I volumi pubblicati in questa Collana sono preventivamente sottoposti, in maniera anonima, all’approvazione di due blind referees, uno dei quali preferibilmente straniero. In caso di opinione divergente, essi affidano la valutazione a un terzo di comune elezione. I referees sono: Agostino De Caro, Novella Galantini, Piero Gualtieri, Sergio Lorusso, Mariano Menna, Paolo Moscarini, Gustavo Pansini. © Copyright – DIKE Giuridica Editrice, S.r.l. Roma La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservate per tutti i Paesi. Progetto grafico della copertina Chiara Damiani Realizzazione editoriale Studio Editoriale Cafagna, Barletta Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 Sentenze della Corte e.d.u. e revisione del processo penale I. Dall’autarchia giudiziaria al rimedio straordinario Rosa Maria Geraci A Nani e Simo Indice Introduzione..............................................................IX Capitolo I Tutela convenzionale e superamento dell’autarchia processuale 1. 2. 3. 4. 5. L’evoluzione del sistema di salvaguardia dei diritti umani: dall’esame del caso singolo al controllo di conformità ordinamentale................... 1 La “permeabilità” del sistema processuale penale interno: il superamento dell’autosufficienza...................................................................... 10 (segue) Verso un “Giudice delle leggi” europeo?........................................................................... 28 L’adeguamento convenzionale: “fisio-patologia” di un rapporto................................................. 37 (segue) Maximum Vs minimum standard di tutela ........................................................................ 49 Capitolo II L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 1. Dal contenzioso originario a quello attuale.............. 59 VIII 2. 3. 4. Indice La forza delle pronunce di Strasburgo e la recessività del giudicato interno............................... 68 (segue) La rivisitazione della vicenda giudiziaria nell’ordinamento nazionale......................... 78 L’inerzia legislativa italiana...................................... 84 Capitolo III La supplenza pretoria 1. 2. 3. 4. Escamotages interpretativi a legislazione invariata....................................................................... 95 L’incidente di esecuzione ...................................... 100 Il ricorso straordinario ex art. 625- bis c.p.p........... 112 La restituzione nel termine per impugnare............. 126 Capitolo IV Un nuovo caso di revisione 1. 2. 3. 4. Un’incompatibilità costituzionale (quasi) accertata ma non dichiarata........................................ 137 L’ampliamento del rimedio revocatorio: Corte cost., n. 113 del 2011 ......................................... 148 (segue) Punti fermi ................................................ 158 (segue) Nodi irrisolti............................................... 167 Capitolo V Riflessi sistematici 1. 2. 3. Mutato assetto delle fonti e aporie ricostruttive.......... 179 Tendenze evolutive del sindacato de legitimitate.......................................................................... 182 Manipolazioni teoriche........................................... 188 Introduzione N onostante i reiterati, pressanti moniti provenienti da istituzioni europee e Corte costituzionale affinché anche il nostro Paese si dotasse di un meccanismo idoneo a garantire l’esecuzione delle pronunce del Giudice di Strasburgo, “superando” il giudicato interno reputato unfair, il legislatore italiano è rimasto in una posizione di ostinata, colpevole inerzia: come l’oracolo delfico, ha continuato a ignorare il problema, non dicendo, non negando, ma limitandosi soltanto ad accennare. Fallite le varie iniziative legislative allo scopo avviate nell’ultimo quindicennio, si è così intrapreso un non agevole percorso di supplenza giurisprudenziale, inaugurato dalla Corte di legittimità e completato dal Giudice delle leggi, che con la sentenza n. 113 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non consente l’esperibilità del rimedio straordinario per garantire la riapertura del processo interno necessaria ex art. 46 C.e.d.u. per conformarsi ai dicta della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il presente studio – articolato in due parti – si propone di analizzare la delineata evoluzione. In questo volume ci si soffermerà sull’attuale assetto della tutela convenzionale dei diritti umani, sensibilmente X sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale mutato dall’epoca della sottoscrizione della Convenzione di Roma, avvenuta più di sessant’anni fa. All’analisi dei vari rimedi pretori escogitati nella prassi per sopperire alla citata lacuna legis e alla considerazione degli interventi della Corte costituzionale si affiancherà una riflessione sulle conseguenze “sistemiche” degli stessi, incidenti sull’assetto delle fonti del diritto, sui connotati del sindacato della Corte di legittimità e sulla “precarizzazione” di talune concezioni dogmatiche fondamentali. Nella seconda parte del lavoro, si cercherà invece di ricostruire l’esatta fisionomia e le concrete cadenze procedimentali del nuovo rimedio della “revisione europea”, invero solo abbozzate dalla sentenza n. 113 del 2011 e solo in parte coincidenti con i tratti tipici del rimedio straordinario “classico” codificato agli artt. 629 ss. c.p.p. All’approfondimento della natura del nuovo istituto revocatorio si accompagnerà, in una prospettiva de iure condendo, qualche riflessione circa le direttrici che un auspicato, futuro intervento legislativo in materia potrebbe seguire. Capitolo I Tutela convenzionale e superamento dell’autarchia processuale Sommario: 1. L’evoluzione del sistema di salvaguardia dei diritti umani: dall’esame del caso singolo al controllo di conformità ordinamentale – 2. La “permeabilità” del sistema processuale penale interno: il superamento dell’autosufficienza – 3. (segue) Verso un “Giudice delle leggi” europeo? – 4. L’adeguamento convenzionale: “fisio-patologia” di un rapporto – 5. (segue) Maximum Vs minimum standard di tutela 1. L’evoluzione del sistema di salvaguardia dei diritti umani: dall’esame del caso singolo al controllo di conformità ordinamentale Una lenta, inevitabile e non indolore evoluzione ha, negli ultimi anni, coinvolto le questioni nevralgiche di un sistema giuridico divenuto ormai “multilivello”:1 efficacia delle Cfr. P. Bilancia – E. De Marco, La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004; M. Cartabia, The multilevel protection of fundamental rights in Europe: the European pluralism and the need for a judicial dialogue, in C. Casonato (a cura di), The protection of fundamental rights in Europe: lessons from Canada, Trento, 2003; G. D’Ignazio (a cura di), Multilevel constitutionalism tra integrazione europea e riforme degli ordinamenti decentrati, Milano, 2011; I. Pernice, Multilevel Constitutionalism in the European 1 2 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, natura dell’obbligo giuridico di conformarsi alle stesse gravante sugli ordinamenti nazionali, superamento del dogma dell’intangibilità del giudicato interno, rango delle disposizioni C.e.d.u.2 nell’ambito della gerarchia delle fonti del diritto. Ne è derivata una profonda incidenza sugli stessi assetti del processo penale che, ormai permeabile all’apporto di fonti ultranazionali, ha perso il tradizionale connotato di “autarchia normativa ed interpretativa”,3 per trovarsi esposto ad una «mutazione del suo stesso profilo genetico», conseguenza di una sorta di fenomeno di “globalizzazione giuridica” in qualche modo parallelo a quello verificatosi in campo economico e sociale.4 Union, in European Law Review, 2002, p. 511 ss. Di “ordinamento integrato”, costituito dall’ordinamento nazionale e da quello riconducibile al sistema della C.e.d.u. parla E. Selvaggi, Il nuovo ruolo del giudice in un ordinamento integrato, in www.europeanrights.eu, 2011, p.1. 2 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (C.e.d.u.) è stata sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950; ad essa è stata data esecuzione con la legge di ratifica 4 agosto 1955, n. 848. Per una ricostruzione storico-politica della sua genesi, si v. J. G. Merrils – A. H. Robertson, Human rights in Europe, A study of the European Convention on Human Rights, Manchester, 2001; L. E. Pettiti – E. Decaux – P. H. Imbert, La Convention Européenne des Droits de l’Homme, Commentaire article par article, Paris, 1995, p. 3 ss 3 R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, 2008, p. 7. 4 O. Mazza, La procedura penale, in F. Viganò – O. Mazza, Europa e giustizia penale, in Dir. pen. proc., Gli Speciali, 2011, p. 33, il quale sottolinea come siano ormai cambiate «le fonti, la natura, le finalità ultime e la vera ragion d’essere del processo». Capitolo I – Tutela convenzionale 3 Decisiva, nella descritta evoluzione, la trasformazione dei caratteri fondamentali della giurisdizione esercitata a Strasburgo e della vincolatività dei relativi dicta. Per lungo tempo, infatti, la percezione diffusa in ordine alla valenza dei principi sanciti dalla Convenzione di Roma è stata fortemente condizionata in negativo dal convincimento di una scarsa efficacia delle pronunce del Giudice europeo,5 cui invero non è stato del tutto estraneo lo stesso orientamento giurisprudenziale convenzionale incline ad attriburire a dette sentenze un’efficacia meramente dichiarativa. Arroccandosi su un’interpretazione letterale dell’art. 41 C.e.d.u.,6 che le attribuisce espressamente la sola competenza a determinare, in caso di accertata violazione, l’eventuale riparazione pecuniaria, nonché in qual- M. Chiavario, Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e nuovi problemi: cenni introduttivi, in Processo penale e giustizia europea. Omaggio a Giovanni Conso, Atti del convegno di Torino, 26-27 settembre 2008, Milano, 2010, pp. 233-234, il quale osserva efficacemente come «anche la maggior parte di coloro che qualche attenzione, a questa giurisprudenza, la davano, finivano per lo più col comportarsi come si fa con un ospite di riguardo a un banchetto di prestigio, che si ascolta e magari si cita con rispetto (anche quando parla di specialità prelibate) ma che non vale poi la pena di tenere realmente in conto perché si presume che non si sporchi mai le mani in cucina». 6 In caso di condanna da parte della Corte di Strasburgo, lo Stato membro – tenuto ai sensi dell’art. 46 C.e.d.u. a conformarsi alle sentenze definitive della Corte per le controversie di cui è parte – diventa destinatario di una serie di obblighi consequenziali: quello primario di rimuovere la violazione normativa accertata, ripristinando la situazione anteriore alla stessa (cd. restitutio in integrum); quello secondario – e solo sussidiario – di corrispondere una satisfaction équitable alla vittima ove la normativa nazionale non consenta una completa riparazione. 5 4 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale che modo condizionata dai timori statuali di abdicare a una parte di sovranità nazionale, la Corte europea ha, infatti, più volte ribadito la sua incompetenza ad indicare agli Stati convenuti le misure riparatorie necessarie per assolvere compiutamente all’obbligo fissato all’art. 46 C.e.d.u. Di conseguenza, si è affermata la sostanziale libertà dei Paesi membri nella scelta dei mezzi tecnici più appropriati per conformarsi al decisum sovranazionale7 – purché, naturalmente, «compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte»8 – costituendo, dunque, l’obbligo di ottemperanza un “obbligo di risultato”.9 È ricorrente l’affermazione secondo cui «the contracting parts are free to choose the means whereby they will comply with a judgment in which the Court has found a breach». In questo senso, ex plurimis, Corte e.d.u., 13 luglio 1996, Nasri c. Francia, § 49; Id., 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos e altri c. Grecia, § 34; Id., 23 maggio 1991, Obserschilck c. Austria, § 65; Id., 24 maggio 1989, Hauschildt c. Danimarca, § 54; Id., 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia, § 30; Id., 22 marzo 1983, Campbell c. Regno Unito, § 16. Come osserva F. Callari, La firmitas del giudicato, Milano, 2009, p. 331, in questa prospettiva «le autorità nazionali sono chiamate a disciplinare all’interno del loro sistema giuridico – in maniera discrezionale nel quomodo ma inderogabile nell’an – misure concrete idonee a ripristinare effettivamente la situazione preesistente alla […] violazione normativa accertata». 8 Corte e.d.u., Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, § 147; Id., 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, §§ 119 e 127; Id., Grande Camera, 12 maggio 2005, Ocalan c. Turchia. 9 In argomento, cfr. V. Esposito, La libertà degli Stati nella scelta dei mezzi attuativi delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in I Diritti dell’uomo, cronache e battaglie, 2002, n. 1, p. 17, nonché A. Saccucci, Obblighi di riparazione e revisione dei processi nella Convenzione europea dei diritti umani, in Riv. dir. int., 2002, p. 618. 7 Capitolo I – Tutela convenzionale 5 Tale orientamento ha cominciato a subire qualche incrinatura nell’ultimo decennio, quando la Corte, superando i limiti della predetta esegesi testuale della Convenzione, ha iniziato ad ampliare l’ambito della sua competenza, specificando nelle proprie sentenze quali misure di carattere generale (atte, cioè, a rimediare a situazioni deficitarie strutturali degli ordinamenti nazionali causa di attrito con i principi convenzionali) o individuale (ossia idonee a porre fine alla riscontrata violazione, eliminando le conseguenze pregiudizievoli della stessa e ripristinando per quanto possibile la situazione anteatta) si rendessero di volta in volta necessarie per adempiere all’obbligo di esecuzione ex art. 46 C.e.d.u. Si è così passati da un sistema di controllo sovranazionale sull’equità processuale circoscritto all’operato delle autorità nazionali con riguardo al singolo caso considerato, con conseguenze limitate – in caso di accertata violazione – al mero indennizzo pecuniario, a un sindacato esteso anche alla conformità degli ordinamenti nazionali ai principi europei (e, dunque, un sindacato che può investire anche le legislazioni), con conseguente vincolo gravante sul Paese membro di adottare, in caso di riscontrato deficit strutturale di tutela, i necessari correttivi normativi per adeguare il diritto interno agli standard di tutela pretesi in sede europea.10 È questa una autentica «mutazione genetica»11 del sisteO. Mazza, La procedura penale, cit., p. 35. G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee per violazioni dell’equità processuale, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea, cit., p. 99. La pronuncia che inaugura il nuovo indirizzo del Giudice sovranazionale è Corte e.d.u., Grande Camera, 22 giugno 2004, Broniowski c. Polonia, §§ 188-194, che, ricollegando l’accertata violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 ad un 10 11 6 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale ma di tutela europeo dei diritti umani, ai cui fini hanno svolto un ruolo significativo una serie di evenienze sinergiche via via succedutesi nel tempo, che hanno avuto l’effetto di rafforzare il carattere giurisdizionale della Corte, erodendo talune prerogative fino ad allora ritenute di esclusivo dominio del Comitato dei Ministri, quale organo naturalmente preposto al controllo sull’esecuzione delle decisioni del Giudice europeo.12 Tra dette evenienze, degna di menzione è innanzitutto l’adozione del Protocollo aggiuntivo n. 14,13 che ha attribuito alla Corte un ruolo di collaborazione con il Comitato deficit strutturale della legislazione polacca, si è spinta sino ad indicare allo Stato convenuto le misure di ordine generale necessarie per evitare il ripetersi di ulteriori violazioni analoghe a quelle sottoposte a scrutinio. 12 In argomento, cfr. M. De Salvia, L’obbligo degli Stati di conformarsi alle decisioni della Corte europea e del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea, cit., p. 76 ss. 13 Tale Protocollo, adottato il 13 maggio 2004 e ratificato dall’Italia con la legge 15 dicembre 2005, n. 280 (in Guida dir., 2006, n. 3, p. 14), è entrato in vigore nel giugno 2010. In argomento, cfr. G. Cohen-Jonathan – J. F. Flauss, La réforme du système de contrôle contentieux de la Convention européenne des droits de l’homme: le protocole n° 14 et les recommandations du Comité des ministres, Bruxelles, 2005; M. De Stefano, La riforma della Corte europea dei diritti dell’uomo dopo il Protocollo n. 14, in I diritti dell’uomo, 2010, p. 29 ss.; F. Salerno, Le modifiche strutturali apportate dal Protocollo n. 14 alla procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int. priv. proc., 2006, p. 377 ss.; E. Savarese, Il Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int., 2004, p. 716 ss.; P. Tanzarella, Il futuro della Corte europea dei diritti dopo il Protocollo XIV, in Quad. cost., 2010, p. 423 ss.; U. Villani, Il Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Comun. int., 2004, p. 491 ss. Capitolo I – Tutela convenzionale 7 stesso nell’esercizio delle citate funzioni di controllo, prevedendo uno specifico procedimento di infrazione per lo Stato membro che non ottempera all’esecuzione delle decisioni del Giudice di Strasburgo.14 Fondamentale appare, poi, l’approvazione della Raccomandazione R (2000) 2 del 19 gennaio 2000,15 che, focalizzando l’attenzione sulla “riapertura del processo” quale misura di adempimento in forma specifica dell’obbligo di riparazione in grado di assicurare la restitutio in integrum, ha rivolto un invito agli Stati contraenti «ad esaminare i rispettivi ordinamenti nazionali allo scopo di assicurare che esistano adeguate possibilità di riesame di un caso, ivi compresa la riapertura di procedimenti,16 laddove la Corte ha riscontrato una violazione della Convenzione e in particolare Il Comitato dei Ministri, nel suo ruolo di organo vigilante l’esecuzione delle sentenze della Corte europea da parte degli Stati membri, in caso di inottemperanza alle stesse, può adire la medesima Corte, che, ove accerti l’inadempimento, può rinviare la causa al Comitato «affinché esamini le misure da adottare» (art. 46, comma 5 C.e.d.u.). In tal modo, si istituisce nei confronti dei Paesi convenuti un meccanismo di pressione per l’esecuzione del giudicato sovranazionale più incisivo rispetto alla precedente semplice moral suasion, consistente nell’avvertimento pedagogico insito nella pronuncia di condanna del giudice europeo. 15 Per il testo tradotto in italiano, v. Dir. pen. proc., 2000, p. 391 ss.; per il testo in inglese, v. S. Buzzelli – O. Mazza, Codice di procedura penale europea, Milano, 2005, pp. 953-954. In argomento, v. G. Ubertis, La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Dir. pen. proc., 2010, pp. 372-373. 16 L’Explanatory Memorandum alla Raccomandazione precisa che la «riapertura» si riferisce alle ipotesi caratterizzate dall’intervento delle autorità giurisdizionali, mentre il «riesame» attiene ai casi di intervento di autorità non giurisdizionali, specie amministrative. 14 8 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale allorché […] la sentenza della Corte induce alla conclusione che: a) la decisione interna impugnata è nel merito contraria alla Convenzione; b) la violazione riscontrata è costituita da errores o da altre mancanze di tale gravità da far sorgere seri dubbi sull’esito del procedimento nazionale considerato». La res iudicata in tali eventualità deve, dunque, cedere alla tutela dei diritti dell’individuo, sempre che però la vittima «continu[i] a soffrire delle conseguenze negative molto gravi in seguito alla decisione nazionale, conseguenze che non possono essere compensate dall’equa soddisfazione e che non possono essere rimosse se non attraverso il riesame o la riapertura» del caso. Al mutamento dei caratteri della giurisdizione di Strasburgo hanno inoltre contribuito ulteriori atti, in correlazione funzionale con quelli fin qui menzionati. Tra questi, innanzitutto, la Raccomandazione R (2004) 5 del 12 maggio 2004, sulla verifica di compatibilità dei progetti di legge, delle leggi in vigore e delle pratiche applicative amministrative con le norme della C.e.d.u., nonché la Raccomandazione R (2004) 6 del 12 maggio 2004, sul miglioramento dei rimedi interni idonei a superare carenze sistematiche, che ha ribadito la necessità di un puntuale adeguamento delle autorità giudiziarie nazionali alla giurisprudenza europea nell’applicaziuone del diritto interno, onde prevenire reiterati interventi della Corte europea su questioni identiche o analoghe. E nella medesima prospettiva, particolarmente degna di nota appare la recente regolamentazione della cd. “procedura di sentenza pilota”, peculiare tecnica di risoluzione dei ricorsi cd. “ripetitivi” – ossia che originano da violazioni analoghe inerenti a deficit strutturali – che, dapprima nata nella prassi, ha da poco trovato un’apposita formalizzazione Capitolo I – Tutela convenzionale 9 normativa con l’introduzione nel Regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo del “nuovo” art. 61.17 Sul piano normativo interno, in una linea ideale di sostanziale continuità con la legge 15 febbraio 2005, n. 280, che ha autorizzato la ratifica ed ha dato esecuzione al citato Protocollo n. 14, vanno poi ricordate la l. 9 gennaio 2006, n. 12, che ha modificato la legge n. 400 del 1988, inserendo tra le attività del Presidente del Consiglio dei Ministri anche il compito di «promuovere gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello Stato italiano», prevedendo che lo stesso debba «comunica[re] tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta[re] annualmente al parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce»,18 nonché la modifica regolamentare (d.P.R. 28 novembre 2005, n. 289) del t.u. delle disposizioni sul casellario giudiziale (14 novembre 2002, n. 313), che ha previsto l’iscrizione nel casellario dell’ “estratto” delle sentenze definitive adottate dalla Corte di Strasburgo nei confronti del nostro Paese «concernenti i provvedimenti giudiziali ed amministrativi definitivi delle autorità nazionali già iscritti, di seguito alla preesistente iscrizione cui esse si riferiscono». In proposito, v. più diffusamente infra, par. 3. In argomento, v. E. Lupo, La vincolatività delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo per il giudice interno e la svolta recente della Cassazione civile e penale, in Cass. pen., 2007, p. 2247 ss., il quale (p. 2248) osserva come la prima parte di tale disposizione «prevede un compito di tenore uguale a quello già attribuito al presidente del Consiglio in relazione alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee (confronto tra lett. a) ed a-bis) del comma 3 dell’art. 5 della l. n. 400)». 17 18 10 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Interventi, tutti, che ribadiscono la preminenza dei principi consacrati nella C.e.d.u. e il ruolo fondamentale della Corte di Strasburgo quale vettore della loro pratica efficacia, le cui pronunce – ormai destinate a censurare anche le disfunzioni ordinamentali addebitabili a difetti sistemici degli Stati parte – devono trovare puntuale ottemperanza nell’ordinamento interno. 2. La “permeabilità” del sistema processuale penale interno: il superamento dell’autosufficienza La delineata trasformazione del sistema europeo di protezione dei diritti dell’uomo ha posto le basi per la dismissione del connotato “statocentrico” della disciplina processuale, «abbandonando secolari tradizioni di autarchia normativa e interpretativa».19 A tal fine, l’ulteriore passaggio decisivo per il completamento del delineato iter evolutivo è stato costituito dall’apertura del sistema processuale all’apporto di fonti di matrice sovranazionale, con il definitivo superamento dei limiti della sovranità statale, ben rappresentati da una rigida gerarchia delle fonti interne.20 Già all’epoca della ratifica del testo convenzionale, gli orientamenti più sensibili alle tematiche inerenti la protezione dei diritti umani avevano percepito che la Convenzione europea fosse «qualcosa di non assimilabile, puramente e semplicemente, alle classiche convenzioni internazionali, per la cui immissione nell’ordinamento poteva essere sufficiente l’altrettanto classica formuletta dell’ordine di R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, cit., p. 7. 20 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 35. 19 Capitolo I – Tutela convenzionale 11 esecuzione (“piena e intera esecuzione è data alle norme contenute nella Convenzione”)», essendo invece opportuno riconoscerle «carattere paracostituzionale» e, dunque, inserirla nell’ordinamento attraverso «una legge costituzionale», strumento idoneo ad assicurarle «un livello effettivamente adeguato» di recepimento.21 Ciò tuttavia non è avvenuto, e la ratifica e l’ordine di esecuzione della Convenzione di Roma sono stati effettuati con semplice legge ordinaria.22 Dal punto di vista dell’ordinamento interno, dunque, il testo convenzionale ha assunto il medesimo rango dell’atto di recepimento, ossia quello di fonte del diritto di tipo primario,23 sì da non risultare preservato dall’eventuale contrasto con leggi o atti aventi forza di legge ad essa successivi.24 M. Chiavario, Giustizia europea e processo penale, cit., p. 231. Legge 4 agosto 1955, n. 848. 23 Corte cost., sent. 22 dicembre 1980, n. 188, in Giur. cost., 1980, I, p. 1626; Id., sent. 10 febbraio 1981, n. 17, ivi, 1981, I, p. 87; Id., sent. 1° febbraio 1982, n. 15, ivi, 1982, I, p. 85, con nota di L. Carlassare, Una possibile lettura in positivo della sentenza n. 15?; Id., sent. 5 luglio 1990, n. 315, ivi, 1990, p. 2017; Id., sent., 22 marzo 2001, n. 73, ivi, 2001, p. 428. 24 In argomento, cfr. M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea, cit., pp. 36-37. Per scongiurare tale eventualità e salvaguardarsi da possibili “regressioni di tutela” nella legislazione statale, si sarebbe dovuto attribuire alle norme convenzionali un “grado di resistenza” superiore a quello delle norme ordinarie interne (cfr. M. Chiavario, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano, 1969, p. 50), ciò che, secondo taluni Autori, sarebbe derivato dal “carattere di specialità” proprio delle leggi di esecuzione dei trattati internazionali (B. Conforti, La «specialità» dei trattati internazionali eseguiti nell’ordine interno, in Studi in onore di Balladore 21 22 12 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale L’inadeguatezza di tale impostazione25 – invero non condivisa da ampia parte della letteratura, a lungo impegnata nel tentativo di individuare una copertura costituzionale Pallieri, II, Milano, 1978, p. 187 ss.; G. Raimondi, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento italiano. Nota minima a margine della sentenza Ciulla, in Riv. int. dir. uomo, 1990, pp. 40-41). In giurisprudenza, nel senso che le disposizioni della C.e.d.u., in quanto principi generali dell’ordinamento, godono di una particolare forma di resistenza nei confronti della legislazione nazionale posteriore, Cass., Sez. I, 12 maggio 1993, n. 2194, Medrano, in Cass. pen., 1994, p. 439, con nota di G. Raimondi, Un nuovo status nell’ordinamento italiano per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo; nel senso che le norme de quibus, salvo quelle il cui contenuto sia da considerarsi così generico da non delineare specie sufficientemente puntualizzate, sono di immediata applicazione nel nostro Paese e vanno concretamente valutate nella loro incidenza sul più ampio complesso normativo che si è venuto a determinare in conseguenza del loro inserimento nell’ordinamento italiano, Cass., Sez. Un., 23 novembre 1988, n. 15, Polo Castro, in Giust. pen., 1990, II, p. 599; la pronuncia ha altresì precisato che la “precettività” delle norme della Convenzione consegue dal principio di adattamento del diritto italiano al diritto internazionale convenzionale, per cui ove l’atto o il fatto normativo internazionale contenga il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali, tale cioè da poter senz’altro creare obblighi e diritti, l’adozione interna del modello di origine internazionale è automatica (adattamento automatico); ove invece l’atto internazionale non contenga detto modello, le situazioni giuridiche interne da esso imposte abbisognano, per realizzarsi, di una specifica attività normativa dello Stato. 25 Cfr. E. Amodio, La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, p. 857; M. Chiavario, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative, cit., p. 51 ss.; G. Raimondi, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella gerarchia delle fonti, cit., p. 41. Capitolo I – Tutela convenzionale 13 alla C.e.d.u.,26 di volta in volta alla luce dei parametri di cui agli artt. 1027, 1128 e 2 Cost.,29 nonché da un fondamentale, Per una panoramica, G. Sorrenti, Le Carte internazionali sui diritti umani: un’ipotesi di “copertura” costituzionale a più facce, in Pol. dir., 1997, p. 349 ss.; D. Tega, La CEDU e l’ordinamento italiano, in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione, Bologna, 2007, p. 71 ss. 27 Nel senso che, in virtù del principio pacta sunt servanda, l’adattamento automatico previsto dal primo comma di tale norma dovrebbe applicarsi a tutti i trattati internazionali, R. Quadri, Diritto internazionale pubblico, Palermo, 1949, p. 46. In una diversa prospettiva, “contenutistica” e “parziale”, si è invece sostenuto che nella sola parte in cui la C.e.d.u. non ha valore innovativo, ma si limita con le sue disposizioni a codificare consuetudini internazionali o principi internazionali generalmente riconosciuti, essa rientra nell’area di operatività dell’art. 10, comma 1 Cost., con conseguente soggezione al meccanismo dell’adattamento automatico e riconoscimento di rango costituzionale nell’ordinamento interno (F. Cocozza, Diritto comune delle libertà in Europa, Torino, 1994, p. 68 ss; G. Sorrenti, La Corte corregge il giudice a quo o piuttosto…se stessa? In tema di copertura costituzionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in Giur. cost., 1999, p. 2301 ss.). 28 Nella prospettiva secondo cui la C.e.d.u. rientrerebbe tra i trattati attraverso cui il nostro Paese acconsente alle «limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni» (P. Mori, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto delle Nazioni Unite e Costituzione italiana, in Riv. dir. int., 1983, p. 306 ss.). Per le conseguenze di tale impostazione, in termini di “primato” delle norme europee, si v. M. Cartabia, sub Art. 11 Cost., in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, I, Torino, 2006, p. 264 ss. 29 Concependo tale norma come “clausola aperta”, grazie alla quale il riconoscimento costituzionale è accordato non solo ai menzionati «diritti inviolabili», ma anche ai diritti riconosciuti dalle Convenzioni interna26 14 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale quanto isolato, intervento dello stesso Giudice delle leggi30 – è stata definitivamente superata dopo la modifica apportata all’art. 117 Cost. dalla riforma del titolo V della Carta fondamentale.31 Muovendo dalla statuizione di cui al comma 1 di tale disposizione, secondo cui «la potestà legislativa è esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali», la Corte costituzionale con due pronunce epocali, le “sentenze gemelle” n. 348 e 349 del 2007,32 ha riconosciuto alle previsioni della zionali sui diritti umani (A. Barbera, sub Art. 2 Cost., in G. Branca, Commentario della Costituzione. Principi fondamentali. Artt. 1-12, Bologna-Roma, 1975, p. 80 ss.). 30 Corte cost., sent. 19 gennaio 1993, n. 10, in Cass. pen., 1993, p. 796, che ha affermato la natura di “fonte atipica” della Convenzione europea, dotata di una efficacia normativa potenziata rispetto allo strumento legislativo di recepimento e, come tale, connotata da una particolare forma di resistenza rispetto alla abrogazione o modificazione ad opera di disposizioni di legge ordinaria. In senso critico su tale affermazione, giudicata «dogmaticamente non ineccepibile», G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre” della Corte costituzionale e alcune discutibili reazioni, ivi, 2012, p. 19, nonché E. Lupo, Il diritto dell’imputato straniero all’assistenza dell’interprete tra codice e convenzioni internazionali, in Giur. cost., 1993, p. 73, che la reputa «oscura ed equivoca». 31 Art. 3, l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3. In argomento, v. B. Conforti, Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, in Foro it., 2002, V, p. 229 ss. 32 Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, in Giur. cost., 2007, p. 3475, con note di C. Pinelli, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa confliggenti, e di A. Moscarini, Indennità di espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti (e uno indietro) della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo; Id., sent. 22 ottobre 2007, n. 349, ivi, 2007, p. 3535, con note di M. Cartabia, Le sentenze «gemelle»: diritti fondamentali, Capitolo I – Tutela convenzionale 15 C.e.d.u., come interpretate dalla Corte di Strasburgo, il rango di c.d. “norme interposte”, collocandole nella gerarchia delle fonti del diritto ad un livello inferiore rispetto alla Costituzione e superiore rispetto alla legge ordinaria.33 Con la fonti, giudici, di A. Guazzarotti, La Corte e la CEDU: il problematico confronto di standard di tutela alla luce dell’art. 117, comma 1, Cost. e di V. Sciarabba, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali. 33 L’orientamento è stato di seguito confermato da Corte cost., sent. 27 febbraio 2008, n. 39, in Giur. cost., 2008, p. 408; Id., sent. 26 novembre 2009, n. 311, ivi, 2009, p. 4657, con nota di M. Massa, La «sostanza» della giurisprudenza europea sulle leggi retroattive; Id., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, ivi, 2009, p. 4747, con note di G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, e di F. Bilancia, Con l’obiettivo di assicurare l’effettività degli strumenti di garanzia la Corte costituzionale italiana funzionalizza il «margine di apprezzamento» statale, di cui alla giurisprudenza CEDU, alla garanzia degli stessi diritti fondamentali; Id., sent. 12 marzo 2010, n. 93, ivi, 2010, p. 1053, con note di A. Gaito – S. Furfaro, Consensi e dissensi sul ruolo e sulla funzione della pubblicità delle udienze penali, e di F. Licata, Il rito camerale di prevenzione di fronte ai diritti fondamentali; Id., sent. 15 aprile 2010, n. 138, ivi, 2010, p. 1604, con nota di R. Romboli, Il diritto «consentito» al matrimonio e il diritto «garantito» alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco»; Id., sent. 28 maggio 2010, n. 187, ivi, 2010, p. 2212; Id., sent., 4 giugno 2010, n. 196, in Foro it. 2010, I, p. 2306; Id., sent. 5 gennaio 2011, n. 1, in Giur. cost., 2011, p. 1, con nota di P. Carnevale, La tutela del legittimo affidamento…cerca casa; Id., sent. 12 gennaio 2011, n. 11, ivi, 2011, p. 101; Id., sent. 7 aprile 2011, n. 113, in Guida dir., 2011, n. 17, p. 44, con note di P. Gaeta, Al decisore interno la singola valutazione sul grado di “contaminazione” delle prove, e M. Castellaneta, Grande impatto sull’attuale gerarchia delle fonti. Sulla perdurante validità di questa ricostruzione dopo l’entrata in 16 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale conseguenza che, essendo, come detto, alla luce dell’art. 117, comma 1 Cost., il legislatore italiano tenuto a rispettare i «vincoli derivanti […] dagli obblighi internazionali», il giudice nazionale deve interpretare il diritto interno in senso conforme alla disciplina sovranazionale, nel limite massimo consentito dal testo della legge domestica e nel rispetto degli indirizzi ermeneutici della Corte di Strasburgo. Nell’eventualità di un contrasto tra le due normative, a differenza di quanto consentito per la disciplina comunitaria, non può egli disapplicare la legge interna, ma è tenuto ad investire della questione la Corte costituzionale, chiamata ad effettuare un duplice vaglio di compatibilità: della normativa nazionale con quella pattizia, pervenendo in caso di esito negativo ad una declaratoria di illegittimità della prima con riferimento al parametro contenuto all’art. 117, comma 1 Cost.; della legge sovranazionale con la Costituzione,34 vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, Id., sent. 11 marzo 2011, n. 80, in Riv. dir. int., 2011, n. 2, p. 578. In generale, sull’argomento, si v. pure M. Bignami, L’interpretazione del giudice comune nella «morsa» delle corti sovranazionali, ivi, 2008, p. 595; M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 33 ss.; R. Cisotta, Trattati internazionali, diritto comunitario e strumenti di protezione dei diritti umani davanti alla Corte costituzionale italiana, in Pace diritti umani, 2007, p. 87; B. Piattoli, Diritto giurisprudenziale Cedu, garanzie europee e prospettive costituzionali, in Dir. pen. proc., 2008, p. 262; P. Tonini, Processo penale e norme internazionali, cit., p. 417. Per un inquadramento della tematica anteriore alle pronunce della Consulta, v. M. Luciani, voce Fonti del diritto, in Il Diritto, Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2008, VI, p. 482. 34 Come osserva P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, Bologna, 2012, p. 209, «bene ha fatto la Consulta a riservarsi il giudizio sulla compatibilità delle norme sovranazionali rispetto alla Costituzione; altrimenti si sa- Capitolo I – Tutela convenzionale 17 comportando l’eventuale contrasto l’inidoneità della norma convenzionale a integrare il parametro costituzionale invocato, nonché la sua espunzione dall’ordinamento giuridico italiano, attraverso la dichiarazione di illegittimità in parte qua della legge di esecuzione.35 rebbe giunti al paradosso di dichiarare illegittima, per contrasto con la Convenzione, una disposizione di legge ordinaria non solo compatibile con la Costituzione, ma addirittura da essa imposta». 35 Il delineato assetto delle fonti pare, peraltro, suscettibile in futuro di ulteriori evoluzioni a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (avvenuta il 1° dicembre 2009), che ha modificato l’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, ponendo la base giuridica per un’adesione dell’Unione Europea alla C.e.d.u. quale Alta Parte Contraente (art. 6, comma 2: «L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»; comma 3: «i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali»). Ciò, com’è evidente, avrebbe rilevanti ripercussioni quanto a “comunitarizzazione” dei principi sanciti nel testo convenzionale, con conseguente diretta applicabilità degli stessi negli ordinamenti nazionali e possibile disapplicazione della normativa interna con essi confliggente. Queste sono le conclusioni cui è già pervenuta parte della giurisprudenza amministrativa che, nel precisare come il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia desumibile dagli artt. 24 Cost. e 6 e 13 C.e.d.u., ha affermato che questi ultimi sono ormai «divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato di Lisbona» (Cons. St., sez. IV, sent. 19 gennaio 2010, n. 1220, in Guida dir., 2010, n. 14, p. 88 ss., con nota di G. Colavitti – C. Pagotto, La diretta applicazione del Trattato di Lisbona garantisce la tutela effettiva del ricorrente). Sulla stessa linea interpretativa, si è successivamente statuito che la gerarchia delle fonti delineata dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007 «appare destinata a nuovi e ancor più incisivi sviluppi a seguito dell’entrata in vigore […] del Trattato di 18 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Evidente la portata “rivoluzionaria” di tale arresto36 che, attribuendo alle norme convenzionali, nell’interpretazione datane dal diritto vivente della Corte europea, il valore di fonti integratrici del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117, comma 1 Cost., non solo fa assurgere il diritto convenzionale a canone di valutazione della legittimità del diritto processuale penale interno, ma annovera espres- Lisbona»: «l’adesione dell’Unione alla CEDU, con la modifica dell’art. 6 del Trattato» comporta, infatti, il «riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU come principi interni al diritto dell’Unione», con «immediate conseguenze di assoluto rilievo» poiché «le norme della Convenzione divengono immediatamente operanti negli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione, e quindi nel nostro ordinamento nazionale, in forza del diritto comunitario, e quindi in Italia ai sensi dell’art. 11 della Costituzione, venendo in tal modo in rilievo l’ampia e decennale evoluzione giurisprudenziale che ha, infine, portato all’obbligo, per il giudice nazionale, di interpretare le norme nazionali in conformità al diritto comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario, previa eventuale pronuncia del giudice comunitario, ma senza dover transitare per il filtro dell’accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno» (T.A.R. Lazio, sez. II bis, 18 maggio 2010, n. 11984, in www.giustizia-amministrativa. it; in argomento, in dottrina si v. A. Gaito, L’adattamento del diritto interno alle fonti europee, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2010, p. 39 ss.). Tali “fughe in avanti” della giurisprudenza sono state, tuttavia, smentite dal Giudice delle leggi che, con la sentenza 11 marzo 2011, n. 80, cit., ha escluso che il nuovo testo dell’art. 6 TUE, come sostituito dal trattato di Lisbona, implichi l’immediata “comunitarizzazione” della C.e.d.u., risultando prematura nelle more dell’adesione dell’U.E. al testo convenzionale, tale conclusione. 36 Di «vera e propria “rivoluzione d’ottobre” nell’ordinamento giuridico del nostro Paese», in virtù di una singolare coincidenza di date con la rivoluzione sovietica del 1917, parla G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre”, cit., p. 19. Capitolo I – Tutela convenzionale 19 samente in esso anche l’interpretazione che di quel diritto fornisce la giurisprudenza europea. Si verifica, insomma, un ampliamento del sindacato di costituzionalità che, varcando i confini della Grundnorm domestica, si estende – con conseguente potenziale ulteriore “permeabilità” delle disposizioni processuali penali interne – non solo ai principi testualmente consacrati nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma anche alle molteplici e poliedriche interpretazioni che di essi la Corte di Strasburgo ha nel corso degli anni forgiato.37 Ciò sulla base della premessa espressamente dichiarata che «le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte EDU», di tal ché «la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata».38 Come efficacemente osserva V. Manes, Introduzione, cit., p. 7, ci si trova così di fronte ad una Carta «singolarmente “ipertestuale”», posto che «l’articolato della Convenzione – piuttosto essenziale e “scarno” nella sua formulazione – va letto alla luce della ricchissima giurisprudenza della Corte di Strasburgo». 38 Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, cit. Il principio di incorporazione delle interpretazioni giurisprudenziali alla Convenzione è già esplicitato nella risalente pronuncia Corte e.d.u., 18 gennaio 1978, Irlanda c. Regno Unito, § 154, ed è ripreso nelle più recenti Corte e.d.u., 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura c. Italia, § 48, e Id., 27 marzo 2003, Scordino c. Italia, secondo cui «Article 6 of the Convention makes it possible to transfer to domestic level “the limits of applicability of the same provision existing at International level, limits which depend essentially on the State and on the development of the case-law of the Strasbourg authorities, especially that of the European Court of Human Rights, whose decisions must therefore guide […] the domestic court in the definition of these limits”». 37 20 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Prospettiva, questa, che se dal punto di vista della coerenza tutta interna al sistema convenzionale può avere una sua ragion d’essere, presenta tuttavia non trascurabili profili di criticità nel momento in cui si ripercuote anche all’ambito dei rapporti di questo con l’ordinamento interno. Vero è, infatti, come osserva lo stesso Giudice delle leggi, che gli Stati parte hanno riconosciuto alla Corte europea una «funzione interpretativa eminente», che contribuisce a precisare gli obblighi sugli stessi gravanti nella specifica materia della tutela dei diritti umani,39 come del resto dimostra il tenore dell’art. 32, comma 1 C.e.d.u., che configura la Corte di Strasburgo quale garante della «definitiva uniformità di applicazione» del testo convenzionale e dei suoi protocolli, spettando ad essa l’ultima parola.40 Ruolo, indubbiamente, reso ancora più pregnante dalla significativa evoluzione dianzi descritta del sistema di tutela convenzionale, che ha attribuito maggiore vincolatività ed efficacia alle pronunce di tale organo.41 Così come, parimenti innegabile è che l’eventuale dubbio, derivante da tale impostazione, in ordine alla lesione del principio di legalità processuale ex art. 111, comma 1 Cost. pare potersi fugare considerando che detto canone è sancito dalla stessa C.e.d.u.,42 che tuttavia non lo àncora imprescindibilmente alla esistenza di una legge formale, Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, cit. Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 349, cit. 41 Sul punto, cfr. G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre”, cit., p. 21. 42 Corte e.d.u., 22 giugno 2000, Coëme e altri c. Belgio, § 102, secondo cui «the principle that the rules of criminal procedure must be laid down by law is a general principle of law. It stands side by side with the requirement that the rules of substantive criminal law must likewise be established by law and is enshrined in the maxim “nullum judicium sine lege”». 