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I volumi pubblicati in questa Collana sono preventivamente sottoposti, in maniera
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comune elezione.
I referees sono: Agostino De Caro, Novella Galantini, Piero Gualtieri, Sergio
Lorusso, Mariano Menna, Paolo Moscarini, Gustavo Pansini.
© Copyright – DIKE Giuridica Editrice, S.r.l. Roma
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con qualsiasi mezzo (compresi i film, le fotocopie), nonché
la memorizzazione elettronica, sono riservate per tutti i Paesi.
Progetto grafico della copertina
Chiara Damiani
Realizzazione editoriale
Studio Editoriale Cafagna, Barletta
Finito di stampare nel mese di ottobre 2012
Sentenze della Corte
e.d.u. e revisione
del processo penale
I. Dall’autarchia giudiziaria
al rimedio straordinario
Rosa Maria Geraci
A Nani e Simo
Indice
Introduzione..............................................................IX
Capitolo I
Tutela convenzionale e superamento
dell’autarchia processuale
1.
2.
3.
4.
5.
L’evoluzione del sistema di salvaguardia dei
diritti umani: dall’esame del caso singolo
al controllo di conformità ordinamentale................... 1
La “permeabilità” del sistema processuale
penale interno: il superamento dell’autosufficienza...................................................................... 10
(segue) Verso un “Giudice delle leggi” europeo?........................................................................... 28
L’adeguamento convenzionale: “fisio-patologia” di un rapporto................................................. 37
(segue) Maximum Vs minimum standard di
tutela ........................................................................ 49
Capitolo II
L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
1. Dal contenzioso originario a quello attuale.............. 59
VIII
2.
3.
4.
Indice
La forza delle pronunce di Strasburgo e la
recessività del giudicato interno............................... 68
(segue) La rivisitazione della vicenda giudiziaria nell’ordinamento nazionale......................... 78
L’inerzia legislativa italiana...................................... 84
Capitolo III
La supplenza pretoria
1.
2.
3.
4.
Escamotages interpretativi a legislazione invariata....................................................................... 95
L’incidente di esecuzione ...................................... 100
Il ricorso straordinario ex art. 625- bis c.p.p........... 112
La restituzione nel termine per impugnare............. 126
Capitolo IV
Un nuovo caso di revisione
1.
2.
3.
4.
Un’incompatibilità costituzionale (quasi) accertata ma non dichiarata........................................ 137
L’ampliamento del rimedio revocatorio: Corte cost., n. 113 del 2011 ......................................... 148
(segue) Punti fermi ................................................ 158
(segue) Nodi irrisolti............................................... 167
Capitolo V
Riflessi sistematici
1.
2.
3.
Mutato assetto delle fonti e aporie ricostruttive.......... 179
Tendenze evolutive del sindacato de legitimitate.......................................................................... 182
Manipolazioni teoriche........................................... 188
Introduzione
N
onostante i reiterati, pressanti moniti provenienti da
istituzioni europee e Corte costituzionale affinché
anche il nostro Paese si dotasse di un meccanismo idoneo a
garantire l’esecuzione delle pronunce del Giudice di Strasburgo, “superando” il giudicato interno reputato unfair, il
legislatore italiano è rimasto in una posizione di ostinata,
colpevole inerzia: come l’oracolo delfico, ha continuato a
ignorare il problema, non dicendo, non negando, ma limitandosi soltanto ad accennare.
Fallite le varie iniziative legislative allo scopo avviate
nell’ultimo quindicennio, si è così intrapreso un non agevole percorso di supplenza giurisprudenziale, inaugurato dalla
Corte di legittimità e completato dal Giudice delle leggi,
che con la sentenza n. 113 del 2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui
non consente l’esperibilità del rimedio straordinario per garantire la riapertura del processo interno necessaria ex art.
46 C.e.d.u. per conformarsi ai dicta della Corte europea dei
diritti dell’uomo.
Il presente studio – articolato in due parti – si propone di
analizzare la delineata evoluzione.
