessazione. Tendendo conto dell’impostazione teorica dell’Agenzia delle entrate la sentenza ha confermato il seguente principio di diritto: “il compenso di prestazione professionale è imponibile a fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”. Secondo le Sezioni Unite, la soluzione di assoggettare ad IVA il corrispettivo conseguito dopo la cessazione dell’attività professionale, troverebbe fondamento nella necessità di assicurare il principio della neutralità fiscale dell’IVA, in quanto solo così si impedirebbe la sottrazione all’IVA, che è un’imposta destinata a gravare esclusivamente sul consumatore finale, del valore aggiunto relativo alla prestazione di servizi effettuata precedentemente a tale evento e rispetto alla quale i relativi acquisti fatti a monte hanno partecipati al sistema della detrazione d’imposta. Inoltre le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, nel testo della sentenza, hanno fatto presente di aver deciso di affrontare la delicata questione giuridica, nonostante la riscontrata inammissibilità del ricorso per cassazione, per rimuovere incertezze e prevenire contrasti interpretativi. DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE SU QUESTA RIVISTA Danno da svalutazione monetaria se l’Erario rimborsa in ritardo il credito IVA (Cass., Sez. trib., sentenza 29 aprile 2016, n. 8540) In tema di contenzioso tributario, la Sezione tributaria della Cassazione ha affermato il principio secondo cui l’art. 1224 c.c. - nel riconoscere il risarcimento ulteriore da svalutazione monetaria - non richiede altro che la dimostrazione del danno subito, mentre non è richiesto nell’accertamento di tale danno che si valuti se il creditore ha iscritto a bilancio, quale misura compensativa crediti affermati verso l’erario. Al contribuente deve essere riconosciuto il maggior danno da svalutazione monetaria se l’Erario rimborsa in ritardo il credito IVA. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 8540/2016. Il fatto trae origine dal contenzioso instaurato tra una società e l’Agenzia delle entrate. La società vantava nei confronti dell’Agenzia delle entrate un credito per rimborso IVA relativo al 3° trimestre del 1989 per un ammontare di 530 milioni di lire. Il rimborso veniva, però, sospeso dall’Agenzia sul presupposto che la società aveva debiti verso l’Erario che andavano in compensazione. Il provvedimento di fermo veniva meno nel 2004, e la società con istanza del 14 luglio 2004 reiterava la richiesta di rimborso. Su tale richiesta si formava il silenzio rigetto, e conseguentemente la società faceva ricorso alla Commissione tributaria provinciale per ottenere il rimborso della somma, comprensiva di interessi semplici, anatocistici e del maggior danno da svalutazione monetaria. 68 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Rassegna La Commissione tributaria provinciale accoglieva la domanda di rimborso facendo decorrere gli interessi legali dal 14 luglio 2004 e quelli composti dal semestre successivo al 14 marzo 2005, ma rigettava la domanda di riconoscimento del maggior danno da svalutazione. La società proponeva appello alla Commissione tributaria regionale, relativamente alla decorrenza degli interessi e al mancato riconoscimento del maggior danno, ottenendo l’accoglimento quanto alla prima doglianza, ed il rigetto quanto al maggior danno. Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione - per quanto qui di interesse - la società contribuente, relativamente al mancato riconoscimento del maggior danno da svalutazione monetaria. In sintesi, la Commissione tributaria regionale ha negato il maggior danno dicendo che l’impresa, non ricevendo il rimborso, ha provveduto a iscrivere a bilancio crediti verso l’erario che compenserebbero il danno da svalutazione. Cosi facendo, la Commissione tributaria regionale, secondo la società, avrebbe non solo violato il disposto dell’art. 1224 c.c. che non prevede come condizione ostativa al risarcimento del maggior danno una iscrizione di crediti verso l’erario, e ciò tenendo anche conto della dimostrazione fornita dalla società circa il danno da svalutazione subito, ma avrebbe anche fatto ricorso ad una contraddittoria motivazione per supportare la decisione presa. In particolare, la sentenza, pur prendendo atto della svalutazione subita dalla somma oggetto di rimborso, per il ritardo in cui è avvenuto, avrebbe concluso per escludere il maggior danno. La Corte di cassazione, nell’accogliere il ricorso della contribuente, ha affermato un principio di diritto inedito nella giurisprudenza della Cassazione. I Supremi giudici osservano che la società aveva chiesto il pagamento del maggior danno da svalutazione monetaria, adducendo, con il deposito sia dei bilanci che di altri documenti, che nel frattempo, la somma inizialmente oggetto di rimborso (540 milioni di lire) si era svalutata del 68,1%. La decisione di merito ha negato il diritto