39 40 Capitolo I – Tutela convenzionale 21 ben potendo essere assicurato anche da una fonte di matrice giurisprudenziale, purché però “certa” e “prevedibile”.43 Restano tuttavia, in ogni caso, talune difficoltà rispetto ai «principi generali in tema di legge, giurisdizione e giudicato», come più attente letture non hanno mancato di evidenziare.44 In primis, quella inerente allo stesso «sistematico richiamo alle disposizioni della C.E.D.U. come interpretate dalla Corte europea». Non possono, infatti, essere trascurate le peculiarità del giudizio innanzi al Giudice di Strasburgo, eminentemente focalizzato sul singolo caso sottoposto al suo esame, sicché «la lettura della Convenzione svolta dai giudici europei è inevitabilmente funzionale alle peculiarità della fattispecie, in un gioco di reciproco condizionamento tra caso e legge»: conseguentemente, «è estremamente rischioso proiettarla fuori dal contesto, convertendola di fatto in una formula legislativa». Per quanto, dunque, sia incontestabile che le disposizioni della C.e.d.u. vivano nella interpretazione che di esse dà la Corte europea, «la forza vincolante di quanto asserito nelle O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 37. P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 210. Sul tema, si v. altresì, Id., L’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il preteso monopolio della Corte di Strasburgo, in Proc. pen. giust., 2012, n. 4, p. 116 ss.; Id., Il contraddittorio nella formazione della prova tra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in R. Gambini – M. Salvadori (a cura di), Convenzione europea sui diritti dell’uomo: processo penale e garanzie, Napoli, 2009, p. 62 ss.; Id., Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzazione: il progressivo assestamento della regola e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, in Arch. pen., 2008, n. 3, p. 27 ss.; Id., Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in Aa. Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 2010, p. 406 ss. 43 44 22 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sue sentenze non dovrebbe superare il limite segnato dalla singola controversia»: «a differenza della Corte costituzionale, la Corte europea non è giudice delle leggi; si limita ad accertare se in un determinato processo vi sia stata o no violazione della normativa convenzionale e solo in quel contesto decisorio i suoi assunti sono costrittivi». Nessun vincolo giuridico dunque – se non quello del testo della legge e della ragionevolezza – può sussistere per i giudici costituzionali e ordinari nell’interpretazione della Convenzione, i quali, anzi, possono anche – in caso di ritenuta erroneità o censurabilità – discostarsi dagli orientamenti della Corte di Strasburgo, motivando il diverso convincimento: invero, «il parametro sulla cui base si valuta la correttezza dell’atto interpretativo è quello della ragione e non della conformità all’indirizzo di un organo di vertice».45 L’interpretazione della legge in funzione applicativa, infatti, non è un qualcosa di meccanico, bensì atto che può implicare delle «scelte, anche di valore, con inevitabile soggettivismo», svolgendosi «nella tensione di due opposti valori»: «il pluralismo interpretativo e la libertà di convincimento del giudice», da un lato, «la certezza del diritto e la sua uniforme applicazione», dall’altro.46 P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 210-211, il quale osserva anche come l’esegesi del Giudice delle leggi abbatta «la frontiera tra la legge e la sua interpretazione, tra potere legislativo e giurisdizionale; e lo stesso contraddittorio rischia di vanificarsi, perché il diritto delle parti di interloquire e argomentare su ogni questione di diritto si riduce sensibilmente se il giudice del loro processo è comunque vincolato all’interpretazione altrove formalizzata dalla Corte europea». 46 P. Ferrua, L’interpretazione della Convenzione europea, cit., p. 117. 45 Capitolo I – Tutela convenzionale 23 Una diversa impostazione, finirebbe con l’abbattere la frontiera esistente tra la legge e la sua interpretazione, tra il potere legislativo e quello giurisdizionale, risultando inesorabilmente in contrasto con il principio di soggezione del giudice alla sola legge consacrato all’art.101, comma 2 Cost., volto appunto ad escludere che «i precedenti abbiano valore vincolante», e dunque, «che i giudici abbiano l’obbligo di seguirli».47 In questa prospettiva, si è inoltre evidenziata un’attenuazione del rigore del principio inizialmente sancito da parte della stessa Corte costituzionale, che recentemente, manifestando la sua adesione alla cd. dottrina del “margine di apprezzamento nazionale”, pur ribadendo l’impossibilità di una sostituzione della propria interpretazione delle disposizioni convenzionali a quella della Corte europea – dovendo, dunque, le norme della C.e.d.u. essere applicate nel significato loro attribuito da tale organo giurisdizionale – ha tuttavia rivendicato a sé il potere di «valutare come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano», ossia di «apprezzare la giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente, in modo da rispettarne la sostanza, ma con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata ad inserirsi».48 Così ancora P. Ferrua, L’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., pp. 118-119, che ricorda quanto affermato da R. Guastini, sub Art. 101 Cost., in G. Branca – A. Pizzorusso (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1994, p. 191. 48 Corte cost., sent. 22 luglio 2011, n. 236, in Giur. cost., 2011, p. 3021; Id., sent. 25 luglio 2011, n. 345, ivi, 2011, p. 3131, ha tuttavia precisato 47 24 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale La critica alla forza vincolante delle interpretazioni della Corte europea è stata avversata da altri autorevoli orientamenti dottrinari, che hanno al riguardo evidenziato come la stessa trascuri la circostanza che le pronunce del Giudice di Strasburgo possono «vertere su comportamenti non solo di per sé illegittimi, bensì pure eventualmente affetti da cosiddetti “vizi normativi”, cioè “addebitabili ai dettami della normativa interna, e non conseguenti alla sua erronea applicazione, [per cui la Corte europea] si comporta più come un giudice delle leggi che come giudice del caso concreto»,49 sì da far apparire un «autentico luogo comune» la tesi che vorrebbe l’efficacia delle sentenze della Corte europea limitata al caso concreto,50 come del resto dimostrerebbe la concezione della cd. “cosa giudicata interpretata”, postulante l’estensione dell’effetto delle sentenze della Corte di Strasburgo oltre i confini dello Stato cui di volta in volta direttamente si riferiscono.51 che «il margine di apprezzamento riservato agli Stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione». 49 G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre”, cit., p. 21. 50 F. Viganò, Le Sezioni Unite rimettono alla Corte costituzionale l’adeguamento del nostro ordinamento ai principi sanciti dalla Corte EDU nella sentenza Scoppola, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/4-/55-/-/1699-le_sezioni_unite_rimettono_alla_ corte_costituzionale_l___adeguamento_del_nostro_ordinamento_ai_ principi_sanciti_dalla_corte_edu_nella_sentenza_scoppola/, p. 3. 51 Non esita a definire tale tesi – elaborata dalla dottrina internazionalistica belga – una “stravaganza concettuale”, una “fumisteria verbale”, P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 212-213, il quale osserva che la supposta autorità di “cosa giudicata interpretata” «si esplica, per l’appunto, nell’ambito della ‘cosa giudicata’, ossia della contro- Capitolo I – Tutela convenzionale 25 Proprio su tale scia si è di recente mossa la Corte di legittimità che, nel rimettere alla Consulta la questione di costituzionalità degli artt. 7 e 8 del d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (conv. in l. 19 gennaio 2001, n. 4), in riferimento agli artt. 3 e 117, comma 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 C.e.d.u., ha fatto affermazioni di estremo rilievo in tema di evoluzione funzionale del ruolo del Giudice europeo ed efficacia delle sue pronunce.52 versia decisa. Oggetto di giudizio e, quindi, di giudicato è la violazione o no delle regole convenzionali in un determinato processo, non la loro interpretazione, che si ricava più o meno esplicitamente solo dalla motivazione. L’idea di estendere il giudicato anche all’interpretazione della legge, proiettandola fuori dal contesto in cui si è svolta, non ha alcun fondamento giuridico; né si può pensare di naturalizzarla con l’inusitata categoria del ‘giudicato interpretativo’ o con altre fumisterie verbali». 52 Cass., Sez. Un., ord. 19 aprile 2012, n. 34472, Ercolano, in C.E.D. Cass., n. 252933-4, che ha sollevato la questione di legittimità delle citate disposizioni nella parte in cui «operano retroattivamente e, più specificamente, in relazione alla posizione di coloro che, pur avendo formulato richiesta di giudizio abbreviato nella vigenza della sola legge n. 479 del 1999, sono stati giudicati successivamente, quando cioè – precisamente dal pomeriggio del 24 novembre 2000 – era entrato in vigore il decreto legge in questione, con conseguente applicazione del più sfavorevole trattamento sanzionatorio da esso previsto, ritenendosi impraticabile un’interpretazione di tale normativa interna in senso conforme all’art. 7 C.e.d.u., come interpretato dalla Corte di Strasburgo. L’ordinanza trae origine dalla delicata questione inerente la sorte dei condannati all’ergastolo in casi identici o analoghi a quello deciso dalla Corte di Strasburgo con la sentenza della Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia (su cui v., infra, Cap. III, par. 3) non aventi tempestivamente adito l’organo giudiziario europeo e, dunque, privi di un favorevole giudicato sovranazionale sulla cui base invocare – sulla scorta dei principi affermati da Corte cost., sent. n. 113 del 26 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Partendo dalla premessa assai significativa per cui «la giurisprudenza della Corte EDU, originariamente finalizzata alla soluzione di specifiche controversie relative a casi concreti, si è caratterizzata nel tempo “per una evoluzione improntata alla valorizzazione di una funzione paracostituzionale di tutela dell’interesse generale al rispetto del diritto oggettivo”», la Cassazione è giunta ad affermare che le sentenze della Corte europea che accertino violazioni convenzionali di carattere strutturale o sistemico dell’ordinamento dello Stato convenuto, non hanno un’efficacia limitata al singolo caso considerato, ma impongono allo Stato di rimuovere gli effetti ancora perduranti della violazione riscontrata anche «nei confronti di coloro che, pur non avendo proposto ricorso a Strasburgo, si trovano in una situazione identica a quella oggetto della decisione adottata dal giudice europeo» nel caso concreto (il corsivo è nostro). E ciò in quanto, «di fronte a pacifiche violazioni convenzionali di carattere oggettivo e generale, già in precedenza 2011 – la riapertura del processo innanzi al giudice italiano. Tematica, all’evidenza, di estrema complessità e importanza, involgendo il tema dell’incidenza sul dictum definitivo interno delle sentenze emesse dalla Corte europea con riferimento ad altra vicenda processuale identica o analoga a quella in questione (in dottrina, sullo specifico tema, si v. F. Viganò, Figli di un dio minore? Sulla sorte dei condannati all’ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte edu in Scoppola c. Italia, in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1334052870Figli%20 di%20un%20dio%20minore%20def.pdf; G. Romeo, L’orizzonte dei giuristi e i figli di un dio minore, in http://www.penalecontemporaneo. it/upload/1334557367Romeo%20orizzonte%20giuristi.pdf; F. Viganò, Giudicato penale e tutela dei diritti fondamentali. in http://www. penalecontemporaneo.it/upload/1334736069Vigano%20replica%20 Scoppola.pdf Capitolo I – Tutela convenzionale 27 stigmatizzate in sede europea, il mancato esperimento del rimedio di cui all’art. 34 CEDU (ricorso individuale) e la conseguente mancanza, nel caso concreto, di una sentenza della Corte EDU cui dare esecuzione non possono essere di ostacolo ad un intervento dell’ordinamento giuridico italiano, attraverso la giurisdizione, per eliminare una situazione di illegalità convenzionale, anche sacrificando il valore della certezza del giudicato, da ritenersi recessivo rispetto ad evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona». La preclusione, quale effetto proprio del giudicato, dunque – conclude la Corte – «non può operare allorquando risulti pretermesso, con effetti negativi perduranti, un diritto fondamentale della persona», imponendosi in questi casi «di emendare “dallo stigma dell’ingiustizia” una tale situazione», anche a costo di sacrificare il “dogma del giudicato”.53 La Corte di legittimità – si noti bene – ha cura di precisare che tale conclusione trova il suo presupposto in una censura di unfairness che affondi le sue radici in una violazione sistematica e strutturale dell’ordinamento dello Stato convenuto. Come, infatti, si legge nella motivazione della sentenza, solo «l’esecuzione di una pena ritenuta oggettivamente e quindi ben al di là (il corsivo è nostro) della species facti, illegittima dall’interprete autentico della CEDU» può porre in crisi il dogma del giudicato, pena «una patente violazione del principio di parità di trattamento tra condannati che versano in identica posizione». «Diverso è il caso» – aggiunge la Corte – «di una pena rivelatasi illegittima, esclusivamente perché inflitta all’esito di un giudizio ritenuto dalla Corte EDU non equo, ai sensi dell’art. 6 CEDU: in questa ipotesi, l’apprezzamento, vertendo su eventuali errores in procedendo e implicando valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica, non può che essere compiuto caso per caso, con l’effetto che il giudicato interno può essere posto in discussione soltanto di fronte a un vin53 28 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale 3. (segue) Verso un “Giudice delle leggi” europeo? La Corte di legittimità, dunque, pare farsi interprete particolarmente sensibile – e “recettivo” – dei mutamenti di assetto dei rapporti tra ordinamento interno ed europeo, compiendo affermazioni autenticamente dirompenti per il potenziale impatto sistematico. Alla riaffermazione del primato della Corte europea quale interprete ultimo ed autentico dei diritti sanciti dalla C.e.d.u., essa aggiunge la “consacrazione” del riconoscimento del ruolo “paracostituzionale” della stessa nella tutela di tali diritti, cui consegue la correlativa postulata esigenza di una “vis espansiva” del giudicato sovranazionale di accertamento di una violazione convenzionale strutturale, il cui ovvio corollario sarebbe una notevole estensione degli obblighi di adeguamento interni, con conseguente ulteriore erosione della (già intaccata) area di stabilità del giudicato nazionale. Pertanto, un interrogativo che in passato sarebbe stato improponibile, appare invece ora acquisire spessore: la Corte di Strasburgo sta mutando la sua fisionomia a tal punto da essere avviata a diventare una sorta di “giudice delle leggi” europeo?54 colante dictum della Corte di Strasburgo sulla medesima fattispecie» (analogamente, Cass., sez. I, 18 gennaio 2011, n. 6559, Raffaelli, in C.E.D. Cass., n. 249328, che ha escluso la riapertura del processo con riferimento ad un’asserita violazione del contraddittorio nel giudizio innanzi alla Corte di legittimità analoga a quella censurata dalla Corte europea in altro procedimento. Per un commento della pronuncia, si v. M. Gialuz, Esclusa la riapertura del processo in assenza di una pronuncia della Corte di Strasburgo, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/4-/54-/-/450-esclusa_la_riapertura_del_processo_ in_assenza_di_una_pronuncia_della_corte_di_strasburgo/). 54 La questione inerente la pretesa vocazione alla constitutional justi- Capitolo I – Tutela convenzionale 29 Non v’è dubbio che con riferimento alla Corte “primigenia” tale quesito non avrebbe avuto alcun senso. Vero è che come giudice dell’osservanza del rispetto, ad opera degli Stati parte, dei diritti e delle libertà fondamentali consacrati nella Convenzione, la Corte e.d.u. – ferma restando la diversità di contesto istituzionale55 – risulta ince del Giudice europeo è stata ampiamente dibattuta dalla letteratura straniera. In proposito, ex plurimis, si v. I. Cameron, Protocol 11 to the European Convention of Human Rights: the European Court of Human rights as a Constitutional Court?, in Yearbook of European Law, 1995, p. 219 ss.; L. Favoreu, Les Cours de Luxembourg e de Strasbourg ne sont pas de cours constitutionnelles, in Melanges en l’honneur de Louis Dubouis, Dalloz, 2002, p. 35 ss.; J. F. Flauss, La Cour européenne des droits de l’homme est-elle une cour constitutionnelle?, in Revue Française de droit constitutionnel, 1998, p. 711 ss.; R. Harmsen, The European Court of human rights as a Constitutional Court, Definitional debates and Dynamic of Reform, in J. Morison – K. McEvoy (a cura di), Transition and Human Rights, Oxford University Press, 2007, p. 33 ss.; L. Whildaber, A constitutional future for the European Court of Human Rights, in Human Rights Law Journal, 2002, p. 161 ss.; A. Stone Sweet, Sur la Constitutionnalisation de la Convention europeenne des droits de l’homme: cinquante ans après son installation. La Cour européenne des droits de l’homme conçue comme une cour constitutionnelle, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, 2009, p. 924 ss. 55 Il contesto istituzionale del Consiglio d’Europa, nel cui ambito opera la Corte di Strasburgo, non può in alcun modo essere comparato alla “forma di governo” che fa da sfondo all’esercizio delle funzioni delle Corti costituzionali nazionali: l’Assemblea parlamentare non è paragonabile ai parlamenti statali, non essendo titolare di alcuna funzione legislativa classicamente intesa; il Comitato dei Ministri può esser definito solo impropriamente un organo esecutivo, mancando un indirizzo politico all’interno del sistema della C.e.d.u., la cui unica missione è quella di garantire all’interno dei Paesi membri la tutela dei diritti umani; la Corte europea non ha alcuna competenza a valutare la conformità delle attivi- 30 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale vestita di una funzione assimilabile a quella delle Corti costituzionali nazionali, che mirano ad assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dalla Carta fondamentale; tuttavia, in passato, l’impossibilità di un accostamento tra i due organi sarebbe derivata da una diversità “ontologica” insuperabile: a differenza di quanto accade in altri Paesi,56 la nostra Corte costituzionale si configura come “giudice delle leggi”, id est come organo che esercita un sindacato di legittimità costituzionale su norme prodotte da organi legislativi, risultando preclusa qualunque via di accesso “diretta” ad essa da parte degli individui che avanzano una domanda di giustizia; la Corte europea, invece, tradizionalmente si è configurata come giudice non “delle leggi”, bentà, dei rapporti e delle raccomandazioni dell’Assemblea e del Comitato dei Ministri; per la modifica del testo convenzionale, inoltre, si richiede l’unanimità degli Stati contraenti, ciò che – dato l’altissimo numero degli stessi – ne rende improbabile la realizzazione e segna un’ulteriore, rilevante differenza rispetto ai Giudici delle leggi statali, la cui interpretazione dei parametri costituzionali può essere superata attraverso revisioni costituzionali (O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia nella prospettiva della giustizia costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/ pdf/documenti_forum/paper/0206_pollicino_sciarabba.pdf, pp. 3-4). 56 È il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Recurso de amparo è direttamente attivabile dall’interessato – di regola previo esaurimento dei rimedi giudiziali ordinari – innanzi al Tribunal Constitucional, onde tutelare i diritti e le libertà fondamentali consacrati agli artt. 14-29 della Costituzione contro possibili violazioni ad opera dei pubblici poteri (in argomento, cfr. C. D. Delgado Sancho, El recurso de amparo, Gomylex, 2012; M. Hérnandez Ramos, El nuevo trámite de admisíon del recurso de amparo constitucional, Reus S. A., 2009; F. Fernandez Segado, La reforma del régimen jurídico-procesal del recurso de amparo, Dykinson, 2007; nella dottrina italiana, S. Marcolini, voce Processo penale spagnolo, in Enc. dir., Annali II, tomo I, Milano, 2009, p. 782). Capitolo I – Tutela convenzionale 31 sì “dei casi” specifici sottoposti al suo esame direttamente dai singoli individui che si ritengano vittime di violazioni convenzionali.57 Il quesito iniziale, tuttavia, acquista significato e pregnanza alla luce dell’evoluzione che – in particolare nell’ultimo decennio – ha connotato la giurisdizione di Strasburgo, il cui ruolo tradizionale di “giudice dei singoli casi” è progressivamente andato sbiadendo, in parallelo con una tendenza “espansiva” del sindacato europeo. È quanto si è verificato in ragione della progressiva, sempre più approfondita attenzione rivolta all’analisi delle legislazioni nazionali,58 sfociata a partire dal 2004 nella via via più frequente rilevazione da parte della Corte europea di situazioni interne di portata generale, “difetti sistemici e strutturali” dell’ordinamento, causa diretta del vulnus convenzionale, con conseguente indicazione talora anche nel dispositivo della sentenza – e, dunque, nella parte precettiva della stessa, con correlativa efficacia vincolante – dei rimedi da adottare per rimuovere la rilevata disfunzione sistemica nell’ordinamento interno.59 M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo nel processo penale, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea, cit., p. 28. 58 Come ricorda M. Chiavario, op. ult. cit., p. 29, ben evidenziata dalla regola della necessaria presenza in ogni collegio giudicante del giudice rappresentativo dello Stato convenuto in seno alla Corte. 59 Emblematica, con riferimento al nostro Paese, Corte e.d.u., sent. 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, nel cui dispositivo la Corte così afferma: «there has been a violation of Article 6 of the Convention»; «the above violation has originated in a systemic problem connected with the malfunctioning of domestic legislation and practice caused by the lack of an effective mechanism to secure the right of persons convicted in absentia – where they have not been informed effectively of the proceedings against them and have not unequivocally waived their right to appear at their trial – to obtain a fresh determination of the merits of the charge against them by a 57 32 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Evoluzione ulteriormente sottolineata e portata a compimento dall’adozione della cd. tecnica delle “sentenze pilota”, particolare procedura che, ispirata ad un evidente scopo deflattivo del contenzioso pendente innanzi al Giudice di Strasburgo – evitare l’intasamento da “ricorsi ripetitivi”, ossia inerenti a violazioni analoghe originate da difetti sistemici – consente alla Corte di “selezionare” uno o più di tali ricorsi (rinviando gli altri), addivenendo così ad una definizione degli stessi che, individuando all’interno dell’ordinamento nazionale la disfunzione a base della violazione, fornisca chiare indicazioni al Paese convenuto circa le modalità di eliminazione della stessa, incentivandolo anche eventualmente alla creazione di vie di ricorso interne idonee a far fronte alla domanda di giustizia a livello domestico. Chiaro l’effetto: lungi dal limitarsi a considerare la singola specie facti oggetto di ricorso, il Giudice europeo cerca invece di giungere ad una soluzione che, estendendosi al di là di essa, possa valere da criterio risolutivo dei casi simili, originati dalla medesima disfunzionalità ordinamentale. Ed è particolarmente degna di nota – proprio nella prospettiva qui considerata del mutamento di fisionomia del Giudice europeo – la circostanza che tale procedura, nata nella prassi,60 ha di recente trovato un’apposita formalizzazione normativa: recependo l’invito contenuto nella dichiarazione finale dell’ Interlaken conference del febbraio court which has heard them in accordance with the requirements of Article 6 of the Convention»; «the respondent State must, through appropriate measures, secure the right in question to the applicant and to other persons in a similar position». 60 In particolare, su esplicita richiesta del Comitato dei Ministri, attraverso la Risoluzione DH Res (2004) 3. In argomento, v. M. de Salvia, L’obbligo degli Stati di conformarsi, cit., p. 75. Capitolo I – Tutela convenzionale 33 2010 – che sollecitava la Corte a «sviluppare norme chiare e prevedibili per ciò che concerne la procedura della sentenza pilota in relazione alla selezione delle richieste, la procedura da seguire ed il trattamento dei casi sospesi» – è stato introdotto nel Regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo l’art. 61, che disciplina dettagliatamente presupposti e procedimento di attivazione e svolgimento di tale particolare tipologia di risoluzione dei ricorsi.61 Tale disposizione, in vigore dal 1° aprile 2011, prevede che la Corte possa decidere di avviare la procédure de l’arrêt pilote, d’ufficio o su richiesta di parte, ogni qual volta i fatti all’origine di un ricorso rivelano l’esistenza, nello Stato contraente interessato, di un problema strutturale o sistemico che ha dato luogo alla presentazione di ricorsi simili. In via preventiva, la Corte è tenuta consultare le parti; ove la procedura sia aperta, la trattazione del ricorso avviene in via prioritaria ai sensi dell’art. 41 del Regolamento stesso. La Corte deve indicare nella sentenza pilota la natura del problema strutturale o sistemico o della disfunzione che essa ha constatato ed il tipo di misure correttive che lo Stato contraente interessato deve adottare a livello interno, fissando eventualmente nel dispositivo della sentenza un termine per l’adozione delle stesse. Nelle more dell’ottemperanza, la Corte può riservare la questione dell’equa riparazione in tutto o in parte e può rinviare l’esame di tutti i ricorsi che scaturiscono dallo stesso motivo, informando prontamente i ricorrenti interessati di tale decisione. L’eventuale raggiungimento di una composizione amichevole tra le parti di un caso pilota comporta una dichiarazione del Governo convenuto concernente l’attuazione delle misure generali indicate nella sentenza e delle misure correttive che devono essere accordate agli altri ricorrenti, attuali o potenziali. Se lo Stato contraente interessato non si conforma al dispositivo della sentenza pilota, la Corte, salvo contraria decisione, riprende l’esame dei ricorsi che sono stati rinviati. Il Comitato dei Ministri, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il Segretario generale del Consiglio d’Europa ed il Commissario per i diritti dell’uomo del 61 34 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Da ultimo, non trascurabile ai fini dell’evoluzione in discorso del ruolo del Giudice europeo appare l’introduzione, ad opera del Protocollo n. 14, della condizione di ricevibilità cristallizzata all’art. 35, par. 3, lett. b) C.e.d.u., secondo cui «La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale presentato ai sensi dell’art. 34 se ritiene che: […] il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante».62 Per quanto temperata da due clausole di salvaguardia che limitano la discrezionalità dell’Organo europeo, imponendogli l’esame del ricorso in presenza di esigenze oggettive legate alla necessità di tutela dei diritti umani, ovvero soggettive, dipendenti dal mancato esame del caso da parte di un tribunale nazionale («salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare […] alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno»), tale regola, ispirata al Consiglio d’Europa sono sistematicamente informati dell’adozione di una sentenza pilota o di ogni altra sentenza in cui la Corte segnala l’esistenza di un problema strutturale o sistemico in seno ad uno Stato contraente. 62 Frutto di un percorso negoziale accidentato, espressamente motivato da esigenze di deflazione del contenzioso pendente innanzi alla Corte europea (Rapporto esplicativo al Protocollo n. 14, §§ 39 e 78), tale condizione costituisce una delle novità più controverse della recente riforma del meccanismo di controllo sul rispetto della C.e.d.u. (in argomento si v., in dottrina, M. L. Padelletti, Una nuova condizione di ricevibilita’ del ricorso individuale: il danno significativo subito dalla vittima, in Riv. dir. int., 2006, p. 50 ss.; R. Pisillo Mazzeschi, Il coordinamento tra la nuova condizione di ricevibilità prevista dal Protocollo n. 14 alla convenzione europea e la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni, ivi, 2005, p. 605 ss.). Capitolo I – Tutela convenzionale 35 principio de minimis non curat praetor,63 pare segnare – sia pure in modo prudente e, appunto, non privo di garanzie – il tentativo di evoluzione del sistema di controllo convenzionale verso la direzione di un modello in cui il ruolo più strettamente “costituzionale” della Corte può prevalere sul diritto delle vittime ad ottenere giustizia individuale.64 È evidente, dunque, alla luce di tutti i fattori considerati, il mutamento di fisionomia della Corte di Strasburgo, non più solo “giudice del caso singolo”, ma giudice che, da tempo, secondo una linea evolutiva costantemente perseguita soprattutto nell’ultimo decennio, tende «a farsi (anche) “giudice delle leggi”»,65 id est, «giudice della conformità degli ordinamenti nazionali ai principi europei», investendo così il suo intervento «direttamente le legislazioni e non più solo il contegno delle autorità nazionali nel caso singolo».66 Lo confermano gli adeguamenti legislativi intercorsi proprio in recepimento di censure europee inerenti a carenze ordinamentali o strutturali, come accaduto ad esempio nel nostro Paese in ordine alla disciplina del processo contumaciale.67 Corte e.d.u., 19 ottobre 2010, Rinck c. Francia. C. Pitea, sub Art. 35, in S. Bartole – P. De Sena – V. Zagrebelski, Commentario breve alla Convenzione, cit., p. 656; C. G. Hioureas, Behind the Scenes of Protocol No.14: Politics in Reforming the European Court of Human Rights, in Berkley Journal of International Law, 2006, pp. 731-733; P. Sardaro, The Right of Individual Petition to the European Court, in P. Lemmens – W. Vandenhole, Protocol No 14 and the Reform of the European Court of Human Rights, 2005, p. 45 ss. 65 M. Chiavario, op. ult. cit., p. 29. 66 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 35. 67 Riformata, con il dl. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni nella l. 22 aprile 2005, n. 60, proprio a seguito dei reiterati e 63 64 36 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Ma i riflessi sistemici vanno oltre. Il superamento di un controllo di conformità convenzionale rigorosamente circoscritto alla particolare quaestio sottoposta ad esame pone – sulla scia delle dirompenti affermazioni compiute dalla Corte di legittimità –68 il problema della eventuale “forza espansiva” del giudicato europeo che rilevi una violazione di matrice sistematico-strutturale, e, conseguentemente, dei correlativi oneri di adeguamento gravanti sui Paesi contraenti in ordine alla posizione di chi, non ricorrente a Strasburgo, si trovi in una situazione identica o analoga a quella censurata in tale sede; tematica, questa, che a ben vedere involge la stessa persistente configurazione del sistema europeo di protezione dei diritti umani come ancora strettamente imperniato sul presupposto del “ricorso individuale”. Con conseguenti, non trascurabili profili di problematicità in ordine ai riflessi sul piano esecutivo domestico: innanzitutto in termini di qualificazione della stessa sentenza della Corte europea che abbia certificato la violazione di matrice oggettiva e sistemica; in secondo luogo, in ordine allo strumento normativo interno attraverso cui dare ottemperanza al dictum europeo. Tralasciando, per ora, l’approfondimento della tematica, si può fin da subito rilevare la non agevole soluzione di tali aspetti problematici, derivanti da una pretesa esplicazione dell’autorità di cosa giudicata al di là della specifica controversia decisa. Da un lato, risulta infatti non convincente la assimilazione della pronuncia sovranazionale a una declaratoria di incostituzionalità sopravvenuta alla formazione del pressanti moniti al riguardo del Giudice europeo. Sul tema, più specificamente, v. infra, Cap. III, par. 4. 68 Cass., Sez. Un., ord. 19 aprile 2012, n. 34472, Ercolano, cit. Capitolo I – Tutela convenzionale 37 giudicato, e, dunque, rilevante anche in executivis, come si sarebbe tentati di fare soprattutto nei casi di ritenuta illegittimità convenzionale di una pena; eventualità che pone il pressante problema del rispetto del principio di legalità della sanzione anche in fase esecutiva, nonché di parità di trattamento tra condannati che versano in identica situazione. Dall’altro, in ogni caso, è una prospettiva da escludere dovendosi comunque fare i conti con gli specifici perimetri della disciplina dettata per la fase esecutiva che, allo stato, non contempla una norma che attribuisca al giudice dell’esecuzione un consequenziale potere. Né, in ragione dei peculiari presupposti cui sono ancorate, pare praticabile la via del ricorso a disposizioni esistenti, quali l’art. 673 c.p.p., la cui operatività è limitata all’abolitio criminis o alla declaratoria di incostituzionalità delle sole “norme incriminatrici”. Senza considerare, poi, i “varchi”, dalle conseguenze sistematiche imprevedibili che in tal modo potrebbero aprirsi nel già instabile quadro dell’esecuzione. Analogamente – alla luce di quanto si dirà nel prosieguo dello studio, cui fin d’ora si rinvia – afflitto da non trascurabili profili di criticità sarebbe pure il ricorso al rimedio ex art. 625-bis c.p.p., così come tutta da verificare – alla luce dei relativi presupposti di attivabilità – sarebbe la praticabilità di una riapertura del processo, attraverso l’istituto di nuovo conio della “revisione europea”. 4. L’adeguamento convenzionale: “fisio-patologia” di un rapporto Dalla delineata dinamica dei rapporti tra ordinamento interno ed europeo emerge la centralità del tema della cd. “conformità convenzionale”, ossia della sintonia tra gli stessi, vero presupposto di ogni discorso relativo alla tutela sovranazionale dei diritti dell’uomo. 38 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Due sono, a ben vedere, al riguardo le vie percorribili. La prima, cd. “fisiologica”, implica un adeguamento ex ante, vale a dire «spontaneo e preventivo»,69 del sistema interno ai canoni europei. È quanto si può verificare, con riferimento a censure inerenti a deficit di tutela sistemici, mercé l’intervento del legislatore che, solerte ai richiami di Strasburgo, interviene con apposite riforme a correggere il vizio riscontrato, riallineando così l’ordinamento domestico agli standards di protezione delle garanzie reclamati in sede sovranazionale. È questo un ruolo chiave ai fini del recepimento della stessa “cultura” dei diritti dell’uomo, nonché dello spirito che anima la Corte in materia; tuttavia, deve ammettersi che il banco di prova dell’esperienza italiana non ha dato, al riguardo, finora l’esito sperato. Basti rilevare, infatti, come il legislatore per riformare la disciplina della contumacia – peraltro secondo modalità che permangono non immuni da profili di attrito convenzionale – ha impiegato venti anni dalla prima vicenda che ha dato l’avvio alla necessità di una novella in materia.70 Ed una inerzia ancora più intollerabile – reiteratamente stigmatizzata in sede europea oltre che dalla stessa Consulta – si è registrata in ordine all’introduzione di un meccanismo di ottemperanza ai dicta della Corte di Strasburgo, essendosi risolti in un nulla di fatto i vari disegni di legge che nel corso degli anni sono stati presentati in parlamento per la regolamentazione di un rimedio idoneo allo scopo.71 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 36. Corte e.d.u., sent. 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, in Cass. pen., 1985, p. 1247, con nota di G. Ubertis, Latitanza e contumacia secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo. 71 Sul tema, si v. più diffusamente infra, Cap. II, par. 4. 69 70 Capitolo I – Tutela convenzionale 39 Sempre nella prospettiva di un “adeguamento fisiologico”, un ruolo quanto mai significativo, per certi versi inedito, anche se non privo di spinosità, spetta poi agli organi giudiziari nazionali, chiamati invero ad essere i «primi giudici della convenzione», ossia coloro i quali in prima battuta devono assicurare il rispetto dei diritti fondamentali nell’estensione loro riconosciuta dalla Convenzione, prevenendo così potenziali censure da parte del Giudice europeo.72 In quest’ottica, si sottolinea come i giudici interni, in coerenza con le esigenze proprie di un ordinamento multilivello, siano ormai obbligati «a guardare fuori dalla finestra del loro sistema, che altrimenti potrebbe essere oscurata dalle tende della tradizione giuridica»:73 abbandonando un F. Viganò, Le Sezioni Unite rimettono alla Corte costituzionale l’adeguamento, cit., p. 3. Come afferma V. Manes, Introduzione, cit., p. 19, «la Corte europea […] vede nei giudici domestici […] non già dei corìfei, bensì dei coprotagonisti, chiamati a dare – in forza del principio di sussidiarietà – il primo impulso nel riconoscimento ed affermazione delle garanzie, e persino collocati in posizione migliore (mieux plecés) per apprezzare l’eventuale violazione». Analogamente, Corte e.d.u., sent. 7 dicembre 1976, Handyside c. Regno Unito, § 48. 73 B. Markesinis – J. Fedke, Giudici e diritto straniero, Bologna, 2009, p. 193. E proprio nella direzione di favorire un’interpretazione convenzionalmente orientata, dando vita ad un fecondo “dialogo tra Corti”, si è mossa anche la Cassazione, che ha ribadito l’esigenza per l’interprete di «non isolarsi in un contesto nazionale», ma di cercare «una “osmosi” tra le diverse formulazioni, della normativa convenzionale e di quella nazionale, ordinaria e costituzionale» (Cass., sez. II, 18 ottobre 2007, n. 43331, Poltronieri, in Dir. pen. proc., 2008, p. 878, con nota di P. Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio). In argomento, si v. pure A. Balsamo, La cultura della prova del giudice 72 40 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale atteggiamento autarchico, essi devono aprirsi ad un “dialogo” con la giurisdizione europea,74 a un “contatto delle menti”,75 che dà vita a un «potente canale di circolazione dei diritti».76 Da ciò deriva – come affermato dal Giudice delle leggi – l’obbligo di interpretazione del diritto interno in senso conforme alla disciplina internazionale, nel limite massimo consentito dal testo della legge domestica e nel rispetto degli indirizzi ermeneutici della Corte di Strasburgo, fermo restando comunque che tale attività ermeneutica non può, tuttavia, ovviamente spingersi oltre i limiti segnati dalla compatibilità costituzionale, dovendo eventuali aporie irrisolvibili a livello esegetico essere sciolte “canalizzandole” nel giudizio di legittimità costituzionale.77 nazionale e l’interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Giur. mer., 2007, p. 2036 ss. 74 Effetto del dialogo giurisprudenziale sempre più intenso tra Corte sopranazionale e Corti interne è un ribaltamento dell’impostazione tradizionale della produzione del diritto statuale, «declinata secondo modalità top-down», a favore invece di un assetto “reticolare” delle fonti, per cui essa «procede secondo modalità bottom-up, ed è affidata in gran parte al “protagonismo positivo dei giudici […], alla sua “distruttività creatrice”, ed alla sua capacità “universalizzante”» (V. Manes, Introduzione, cit., p. 19). 75 C. Perelman – L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione, Torino, 1996, p. 16. 76 M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 36. È questa una prospettiva, invero, non nuova nell’esperienza italiana. Un antecedente significativo, sia pure attinente al diverso contesto comunitario, è rappresentato dalla nota sentenza della Corte di Giustizia, 16 giugno 2005, Pupino, che ha affermato il principio secondo cui il giudice interno, nell’interpretare ed applicare la normativa nazionale, deve uniformarsi, per quanto possibile, al disposto delle decisioni quadro dell’Unione europea e, in genere, al diritto comunitario. 77 Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, cit.; Id., sent. 22 ottobre Capitolo I – Tutela convenzionale 41 Si realizzerebbe, così, quella «combinazione virtuosa» tra «l’obbligo che incombe sul legislatore nazionale di adeguarsi ai principi posti dalla CEDU – nella sua interpretazione giudiziale, istituzionalmente attribuita alla Corte europea ai sensi dell’ art. 32 della Convenzione – l’obbligo che parimenti incombe sul giudice comune di dare alle norme interne una interpretazione conforme ai precetti convenzionali e l’obbligo che infine incombe sulla Corte costituzionale – nell’ipotesi di impossibilità di una interpretazione adeguatrice – di non consentire che continui ad avere efficacia nell’ordinamento giuridico italiano una norma di cui sia stato accertato il deficit di tutela riguardo ad un diritto fondamentale».78 Al di là delle affermazioni di principio, un’analisi più approfondita del ruolo dell’autorità giudiziaria nazionale ai fini dell’adeguamento convenzionale cd. “fisiologico” rivela come la stessa sia tematica quanto mai delicata. Ai fini della tenuta sistematica dell’intero “ordinamento integrato”, occorre infatti intendersi su quali siano i caratteri e i limiti dell’interpretazione “adeguatrice” ad essa rimessa, evitando atteggiamenti manichei, che inducano a passare da un massimalismo all’altro: dalla pressoché totale insensibilità agli insegnamenti del Giudice europeo del passato,79 a un “vincolo cogente” degli stessi nel presente, 2007, n. 349, cit., con la conseguenza che – come efficacemente evidenziato – «il problema interpretativo derivante dalla giurisprudenza della Corte europea si sostanzia […] nella alternativa tra interpretazione conforme a detta giurisprudenza ed incidente di costituzionalità» (E. Lupo, La vincolatività delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo per il giudice interno, cit., p. 2258). 78 Corte cost., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, cit. 79 Come ricorda A. Giarda, Intervento, in Processo penale e giustizia 42 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale che finisce col “blindare” l’esercizio dell’attività giurisdizionale domestica. E la questione nodale, da cui prendere le mosse e da scandagliare a fondo, è l’affermazione contenuta nelle cd. “sentenze gemelle” della Corte costituzionale secondo cui il diritto convenzionale va interpretato ed applicato secondo gli indirizzi ermeneutici della Corte di Strasburgo.80 Se, invero, i menzionati arresti appaiono meritori per il riconoscimento del peso della Convenzione europea anche all’interno del sistema italiano, aprendo ufficialmente ad essa, e dunque contribuendo ad una più avanzata tutela dei diritti umani, essi tuttavia suscitano perplessità – come evieuropea, cit., p. 27, il numero «particolarmente alto» dei ricorsi italiani alla Corte europea deriva dalla circostanza che le lesioni convenzionali dipendono «dal fatto che nella quotidianità dell’ordinamento forense non si registra una sensibilità diffusa per le problematiche relative alla Carta europea dei diritti dell’uomo». 80 Sulla interpretazione conforme in senso sovranazionale, si v. in dottrina, G. Campanelli, Interpretazione conforme alla CEDU e al diritto comunitario: proporzionalità e adeguatezza in materia penale, in M. D’Amico – B. Randazzo (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del convegno di Milano svoltosi il 6-7 giugno 2008, Quaderni del “Gruppo di Pisa”, Torino, 2009, p. 139 ss.; P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u.: ovvero, la ricombinazione genica del processo penale, in http://www.penalecontemporaneo.it/ materia/-/-/-/1618-dell_interpretazione_conforme_alla_c_e_d_u___ ovvero__la_ricombinazione_genica_del_processo_penale/; V. Manes, Metodo e limiti dell’interpretazione conforme alle fonti sovranazionali in materia penale, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-//-/1617-metodo_e_limiti_dell___interpretazione_conforme_alle_fonti_sovranazionali_in_materia_penale/; F. Viganò, Il giudice penale e l’interpretazione conforme alle norme sovranazionali, in P. Corso – E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, II, Rimini, 2010, p. 617 ss. Capitolo I – Tutela convenzionale 43 denziato da un autorevolissimo rappresentante dello stesso organo giudiziario europeo – laddove, utilizzando appunto la formula “la Convenzione europea così come interpretata…” finiscono col trasferire «alla tecnica e alla natura della giurisprudenza della Corte di Strasburgo il modello della giurisprudenza di una Corte di cassazione che enuncia principi di diritto tendenzialmente generali e astratti come generale e astratta è la norma della cui applicazione si tratta».81 Ma questa, pur nella consapevolezza del mutamento genetico della giurisprudenza europea, il cui raggio d’azione si è ormai esteso anche al controllo di conformità ordinamentale, è un’operazione non consentita, restando comunque detta giurisprudenza «casistica, legatissima al caso concreto»; sicché, se «è vero che c’è una ripetitività giurisprudenziale la cui ratio decidendi finisce con l’indicare il principio di diritto adottato dalla Corte in rapporto ai precedenti», è tuttavia assolutamente indubbio come «il vero senso dei precedenti che la Corte richiama si comprende, apprezzandone o discutendone la coerenza, con riferimento al caso concreto».82 Ed è questa una caratteristica che non può in alcun modo essere obliata. Pertanto, pretendere di astrarre massime o criteri generali sovranazionali da quel contesto specifico con riferimento al quale sono stati formulati può risultare rischioso, determinando un “corto circuito” tra pronunce europee e Così V. Zagrebelsky, Intervento, in Processo penale e giustizia europea, cit., p. 14. 82 V. Zagrebelsky, ibidem. In argomento, si v. pure Id., La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni. Pensieri di un giudice a fine mandato, in http://www.europeanrights.eu/index. php?funzione=S&op=5&id=687 81 44 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale disciplina codicistica: non bisogna infatti dimenticare che la C.e.d.u, nell’interpretazione datane dalla sua istituzione giurisdizionale, funge ormai da parametro interposto di legittimità costituzionale, con la conseguenza che può risultare «sufficiente un qualsiasi passo in cui la Corte, magari incidentalmente, si richiami a criteri non puntualmente recepiti dalla nostra legge processuale», per «alimentare sospetti di legittimità costituzionale o [..] sollecitare modifiche legislative».83 Conclusione, questa, non accettabile, che spingerebbe oltre i limiti del consentito e della stessa tenuta sistemica quella “permeabilità” del processo penale alle fonti sovranazionali dianzi descritta. Si impone, quindi, una actio finium regundorum della pur indispensabile attività adeguatrice della giurisdizione interna al sistema convenzionale, onde trovare un ragionevole punto di equilibrio tra le opposte esigenze in considerazione. E al riguardo la soluzione preferibile, che riesce a coniugare le esigenze di adattamento sovranazionale con i principi generali vigenti nell’ordinamento interno in tema di legge, giurisdizione e giudicato, è quella propugnata da un autorevole orientamento dottrinario, secondo cui gli arresti di Strasburgo – ferma, ovviamente la loro efficacia vincolante con riferimento alla specifica controversia decisa – siano per il resto autorevolissimi precedenti, cui il giudice interno deve ispirasi, ma nel rispetto del suo libero P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 207. Diversamente, riconoscendo carattere vincolante alle interpretazioni della Corte di Strasburgo – sottolinea l’Autore (p. 211) – si arriverebbe alla paradossale conclusione che «qualunque contenuto i giudici europei ascrivano alla Convenzione, foss’anche il più eversivo, quel contenuto è legge». 