In questo volume ci si soffermerà sull’attuale assetto
della tutela convenzionale dei diritti umani, sensibilmente
X
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
mutato dall’epoca della sottoscrizione della Convenzione
di Roma, avvenuta più di sessant’anni fa. All’analisi dei
vari rimedi pretori escogitati nella prassi per sopperire alla
citata lacuna legis e alla considerazione degli interventi
della Corte costituzionale si affiancherà una riflessione sulle conseguenze “sistemiche” degli stessi, incidenti sull’assetto delle fonti del diritto, sui connotati del sindacato della
Corte di legittimità e sulla “precarizzazione” di talune concezioni dogmatiche fondamentali.
Nella seconda parte del lavoro, si cercherà invece di ricostruire l’esatta fisionomia e le concrete cadenze procedimentali del nuovo rimedio della “revisione europea”, invero solo abbozzate dalla sentenza n. 113 del 2011 e solo in
parte coincidenti con i tratti tipici del rimedio straordinario
“classico” codificato agli artt. 629 ss. c.p.p. All’approfondimento della natura del nuovo istituto revocatorio si accompagnerà, in una prospettiva de iure condendo, qualche
riflessione circa le direttrici che un auspicato, futuro intervento legislativo in materia potrebbe seguire.
Capitolo I
Tutela convenzionale e superamento
dell’autarchia processuale
Sommario: 1. L’evoluzione del sistema di salvaguardia dei diritti umani: dall’esame del caso singolo al controllo di conformità ordinamentale – 2. La “permeabilità” del sistema processuale penale
interno: il superamento dell’autosufficienza – 3. (segue) Verso un
“Giudice delle leggi” europeo? – 4. L’adeguamento convenzionale:
“fisio-patologia” di un rapporto – 5. (segue) Maximum Vs minimum
standard di tutela
1. L’evoluzione del sistema di salvaguardia dei diritti umani: dall’esame del caso singolo al controllo di
conformità ordinamentale
Una lenta, inevitabile e non indolore evoluzione ha, negli
ultimi anni, coinvolto le questioni nevralgiche di un sistema giuridico divenuto ormai “multilivello”:1 efficacia delle
Cfr. P. Bilancia – E. De Marco, La tutela multilivello dei diritti. Punti
di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione, Milano, 2004; M.
Cartabia, The multilevel protection of fundamental rights in Europe: the
European pluralism and the need for a judicial dialogue, in C. Casonato
(a cura di), The protection of fundamental rights in Europe: lessons from
Canada, Trento, 2003; G. D’Ignazio (a cura di), Multilevel constitutionalism tra integrazione europea e riforme degli ordinamenti decentrati,
Milano, 2011; I. Pernice, Multilevel Constitutionalism in the European
1
2
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, natura
dell’obbligo giuridico di conformarsi alle stesse gravante sugli ordinamenti nazionali, superamento del dogma
dell’intangibilità del giudicato interno, rango delle disposizioni C.e.d.u.2 nell’ambito della gerarchia delle fonti del
diritto.
Ne è derivata una profonda incidenza sugli stessi assetti
del processo penale che, ormai permeabile all’apporto di
fonti ultranazionali, ha perso il tradizionale connotato di
“autarchia normativa ed interpretativa”,3 per trovarsi esposto ad una «mutazione del suo stesso profilo genetico»,
conseguenza di una sorta di fenomeno di “globalizzazione
giuridica” in qualche modo parallelo a quello verificatosi in
campo economico e sociale.4
Union, in European Law Review, 2002, p. 511 ss. Di “ordinamento integrato”, costituito dall’ordinamento nazionale e da quello riconducibile al
sistema della C.e.d.u. parla E. Selvaggi, Il nuovo ruolo del giudice in un
ordinamento integrato, in www.europeanrights.eu, 2011, p.1.
2
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (C.e.d.u.) è stata sottoscritta a Roma il
4 novembre 1950; ad essa è stata data esecuzione con la legge di
ratifica 4 agosto 1955, n. 848. Per una ricostruzione storico-politica
della sua genesi, si v. J. G. Merrils – A. H. Robertson, Human
rights in Europe, A study of the European Convention on Human
Rights, Manchester, 2001; L. E. Pettiti – E. Decaux – P. H. Imbert,
La Convention Européenne des Droits de l’Homme, Commentaire
article par article, Paris, 1995, p. 3 ss
3
R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, in
A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e
processo penale italiano, Torino, 2008, p. 7.