al maggior danno da svalutazione, pur prendendo atto della intervenuta perdita della disponibilità di denaro e comunque del ricorso al sistema creditizio che il mancato pagamento ha imposto alla società, in quanto l’impresa avrebbe fatto ricorso ai rimedio di iscrivere a bilancio crediti verso l’erario. Orbene, l’argomento in base al quale la Commissione tributaria regionale ha negato il danno da svalutazione monetaria non è fondato e costituisce invero una discutibile interpretazione dell’art. 1224 c.c. Non ricorre infatti un’ipotesi di compensatio lucri cum danno tra il danno subito per il ritardato pagamento e il vantaggio fiscale legato alla iscrizione in bilancio degli interessi passivi. Va, comunque, osservato che l’Agenzia non aveva affatto addotto quale eccezione per paralizzare la richiesta di maggior danno la circostanza che l’impresa avesse iscritto a bilancio imposte anticipate o altri crediti verso l’Erario. Cosi che l’esame di tale circostanza non era neanche imposta da una domanda di parte, oltre, come si è detto, a non essere necessaria per l’applicazione della norma. Da, qui, dunque, l’accoglimento del ricorso della società. Di rilievo le conseguenze pratiche della sentenza: l’art. 1224 c.c., nel riconoscere il risarcimento ulteriore da svalutazione monetaria non richiede altro che la dimostrazione del danno subito, mentre non è richiesto nell’accertamento di tale danno che si valuti se il creditore ha iscritto a bilancio, quale misura compensativa crediti affermati verso l’Erario. L’IVA 8-9/2016 69 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Agenda Settembre - Ottobre 2016 a cura di Valerio Artina e Roberta Aiolfi Dottori commercialisti in Bergamo 5 settembre lunedì 14 settembre mercoledì 15 settembre giovedì Ravvedimento entro 15 giorni Ultimo giorno utile per il ravvedimento entro 15 giorni del versamento in scadenza il mese precedente non effettuato o effettuato in misura ridotta. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 15% introdotta per regolarizzazioni entro i 90 giorni, oltre a quanto previsto per i ravvedimenti dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo (quindi 0,1% per ogni giorno di ritardo): la convenienza ad utilizzare tale regolarizzazione si ha quindi effettuando il versamento entro il quattordicesimo giorno successivo al termine. Ravvedimento entro 90 giorni dell’IVA mensile I contribuenti possono effettuare l’adempimento omesso o insufficiente entro 90 giorni dal termine ordinario versando il tributo unitamente alla sanzione ridotta pari all’1,67% (1/9 del 15%) dell’imposta non versata e gli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno esclusivamente mediante modalità telematiche. Annotazione separata dei corrispettivi Termine per la registrazione nel registro corrispettivi delle operazioni effettuate nel mese solare precedente per le quali è stato rilasciato lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale. Fatturazione differita Ultimo giorno utile per emettere le fatture differite relative a beni consegnati o spediti nel mese di agosto. 16 settembre venerdì Liquidazione periodica IVA per soggetti con obbligo mensile • Versamento dell’IVA per i contribuenti mensili relativa al mese di agosto. • Versamento dell’imposta relativa al mese di luglio per i contribuenti mensili che hanno optato per il regime di cui all’art. 1, comma 3, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100 (contabilità affidata a terzi). Versamento imposta di produzione e consumo Ultimo giorno utile per il versamento dell’imposta indiretta sulla produzione e sui consumi per i prodotti in regime fiscale delle accise immessi al consumo nel mese precedente. Versamento imposta unica Versamento imposta unica dovuta per scommesse al totalizzatore e a quota fissa ovvero per concorsi pronostici svolti nel corso del mese precedente. Rateizzazione versamento IVA annuale Versamento rateale IVA annuale. I soggetti che abbiano optato per la rateizzazione mensile dell’imposta a debito risultante dalla liquidazione annuale possono effettuare il relativo versamento maggiorato dell’interesse pari allo 0,33% mensile, esclusivamente mediante modalità telematiche, anche servendosi di intermediari. 70 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Agenda Rateizzazione versamento imposte da UNICO 2016 per soggetti titolari di partita IVA Versamento quarta rata (per i soggetti che rateizzano dal 16 giugno o dal 6 luglio) o terza rata (per i soggetti che rateizzano dal 18 luglio) o seconda rata (per i soggetti che rateizzano dal 22 agosto) delle imposte dovute risultanti dal Mod. UNICO 2016 per soggetti titolari di partita IVA. 21 settembre mercoledì 26 settembre lunedì 30 settembre venerdì Ravvedimento relativo al versamento dell’IVA mensile/trimestrale Ultimo giorno utile per la regolarizzazione entro 30 giorni, con sanzione ridotta all’1,5% (1/10 del 15%), del versamento IVA relativo al mese di luglio/secondo trimestre 2016, non effettuato o effettuato in misura ridotta. Operazioni intracomunitarie Presentazione all’Ufficio doganale competente per territorio degli elenchi riepilogativi degli acquisti e delle cessioni intracomunitarie effettuate nel mese precedente. Ravvedimento entro 15 giorni Ultimo giorno utile per il ravvedimento entro 15 giorni del versamento in scadenza il mese precedente non effettuato o effettuato in misura ridotta. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 15% introdotta per regolarizzazioni entro i 90 giorni, oltre a quanto previsto per i ravvedimenti dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo (quindi 0,1% per ogni giorno di ritardo): la convenienza ad utilizzare tale regolarizzazione si ha quindi effettuando il versamento entro il quattordicesimo giorno successivo al termine. Presentazione dei modelli INTRA 12 Invio telematico del modello INTRA 12 relativo agli acquisti intracomunitari effettuati nel periodo precedente. Sono tenuti alla presentazione del modello INTRA 12 gli enti non commerciali, non soggetti passivi d’imposta, ed i produttori agricoli di cui all’art. 34, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972. Invio telematico dichiarazione annuale Mod. IVA 2016 Invio telematico della dichiarazione annuale ai fini dell’IVA e per l’esercizio delle opzioni ivi indicate, per i soggetti non tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata. Dichiarazione integrativa Mod. IVA 2015 Regolarizzazione delle omissioni e delle irregolarità, relative alla dichiarazione annuale Mod. IVA 2015 ed al versamento dell’IVA relativa al 2014, che andava presentata entro il 30 settembre 2015 in via telematica, con l’effettuazione dell’adempimento omesso o irregolarmente eseguito e il versamento della relativa sanzione per soggetti non tenuti alla presentazione della dichiarazione unificata. Richiesta rimborso IVA assolta in altri Stati membri Richiesta da parte dei soggetti passivi nazionali del rimborso dell’IVA assolta in un altro Stato membro e le modalità di richiesta ed esecuzione dei rimborsi dell’IVA assolta nel territorio dello Stato da soggetti passivi ivi non stabiliti. L’IVA 8-9/2016 71 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Agenda Versamento IVA in seguito ad adeguamento ai parametri per i ricavi o compensi conseguiti nel corso del 2015 Versamento maggior IVA da parte dei contribuenti che adeguano l’importo dei ricavi e compensi conseguiti nel 2015 ai fini dei parametri fiscali. Richiesta di rimborso del credito IVA relativo al 2015 Presentazione della richiesta di rimborso del credito IVA relativo al 2015 per soggetti obbligati all’invio telematico di UNICO o della dichiarazione IVA 2016 entro la data odierna. Ravvedimento UNICO 2015 Termine per la regolarizzazione delle omissioni ed irregolarità relative alle dichiarazioni UNICO 2015 per persone fisiche, società di persone e società di capitali, soggetti equiparati, enti non commerciali con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, tenuti alla presentazione di UNICO 2016 entro la data odierna, relative al versamento delle imposte dovute sui redditi del 2014, usufruendo della riduzione ad un ottavo del minimo della sanzione ordinaria. Presentazione in via telematica di UNICO 2016 Presentazione in via telematica, tramite Entratel o Internet, delle dichiarazioni dei redditi, ed eventuale IVA da dichiarazione unificata, ed IRAP, oltre ai modelli per i dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore e dei parametri. Adempimenti di fine mese Termine adempimenti contabili di fine mese tra i quali si segnalano le autofatture per scambi intracomunitari, la rilevazione dei chilometri sulle schede carburanti, adempimenti agenzie di viaggi. 15 ottobre sabato Annotazione separata dei corrispettivi Termine per la registrazione nel registro corrispettivi delle operazioni effettuate nel mese solare precedente per le quali è stato rilasciato lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale. Fatturazione differita Ultimo giorno utile per emettere le fatture differite relative a beni consegnati o spediti nel mese di settembre. 17 ottobre lunedì Ravvedimento entro 90 giorni dell’IVA mensile I contribuenti possono effettuare l’adempimento omesso o insufficiente entro 90 giorni dal termine ordinario versando il tributo unitamente alla sanzione ridotta pari all’1,67% (1/9 del 15%) dell’imposta non versata e gli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno esclusivamente mediante modalità telematiche. Ravvedimento relativo al versamento dell’IVA mensile Ultimo giorno utile per la regolarizzazione entro 30 giorni, con sanzione ridotta all’1,5% (1/ 10 del 15%), del versamento IVA relativo al mese di agosto, non effettuato o effettuato in misura ridotta. Liquidazione periodica IVA per soggetti con obbligo mensile • Versamento dell’IVA per i contribuenti mensili relativa al mese di settembre. • Versamento dell’imposta relativa al mese di agosto per i contribuenti mensili che hanno optato per il regime di cui all’art. 1, comma 3, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 100 (contabilità affidata a terzi). 