83 Capitolo I – Tutela convenzionale 45 apprezzamento, che non può essere “ingessato” dalle interpretazioni del giudice europeo.84 «Nulla fuori contesto» – si sottolinea – dovrebbe essere il canone guida di ogni discorso sui criteri di valutazione della prova, di modo che l’organo giudiziario nazionale – ex art. 101, comma 2 Cost., soggetto solo alla “legge”, e dunque, alla C.e.d.u., e non alle interpretazioni dei suoi giudici – può anche discostarsi da dette interpretazioni, ove le reputi non convincenti o errate, purché ovviamente motivi adeguatamente l’iter logico seguito. La correttezza dell’atto interpretativo si valuta, infatti, sul parametro della «ragione e non della conformità all’indirizzo di un organo di vertice», salvaguardandosi così, a ben vedere, lo stesso progresso nella tutela dei diritti umani, “azzoppato” a monte nella sua evoluzione ove si pretendesse di cristallizzare in dicta vincolanti le interpretazioni della Corte di Strasburgo.85 È questa una impostazione che riesce a coniugare l’imprescindibile esigenza della certezza del diritto con l’essenza pregnante dell’attività giurisdizionale, mortificata ad un “automatismo a-valutativo” ove si accedesse alla tesi del carattere vincolante delle interpretazioni del Giudice europeo. Prospettiva, questa, peraltro foriera di una contraddizione tutta interna allo stesso sistema convenzionale, che perP. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 206 ss. P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 213, secondo cui dunque (pp. 211-212) l’assunto formulato dalla Consulta nelle cd. “sentenze gemelle” dovrebbe essere attenuato nella sua originaria rigidità e formulato come segue: «ogni giudice, nell’interpretare le disposizioni della Convenzione, deve attenersi agli indirizzi della Corte di Strasburgo, a meno che non indichi, con specifica motivazione, le ragioni per una diversa e più corretta lettura della normativa convenzionale». 84 85 46 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale seguendo il maximum standard di tutela dei diritti umani, fissa all’art. 53 C.e.d.u. un livello minimo ed indisponibile di garanzia degli stessi, ben derogabile dagli Stati “verso l’alto”:86 è questa, infatti, una clausola tesa ad evitare l’adozione di interpretazioni che pregiudichino stadi di protezione più elevati, sia a livello interno che internazionale.87 Conseguentemente del tutto legittima – anzi, convenzionalmente doverosa – sarebbe l’attività interpretativa del giudice nazionale che, ravvisando in taluni interventi della Corte di Strasburgo un abbassamento della soglia di tutela, si discostasse dagli stessi, onde garantire una protezione più significativa dei diritti in questione. Peraltro, il monopolio interpretativo vincolante assegnato al Giudice di Strasburgo pare tradire la stessa essenza del diritto convenzionale, nato come «espressione massima della libertà del diritto giurisprudenziale rispetto alla costrizione formale della legge nazionale scritta»: evidente, dunque, l’incongruenza insita nella ricostruzione volta a concepirlo, nell’interpretazione fattane dal suo organo giurisdizionale, come un «vincolo per il giudice nazionale ancor più ferreo del “vincolo della legge” del più vetero positivismo giuridico».88 M. Cartabia, Art. 53, in R. Bifulco – M. Cartabia – A. Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna, 2001, p. 362. 87 A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell’uomo in Europa, Torino, 2004, p. 252. Sul punto, si v. più ampiamente il paragrafo successivo. 88 Così P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 14, che parla al riguardo di una «velenosa eterogenesi dei fini». L’Autore sottolinea, inoltre (p. 15), la possibile degenerazione cui il meccanismo dell’interpretazione conforme, ove sorretto da «un certo 86 Capitolo I – Tutela convenzionale 47 Tornando alla tematica iniziale, ove l’adeguamento “spontaneo” e “preventivo” non dia gli esiti sperati, si aprono invece i margini per un adeguamento ex post, «coattivo e successivo»,89 ossia conseguente ad una sentenza di condanna del Giudice europeo per violazione delle regole del due process. Se tale pronuncia non si limiti, tuttavia, alla imposizione di una satisfaction équitable, si pone un problema tutto interno all’ “ordinamento integrato”: la carenza di un potere rescindente in capo all’organo sovranazionale fa sì che restino in vita due atti di contenuto contraddittorio, quello di accertamento del vulnus e quello interno lesivo, rimettendosi la ricomposizione dei due piani di illegittimità all’ordinamento nazionale, che dunque, per ottemperarvi – stante il principio di “sussidiarietà” della tutela convenzionale, secondo cui la Corte di Strasburgo può essere adita solo dopo il previo esaurimento delle vie di ricorso interne90 – deve essere dotato di meccanismi idonei a superare il giudicato, garantendo eventualmente anche il riesame o la riapertura del processo. Proprio tale lacuna di disciplina – come si vedrà meglio nel prosieguo della trattazione – è valsa al nostro Paese una serie di moniti, se non di veri e propri ultimatum, e censure da parte tanto degli organi europei91 che del Giudice delle furor theologicus», potrebbe esporsi: «il rischio di una oligarchisher Richterstaat, di una “oligarchia giudiziaria” promossa da Strasburgo sul sistema processuale penale attraverso una “europeizzazione della interpretazione”». 89 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 36. 90 Art. 35 C.e.d.u. 91 Tra le numerose sollecitazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si ricordano le risoluzioni interinali DHRes (2005) 85 48 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale leggi92. Quest’ultimo, nella perdurante inerzia del legislatore a provvedere, e data l’inadeguatezza dei rimedi pretori all’uopo escogitati per sopperirvi,93 è intervenuto con la “storica” sentenza n. 113 del 2011, che ha “aggiunto” all’art. 630 c.p.p. un “nuovo caso” di revisione, volto appunto a far fronte alle descritte evenienze.94 del 12 ottobre 2005, DHRes (2004) 13 del 10 febbraio 2004, DHRes (2002) 30 del 19 febbraio 2002, nonché la risoluzione finale DHRes (2007) 83; tra gli atti dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa volti a stigmatizzare l’inerzia del nostro Paese possono citarsi le Raccomandazioni n. 1684 (2004) del 23 novembre 2004 e n. 1764 (2006), nonché il Rapporto n. 11020 (2006) e la risoluzione n. 1516 (2006) del 2 ottobre 2006 (quest’ultima ha affermato che «Il rispetto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che comprende il riconoscimento della giurisdizione obbligatoria della Corte Europea […] e del carattere vincolante delle sue sentenze, è la chiave di volta dell’ordine pubblico europeo che garantisce la pace, la democrazia e il buon governo in seno alla Grande Europa»). In argomento, si v. A. Mangiaracina, La revisione del giudicato penale a seguito di pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo (I). La progettualità italiana e l’esperienza del Regno Unito, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 982 ss.; A. Guazzarotti, Effettività dei diritti e ruolo della Corte EDU in un’Europa allargata, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi (a cura di), All’incrocio tra Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, Torino, 2007, p. 131. 92 Corte cost., sent. 30 aprile 2008, n. 129, in Giur. cost., 2008, p. 1506, con nota di M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo»: la Corte si pronuncia (ma non è la parola definitva) (in argomento, si v. amplius, Cap. IV, par. 1). 93 Infra, Cap. III. 94 Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113, in Dir. pen. proc., 2011, p. 833, con nota di L. Parlato, Revisione del processo iniquo: la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo” (sul tema, si v. più diffusamente, infra, Cap. IV, par.2). Capitolo I – Tutela convenzionale 49 5. (segue) Maximum Vs minimum standard di tutela Le interrelazioni normative tra ordinamento europeo ed interno pongono il problema delle eventuali “interferenze” di tutela, e dunque, del grado di protezione da riconoscere ai diritti fondamentali presi in considerazione da entrambi. Al riguardo, la scelta di campo del testo convenzionale è netta: l’obiettivo da perseguire è quello del maximum standard, ossia del best level di protezione, sicché come afferma l’art. 53 C.e.d.u. – clausola priva di significativi precedenti in altre Convenzioni sui diritti umani – nessuna disposizione della C.e.d.u. «può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base ad ogni altro accordo al quale essa partecipi». Si tratta, insomma, di una clausola di garanzia che, onde evitare interpretazioni che pregiudichino livelli di tutela più elevati nell’ordinamento interno o anche internazionale,95 pone uno standard minimo ed indisponibile di garanzia,96 derogabile da parte degli Stati contraenti solo “verso l’alto”.97 Se ne deduce, quindi, che l’apporto offerto dal siA. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell’uomo in Europa, cit., p. 252; P. Pustorino, Art. 53, in S. Bartole – B. Conforti – G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, p. 741; 96 L. F. M. Besselinek, Entrapped by the Maximum Standard: On Fundamental Rights, Pluralism and Subsidiarity in the European Union, in Common Market Law Review, 1998, vol. 35, n. 3, p. 657. 97 M. Cartabia, Art. 53, cit., p. 362; P. Van Dijk - F. Van Hoff – A. Van Rijn – L. Zwaak, Theory and practice of the European Court of Human Rights, Antewerpen-Oxford, 2006, p. 10. 95 50 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale stema convenzionale “si aggiunge” alle garanzie domestiche, elevandone il grado di protezione o amplificandone la portata, ma non potendo tuttavia comprimerne lo spettro di tutela, limitandole o pregiudicandole.98 Alla luce di ciò, dunque – come affermato dal Giudice delle leggi – «il confronto tra tutela convenzionale e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, anche attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti».99 Ora, in linea generale, il livello di tutela assicurato dalla nostra Carta fondamentale non è inferiore a quello garantito dalla C.e.d.u, riscontrandosi – per ragioni cronologiche, storiche, politiche – una larga sintonia tra i due testi.100 Ciò non toglie, tuttavia, l’esistenza di taluni punti di frizione di questa – come anche dell’ordito codicistico proV. Manes, Introduzione, cit., p. 11. Analogamente, Corte cost., sent. 317 del 2009, cit., secondo cui «con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa». 99 Corte cost., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, cit.; proprio perseguendo il maximum standard di tutela, Corte cost., sent. 12 marzo 2010, n. 93, cit., ha elevato, alla luce dell’art. 6, par. 1 C.e.d.u., il livello di tutela interno, dichiarando l’illegittimità costituzionale della normativa in materia di procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali e personali nella parte in cui non consente che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale e alla corte d’appello possa svolgersi nelle forme dell’udienza pubblica. 100 V. Zagrebelsky, Intervento, in Processo penale e giustizia europea, cit., p. 14. 98 Capitolo I – Tutela convenzionale 51 cessual penale – con il testo convenzionale, risultando non perfettamente allineati. E ciò in un duplice senso: per eccesso, essendo talvolta il nostro assetto interno calibrato su uno standard più elevato di protezione; per difetto, registrando talaltra un appiattimento verso il basso del grado di salvaguardia.101 Il terreno elettivo di tali profili di criticità è quello del contraddittorio nella formazione della prova e, in particolare, dell’utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni rese, in fase preprocessuale, senza contraddittorio. Non vi è, infatti, piena coincidenza tra quanto sancito all’art. 111, commi 4 e 5 Cost. (e relative applicazioni codicistiche) e quanto preteso dall’art. 6, par. 3, lett. d) C.e.d.u.102 Come è noto, nell’interpretazione del Giudice di Strasburgo, il diritto dell’accusato di «interrogare o far interIn argomento, v. A. Balsamo – A. Lo Piparo, Principio del contraddittorio, utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali e nozione di testimone tra giurisprudenza europea e criticità del sistema italiano, in R. E. Kostoris – A. Balsamo, Giurisprudenza europea e processo italiano, cit., p. 347 ss.; P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 197 ss.; R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, cit., p. 8 ss.; S. Lonati, Il diritto dell’accusato a interrogare o fare interrogare le fonti di prova a carico (Studio sul contraddittorio nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nel sistema processuale penale italiano), Torino, 2008; Id., Il contraddittorio nella formazione della prova orale e i principi della C.E.D.U.: una proposta de iure condendo, in http://www.penalecontemporaneo.it/ upload/1342383550articolo%20lonati.pdf; O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 40 ss.; E. Selvaggi, Il valore probatorio delle dichiarazioni irripetibili, in R. E. Kostoris – A. Balsamo, Giurisprudenza europea e processo italiano, cit., p. 373 ss. 102 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 40. 101 52 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale rogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico» è concepito in un modo particolare, una sorta di via intermedia tra il contraddittorio “forte” per la formazione della prova e quello “debole” meramente argomentativo su una prova già formata.103 Se, cioè, in linea di principio, anche in sede sovranazionale si predilige la formazione della prova nel corso di un’udienza pubblica e in presenza dell’imputato, che deve esser stato posto in condizione di confrontarsi con il suo accusatore,104 tale regola non è tuttavia accolta in maniera assoluta, ammettendosene se non la totale derogabilità, certamente un’attenuazione. Senza, cioè, arrivare ad affermare la sufficienza di un mero confronto argomentativo su una prova già acquisita da una delle parti in assenza dell’altra, si ammette comunque la legittimità di un contraddittorio “almeno differito” sulla stessa.105 Deve cioè esser stata accordata – anche semplicemente ex post – all’accusato una occasione «adeguata» e «sufficiente» per poter «guardare negli occhi l’accusatore», interrogandolo e contestandogli le dichiarazioni effettuate.106 A tali condizioni anche una dichiarazione resa S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale, cit., p. 6. 104 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 40. Corte e.d.u., 20 novembre 1989, Kostovski c. Paesi Bassi; Id., 20 settembre 1993, Saïdi c. Francia. 105 G. Ubertis, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in Cass. pen., 2003, p. 2102; Id., Ricostruzione del sistema, giusto processo, elementi di prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p. 265; Id., Rilanciato il “giusto processo”, in Dir. pen. proc., 1996, p. 791. 106 Corte e.d.u., 22 ottobre 2009, Raykov c. Bulgarie, § 71; Id., 19 ottobre 2006, Majadallah c. Italia; Id., 13 ottobre 2005, Bracci c. Italia; Id., 5 dicembre 2002, Craxi c. Italia; Id., 27 febbraio 2001, Lucà c. Ita103 Capitolo I – Tutela convenzionale 53 anteriormente al dibattimento, in assenza di contraddittorio, può fondare “esclusivamente” (solely) o in maniera “determinante” (mainly) un esito decisorio di condanna. In caso contrario, essa – secondo i canoni dell’ “equo processo europeo” – può egualmente essere ammessa e confluire nell’orizzonte valutativo del giudice, senza tuttavia poter assurgere a prova unica o determinante dell’affermazione di colpevolezza.107 È questa una impostazione che – come efficacemente è stato rilevato – guarda al contraddittorio con «disincanto», evitando atteggiamenti assolutisti che possano pregiudicare la ricerca della verità giudiziale.108 Il risultato è una via lia; Id., 23 aprile 1997, Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, § 50; Id., 20 settembre 1993, Saïdi c. Francia, § 43; Id., 15 giugno 1992, Lüdi c. Suisse, § 49; Id., 20 novembre 1989, Kostovski c. Paesi Bassi, § 41; Id., 24 novembre 1986, Unterpertinger c. Francia, § 29. 107 Come osserva S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale, cit., p. 9, la Corte, nell’apprezzare l’efficacia probatoria di una testimonianza, «è chiamata ad effettuare un delicato ragionamento ipotetico: tra le varie prove utilizzate nelle decisioni nazionali, essa deve “sottrarre” le dichiarazioni del testimone o dei testimoni che il ricorrente non ha potuto esaminare. Ove, dopo tale operazione, la condanna risulti ancora supportata da “sufficienti elementi”, la procedura sarà considerata “complessivamente equa”, mentre opposte conclusioni si imporranno qualora a seguito della sottrazione l’affermazione di colpevolezza non possa più essere dichiarata». In argomento, si v. pure A. Tamietti, Il diritto di interrogare i testimoni tra Convenzione europea e Costituzione italiana, in Dir. pen. proc., 2001, p. 509 ss.; Id., Il principio dell’immutabilità del giudice nella giurisprudenza europea: divergenze e similitudini con la disciplina interna, in Cass. pen., 2006, p. 699 ss.; Id., Il diritto a esaminare testimoni a carico: permangono contrasti tra l’ordinamento italiano e l’art. 6 par. 3 lett. d della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ivi, 2006, p. 2991 ss. 108 S. Buzzelli, La riforma dell’art. 111 Cost. e il problema aperto 54 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale di mezzo che, allontanandosi dalle peculiarità processuali inquisitorie, non si omologa completamente ai canoni del processo accusatorio.109 Evidenti i punti di frizione con il nostro assetto di tutela che, per un verso, pretende di più, e, per un altro, si accontenta di meno. È innegabile, infatti, che la nostra Carta fondamentale, laddove sancisce espressamente l’inutilizzabilità contra reum delle «dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore», pretende di più della C.e.d.u., che può invece ammettere il recupero di tali dichiarazioni, salvo poi inibirne la sola idoneità a fondare in maniera “esclusiva” o “determinante” l’affermazione di colpevolezza dell’imputato. Ed egualmente è a dirsi per la disciplina processuale, che, nel sancire la utilizzabilità ai soli fini della valutazione di credibilità delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni (art. 500, comma 2 c.p.p.), si attesta su uno standard di protezione incontestabilmente più elevato di quello europeo. Ciò, tuttavia, a ben vedere, non crea particolari problemi. Le garanzie riconosciute dalla Convenzione europea costituiscono infatti, come detto, un semplice standard minimo di tutela,110 che gli ordinamenti degli Stati parte sono tenuti a rispettare, senza cedimenti verso il basso, ma senza tuttavia che sia preclusa agli stessi la predisposizone di un better level di salvaguardia delle medesime. della legislazione attuativa con particolare riguardo alle regole di formazione e valutazione della prova, in Cass. pen., 2000, p. 3180. 109 S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale, cit., p. 6. 110 P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 200-201. Capitolo I – Tutela convenzionale 55 Lo conferma il tenore del menzionato art. 53 C.e.d.u., che, nell’ottica propria di un sistema convenzionale di salvaguardia dei diritti umani che, conformemente al principio di sussidiarietà, rafforzi la protezione offerta a livello nazionale senza mai imporle limitazioni,111 pone una regola interpretativa in virtù della quale le disposizioni interne più garantiste non possono essere limitate dall’applicazione della C.e.d.u., essendo perfettamente legittima una derogabilità “verso l’alto” delle garanzie da questa poste.112 I problemi sorgono, invece, ove la normativa domestica deroghi “verso il basso”. Eventualità cui può dar spazio l’assetto costituzionale delle deroghe al contraddittorio (art. 111, comma 5 Cost.), che di fatto precludono all’accusato il confronto – contestuale o successivo – con l’accusatore, consentendo l’uso determinante in sentenza di dichiarazioni rese senza metodo dialettico. Con riferimento alla legislazione processual-penalistica interna, il discorso involge, poi, disposizioni quali gli artt. 195 comma 3, 238 comma 3, 512, 512-bis, 513 comma 2 c.p.p., che, nella parte in cui consentono l’utilizzazione anche “esclusiva” o “determinante” ai fini dell’accertamento di responsabilità di dichiarazioni rese in assenza di qualunque forma di contraddittorio, finanche “differito”, si pongono in conflitto con il sistema convenzionale che detta utilizzazione preclude, esponendosi così ad una censura di incostituzionalità ex art. 117 Cost., alla luce del parametro interposto di cui all’art. 6, par. 3, lett. d) C.e.d.u. Corte e.d.u., 30 gennaio 1998, Partito comunista unificato di Turchia c. Turchia, § 28. 112 J. Velu – R. Ergec, La Convention européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 1990, p. 59. 111 56 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Nel tentativo di scongiurare tale eventualità sono state proposte soluzioni diversificate. Sul piano interpretativo, si è percorsa la via di un’esegesi convenzionalmente orientata delle disposizioni interne. In particolare, si è affermato che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell’art. 6 C.e.d.u. – fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale.113 È questa la conclusione cui si perviene attraverso un’interpretazione adeguatrice dell’art. 526, comma 1-bis c.p.p., condotta alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. d) C.e.d.u., per come costantemente e vincolativamente interpretato dalla Corte di Strasburgo: da tale norma, infatti, discende una «vera e propria regola di diritto […] che prescrive un criterio di valutazione della prova nel processo penale, nel senso che una sentenza di condanna non può fondarsi, unicamente o in misura determinate, su deposizioni rese da una persona che l’imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare né nella fase istruttoria né durante il dibattimento». Cass., Sez. Un., 25 novembre 2010, n. 27918, De Francesco, in C.E.D. Cass., n. 250199; in Cass. pen., 2012, p. 858, con nota di P. Silvestri, Le Sezioni Unite impongono rigore per l’acquisizione e l’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali rese senza contraddittorio da persona residente all’estero. Sulla pronuncia si v. pure P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 30 ss.; S. Lonati – C. Melzi d’Eril, Le sole affermazioni fatte fuori dal dibattimento non possono costituire la base per la condanna, in Guida dir., n. 43, 2011, pp. 83-85; A. Pagliano, Le discrasie del sistema processuale penale italiano in tema di letture e contestazioni, in Dir. pen. proc., 2011, p. 1527 ss. 113 Capitolo I – Tutela convenzionale 57 In tal modo si arriva, di fatto ad un ampliamento in via esegetica delle regole di prova legale fissate all’art. 192, commi 2 e 3 c.p.p., operazione, questa, invero non priva di aspetti di problematicità, stante il carattere “eccezionale” di dette regole, come tali, non suscettibili di interpretazione analogica, né, tanto meno, di integrazione mediante applicazione diretta della normativa convenzionale.114 Per tale ragione, si è quindi sostenuto che la soluzione sembra ridursi ad un’alternativa secca: proposizione della relativa questione di costituzionalità ex art. 117 Cost., stante l’aporia non componibile interpretativamente coi dettami sovranazionali, ovvero intervento legislativo adeguatore, da orientare nel senso dell’introduzione nell’ordinamento interno di «formule normative riferite a concetti da sempre presenti nelle decisioni della Corte europea», quali quelle di «condanna “fondata esclusivamente o in maniera determinante” su dichiarazioni formate unilateralmente».115 In questa prospettiva, si è quindi proposta una doppia modifica dell’art. 526, comma 1-bis c.p.p., da un lato, estendendone l’operatività oltre l’eventualità del testimone che «per libera scelta» si è «sempre» sottratto «volontariamente» all’esame; dall’altro, circoscrivendo l’area del divieto alle sole ipotesi di un impiego delle dichiarazioni «in maniera esclusiva o determinante» a fondamento della dichiarazione di responsabilità.116 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 41. S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale, cit., p. 16. 116 S. Lonati, op. ult. cit., p. 17. In una prospettiva diversa si pone E. Selvaggi, Il valore probatorio delle dichiarazioni irripetibili, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano, cit., p. 379 ss., secondo cui sussistereb114 115 58 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Non sono, peraltro, mancate autorevoli posizioni di segno contrario, che evidenziando l’evanescenza del concetto di “prova determinante” e sostenendo la non opportunità «né di un intervento del legislatore che appesantisca di nuovi commi il già sovrabbondante testo dell’art. 192 c.p.p. né tanto meno di una sentenza additiva della Corte costituzionale che escluda la possibilità di una condanna fondata in modo ‘esclusivo’ o ‘determinante’ su dichiarazioni irripetibili assunte fuori contraddittorio», hanno evidenziato come all’interno del nostro sistema ci sia già una norma che «di fatto» vieta affermazioni di responsabilità di tal fatta ed è «la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio» codificata all’art. 533, comma 1 c.p.p., «perfettamente in grado, proprio per la presenza del flessibile aggettivo ‘ragionevole’, di assorbire il criterio di valutazione enunciato dalla Corte».117 bero altre due vie d’uscita, una di tipo “metodologico” e l’altra di matrice “interpretativa”: la prima consisterebbe nella necessità, per il giudice, del ricorso ad una motivazione congrua ed esaustiva che prescinda – o comunque non dia peso determinante – alla dichiarazione non assunta in contraddittorio; la seconda si sostanzierebbe, invece, in una interpretazione convenzionalmente orientata dell’istituto dell’incidente probatorio, tale da estenderlo anche ai casi considerati. 117 P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 203-205. Capitolo II L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo Sommario: 1. Dal contenzioso originario a quello attuale – 2. La forza delle pronunce di Strasburgo e la recessività del giudicato interno – 3. (segue) La rivisitazione della vicenda giudiziaria nell’ordinamento nazionale – 4. L’inerzia legislativa italiana 1. Dal contenzioso originario a quello attuale Per quanto non priva di taluni interventi assai significativi, l’attività della Corte europea dei “primordi” è apparsa alquanto rarefatta: fino alla metà degli anni settanta, essa si è configurata di fatto come un «giudice ad intermittenza», chiamato ad intervenire soltanto sporadicamente, come dimostra il crudo dato dell’emanazione di meno di trenta sentenze in più di un quindicennio.1 Il limitatissimo numero di ricorsi italiani, unito alla mancata ricezione delle garanzie convenzionali tanto a livello legislativo quanto giurisprudenziale, oltre alla pressoché totale assenza di controlli sovranazionali sulla osservanza delle stesse, inducevano alla sconsolante affermazione secondo cui «lo spirito del diritto europeo non penetra nell’orCosì, M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo, cit., p. 11. 1 60 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale dinamento italiano»,2 concludendosi nel senso che «le norme della Convenzione di Roma non sono ancora diventate un effettivo strumento di tutela dell’individuo nei confronti dello Stato».3 La causa di tale disfunzionalità appariva addebitabile ad una molteplicità di fattori, di matrice congiunturale, strutturale e sociale. In primis, l’incertezza circa il valore giuridico della normativa convenzionale,4 la sua inadeguata conoscenza da parte dei cittadini italiani, unita agli «indirizzi decisori tutt’altro che stimolanti degli organi giurisdizionali europei»,5 non avari nell’emissione di decisioni di irricevibilità.6 In secondo luogo, la particolare congiuntura sfavorevole di quegli anni, martoriati dal diffondersi del terrorismo e dall’acuirsi dei problemi della nuova criminalità, «fenomeni divenuti più allarmanti proprio quando stava per maturare, alla fine degli anni Sessanta, quella stagione delle riforme processuali da cui sarebbe potuta venire la sollecitazione a rendere pienamente operanti le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».7 G. Gregori, La tutela europea dei diritti dell’uomo, Milano, 1979, p. 217 3 E. Amodio, L’impatto della normativa europea sul processo penale italiano, in Id., Processo penale diritto europeo e common law, Milano, 2003, p. 80. 4 G. Foschini, La giustizia sotto l’albero e i diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1963, p. 300; M. Pisani, Un «caso clinico» in tema di Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Ind. pen., 1967, p. 391. 5 E. Amodio, op. ult. cit., p. 83. 6 In argomento, cfr. pure G. Biscottini (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’applicazione giurisprudenziale in Italia, Milano, 1981. 7 E. Amodio, op. ult. cit., p. 85; A. Giarda, Diritti dell’uomo e processo 2 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 61 A ciò si sono aggiunte ragioni di ordine strutturale, legate alla configurazione del modello processuale allora vigente ed al ruolo da esso attribuito agli operatori giudiziari. In una prospettiva ancora saldamente imperniata sugli schemi del processo di tipo “misto”, con un magistrato istruttore dotato del «potere di ipotecare la decisione dibattimentale mediante i risultati delle sue indagini», non era ragionevolmente pensabile che potesse trovare terreno fecondo la ricezione delle garanzie sovranazionali, percepite invero come «qualcosa di calato dall’esterno» in un processo la cui struttura non appariva confacente. La posizione di preminenza della magistratura – che sentiva di «essere chiamata ad esercitare la iurisdictio in una condizione di assoluto monopolio, come “corpo dello Stato”», non tollerando facilmente limitazioni nella sua opera di ricerca della verità – non poteva, poi, che fare avvertire come una erosione di potere le garanzie previste dalla Convenzione di Roma.8 Infine, non privi di influenza sono apparsi certi orientamenti culturali e sociali, che, non ancora maturi a recepire il grado di effettività e pregnanza delle garanzie europee, hanno esercitato una portata frenante quanto a metabolizzazione delle stesse a livello di opinione pubblica, veicolando interpretazioni deformanti non in linea con i canoni sovraordinati.9 penale italiano: un bilancio e prospettive operative, Relazione tenuta al Convegno su «Diritti dell’uomo e processo penale», svoltosi a Trieste nei giorni 11 e 12 ottobre 1980, p. 6 ss. del testo dattiloscritto. 8 Così, ancora E. Amodio, op. ult. cit., p. 85. 9 E. Amodio, op. ult. cit., p. 86, che ricorda l’interpretazione deformante data in quegli anni all’art. 6, n. 3, lett. a) C.e.d.u. che riconosce all’imputato il diritto di essere informato della natura e dei motivi dell’accusa elavata a suo carico. 62 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale La situazione è cominciata a mutare verso la seconda metà degli anni Settanta, epoca a partire dalla quale si è registrata una intensificazione a tratti quasi vertiginosa degli interventi del Giudice europeo. Ciò è stato dovuto, innanzitutto, al progressivo espandersi dell’area dei Paesi vincolati all’osservanza della Convenzione, passati a partire dal 1989, nel giro di diciotto anni, da venti a quarantasette. Molti di tali Stati – provenienti dall’ex blocco sovietico – avevano (ed hanno tuttora) uno standard di protezione dei diritti umani non del tutto soddisfacente e comunque non in linea con un’applicazione rigorosa delle condizioni di adesione previste dall’art. 3 dello Statuto del Consiglio d’Europa.10 Ne è conseguito un inevitabile incremento quantitativo del contenzioso innanzi alla Corte europea, che ha prodotto dei significativi riflessi anche dal punto di vista “qualitativo”. Progressivamente, infatti, la Corte, oltre a procedere ad un graduale arricchimento per via interpretativa del catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti dal testo della C.e.d.u.,11 ha espanso il suo ruolo, affiancando al tradizionale compito di “custode della Convenzione” nei casi particolari sottoposti al suo esame, quello di “controllore della conformità ordinamentale” ai parametri europei, assolvendo anche a quella che è stata definita la “missione di scuola di democrazia” per i Paesi che tale regime avevano da poco conquistato.12 Così O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia nella prospettiva della giustizia costituzionale, cit., p. 17. 11 M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo, cit., p. 17. 12 Così O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 17. 10 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 63 Tale trasformazione del ruolo della Corte ha prodotto un maggiore attivismo dei giudici di Strasburgo: questi, infatti, trovandosi spesso di fronte a procedure giurisdizionali formalmente istituite nei nuovi Stati membri, ma in realtà del tutto inadeguate a garantire un effettivo esercizio dei diritti dei ricorrenti, hanno iniziato a dichiarare ricevibili ricorsi rispetto ai quali non erano stati esauriti tutti i rimedi giurisdizionali interni,13 con un conseguente progressivo affievolimento del ruolo sussidiario della Corte ed un parallelo vertiginoso aumento dei ricorsi individuali.14 Tale effetto è stato, poi, ulteriormente consolidato da altri fattori concorrenti, tra cui spiccano talune fondamentali modifiche intervenute in tema di tutela convenzionale dei diritti umani. In particolare, il riferimento va innanzitutto al cedimento delle barriere innalzate contro l’assoggettamento alla giurisdizione europea, dapprima con l’adesione, da parte dei Paesi che non l’avevano fatto al momento della ratifica, alle clausole relative alla giurisdizione obbligatoria della Corte e al diritto al ricorso individuale alla stessa – avvenuta, per ciò che concerne il nostro Paese, nel 197315 – poi, con O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 17. Nella giurisprudenza europea, si v. Corte e.d.u., 18 dicembre 1996, Aksoy c. Turchia; Id., 16 settembre 2006, Akdivar c.Turchia. 14 Come osserva R. Harmsen, The European Convention on Human Rights after the Enlargement, in International Journal of Human Rights, 2001, p. 29, in tal modo «the Court ceases to be a secondary guarantor of human rights and instead finds itself in a more explicit affirmation of its role in a more crucial and exposed front line position». 15 Nel sistema antecedente alla radicale riforma realizzata dal Protocollo n. 11, mentre l’operatività dei ricorsi interstatali era configurata come automatica, cioè quale effetto della sola ratifica della C.e.d.u. da 13 64 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale la previsione dell’obbligatorietà ipso iure delle stesse ad opera del Protocollo n. 11 alla Convenzione, adottato nel 1994,16 che ha realizzato una radicale riforma del sistema di tutela convenzionale dei diritti umani, rappresentando una tappa decisiva nel “processo di giurisdizionalizzazione” dello stesso.17 parte degli Stati, quella dei ricorsi individuali aveva carattere facoltativo, essendo subordinata alla previa accettazione dei singoli Paesi membri, da formularsi mediante apposita dichiarazione (revocabile e, di regola, a tempo determinato). Si poteva, quindi, verificare l’eventualità che gli Stati ratificassero la C.e.d.u., senza tuttavia riconoscere l’operatività del diritto al ricorso individuale: e questo fu appunto il caso dell’Italia, che ratificò la Convenzione nel 1955, ma accettò la clausola relativa al ricorso individuale solo nel 1973 (sul punto, v. A. Saccucci, voce Corte europea dei diritti dell’uomo, in Diz. dir. pubbl. diretto da S. Cassese, Milano, 2006, p. 1595). 16 Esattamente, l’11 maggio 1994; esso è entrato in vigore il 1° novembre 1998, a seguito della ratifica di tutti i Paesi membri (l’Italia vi ha provveduto per ultima, il 1° ottobre 1997, successivamente all’autorizzazione disposta con la l. 28 agosto 1997, n. 296). 17 J. A. Carrillo – Salcedo, Quels juges pour la nouvelle Cour européenne des droits de l’homme, in Revue universelle des droits de l’homme, 1997, p. 1. In particolare, oltre al menzionato riconoscimento in forma obbligatoria della giurisdizione della Corte e del diritto al ricorso individuale, esso ha sostituito la Commissione e la Corte europea preesistenti con una nuova Corte europea permanente, in capo alla quale sono state concentrate tutte le funzioni inerenti l’esame dei ricorsi interstatali ed individuali, ed ha abolito le competenze decisorie del Comitato dei Ministri, deputato ormai ad assolvere a funzioni di sorveglianza sull’esecuzione delle sentenze del Giudice di Strasburgo. Il sistema antecedente prevedeva, invece, un meccanismo di tutela convenzionale solo parzialmente giurisdizionale, in cui il Comitato dei Ministri – organo politico, cui veniva trasmesso il ricorso che aveva superato il filtro della Commissione e che non si fosse concluso con una composizione amichevole – poteva, se non rimetteva il ricorso alla Corte, pronunciarsi in via definitiva sulla Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 65 Un ruolo fondamentale, inoltre, per ciò che concerne il nostro Paese, ha indubbiamente avuto anche il mutamento di sensibilità, più affine al “garantismo europeo”, avviatosi con la riflessione sulla riforma del processo penale, sfociata in quegli anni nella legge delega del 1974 e nel conseguente progetto preliminare di un nuovo codice di rito del 1978,18 successivamente meglio coltivata con la seconda (e definitiva) legge delega del 1987.19 lesione convenzionale (in letteratura, sulle innovazioni introdotte dal Protocollo n. 11, ex multis, I. Arena, L’evoluzione del sistema internazionale dei diritti dell’uomo. Il Protocollo n. 11, in Giur. mer., 2000, p. 1014 ss.; R. Bernhardt, Reform of the Control Machinery Under the European Convention on Human Rights: Protocol No. 11, in American Journal of Int. Law, 1995, p. 145 ss.; M. de Salvia, La nuova Corte europea dei diritti dell’uomo tra continuità e riforma, in Riv. dir. intern. uomo, 1999, p. 704 ss.; A. Drzemczewski – J. Meyer-Ladewig, Principales caractéristiques du nouveau mécanisme de contrôle établi par la C.E.D.H. suite au Protocole n. 11, signé le 11 mai 1994, in Revue universelle des droits de l’homme, 1994, p. 81 ss.; A. Drzemczewski, A Major Overhaul of the European Human Rights Convention Control Mechanism: Protocol No. 11, in Collected Courses of the Academy of European Law, VI, The Hague, 1997, p. 121 ss.; U. Leanza, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: nuove prospettive per la tutela internazionale dei diritti dell’uomo, in Jus, 1999, p. 359 ss.; G. Raimondi, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: una Corte unica per la protezione dei diritti in Europa, in Riv. dir. intern. uomo, 1994, p. 61 ss.; D. E. Tosi, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: la tutela dei diritti fondamentali davanti alla nuova Corte europea, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, p. 137 ss.; M. Valenti, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo: ancora una soluzione di compromesso?, in Riv. dir. intern. priv. proc., 2000, p. 397 ss.). 18 L. 3 aprile 1974, n. 108. 19 L. 16 febbraio 1987, n. 81. 66 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Negli ultimi anni, l’istituzione giudiziaria della “Grande Europa” dei quarantasette Stati membri del Consiglio d’Europa, ha registrato un trend costante di crescita della domanda di tutela, che l’ha condotta, in oltre cinquant’anni di attività, a pronunciare più di quindicimila sentenze,20 oltre il 91% delle quali emesse nell’arco temporale che va dal 1998 al 2011.21 In particolare, a partire dal 2009, la Corte e.d.u. si è assestata su una media di ricezione di più di cinquantamila ricorsi all’anno.22 Più esattamente, il “giro di boa” delle 10.000 pronunce è avvenuto il 18 settembre 2008 (cfr. http://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/DB4F537E7364-4C4F-8A83-21F2EFCC87B6/0/ITA_Court_in_brief.pdf). Circa la metà delle oltre quindicimila sentenze emesse dalla sua istituzione riguardano quattro Stati membri: Turchia (2.747); Italia (2.166); Russia (1.212) e Polonia (945); sul numero totale di ricorsi esaminati fin dal 1959, in oltre l’83% dei casi la Corte ha riscontrato almeno una violazione della Convenzione (ECHR Overview 1959-2011, in http://www.echr. coe.int/NR/rdonlyres/8031883C-6F90-4A5E-A979-2EC5273B38AC/0/ APERCU_19592011_EN.pdf, p. 3), consistente, per lo più, nel vulnus all’art. 6 C.e.d.u., sotto il profilo della fairness o della lentezza del procedimento. Più esattamente, i dati statistici evidenziano come il 58% delle violazioni ha riguardato l’art. 6 C.e.d.u. e l’art. 1 Protocollo n. 1 (diritto di proprietà); l’11% ha coinvolto, invece, il diritto alla vita o il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (artt. 2 e 3 C.e.d.u.) (ECHR Overview 1959-2011, cit., p. 5). 21 Cfr. The ECHR in facts & figures 2011, in http://www.echr.coe. int/NR/rdonlyres/4ACC88A2-0336-415D-A904-061BE63EDE8D/0/ FAITS_CHIFFRES_EN_JAN2012_VERSION_WEB.pdf, p. 8. 22 Per una interessante documentazione dell’aumento esponenziale dei ricorsi, si v. l’Explanatory report al Protocollo n. 14, redatto dallo Steering Committee for Human Rights in occasione della sessione n. 114 del Comitato dei Ministri (Strasburgo, 12-13 maggio 2004), consultabile in http://www.coe.int/t/e/human_rights/cddh/. 20 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 67 I dati dell’annual report 2011 del Comitato dei Ministri23 registrano come nel 2011 i ricorsi assegnati ad una formazione giudiziale in cui si articola l’organo europeo (single judge, committee, chamber) sono stati 64.500, con un incremento del 5% in più rispetto all’anno 2010 (61.300); quelli decisi 52.188, con un aumento del 27% rispetto all’anno precedente (41.182); quelli pendenti 151.600. Di questi ultimi, 13.741 (ossia, il 9,1%) vedono come Stato convenuto l’Italia,24 le cui violazioni più ricorrenti riguardano in genere la ragionevole durata del processo, il diritto di proprietà e le garanzie del due process.25 Si tratta di dati statistici che costituiscono un segno inequivoco della grande vitalità del ricorso al Giudice di Strasburgo, non privo, tuttavia, invero – come ammesso da un autorevolissimo rappresentante dell’istituzione giudiziaria europea – di gravi ricadute sulla capacità di trattazione degli stessi.26 In http://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/77FF4249-96E5-4D1F-BE7142867A469225/0/2011_Rapport_Annuel_EN.pdf 24 Subito dopo la Turchia, che ha 15.950 casi pendenti (pari al 10,5%), preceduta a sua volta dalla Russia, con 40.250 (pari al 26,6%). 25 In argomento, si v. pure S. Buzzelli, voce Processo penale europeo, in Enc. dir., Annali II, tomo I, Milano, 2008, p. 722, che sottolinea come i punti di maggior attrito con i principi convenzionali attengono all’«insostenibile lentezza dei processi [all’] incompatibilità di certe letture acquisitive […] senza dimenticare il nodo del processo in absentia». Sulle condanne subite dal nostro Paese, cfr. Ead., È tempo di costruire una giustizia penale di qualità, in Cass. pen., 2006, p. 4309; M. Castellaneta, L’Italia non è nuova a condanne per le condizioni di vita nei penitenziari. (Spetta agli Stati assicurare ai detenuti nelle carceri le cure appropriate per evitare che la salute peggiori), in Guida dir., 2012, n. 9, p. 92. 26 Cfr. V. Zagrebelsky, La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni, cit., p. 6. 23 68 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale 2. La forza delle pronunce di Strasburgo e la recessività del giudicato interno L’esigenza di garantire effettività al sistema europeo di protezione dei diritti umani postula il pieno rispetto, da parte degli Stati membri, delle sentenze definitive emesse dalla Corte europea nelle controversie in cui sono parte. È questo un “obbligo internazionale specifico” che si aggiunge a quello “generico”, scaturente dal principio pacta sunt servanda, di garantire, con opportune misure legislative e con precisi comportamenti, i diritti e le libertà consacrati nel testo convenzionale.27 Diversamente, se l’ordinamento di uno Stato contraente potesse permettersi che «una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria restasse inefficace a detrimento di una parte», ne risulterebbe minata la configurazione stessa della Convenzione europea quale «meccanismo unico di protezione» dei diritti dell’uomo, che contribuisce in «maniera determinante» al mantenimento della «sicurezza democratica» e al rispetto del diritto nell’insieme dell’Europa. Peraltro, lo stesso concetto di fair trial assumerebbe una consistenza evanescente, riducendosi a un qualcosa di meramente «illusorio».28 Di qui, l’esigenza di considerare l’esecuzione stessa di una decisione del Giudice di Strasburgo come «parte integrante del processo ai sensi dell’art. 6 Conv. eur.»,29 senza, M. De Salvia – M. Remus, Ricorrere a Strasburgo. Presupposti e procedura, Milano, 2011, p. 76. 28 S. Lonati, Il diritto dell’accusato a «interrogare o fare interrogare» le fonti di prova a carico, cit., p. 80; Id., Il contraddittorio nella formazione della prova orale, cit., pp. 1-2. 29 Corte e.d.u., 19 febbraio 1997, Horsnby c. Regno Unito, § 40. 