4
O. Mazza, La procedura penale, in F. Viganò – O. Mazza, Europa e
giustizia penale, in Dir. pen. proc., Gli Speciali, 2011, p. 33, il quale
sottolinea come siano ormai cambiate «le fonti, la natura, le finalità
ultime e la vera ragion d’essere del processo».
Capitolo I – Tutela convenzionale
3
Decisiva, nella descritta evoluzione, la trasformazione
dei caratteri fondamentali della giurisdizione esercitata a
Strasburgo e della vincolatività dei relativi dicta.
Per lungo tempo, infatti, la percezione diffusa in ordine
alla valenza dei principi sanciti dalla Convenzione di Roma
è stata fortemente condizionata in negativo dal convincimento di una scarsa efficacia delle pronunce del Giudice
europeo,5 cui invero non è stato del tutto estraneo lo stesso orientamento giurisprudenziale convenzionale incline ad attriburire a dette sentenze un’efficacia meramente
dichiarativa. Arroccandosi su un’interpretazione letterale
dell’art. 41 C.e.d.u.,6 che le attribuisce espressamente la
sola competenza a determinare, in caso di accertata violazione, l’eventuale riparazione pecuniaria, nonché in qual-
M. Chiavario, Giustizia europea e processo penale: nuovi scenari e
nuovi problemi: cenni introduttivi, in Processo penale e giustizia europea. Omaggio a Giovanni Conso, Atti del convegno di Torino, 26-27
settembre 2008, Milano, 2010, pp. 233-234, il quale osserva efficacemente come «anche la maggior parte di coloro che qualche attenzione,
a questa giurisprudenza, la davano, finivano per lo più col comportarsi
come si fa con un ospite di riguardo a un banchetto di prestigio, che si
ascolta e magari si cita con rispetto (anche quando parla di specialità
prelibate) ma che non vale poi la pena di tenere realmente in conto
perché si presume che non si sporchi mai le mani in cucina».
6
In caso di condanna da parte della Corte di Strasburgo, lo Stato
membro – tenuto ai sensi dell’art. 46 C.e.d.u. a conformarsi alle sentenze definitive della Corte per le controversie di cui è parte – diventa
destinatario di una serie di obblighi consequenziali: quello primario di
rimuovere la violazione normativa accertata, ripristinando la situazione anteriore alla stessa (cd. restitutio in integrum); quello secondario
– e solo sussidiario – di corrispondere una satisfaction équitable alla
vittima ove la normativa nazionale non consenta una completa riparazione.
5
4
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
che modo condizionata dai timori statuali di abdicare a una
parte di sovranità nazionale, la Corte europea ha, infatti,
più volte ribadito la sua incompetenza ad indicare agli Stati convenuti le misure riparatorie necessarie per assolvere
compiutamente all’obbligo fissato all’art. 46 C.e.d.u.
Di conseguenza, si è affermata la sostanziale libertà dei
Paesi membri nella scelta dei mezzi tecnici più appropriati
per conformarsi al decisum sovranazionale7 – purché, naturalmente, «compatibili con le conclusioni contenute nella
sentenza della Corte»8 – costituendo, dunque, l’obbligo di
ottemperanza un “obbligo di risultato”.9
È ricorrente l’affermazione secondo cui «the contracting parts are
free to choose the means whereby they will comply with a judgment
in which the Court has found a breach». In questo senso, ex plurimis, Corte e.d.u., 13 luglio 1996, Nasri c. Francia, § 49; Id., 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos e altri c. Grecia, § 34; Id., 23 maggio
1991, Obserschilck c. Austria, § 65; Id., 24 maggio 1989, Hauschildt
c. Danimarca, § 54; Id., 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia, § 30;
Id., 22 marzo 1983, Campbell c. Regno Unito, § 16. Come osserva
F. Callari, La firmitas del giudicato, Milano, 2009, p. 331, in questa prospettiva «le autorità nazionali sono chiamate a disciplinare
all’interno del loro sistema giuridico – in maniera discrezionale nel
quomodo ma inderogabile nell’an – misure concrete idonee a ripristinare effettivamente la situazione preesistente alla […] violazione
normativa accertata».
8
Corte e.d.u., Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia,
§ 147; Id., 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, §§ 119 e 127; Id., Grande
Camera, 12 maggio 2005, Ocalan c. Turchia.