72 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Agenda Versamento imposta di produzione e consumo Ultimo giorno utile per il versamento dell’imposta indiretta sulla produzione e sui consumi per i prodotti in regime fiscale delle accise immessi al consumo nel mese precedente. Versamento imposta unica Versamento imposta unica dovuta per scommesse al totalizzatore e a quota fissa ovvero per concorsi pronostici svolti nel corso del mese precedente. Rateizzazione versamento IVA annuale Versamento rateale IVA annuale. I soggetti che abbiano optato per la rateizzazione mensile dell’imposta a debito risultante dalla liquidazione annuale possono effettuare il relativo versamento maggiorato dell’interesse pari allo 0,33% mensile, esclusivamente mediante modalità telematiche, anche servendosi di intermediari. Rateizzazione versamento imposte da UNICO 2016 per soggetti titolari di partita IVA Versamento quinta rata (per i soggetti che rateizzano dal 16 giugno o dal 6 luglio) o quarta rata (per i soggetti che rateizzano dal 18 luglio) o terza rata (per i soggetti che rateizzano dal 22 agosto) delle imposte dovute risultanti dal Mod. UNICO 2016 per soggetti titolari di partita IVA. 20 ottobre giovedì Trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni di verificazione periodica degli apparecchi misuratori fiscali Trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni di verificazione periodica degli apparecchi misuratori fiscali con riferimento ai dati relativi al terzo trimestre 2016. Presentazione dichiarazione IVA e versamento trimestrale IVA per i soggetti che hanno aderito al MOSS Dal 1° gennaio 2015 è in vigore il nuovo regime IVA speciale MOSS (Mini One Stop Shop), il mini sportello unico che consente alle aziende di dichiarare e versare l’IVA dovuta sui servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici prestati a persone che non sono soggetti passivi IVA (B2C) stabiliti in altri Stati membri. Limitatamene a tali operazioni, l’adesione facoltativa al regime consente ai soggetti registrati al Portale MOSS di eseguire gli adempimenti relativi alla Dichiarazione Trimestrale e al Versamento dell’imposta esclusivamente in modalità telematica, attraverso il sito Internet www.agenziaentrate.it. L’Agenzia delle entrate rende disponibili agli operatori nazionali ed a quelli Extra UE registrati al Portale MOSS le funzionalità operative per la trasmissione della dichiarazione IVA, da eseguirsi a partire dal 1° giorno successivo alla chiusura del trimestre precedente e fino al giorno 20 dello stesso mese; entro lo stesso termine, deve essere eseguito il versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione. 25 ottobre martedì Operazioni intracomunitarie Presentazione all’Ufficio doganale competente per territorio degli elenchi riepilogativi degli acquisti e delle cessioni intracomunitarie effettuate nel mese/trimestre precedente. L’IVA 8-9/2016 73 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Agenda 31 ottobre lunedì Ravvedimento entro 15 giorni Ultimo giorno utile per il ravvedimento entro 15 giorni del versamento in scadenza il mese precedente non effettuato o effettuato in misura ridotta. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione del 15% introdotta per regolarizzazioni entro i 90 giorni, oltre a quanto previsto per i ravvedimenti dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo (quindi 0,1% per ogni giorno di ritardo): la convenienza ad utilizzare tale regolarizzazione si ha quindi effettuando il versamento entro il quattordicesimo giorno successivo al termine. Presentazione istanza/modelli di rimborso infrannuale Termine per la presentazione dell’istanza per il rimborso IVA infrannuale relativo al trimestre precedente. I titolari di partita IVA con IVA a credito possono richiedere il rimborso infrannuale, anche per procedere mediante compensazione, al competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate mediante presentazione esclusivamente telematica di apposito modello. Presentazione dei modelli INTRA 12 Invio telematico del Modello INTRA 12 relativo agli acquisti intracomunitari effettuati nel periodo precedente. Sono tenuti alla presentazione del Modello INTRA 12 gli enti non commerciali, non soggetti passivi d’imposta, ed i produttori agricoli di cui all’art. 34, comma 6, del D.P.R. n. 633/1972. Adempimenti di fine mese Termine adempimenti contabili di fine mese tra i quali si segnalano le autofatture per scambi intracomunitari, la rilevazione dei chilometri sulle schede carburanti, adempimenti agenzie di viaggi. 74 L’IVA 8-9/2016 Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.