27 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 69 tuttavia, che naturalmente ciò implichi uno sforamento da parte di detto Giudice dei limiti invalicabili spettanti alla giurisdizione nazionale, con cui anzi deve “virtuosamente” coordinarsi. Per quanto il significativo mutamento del ruolo della Corte europea dianzi descritto abbia, come visto, avuto delle ripercussioni al riguardo,30 il sistema di salvaguardia convenzionale dei diritti umani si fonda, in linea di principio, sul criterio di cd. “sussidiarietà”, secondo cui spetta innanzitutto alle autorità nazionali garantire i diritti e le libertà consacrati nella C.e.d.u.;31 solo in seconda battuta, una volta esaurite le vie di ricorso interne, può intervenire il Giudice europeo, custode “secondario” dei diritti fondamentali, il quale esercitando un ruolo di “supplenza”, verifica le modalità attraverso cui i diritti in questione sono stati assicurati dall’ordinamento domestico, censurando eventuali inadempienze o lacune di disciplina.32 Si v. il paragrafo che precede. Corte e.d.u., 7 dicembre 1976, Handyside c. Regno Unito, § 48, che afferma: «The Court points out that the machinery of protection established by the Convention is subsidiary to the national systems safeguarding human rights […]. The Convention leaves to each Contracting State, in the first place, the task of securing the rights and liberties it enshrines. The institutions created by it make their own contribution to this task but they become involved only through contentious proceedings and once all domestic remedies have been exhausted». Analogamente, Corte e.d.u., Grande Camera, 22 marzo 2001, Streletz, Kessler e Krenz c. Germania, § 51; Id., 10 aprile 2001, Tanli c. Turhia, § 110; Id., 10 maggio 2001, Z. e altri c. Regno Unito, § 103; Id., 23 maggio 2001, Denizci e altri c. Cipro, § 315. 32 Sussiste, dunque, un obbligo statale di garantire «effective remedies» in caso di violazione dei diritti fondamentali tutelati dalla C.e.d.u.: l’assenza di un esame giudiziario o di un’altra approfondi30 31 70 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Si introduce, così, un “controllo giurisdizionale esterno” sulle violazioni dei diritti fondamentali dei singoli, che possono convenire lo Stato alla cui giurisdizione sono soggetti direttamente innanzi al Giudice europeo.33 Espressione e strumento procedurale di attuazione del principio di sussidiarietà è la regola del “previo esaurimento dei ricorsi interni” posta dall’art. 35 del testo convenzionale34 quale principale condizione di ricevibilità delle istanze avanzate alla Corte di Strasburgo.35 Essa, infatti, mira ad assicurare che le autorità nazionali, in primis quelle giurisdizionali, possano prevenire violazioni della Convenzione o rimediare alle stesse,36 in attuazione dell’obbligo generale ta inchiesta sui fatti denunciati dal ricorrente integra una violazione dell’impegno assunto ex art. 1 C.e.d.u. di riconoscere tali diritti, e in particolare, di apprestare un ricorso effettivo come previsto dall’art. 13 C.e.d.u. (Corte e.d.u., 17 luglio 2001, Bilgin c. Turchia, § 123). 33 Sulla natura di tale controllo, si v. specificamente V. Zagrebelsky, La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni, cit., p. 4. 34 Corte e.d.u., Grande camera, 16 settembnre 1996, Akdivar e altri c. Turchia, § 65. 35 P. Leach, Taking a case to the European Court of Human Rights, Oxford-New York, 2005, p. 134. La regola del previo esaurimento dei ricorsi interni è vigente anche in altri contesti di tutela dei diritti umani: si pensi, in via esemplificativa, all’art. 41, par. 1, lett. c) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, o all’art. 46, par. 1, lett. a) della Convenzione americana sui diritti umani del 1969 (cd. Patto di San José), o ancora, agli artt. 50 e 56, par. 5, della Carta africana sui diritti dell’uomo. Sull’origine storica del principio, si v. G. Strozzi, Ricorsi interni (regola del previo esaurimento dei), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, p. 706. 36 Corte e.d.u., 23 aprile 1996, Remli c. Francia, § 33; Id., Grande Camera, 28 luglio 1999, Selmouni c. Francia, § 74; Id., Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, § 43; Id., Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, § 68. Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 71 gravante sui Paesi membri, ai sensi dell’art. 1 C.e.d.u., di rispettare i diritti convenzionalmente garantiti37 e di predisporre nei rispettivi ordinamenti, ex art. 13 C.e.d.u., ricorsi effettivi in caso di loro violazione.38 Tale regola – che, peraltro, contribuisce all’efficacia generale del sistema di protezione convenzionale, consentendo alla Corte di pronunciarsi su una questione beneficiando del punto di vista delle corti nazionali, poste a più diretto contatto con le forze vitali delle rispettive società39 – ha fondamentali ripercussioni sull’ordinamento interno, postulando l’esperibilità del ricorso alla Corte europea solo una volta che il giudicato nazionale si sia già formato, e dunque, comportando una fatale “recessività” di questo in caso di accertata lesione delle garanzie convenzionali.40 Corte e.d.u., Grande Camera, 29 marzo 2006, Cocchiarella c. Italia, § 134. 38 Corte e.d.u., Grande Camera, 26 ottobre 2000, Kudla c. Polonia, § 152. 39 Corte e.d.u., Grande Camera, 29 aprile 2008, Burden c. Regno Unito, § 42. 40 Nel senso che l’obbligo dell’ordinamento italiano di dare esecuzione al giudicato sovranazionale non si arresta di fronte a situazioni interne definite irrevocabilmente, essendo le pronunce del Giudice dei diritti umani dotate di una forza vincolante tale da prevalere anche sul pregresso dictum definitivo interno, Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, in C.E.D. Cass., n. 247244; Id., sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807, Drassich, ivi, n. 241753; Id., sez. I, 1° dicembre 2006, n. 2800, Dorigo, in Cass. pen., 2007, p. 1441; Id., sez. I, 12 luglio 2006, n. 32678, Somogyi, ivi, 2007, p. 1002; Id., sez. I, 22 settembre 2005, n. 35616, Cat Berro, in Guida dir., 2005, n. 43, p. 84, con nota di E. Selvaggi, I dispositivi della Corte europea possono travolgere il giudicato; nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 25 settembre 2006, Bracci, in Cass. pen., 2007, p. 276. Per i risvolti costituzionali del «superamento del giudicato “post Strasburgo”», si v. Pollicino – V. 37 72 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Recessività che, tuttavia, non è “automatica”, non conseguendo ipso iure alla sentenza dell’istituzione sovranazionale: la Corte e.d.u. è priva, infatti, di un potere di annullamento delle decisioni domestiche lesive, e dunque, dai suoi dicta non consegue alcun effetto rescindente sulle stesse.41 Si rende, quindi, indispensabile una “collaborazione” degli ordinamenti nazionali, sui quali, ai sensi dell’art. 46 C.e.d.u. grava l’obbligo di «conformarsi» alle sentenze definitive della Corte europea, dandovi attuazione attraverso Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 28, i quali sottolineano come l’intangibilità del giudicato interno rappresenti «l’elemento “di chiusura” degli ordinamenti giuridici», ponendosi, «su un piano forse meno appariscente di altri, ma probabilmente cruciale dal punto di vista tecnico», come un elemento fondamentale di difesa della sovranità intesa in senso tradizionale. 41 Invero, durante le fasi iniziali dei lavori preparatori della Convenzione si era proposto di attribuire alla Corte europea il potere di intervenire direttamente nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, annullando o modificando gli atti interni legislativi, amministrativi o giudiziari ritenuti lesivi delle garanzie convenzionali. Il testo originario dell’art. 50 C.e.d.u. (ora divenuto art. 41), prevedeva infatti che «The verdict of the Court shall order the State concerned (1) to annul, suspend or amend the incriminating decision; (2) to make reparation for damage caused; (3) to require the appropriate penal, administrative or civil sanctions to be applied to the person or persons responsible» (cfr. Council of Europe, Collected edition of the “Travaux préparatoires” of the European Convention on Human Rights, The Hague, 1975, I, p. 98). Tale �������������������������������������������������������������� impostazione era stata, tuttavia, quasi subito abbandonata a favore di una soluzione più adeguata all’assetto tradizionale del diritto internazionale, che riconoscesse alla Corte europea il potere di disporre a favore della vittima della violazione un’equa riparazione, rimettendo al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il compito di sorvegliare l’esecuzione delle sentenze. Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 73 l’adozione di misure interne che consentano alla vittima della violazione di essere reintegrata nella situazione antecedente all’accertato vulnus.42 In particolare, secondo quanto dispone l’art. 41 C.e.d.u., in caso di condanna per violazione delle norme della Convenzione o dei Protocolli addizionali, lo Stato convenuto diviene destinatario di una serie di obblighi consequenziali: innanzitutto, quello primario di porre fine al comportamento antigiuridico, rimuovendo la violazione normativa accertata e ripristinando la situazione anteriore alla stessa (cd. restitutio in integrum);43 in secondo luogo – e solo in In argomento, in dottrina si v. A. Drzewmczewski, Art. 46, in S. Bartole – B. Conforti – G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea, cit., p. 685 ss.; P. H. Imbert, L’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle decisioni del Comitato dei Ministri, in Doc. giust., 2000, p. 234 ss.; E. Lambert, Les effets des arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 1999; Ead, Les effets des décisions des organes de la Convention européennne des droits de l’homme: des obligations internationales sans précédent…, in Rev. trim. dr. homme, 2000, p. 200 ss.; P. Pirrone, L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, 2004; Id., Art. 46, in S. Bartole – P. De Sena – V. Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione europea, cit., p. 744 ss.; G. Raimondi, L’obbligo degli Stati di conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti umani negli affari nei quali essi sono parte: l’art. 46, primo comma, della Cedu, in Aa. VV., La Corte europea dei diritti umani e l’esecuzione delle sue sentenze, Napoli, 2003, p. 39 ss; B. Randazzo, Nuovi sviluppi in tema di esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. uomo, 2006, n. 2, p. 11 ss.; 43 Su tale obbligo, cfr. C. Bîrsan, Les aspects nouveaux de l’application des articles 41 et 46 de la Convention dans la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, in Trente ans de droit européenne des droits de l’homme. Etudes à la memoire de Wolf42 74 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale via sussidiaria – quello di corrispondere una satisfaction équitable alla vittima nell’eventualità in cui la normativa nazionale non consenta una completa riparazione.44 L’accertamento di un vulnus convenzionale da parte del Giudice europeo, dunque, comporta a carico del Paese ritenuto responsabile l’obbligo prioritario di provvedere alla integrale riparazione del pregiudizio causato alla vittima della lesione. Ora, in linea di principio, si è sempre riconosciuta allo Stato membro un’ampia autonomia nella scelta dei mezzi attaverso cui realizzare, sotto la sorveglianza ad hoc del Comitato dei Ministri, tale obiettivo45 – purchè ovviamengang Strasser, Bruxelles, 2007, p. 23 ss.; E. Lambert, La pratique récente de réparation des violations de la Convention européenne de sauveguarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales: plaidoyer pour la préservation d’un acquis remarquable, in Revue trim. dr. homme, 2000, p. 201. 44 In dottrina, cfr. F. Crisafulli, Il pagamento dell’ “equa soddisfazione”, in Aa. Vv., La Corte europea dei diritti umani e l’esecuzione delle sue sentenze, cit., p. 87 ss.; R. Luzzatto, La Corte dei diritti dell’uomo e la riparazione delle violazioni della Convenzione, in Studi in onore di Manlio Udina, I, Milano, 1975; F. Sundberg, Art. 41, in S. Bartole – B. Conforti – G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea, cit., p. 664 ss. 45 Corte e.d.u., 19 ottobre 2000, Iatridis c. Grecia, § 33; Id., 13 luglio 1996, Nasri c. Francia, § 49; Id., 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos e altri c. Grecia, § 34; Id., 23 maggio 1991, Obserschilck c. Austria, § 65; Id., 24 maggio 1989, Hauschildt c. Danimarca, § 54; Id., 29 aprile 1988, Belilos c. Svizzera, § 78; Id., 26 maggio 1988, Pauwels c. Belgio, § 41; Id., 26 ottobre 1988, Norris c. Irlanda, § 50; Id., 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia, § 30; Id., 18 dicembre 1986, Johnston e altri c. Irlanda, § 77; Id., 26 ottobre 1985, McGoff c. Svezia, § 31; Id., 22 marzo 1983, Campbell c. Regno Unito, § 16; Id., sent. 13 giugno 1979, Marchx c. Belgio, § 58. Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 75 te questi fossero «compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte» – costituendo l’obbligo ex art. 46 C.e.d.u. un obbligo “di risultato”.46 Tale conclusione, in linea con la tradizionale natura “dichiarativa” attribuita ai decisa sovranazionali47 ha nel tempo cominciato ad incrinarsi, iniziando la stessa Corte europea ad indicare nelle sue pronunce quali ulteriori misure, diverse dal risarcimento monetario, di carattere individuale (idonee, cioè a porre fine alla riscontrata violazione, eliminando le conseguenze pregiudizievoli della stessa e ripristinando per quanto possibile la situazione antecedente) o generale (ossia, adeguate a rimediare a situazioni strutturali esistenti negli ordinamenti nazionali causa di attrito con i principi della Convenzione), si rendessero di volta in volta necessarie per adempiere all’obbligo riparatorio in favore delle vittime, dando in tal modo piena esecuzione alle sue sentenze.48 Corte e.d.u., Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, § 147; Id., 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, §§ 119 e 127; Id., Grande Camera, 12 maggio 2005, Ocalan c. Turchia. 47 Cfr. V. Esposito, La libertà degli Stati nella scelta dei mezzi attuativi, cit., p. 17; A. Saccucci, Obblighi di riparazione e revisione, cit., p. 618. 48 Cfr. Corte e.d.u., 13 luglio 2000, Scozzari c. Italia, § 249: «lo Stato convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati le somme assegnate a titolo di equo indennizzo, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei ministri, le misure generali e/o, eventualmente, individuali da adottare nel suo ordinamento giuridico interno al fine di porre fine alla violazione accertata dalla Corte e di cancellarne per quanto possibile le conseguenze»; nello stesso senso, in precedenza, Corte e.d.u., 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos c. Grecia, § 34. Su tale evoluzione, in dottrina, cfr. A. Cozzi, L’impat46 76 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Così, ad esempio, in tema di illegittima privazione della libertà personale, la Corte non ha esitato ad indicare nello stesso dispositivo della sentenza la messa in libertà immediata del ricorrente quale misura individuale da adottarsi da parte dello Stato per ottemperare alla sua decisione;49 con riferimento a condizioni detentive inumani e degradanti, ha sollecitato il Paese convenuto ad assicurare nel più breve tempo modalità di restrizione della libertà adeguate ad assicurare al ricorrente le necessarie cure mediche;50 in tema to delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle situazioni giuridiche interne definite da sentenze passate in giudicato: la configurabilità di un obbligo di riapertura o di revisione del processo, in F. Spitaleri (a cura di), L’incidenza del diritto comunitario e della CEDU sugli atti nazionali definitivi, Milano, 2009, p. 162 ss.; L. G. Loucadeis, Reparation for Violation of Human Rights under the European Convention and Restitutio in Integrum, in Eur. Hum. Rights Law Rev., 2008, p. 186 ss.; A. Saccucci, La riapertura del processo penale quale misura individuale per ottemperare alle sentenze della Corte europea, in A. Balsamo – R. E. Kostoris, Giurisprudenza europea e processo penale italiano, cit., p. 84. 49 Corte e.d.u., 8 aprile 2004, Assanidzé c. Georgia,§ 203: «In these conditions, having regard to the particular circumstances of the case and the urgent need to put an end to the violation of Article 5 § 1 and Article 6 § 1 of the Convention [...], the Court considers that the respondent State must secure the applicant’s release at the earliest possible date». 50 Corte e.d.u., 20 gennaio 2009, Sławomir Musiał c. Polonia, § 108: «In these conditions, having regard to the particular circumstances of the case and the urgent need to put an end to the violation of Article 3 of the Convention [...], the Court considers that the respondent State must secure, at the earliest possible date, the adequate conditions of the applicant’s detention in an establishment capable of providing him with the necessary psychiatric treatment and constant medical supervision». Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 77 di contaminazione da virus dell’HIV, ha stabilito in favore del ricorrente, in aggiunta all’equa soddisfazione, l’onere del Governo di assicurare allo stesso la copertura medica gratuita e completa per tutta la durata della sua vita;51 in tema di illegittima espropriazione di beni, ha indicato allo Stato l’alternativa tra la restituzione del bene illegittimamente sottratto al ricorrente o il pagamento allo stesso di un indennizzo corrispondente al valore di mercato del bene stesso.52 Sempre più frequentemente, inoltre, relativamente a violazioni dei canoni del fair trial ex art. 6 C.e.d.u. – sotto il profilo, ad esempio, dell’imparzialità dell’organo giudicante o del diritto dell’accusato a partecipare al processo – la Corte europea ha affermato che il modo migliore per ottemperare alla sentenza che ha censurato la violazione convenzionale è quello di garantire la “rinnovazione” o la “riapertura” del procedimento nell’ordinamento interno.53 Corte e.d.u., 23 marzo 2010, Oyal c. Turchia Corte e.d.u., 23 gennaio 2001, Brumărescu c. Romania. 53 Con riferimento alla violazione dell’imparzialità dell’organo giudicante, Corte e.d.u., 23 ottobre 2003, Gencel c. Turchia, § 27 («Lorsque la Cour conclut que la condamnation d’un requérant a été prononcée par un tribunal qui n’était pas indépendant et impartial au sens de l’article 6 § 1, elle estime qu’en principe le redressement le plus approprié serait de faire rejuger le requérant en temps utile par un tribunal indépendant et impartial»); in tema di processo contumaciale, Corte e.d.u., 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, § 86 («La Corte ritiene che quando essa conclude che è stata pronunciata la condanna di un ricorrente nonostante l’esistenza di una potenziale lesione del suo diritto a partecipare al suo processo la correzione più appropriata sarebbe in principio quella di far giudicare di nuovo l’interessato o di riaprire il processo in tempo utile e nel rispetto delle esigenze dell’articolo 6 della Convenzione»). 51 52 78 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale 3. (segue) La rivisitazione della vicenda giudiziaria nell’ordinamento nazionale Tappa fondamentale di tale significativa evoluzione nella giurisprudenza della Corte europea è stata l’approvazione della nota raccomandazione n. R. (2000) 2 del 19 gennaio 2000,54 con cui per la prima volta il Comitato dei Ministri, sulla base dei suggerimenti formulati dal Comitato di esperti per il miglioramento delle procedure di protezione dei diritti umani (DH-PR), ha affrontato in modo organico la questione della “riapertura” del processo nell’ordinamento interno a seguito di condanna del Giudice di Strasburgo. Con tale atto si è, infatti, affermato che di frequente la misura preferibile di adempimento in forma specifica dell’obbligo di riparazione in grado di assicurare la restitutio in integrum è proprio il “riesame” o la “riapertura” del processo,55 rivolgendosi, quindi, un invito agli Stati contraenti «ad esaminare i rispettivi ordinamenti nazionali» onde assicurare adeguate possibilità di realizzazione degli stessi. In particolare, la Raccomandazione individua due presupposti ricorrendo i quali l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche sottesa alla res iudicata deve cedere il passo alla salvaguardia effettiva dei diritti dell’individuo: la prima è che la vittima «continu[i] a soffrire delle conseguenze negative molto gravi in seguito alla decisione nazionale, conseguenze che non possono essere compensate dall’equa soddisfazione e che non possono essere rimosse V. cap. I, nota 15. M. Gialuz, voce Revisione europea, in Digesto del processo penale, diretto da A. Scalfati, Torino, 2012, p. 1. 54 55 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 79 se non attraverso il riesame o la riapertura» del caso;56 la seconda attiene alla natura della violazione, che può essere sia di carattere sostanziale («la decisione interna impugnata è nel merito contraria alla Convenzione»), che procedurale («la violazione riscontrata è costituita da errores o da altre mancanze»), purché in quest’ultimo caso sia «di tale gravità da far sorgere seri dubbi sull’esito del procedimento nazionale considerato».57 Tale distinzione appare fondamentale ai fini dell’identificazione del contenuto dell’obbligo. Sebbene infatti l’Explanatory Memorandum della Raccomandazione adotti una concezione lata, che ricomprende «tutte le forme, giurisdizionali e non, di riconsiderazione critica del caso a livello interno»,58 precisando che la «riapertura» si riferisce alle ipotesi caratterizzate dall’intervento delle autorità giurisdizionali, mentre il «riesame» attiene ai casi di intervento di autorità non giurisdizionali, in particolare amministrative, nella specifica prospettiva della riconsiderazione di una vicenda processuale penale, si è ritenuto preferibile adottare un criterio diverso, calibrato sul tipo di lesione convenzionale perpetrata. L’Explanatory Memorandum della Raccomandazione indica a titolo esemplificativo le seguenti ipotesi: «persone che sono state condannate a lunghe pene detentive e che sono ancora in carcere al momento dell’esame del caso da parte degli organi convenzionali»; persone cui «vengano ingiustificatamente negati certi diritti civili o politici», o che vengono espulse «in violazione del [loro] diritto alla vita familiare», ovvero ancora, minori che si vedono «ingiustificatamente proibire contatti con i propri genitori». 57 A. Saccucci, La riapertura del processo penale quale misura individuale, cit., pp. 87-88. 58 A. Saccucci, op. ult. cit., p. 87. 56 80 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Così, si è detto che, ove la decisione interna sia lesiva di un diritto sostanziale riconosciuto dalla Convenzione, verrà in rilievo una «sentenza convenzionalmente ingiusta», come tale soggetta a “riesame”; ove, invece, il vulnus ai principi sovranazionali derivi dalla violazione di un diritto processuale di tale gravità da avere condizionato l’esito del processo, si avrà una «sentenza convenzionalmente illegittima», che dà luogo a “riapertura” del processo.59 Alla luce di tale criterio discretivo è possibile poi specificare ulteriormente il vincolo derivante per l’ordinamento interno da una pronuncia della Corte di Strasburgo che imponga, in termini generici, la “riapertura” quale misura individuale idonea ad assicurare in forma specifica l’obbligo di riparazione. Nei casi, infatti, di violazione di un diritto sostanziale garantito dalla C.e.d.u. – si pensi, a titolo esemplificativo, al principio di irretroattività della legge penale ex art. 7, alla libertà di espressione sancita dall’art. 10, a quella di associazione di cui all’art. 11, a quella di pensiero, di coscienza e di religione di cui all’art. 9 C.e.d.u. – l’obbligo di riesame, stando alla stessa evoluzione giurisprudenziale europea, può atteggiarsi in due modi distinti: come obbligo di «neutralizzazione degli effetti» della illegittima condanna del ricorrente, ovvero come obbligo di «rivalutazione del contenuto» della sentenza allo stato degli atti, ossia senza svolgere attività processuale diversa da quella strettamente decisoria, tenendo conto delle indicazioni del Giudice di Strasburgo.60 È questa la distinzione proposta da M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 2. 60 Così, ancora, condivisibilmente M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 3 e Id., Il riesame del processo a seguito di condanna della Cor59 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 81 La prima eventualità, più precisamente, potrebbe ricorrere, ad esempio, nell’ipotesi di una condanna per diffamazione nell’ordinamento interno, ritenuta dalla Corte europea lesiva della libertà di espressione sancita dall’art. 10 C.e.d.u., essendo in tal caso necessario “cancellare” gli effetti di detta pronuncia; la seconda, come accaduto in un noto caso che ha visto convenuto il nostro Paese, allorché sia violato il principio di retroattività della legge più favorevole, corollario del principio nullum crimen sine lege di cui all’art. 7 C.e.d.u.,61 occorrendo provvedere in tale eventualità ad una riconsiderazione rebus sic stantibus del contenuto della pronuncia nazionale alla luce delle indicazioni contenute nella sentenza del giudice europeo.62 Diverso il caso di violazione delle garanzie processuali – ad esempio, inosservanza delle regole del due process per lesione del diritto ad un giudice imparziale,63 del diritto a partecipare personalmente al processo,64 o di interrogare i te di Strasburgo: modelli europei e prospettive italiane, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1849. 61 Il riferimento è alla famosa pronuncia Corte e.d.u., 19 settembre 2009, Scoppola c. Italia, su cui v. infra, Cap. III, par. 3. 62 Come precisa M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1850, invero «la rivalutazione può essere disposta pure per eseguire una sentenza che abbia accertato la violazione di un diritto di natura processuale: in alcuni ordinamenti, infatti, si è garantita la riduzione della pena, al fine di compensare il condannato dell’irragionevole durata del procedimento». 63 Corte e.d.u., 19 ottobre 2006, Abdullah Altun c. Turchia, § 38; Id., 2 febbraio 2006, Duran Sekin c. Turchia, § 23; Id., 12 maggio 2005, Ocalan c. Turchia, § 210; Id., 29 gennaio 2004, Tahir Duran c. Turchia, § 23; Id., 23 ottobre 2003, Gençel c. Turchia, § 27. 64 Corte e.d.u., 12 novembre 2007, Pititto c. Italia, § 79; Id., 21 dicembre 2006, Zunic c. Italia, § 73; Id., 14 dicembre 2006, Alì Ay c. Italia, 82 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale testimoni a carico65 – che dà luogo ad un’ipotesi di “riapertura” in senso proprio. A differenza, infatti, dell’eventualità dianzi considerata, in cui la violazione riscontrata impone allo Stato di rimuovere o riconsiderare l’esito stesso del processo (sempre che continui a produrre gravi conseguenze pregiudizievoli per la vittima non altrimenti eliminabili), in tal caso non è l’esito del giudizio a porsi di per sé in contrasto con la Convezione, bensì le modalità del suo svolgimento, che compromettono – indipendentemente dall’approdo decisorio, che potrebbe eventualmente non mutare di segno – la credibilità oggettiva dell’accertamento interno, di tal chè occorrerà riaprire il processo con completamento (“riapertura in senso stretto”) o “rinnovazione” dell’attività istruttoria o argomentativa.66 Peraltro, con riferimento alle ipotesi di riapertura “in senso stretto” – diverse dalla rinnovazione totale (conseguente, § 59; Id., 29 settembre 2006, Hu c. Italia, § 71; Id., Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, §§ 126-127. 65 Corte e.d.u., 19 ottobre 2006, Majadallah c. Italia, § 49; Id., 15 ottobre 2005, Bracci c. Italia, § 75. 66 Altre ipotesi in cui la Corte di Strasburgo indica la riapertura del processo come misura individuale più idonea attengono alle eventualità di violazione del fair trial per l’utilizzo di prove testimoniali ottenute con la coercizione (Corte e.d.u., 28 settembre 2007, Harutyunyan c. Armenia, § 66), per la lesione del diritto dell’imputato di essere sentito personalmente davanti al giudice (Id., 1° luglio 2008, Calmanovici c. Romania, § 162), del diritto all’assistenza effettiva di un difensore (Id., 27 aprile 2006, Sannino c. Italia, § 68), del diritto di essere informato della natura e dei motivi dell’accusa e di disporre del tempo necessario per preparare la difesa (Id., 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, § 46), del diritto di accesso al giudice dell’impugnazione (Id., 22 maggio 2007, Perlata c. Grecia, § 35). Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 83 ad esempio, a lesione del diritto a un giudice indipendente e imparziale o del diritto dell’imputato a partecipare personalmente al processo) – non si è neanche escluso un certo “margine di apprezzamento nazionale”: la regola dell’incidenza determinante dell’error in procedendo sull’esito processuale fissata dalla Raccomandazione n. R (2000) 2 del 19 gennaio 2000 e ribadita pure dall’art. 4, comma 2 del Protocollo n. 7 alla C.e.d.u., pare, infatti, postulare oltre ad un primo vaglio delle istituzioni sovranazionali – Corte europea e Comitato del Ministri – sulla rilevanza causale del vizio, anche un ulteriore sindacato rimesso agli ordinamenti interni.67 Se ne è dedotta, quindi, l’assenza di un «vincolo assoluto per le autorità nazionali, che possono anche discostarsi dalle indicazioni della Corte, purché giustifichino l’eventuale diniego della riapertura davanti al Comitato».68 A sostegno dell’assunto, oltre a significativi precedenti e al richiamo ad esperienze comparatistiche di taluni ordinamenti stranieri,69 si è evidenziato come, soprattutto in merito a lesioni processuali derivanti da violazioni probatorie, la “prova di resistenza” effettuata dalla Corte è molto diversa da quella realizzata nell’ordinamento interA. Cozzi, L’impatto delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle situazioni giuridiche interne, cit., p.195. 68 M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1852. 69 M. Gialuz, op. ult. cit., p. 1852, nt. 32, ricorda la Risoluzione Cm/ resDh(2007)1, del 14 febbraio 2007, che ha chiuso il caso relativo alla sentenza Ocalan c. Turchia, del 12 maggio 2005: benché la Corte europea avesse individuato nella riapertura del procedimento la misura individuale preferibile, la Corte di Ankara l’aveva esclusa, ritenendo che «neither the new submissions made on behalf of the applicant by his lawyers nor a full re-examination of the case file» potesse mettere in dubbio la fondatezza della pronuncia di condanna. 67 84 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale no. Da un lato, infatti, il giudice nazionale non si basa solo sulla motivazione della sentenza, ma dispone anche degli atti del procedimento, laddove invece il sindacato dell’organo giurisdizionale europeo sulla “decisività” dell’elemento probatorio si confonde con la “tenuta” dell’apparato logico-argomentativo della pronuncia; dall’altro, gli stessi criteri di valutazione differiscono: mentre il giudice interno, nell’effettuare la verifica de qua, provvede all’espunzione del risultato probatorio viziato, quello europeo, nel valutare l’equità della procedura nel suo complesso, non compie un’analoga esclusione, facendo comunque confluire l’elemento iniquo nel “metabolismo giudiziario”, nell’ambito del quale ben può avere un ruolo “non determinante” ai fini della decisione.70 4. L’inerzia legislativa italiana La carenza di un potere rescindente o modificatorio dell’atto lesivo nazionale in capo alla Corte europea implica la necessaria “cooperazione” dell’ordinamento interno, tenuto a “tradurre” il vincolo derivante dalla pronuncia sovranazionale, dandovi piena esecuzione.71 Proprio tale esigenza ha indotto la maggioranza dei Paesi del Consiglio d’Europa a dotarsi di rimedi straordinari tramite cui ottemperare all’obbligo ex art. 46 C.e.d.u., scardinando la stabilità del giudicato interno iniquo. Le vie a tal fine seguite nei diversi ordinamenti sono state varie: dall’introduzione di un apposito strumento reS. Allegrezza, Violazione della CEDU e giudicato penale. Quali contaminazioni? Quali rimedi?, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 25. 71 M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 3. 70 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 85 vocatorio ad hoc, all’adattamento – non privo di qualche forzatura – di istituti straordinari già esistenti.72 L’Italia, purtroppo, nonostante le reiterate sollecitazioni all’uopo ricevute a livello internazionale e dalla stessa Corte costituzionale,73 è rimasta inerte, essendosi risolte in un nulla di fatto le iniziative legislative avviate nell’ultimo quindicennio per garantire l’esecuzione del giudicato di Strasburgo.74 Privilegiando un’impostazione per lo più “conservativorestrittiva” – volta cioè a realizzare la rivisitazione delle sentenze irrevocabili convenzionalmente illegittime attraverso un ampliamento dell’ambito di praticabilità del già esistente istituto della revisione ex art. 630 c.p.p.,75 limitato Per una puntuale analisi delle diverse soluzioni adottate negli ordinamenti europei, si v. M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1864 ss.; T. A. Cristou – J. P. Ramon, European Court of Human Rights. Remedies and Execution of Judgments, BIICL, 2005; A. Mangiaracina – L. Parlato, La revisione del giudicato penale a seguito di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo. I) La progettualità italiana e l’esperienza del Regno Unito; II) L’esperienza della Repubblica federale tedesca e di altri Paesi dell’Europa continentale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 982 ss. 73 Cfr. cap. I, note n. 91 e 92. 74 Come efficacemente osserva P. Gaeta, La Corte ritiene superfluo un nuovo giudizio e ridetermina direttamente la pena, in Guida dir., 2010, n. 24, p. 87, «il legislatore nazionale […], come l’oracolo delfico, continua a ignorare il problema: “non dice, non nega, ma accenna”». 75 Opzione condivisa da M. D’Orazi, Revisione della condanna penale e violazione dell’art. 6 CEDU, in Cass. pen., 2006, p. 2967; in senso contrario, invece, S. Allegrezza, Violazioni della CEDU e giudicato penale, cit., p. 22; L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione: la Corte costituzionale in tema di revisione a seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2008, p. 3999 ss.; A. Scalfati, Libertà fondamentali e accertamento 72 86 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale peraltro alle sole violazioni di matrice processuale – un primo tentativo in tal senso fu compiuto nel corso della XIII legislatura, con la presentazione al Senato, il 24 marzo 1998, della proposta di legge n. 3168, che introduceva un nuovo caso di revisione per l’eventualità in cui fosse «accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la violazione dell’art. 6, paragrafo 3, lettere c) e d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Mai approdata alla discussione,76 tale proposta è stata seguita, nel corso della XIV legislatura, dalla presentazione del testo n. 1447-1992-A, frutto dell’unificazione operata dalla Commissione Giustizia della Camera di due progetti di legge (C-1447, del 31 luglio 2011, di iniziativa degli onn. Pepe, Saponara, Russo e altri, e C-1992, del 20 novembre 2001, d’iniziativa dell’on. Cola), il quale, come risultante da alcuni emendamenti apportati al testo base,77 si caratgiudiziario: la revisione del processo a seguito delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, in G. Di Chiara (a cura di), Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino, 2003, p. 453, il quale sottolinea la nuova portata per tal via attribuita all’istituto della revisione, sospinto «verso un orizzonte del tutto ignoto al suo tradizionale regime», non invocandosi più un novum capace di influire sulla ricostruzione della vicenda processuale, ma mirandosi a ristabilire un ordine violato in nome del diritto all’equo processo. 76 La norma in questione fu stralciata dalla Commissione Giustizia del Senato, proseguendo l’iter fino all’approvazione della l. 23 novembre 1998, n. 405 solo la prima parte della proposta di legge, finalizzata ad una modifica della competenza in materia di revisione. In argomento, anche per le iniziative successive, si v. A. Saccucci, Revisione dei processi in ottemperanza alle sentenze della Corte europea: riflessioni de iure condendo, in Dir. pen. proc., 2002, p. 247. 77 Il testo base si componeva di due articoli: il primo prevedeva l’intro- Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 87 terizzava per introdurre nel tessuto codicistico un nuovo art. 630-bis, dedicato appunto alla «revisione a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo». L’attivabilità del nuovo rimedio straordinario era, però, subordinata al ricorrere di un triplice ordine di presupposti: che venisse in rilievo la violazione dell’art. 6 C.e.d.u. (non più limitata al solo terzo paragrafo),78 che questa avesse avuto un’ “incidenza rilevante” sulla decisione nazionale e che permanessero gli “effetti negativi”79 dell’esecuzione della pronuncia.80 duzione di una lettera d-bis all’art. 630, comma 1 c.p.p., secondo cui la revisione era ammessa ove fosse stata «accertata con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la violazione dell’art. 6 paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»; il secondo aggiungeva all’art. 633 c.p.p. un nuovo comma, secondo cui «nel caso previsto dall’art. 630, comma 1, lett. d-bis) alla richiesta deve essere unita copia autenticata della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo». Per le critiche mosse a tale proposta di legge, si v. F. Callari, La firmitas del giudicato penale, cit., pp. 343-344. 78 Precisamente, l’art. 630-bis statuiva che «fuori dalle ipotesi previste dall’art. 630, la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna può essere richiesta se è accertato con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che nel corso del giudizio sono state violate le disposizioni di cui all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». 79 All’art. 631 c.p.p. veniva, inoltre, aggiunto un nuovo comma, secondo cui «la richiesta di revisione ai sensi dell’art. 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha avuto incidenza rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi dell’esecuzione della sentenza o del decreto penale di condanna». 80 Si trattava, dunque, di una soluzione piuttosto equilibrata, posto che «la temuta diffusività del rimedio risulta[va] temperata dalle condizioni di ammissibilità della richiesta, sia nell’imporre un certo tipo di 88 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Anche tale proposta, tuttavia, non è stata approvata, incontrando una forte resistenza parlamentare.81 Ed eguale esito fallimentare ha avuto pure il tentativo di introduzione di un nuovo caso di revisione – limitato alle violazioni dell’art. 6, par. 3, lett. c) e d) C.e.d.u. – ad opera dell’art. 3 del progetto di legge relativo alla ratifica e all’esecuzione del Protocollo n. 14 alla C.e.d.u., presentato in Senato il 22 marzo 2005, ma poi non confluito nel testo della l. 15 dicembre 2005, n. 280.82 rapporto tra l’inosservanza delle garanzie fondamentali e la pronuncia irrevocabile, sia nel subordinare l’impiego dell’impugnazione a specifiche conseguenze da rimuovere» (A. Scalfati, Libertà fondamentali e accertamento giudiziario, cit., p. 452; in senso critico, invece, P. Pustorino, Esecuzione delle sentenze della Corte EDU e revisione dei processi penali: sviluppi nella giurisprudenza italiana, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 207). 81 Cfr. F. Callari, La firmitas del giudicato, cit., p. 355. Id., Esigenze giuridiche ed aspirazioni idealistiche nel giudizio di revisione: limiti e prospettive de iure condendo, in Cass. pen., 2006, p. 310 ss.; T. Basile, Adeguamento dell’ordinamento giuridico nazionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Dir. pen. proc., 2002, p. 907 ss.; A. Saccucci, Revisione dei processi in ottemperanza alle sentenze della Corte europea, cit., p. 247 ss. 82 M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1883, che ricorda come nel corso della stessa legislatura del tema si era occupata anche la commissione ministeriale di studio per la riforma del codice di procedura penale insediata con d.m. 29 luglio 2004 (cd. “commissione Dalia”), che nel testo del progetto redatto aveva contemplato (art. 688) un’ipotesi di revisione connessa all’eventualità che «il processo, definito con sentenza di condanna, con sentenza di applicazione di pena concordata tra le parti o decreto penale di condanna, è stato ritenuto ingiusto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché lesivo dei diritti minimi dell’individuo, come specificati dall’art. Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 89 Nel corso della XV legislatura, dopo un’iniziativa – poi ritirata – dell’on. Pecorella, che aveva presentato un disegno di legge (C-917) sostanzialmente riproduttivo del contenuto della proposta approvata alla Camera durante la precedente legislatura, il Governo si è fatto promotore di un’iniziativa dai contenuti fino a quel momento inediti. Recependo le sollecitazioni provenienti dalla Commissione ministeriale di studio per la riforma del codice di procedura penale istituita con d.m. il 17 luglio 2006 (cd. “Commissione Riccio”),83 ha presentato un disegno di legge (S-1797)84 che introduceva nel libro IX del codice di rito un nuovo titolo IV-bis, in cui, agli artt. 647-bis–647-sexies, era contenuta la disciplina di un rimedio impugnatorio straordinario diverso e autonomo rispetto a quello tradizionale disciplinato agli artt. 629 ss. c.p.p., denominato «Revisione a seguito delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo»,85 la cui 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Sul tema, si v. pure T. Cavallaro, Un nuovo caso di revisione del processo penale, in A. Pennisi (a cura di), Verso un nuovo processo penale. Opinioni a confronto sul progetto di riforma Dalia, Milano, 2008, p. 159 ss. 83 La Bozza di delega legislativa al Governo per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale statuiva espressamente (art. 2, punto 104.8) l’opportunità di «prevedere un apposito rimedio, diverso dalla revisione», per ottemperare alle sentenze di condanna emesse dal Giudice di Strasburgo. 84 Consultabile in R. E. Kostoris – A. Balsamo, Giurisprudenza europea e processo italiano, cit., p. 573. 85 In particolare, l’art. 647-bis c.p.p. così statuiva: «1. È ammessa la revisione delle sentenze di condanna quando la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato con sentenza definitiva la violazione di taluna delle disposizioni di cui all’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratifi- 90 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale attivabilità – limitata ai soli casi di condanna per violazione dell’art. 6, par. 3 C.e.d.u. – era subordinata al superamento di un preventivo vaglio di ammissibilità affidato alla Corte di cassazione.86 La fine anticipata della legislatura ha, tuttavia, impedito anche a tale progetto di riforma di andare in porto. Si sono così susseguite nel corso della XVI legislatura una serie di ulteriori proposte legislative,87 tra le quali degna di menzione appare quella di cui al disegno di legge S-1440, presentato in Senato il 20 marzo 2009. Limitandosi ad intervenire sulla struttura dell’istituto della revisione tradizionale, arricchendola ad hoc di un ulteriore caso di esperibilità per l’eventualità che la Corte europea avesse «condannato lo Stato italiano per violazione delle disposizioni di cui all’art. 6, paragrafo 3» della C.e.d.u. [art. cata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848. 2. Nei casi previsti dal comma 1, la revisione è ammessa solo quando ricorrono le seguenti condizioni: a) la violazione riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo abbia avuto incidenza determinante sull’esito del procedimento; b) il condannato, al momento della presentazione della richiesta di revisione, si trovi o debba essere posto in stato di detenzione ovvero sia soggetto all’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, diversa dalla pena pecuniaria». 86 Per un commento del disegno di legge, L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione: la Corte costituzionale in tema di revisione a seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2008, pp. 3941-3942. 87 Disegno di legge n. 839, d’iniziativa del sen. Li Gotti, presentato in Senato il 26 giugno 2008; progetto di legge n. 1538, presentato dagli onn. Pecorella e Costa alla Camera il 24 luglio 2008; progetto di legge n. 1780, d’iniziativa dell’on. Di Pietro, presentato alla Camera il 13 ottobre 2008; disegno di legge n. 2163, primo firmatario on. Zeller, presentato alla Camera il 5 febbario 2009. Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 91 630, lett. d) bis], esso circoscriveva in maniera assai rigorosa il presupposto dell’ “attualità” delle conseguenze lesive della pronuncia cui era condizionata l’attivabilità stessa del rimedio straordinario. Si prevedeva, infatti, a tal fine che il condannato si trovasse «in stato di detenzione» o vi dovesse essere sottoposto «in virtù di un ordine di esecuzione, anche se sospeso», ovvero ancora, fosse «soggetto all’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, diversa dalla pena pecuniaria» (art. 631, comma 1-bis). Ricorrendo tali condizioni, l’istanza di revisione poteva essere proposta entro il termine perentorio di tre mesi dalla data in cui la pronuncia del Giudice di Strasburgo fosse divenuta definitiva (art. 634, comma 1-bis). Una scelta, insomma, che rivendicava allo Stato membro «un autonomo margine di apprezzamento in ordine alla valutazione dell’attualità delle conseguenze dannose», apprezzamento effettuato una volta per tutte dal legislatore, con l’affermazione secondo cui l’unica conseguenza dannosa rilevante ai fini della riapertura era rappresentata dallo stato detentivo.88 Tale impostazione, tuttavia, non è andata esente da rilievi critici, evidenziandosi rilevanti motivi di perplessità in ordine ad entrambe le delineate condizioni di ammissibilità del rimedio revocatorio. Se, infatti, la limitazione dell’esperibilità dello stesso ad opera dei condannati a pena detentiva in corso di esecuzione o suscettibile di essere eseguita, anche con modalità alternative alla detenzione, poteva ritenersi in linea con le Così, M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1885. 