9
In argomento, cfr. V. Esposito, La libertà degli Stati nella scelta dei
mezzi attuativi delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo,
in I Diritti dell’uomo, cronache e battaglie, 2002, n. 1, p. 17, nonché A.
Saccucci, Obblighi di riparazione e revisione dei processi nella Convenzione europea dei diritti umani, in Riv. dir. int., 2002, p. 618.
7
Capitolo I – Tutela convenzionale
5
Tale orientamento ha cominciato a subire qualche incrinatura nell’ultimo decennio, quando la Corte, superando i
limiti della predetta esegesi testuale della Convenzione, ha
iniziato ad ampliare l’ambito della sua competenza, specificando nelle proprie sentenze quali misure di carattere generale (atte, cioè, a rimediare a situazioni deficitarie
strutturali degli ordinamenti nazionali causa di attrito con i
principi convenzionali) o individuale (ossia idonee a porre
fine alla riscontrata violazione, eliminando le conseguenze
pregiudizievoli della stessa e ripristinando per quanto possibile la situazione anteatta) si rendessero di volta in volta
necessarie per adempiere all’obbligo di esecuzione ex art.
46 C.e.d.u.
Si è così passati da un sistema di controllo sovranazionale
sull’equità processuale circoscritto all’operato delle autorità
nazionali con riguardo al singolo caso considerato, con conseguenze limitate – in caso di accertata violazione – al mero
indennizzo pecuniario, a un sindacato esteso anche alla conformità degli ordinamenti nazionali ai principi europei (e,
dunque, un sindacato che può investire anche le legislazioni), con conseguente vincolo gravante sul Paese membro di
adottare, in caso di riscontrato deficit strutturale di tutela, i
necessari correttivi normativi per adeguare il diritto interno
agli standard di tutela pretesi in sede europea.10
È questa una autentica «mutazione genetica»11 del sisteO. Mazza, La procedura penale, cit., p. 35.
G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee per violazioni dell’equità processuale, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura
di), Giurisprudenza europea, cit., p. 99. La pronuncia che inaugura
il nuovo indirizzo del Giudice sovranazionale è Corte e.d.u., Grande
Camera, 22 giugno 2004, Broniowski c. Polonia, §§ 188-194, che, ricollegando l’accertata violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 ad un
10
11
6
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
ma di tutela europeo dei diritti umani, ai cui fini hanno svolto un ruolo significativo una serie di evenienze sinergiche
via via succedutesi nel tempo, che hanno avuto l’effetto di
rafforzare il carattere giurisdizionale della Corte, erodendo
talune prerogative fino ad allora ritenute di esclusivo dominio del Comitato dei Ministri, quale organo naturalmente preposto al controllo sull’esecuzione delle decisioni del
Giudice europeo.12
Tra dette evenienze, degna di menzione è innanzitutto
l’adozione del Protocollo aggiuntivo n. 14,13 che ha attribuito alla Corte un ruolo di collaborazione con il Comitato
deficit strutturale della legislazione polacca, si è spinta sino ad indicare allo Stato convenuto le misure di ordine generale necessarie per
evitare il ripetersi di ulteriori violazioni analoghe a quelle sottoposte
a scrutinio.
12
In argomento, cfr. M. De Salvia, L’obbligo degli Stati di conformarsi alle decisioni della Corte europea e del Comitato dei ministri
del Consiglio d’Europa, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di),
Giurisprudenza europea, cit., p. 76 ss.
13
Tale Protocollo, adottato il 13 maggio 2004 e ratificato dall’Italia con
la legge 15 dicembre 2005, n. 280 (in Guida dir., 2006, n. 3, p. 14), è
entrato in vigore nel giugno 2010. In argomento, cfr. G. Cohen-Jonathan – J. F. Flauss, La réforme du système de contrôle contentieux de
la Convention européenne des droits de l’homme: le protocole n° 14 et
les recommandations du Comité des ministres, Bruxelles, 2005; M. De
Stefano, La riforma della Corte europea dei diritti dell’uomo dopo il
Protocollo n. 14, in I diritti dell’uomo, 2010, p. 29 ss.; F. Salerno, Le
modifiche strutturali apportate dal Protocollo n. 14 alla procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int. priv. proc., 2006,
p. 377 ss.; E. Savarese, Il Protocollo n. 14 alla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int., 2004, p. 716 ss.; P. Tanzarella, Il
futuro della Corte europea dei diritti dopo il Protocollo XIV, in Quad.
cost., 2010, p. 423 ss.; U. Villani, Il Protocollo n. 14 alla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, in Comun. int., 2004, p. 491 ss.