88 92 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale indicazioni della Raccomandazione n. R (2000) 2 – nella parte in cui caldeggiava l’adozione di meccanismi di restitutio in integrum per i casi in cui la vittima continuasse a «subire conseguenze molto serie» non riparabili con l’equo indennizzo – i termini in cui detta limitazione era formulata venivano giudicati «oltremodo imprecisi».89 E ciò non solo in ragione del fatto che si menzionava la «“misura alternativa alla detenzione diversa dalla pena pecuniaria” nonostante la classe delle misure “alternative” non includa quest’ultima pena – che al più, nel nostro ordinamento, è una sanzione “sostituiva” delle pene detentive brevi» – ma anche e soprattutto perché la previsione appariva «di dubbia applicabilità al condannato a pena detentiva condizionalmente sospesa, che non può dirsi attinto da “ordine di esecuzione, anche se sospeso”»: all’atto del passaggio in giudicato della condanna, infatti, «l’ordine di esecuzione, a fronte di pena non eseguibile, non viene neppure emesso», potendo tuttavia «comunque incorrere nella carcerazione se la sospensione condizionale fosse revocata»; in tal caso, verrebbe sì emesso ordine di esecuzione ex art. 656 c.p.p., «ma in un momento in cui, presumibilmente, il termine perentorio di “tre mesi dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza della Corte europea” (art. 634 comma 1 bis) sarebbe ampiamente decorso, conseguendone l’inammissibilità della richiesta di revisione».90 Peraltro, in un’ottica sistematica, si censurava altresì proprio l’incongruenza di tale termine rispetto alla natura B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in R. Gambini – M. Salvadori (a cura di), Convenzione europea sui diritti dell’uomo, cit., pp. 144-145. 90 B. Lavarini, op. ult. cit., p. 145. 89 Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo 93 straordinaria della revisione, come tale esperibile in ogni tempo.91 Ulteriori criticità venivano, inoltre, ravvisate nella limitazione dell’attivabilità del rimedio nei soli casi di violazioni convenzionali ex art. 6, paragrafo 3 C.e.d.u., con esclusione dunque delle ulteriori, rilevanti garanzie del due process ricavabili dagli altri commi della norma e da altre disposizioni convenzionali;92 problematica veniva, poi, ritenuta anche la mancata affrancazione del nuovo caso di revisione dal presupposto di ammissibilità fissato all’art. 631 c.p.p., con conseguente rischio di poter attivare tale impugnazione – in contrasto con la ratio e i caratteri del controllo sovranazionale – solo quando fosse formulabile una prognosi di proscioglimento.93 F. Giunchedi, Questioni problematiche della nuova ipotesi di revisione, in Osservatorio del processo penale, 2009, n. 2, p. 140, in http:// www.utetgiuridica.it 92 M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale: alcune riflessioni e spunti de iure condendo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1522; F. Giunchedi, Questioni problematiche della nuova ipotesi di revisione, cit., p. 139. 93 B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della Corte europea, cit., p. 145. 91 Capitolo III La supplenza pretoria Sommario: 1. Escamotages interpretativi a legislazione invariata – 2. L’incidente di esecuzione – 3. Il ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p. – 4. La restituzione nel termine per impugnare 1. Escamotages interpretativi a legislazione invariata L’esito fallimentare delle menzionate iniziative legislative, via via arenatesi, senza arrivare mai a tradursi in norme positive,1 ha determinato un vuoto normativo cui il diritto vivente ha cercato di supplire in via interpretativa,2 indiviDi «fervore legislativo totalmente inconcludente» parla M. de Stefano, Dopo la Corte di Strasburgo, la revisione del processo penale in Italia: una sentenza epocale della Corte costituzionale, in I diritti dell’uomo, 2001, n. 1, p. 49. 2 Per una panoramica generale, v. S. Furfaro, L’esecuzione delle decisioni europee di condanna: riflessioni sullo “stato dell’arte” anche in prospettiva di scelte normative, in Giur. it., 2010, p. 2643 ss.; F. Giunchedi, Ricorso accolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dogma del giudicato, ivi, 2007, p. 1227 ss.; R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione e obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea dei diritti umani: considerazioni sul caso Drassich, ivi, 2009, p. 2511 ss.; V. Sciarabba, La “riapertura” del giudicato in seguito a sentenze della Corte di Strasburgo: questio1 96 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale duando soluzioni diversificate, invero non esenti da forzature, in grado di superare il giudicato censurato dalla Corte di Strasburgo: “neutralizzazione” degli effetti della sentenza iniqua, “rimaneggiamento” del contenuto della stessa, reintegra mediante rinnovati poteri di gravame.3 Vari gli istituti a tal fine utilizzati: procedimento di esecuzione (art. 670 c.p.p.) per ottenere l’ineseguibilità del giudicato,4 ricorso straordinario per cassazione ex art. 625ni generali e profili interni, in Giur. cost., 2009, p. 513 ss.; A. Tucci, Giudicato penale e riapertura del processo a seguito delle sentenze della Corte di Strasburgo, in F. Dinacci (a cura di), Processo penale e Costituzione, Milano, 2010, p. 563 ss. 3 In argomento, cfr. E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema penale nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in V. Manes – V. Zagrebelski (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 509 ss.; M. de Salvia, L’obbligo degli Stati di conformarsi alle decisioni della Corte europea, cit., p. 67 ss. 4 Cass., sez. I, 1° dicembre 2006, Dorigo, in Guida dir., 2007, n. 9, p. 74, con nota di A. Scalfati, I giudici offrono un «rimedio tampone» in attesa che si colmi il vuoto legislativo; sulla pronuncia, si v. L. De Matteis, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ed il giudicato penale: osservazioni intorno al caso “Dorigo”, in Cass. pen., 2007, p. 1448 ss.; A. Tucci, Violazione dell’equo processo accertata da Strasburgo e paralisi del giudicato, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1338 ss.; G. Amato, Va dichiarata inefficace la condanna pronunciata all’esito di un processo “non equo”, ivi, 2007, p. 294 ss.; S. Lonati, Il “caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in attesa di un (auspicato) intervento legislativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 1538 ss.; R. Conti, La Corte dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione Europea prevalgono sul giudicato - e sul diritto - nazionale, in Corr. giur., 2007, p. 689 ss. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, ord. 25 settembre 2006, Bracci, in Guida dir., Comunitario e internazionale, 2007, n. 2, p. 82, con nota di A. Capitolo III – La supplenza pretoria 97 bis c.p.p.,5 restituzione nel termine per impugnare per l’imputato contumace ai sensi dell’art. 175, commi 2 e 2-bis c.p.p.6 Rimedi che segnavano un significativo mutamento di tendenza negli assetti del sistema giuridico multilevel: pur in mancanza di una espressa disciplina, l’organo europeo entrava a far parte del sistema giudiziario interno quasi con poteri rescindenti;7 una funzione “paracassatoria” che riScalfati, La misura resta sempre legittima anche senza rinnovazione del processo. 5 Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, Scoppola, in Guida dir., 2010, n. 24, p. 79, con nota di P. Gaeta, La sentenza definitiva deve essere modificata se ritenuta iniqua dalla Cedu per la sanzione; Id., sez. VI, 12 novembre 2008, Drassich, in Cass. pen., 2009, p. 1457 ss., con nota di M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p. a seguito di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, e L. De Matteis, Condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e revoca del giudicato. 6 Cass., sez. V, 15 novembre 2006, Cat Berro, in Cass. pen., 2007, p. 1459; Id., sez. I, 12 luglio 2006, Somogyi, ivi, 2007, p. 1002, con nota di A. Tamietti, Un ulteriore passo verso una piena esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di equo processo: il giudicato nazionale non è di ostacolo alla riapertura dei processi. Mai ritenuto applicabile, invece, il ricorso alla revisione, sia per la non riconducibilità dell’ipotesi in questione ad alcuno dei casi contemplati dall’art. 630 c.p.p. (cfr. M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 5), che per la non praticabilità di un’applicazione analogica del rimedio straordinario, preclusa dal principio di tassatività vigente in materia di impugnazioni penali. 7 A. Scalfati, I giudici offrono un «rimedio tampone», cit., p. 82; Id., La misura resta sempre legittima anche senza rinnovazione del processo, cit., p. 92. In senso critico su tale evoluzione, S. Lonati, Il “caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea, cit., p. 1547, secondo cui «una cosa 98 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sultava particolarmente evidente nei casi degli strumenti esecutivi, obbligando il giudice nazionale ad una modifica “a rime obbligate” del titolo – definitivamente paralizzato nella sua esecutività in virtù della decisione sovranazionale – restando, invece, più sfumata nelle altre soluzioni pretorie. Soluzioni, comunque, in grado solo di infrangere il dictum definitivo domestico reputato unfair, senza tuttavia garantire una rivisitazione del sistema che assicurasse, in ossequio ai dettami europei, un’effettiva riapertura del processo.8 Né poteva essere diversamente. A ben vedere, infatti, la vera questione in gioco non era solo trovare uno strumento tramite cui ottemperare alle sentenze della Corte europea, quanto anche definire i termini del rapporto tra “legalità interna” (costituzionale e ordinaria, sia sostanè filtrare le pronunce della Corte attraverso un congegno capace, secondo la disciplina di ciascun Paese, di restituire al condannato un equo processo, altra è attribuire alle pronunce dei giudici europei una attitudine invalidante sulle sentenze interne irrevocabili». 8 G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee, cit., p. 112. Come osserva A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 422, «il nostro sistema delle impugnazioni – che già costituisce un corpo non certo armonico all’interno di un ordinamento processuale improntato ad un modello di tipo accusatorio – è del tutto inadeguato a dare soluzioni corrette alle domande di giustizia che scaturiscono da sentenze della Corte di Strasburgo, di accertamento della violazione dei diritti fondamentali dell’individuo. In siffatto contesto, le soluzioni giurisprudenziali fin qui elaborate altro non sono se non il tentativo, spesso strettamente contingente, di piegare le rigidità del sistema alla esigenza testé enunciata, attraverso l’assunzione di un onere che spetta in realtà al legislatore soddisfare». Capitolo III – La supplenza pretoria 99 ziale che processuale) sintetizzata nel giudicato, e “legalità convenzionale” riaffermata dalla sentenza del Giudice di Strasburgo.9 Un compito che, per sua natura, non può che essere affidato al legislatore, l’unico in grado di trovare il delicato punto di equilibrio tra le opposte esigenze di stabilità del dictum nazionale – formatosi spesso secondo le norme interne – e necessità di attuare la sentenza della Corte europea che ha accertato una violazione convenzionale.10 Inevitabile, quindi, che qualunque sperimentazione pretoria a legislazione invariata – per quanto meritoria nell’intento di offrire tutela effettiva ai diritti umani lesi – finisse col risultare inadeguata allo scopo perseguito, segnando comunque sul piano pratico un duplice rilevante mutamento: nell’interpretazione e applicazione delle fonti positive, pur rimaste sostanzialmente identiche,11 nonché nello stesso ruolo della giurisprudenza della Corte di legittimità, in qualche modo sempre più “casistico”, attento alle istanze equitative della fattispecie concreta, e dunque, non più limitato all’enunciazione di principi generali frutto di astrazione rispetto ai temi giudiziari.12 Evoluzione, questa, per molti versi rischiosa, segnando significative deviazioni dal principio di legalità processuale, Così, M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1846. 10 M. Gialuz, ibidem. 11 M. Caianiello, Profili critici e ipotesi di sviluppo nell’adeguamento del sistema interno alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in V. Manes – V. Zagrebelski (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., pp. 550-551. 12 E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema penale, cit., p. 545. 9 100 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale derivanti dall’esigenza di piegare le ragioni del diritto alle contingenze di giustizia sostanziale del caso concreto.13 2. L’incidente di esecuzione Un primo tentativo di dare risposta all’esigenza di adeguamento dell’ordinamento interno alle pronunce di Strasburgo, evitando che le stesse rimanessero un mero flatus vocis, è stato compiuto da una parte della giurisprudenza che, riprendendo talune linee di pensiero,14 ha percorso la via del procedimento di esecuzione tramite la disciplina sancita dall’art. 670 c.p.p. L’indirizzo – inaugurato dalla nota pronuncia della Suprema corte relativa al “caso Dorigo”15 – ha ritenuto la “ineSul punto, si v. più diffusamente, infra, Cap. V, par. 2. V. Esposito, Illegalità della detenzione per effetto di sentenza della Corte europea che abbia accertato la violazione dell’equo processo, in Dir. uomo, cronache e battaglie, 2006, n. 3, p. 29 ss.; A. Giarda, Italia e giurisprudenza europea: «Io speriamo che me la cavo», in Dir. pen. proc., 2006, p. 6; E. Selvaggi, I dispositivi della Corte europea possono travolgere il giudicato, in Guida dir., 2005, n. 43, p. 88. 15 Cass., sez. I, 1° dicembre 2006, Dorigo, cit.; in senso conforme, Trib. Roma, ord. 25 settembre 2006, Bracci, cit.; contra, Assise App. Milano, sez. I, 30 gennaio 2006, Cat Berro, in Cass. pen., 2006, p. 3180, con nota di E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e il giudicato nazionale: conflitto non risolvibile? In generale, per i commenti su tale arresto giurisprudenziale, oltre alla letteratura citata sub nota n. 4 di questo capitolo, si v. pure A. Cisterna, La rimozione della detenzione iniqua è l’unico rimedio congruo e praticabile, in Guida dir., 2008, n. 20, p. 60 ss.; A. Filippini, Il caso Dorigo, la CEDU e la Corte costituzionale: l’effettività della tutela dei diritti dopo le sentenze 348 e 349 del 2007, in http://www.costituzionalismo. it/articoli/279/; A. Guazzarotti, Il caso Dorigo: una piccola rivolu13 14 Capitolo III – La supplenza pretoria 101 seguibilità” del giudicato allorché la Corte e.d.u.16 abbia reputato iniquo per violazione dell’art. 6 della Convenzione il titolo su cui lo stesso si fonda, sancendo la necessità di una conseguente rinnovazione del giudizio.17 zione nei rapporti tra Cedu e ordinamento interno?, in Quest. giust., 2007, p. 151 ss.; O. Mazza, L’esecuzione può attendere: il caso Dorigo e la condanna ineseguibile per accertata violazione della Cedu, in Giur. it., 2007, p. 2637 ss. Un primo tentativo di risolvere la questione dell’esecuzione delle sentenze interne confliggenti con il giudicato europeo ricorrendo ai meccanismi previsti per la fase esecutiva era stato compiuto da Cass., sez. I, 22 settembre 2005, Cat Berro, in Cass. pen, 2006, p. 3171, con nota di E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., sia pure al solo fine di dichiarare la non applicabilità della procedura de plano prevista dall’art. 666, comma 2 c.p.p. 16 Nel caso di specie, non si trattava in realtà di una decisione della Corte di Strasburgo, bensì di un rapporto (del 9 settembre 1998) della Commissione europea dei diritti dell’uomo, nel regime della C.e.d.u. anteriore al Protocollo n. 11 (in proposito, sulle possibili confusioni concettuali, si v. G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee per violazione dell’equità processuale, in P. Corso – E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, II, cit., p. 601 ss.). Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, preso atto del mancato deferimento della controversia alla Corte europea, con risoluzione interinale Dh [99]258 aveva recepito tale rapporto, così attribuendogli efficacia obbligatoria ai sensi dell’art. 32 del testo originario della C.e.d.u. 17 Il Dorigo, condannato in Italia a tredici anni di reclusione per il reato di partecipazione ad un’associazione per delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo e per una serie di reati fine, aveva ottenuto dalla Corte di Strasburgo il riconoscimento che nel processo a suo carico era stato violato l’art. 6 C.e.d.u., in quanto egli – conformemente, peraltro, alla legittima disciplina all’epoca vigente – era stato condannato sulla base di dichiarazioni rese in fase investigativa da tre coimputati poi avvalsisi in dibattimento della facoltà di non rispondere, così impe- 102 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Le premesse teoriche su cui poggia l’assunto appaiono, invero, tutt’altro che inattaccabili. I giudici di legittimità prendono le mosse dalla questione attinente la rilevanza delle disposizioni della C.e.d.u. nell’ordinamento interno e, sulla scorta degli insegnamenti congiunti – ma non coincidenti – del Giudice delle leggi e della Cassazione,18 ne affermano l’«immediata precettività», trattandosi di norme derivanti da una «fonte riconducibile ad una competenza atipica», come tali insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria. Conseguentemente, il giudice comune sarebbe gravato – secondo la Corte – dell’obbligo di «disapplicare le norme interne in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso concreto». Ma è questa un’impostazione che, invero, cade in una duplice contraddizione: il potere “disapplicativo” infatti, da un lato, è coerente con la natura “sovraordinata”, e dunque costituzionale, della normativa europea, esclusa tuttavia dalla stessa pronuncia laddove ne postula la matrice di “fonte atipica”; dall’altro, è caratteristico del diritto comunitario – dotato di un’efficacia superiore a quella della legge ordinaria – cui certamente non appartiene la Convenzione europea, fonte internazionale pattizia.19 dendo il diritto al confronto. Il pubblico ministero aveva, quindi, proposto ex art. 670 c.p.p. un incidente di esecuzione, affinché la Corte di assise quale giudice dell’esecuzione dichiarasse l’inefficacia del titolo esecutivo. La declaratoria di inammissibilità di tale istanza era stata successivamente impugnata dall’organo dell’accusa innanzi alla Corte di legittimità, sfociando nella pronuncia in questione. 18 Ex multis, Corte cost., sent. 19 gennaio 1993, n. 10, cit.; Cass., Sez. un., 23 novembre 1988, n. 15, Polo Castro, cit. 19 O. Mazza, L’esecuzione può attendere, cit., pp. 2638-2639. Capitolo III – La supplenza pretoria 103 Più convincenti le conclusioni circa il valore delle decisioni della Corte europea, ritenute «direttamente produttive di diritti ed obblighi nei confronti delle parti», vale a dire sia rispetto allo Stato convenuto, che deve conformarsi al dictum sovranazionale, eliminando tempestivamente le conseguenze pregiudizievoli della violazione, che rispetto al cittadino, titolare del diritto alla riparazione, nella forma pecuniaria o in quella specifica eventualmente stabilita, che può anche comportare l’obbligo di riapertura del processo, con conseguente necessità di mettere in discussione l’intangibilità del dictum definitivo interno.20 La ritenuta ineseguibilità del giudicato unfair per violazione dell’art. 6 C.e.d.u., viene desunta, dai Giudici di legittimità, dalla lettura congiunta degli artt. 6 (che delinea i connotati del processo équitable) e 5, par. 2, lett. a), C.e.d.u. (secondo cui il diritto alla libertà di un individuo può essere compresso solo se questi «è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente): tra tali disposizioni sussiste una «stretta ed essenziale correlazione», da cui consegue che non può – per evidenti ragioni di coerenza dell’ordinamento – essere considerata legittima e regolare una detenzione fondata su una sentenza di condanna pronunciata in un giudizio nel quale siano state poste in essere violazioni delle regole del giusto processo accertate dalla Corte europea, sì da rendere “ingiusta” non soltanto la procedura seguita, ma anche l’esecuzione della conseguente condanna a pena detentiva.21 Chiara la conclusione: il diritto alla rinnovazione del giudizio sorto per effetto della pronuncia della Corte di Stra- 20 21 Cass., sez. I, 1° dicembre 2006, Dorigo, cit. Cfr. Corte e.d.u., 24 marzo 2005, Stoichkov c. Bulgaria, § 51. 104 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sburgo è «concettualmente incompatibile con la persistente efficacia del giudicato», che deve dunque essere “neutralizzato”; e può provvedervi il giudice dell’esecuzione, investito della procedura ex art. 670 c.p.p. Né osta a tale soluzione la mancanza nell’ordinamento italiano di un mezzo processuale attraverso cui realizzare la rinnovazione del giudizio: diversamente opinando, infatti, la protrazione dell’illegittimo stato detentivo dell’individuo trarrebbe paradossalmente legittimazione dall’inadempimento da parte del nostro legislatore degli obblighi convenzionali, in primis quello posto dall’art. 46 C.e.d.u., realizzando un «flagrante diniego di giustizia» contro «i principi di legalità, di coerenza e di razionalità, dai quali è permeato l’intero ordinamento». Molteplici le critiche alla soluzione individuata, ritenuta rischiosa per la «implicita funzione rescindente»22 che, pur in carenza di apposita previsione legislativa, attribuiva al Giudice di Strasburgo, organo di per sé privo del potere di annullamento o modificazione delle decisioni nazionali. Si trattava, inoltre, di un escamotage incongruente rispetto ai principi regolatori della fase dell’esecuzione, impiegando l’incidente ex art. 670 c.p.p. come strumento per rimediare a vizi del processo di cognizione ormai coperti dal giudicato, sovvertendo così completamente i rapporti tra cognizione ed esecuzione.23 A. Scalfati, La misura resta sempre legittima anche senza rinnovazione del processo, cit., p. 92; in argomento, cfr. pure S. Lonati, Il “caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea, cit., p. 1547. 23 R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2516. 22 Capitolo III – La supplenza pretoria 105 Di più. Ad essere lesa era la stessa legalità processuale: identificando il rimedio alla detenzione inflitta in conseguenza di un giudizio unfair nella procedura di controllo ex art. 670 c.p.p., il giudice realizzava una indebita «operazione integratrice dell’ordinamento processuale contrabbandata per “interpretazione logica e sistematica”»; si espandeva, infatti, «l’ambito applicativo di un istituto, preordinato a dichiarare la mancanza o la non ancora maturata esecutività del provvedimento, sino a tramutarlo in un mezzo straordinario per rimuovere il giudicato a suo tempo effettivamente formatosi, benché secondo regole processuali dichiarate a posteriori contrarie ai principi della CEDU».24 Peraltro, per quanto eventualmente apprezzabile negli intenti – essendo «intollerabile l’idea dell’esecuzione di una pena che ha alle spalle la violazione di un diritto fondamentale dell’individuo»25 – il delineato arresto interpretativo non risolveva nemmeno il problema di fondo, ossia, a fronte del persistente vuoto legislativo, trovare una soluzione che consentisse di rinnovare il processo in caso di violazione dell’art. 6 C.e.d.u.:26 quello ex art. 670 c.p.p. era uno strumento solo rescindente, in grado di intervenire puntualmente su situazioni che richiedevano, al massimo, D. Negri, Rimedi al giudicato penale e legalità processuale: un connubio che gli obblighi sopranazionali non possono dissolvere, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 171. 25 S. Carnevale, I rimedi contro il giudicato tra vizi procedurali e “vizi normativi”, R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 57. 26 E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema penale, cit., p. 522; G. Canzio, Giudicato “europeo” e giudicato penale italiano: la svolta della Corte costituzionale, in Leg. pen., 2011, n. 2, p. 468. 24 106 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale di “paralizzare” il titolo esecutivo e la sanzione irrogata, ma inidoneo ad assicurare anche una conseguente fase rescissoria.27 Esso appariva, quindi, afflitto dal grave limite intrinseco di non poter garantire l’esecuzione di quelle sentenze della Corte europea che prescrivessero proprio la riapertura del procedimento quale forma più appropriata di restitutio in integrum,28 potendo al più neutralizzare gli effetti della condanna, con particolare riguardo all’esecuzione della pena detentiva.29 Risultato questo, come detto (v. retro, Cap. II, par. 3), invero più adatto a riparare le lesioni di garanzie di carattere sostanziale riconosciute dalla C.e.d.u. (es. artt. 7, 9, 10), che determinano l’“ingiustizia convenzionale” della pronuncia interna, comportando, quindi, un obbligo riparatorio consistente o nella mera “neutralizzazione degli effetti” della illegittima condanna o nella “rivalutazione del contenuto” della stessa allo stato degli atti, alla luce delle indicazioni della Corte europea, senza il compimento di alcuna attività processuale diversa da quella decisoria; risultato, invece, del tutto inadeguato ad assicurare la riapertura del procedimento, con effettivo “completamento” o “rinnovazione” dell’attività istruttoria o argomentativa, misura individuale più appropriata a rimediare le violazioni S. Quattrocolo, Giudicato interno e condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo: la Corte di cassazione “inaugura” la fase rescissoria, in Cass. pen., 2010, p. 2626. 28 S. Lonati, Il “caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea, cit., p. 1547; E. Selvaggi, Una risposta alle sollecitazioni del Comitato dei ministri, in Guida dir., 2006, n. 5, p. 45. 29 M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1862. 27 Capitolo III – La supplenza pretoria 107 convenzionali di matrice processuale,30 quale appunto quella dell’art. 6 C.e.d.u. cui la sentenza “Dorigo” pretendeva di far fronte. Non solo. La tesi prospettata si connotava per ulteriori profili di intrinseca incongruenza,31 dando origine alla anomala figura di una sentenza che rimaneva ferma ma non poteva ricevere esecuzione,32 verificandosi «la paradossale situazione di un giudicato penale non più eseguibile ma non ancora rinnovabile», come tale «collocato […] a tempo indeterminato, in una sorta di limbo processuale».33 Questa sospensione della condanna in un «non luogo spazio temporale», in bilico tra «l’esistenza, innegabile, e l’efficacia/eseguibilità, carente», si risolveva, peraltro, per l’interessato in un fattore assai più vantaggioso della stessa revisione, conseguendone la preclusione ad un riesame nel merito della regiudicanda: non potendosi ricelebrare il M. Gialuz, ibidem. Analogamente, O. Mazza, L’esecuzione può attendere, cit., p. 2640, che sottolinea come in un’ottica di tutela dell’interesse punitivo, sia collettivo che della vittima del reato, occorre garantire la riapertura del processo, non potendo «lo Stato, e il popolo in nome del quale la giustizia viene amministrata […] accontentarsi del congelamento del titolo esecutivo». 31 Nel senso, invece, che «nella sentenza Dorigo, la Suprema Corte ha fornito dell’art. 670 c.p.p. un’esegesi certamente ampia, ma indiscutibilmente corretta», C. Valentini, La Corte costituzionale e il caso Dorigo: sense and sensibility, in Giust. pen., 2008, I, c. 216. 32 E. Lupo, La vincolatività delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo per il giudice interno, cit., p. 2253. 33 A. Pugiotto, Vent’anni dopo l’insegnamento di Giovanni Battaglini, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 193. Analogamente, A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 421. 30 108 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale rito, infatti, la condanna, per quanto innegabile nella sua esistenza, veniva considerata niente più che «un mero accidente, improduttivo di effetti giuridici»; mentre l’eventuale praticabilità del rimedio revocatorio avrebbe postulato una riconsiderazione del merito della vicenda.34 Con ciò andandosi ben al di là di quanto richiesto in sede europea, posto che «la violazione delle garanzie dell’equità processuale in un determinato processo non significa certo che il ricorrente sia innocente».35 Peraltro, ancor più a monte, non persuasiva veniva ritenuta la stessa asserzione dell’inefficacia del titolo esecutivo nelle situazioni considerate: al riguardo si osservava, infatti, che le ipotesi di iniquità su cui può fondarsi la condanna del Giudice europeo «paiono richiamare casi di invalidità degli atti, se guardate con la lente del diritto interno: e come tali, esse dovrebbero essere superate definitivamente con il giudicato, senza poter più essere riproposte in sede esecutiva»; di qui, la conclusione secondo cui la soluzione avanzata dall’indirizzo ermeneutico in discorso appariva «di tenore inventivo, e senza dubbio frutto di un forte afflato equitativo».36 In un’ottica differente, si è così proposta una tesi alternativa, ritenuta più armonica con il sistema e con i principi di teoria generale: la violazione dei canoni del fair trial non consente di ritenere giuridicamente esistente il giudizio, per cui in realtà «nemmeno sorge la questione di rispettare un giudicato»; conseguentemente, «il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 670 comma 1 c.p.p., M. Caianiello, Profili critici e ipotesi di sviluppo, cit., pp. 558-559. M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale, cit., p. 1513. 36 M. Caianiello, op. ult. cit., p. 558. 34 35 Capitolo III – La supplenza pretoria 109 dovrebbe solo accertare la mancanza del titolo esecutivo e assumere le delibere conseguenti: la sospensione dell’esecuzione, la liberazione dell’interessato se in vinculis non per altro motivo e (regredendo il procedimento allo stato e al grado in cui si è integrata l’invalidità) la rimessione degli atti al giudice a suo tempo competente per la fase processuale invalidamente celebrata, da svolgere per la prima volta ritualmente».37 È questa una opzione esegetica che se, da un lato, presenta il pregio di consentire l’apertura di un nuovo processo per gli stessi fatti, senza incorrere nel divieto di bis in idem, dall’altro, comporta non trascurabili risvolti problematici, sia sul piano concettuale che eminentemente pratico: sotto il primo profilo, infatti, configura la dichiarazione di inesistenza come “automatica”, escludendo al riguardo qualunque margine di apprezzamento da parte del giudice nazionale; sotto il secondo, implica necessariamente l’integrale ripetizione del processo, con le ovvie conseguenze in punto G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee, cit., p. 113; Id., Conformarsi alle condanne europee per violazione dell’equità processuale: doveroso e già possibile, in Corr. mer., 2007, p. 599; analogamente, O. Mazza, L’esecuzione può attendere, cit., p. 2639; M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., pp. 1862-1863; Id., Il caso Dorigo: questione mal posta, ma con qualche (tenue) speranza di essere accolta, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 124; F. Zacchè, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, in Dir. pen. proc., 2009, p. 785; contra, R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione e obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea dei diritti umani: considerazioni sul caso Drassich, in Giur. it., 2009, p. 2516; L. Cordì, L’efficacia delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano: dalla vanificazione del giudicato alla decostruzione del principio di legalità, in Riv. pen., 2008, p. 120. 37 110 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale di rispetto del canone della ragionevole durata e in ordine ai rischi connessi al decorso del tempo.38 Ancor più a monte essa, affermando che l’equità indica «la configurazione che deve possedere ogni celebrazione processuale per non ridursi a una vuota lustra»,39 rischia di risolversi in una “petizione di principio”: presupposto della giurisdizione è, infatti, la presenza di un soggetto investito dei poteri giurisdizionali, «situazione [che] non viene meno ove questi ponga in essere atti che violino determinate garanzie, sia pure di livello convenzionale»; in tal caso, «potranno certamente venire in gioco forme nominate di invalidità (nullità o inutilizzabilità), ma non si potrà certo invocare l’inesistenza». Né potrebbe giungersi a conclusioni opposte ove tale forma di invalidità, anziché alla violazione convenzionale in astratto, fosse ricollegata ad una concreta censura di iniquità da parte del Giudice di Strasburgo: il giudizio saldamente ancorato ad una specifica vicenda giudiziaria effettuato da quest’organo implicherebbe che la mancanza di giurisdizione e la conseguente inesistenza degli atti compiuti dipendessero «da una diagnosi sul grado di incidenza che le varie violazioni possano aver avuto o non avuto nel loro complesso sul rispetto della fairness processuale in rapporto ad un concreto caso giudiziario»; esse, dunque, finirebbero per dipendere «da una valutazione comparativa formulata ex post sulla base di un bilanciamento di interessi, anziché risultare in via meramente ricognitiva, come presupporrebbe la presenza di vizi così gravi e congeniti», Così, M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1863. Sul punto, si v. pure P. Troisi, L’errore giudiziario tra garanzie costituzionali e sistema processuale, Padova, 2011, p. 143. 39 G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, Torino, 2007, p. 108. 38 Capitolo III – La supplenza pretoria 111 che precludono «la stessa celebrazione di un processo nel senso giuridico del termine e lo stesso venire in essere nel mondo del diritto di un atto processuale».40 Sulla falsariga di quanto affermato dall’indirizzo propugnato dalla sentenza “Dorigo”, pur non senza qualche perplessità, la soluzione “forzata” dell’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 c.p.p. è stata invece ritenuta da taluni praticabile per l’esecuzione di quelle sentenze della Corte di Strasburgo che, accertando una violazione convenzionale di merito (ad es., artt. 9 o 10 C.e.d.u.), comportino un «effetto cassatorio negativo», esigendo la cessazione degli effetti della condanna: in tale eventualità, infatti, non sarebbe utilmente invocabile l’art. 673 c.p.p., che consente di revocare la sentenza o il decreto penale di condanna divenuti definitivi solo a seguito di abolitio criminis conseguente all’abrogazione o alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.41 Anche se, con riferimento all’ipotesi in questione, autorevole orientamento ha ritenuto applicabile l’art. 669 c.p.p., essendosi in presenza di «due sentenze definitive (quella interna e quella convenzionale) per il medesimo fatto contro la stessa persona».42 R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2517. 41 M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1864, che sottolinea come il congelamento dell’effetto esecutivo attraverso il meccanismo di cui all’art. 670 c.p.p. «rappresenterebbe davvero una forma di esecuzione della sentenza: la sospensione consente, infatti, anche di eliminare l’iscrizione della sentenza dal casellario giudiziale (art. 5, comma 2, lett. b, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)». 42 F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione: la Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2011, p. 817. 40 112 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale 3. Il ricorso straordinario ex art. 625- bis c.p.p. Ulteriore strada percorsa dal diritto vivente per garantire l’esecuzione delle sentenze della Corte europea è stata quella del ricorso straordinario per errore di fatto previsto dall’art. 625-bis c.p.p. L’arresto – noto come “caso Drassich” – era maturato con riferimento ad un’ipotesi di violazione dell’art. 6, par. 1 e 3, lett. a) e b) C.e.d.u. (diritto a conoscere tempestivamente la natura e i motivi dell’accusa e a disporre del tempo necessario per preparare la difesa) da parte della Corte di legittimità, che con sentenza di rigetto aveva ex officio modificato in peius la qualificazione giuridica del fatto contestato, impedendo così non solo la prescrizione del reato, ma anche l’esperimento di qualsiasi attività difensiva del prevenuto in ordine al mutato addebito. Violazione questa che, ad avviso dei Giudici di Strasburgo, poteva esser rimediata attraverso la riapertura del processo su istanza dell’interessato.43 Investita, quindi, della relativa richiesta, la CassaMauro Drassich era stato condannato in primo grado per falso ideologico ed alcuni fatti di corruzione; in accoglimento dell’impugnazione del pubblico ministero, la Corte d’appello di Venezia lo aveva dichiarato responsabile anche degli ulteriori episodi di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione, gli aveva irrogato la pena di anni tre e mesi otto di reclusione. Avverso tale sentenza, l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, eccependo tra l’altro la prescrizione del reato. La Corte di legittimità, con sentenza del 4 febbraio 2004, riqualificati ex officio i fatti nel più grave delitto di corruzione in atti giudiziari, aveva escluso l’operatività della prescrizione, rigettando il ricorso. Adita la Corte e.d.u., il Drassich si era vista riconosciuta (Corte e.d.u., Sez. II, 11.12.2007, Drassich c. Italia, in Giust. pen., 2007, I, c. 165, con nota di M. Caianiello, Mutamento del nomen iuris e diritto a conoscere la 43 Capitolo III – La supplenza pretoria 113 zione aveva ritenuto di poterla accogliere applicando in via analogica l’istituto disciplinato all’art. 625-bis c.p.p., posto che tale operazione non sarebbe stata preclusa dall’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, trattandosi di applicazione analogica in bonam partem di una norma che non presenta caratteri di «eccezionalità rispetto al sistema processuale», in cui viene piuttosto a «colmare un vuoto normativo dovuto all’inadeguatezza della precedente disciplina a tutelare anomalie e violazioni riconducibili al diritto di difesa, pur configurabili con ordinarietà nel giudizio di legittimità». Sussisterebbe quindi – nella prospettiva fatta propria dalla Suprema corte – una identità di ratio tra il ricorso straordinario per errore di fatto e la riapertura del natura e i motivi dell’accusa ex art. 6 C.e.d.u.: le possibili ripercussioni sul sistema italiano) la violazione dell’art. 6, par. 1 e 3, lett. a) e b) C.e.d.u., per avere la Cassazione leso «il diritto del ricorrente ad essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico nonché il suo diritto a disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa». La Corte d’appello di Venezia, adita quale giudice dell’esecuzione, ritenendo di dare parziale esecuzione alla sentenza del Giudice europeo, aveva sospeso ex art. 670 c.p.p. l’esecuzione del giudicato interno reputato iniquo solo con riferimento alla pena irrogata come aumento per la continuazione a titolo di corruzione, trasmettendo peraltro alla Corte di cassazione il ricorso a suo tempo presentato dall’imputato contro detta decisione. Avverso l’ordinanza della Corte veneta, il Drassich proponeva ricorso ex art. 606 c.p.p., deducendo l’iniquità dell’intero giudizio nazionale, e chiedendo, in subordine, la riapertura del processo innanzi al giudice di legittimità e la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione. Per una puntuale ricostruzione della vicenda, si v. E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema, cit., p. 526 ss., nonché S. Quattrocolo, Giudicato interno e condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo: la Corte di cassazione “inaugura” la fase rescissoria, in Cass. pen., 2010, p. 2622 ss. 114 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale processo sollecitata dalla Corte europea, essendo ambedue funzionali a «rimediare, oltre che a veri e propri errori di fatto, a violazioni del diritto di difesa occorse nell’ambito del giudizio di legittimità e nelle sue concrete e fondamentali manifestazioni che rendono invalida per iniquità la sentenza della Corte [di] cassazione»44. La soluzione individuata dai giudici di legittimità ha suscitato reazioni contrastanti. Una linea di pensiero, in senso adesivo, ne ha sottolineato il “coraggio”, «il passo in avanti compiuto nel percorso ermeneutico teso a dare attuazione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo»,45 sulla scia dell’indirizzo interpretativo inaugurato dalla “sentenza Dorigo”: in Cass., Sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807, Drassich, cit.; sulla pronuncia, in dottrina, M.G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale, cit.; G. Biondi, Il ricorso straordinario per cassazione per errore materiale o di fatto quale possibile rimedio alle violazioni CEDU, in Giust. pen., 2009, III, c. 329; M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p. a seguito di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit.; L. De Matteis, Condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo e revoca del giudicato, cit.; R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit.; S. Lonati, Il “caso Drassich”: continua l’opera di supplenza della giurisprudenza di fronte alla perdurante (e sconcertante) inerzia del legislatore italiano in tema di esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2011, p. 263 ss.; S. Negri, Nel bilanciamento tra valori fondamentali deve prevalere il diritto all’equo processo, in Guida dir., 2009, n. 11, p. 60 ss.; L. Parlato, Riapertura del processo iniquo per modifica “viziata” del nomen iuris, in Dir. pen. proc., 2008, p. 1584 ss.; F. Zacché, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, cit. 45 M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p., cit., p. 1467. 44 Capitolo III – La supplenza pretoria 115 quest’ottica, anzi, se ne sono auspicate applicazioni ulteriori, ipotizzando l’esperibilità del ricorso straordinario per errore di fatto anche nelle ipotesi di violazioni delle norme C.e.d.u. occorse in uno dei gradi di merito, in quanto, diversamente, dovrebbe concludersi che «nel non rilevare la violazione processuale della Convenzione oggetto di ricorso da parte del condannato in sede di merito, la Corte di cassazione a sua volta pone in essere un comportamento censurabile ai sensi della Convenzione stessa (sia per la violazione dell’art. 6, sia per la violazione del diritto ad un ricorso effettivo di cui all’art. 13)», con la conseguenza che, in caso di successiva condanna da parte del Giudice europeo, potrebbe derivarne l’esigenza di riaprire innanzitutto il giudizio di legittimità e poi, eventualmente, anche quello di merito.46 L’orientamento prevalente in letteratura appare, tuttavia, estremamente critico. Per quanto ci si renda, infatti, conto che si tratti di una interpretazione “necessitata”, apprezzabile sul piano equitativo – poiché riesce a realizzare il risultato indicato dalla Corte europea, a differenza delle situazioni risolte tout court L. De Matteis, Condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo e revoca del giudicato, cit., p. 1479, che sottolinea come «in seguito a condanna della Corte di Strasburgo, potrebbe dunque essere richiesta – come nel caso in esame – la revoca in parte qua del dispositivo ed un nuovo esame della doglianza alla luce della sentenza della Corte europea. Questo nuovo esame potrà portare (ma, anche in questo caso, la soluzione non può essere data per scontata) all’eventuale annullamento della sentenza di merito originariamente oggetto di impugnazione, rientrando così il giudizio nel “circuito ordinario” della giurisdizione nazionale mediante gli usuali sbocchi del procedimento di cassazione». 46 116 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale con la declaratoria di ineseguibilità del titolo esecutivo, che collocano il giudicato in una sorta di “limbo processuale” – sul piano più propriamente giuridico si tratta di una decisione che suscita non poche perplessità.47 Se, infatti, l’opera ricostruttiva dei giudici della Cassazione da un lato appare «meritoria» per la risposta data al caso sottoposto ad esame, in assenza di meccanismi codicistici ad hoc, dall’altro è indubbiamente «insufficiente», oltre che «contestabile»: non risolve, infatti, il problema strutturale all’origine della violazione e, per di più, pare collocarsi al di fuori del sistema il rimedio con cui si pretende di rimettere in discussione una vicenda coperta dal giudicato.48 Va evidenziato, innanzitutto, come la formulata regula iuris sia limitata ai soli casi di violazioni incorse nel giudizio di legittimità, laddove invece l’esigenza di tutela del contraddittorio in caso di mutamenti della qualificazione giuridica del fatto può ben porsi anche in uno dei gradi di merito,49 non apparendo persuasiva la tesi della tutela del diritto di difesa ex post, attraverso l’attivazione dei giudizi di impugnazione,50 rappresentando gli stessi comunque solo proiezioni eventuali della vicenda processuale che, per essere conforme ai canoni del giusto processo, deve essere compiutamente rispettosa delle sue declinazioni già in prime cure. M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, cit., p. 1514. 48 F. Zacché, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, cit., p. 782. 49 Cfr. Cass., sez. VI, 19 febbraio 2010, n. 20500, Fadda, in C.E.D. Cass., n. 247371. 50 E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema, cit., p. 529. 47 Capitolo III – La supplenza pretoria 117 Peraltro, nella prospettiva fatta propria dal Giudice di Strasburgo, la conformità convenzionale pare soddisfatta in virtù di un mero “contraddittorio argomentativo” sulla emendatio iuris. Il rispetto della regola consacrata all’art. 6, par. 1 e 3, lett. a) e b) C.e.d.u., postula infatti che l’imputato sia informato dei fatti materiali addebitatigli e della loro qualificazione giuridica, consentendogli così di approntare le strategie più opportune per un esercizio adeguato ed effettivo del diritto di difesa.51 Conseguentemente, ove l’organo decidente rinvenga l’opportunità di riqualificare i fatti ascritti all’imputato, va garantita una tempestiva e dettagliata informazione al riguardo, assicurandogli la possibilità di interloquire sulla stessa.52 A differenza di quanto accade nell’ordinamento italiano, in cui, nonostante il tenore dell’art. 111, comma 3 Cost. corrisponda all’art. 6, par. 3, lett. a) C.e.d.u., l’art. 521 c.p.p. consente, alla luce del principio iura novit curia, una modificazione della qualificazione giuridica del fatto ex officio, compiuta direttamente dal giudice in sentenza, senza l’espletamento di un previo contraddittorio con l’accusato. Per alcune considerazioni storiche circa tale opzione positiva, cfr. G. Pierro, Equità del processo e principio di legalità processuale, in Dir. pen. proc., 2009, pp. 1520-1521. 52 In questo senso, Corte e.d.u., 24 luglio 2012, D.M.T. e D.K.I. c. Bulgaria, §§ 74-75; Id., 25 settembre 2008, Seliverstov c. Russia, § 18 ss.; Id., 11 dicembre 2007, Drassich c. italia, § 34; Id., 19 dicembre 2006, Mattei c. Francia, § 37 ss.; Id., 26 settembre 2006, Miraux c. Francia, § 36 ss.; Id., 20 aprile 2006, I.H. e altri c. Austria, § 33 ss.; Id., 25 marzo 1999, Péllissier e Sassi c. Francia, § 52 ss. Analogamente, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. VI, 24 maggio 2012, n. 22301, Saviolo, in http://www.penalecontemporaneo.it/novita_legislative_e_giurisprudenziali/5-/1629-nuove_garanzie_del_diritto_di_difesa_e_diversa_qualificazione_giuridica_ del_fatto_in_occasione_della_sentenza_di_appello/; Id., sez. I, 18 51 118 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Tuttavia, la prospettiva di una mera «disquisizione in diritto sulla nuova accusa» pare insufficiente, trascurando il dato fondamentale che in tali eventualità l’esercizio concreto ed effettivo del diritto di difesa potrebbe esigere l’esperimento di un’attività di istruzione probatoria.53 La riparazione del vizio, realizzabile attraverso la reintegrazione della vittima della lesione nella situazione quo ante, potrebbe infatti rendere non praticabile lo iato tra il dibattito sulla quaestio iuris e l’esercizio del diritto di difendersi provando: «mutando la fattispecie di riferimento, è inevitabile ritenere che debbano essere riviste anche le strategie difensive (e accusatorie) in ordine alla prova».54 E ciò in quanto, invero, non sussiste una netta cesura tra fatto e diritto, tra descrizione fattuale e qualificazione normativa dell’addebito:55 se è vero, infatti, che «il thema probandum è rappresentato dal fatto», è indubbio che «la ricostruzione del fatto risulta altresì direttamente condizionata dalla qualificazione giuridica dello stesso», essendo altresì «incontestabile che la fattispecie normativa di riferimento funga da parametro selettivo per valutare la rilevanza delle circostanze fattuali sulle quali vengono esperiti i mezzi di prova».56 Considerazioni, queste, che naturalmente vanno rapportate all’effettiva configurazione del processo penale. In febbraio 2010, n. 9091, Di Gati e altri, in Cass. pen., 2011, p. 630, con nota di M. Sculco, La correlazione tra accusa e sentenza nel caso di diversa definizione giuridica. Diversa qualificazione giuridica del fatto e prerogative difensive. 53 F. Zacché, Cassazione e iura novit curia, cit., p. 785; O. Mazza, La procedura penale, cit., pp. 45-46. 54 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 46. 55 F. Zacché, Cassazione e iura novit curia, cit., p. 785. 56 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 46. Capitolo III – La supplenza pretoria 119 particolare, quando le modifiche della qualificazione normativa del fatto intervengono in sede di legittimità, occorre prendere atto della struttura di un giudizio che non consente l’espletamento di attività istruttoria; analogamente è a dirsi ove detta mutatio avvenga in seconde cure ai sensi dell’art. 597, comma 3 c.p.p., residuando in tal caso all’imputato solo la facoltà di ricorrere in cassazione; mentre, invece, nell’eventualità in cui la manovra giudiziale sul “diritto” si realizzi in primo grado, bisognerebbe fare i conti con i limiti di esperibilità della rinnovazione istruttoria in appello fissati all’art. 603 c.p.p., che non paiono garantire, con riferimento all’ipotesi considerata, quella restitutio in integrum consona ai canoni europei. Ma le ragioni di perplessità nei confronti dell’indirizzo propugnato dalla “sentenza Drassich” sono ulteriori. In primis, non condivisibile è l’applicazione analogica al caso in esame dell’istituto previsto all’art. 625-bis c.p.p., inibita – come affermato anche dalle Sezioni unite della Corte di cassazione57 – dal principio di tassatività delle impugnazioni: principio che impronta «tanto l’istituto in sé – quale mezzo di gravame, per di più straordinario e conseguentemente eccezionale – quanto i relativi presupposti – l’errore materiale e quello di fatto incorsi nel giudizio di cassazione», come tali dunque «ontologicamente incompatibili con qualsivoglia forma di analogia legis, sia pure “nobilmente” motivata dall’esigenza di salvaguardare il diritto di difesa dell’imputato».58 Cass., Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile, in Cass. pen., 2002, p. 2616. 58 B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., pp. 137-138. Nello stesso senso, M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, 57 120 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Inoltre, neppure può procedersi ad ardite operazioni interpretative volte ad estendere la nozione di “errore di fatto”59 cit., p. 1516; G. Biondi, Il ricorso straordinario per Cassazione per errore materiale o di fatto quale possibile rimedio alle violazioni della CEDU, in Giust. pen., 2009, III, p. 329 ss.; F. Callari, La firmitas del giudicato penale, cit., p. 382 ss.; M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, in Digesto del processo penale, diretto da A. Scalfati, Torino, 2012, p. 9; F. Zacché, Cassazione e iura novit curia, cit., p. 784; S. Quattrocolo, La Corte europea dei diritti dell’uomo e il principio di correlazione tra accusa e sentenza: un invito ad un ripensamento del principio iura novit curia?, in Leg. pen., 2009, p. 362 ss.; A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., pp. 421-422. 59 L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis c.p.p. consiste propriamente in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione è incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso; esso è connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che ha condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata in sua assenza: Cass., Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile, cit.; Id., Sez. un., 27 marzo 2002, n. 16104, De Lorenzo, in Cass. pen., 2002, p. 2616; in dottrina, in senso adesivo, A. Bargi, Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di cassazione, Padova, 2004, pp. 183 e 187; P. Bruno, Innovazioni e modifiche al giudizio di cassazione, in G. Spangher (a cura di), Le nuove norme sulla tutela della sicurezza dei cittadini (cd. “pacchetto sicurezza”), Milano, 2001, p. 143; G. Canzio – G. Silvestri, Art. 6, l. 26 marzo 2001, n. 128, in A. Gaito (a cura di), Codice di procedura penale ipertestuale, Torino, 2002, p. 2633 ss.; M. Gialuz, Il ricorso straordinario per cassazione, cit., p. 240 ss.; Id., Ancora sul concetto di «errore di fatto» come vizio dei provvedimenti della cassazione, in Cass. pen., 2002, p. 2633 ss.; in prospettiva critica, O. Mazza, Il ricorso straordinario per errore di fatto: un quarto grado di giudizio occasionale?, ivi, 2003, p. 3220 ss., secondo cui è discutibile – nonché difficilmente Capitolo III – La supplenza pretoria 121 sì da annoverarvi anche l’erronea interpretazione delle norme processuali, e dunque, ricomprendervi una “lettura” del principio iura novit curia che, in contrasto con l’art. 6 par. 3 C.e.d.u., consenta la riqualificazione del fatto senza che sul nuovo nomen l’imputato sia messo in grado di contraddire: un’interpretazione del genere – peraltro reiteratamente negata dalla stessa Corte di legittimità – trasformerebbe, invero, il ricorso straordinario in una sorta di “quarto grado” di giudizio, che non avrebbe più nulla di eccezionale.60 Per altro verso, poi, anche l’asserita identità di ratio tra l’istituto in esame e la riapertura del processo sollecitata dalla Corte di Strasburgo appare una considerazione «fallace»: vero è che «il mezzo di cui all’art. 625-bis c.p.p. è volto a porre rimedio (anche) a violazioni gravi del diritto di difesa verificatesi nel giudizio di cassazione; ma – è questo il punto decisivo – solo a quelle che derivano da un errore di lettura degli atti interni. Ove così non fosse, si aprirebbe la strada alla proposizione del ricorso anche per far valere gli errori di diritto o gli errori di giudizio della Corte».61 Prospettiva, comunque, che non ricorre nel caso di mutamento della qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, in cui non è in gioco alcun tipo di “errore” – nemmeno di diritto – in cui possa essere incorsa la Corte, rilevando invece l’esistenza di una lacuna normativa, costituita dalla carenza di una previsione che postuli l’instaurazione di decifrabile nella pratica – la distinzione tra errore percettivo ed errore di giudizio. 60 B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 138. 61 M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, cit., p. 9; analogamente, M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, cit., p. 1515. 122 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale un contraddittorio con la difesa per poter procedere alla modifica del nomen originario. Non si tratta, cioè, di recuperare quanto avrebbe dovuto fisiologicamente realizzarsi se non vi avesse ostato un difetto percettivo della Corte di legittimità, bensì di ottemperare ad una censura dell’organo europeo introducendo una garanzia assente nell’ordinamento interno. Ed è questo un punto di «irriducibile distanza» tra ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p. e riqualificazione giuridica del fatto in Cassazione in assenza di contraddittorio: «nel primo caso si mira infatti ad assicurare una tutela difensiva prevista in astratto, ma che è mancata nel caso concreto; nel secondo, invece, si vorrebbe introdurre una tutela difensiva che non è prevista neppure in astratto».62 Inoltre, giova ricordare come i motivi posti a base della regolamentazione giuridica del ricorso straordinario per cassazione non possono certo estendersi all’ipotesi in discorso. L’istituto ex art. 625-bis c.p.p. mira, infatti, ad assicurare al condannato il diritto alla fruizione del ricorso innanzi alla Corte di legittimità garantito dagli artt. 24 e 111 Cost.: ne è riprova il fatto che il suo inserimento nel tessuto codicistico è avvenuto su impulso del Giudice delle leggi,63 che aveva sollecitato l’individuazione di uno strumento riparatorio per l’eventualità in cui i giudici della Cassazione, incappando in errori percettivi, avessero indebitamente dichiarato l’inammissibilità del ricorso, così ledendo il diritto al processo di legittimità.64 R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2519. 63 Corte cost., sent. 28 luglio 2000, n. 395, in Cass. pen., 2001, p. 390. 64 M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, cit., p. 1515. 62 Capitolo III – La supplenza pretoria 123 Alla luce di tali considerazioni, si è quindi osservato come, per raggiungere il risultato perseguito, la Corte avrebbe forse potuto percorrere un’altra via, «altrettanto azzardata ma più diretta»: ossia, «ritenere che l’ “errore di diritto” della cassazione sia stato determinato dalla difficoltà ad orientarsi in una disciplina processuale penale “plurilivello”, comprensiva anche della normativa di fonte internazionale e della giurisprudenza della Corte europea che esplicita il contenuto delle norme convenzionali, sì che l’errore possa essere rapportato ad un vero e proprio difetto percettivo».65 Le riferite critiche non sono, tuttavia, valse ad impedire applicazioni ulteriori dell’istituto disciplinato all’art. 625-bis c.p.p. per ottemperare al giudicato della Corte europea. Nel “caso Scoppola” la Corte di cassazione,66 investita del ricorso straordinario volto ad ottenere, in esecuzione del dictum di Strasburgo, la rideterminazione del trattamento sanzionatorio iniquo, ha – nonostante la nota del Procuratore generale di trasmissione degli atti al giudice dell’esecuzione67 – dichiarato ammissibile detta istanza, provvedendo quindi a revocare in parte qua la propria precedente sentenza, cassando senza rinvio la decisione del giudice di merito M. G. Aimonetto, op. ult. cit., p. 1516. Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, cit.; in dottrina, sulla pronuncia, cfr. C. Di Paola, Gutta cavat lapidem: in assenza del legislatore in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 1400 ss.; S. Furfaro, L’esecuzione delle decisioni europee di condanna, cit.; P. Gaeta, La sentenza definitiva deve essere modificata se ritenuta iniqua, cit.; C. Musio, Il “Caso Scoppola” dalla Corte Europea alla Corte di Cassazione, in Cass. pen., 2011, p. 208 ss. 67 Pubblicata in Cass. pen., 2010, p. 3393. 65 66 124 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale e rideterminando direttamente la pena irrogata.68 Ciò sulla base dell’assunto della radicale diversità del caso de quo rispetto a quelli sottesi ai precedenti giurisprudenziali che avevano risolto in altro modo la questione dell’adeguamento dell’ordinamento interno al giudicato della Corte europea. Qui infatti – si è sottolineato – «l’iniquità della La vicenda riguardava un cittadino italiano che, pur avendo avanzato istanza di giudizio abbreviato in appello nel vigore della disciplina di cui alla l. n. 479 del 1999 – che consentiva la celebrazione di tale rito anche per i delitti puniti con l’ergastolo, prevedendo genericamente per tale eventualità la sostituzione di detta pena con la reclusione di anni trenta – si vedeva applicata in sentenza la pena dell’ergastolo. Ciò in ragione della circostanza che il giorno stesso della conclusione del giudizio era entrato in vigore il d.l. n. 341 del 2000, il cui art. 7 – in via di interpretazione autentica dell’art. 442 c.p.p. – precisava che la sostituzione della pena di trent’anni a quella dell’ergastolo dovesse riferirsi esclusivamente all’ergastolo senza isolamento diurno, mentre la pena dell’ergastolo con isolamento diurno avrebbe dovuto essere sostituita con quella dell’ergastolo senza isolamento diurno. Ritenuta, quindi, la natura processuale di tale disposto normativo e, conseguentemente, la sua soggezione al canone tempus regit actum, allo Scoppola veniva applicata in grado di appello – con sentenza poi confermata anche in sede di legittimità – la pena dell’ergastolo senza isolamento diurno. La Corte europea (Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, in Cass. pen., 2010, p. 832, con nota di G. Ichino, L’ “affaire Scoppola c. Italia” e l’obbligo dell’Italia di conformarsi alla decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo) ha ritenuto tale condanna convenzionalmente illegittima per violazione dei canoni di cui agli artt. 6 e 7 C.e.d.u. Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, perché la cd. “legge Carotti”, entrata in vigore dopo la commissione dei fatti ma prima della sentenza definitiva di condanna, rappresentava una lex mitior sopravvenuta, di natura sostanziale e non processuale, che, in virtù del principio della necessaria retroattività della legge penale più favorevole, corollario del principio di legalità, avrebbe dovuto essere applicata allo Scoppola in luogo della più sfavorevole disciplina di cui al sopravvenuto d.l. n. 341 del 2000. 68 Capitolo III – La supplenza pretoria 125 decisione non attiene al profilo di formazione della prova in contraddittorio, o dell’accertamento della responsabilità penale o della qualificazione giuridica dei fatti; non si sostiene cioè che il giudice avrebbe potuto giudicare in maniera differente o che l’imputato avrebbe potuto difendersi diversamente, se fossero state rispettate le garanzie processuali fondamentali». Nell’ipotesi considerata «la non equità riguarda solo il trattamento sanzionatorio», con la conseguenza che «non è quindi necessario che si proceda a un nuovo giudizio di merito, essendo sufficiente una modifica della pena, nel senso indicato dalla sentenza» sovranazionale; modifica cui, invero, anche alla luce di ragioni di economia processuale e di contenimento dei tempi, può procedere lo stesso giudice di legittimità, evitando così l’ulteriore fase – pur pienamente conforme alla normativa vigente» – dell’intervento in executivis ai fini della sostituzione della pena inflitta.69 Aspri gli appunti avanzati avverso tale decisione, che, non spendendo una parola circa la congruità del mezzo processuale utilizzato e la rispondenza del caso di specie ai presupposti normativi richiesti, opera quasi “chirurgicamente”: anziché limitarsi a statuire l’ineseguibilità del giudicato, la Corte di cassazione «per modus tollens, estirpa dalla sentenza la pena (ingiusta) originariamente irrogata e la sostituisce, per modus ponens, con l’altra, ritenuta equa dal giudice europeo».70 Soluzione, questa, di dubbia ortodossia normativa, che andando al di là della mera sospensione del giudicato in- Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, cit. P. Gaeta, La Corte ritiene superfluo un nuovo giudizio, cit., p. 87. 69 70 126 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale terno iniquo, realizza una «manipolazione genetica del titolo esecutivo», modificandone una significativa porzione.71 Operazione nel suo complesso reputata “abnorme”, «in quanto avulsa dall’intero ordinamento processuale e resa al di fuori dei casi consentiti: il ricorso straordinario era infatti palesemente inammissibile, in quanto rivolto verso una sentenza emessa da un giudice diverso dalla Cassazione e diretto a censurare un vizio assolutamente non riconducibile all’errore di fatto».72 Nel caso in questione si sarebbe andati ben oltre la semplice violazione del divieto di analogia vigente in tema di rimedi impugnatori: la Cassazione, infatti, non si sarebbe limitata ad applicare «l’istituto giuridico ex art. 625-bis c.p.p. ad un caso non disciplinato ma analogo a quello disciplinato», bensì avrebbe «in realtà costruito un nuovo istituto», «analogo […] rispetto a quello esistente del ricorso straordinario», «il quale ibrida revisione (artt. 629 ss., e spec. 637, comma 2 c.p.p.) e ricorso straordinario».73 4. La restituzione nel termine per impugnare Con riferimento alla violazione del diritto a partecipare al processo, l’ordinamento interno conosceva già un istituto – la restituzione nel termine per proporre impugnazione avP. Gaeta, ibidem. Così M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, cit., p. 10. In termini critici, pure C. Musio, Il “caso Scoppola” dalla Corte europea, cit., p. 217. 73 M. Gambardella, Il “caso Scoppola”: per la Corte europea l’art. 7 CEDU garantisce anche il principio di retroattività della legge penale più favorevole, in Cass. pen., 2010, pp. 2027-2028. 71 72 Capitolo III – La supplenza pretoria 127 verso le sentenze contumaciali ex art. 175 c.p.p. – che, per quanto ispirato ad una ratio differente, poteva essere applicato estensivamente per ottenere la riapertura del giudizio ove in sede europea si fosse censurato lo svolgimento del processo in carenza di un’effettiva conoscenza o di una volontaria rinuncia a comparirvi da parte dell’imputato.74 Al riguardo, giova premettere come il processo contumaciale non sia irriducibilmente stridente con il quadro di tutela convenzionale dei diritti umani.75 Nella prospettiva europea, la partecipazione dell’accusato al processo, oltre ad essere dedotta indirettamente dall’art. 6 C.e.d.u.76 – e precisamente, da quelle declinazioni del due process, quali il diritto a difendersi personalmente, al confronto con l’accusatore o all’interprete, che presuppongono la presenza fisica del prevenuto77 – è configurata non solo come diritto, ma anche come dovere, potendo l’organo giuCass., sez. V, 15 novembre 2006, n. 4395, Cat Berro, in C.E.D. Cass., n. 235446; Id., sez. I, 12 febbraio 2008, n. 8784, Ay, ivi, n. 239141. In dottrina, cfr. C. Angeloni, L’istituto della rimessione in termini può travolgere il giudicato penale, in Cass. pen., 2008, p. 270. 75 In argomento, si v. A. Mangiaracina, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Torino, 2010, p. 22 ss., nonché M. Deganello, Procedimento in absentia: sulla ‘tratta’ Strasburgo-Roma una ‘perenne incompiuta’, in R. Gambini – M. Salvadori (a cura di), Convenzione europea sui diritti dell’uomo, cit., p. 79 ss. 76 Il quale non la menziona espressamente, a differenza dell’art. 14, § 3, lett. d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, secondo cui «Ogni individuo accusato di un reato ha diritto […] ad essere presente al processo». 77 Corte e.d.u., Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, § 81; Id., 25 marzo 1998, Belziuk c. Polonia, § 37; Id., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit., § 27. 74 128 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale dicante tener conto della mancata comparizione, traendone le (proporzionate) conseguenze del caso.78 Come le altre garanzie sancite dall’art. 6 C.e.d.u., anche quella della partecipazione al proprio processo è rinunciabile,79 purchè però tale atto abdicativo – tacito o espresso – sia “informato” e “inequivoco”. Occorre, cioè, che l’accusato sia reso edotto in maniera effettiva e dettagliata dell’addebito elevato a suo carico, dell’esistenza di un processo, del suo oggetto, della data dell’udienza, potendo ragionevolmente prevedere le conseguenze della sua rinuncia a comparire.80 A tali condizioni la celebrazione di un giudizio senza imputato è convenzionalmente conforme, potendo rientrare tra le legittime opzioni normative degli Stati membri.81 Corte e.d.u., 22 settembre 1994, Pelladohah c. Paesi Bassi; Id., 23 novembre 1993, Poitrimol c. Francia. 79 Corte e.d.u., 30 novembre 2000, Kwiatkowska c. Italia; Id., 21 febbraio 1990, Håkansson e Sturesson c. Svezia, § 66; V. zagrebelsky, Intervento, cit., p. 17. 80 La rinuncia non deve, inoltre, contrastare con alcun interesse pubblico significativo e deve essere assistita da salvaguardie minime connaturate alla sua importanza (A. Tamietti, Processo contumaciale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: La Corte di Strasburgo sollecita l’Italia ad adottare riforme legislative, in Cass. pen., 2005, p. 991; nella giurisprudenza europea, tra le tante, Corte e.d.u., 9 settembre 2003, Potrimol c. Francia, § 31; Id., 21 settembre 1993, Zumtobel c. Austria, § 34; Id., 25 febbraio 1992, Pfeifer e Plankl c. Austria, § 37). 81 Con la Risoluzione (1975) 11 il Comitato dei Ministri ha fissato nove regole minime in tema di garanzie che gli Stati contraenti che prevedono il processo contumaciale devono rispettare. In argomento, si v. G. Ubertis, Come rendere giusto il processo senza imputato, in Id., Argomenti di procedura penale, II, Milano, 2006, p. 171 ss. 78 Capitolo III – La supplenza pretoria 129 I punti di frizione con le garanzie europee sorgono – e l’esperienza italiana ne ha contezza – allorché l’informazione data non soddisfi i citati requisiti, garantendo una conoscenza solo ipotetica o non ufficiale delle accuse e del processo,82 e dunque, non assicurando all’imputato l’esercizio effettivo dei suoi diritti. La via per la “conformità convenzionale” passa, quindi, in tali ipotesi attraverso il diritto a un nuovo processo di merito a favore di colui che, non sottrattosi volontariamente al giudizio e condannato all’esito di un trial in absentia, abbia patito un flagrante “diniego di giustizia”.83 Orbene, con riferimento all’ordinamento italiano, la Corte di Strasburgo ha in passato avuto modo di stigmatizzare reiteratamente il non allineamento ai suddetti standards di garanzia, essendo non solo consentita la celebrazione di un processo in contumacia nonostante la mancanza di una rinuncia consapevole e inequivoca dell’imputato a prendervi parte (come consegue dalla disciplina delle notificazioni all’irreperibile), ma non riconoscendosi nemmeno in tali ipotesi un diritto ad una fresh determination of the merits of the charges, concepita – in ossequio ai precetti di Strasburgo – in termini Corte e.d.u., 12 ottobre 1992, T. c. Italia, § 28; Id., 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, § 75. 83 Corte e.d.u., 16 ottobre 2001, Einhorn c. Francia, § 32: «A denial of justice undoubtedly occurs where a person convicted in absentia is unable subsequently to obtain from a court which has heard him a fresh determination of the merits of the charge, in respect of both law and fact, where it has not been unequivocally established that he has waived his right to appear and to defend himself». Cfr. pure Corte e.d.u., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit., § 29 e Id., 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, cit., § 66. 82 130 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale pressoché automatici, ostandovi il tenore dell’originario art. 175 c.p.p.84 Tali difetti sistemici del nostro assetto processuale hanno trovato definitiva censura con la sentenza della Corte europea 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia,85 che, andando oltre le riserve già manifestate dal Giudice europeo nella decisione sulla ricevibilità del ricorso dell’11 settembre 2003 in ordine all’idoneità stessa dell’istituto della restituzione nel termine ai fini in questione – in particolare, sotto il profilo della eccessiva brevità dello spatium temporis per presentare la relativa richiesta e la carenza di informazioni in ordine all’esistenza di tale rimedio86 – ha denunciato la genesi strutturale della violazione accertata, addebitabile ad una carenza congenita della legislazione italiana, sollecitando quindi il nostro Paese ad adottare le adeguate misure generali necessarie per prevenire violazioni analoghe.87 Corte e.d.u., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit.; Id., 28 agosto 1991, F.C.B. c. Italia; Id., 12 ottobre 1992, T. c. Italia, cit.; Id., 19 dicembre 1989, Brozicek c. Italia. Il processo contumaciale italiano era stato censurato anche dal Comitato dei diritti umani dell’Onu, con la decisione 27 luglio 1999, Malaki, in Cass. pen., 2000, p. 2487, che aveva rilevato la violazione dell’art. 14, § 3, lett. d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici. 85 Corte e.d.u., 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, in Cass. pen., 2005, p. 983 ss., con nota di A. Tamietti, Processo contumaciale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit. 86 Corte e.d.u., (dec.) 11 settembre 2003, Sejdovic c. Italia (n. 56581/00), in Cass. pen., 2004, p. 1390 ss., con nota di A. Tamietti, Processo contumaciale e rimedi a garanzia del diritto di difesa dell’imputato assente: la Corte europea «boccia» la restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p. 87 Corte e.d.u., 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, cit., §§ 44 e 47. 84 Capitolo III – La supplenza pretoria 131 In particolare, la Corte europea, nello stesso dispositivo della pronuncia,88 ha rivolto un invito a «mettere in opera il diritto delle persone condannate in contumacia – che non siano informate in maniera effettiva delle pendenze a loro carico e che non abbiano rinunciato in maniera non equivoca al loro diritto di comparire – ad ottenere ulteriormente che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo averle sentite nel rispetto dell’art. 6 della Convenzione, sul merito delle accuse»;89 sancendo, altresì che lo Stato italiano «deve garantire, attraverso misure appropriate, la messa in opera del diritto in questione per il ricorrente e le persone che si trovano in una situazione simile a quella del ricorrente».90 Era questo un dispositivo che «non lascia[va] vie di scampo» al legislatore italiano,91 costringendolo finalmente Sottolinea il peso di tale monito nella parte precettiva della sentenza, O. Mazza, Diritto a un equo processo, in L. Pineschi (a cura di), La tutela dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi, Milano, 2006, p. 481. 89 Punto 2 del dispositivo della sentenza: «the above violation has originated in a systemic problem connected with the malfunctioning of domestic legislation and practice caused by the lack of an effective mechanism to secure the right of persons convicted in absentia – where they have not been informed effectively of the proceedings against them and have not unequivocally waived their right to appear at their trial – to obtain a fresh determination of the merits of the charge against them by a court which has heard them in accordance with the requirements of Article 6 of the Convention» 90 Punto 3 del dispositivo della pronuncia: «the respondent State must, through appropriate measures, secure the right in question to the applicant and to other persons in a similar position». 91 G. Lattanzi, Costretti dalla Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2005, p. 1125. 88 132 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale a modificare – a quasi un ventennio dalla prima censura europea92 – la disciplina della contumacia. L’obbligo è stato assolto con il d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 22 aprile 2005, n. 60, che, intervenendo sull’art. 175, comma 2 c.p.p. – fonte di attrito con l’art. 6 C.e.d.u. – l’ha modificato, capovolgendone l’onere della prova ivi previsto.93 Se, stando al tenore originario della norma, la restituzione nel termine per impugnare poteva essere concessa all’imputato previa dimostrazione della mancata conoscenza incolpevole del provvedimento ovvero, nei casi di notifica della sentenza contumaciale mediante consegna al difensore, della non volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti del procedimento, la versione riformata della previsione ha introdotto un meccanismo connotato da tratti di automaticità: una volta che l’imputato presenti richiesta di restituzione nel termine, il rimedio deve essergli concesso, spettando all’autorità giudiziaria la prova dell’eventuale effettiva conoscenza del procedimento da parte del prevenuto. Sebbene ispirato da un intento di riallineamento ai canoni di equità processuale europei, il rinnovato impianto normativo non ha conseguito lo scopo, non risolvendo in modo soddisfacente tutte le problematiche implicate dalla lesione del diritto dell’imputato a partecipare al processo.94 Corte e.d.u., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit. In argomento, P. Moscarini, Il giudizio in absentia nell’ottica delle giurisdizioni internazionali ed in una recente legge italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 573 ss.; S. Quattrocolo, Commento all’art. 2 d.l. 18.2.2005 n. 17, conv., con modif., in l. 22.4.2005 n. 60, in Leg. pen., 2005, p. 291 ss. 94 M. Chiavario, Non è tutto oro quello che luccica nel nuovo pro92 93 Capitolo III – La supplenza pretoria 133 Per quanto si riconosca al contumace il diritto incondizionato di impugnare tardivamente il provvedimento emesso a suo carico – senza, peraltro, che possa avere efficacia preclusiva l’eventuale impugnazione proposta dal difensore95 – si è in realtà ben lontani dalla realizzazione di quella cesso in absentia, in Dir. giust., 2005, n. 19, p. 11; L. Filippi, Rito contumaciale: quale «equo processo»?, in Cass. pen., 2005, p. 2199; O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 39; F. Siracusano, Reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, procedura di consegna e processo in absentia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 115 ss.; A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 419. 95 Corte cost., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, cit., che ha dichiarato incostituzionale l’art. 175, comma 2 c.p.p., nella parte in cui non consente all’imputato, secondo il diritto vivente, di essere restituito nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di condanna quando l’impugnazione sia stata già in precedenza proposta dal difensore. È stato così superato l’orientamento delle Sezioni unite della Corte di legittimità (31 gennaio 2008, n. 6026, Huzuneanu, in Cass. pen., 2008, p. 2358, con nota di G. De Amicis, Osservazioni in margine ad una recente pronuncia delle Sezioni unite in tema di rapporti tra unicità del diritto di impugnazione e restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale di condanna) secondo cui, posto il principio di cd. “unicità dell’impugnazione”, ritenuto diretta proiezione del canone della ragionevole durata del processo, l’«impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace, una volta che […] sia intervenuta la relativa decisione, preclude all’imputato la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione». I profili di criticità con le garanzie europee di quest’ultimo orientamento sono sottolineati da V. Zagrebelsky, Intervento, cit., p. 19, che evidenzia come «nel caso in cui perduri la non informazione all’accusato e dunque la sua impossibilità di partecipare è evidente la mancanza di rinuncia. Il fatto che il difensore abbia impugnato ha solo introdotto una nuova fase in cui di nuovo l’accusato non ha possibilità di partecipare; esso quindi 134 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale restitutio in integrum pretesa da Strasburgo che, per essere effettivamente tale, implicherebbe una rinnovazione del giudizio.96 Alla modifica dell’art. 175 c.p.p. non si è, infatti, accompagnata quella dell’art. 603, comma 4 c.p.p.97 che tuttora – con evidente incongruenza rispetto al mutato assetto di disciplina – subordina la rinnovazione del dibattimento in appello alla prova da parte dell’imputato rimasto contumace in primo grado di non esser potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore ovvero per mancata conoscenza incolpevole o involontaria dell’atto di citazione. Previsione, questa, che se aveva una sua coerenza nella vigenza dell’originario testo dell’art. 175, comma 2 c.p.p., risulta oggi del tutto illogica, ponendo a carico del prevenuto un onere probatorio che nella nuova versione della disposizione da ultimo citata manca, con conseguenze paradossali: può ben accadere, infatti, che l’imputato in prima battuta sia restituito nel termine per impugnare, ma non si veda poi riconosciuto il diritto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, vanificandosi quella garanzia della ripetizione del giudizio che il sistema di tutela convenzionale imporrebbe.98 non risolve il problema». In argomento, si v. pure G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, in Giur. cost., 2009, p. 4765 ss. 96 Cfr. G. Ubertis, Corte europea dei diritti dell’uomo e “processo equo”: riflessi sul processo penale italiano, in Id., Argomenti di procedura penale, III, Milano, 2011, p. 111 ss. 97 Nonostante l’iniziale previsione della sua modifica nel corso dei lavori parlamentari, in sede di conversione del d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, tale disposizione è infatti rimasta immutata. 98 G. Lattanzi, Costretti dalla Corte di Strasburgo, cit., p. 1132. Sic- Capitolo III – La supplenza pretoria 135 Ma pure quando l’accesso alla rinnovazione istruttoria in secondo grado sia garantito, può invero dubitarsi che al contumace venga assicurato quel “giusto processo” che gli spetterebbe: in seconde cure, infatti, l’imputato può trovarsi di fronte ad una situazione processuale già per più aspetti pregiudicata, ad esempio perché il giudice utilizza atti istruttori compiuti nel giudizio antecedente senza la sua presenza,99 ma anche perché egli «non può più avvalersi del patteggiamento e del giudizio abbreviato, o perché tra accusa e difesa sono intervenuti accordi svantaggiosi in materia probatoria, o ancora perché non sono state proposte eccezioni (di nullità, di incompetenza, ecc.) o compiuti determinati atti ormai preclusi (come una dichiarazione di ricusazione)»; peraltro, poi, più in generale può fondatamente porsi l’interrogativo della compatibilità costituzionale, ex art. 3 Cost., dell’ «assoggettamento a una diversa disciplina processuale dell’imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento e non abbia volontariamente rinunciato a comparire».100 Senza trascurare, inoltre, che gli strumenti della restituzione nel termine per impugnare e della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non sempre appaiono idonei a garantire al contumace un nuovo giudizo “sul merito delle accuse”: basti pensare all’eventualità di un appello del pubblico ministero avverso sentenza contumaciale di priché, come osserva A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 420, la portata che si assegna all’art. 175 c.p.p. è quella di «mera garanzia del diritto di impugnare riconosciuto all’imputato, non anche del diritto di essere reintegrato nelle ragioni lese». 99 O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 39. 100 G. Lattanzi, Costretti dalla Corte di Strasburgo, cit., p. 1132. 136 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale mo grado di assoluzione; contro l’eventuale condanna in seconda istanza l’imputato – ove restituito nel termine per impugnare – può solo proporre ricorso per cassazione, rimedio inidoneo a garantire un giudizio “sul merito delle accuse”.101 Infine un ulteriore, rilevante profilo di perplessità della nuova disciplina deriva dalla “dimenticanza” del legislatore di regolamentare la sorte del giudizio svoltosi in condizioni di minorato contraddittorio, e in particolare, delle prove ivi assunte. Si è già accennato all’innegabile problematicità, dal punto di vista della fairness processuale, della utilizzabilità da parte del giudice dell’impugnazione del materiale probatorio assunto in primo grado senza la presenza dell’imputato:102 è concreto il rischio di uno “svuotamento di significato” della stessa ripetizione del giudizio imposta per rimediare al vulnus delle garanzie convenzionali ove si attribuisca credibilità alle risultanze acquisite in condizioni di absentia censurabili.103 G. Lattanzi, op. ult. cit., p. 1132. G. Ubertis, Intervento, in Processo penale e giustizia europea, cit., p. 39 103 P. Moscarini, La contumacia dell’imputato, Milano, 1997, p. 467. Tuttavia, con riferimento a un caso di appello avverso sentenza contumaciale, in cui l’imputato – sebbene ne avesse avuta la possibilità – non aveva avanzato istanze istruttorie, Corte e.d.u., 9 settembre 2003, Jones c. United Kingdom, nel dichiarare l’irricevibilità del ricorso, ha svolto affermazioni da cui è possibile dedurre l’utilizzabilità del materiale probatorio assunto in prime cure, integrabile a seguito della partecipazione dell’accusato al giudizio d’appello. In argomento, si v. V. Zagrebelsky, Intervento, cit., p. 18. 101 102 Capitolo IV Un nuovo caso di revisione Sommario: 1. Un’incompatibilità costituzionale (quasi) accertata ma non dichiarata – 2. L’ampliamento del rimedio revocatorio: Corte cost., n. 113 del 2011 – 3. (segue) Punti fermi – 4. (segue) Nodi irrisolti 1.Un’incompatibilità costituzionale (quasi) accertata ma non dichiarata La consapevolezza dell’inadeguatezza degli istituti esistenti nel diritto interno – per quanto interpretati, non senza forzature, in chiave estensiva – a soddisfare l’obbligo di adeguamento ai dicta di Strasburgo, garantendo la riapertura dei procedimenti iniqui, ha indotto una parte della giurisprudenza a percorrere la via dell’incidente di costituzionalità. La Corte d’appello di Bologna, nell’ambito della vicenda relativa al “caso Dorigo”, ha infatti sollevato innanzi ai giudici della Consulta, ex artt. 3, 10 e 27 Cost., la questione di legittimità dell’art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p., nella parte in cui esclude dai casi di revisione l’impossibilità di conciliare i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna con la pronuncia definitiva della Corte europea che abbia accertato 138 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale l’assenza di equità del giudicato interno ai sensi dell’art. 6 della Convenzione.1 Pur potendosi sottrarre all’onere di una decisione di merito, avvalendosi del commodus discessus di una declaratoria di inammissibilità per inesistenza del presupposto fondante l’eccezione (non sussisteva, infatti, nel “caso Dorigo” nessuna sentenza della Corte e.d.u., bensì solo un rapporto del Comitato dei ministri, che, per quanto obbligatorio ex art. 32 del testo convenzionale originario, costituiva indubbiamente «cosa diversa dalle sentenze di un organo giudiziale»2), ovvero trincerandosi dietro l’indebita invasione della intangibile sfera di discrezionalità legislativa che l’invocata pro- La questione era stata sollevata, nell’ambito del “caso Dorigo”, dalla Corte d’appello di Bologna con l’ordinanza 13 marzo 2006, n. 63 (in Cass. pen., 2006, p. 2959, con nota di M. D’Orazi, Revisione della condanna penale e violazione dell’art. 6 Cedu). Il Dorigo, infatti, da un lato, aveva avanzato istanza di revisione, sostenendo la configurabilità dell’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art. 630 c.p.p. (inconciliabilità tra il giudicato interno e la decisione del Giudice di Strasburgo); dall’altro, in via subordinata, aveva proposto la questione di legittimità costituzionale della disciplina citata laddove non prevede, nei casi in questione, l’esperibilità dell’impugnazione straordinaria. La Corte territoriale investita della revisione, verificata l’impraticabilità di un’interpretazione del disposto codicistico che consentisse l’attivabilità dell’istituto a seguito dell’accertamento da parte della Corte europea della violazione delle garanzie convenzionali, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, sospendendo peraltro medio tempore, ex art. 635 c.p.p., l’esecuzione della pena. 2 M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit., p. 1522, secondo cui, dunque, «non sembra corretto che si possa parlare indifferentemente delle une e delle altre». Sulla questione, si v. pure D. Manzione, “Caso Dorigo” e dintorni: una “blessing in disguise” della Corte Suprema (e non solo)?..., in Leg. pen., 2007, p. 259 ss. 1 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 139 nuncia additiva avrebbe comportato,3 il Giudice delle leggi non l’ha fatto, compiendo anzi affermazioni ulteriori – e di grande rilievo – rispetto a quelle strettamente funzionali alla trattazione delle sollevate censure.4 L’esito di infondatezza dell’incidente di costituzionalità è stato, infatti, accompagnato – in maniera neanche troppo velata, se non a tratti decisamente manifesta – da una serie di “suggerimenti”, rivolti tanto al giudice comune che al E. Selvaggi, Una risposta alle sollecitazioni del Comitato dei ministri, cit., pp. 45-46. 4 Corte cost., sent. 30 aprile 2008, n. 129, cit. Sulla pronuncia, si v. G. Campanelli, La sentenza 129/08 della Corte costituzionale e il valore delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo: dalla ragionevole durata alla ragionevole revisione del processo, in Foro it., 2009, I, p. 621 ss.; M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit., p. 1522 ss.; A. Cisterna, La rimozione della detenzione iniqua è l’unico rimedio congruo e praticabile, in Guida dir., 2008, n. 20, p. 60 ss.; L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, cit.; F. Gambini, Il ruolo del giudice ordinario e della Corte costituzionale nell’attuazione dell’obbligo di riapertura o revisione del processo, in F. Spitaleri (a cura di), L’incidenza del diritto comunitario e della CEDU, cit., p. 221 ss.; M. Gialuz, Il caso Dorigo: questione mal posta, ma con qualche (tenue) speranza di essere accolta, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 123 ss.; G. Mantovani, La sent. n. 129 del 2008 e la riparazione delle violazioni dell’art. 6 Cedu, in Giur. cost., 2008, p. 2679 ss.; M. Repetto, La Corte costituzionale respinge l’ipotesi di “revisione europea”: un’occasione mancata?, in Dir. pen. proc., 2008, p. 929 ss.; V. Sciarabba, Il problema dell’intangibilità del giudicato tra Corte di Strasburgo, giudici comuni, Corte costituzionale e…legislatore?, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2008/0004_nota_129_2008_ sciarabba.pdf; C. Valentini, La Corte costituzionale e il caso Dorigo, cit., p. 207 ss. 3 140 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale legislatore, che “contraddicendo” in qualche modo il dispositivo adottato, hanno tracciato la strada da percorrere per colmare la lacuna dell’inesistenza nell’ordinamento italiano di un rimedio atto ad ottemperare al giudicato di Strasburgo. Da questo punto di vista la sentenza in esame pare assimilabile al genus delle cd. “decisioni di incostituzionalità accertata ma non dichiarata” (dette anche “sentenze di rigetto con accertamento di incostituzionalità”),5 cui la Consulta ricorre quando, pur non dichiarando l’incostituzionalità della normativa impugnata, adotta formule che ne riconoscono apertamente l’attrito con i principi fondamentali, rivolgendo un pressante monito al legislatore a comporre il contrasto, dietro avvertimento che, in caso contrario, potrebbe essere possibile un futuro accoglimento della doglianza.6 Come, infatti, nel caso in questione si è puntualmente verificato. L’iter motivazionale seguito dai Giudici costituzionali, più precisamente, si articola secondo una sequenza che, muovendo dalla dimostrazione dell’infondatezza delle censure sollevate dal giudice a quo,7 si sofferma sull’(in)idoIn questo senso, anche P. P. Rivello, La Corte costituzionale interviene sull’istituto della revisione al fine di garantire l’obbligo di adeguamento alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 1185. 6 In dottrina, su tale tipologia di pronunce, si v. R. Pinardi, L’ horror vacui nel giudizio sulle leggi, Milano, 2007, p. 88; Id., I giudici, la Corte ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità, Milano, 1993, p. 145 ss.; Id., Discrezionalità legislativa ed efficacia temporale delle dichiarazioni di incostituzionalità: la sent. n. 125/1992, come decisione di «incostituzionalità accertata ma non dichiarata», in Giur. cost., 1992, p. 1086. 7 In dottrina, la non pertinenza degli invocati parametri di costituzio5 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 141 neità dell’istituto della revisione tradizionale a fungere da rimedio revocatorio “post-Strasburgo”, lasciando aleggiare sullo sfondo – sebbene mai espressa palesemente, ma tuttavia chiaramente percepibile in taluni passaggi argomentativi – l’indicazione della corretta “via” da seguire per l’accoglimento della questione di costituzionalità. Quanto alla prima doglianza, sollevata dal giudice rimettente invocando il parametro di cui all’art. 3 Cost., sotto il profilo della mancata inclusione nell’art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p. delle sentenze della Corte e.d.u. tra le decisioni atte a dar vita a un conflitto teorico di giudicati – sul presupposto che la nozione di «fatti» di cui alla disposizione citata non si riferirebbe solo alle circostanze storiche della vicenda sottoposta a giudizio, ma comprenderebbe anche ex art. 187, comma 2 c.p.p. l’accertamento dell’invalidità di una prova assunta nel giudizio nazionale – la Corte osserva come la stessa si fondi su una premessa argomentativa non condivisibile «né sul piano logico, né su quello sistematico». Non sussiste, infatti, una situazione di omologabilità tra i casi considerati: «il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili […] non può essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate» nelle nalità era stata già sottolineata da S. Carnevale, I rimedi contro il giudicato, cit., p. 59; M. D’Orazi, Revisione della condanna penale, cit., p. 3282; M. Gialuz, Il caso Dorigo, cit., p. 125 ss.; nel senso che, comunque, la mancata inclusione dell’art. 117, comma 1 Cost. tra i parametri evocati non sarebbe stata d’ostacolo ad una pronuncia di accoglimento, B. Randazzo, Caso Dorigo. La Cassazione “paralizza” il giudicato penale in applicazione diretta della Cedu, senza pregiudicare la rilevanza della quaestio sui limiti della revisione. Ora la parola alla Corte costituzionale, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 212. 