Capitolo I – Tutela convenzionale
7
stesso nell’esercizio delle citate funzioni di controllo, prevedendo uno specifico procedimento di infrazione per lo
Stato membro che non ottempera all’esecuzione delle decisioni del Giudice di Strasburgo.14
Fondamentale appare, poi, l’approvazione della Raccomandazione R (2000) 2 del 19 gennaio 2000,15 che, focalizzando l’attenzione sulla “riapertura del processo” quale
misura di adempimento in forma specifica dell’obbligo di
riparazione in grado di assicurare la restitutio in integrum,
ha rivolto un invito agli Stati contraenti «ad esaminare i
rispettivi ordinamenti nazionali allo scopo di assicurare che
esistano adeguate possibilità di riesame di un caso, ivi compresa la riapertura di procedimenti,16 laddove la Corte ha riscontrato una violazione della Convenzione e in particolare
Il Comitato dei Ministri, nel suo ruolo di organo vigilante l’esecuzione delle sentenze della Corte europea da parte degli Stati membri,
in caso di inottemperanza alle stesse, può adire la medesima Corte,
che, ove accerti l’inadempimento, può rinviare la causa al Comitato
«affinché esamini le misure da adottare» (art. 46, comma 5 C.e.d.u.).
In tal modo, si istituisce nei confronti dei Paesi convenuti un meccanismo di pressione per l’esecuzione del giudicato sovranazionale più
incisivo rispetto alla precedente semplice moral suasion, consistente
nell’avvertimento pedagogico insito nella pronuncia di condanna del
giudice europeo.
15
Per il testo tradotto in italiano, v. Dir. pen. proc., 2000, p. 391 ss.; per
il testo in inglese, v. S. Buzzelli – O. Mazza, Codice di procedura penale europea, Milano, 2005, pp. 953-954. In argomento, v. G. Ubertis,
La Corte di Strasburgo quale garante del giusto processo, in Dir. pen.
proc., 2010, pp. 372-373.
16
L’Explanatory Memorandum alla Raccomandazione precisa che la
«riapertura» si riferisce alle ipotesi caratterizzate dall’intervento delle
autorità giurisdizionali, mentre il «riesame» attiene ai casi di intervento di autorità non giurisdizionali, specie amministrative.
14
8
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
allorché […] la sentenza della Corte induce alla conclusione
che: a) la decisione interna impugnata è nel merito contraria
alla Convenzione; b) la violazione riscontrata è costituita
da errores o da altre mancanze di tale gravità da far sorgere
seri dubbi sull’esito del procedimento nazionale considerato». La res iudicata in tali eventualità deve, dunque, cedere
alla tutela dei diritti dell’individuo, sempre che però la vittima «continu[i] a soffrire delle conseguenze negative molto
gravi in seguito alla decisione nazionale, conseguenze che
non possono essere compensate dall’equa soddisfazione e
che non possono essere rimosse se non attraverso il riesame
o la riapertura» del caso.
Al mutamento dei caratteri della giurisdizione di Strasburgo hanno inoltre contribuito ulteriori atti, in correlazione funzionale con quelli fin qui menzionati.
Tra questi, innanzitutto, la Raccomandazione R (2004)
5 del 12 maggio 2004, sulla verifica di compatibilità dei
progetti di legge, delle leggi in vigore e delle pratiche applicative amministrative con le norme della C.e.d.u., nonché
la Raccomandazione R (2004) 6 del 12 maggio 2004, sul
miglioramento dei rimedi interni idonei a superare carenze sistematiche, che ha ribadito la necessità di un puntuale
adeguamento delle autorità giudiziarie nazionali alla giurisprudenza europea nell’applicaziuone del diritto interno,
onde prevenire reiterati interventi della Corte europea su
questioni identiche o analoghe.