142 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale decisioni considerate, ma deve, invece, essere concepito «in termini di oggettiva incompatibilità tra i “fatti” (ineludibilmente apprezzati nella loro dimensione storico-naturalistica) su cui si fondano le diverse sentenze». Né nel concetto di “fatto” può essere ricompresa – come pretende il giudice a quo, argomentando ex art. 187, comma 2 c.p.p. – anche l’ipotesi dell’accertamento dell’invalidità/iniquità della prova assunta nel processo interno8: la disposizione invocata, nel menzionare, come oggetto di prova, anche i fatti dai quali dipende l’applicazione delle norme processuali, «si riferisce proprio agli accadimenti (ancora una volta, naturalisticamente intesi) costituenti il presupposto “materiale” che deve essere “provato”, perché si generi un determinato effetto processuale», senza che possa «riferirsi alla disposizione processuale la cui applicabilità può scaturire dall’accertamento di quei fatti; e meno ancora alla valutazione che il giudice abbia effettuato in ordine alla congruità della prova di quegli stessi fatti e della relativa idoneità a porsi quale premessa per la (equa) applicazione della regola processuale che venga, volta a volta, in discorso».9 È questo, peraltro, un errore di prospettiva, che non tiene conto del metodo di giudizio della Corte e.d.u., che non accerta l’invalidità di una singola prova, ma pone attenzione all’equità in concreto della complessiva vicenda processuale: al Giudice di Strasburgo, infatti, «non interessano le soluzioni normative in se stesse, ma gli effetti che la loro applicazione ha avuto nel caso concreto»; un punto di vista, questo, «che privilegia la protezione effettiva e concreta dei diritti fondamentali della persona, lasciando in secondo (e solo servente) piano il profilo della regolarità/ irregolarità formale della vicenda» (V. Zagrebelsky, Corte europea dei diritti dell’uomo e “processo equo”, cit., p. 248). 9 In senso adesivo al ragionamento della Corte, M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit, p. 1524. 8 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 143 Egualmente infondata la censura elaborata ai sensi dell’art. 10 Cost., sotto il profilo della ascrizione tra le “norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”, come tali oggetto di “adattamento automatico” nel nostro ordinamento, della presunzione di innocenza ex art. 6 C.e.d.u., che si sostanzierebbe – secondo il giudice a quo – anche nel diritto alla revisione di una condanna pronunciata all’esito di un processo non equo. Al riguardo la Consulta osserva come l’art. 10, comma 1 Cost., con l’espressione «norme di diritto internazionale generalmente riconosciute», si riferisce alle “norme consuetudinarie”: la disposizione invocata dal rimettente, invece, «in quanto pattizia e non avente la natura richiesta dall’art. 10 Cost., esula dal campo di applicazione di quest’ultimo», con conseguente «impossibilità di assumerla come integratrice di tale parametro di legittimità costituzionale».10 La Consulta afferma anche, a proposito della «presunzione di non colpevolezza», che tale garanzia «accompagna lo status del “processando” ed impedisce sfavorevoli “anticipazioni” del giudizo di responsabilità […] ma […] si dissolve necessariamente […] allorché il […] processo è giunto al proprio epilogo, trasformando la posizione di chi vi è sottoposto da imputato – presunto non colpevole – in condannato, con una statuizione di responsabilità irrevocabile». In senso critico si è, al riguardo, espresso M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit., pp. 1523-1524, che oltre a rilevare la sovrapposizione da parte della Corte della «presunzione di non colpevolezza» ex art. 27, comma 2 Cost., alla «presunzione di innocenza» invocata dal giudice a quo e testualmente consacrata all’art. 6, par. 2, C.e.d.u., sottolinea come quest’ultima, invero, «prima e più che alla condizione dell’imputato nel corso del processo a suo carico, guarda proprio all’esito del suo processo», come dimostrano quelle pronunce in cui la Corte europea si è spinta «sino a considerare come lesive della “presunzione”, statuizioni accessorie a decisioni conclusive del processo penale […], conte10 144 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Allo stesso epilogo di infondatezza conduce anche lo scrutinio della terza doglianza, mossa ex art. 27, comma 3 Cost., per essere la sanzione irrogata all’esito di un processo unfair in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena, implicante – nella prospettiva del giudice rimettente – «istanze etiche che trovano contrappunto in regole processuali non inique». Secondo i Giudici costituzionali, «se si assegnasse alle regole del “giusto processo” una funzione strumentale alla “rieducazione”, si assisterebbe ad una paradossale eterogenesi dei fini, che vanificherebbe – questa sì – la stessa presunzione di non colpevolezza»: «la necessità che la pena debba “tendere” a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». Se ne ricava, dunque, che “giusto processo” e “giusta pena” sono «termini di un binomio non confondibili fra loro; se non a prezzo […] di una inaccettabile trasfigurazione dello “strumento” (il processo) nel “fine” cui esso tende (la sentenza irrevocabile e la pena che da essa può conseguire)». Pur potendosi arrestare a questo punto nell’assolvimento del suo compito, avendo vagliato le censure sollevate avverso la disposizione di cui all’art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p., argomentandone la ritenuta infondatezza, la Corte costituzionale è andata oltre, svolgendo una serie di considerazioni particolarmente significative in ordine al tema stuali o successive ad una sentenza di proscioglimento, [che] facessero emergere residuali sospetti sulla colpevolezza dell’imputato». Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 145 della recessività del giudicato a seguito di pronuncia del Giudice europeo. Premessa la delicatezza della questione e riconosciuta la problematicità dell’individuazione di un difficile punto di equilibrio tra l’esigenza di approntare idonei meccanismi revocatori a fronte del pur sempre possibile errore dell’organo giudicante e la contrapposta necessità di preservare la certezza e la stabilità della res iudicata, la Corte ha preso espressamente posizione sul merito delle opzioni a disposizione del legislatore per superare il giudicato censurato a Strasburgo. Netto il giudizio di inidoneità al riguardo dell’istituto della revisione tradizionale ex artt. 629 ss. c.p.p., sconfessandosi così apertamente quelle non poche iniziative legislative che, nel solco di un intervento riformatore “minimalista”, miravano solo a incrementare il novero dei casi di cui all’art. 630 c.p.p. con una nuova ipotesi di attivabilità dell’impugnazione straordinaria.11 Molteplici sono i profili di perplessità che il Giudice delle leggi ravvisa in una soluzione del genere: la revisione, infatti, è «modello del tutto eccentrico», che «mira a riparare un (ipotetico) errore di giudizio, alla luce di “fatti” nuovi» e «non a rifare un processo (in ipotesi) iniquo», restando dunque ad essa estranee le varie problematiche precipuamente connesse all’esecuzione di una sentenza della Corte di Strasburgo che abbia riscontrato la lesione dei canoni del due process. In questa prospettiva, l’avallo della Consulta va invece a quelle iniziative novellistiche più autenticamente innovatrici, quali il disegno di legge n. 1797 presentato dal Gover11 V. retro, Cap. II, par. 4. 146 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale no il 18 settembre 2007, che, nel segnare una discontinuità rispetto alle altre ipotesi riformatrici, prevedeva l’introduzione di un Titolo IV-bis nel libro IX del codice di rito penale, volto a disciplinare un’ipotesi di revisione “speciale” delle sentenze di condanna, distinta e autonoma da quella “ordinaria”, attivabile «quando la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato con sentenza definitiva la violazione di taluna delle disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».12 Rimedio, anche questo straordinario, ma con caratteristiche proprie, quali la non automaticità della rinnovazione dell’intero processo (automatismo che è, invece, essenziale della revisione dell’attuale sistema processuale) e la necessità della rinnovazione degli atti cui si fossero riferite le violazioni riscontrate dalla Corte di Strasburgo, con conseguente perdita di rilievo probatorio di quelli la cui pregressa assunzione era stata accertata come “iniqua”. Epilogo, questo – sottolinea la Corte – che non potrebbe scaturire dalla richiesta di sentenza additiva formulata dal giudice a quo, dal momento che la revisione “ordinaria” – per come positivamente disciplinata dagli artt. 629 ss. c.p.p. – non spiega, di per sé, effetti “invalidanti” sul materiale di prova raccolto nel precedente giudizio. Infatti, nel caso di revisione di cui all’art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., le «nuove prove» – che devono dimostrare la necessità del proscioglimento – vanno apprezzate o da sole oppure «unite a quelle già valutate». Il forte appello rivolto al legislatore nella parte conclusiva della motivazione perché provveda a colmare il vuoto normativo nella materia de qua si inserisce, dunque, in 12 V. retro, Cap. II, par. 4. Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 147 questo specifico disegno della Consulta, intenzionata, pur nel rispetto della discrezionalità ad esso spettante, a indirizzarlo, tracciando le linee lungo le quali esercitare le facoltà sue proprie. Sullo sfondo tuttavia, come si diceva, per l’eventualità di un’ulteriore inerzia legislativa, l’ “avvertimento-suggerimento” in ordine alla scelta del parametro più conferente alla luce del quale tornare a deferire – questa volta con successo – la questione di legittimità della disciplina oggetto di scrutinio: l’art. 117, comma 1 Cost., il riferimento al quale, più o meno esplicitamente, emerge da taluni passaggi motivazionali, quali quelli di cui ai punti 4.2. («la impossibilità di far leva sul parametro richiamato dal giudice a quo si evince dai principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte […] (si vedano, da ultimo, le sentenze nn. 348 e 349 del 2007), e – soprattutto – 7, con il significativo inciso che ivi compare («Pur dovendosi quindi pervenire ad una declaratoria di infondatezza della questione proposta dalla Corte rimettente – con specifico riferimento ai parametri di costituzionalità che sono stati richiamati – […]»).13 V. Sciarabba, Il problema dell’intangibilità del giudicato tra Corte di Strasburgo, cit., p. 12. Per una diversa impostazione, invece, L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, cit., p. 3998, M. Cerioni, Ancora sull’ “affaire Dorigo”: il seguito della pronuncia costituzionale, in Giur. it., 2009, p. 2145, C. Ciuffetti, Prime osservazioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 129 del 2008, in http:// www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=9983&content_auth=, M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 7 e G. Campanelli, La sentenza 128/08 della Corte costituzionale, cit., p. 622, i quali, osservando come la Corte avrebbe potuto invocare autonomamente il parametro di cui all’art. 117 Cost., ritengono non l’abbia fatto perché la pluralità di soluzioni astrattamente prospettabili per colmare la lacuna in esame sarebbe stata d’ostacolo all’emanazione di una sentenza additiva. 13 148 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Indicazioni preziose, che i giudici ordinari, nella perdurante latitanza legislativa, non hanno mancato di cogliere prontamente. 2. L’ampliamento del rimedio revocatorio: Corte cost., n. 113 del 2011 Nonostante il pressante monito della Consulta, che sottolineava «l’evidente, improrogabile necessità» che l’ordinamento italiano predisponesse «adeguate misure atte a riparare, sul piano processuale, le conseguenze scaturite dalle violazioni ai principi della Convenzione in tema di “processo equo”, accertate da sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo»,14 il legislatore è rimasto in una posizione di ostinata, colpevole inerzia, isolandosi sia a livello interno (a fronte dell’attivismo giurisprudenziale), che europeo (posta la diligenza degli altri Paesi contraenti), in una anomala condizione di refrattarietà all’adempimento dell’obbligo fissato all’art. 46 C.e.d.u. Nell’ambito della “Grande Europa” dei quarantasette Stati membri, l’Italia – uno dei dieci fondatori del Consiglio d’Europa15 – rimaneva così l’unico Paese a non prevedere a favore della vittima di una violazione convenzionale un rimedio interno idoneo a garantire l’esecuzione delle pronunce della Corte di Strasburgo.16 Corte cost., sent. n. 129 del 2008, cit. Insieme a Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia. 16 Per quanto riguarda la situazione degli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa, la maggioranza dei quali prevede nei propri codici di rito penale la possibilità di riesaminare una decisione interna a seguito 14 15 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 149 Ciò ha spianato la strada alla prosecuzione, ad opera del Giudice delle leggi, di quel tortuoso cammino di “supplenza giurisprudenziale” intrapreso, con non poche forzature e aporie sistematiche, dalla Corte di legittimità. Facendo tesoro delle indicazioni contenute nella sentenza costituzionale n. 129 del 2008, la Corte d’appello di Bologna,17 nel corso del medesimo procedimento relativo al cd. “caso Dorigo” in cui tale pronuncia aveva avuto origine, ha sollevato una nuova questione di legittimità costituzionale, questa volta estesa all’intero art. 630 c.p.p. e fondata sull’art. 117, comma 1 Cost., in relazione al parametro interposto dell’art. 46 C.e.d.u. Più precisamente, secondo il giudice rimettente la censurata disposizione codicistica risultava inconciliabile con la previsione convenzionale, che, nel prevedere l’obbligo degli Stati contraenti di uniformarsi ai dicta definitivi della Corte europea, li vincola a consentire la rinnovazione del processo, pur irrevocabilmente definito, ove il Giudice europeo ne abbia accertato la assenza di equità ai sensi dell’art. 6 C.e.d.u.; sotto tale profilo, dunque, l’art. 630 c.p.p., laddove non consentiva nelle evenienze considerate l’attivabilità della revisione si poneva, sia pur indirettamente, in contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost., che impone al legislatore il rispetto degli obblighi internazionali. Avverando le predizioni di autorevoli orientamenti esegetici,18 la Corte costituzionale, con la sentenza 7 aprile 2011, n. 113, ha accolto la sollevata censura, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte di condanna in sede europea, si v. M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1864 ss. 17 Ordinanza 23 dicembre 2008, in Gazz. Uff., n. 41, 13 ottobre 2010. 18 M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit., p. 1524. 150 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1 C.e.d.u., per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.19 Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, in Giur. cost., 2011, p. 1523, con note di G. Ubertis, La revisione successiva a condanne della Corte di Strasburgo, di G. Repetto, Corte costituzionale e CEDU al tempo dei conflitti sistemici, e S. Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento per adempiere all’obbligo di conformarsi alle condanne europee: l’inserimento delle sentenze della Corte europea tra i casi di revisione. Sulla pronuncia, si v. pure M. Castellaneta, Grande impatto sull’attuale gerarchia delle fonti, in Guida dir., 2011, n. 17, p. 57 ss.; M. Caianiello, La riapertura del processo per dare attuazione alle sentenze della Corte europea dei diritti: verso l’affermarsi di un nuovo modello, in Quad. cost., 2011, p. 668 ss.; F. Callari, La revisione. La giustizia penale tra forma e sostanza, 2° ed., Torino, 2012, p. 282 ss.; G. Canzio, Passato, presente (e futuro)? Dei rapporti tra giudicato “europeo” e giudicato penale italiano, in Leg. pen., 2011, p. 465 ss.; M. de Stefano, Dopo la Corte di Strasburgo, la revisione del processo penale in Italia: una sentenza epocale della Corte costituzionale, in I diritti dell’uomo, 2011, n. 1, p. 48 ss.; A. Diddi, La «revisione del giudizio»: nuovo mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze emesse in violazione della C.e.d.u., in Giust. pen., 2011, p. 139 ss.; P. Gaeta, Al decisore interno la singola valutazione sul grado di “contaminazione” delle prove, ibidem, p. 52 ss; R. M. Geraci, La revisione quale rimedio interno dopo le condanne della Corte di Strasburgo: un avanzamento di tutela e molte incognite, in Proc. pen. giust., 2011, n. 4, p. 93 ss.; M. Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen., 2011, p. 3308 ss.; Id., voce Revisione europea, cit.; R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo e i rapporti tra violazioni convenzionali e invalidità processuali secondo le regole interne, in Leg. pen., 2011, p. 473 ss.; A. Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza Cedu. Questioni interpretative sul nuovo caso di revisione, in Cass. 19 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 151 Decisione “coraggiosa” e di fatto “necessitata” del Giudice delle leggi, costretto all’intervento additivo dal riconoscimento dell’ “asfitticità” dei rimedi finora elaborati dal diritto vivente («soluzioni parziali e inidonee alla piena realizzazione dell’obiettivo»),20 nonché dalla intollerabilità giuridica, oltre che etica e politica, dell’ulteriore persistenza di una lacuna legis che precludeva al cittadino “iniquamente” condannato il diritto di ottenere una nuova decisione conforme ai requisiti del giusto processo.21 Decisione di cui, tuttavia, la stessa Corte avverte i limiti e le forzature, ma che appare giustificata dalla circostanza che, a diritto invariato, il rimedio straordinario ex artt. 629 ss. è l’unico istituto funzionale ai fini in questione, potendo assicurare la riapertura del processo a seguito di pronunce del Giudice dei diritti umani («l’incidenza della declarapen., 2012, p. 933 ss.; O. Mazza, La procedura penale, cit., 46 ss.; C. Musio, La riapertura del processo a seguito di condanna della Corte edu: La Corte costituzionale conia un nuovo caso di revisione, in Cass. pen., 2011, p. 3321 ss.; L. Parlato, Revisione del processo iniquo: la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo”, in Dir. pen. proc., 2011, p. 839 ss.; P. Pustorino, Un nuovo intervento della Corte costituzionale in tema di riapertura di procedimenti penali per contrarietà alla Cedu, in Giur. it., 2011, p. 2647 ss.; P. P. Rivello, La Corte costituzionale interviene sull’istituto della revisione, cit., p. 1169 ss.; A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata all’impatto con la Convenzione europea dei diritti umani … ovverosia quando la certezza del diritto è obbligata a cedere il passo alla certezza dei diritti, in Leg. pen., 2011, p. 481 ss.; L. Suraci, Verso nuovi equilibri in tema di revisione (a proposito di Corte cost. n. 113 del 2011), in Arch. pen., 2011, n. 2, p. 559 ss.; G. Tabasco, Decisioni CEDU, processo iniquo e nuovo giudizio, in Dir. pen. proc., 2011, p. 1405 ss. 20 Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit. 21 G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1543. 152 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale toria di incostituzionalità sull’art. 630 cod. proc. pen. non implica una pregiudiziale opzione di questa Corte a favore dell’istituto della revisione, essendo giustificata soltanto dall’inesistenza di altra e più idonea sedes dell’intervento additivo»; «la revisione, infatti […] costituisce l’istituto, fra quelli attualmente esistenti nel sistema processuale penale, che presenta profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare necessaria»).22 Resta ferma in ogni caso – ad avviso della Consulta – la libertà del legislatore di «regolare con una diversa disciplina – recata anche dall’introduzione di un autonomo e distinto istituto – il meccanismo di adeguamento alle pronunce definitive della Corte di Strasburgo», così come «di dettare norme su specifici aspetti di esso» su cui la Corte non potrebbe intervenire «in quanto involventi scelte discrezionali».23 Il percorso logico-argomentativo attraverso cui la Corte costituzionale perviene al descritto esito decisorio si muove lungo i tracciati segnati dalle cd. “sentenze gemelle”. In via preliminare, la Consulta dichiara l’ammissibilità della questione, rimarcandone la sostanziale diversità, «pur Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit. Anteriormente all’intervento della Consulta, in molti si erano espressi in dottrina nel senso che la revisione non fosse l’istituto migliore per ottemperare all’obbligo ex art. 46 C.E.D.U.: ex plurimis, M. D’Orazi, Revisione della condanna penale e violazione dell’art. 6 CEDU, cit., p. 2967; O. Mazza, Sei mesi di tempo (ormai anche meno) per garantire lo stato di diritto, ivi, 2006, p. 4314; A. Scalfati, Libertà fondamentali e accertamento giudiziario: la revisione del processo a seguito di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 451; E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e il giudicato nazionale: conflitto non risolvibile?, in Cass. pen., 2006, p. 3187. 23 Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit. 22 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 153 nell’analogia delle finalità perseguite», rispetto a quella in precedenza sollevata dalla Corte d’appello di Bologna nell’ambito del medesimo procedimento e dichiarata non fondata. Diversi sono, infatti, gli elementi che la compongono rispetto a quelli inerenti la quaestio allora deferita: l’oggetto è più ampio, essendo sottoposto al vaglio dei giudici costituzionali l’intero art. 630 c.p.p., e non solo la lettera a) dello stesso; il parametro invocato – l’art. 117 Cost. – è nuovo, così come differenti sono pure le argomentazioni svolte a sostegno della denuncia di incostituzionalità. Ricostruito il complesso assetto di rapporti tra Convenzione di Roma, giurisprudenza della Corte di Strasburgo, poteri del giudice nazionale e margini del sindacato di costituzionalità, la Corte si sofferma quindi sul valore dell’art. 46 C.e.d.u, disposizione chiave a presidio dell’effettività del sistema dei diritti umani, e sull’evoluzione che la fisionomia dell’obbligo di conformazione da essa sancito ha assunto nel corso degli anni, essendosi accentuata la tendenza a garantire un’effettiva restitutio in integrum, attraverso l’adozione di misure generali o individuali idonee a riparare la lesione riscontrata e l’onere, gravante sullo Stato parte, di rimuovere gli impedimenti che, a livello di legislazione nazionale, si frappongono al conseguimento di tale obiettivo. Da questo punto di vista, la carenza della previsione nell’ordinamento italiano di un istituto attraverso cui assicurare, in conformità ai dettami europei, la “riapertura” del processo – meccanismo identificato dalla Corte e.d.u. come il più consono ai fini della restitutio in integrum nei casi di infrazioni correlate allo svolgimento di un processo penale, e segnatamente, di quelle ex art. 6 C.e.d.u. – non appare sanabile in via interpretativa, non essendo praticabile un’ese- 154 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale gesi estensiva dell’art. 630 c.p.p. che annoveri, tra i casi da esso previsti, anche l’ipotesi della violazione dei canoni del due process accertata a Strasburgo. Il rimedio straordinario della revisione si configura, infatti, tradizionalmente come strumento volto a rimediare il difettoso apprezzamento da parte del giudice del fatto storico-naturalistico, e a comporre dunque il dissidio tra l’accertamento concluso con il giudicato e una possibile differente “ricostruzione storica” risultante da elementi fattuali non esaminati, presentando peraltro una vocazione funzionale calibrata in vista del solo proscioglimento del condannato, come dimostra la condizione di ammissibilità posta dall’art. 631 c.p.p. Caratteristiche queste, invero, del tutto estranee a quelle del rimedio che si vorrebbe introdurre per garantire l’adempimento dell’obbligo di cui all’art. 46 C.e.d.u.: uno strumento che dovrebbe riparare, oltre i limiti del giudicato (considerati tradizionalmente comunque insuperabili con riguardo agli errores in procedendo), a un vizio del percorso processuale, consentendo una riapertura che ponga l’interessato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della violazione riscontrata. E ciò nella prospettiva – tutta diversa – per cui rimediare al difetto di equità di un processo non significa giungere necessariamente ad un giudizo assolutorio. Posta di fronte ad un vulnus non sanabile in via interpretativa, la Corte costituzionale prende quindi atto del dovere di porvi rimedio; da questo punto di vista la sedes dell’intervento additivo invocato dal giudice a quo appare pertinente: nonostante le peculiarità evidenziate, «la revisione, infatti – comportando, quale mezzo straordinario di impugnazione a carattere generale, la riapertura del processo, Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 155 che implica una ripresa delle attività processuali in sede di cognizione, estesa anche all’assunzione delle prove – costituisce l’istituto, fra quelli attualmente esistenti nel sistema processuale penale, che presenta profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare necessaria al fine di garantire la conformità dell’ordinamento nazionale al parametro evocato». Ne consegue, quindi, la declaratoria di incostituzionalità della citata disposizione nella parte in cui non contempla un “diverso” caso di revisione rispetto a quelli ora regolati, volto specificamente a consentire, per il processo definito con una delle pronunce indicate nell’art. 629 c.p.p., la riapertura dello stesso ove questa sia necessaria ai sensi dell’art. 46 C.e.d.u. per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Si realizza così l’invocato intervento additivo “di principio”24 che, secondo talune linee di pensiero, assumerebbe una fisionomia peculiare. La Corte, infatti, non si sarebbe limitata ad affermare l’introduzione del principio secondo cui la declaratoria di iniquità del giudizio può esser ricondotta tra i casi di revisione del processo di cui all’art. 630 c.p.p., ma avrebbe fissato un «ricco corredo di regole, particolarmente dettagliate, volte a rendere effettivo ed operante il suo dispoTale tipologia di pronuncia si caratterizza per l’introduzione di un “principio” che, sebbene debba essere applicato attraverso un successivo intervento legislativo, può, entro certi limiti, costituire in via transitoria un riferimento per il giudice comune nella decisione dei casi concreti sottoposti al suo esame. In dottrina, in argomento, si v. A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2009, p. 147 ss.; E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia costituzionale, Torino, 2007, p. 123 ss. 24 156 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sto», quasi a voler precisare che il margine autonomo di intervento spettante ai giudici comuni nell’applicazione del suo dictum «possa esplicarsi solamente negli interstizi [da essa] lasciati liberi»: ciò che determinerebbe un assottigliamento del tradizionale discrimen intercorrente tra sentenze additive “di principio” e “di regola”, acuito dall’espresso riconoscimento della Consulta di prescindere da soluzioni obbligate, ricorrendo alla revisione solo in quanto istituto connotato da una maggiore “assonanza” – e non idoneità – con le esigenze da soddifare nella fattispecie considerata, quando invece di per sé gli interventi additivi del Giudice delle leggi dovrebbero essere saldamente ancorati a «esigenze di coerenza e continuità ermeneutica tra Costituzione e regole legislative».25 Sviluppando ulteriormente la citata linea esegetica, si è parlato con riferimento alla pronuncia della Consulta di una inedita sentenza “additiva di istituto”, evidenziandosi la «nuova forma di impugnazione straordinaria» direttamente plasmata dal Giudice delle leggi.26 Ora, per quanto si condivida la natura atipica della “revisione europea” e sia palese la “contaminazione” della declaratoria di illegittimità in esame con la fissazione di talune regole fondamentali nel rispetto delle quali il rimedio revocatorio di nuovo conio dovrà articolarsi, non pare tuttavia che tale compendio di “disciplina” – pur sotto certi aspetti particolarmente significativo – si connoti per una puntualità e ricchezza di dettaglio tali da modellare, ad opera della stessa Corte, un istituto nuovo. G. Repetto, Corte costituzionale e CEDU, cit., pp. 1553-1554. M. Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”, cit., p. 3311; Id., voce Revisione europea, cit., p. 8 25 26 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 157 Le indicazioni al riguardo fornite – quanto a “concetto” di riapertura, “necessità” della stessa, “vaglio di compatibilità” con le disposizioni codicistiche in tema di revisione, etc. (su cui v. infra par. 3) – pongono, infatti, l’interprete dinanzi ad una cospicua e rilevante serie di nodi ermeneutici lasciati insoluti. La sensazione che si ha, invero, è quella di un istituto solo abbozzato, i cui esatti contorni – lasciati sfumati dalla Consulta e intuibilmente alquanto complessi, oltre che non completamente coincidenti con quelli dell’omonimo rimedio ordinario – nelle more di un futuro, auspicato intervento legislativo ad hoc, andranno disegnati dal diritto vivente.27 La Corte costituzionale, insomma, pur costretta dalle circostanze all’intervento additivo, si è tuttavia attenuta ad un atteggiamento improntato all’understatement, limitandosi a proclamare un principio alla cui nuda essenzialità poco hanno aggiunto le pur significative indicazioni fornite, gravandosi invece espressamente dell’intero onere di definire la fisionomia del nuovo strumento i giudici comuni.28 A questi, infatti, si è attribuito il compito di “dare seguito” alla pronuncia della Corte, riconoscendo loro un margine quanto mai significativo di autonomia di intervento, dovenNello stesso senso, A. Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza Cedu, cit., p. 934, secondo cui «la Corte […] è stata perentoria nell’introdurre il nuovo caso di revisione ma, per i limiti intrinseci ai propri poteri decisori, è rimasta vaga nel disciplinarlo e ha lasciato al giudice ordinario sia il compito di scegliere le regole processuali applicabili di volta in volta, sia l’onere di dettare i canoni di ammissibilità del nuovo istituto». 28 Così, P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alle C.e.d.u., cit., p. 21. 27 158 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale do gli stessi trarre – per espressa indicazione del Giudice delle leggi – dalla declaratoria di incostituzionalità tutti «i necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli interventi ermeneutici a loro disposizione», così individuando, con riferimento ed efficacia limitata ai singoli casi di volta in volta considerati, la disciplina di dettaglio del rimedio revocatorio di nuovo conio. 3. (segue) Punti fermi Avvertendo la valenza “eterodossa” del diverso caso di revisione introdotto, i giudici costituzionali hanno sentito il bisogno di fissare alcuni “punti fermi” da affidare all’interprete-giudice. Il primo – fondamentale – attiene alla nozione stessa di “riapertura”, che la Corte, consapevole degli esiti non univoci derivanti dalla sua declaratoria sul terreno processuale interno,29 definisce «concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di quella integrale del giudizio». A fronte, cioè, di una condanna in sede europea, la concreta realizzazione della restitutio in integrum può atteggiarsi secondo modalità diversificate, in ragione del tipo di lesione riscontrata. Senza pretese di esaustività, tentando una classificazione delle varie eventualità prospettabili, talvolta la via per la conformità convenzionale passa attraverso la semplice “neutralizzazione” degli effetti della decisione illegittima (si pensi al caso, ad esempio, di un giornalista condannato per diffamazione nell’ordinamento interno che, adita la 29 Cfr. G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1545. Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 159 Corte di Strasburgo, vedesse accertata la violazione della libertà di espressione consacrata all’art.10 C.e.d.u.); talaltra, implica, invece, una sorta di modifica “a rime obbligate” della pronuncia nazionale, ossia una rivalutazione del contenuto della stessa allo stato degli atti, senza svolgimento di attività processuale diversa da quella strettamente decisoria, da condurre alla luce delle indicazioni del Giudice di Strasburgo (è quanto avvenuto nel “caso Scoppola”, in cui la pena dell’ergastolo inflitta in violazione dell’art. 7 C.e.d.u. è stata sostituita con quella di trent’anni di reclusione,30 ovvero quanto si verifica in quegli ordinamenti esteri in cui la lesione del canone della ragionevole durata del processo è “compensata” con una riduzione del trattamento sanzionatorio inflitto31); altre volte invece – e sono le ipotesi che una linea di pensiero identifica come di “riapertura” in senso proprio32 – quando non è l’esito in sé del giudizio a porsi in contrasto con le garanzie convenzionali, ma sono le modalità di svolgimento dello stesso a compromettere la credibilità dell’accertamento, la riapertura del processo implica una ripresa dello stesso, con il compimento di attività istruttorie o argomentative (è l’eventualità in cui si rileva, ad esempio, una violazione dei canoni del fair trial per l’utilizzo di prove testimoniali ottenute con la coercizione) o addirittura impone una totale rinnovazione del processo stesso (si pensi alla lesione del diritto a un giudice indipendente e imparziale o alla V. Cap. III, par. 3. Cfr. L. Parlato, La revisione del giudicato penale a seguito di pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo. II) L’esperienza della Repubblica federale tedesca, cit., pp. 1029-1030. 32 M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 2. Sul punto, v. retro, Cap. II, par. 3. 30 31 160 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale violazione del diritto dell’imputato a partecipare personalmente alla vicenda processuale).33 In ogni caso però – ha cura di affermare la Corte costituzionale – «la necessità della riapertura», nel significato dianzi precisato, «andrà apprezzata – oltre che in rapporto alla natura oggettiva della violazione accertata […] – tenendo naturalmente conto delle indicazioni contenute nella sentenza della cui esecuzione si tratta, nonché nella sentenza “interpretativa” eventualmente richiesta alla Corte di Strasburgo dal Comitato dei ministri ai sensi dell’art. 46, paragrafo 3, della CEDU». In realtà, si tratta di parametri che non valgono a delimitare in modo certo l’ambito di praticabilità della revisione europea: i giudici della Consulta non forniscono, infatti, alcuna indicazione concreta circa la valutazione della gravità del vulnus patito dalla vittima, limitandosi ad enunciare il principio senza indicarne il contenuto, e perciò, delegando interamente al giudice comune la valutazione del merito della lesione; così come non considerano che assai spesso nelle pronunzie della Corte europea la necessità della riapertura non è neanche menzionata, sebbene essa costituisca l’unica modalità di attuazione della restitutio in integrum; per non dire, poi, della mera eventualità dell’esistenza di una sentenza interpretativa della Corte e.d.u., presupponendo questa l’insorgenza di un contenzioso sull’esecuzione delle decisioni europee.34 Per tale tentativo di classificazione sistematica delle varie modalità attuative delle decisioni della Corte europea, si v. G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1546 e M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1848 ss. 34 A. Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza Cedu, cit., pp. 937-938. 33 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 161 Ciò nonostante, dai menzionati parametri si evince inequivocabilmente la volontà del Giudice delle leggi di circoscrivere l’ambito di praticabilità della “revisione europea”, lasciando intendere che la stessa non costituisce rimedio “ad attivabilità obbligata”, misura riparatoria specifica ineluttabile a fronte di qualunque lesione dei diritti garantiti dalla Convenzione europea o dai relativi Protocolli addizionali. Possono esserci, infatti, violazioni (la Corte fa l’esempio dell’inosservanza del principio di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, par. 1 C.e.d.u.) per le quali una riapertura del giudizio apparirebbe fuori luogo, o rappresenterebbe addirittura un ulteriore vulnus alla garanzia che si pretende di tutelare; ovvero – sviluppando ulteriormente il ragionamento della Consulta – lesioni che hanno avuto un’incidenza solo marginale nello sviluppo processuale non tale da giustificarne la riapertura, che apparirebbe strumento del tutto sproporzionato a fronte dell’esigenza di stabilità della decisione; o ancora, violazioni adeguatamente riparabili con misure di tipo diverso, quali, ad esempio, quelle approntate per la fase esecutiva (può essere il caso del su citato esempio della condanna per diffamazione del giornalista poi ritenuta iniqua in sede sovranazionale35). Al contrario, ci sono naturalmente ipotesi lesive – emblematici, ad esempio, il citato difetto di imparzialità e indipendenza del giudice nazionale, ovvero le inosservanze inerenti all’art. 6, comma 3, lett. c) e d) Ce.d.u. – la cui incidenza significativa sulle sorti della vicenda giudiziaria induce a giustificare l’attivabilità del rimedio straordinario. Secondo F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p. 817, in tal caso «si tratta di due sentenze definitive (quella interna e quella convenzionale) per il medesimo fatto contro la stessa persona. Siamo in pieno art. 669 c.p.p.». 35 162 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Conseguentemente, dalle affermazioni del Giudice delle leggi parrebbe potersi desumere – del tutto in linea con i principi sanciti nel Protocollo n. 14, nonché con lo stesso orientamento degli organi europei, incline a ritenere legittimo condizionare la riapertura del processo ad una domanda in tal senso di chi sia ricorso al Giudice di Strasburgo36 – che la revisione sia solo uno dei possibili strumenti per dare esecuzione ai dicta della Corte europea, non l’unico e l’imprescindibile, atteggiandosi anzi essa, secondo attenti filoni ermeneutici, come una «una sorta di extrema ratio»,37 un rimedio cui ricorrere allorché appaia l’unico strumento attraverso cui rimuovere in modo integrale le conseguenze pregiudizievoli della violazione accertata dalla Corte dei diritti umani, ben potendo nelle altre eventualità essere affiancata da misure riparatorie diverse, idonee a rimuovere i pregiudizi causati dalla violazione e far cessare le gravi conseguenze negative della stessa.38 Impostazione, questa, che condurrebbe, come accennato, a far ritenere tuttora praticabili, ove adeguate ai casi specifici considerati, talune Cfr. Corte e.d.u., 10 novembre 2004, Seidovic c. Italia, cit., nonché la Risoluzione del Comitato dei Ministri nel caso Lucà c. Italia n. 86 del 2005, adottata il 12 ottobre 2005. 37 A. Saccucci, Revisione dei processi in ottemperanza alle sentenze della Corte europea: riflessioni de iure condendo, cit., 2002, p. 249; analogamente, A. Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza Cedu, cit., pp. 938-939 e 943. 38 In questo senso, A. Logli, op. ult. cit., p. 939, che propone di «garantire la riapertura quando questa risulti “imposta” allo Stato, distinguendo al contempo i casi in cui questa sia semplicemente “opportuna”»: conseguentemente, «ove la rinnovazione del processo sia uno dei mezzi, ma non l’unico, per garantire la restitutio in integrum, parrebbe da escludersi l’ammissibilità della nuova revisione, per mancanza del suo presupposto». 36 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 163 soluzioni alternative già individuate dal diritto vivente per adempiere all’obbligo di conformazione sancito dall’art. 46 C.e.d.u. Ove la revisione europea possa essere attivata, l’ “eccentricità” del rimedio rispetto all’ipotesi “classica” di cui agli artt. 629 ss. c.p.p. pone, poi, il problema del «vaglio di compatibilità» delle singole previsioni codicistiche con gli assetti del nuovo mezzo di impugnazione. Sul punto, i ragguagli del Giudice delle leggi sono alquanto scarni, limitandosi all’indicazione di principio secondo cui «dovranno ritenersi […] inapplicabili le disposizioni che appaiano inconciliabili, sul piano logico-giuridico, con l’obiettivo perseguito», che è quello di «porre l’interessato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della violazione accertata, e non già rimediare a un difettoso apprezzamento del fatto da parte del giudice, risultante da elementi esterni al giudicato». Conseguentemente – sottolinea la Corte – dovranno, ad esempio, ritenersi inoperanti la condizione di ammissibilità della richiesta, basata sulla prognosi assolutoria, indicata dall’art. 631 c.p.p., nonché le previsioni di cui all’art. 637, commi 2 e 3 c.p.p., secondo cui l’accoglimento della richiesta comporta senz’altro un esito proscioglitivo, che non può comunque essere pronunciato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione ad opera del giudice delle prove assunte nel precedente giudizio: affermazioni coerenti col dato che l’accertata lesione convenzionale indica solo che vi è stato un vizio nel processo interno, ma nulla implica in ordine alla giustizia della sentenza di condanna. Indicazioni comunque “minimali”, che delegano interamente all’interprete la soluzione dei nodi di maggiore problematicità dell’istituto, attinenti all’individuazione delle 164 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sue concrete cadenze procedimentali e alla disciplina allo stesso applicabile, su cui la Corte ha mantenuto un sostanziale silenzio. Infine, a completamento del compendio di “regole” individuate, la Consulta richiama l’attenzione su una circostanza di particolare rilievo: il nuovo caso di revisione comporta, nella sostanza, una deroga – imposta dall’esigenza di rispettare gli obblighi internazionali assunti – al principio per cui i vizi processuali restano coperti dal giudicato. In questa prospettiva, il giudice della revisione è gravato di un non agevole compito: valutare come le cause di non equità del processo individuate dalla Corte di Strasburgo si possano «tradurre» in «vizi degli atti processuali alla stregua del diritto interno, adottando nel nuovo giudizio tutti i conseguenti provvedimenti per eliminarli».39 È questo un profilo di estrema delicatezza, che sovverte le tradizionali concezioni dogmatiche, ponendo all’interprete complessi interrogativi. Al riguardo, premesso che il vizio accertato dalla Corte europea deve aver avuto un’incidenza rilevante sulla decisione, in letteratura si è ritenuto opportuno operare un fondamentale distinguo tra violazioni pattizie inerenti al regime delle prove e lesioni convenzionali riconducibili alle cause di nullità. Con riferimento alle prime, la “ricaduta” interna della causa di iniquità si traduce in una regola di giudizio, implicando il vincolo per il giudice della revisione, conformemente agli insegnamenti della giurisprudenza europea,40 di non basare il suo convincimento in modo “decisivo” sull’at- 39 40 Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit. V. retro, Cap. I, par. 5. Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 165 to viziato;41 in questa prospettiva, egli può quindi procedere ad una rivalutazione del materiale conoscitivo inserito nel processo “depauperata” dell’atto unfair ovvero, ove possibile, alla rinnovazione dello stesso, senza tuttavia che si verifichi alcuna regressione, ostandovi il disposto dell’art. 185, comma 4 c.p.p.42 Più complessi gli scenari con riferimento, invece, alla seconda tipologia di lesioni, venendo in rilievo in tutta la sua pregnanza la diversità di approccio tra il nostro sistema, “formale” e imperniato sul principio di tipicità delle nullità, e quello convenzionale, “sostanziale” e per il quale, al contrario, ciò che conta è l’effettiva lesività in concreto di un diritto sancito dalla C.e.d.u. Nulla quaestio ove la violazione difensiva che ha determinato il giudizio di iniquità trovi corrispondenza in una causa interna di nullità: il giudice della revisione è tenuto a rilevarla, anche d’ufficio, con le relative conseguenze previste dalla disciplina codicistica, anche in tema di invalidità derivata. Non così, invece, per quanto riguarda eventuali, ulteriori violazioni difensive che, pur coincidendo con un’ipotesi di nullità interna, non fossero state poste dalla Corte europea a base della declaratoria di iniquità: essendo la riapertura un’impugnazione straordinaria finalizzata unicamente all’eliminazione del vizio riscontrato a Strasburgo, queste dovrebbero infatti ormai ritenersi coperte dal giudicato.43 R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 477. G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1547. In argomento, si v. pure P. Gaeta, Al decisore interno la singola valutazione, cit., p. 56, nonché A. Diddi, La «revisione del giudizio», cit., p. 152. 43 R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 479. 41 42 166 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale I problemi più delicati sorgono, per contro, con riferimento alle eventualità di lesioni convenzionali che non corrispondono a vizi processuali interni o la cui corrispondenza è molto incerta: si tratta delle ipotesi in cui il giudice nazionale ha proceduto ritualmente e, ciò nonostante, si è verificata una situazione concretamente lesiva delle garanzie difensive (si pensi, ad esempio, alla concessione di un termine previsto dalla legge, che in concreto è del tutto inidoneo ad assicurare una difesa effettiva).44 Al riguardo, si è proposto di ritenere possibile una “eterointegrazione” dell’art. 178 c.p.p. ad opera dell’art. 6 C.e.d.u., posto che la Convenzione europea, in virtù della ratifica ed esecuzione, farebbe comunque parte del diritto interno, ovvero, adottando una nozione sostanzialistica di nullità, di considerare tale anche quella determinata da un atto atipico in concreto lesivo di una garanzia fissata dal testo convenzionale,45 ciò che tuttavia determinerebbe una «rilevante anamorfosi», in ragione della conformazione alla C.e.d.u., del principio di tipicità delle nullità.46 Per tale ragione, la soluzione preferibile, in detti casi, parrebbe quindi essere quella di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa interna considerata, laddove impedisce – per la mancanza di una espressa previsione di nullità – il ripristino dell’equità convenzionale lesa, potendo eventualmente essere invocati anche parametri È l’esempio che fa F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p. 813. 45 F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p. 814 ss. Sul punto, si v. pure R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., pp. 479-480. 46 P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 21. 44 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 167 ulteriori rispetto all’art. 117 Cost., quali ad esempio, gli artt. 25, comma 1 o 111, commi 2 e 3 Cost.47 4. (segue) Nodi irrisolti Al di là dei cosiddetti “punti fermi” fissati dalla Consulta – di per sé, invero, tutt’altro che esaustivi in chiave interpretativa – molti altri sono gli interrogativi ed i nodi ermeneutici lasciati irrisolti dalla pronuncia in esame. Il primo attiene alla stessa natura del rimedio individuato: ulteriore caso di revisione o istituto analogo a quello disciplinato agli artt. 629 ss. c.p.p., rispetto al quale si caratterizza per rilevanti profili di discontinuità? Non vi è dubbio, infatti che si assiste ad un significativo mutamento della fisionomia tradizionalmente attribuita all’impugnazione straordinaria, paventandosi addirittura il sospetto che possano ritenersi ormai esistenti due diversi modelli di revisione, una “interna”, strutturata secondo i consueti canoni codicistici, ed una “europea”, inedita, scaturita dalla declaratoria de qua, la cui articolazione è solo in parte coincidente con le cadenze delineate dal codice di rito, ed il cui ambito di attivabilità ai fini della riparazione delle violazioni convenzionali è forse, invero, da circoscrivere.48 R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 480; analogamente, G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1547. 48 Già qualche anno fa, riflettendo sull’idoneità dell’istituto della revisione a fungere da strumento di adeguamento al giudicato sovranazionale, A. Scalfati, I giudici offrono un «rimedio tampone», cit., p. 82, avvertiva che «ogni manovra additiva del legislatore imporrebbe di costruire un percorso parallelo, con regole autonome, in vista dei casi 47 168 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale Finora, infatti, la revisione si è configurata come un rimedio post rem iudicatam tipicamente volto ad ovviare agli errori nella “ricostruzione del fatto” che possono avere determinato la condanna: una impugnazione straordinaria, insomma, «concepita per recuperare la “novità” incidente sulla quaestio facti e strutturata in funzione del solo proscioglimento»,49 esulando, invece, dalla sua area di operatività gli errori inerenti le regulae iuris, eventualmente rimediabili oltre i limiti del giudicato con strumenti giuridici di altra natura, quali quelli previsti per la fase esecutiva. La nuova revisione “europea”, invece, sembra connotarsi per tratti che la discostano sensibilmente dalla sua tradizionale fisionomia: pur essendo condizionata, quanto ad attivabilità, alla sopravvenienza di un novum, questo, a differenza dell’ipotesi dianzi citata, non si atteggia a insorgenza capace di influire negativamente sulla decisione di condanna, bensì a violazione dei principi convenzionali giudizialmente accertata dalla Corte di Strasburgo, che prescinde completamente da una prognosi di ribaltamento dell’esito del giudizio, e che mira più propriamente a rimediare a un giudicato di condanna lesivo delle irrinunciabili garanzie consacrate nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Non si tratta, in definitiva, di invocare elementi sopravvenuti capaci di influire sulla ricostruzione della vicenda, ma di ristabilire un ordine violato da errori intervenuti durante la cognizione penale, in nome degli irrinunciabili diritti convenzionalmente riconosciuti. in cui bisogna ripetere il processo in seguito alla violazione constatata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo». 49 A. Scalfati, Libertà fondamentali e accertamento giudiziario, cit., p. 463. Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 169 In questa prospettiva, l’istituto di nuovo conio sembra quasi evocare una moderna forma di ricorso straordinario nell’interesse della legge, connotata dalla peculiarità per cui la possibilità di rimozione del giudicato è collegata ad un accertamento compiuto da un organo esterno all’ordinamento statale.50 Ma i profili di problematicità della decisione in commento vanno oltre, intravedendosi potenzialità applicative dagli effetti dirompenti. Stando, infatti, al dispositivo della declaratoria,51 che rispecchia fedelmente l’iter argomentativo dei Giudici costituzionali52 – e nonostante il contrario tenore della massima Cfr. V. Sciarabba, La “riapertura” del giudicato, cit., nota 15. Così recita il dispositivo della decisione: «La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo». 52 Nella motivazione della sentenza si afferma, infatti, che «nella specie, l’art. 630 cod. proc. pen. deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo proprio perché (e nella parte in cui) non contempla un “diverso” caso di revisione, rispetto a quelli ora regolati, volto specificamente a consentire (per il processo definito con una delle pronunce indicate nell’art. 629 cod. proc. pen.) la riapertura del processo – intesa, quest’ultima, come concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di quella integrale del giudizio – quando la riapertura stessa risulti necessaria, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo (cui […] va equiparata la decisione adottata dal Comitato dei ministri a norma del precedente testo dell’art. 32 della CEDU)». 50 51 170 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale “ufficiale”53 – la revisione europea sarebbe attivabile non solo in caso di sentenza di condanna della Corte di Strasburgo per violazione delle garanzie processuali del fair trial cristallizzate all’art. 6 C.e.d.u., ma per qualsivoglia lesione dei canoni convenzionali, ciò che aprirebbe la praticabilità del rimedio straordinario anche alle ipotesi di accertate violazioni di carattere sostanziale, esaltando il ruolo della C.e.d.u. di fondamentale fattore di rafforzamento delle garanzie.54 Al di là dei casi inerenti a violazioni dell’art. 10 C.e.d.u., risolvibili, come accennato, alla luce delle indicazioni contenute nella stessa sentenza n. 113 del 2011, eventualmente Che limita, invece, alle sole violazioni ex art. 6 C.E.D.U. la praticabilità della revisione [«È ammissibile – poiché non ricorre la preclusione alla riproposizione della questione nel medesimo grado di giudizio – la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e all’art. 46 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la rinnovazione del processo allorché la sentenza o il decreto penale di condanna siano in contrasto con la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Tale questione, pur nell’analogia delle finalità perseguite, è infatti sostanzialmente diversa rispetto a quella sollevata dallo stesso giudice a quo nel medesimo giudizio e dichiarata non fondata con sentenza n. 129 del 2008 di questa Corte. Tale diversità si apprezza in relazione a tutti e tre gli elementi che compongono la questione: l’oggetto è più ampio (essendo sottoposto a scrutinio l’art. 630 cod. proc. pen. nella sua interezza, e non la sola disposizione di cui al comma 1, lett. a), nuovo è il parametro evocato e differenti sono anche le argomentazioni svolte a sostegno della denuncia di incostituzionalità»]. 54 Su tale ruolo, v. V. Manes, Introduzione, cit., p. 7 ss. 53 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 171 con altri strumenti idonei a garantire la restitutio in integrum, si potrebbe, invero, porre l’interrogativo della praticabilità della revisione del processo nell’eventualità di lesione di talune garanzie di carattere sostanziale occupanti in seno al testo C.e.d.u. una posizione di tutela privilegiata. Il riferimento va, in particolare, ai cd. inviolable core rights, ossia a quel “nucleo duro” di diritti che nel sistema di tutela convenzionale non ammette alcuna deroga, nemmeno «in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione».55 Tra questi spiccano in posizione di preminenza il diritto alla vita (art. 2 C.e.d.u.) ed il divieto di tortuta e di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti (art. 3 C.e.d.u.),56 valori fondamentali che, nell’elaborazione giurisprudenzia- Art. 15, comma 2 C.e.d.u. L’art. 3 C.e.d.u., allo scopo di evitare possibili vuoti di tutela [cfr. Council of Europe, Preparatory Work of Article 3 of the European Convention of Human Rights, memorandum Prepared by the Secretariat of the Commission, DH (56), 5, 8] non fornisce le nozioni di tortura e trattamenti inumani o degradanti, in seguito elaborate in sede dottrinale e giurisprudenziale. Al riguardo, si individua una gradualità di comportamenti lesivi, al cui livello inferiore si colloca il trattamento “degradante”, a livello intermedio quello “inumano” e all’apice la “tortura”. Questa consiste nella inflizione intenzionale di crudeltà da cui derivano lesioni nel corpo o nella psiche della vittima; i trattamenti inumani e degradanti, invece, sono costituiti dall’inflizione di una quota di sofferenza che, ancorché non deliberata, oltrepassa il livello consentito insito nella sanzione penale e causa un surplus di sofferenza e umiliazione nel destinatario [G. Mannozzi, Diritti dichiarati e diritti violati: teoria e prassi della sanzione penale al cospetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in V. Manes – V. Zagrebelski (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, cit., pp. 348-349]. 55 56 172 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale le della Corte europea, presentano un duplice versante positivo di tutela, sostanziale (volet materiél) e processuale (volet procédural): sotto il primo profilo rileva l’obbligo dello Stato di tutelare il bene protetto, punendo le lesioni dello stesso;57 sotto il secondo, ormai verificatasi la violazione, viene in considerazione il dovere delle autorità di polizia e giudiziaria di avviare e condurre indagini “effettive” ed “efficaci” onde pervenire all’identificazione dei responsabili e alla loro effettiva punizione.58 Orbene, proprio con riferimento alla violazione di tali valori nel loro versante processuale, potrebbe porsi un problema di attivabilità della revisione quale misura riparatoria specifica. Si pensi, ad esempio, all’eventualità di una lesione del bene vita protetto all’art. 2 C.e.d.u., a fronte della quale, il mancato compimento di indagini effettive da parte delle autorità inquirenti, abbia condotto ad un esito prosciogliCon riferimento al bene-vita, Corte e.d.u., Sez. I, 17 gennaio 2012, Choreftaki c. Grecia; Id., Sez. II, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia. 58 Con riferimento al diritto tutelato dall’art. 2 C.e.d.u., Corte e.d.u., Sez. I, 29 maggio 2012, Damayev c. Russia; Id., Sez. III, 24 aprile 2012, Crăiniceanu e Frumuşanu c. Romania; Id., sez. I, 27 marzo 2012, Inderbiyeva c. Russia e Kadirova e altri c. Russia; Id., Sez. II, 8 novembre 2011, Paçaci e altri c. Turchia; Id., Sez. I, 27 settembre 2011, Vajić, Beksultanova c. Russia; Id., Sez. I, 19 luglio 2011, Khashuyeva c. Russia; Id., Sez. II, 26 aprile 2011, Enukidze e Girvliani c. Georgia; Id., Sez. II, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit.; con riferimento alla garanzia posta dall’art. 3 C.e.d.u., Corte e.d.u., Sez. III, 17 aprile 2012, J.L. c. Lettonia; Id., Sez. I, 14 febbraio 2012, Valyayev c. Russia; Id., Sez. IV, 24 gennaio 2012, P.M. c. Bulgaria; Id., Sez. III, 20 dicembre 2011, Pscari c. Moldavia; Id., Sez. I, 8 novembre 2011, Filatov c. Russia. 57 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 173 tivo per insufficienza del materiale probatorio addotto in giudizio dalla pubblica accusa, risolvendosi così in quel vizio della procedura «di tale gravità da gettare un’ombra sul risultato finale del processo stesso» che la Raccomandazione R (2000) 2 del Comitato dei ministri individua come presupposto fondamentale (insieme alla persistenza delle conseguenze negative della violazione) per la riapertura del processo. A ben vedere, tuttavia, la risposta a tale interrogativo appare indissolubilmente legata alla risoluzione di un altro, spinoso profilo problematico lasciato irrisolto dal Giudice delle leggi: è ammissibile una revisione in malam partem? Perché è ciò che sottenderebbe l’ipotesi delineata, come anche del resto, quella di una condanna del Giudice di Strasburgo a seguito di ricorso da parte della persona offesa, come potrebbe accadere, ad esempio – volgendo l’attenzione al versante delle violazioni convenzionali di tipo processuale – ove un soggetto che si ritenesse diffamato da dichiarazioni rese da un parlamentare, impossibilitato a far valere utilmente le sue ragioni innanzi all’autorità giudiziaria nazionale dall’operatività dell’insindacabilità ex art. 68, comma 1 Cost., ricorresse alla Corte europea per violazione del diritto di accesso a un tribunale ai sensi dell’art. 6, par. 1 della Convenzione.59 Una ricostruzione della revisione europea, improntata ad esigenze di coerenza sistematica interna, e dunque, aderente al connotato di favor rei che caratterizza il rimedio È il caso sotteso a Corte e.d.u., 6 aprile 2010, C.G.I.L. e Cofferati c. Italia; Id., 20 aprile 2006, Patrono e Cascini c. Italia; Id., 6 dicembre 2005, Ielo c. Italia; con riferimento all’analoga insindacabilità prevista per i componenti del C.S.M., Id., 5 aprile 2007, Esposito c. Italia. 59 174 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale straordinario codicistico,60 indurrebbe a propendere per la soluzione negativa. Tale opzione, però, creerebbe nelle ipotesi considerate un evidente vuoto di tutela, che si tradurrebbe in una violazione dell’obbligo di conformazione ex art. 46 C.e.d.u., tanto più censurabile rammentando il monito della Corte costituzionale secondo cui dovranno ritenersi «inapplicabili» quelle disposizioni della disciplina comune in tema di revisione «che appaiano inconciliabili, sul piano logico-giuridico, con l’obiettivo perseguito», ovvero – lo si ribadisce – «porre l’interessato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della violazione accertata». D’altro canto, deve, rispettarsi il principio di tassatività in materia di impugnazioni (che, ai fini in questione, avrebbe preteso un ulteriore intervento additivo della Consulta sul punto), nonché rammentarsi l’esplicita statuizione contenuta nella sentenza in commento secondo cui nell’ipotesi di riapertura del processo resta «fermo naturalmente il divieto della reformatio in peius». Di tal ché le vie percorribili sembrano ridursi a due: o ritenere preclusa qualunque forma di revisione in malam partem, coerentemente con il canone di cui all’art. 568, commi 1 e 3 c.p.p. e con la fisionomia dell’istituto tradizionale, ma con i menzionati vuoti di tutela che ne deriverebbero, o ammetterla (con le conseguenti incongruenze sistemiche), ritenendo operante il divieto della Ipotesi di revisione contra reum sono legislativamente previste nel nostro ordinamento in materia di decadenza dai benefici accordati ai pentiti e ai dissociati dai reati commessi per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordinamento costituzionale nonché coloro che sono sottoposti alle speciali misure di protezione in seguito a collaborazione con la giustizia (art. 10, l. 29 maggio 1982, n. 304 e art. 16 septies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991, n. 82, inserito con la legge 13 febbraio 2001, n. 45). 60 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 175 reformatio in peius nella sola ipotesi in cui la pronuncia del Giudice di Strasburgo sia stata determinata da un ricorso del condannato. In ogni caso, una soluzione di quest’ultimo tipo imporrebbe di ritenere che il giudicato non rappresenti più una garanzia per il processato contro nuove aggressioni giudiziarie, con ogni implicazione in termini di conflittualità con altre statuizioni di rilievo sovranazionale. Quel che appare certo, comunque, è che sul piano procedimentale occorre procedere ad un «vaglio di compatibilità» delle singole previsioni di cui agli artt. 629 ss. con la specifica ipotesi di revisione considerata. E anche al riguardo, l’operazione si presenta non poco ardua, stante l’accennata laconicità delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale. Assodata, infatti, l’inapplicabilità di disposizioni quali gli artt. 631 e 637, commi 2 e 3 c.p.p., in tema rispettivamente di prognosi assolutoria ai fini del vaglio di ammissibilità della domanda ed esito proscioglitivo conseguente al suo accoglimento, resta da ricostruire l’intera ed esatta articolazione di un rimedio revocatorio che presenta non pochi profili di inconciliabilità con l’istituto omonimo regolato nel codice di rito. A cominciare dall’ampio spettro di legittimazione soggettiva all’attivazione del rimedio di cui all’art. 632 c.p.p., passibile, invero, al contempo, di una lettura estensiva e riduttiva. Da un lato, infatti, la legittimazione “primaria” alla proposizione della richiesta dovrebbe essere riconosciuta alla vittima della violazione convenzionale in quanto tale, che in concreto potrebbe essere anche la persona offesa dal reato, e non necessariamente il condannato, anche se ciò, come accennato, può poi creare taluni profili di criticità quanto 176 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale ad attivabilità del rimedio in malam partem. Dall’altro lato, ponendo la citata Raccomandazione R (2000) 2, tra le condizioni legittimanti la riapertura del processo nell’ordinamento interno la persistente attualità delle «conseguenze gravemente negative» sofferte dalla vittima della violazione, occorrerebbe escludere dal novero dei soggetti legittimati all’attivazione del rimedio l’erede o il prossimo congiunto della vittima in caso di morte della stessa.61 Anche le forme della richiesta dovrebbero essere passibili di integrazione, ritenendosi che all’istanza debba essere allegata copia autentica della sentenza della Corte europea, che deve aver assunto carattere definitivo – e dunque giuridicamente obbligatorio – ai sensi dell’art. 44 C.e.d.u. Inoltre, la riapertura del processo “post Strasburgo”, quale adempimento all’obbligo convenzionale di conformazione alle decisioni definitive del Giudice europeo, comportando la necessità di un riesame degli stessi atti già considerati nel giudizio interno, implicherà una rivalutazione dello stesso materiale probatorio62 alla luce delle indicazioni della Corte e.d.u., non conciliabile con la previsione di cui all’art. 637, comma 3 c.p.p. Sul punto, A. Logli, La riapertura del processo, cit., p. 940. R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 476; in argomento, cfr. pure S. Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento, cit., pp. 1564-1565, che sottolinea come l’ambito di operatività della revisione tradizionale sia stato comunque ampliato dalla più recente giurisprudenza di legittimità: «si pensi, in particolare, alla sentenza Pisano delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che ha esteso il concetto di “nuova prova” anche a quella che, pur presente agli atti, non è stata valutata dal giudice. Oppure all’indirizzo giurisprudenziale che, sulla medesima linea, ritiene “nuova” anche quella prova che, pur presente agli atti, valutata o meno, non è entrata a far parte del processo argomentativo e motivazionale del provvedimento». 61 62 Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione 177 L’esito decisorio della revisione europea, non necessariamente obbligato ad uno sbocco proscioglitivo, recide poi quella connessione tradizionale sussistente tra accoglimento dell’istanza di revisione e diritto alla riparazione dell’errore giudiziario,63 con le conseguenti ripercussioni in tema di applicabilità degli artt. 643 ss. c.p.p. Profili, questi, solo esemplificativi della complessità di ricostruzione delle cadenze della nuova revisione europea. A. Logli, La riapertura del processo, cit., p. 940, il quale, sotto altro profilo rileva che «ove la riapertura avesse come unica ricaduta concreta la maturazione di un diritto alla riparazione, questo interesse non apparirebbe così stringente da giustificare il diritto alla ripetizone del giudizio a seguito della sentenza della Corte EDU», tanto più che con tale pronuncia «la vittima della violazione si è già vista riconoscere una somma a titolo di equa riparazione ai sensi dell’art. 41 della Convenzione». 63 Capitolo V Riflessi sistematici Sommario: 1. Mutato assetto delle fonti e aporie ricostruttive – 2. Tendenze evolutive del sindacato de legitimitate – 3. Manipolazioni teoriche 1. Mutato assetto delle fonti e aporie ricostruttive Il quadro sin qui delineato consente di effettuare un primo bilancio sui riflessi sistemici dell’evoluzione verificatasi in tema di rapporti interordinamentali. Il discorso coinvolge, innanzitutto, l’assetto delle fonti del diritto, che risente di un significativo mutamento di impostazione. La ricostruzione volta al perseguimento del maximum standard di protezione dei diritti umani,1 postulata dalla C.e.d.u. (art. 53) ed avallata dallo stesso Giudice delle leggi,2 secondo cui eventuali “interferenze di tutela” delle medesime garanzie tra l’ordinamento interno e quello sovraordinato devono essere risolte nel senso della prevalenza del sistema che ne assicura il grado di protezione più 1 2 V. retro, Cap. I, par. 5. Corte cost., sent. n. 93 del 2010, cit.; Id., sent. n. 317 del 2009, cit. 180 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale elevato, pone in crisi il tradizionale assetto “verticisticoformale” delle fonti del diritto, soppiantato da una sistematica “orizzontale-sostanziale”.3 Ciò che conta non è più, infatti, l’ordine formale di priorità delle fonti in questione, il “grado” dalle stesse occupato nella scala gerarchica che le ordina, bensì, secondo un’impostazione prettamente “assiologica”, l’intensità di tutela dalle stesse approntata, e dunque, il loro valore sostanziale.4 Ne deriva che tutte le norme sui diritti umani – sia di matrice convenzionale che costituzionale – risultano “pari ordinate”, essendo collocate su di un medesimo piano orizzontale, che consente al giudice di attingere laddove, a suo giudizio, intravede un più pregnante livello di protezione. L’organo giudicante, dunque, è chiamato a compiere «delicate operazioni di bilanciamento assiologico», che coinvolgono a un tempo norme di origine interna e norme di matrice sovraordinata, in vista della fissazione del punto di sintesi maggiormente elevato tra i valori evocati nel caso concreto considerato. Ciò, ovviamente, può implicare che sia la stessa Carta fondamentale a doversi fare da parte Nel senso che «la gerarchia formale delle fonti non è all’altezza della “europeizzazione dei diritti fondamentali”» si era già espresso in passato P. Häberle, Lineee di sviluppo della giurisprudenza della Corte costituzionale federale tedesca in materia di diritti fondamentali, in Giur. cost., 1996, p. 2901. 4 Di sistema “a rete” e non più piramidale, parla V. Carbone, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2009, p. 16, in www. cortedicassazione.it; in argomento, cfr. pure M. Cartabia, La Cedu e l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 8. 3 Capitolo V – Riflessi sistematici 181 ove un better level di garanzia sia approntato dalla Convenzione europea, e viceversa, ove dovesse invece risultare il contrario.5 Se questa è un’impostazione che, per certi versi, può risultare coerente con la stessa “apertura” della Costituzione alla Comunità internazionale e alle organizzazioni sovranazionali,6 è indiscutibile, tuttavia, che essa denuncia un’aporia concettuale nella ricostruzione del sistema delle fonti operata dalla Consulta, determinando una contraddizione tutta interna allo stesso. È chiaro, infatti, che l’assetto appena delineato pone in crisi la stessa concezione di fonte “sub costituzionale”, “interposta” tra Carta fondamentale e legge ordinaria, riconosciuta alla C.e.d.u., che, lungi dal dover essere sempre re- A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata, cit., passim, il quale (p. 486) sottolinea come «la Costituzione, col fatto stesso di recedere, in realtà si realizza … al meglio di sé, come “sistema” appunto, dal momento che intanto siffatto esito può aversi, in quanto così risulti prescritto dalla stessa legge fondamentale della Repubblica che vuole ad ogni modo promosso e custodito il patrimonio dei diritti inviolabili della persona umana, perseguita l’effettiva uguaglianza di tutti gli uomini, in ultima istanza preservata integra la loro dignità, quale autentico Grundwert e Grundnorm assieme fondativi sia dell’ordine interno che delle relazioni interordinamentali». 6 Con cui, secondo A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata, cit., pp. 488-489, la Costituzione, al fine di un conseguimento ottimale dei fini-valori da essa stessa enunciati, «riconoscendo la sua finitezza e imperfezione», si apre ad altre Carte, diverse da sé ma ugualmente idonee a dare riconoscimento e tutela ai diritti fondamentali, disponendosi «a farsi da esse rigenerare semanticamente» e, laddove necessario, a farsi da parte «in questa o quella sua regola allo scopo di assistere alla piena affermazione dei suoi principi di libertà, eguaglianza, giustizia e, sopra tutti, dignità» 5 182 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale cessiva – in quanto subordinata – rispetto alla Costituzione, può invece su questa prevalere ove assicuri un livello di protezione più intensa dei diritti fondamentali. Ma vi è di più. Quando descritto esprime la crisi ormai irreversibile di una ricostruzione “piramidale” e “monolitica” dell’ordinamento, con al vertice un’unica fonte apicale, fondante, che si pone come “fonte delle fonti” (la Costituzione) ed un unico organo di chiusura dello stesso (la Corte costituzionale), a favore invece di un sistema “pluralistico” ed “integrato”, in cui convivono due fonti (la Carta fondamentale e la C.e.d.u.) e due organi di vertice (la Consulta e la Corte di Strasburgo), di matrice interna e sovraordinata, destinati ad interferire. Un sistema, insomma, caratterizzato dalla presenza di due diverse “Carte dei diritti” e “Corti dei diritti”, ispirate a regole e meccanismi di funzionamento non coincidenti, chiamate tuttavia ad interagire nell’opera di tutela dei diritti dell’uomo. Il che, poi, sul piano pratico – per quanto qui più interessa – si traduce nell’assoggettamento delle norme del processo penale ad un duplice controllo di compatibilità: costituzionale e convenzionale, entrambi dotati – per le ragioni prima esposte – di pari dignità assiologica, ma, per la diversità di regole di funzionamento e valori tutelati, potenzialmente destinati anche ad esiti non coincidenti (come dimostra la vicenda Dorigo).7 2.Tendenze evolutive del sindacato de legitimitate Nel tentativo di ovviare alla latitanza legislativa che impediva di dare un “seguito giudiziario” alle decisioni di con- 7 P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 17. Capitolo V – Riflessi sistematici 183 danna della Corte europea, la giurisprudenza di legittimità si è, come visto, impegnata nella ricerca di soluzioni interpretative che, a legislazione invariata, consentissero in qualche modo di attuare l’obbligo di conformazione sancito dall’art. 46 C.e.d.u. Se, per un verso, tale sforzo è apparso meritorio, denotando una spiccata sensibilità per i diritti umani,8 ritenuti prevalenti rispetto alla stessa esigenza di stabilità della res iudicata, dall’altro ha segnato l’imbocco di una strada pericolosa, volta a piegare le ragioni del diritto ad esigenze di giustizia sostanziale. Duplici gli effetti negativi conseguenti. In primis, un uso “disinvolto” di istituti e categorie processuali, applicati oltre i limiti consentiti dalla disciplina codicistica e dai principi generali: “congelamento” sine die del giudicato, lasciato permanere in un limbo di inefficacia;9 interpretazione analogica di un mezzo di impugnazione straordinario;10 violazione del principio di tassatività delle impugnazioni; vanificazione della stessa distinzione tra rimedi impugnatori ordinari e straordinari. Un «uso manipolativo dello strumentario processuale» estremamente rischioso e dagli incerti sbocchi futuri, che nell’immediato denota una certa tendenza alla “fantasia procedurale”, se non a vere proprie forme di “lassismo concettuale” che, in virtù delle contingenze dei casi concreti, sacrificano le esigenze di coerenza sistematica e ledono il S. Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento, cit., p. 1561. 9 Cass., sez. I, 1 dicembre 2006, n. 2800, Dorigo, cit. 10 Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, cit.; Id., sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807, Drassich, cit. 8 184 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale principio di legalità processuale.11 Canone, quest’ultimo, che ex artt. 101, comma 2 e 111, comma 1 Cost., pone vincoli stringenti all’organo giudicante, tra l’altro, proprio sotto il profilo della tassatività, arginando pericolose derive verso il cd. “diritto libero”, id est, verso interpretazioni giurisprudenziali adeguatrici che in realtà mascherano forme di autentica creazione normativa, con un giudice comune che tende a improvvisarsi legislatore.12 Un’interpretazione creatrice, insomma, che contraddice l’essenza stessa della funzione giurisdizionale, giacché apre spazi irriducibili di incertezza,13 laddove invece lo svolgimento del processo penale deve essere indissolubilmente legato all’osservanza della legalità, il cui superamento impone l’imprescindibile passaggio attraverso l’opera riformatrice del legislatore. Il secondo profilo di criticità cui si accennava deriva, invece, dalla circostanza che la giurisprudenza della Corte di cassazione – almeno con riferimento alle considerate ipotesi di supplenza dell’inerzia legislativa – sembra essersi avviata verso una trasformazione genetica: dismessa la vocazione all’enunciazione di principi generali, frutto di un’astrazione dalle soluzioni alle varie questioni giuridiche affrontate, in coerenza con il ruolo nomofilattico spettante alla Corte, si è invece sempre più avvicinata al modello di una giurisprudenza “casistica”, vicina alle tecniche di ragionamento e argomentazione giuridica tipiche della Corte di Strasburgo, P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 29. Così, con riferimento alle soluzioni individuate nei casi Somogyi e Dorigo, D. Negri, Rimedi al giudicato penale e legalità processuale, cit., p. 169. 13 G. Pierro, Equità del processo e principio di legalità processuale, cit., p. 1524. 11 12 Capitolo V – Riflessi sistematici 185 più attenta alle istanze equitative della fattispecie concreta, che non alla ricerca di norme generali e astratte.14 Un’evoluzione sicuramente frutto di una sensibilità che ha indotto la Corte di cassazione ad attingere direttamente alla sostanza dei diritti fondamentali in gioco nel processo, ma che tuttavia l’ha condotta a garantirli al di là delle regole poste a presidio della legalità processuale. Ciò che, sul piano sistematico, si traduce, poi, in un altro fattore degenerativo: l’ulteriore compromissione di quella funzione interpretativa generale riservata alla Corte, invero già alquanto messa in crisi dai non infrequenti contrasti esistenti non solo tra le sezioni semplici (e all’interno di queste, sulle medesime questioni, finanche tra pronunce aventi lo stesso relatore),15 ma anche tra le decisioni delle stesse Sezioni unite. Con il rischio di accrescere l’incertezza e il disorientamento interpretativo in diversi ambiti già esistente. Inoltre, il descritto sistema integrato – costituito dall’ordinamento interno e dall’ordinamento convenzionale – con un giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo eminentemente casistico, equitativo, attento all’osservanza sostanziale dei diritti umani, più che al dato formale, pone un interrogativo di fondo: ha ancora senso un giudizio innanzi alla Corte di cassazione strutturato in termini di controllo di mera legittimità? Pur con tutte le cautele necessarie, ci si può domandare se il superamento del giudicato interno per effetto delle senE. Aprile, I meccanismi di adeguamento, cit., p. 545. Si v., ad esempio, Cass., sez. V, 18 dicembre 2009, n. 8829, in Cass. pen., 2011, p. 3990, con nota di P. Di Geronimo, Inapplicabilità dell’aggravante del danno di rilevante gravità alla bancarotta documentale impropria, e Cass., sez. V, 4 giugno 2010, n. 35836, non massimata. 14 15 186 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale tenze della Corte europea non implichi che oramai il “vero” giudicato si formi a Strasburgo,16 avendo di fatto la pronuncia irrevocabile del giudice nazionale perso quel connotato di immutabilità da cui derivava la vis sanante ogni vizio, dedotto o deducibile, che dava certezza alle situazioni giuridiche. Interrogativo, questo, alquanto delicato, che paventa l’esistenza di un «sistema integrato nazionale-convenzionale delle impugnazioni»,17 al cui vertice si colloca quale «quarto grado di giurisdizione» proprio la Corte europea, con tutte le incongruenze conseguenti, prima fra tutte l’ “asimmetria” di censure deducibili innanzi a questa (giudice di ultimo grado che è anche giudice del fatto) e alla Corte di cassazione (giudice di penultimo grado, che è giudice di solo diritto),18 ciò che può costituire un non trascurabile ostacolo all’opera di prevenzione interna delle infrazioni rilevabili a Strasburgo.19 È di questo avviso O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 50. L’espressione è di F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p. 800, secondo cui la Corte di Strasburgo è «un quarto grado di giurisdizione atipico», «non assimilabile ad alcun tipo di giudice nazionale», che «convoglia in sé funzioni sia del giudice di merito, sia della Cassazione, sia della Corte costituzionale». Essa, a differenza della Cassazione, che garantisce la nomofilachia delle regole, «garantisce la nomofilachia dei diritti». 18 Così ancora F. M. Iacoviello, op. ult. cit., p. 795; sul punto, si v. A. Scalfati, I giudici offrono un “rimedio tampone”, cit., p. 82, secondo cui «l’organo europeo entra a far parte del sistema giudiziario interno quasi con poteri “rescindenti”». 19 Come osserva E. Lupo, La vincolatività delle sentenze, cit., p. 2253, il pericolo che si introduca un quarto grado di giudizio «può essere evitato soltanto se il nostro processo si allinea ai parametri europei, come delineati dalla Corte europea». 16 17 Capitolo V – Riflessi sistematici 187 Interrogativo che, invero, pare assumere consistenza sol che si consideri che le decisioni definitive del Giudice dei diritti umani vengono iscritte nel certificato del casellario giudiziale,20 avallandosi così l’idea – come efficacemente evidenziato – che «le sentenze di Strasburgo “entrano” in qualche modo nel nostro ordinamento», posto che «se così non fosse dovrebbe ritenersi non infondata la tesi che esse richiedano il previo riconoscimento nelle forme dovute (exequatur)».21 In questa prospettiva, si è quindi evidenziata l’esigenza di un mutamento degli attuali assetti del sindacato di legittimità, abbandonando – proprio nell’ottica di una conformità ex ante ai precetti convenzionali – la tradizionale “dicotomia legittimità-merito”, considerata già da tempo “usurata” e ormai definitivamente “mandata in soffitta” dalla Corte di Strasburgo: la Cassazione, infatti, non potrebbe più continuare ad «essere un terzo grado di pura legittimità quando il quarto ed ultimo grado – la Corte europea – è un giudice ferocemente aggrappato al merito».22 In quest’ottica di idee, si è quindi proposta de iure condendo l’introduzione un autonomo motivo di ricorso per cas- D.P.R. 28 novembre 2005, n. 289, cit. Il provvedimento, che ha modificato l’art. 19 del testo unico in materia di casellario giudiziale (d.P.R. 313 del 2002), più precisamente, ha previsto l’iscrizione nel casellario giudiziale «delle decisioni definitive adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano, concernenti i provvedimenti giudiziari e amministrativi definitivi delle autorità nazionali già iscritti, di seguito alla preesistente iscrizione cui esse si riferiscono». 21 E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 3187. 22 F. M. Iacoviello, op. ult. cit., p. 809. 20 188 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale sazione volto specificamente a far valere la violazione dei principi posti a salvaguardia dei diritti dell’uomo, evitando così che, «ogni qual volta si prospetti una inconciliabilità tra norma interna e disposizione convenzionale, debba essere sollecitato un incidente dinanzi alla Corte costituzionale ovvero attendere, per ottenere l’attuazione del giusto processo, l’esaurimento del quarto grado di giurisdizione».23 3. Manipolazioni teoriche La delineata evoluzione pone, infine, all’attenzione dell’interprete un ultimo dato: l’incidenza dei mutamenti intervenuti sulle architetture del processo penale, spintasi fino al depotenziamento di talune concezioni dogmatiche consolidate. Il grado di maggiore effettività delle garanzie interne al processo si è, infatti, non di rado accompagnato ad una “flessione” concettuale di talune categorie fondamentali, avviate verso una maggiore “precarietà teorica”.24 E al riguardo il discorso non può che prendere le mosse dal giudicato, oggetto di un fenomeno di “dissoluzione”, riducendosi ormai a un «mito decadente».25 Perché è questo l’effetto della sentenza n. 113 del 2011. Il ragionamento non involge tanto l’eventuale futura portata statistica del fenomeno – secondo talune letture alquanA. Diddi, La «revisone del giudizio», cit., p. 156. Cfr. P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 16, che parla al riguardo di istituti piegati «da una “stabile certezza” teorica ad una loro “precaria effettività”». 25 E. Selvaggi, Il nuovo ruolo del giudice, cit., p. 1, secondo cui «non è più vero che il giudicato aequat quadrata rotundis e facit de albo nigrum». 23 24 Capitolo V – Riflessi sistematici 189 to esigua, e dunque, sostanzialmente irrilevante26 – quanto piuttosto il valore euristico della categoria processuale, da sempre percepita come fondamentale “certezza culturale”, oltre che essenziale “fondamento etico del processo”. Tradizionalmente, infatti, la legalità dell’accertamento consacrata nella firmitas del giudicato presupponeva iuris et de iure la giustizia dello stesso, su cui poteva basarsi la certezza delle situazioni giuridiche.27 Concezioni che oggi appaiono “destabilizzate” dall’interazione col sistema sovranazionale di protezione dei diritti umani. Non solo infatti il dictum interno è ormai recessivo rispetto al giudicato europeo che rilevi un’infrazione al testo convenzionale, ma la sua cedevolezza non viene meno neanche quando gli esiti censurati a Strasburgo sono stati originati dalla necessità di conformarsi ai dettami della Corte costituzionale (come accaduto nel caso Dorigo),28 verificandosi dunque un “cortocircuito” tutto interno all’ “ordinamento integrato” tra rispetto della legalità interna e rispetto della M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 18. Così P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 22, che efficacemente osserva come «siamo stati tutti nutriti dall’idea che non soltanto la preclusione del giudicato fosse la pietra angolare della costruzione del rito per una pratica esigenza di certezza, ma, di più, che nel giudicato, quale risultato dell’attività giurisdizionale si realizzasse “la coincidenza della situazione giuridica accertata con l’effettivo stato giuridico che precedeva l’accertamento (verità e giustizia)». 28 In tale vicenda la violazione dell’art. 6 C.e.d.u., per il recupero probatorio di dichiarazioni rilasciate in fase di indagini dai coimputati poi avvalsisi in dibattimento della facoltà di non rispondere, era stata determinata dall’applicazione dell’art. 513 c.p.p., nella portata risultante a seguito della sentenza n. 254 del 1992 della Corte costituzionale. 26 27 190 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale legalità convenzionale: l’una, soddisfatta dall’osservanza delle regulae iuris, l’altra eventualmente inappagata dalla stessa, esigendo invece la tutela effettiva dei diritti umani. La nozione di giudicato nazionale, e con essa la certezza delle situazioni giuridiche, assumono, dunque, un’inedita dimensione di “precarietà”, rimanendo le modalità di svolgimento di una vicenda processuale questione potenzialmente aperta fintantoché il Giudice di Strasburgo non si sia pronunciato, ovvero, fino a quando un ricorso ad esso non sia più possibile.29 Conseguentemente, muta anche la stessa nozione tradizionale di “certezza del diritto” che, superando i limiti di una proiezione intraordinamentale, assume il nuovo, più pregnante significato di “certezza dei diritti fondamentali”.30 Da quanto delineato consegue, peraltro, un ulteriore, inedito fenomeno: se prima il conflitto tra giudicati era di tipo “omogeneo”, coinvolgendo decisioni non solo intraordinamentali ma prodotte sulla base delle medesime regole, oggi la prospettiva invece cambia, assistendosi, con riferimento alla stessa vicenda processuale, alla possibile, legittima esistenza di più dicta irrevocabili – uno dei quali destinato a “prevalere” sull’altro – fondati su regole di produzione diverse ed aventi scopi di tutela non coincidenti.31 Ma il fenomeno di “depotenziamento” in questione va oltre, coinvolgendo ulteriori categorie processuali. Come già evidenziato antecedentemente,32 costituisce acquisizione consolidata in sede europea, recentemente O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 50 È questo, secondo A. Ruggeri, op. ult. cit., p. 485, l’unico significato possibile – e costituzionale – della certezza del diritto. 31 P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 17. 32 Cfr. Cap. I, par. 2 e 4. 29 30 Capitolo V – Riflessi sistematici 191 avallata dallo stesso Giudice delle leggi, la concezione volta a riconoscere il monopolio interpretativo vincolante della Corte di Strasburgo nei confronti delle disposizioni del testo convenzionale. I giudici nazionali, cioè, gravati dell’obbligo di interpretazione conforme alla C.e.d.u., si troverebbero di fronte ad una singolare “ipertestualità” della stessa,33 dovendo non solo attenersi ai precetti ivi testualmente consacrati, ma anche alle poliedriche e multiformi interpretazioni che di essi la Corte europea – ex art. 32 C.e.d.u. esegeta ultimo ed autentico della C.e.d.u. e dei suoi Protocolli – ha nel corso degli anni elaborato. Senza indugiare su considerazioni già dianzi svolte, preme qui solo mettere in evidenza le ricadute negative in termini di indebolimento dogmatico di talune categorie processuali che tale concezione implica. Il riferimento – intuitivo – va ai principi del libero convincimento del giudice e del contradditorio nella formazione della prova, considerevolmente indeboliti, se non degradati, da un’euristica giudiziale di tal fatta. Lungi dall’essere “libero” di valutare secondo il suo prudente apprezzamento il materiale probatorio acquisito nel corso del processo, avendo come unico limite, oltre alla coscienza della responsabilità della funzione svolta,34 la razionalità dell’iter logico seguito, da esplicitare nell’apparato motivazionale del provvedimento decisorio, secondo gli stringenti parametri di cui agli artt. 192, comma 1 e 546, comma 1, lett. e) c.p.p., l’organo giudicante viene invece V. Manes, Introduzione, cit., p. 7. A. De Marsico, Lezioni di diritto processuale penale, Napoli, 1942, p. 174. 33 34 192 sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale mortificato al ruolo di mero applicatore di interpretazioni aliunde formatesi, divenendo nulla più che «un interprete […] completamente spoglio di ripensare il già pensato».35 “Già pensato” che, peraltro, attiene ad un giudizio eminentemente casistico, come tale di per sé inidoneo ad essere dotato di una vis espansiva oltre i limiti segnati dalla singola controversia cui si riferisce. Una metodologia di sacrificio di ogni margine di libertà giudiziale – assiologica, ma anche per molti versi logica – che, pur “nobilitata” dall’intento di realizzare la tutela dei diritti umani più conforme alla C.e.d.u., contraddice l’essenza stessa dell’attività giurisdizione, ridotta ad un “automatismo a-valutativo” che, oltre a ledere il principio consacrato all’art. 101, comma 2 Cost., vanifica lo stesso metodo epistemico su cui essa si fonda: il contraddittorio. È chiaro, infatti, che si attenua la possibilità di dicere contra, di prospettare ipotesi ricostruttive dei fatti alternative, se l’organo decidente è già “ingessato” nella loro valutazione, risultando vincolato ad un obbligo di conformità agli indirizzi ermeneutici di un altro giudice. L’efficacia stessa dell’interlocuzione e dell’argomentazione è minata in radice ed il contraddittorio si riduce a un qualcosa di inutilmente sterile.36 Ricadute negative, queste, che possono essere scongiurate accedendo ad una nozione di interpretazione conforme declinata nel senso del rispetto delle categorie fondamentali dell’ortodossia giuridica interna. Un’esegesi adeguatrice, cioè, che pur considerando gli arresti del Giudice di StraCosì, efficacemente, P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 15. 36 In argomento, si v. P. Ferrua, Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzazione, cit., p. 9 ss. 35 Capitolo V – Riflessi sistematici 193 sburgo referenti obbligati e imprescindibili per l’applicazione dei principi convenzionali, rimette tuttavia l’ “esegesi definitiva” al giudice interno, che gode al riguardo di un certo margine di apprezzamento, funzionale – tra l’altro – alla considerazione delle peculiarità nazionali in cui la normativa europea è destinata ad inserirsi. In questa prospettiva – come autorevolmente sostenuto – le interpretazioni della Corte europea, salva la loro efficacia vincolante nelle specifiche controversie cui si riferiscono, sono per il resto autorevolissimi precedenti, cui il giudice nazionale deve ispirarsi, ma nel rispetto del suo libero convincimento, che ben lo legittima a discostarsene in caso di ritenuta non persuasività degli stessi, fermo restando, ovviamente, il puntuale onere motivazionale al riguardo.37 37 P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 215.