E nella medesima prospettiva, particolarmente degna di
nota appare la recente regolamentazione della cd. “procedura di sentenza pilota”, peculiare tecnica di risoluzione dei
ricorsi cd. “ripetitivi” – ossia che originano da violazioni
analoghe inerenti a deficit strutturali – che, dapprima nata
nella prassi, ha da poco trovato un’apposita formalizzazione
Capitolo I – Tutela convenzionale
9
normativa con l’introduzione nel Regolamento della Corte
europea dei diritti dell’uomo del “nuovo” art. 61.17
Sul piano normativo interno, in una linea ideale di sostanziale continuità con la legge 15 febbraio 2005, n. 280,
che ha autorizzato la ratifica ed ha dato esecuzione al citato
Protocollo n. 14, vanno poi ricordate la l. 9 gennaio 2006,
n. 12, che ha modificato la legge n. 400 del 1988, inserendo
tra le attività del Presidente del Consiglio dei Ministri anche
il compito di «promuovere gli adempimenti di competenza
governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello Stato
italiano», prevedendo che lo stesso debba «comunica[re]
tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai
fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta[re] annualmente al parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette
pronunce»,18 nonché la modifica regolamentare (d.P.R. 28
novembre 2005, n. 289) del t.u. delle disposizioni sul casellario giudiziale (14 novembre 2002, n. 313), che ha previsto
l’iscrizione nel casellario dell’ “estratto” delle sentenze definitive adottate dalla Corte di Strasburgo nei confronti del
nostro Paese «concernenti i provvedimenti giudiziali ed amministrativi definitivi delle autorità nazionali già iscritti, di
seguito alla preesistente iscrizione cui esse si riferiscono».
In proposito, v. più diffusamente infra, par. 3.
In argomento, v. E. Lupo, La vincolatività delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo per il giudice interno e la svolta recente della
Cassazione civile e penale, in Cass. pen., 2007, p. 2247 ss., il quale (p.
2248) osserva come la prima parte di tale disposizione «prevede un compito di tenore uguale a quello già attribuito al presidente del Consiglio in
relazione alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee
(confronto tra lett. a) ed a-bis) del comma 3 dell’art. 5 della l. n. 400)».
17
18
10
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Interventi, tutti, che ribadiscono la preminenza dei principi consacrati nella C.e.d.u. e il ruolo fondamentale della
Corte di Strasburgo quale vettore della loro pratica efficacia, le cui pronunce – ormai destinate a censurare anche
le disfunzioni ordinamentali addebitabili a difetti sistemici
degli Stati parte – devono trovare puntuale ottemperanza
nell’ordinamento interno.
2. La “permeabilità” del sistema processuale penale
interno: il superamento dell’autosufficienza
La delineata trasformazione del sistema europeo di protezione dei diritti dell’uomo ha posto le basi per la dismissione
del connotato “statocentrico” della disciplina processuale,
«abbandonando secolari tradizioni di autarchia normativa
e interpretativa».19
A tal fine, l’ulteriore passaggio decisivo per il completamento del delineato iter evolutivo è stato costituito
dall’apertura del sistema processuale all’apporto di fonti di
matrice sovranazionale, con il definitivo superamento dei
limiti della sovranità statale, ben rappresentati da una rigida
gerarchia delle fonti interne.20
Già all’epoca della ratifica del testo convenzionale, gli
orientamenti più sensibili alle tematiche inerenti la protezione dei diritti umani avevano percepito che la Convenzione europea fosse «qualcosa di non assimilabile, puramente
e semplicemente, alle classiche convenzioni internazionali, per la cui immissione nell’ordinamento poteva essere
sufficiente l’altrettanto classica formuletta dell’ordine di
R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, cit.,
p. 7.
20
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 35.
19
Capitolo I – Tutela convenzionale
11
esecuzione (“piena e intera esecuzione è data alle norme
contenute nella Convenzione”)», essendo invece opportuno
riconoscerle «carattere paracostituzionale» e, dunque, inserirla nell’ordinamento attraverso «una legge costituzionale», strumento idoneo ad assicurarle «un livello effettivamente adeguato» di recepimento.21
Ciò tuttavia non è avvenuto, e la ratifica e l’ordine di
esecuzione della Convenzione di Roma sono stati effettuati
con semplice legge ordinaria.22 Dal punto di vista dell’ordinamento interno, dunque, il testo convenzionale ha assunto
il medesimo rango dell’atto di recepimento, ossia quello di
fonte del diritto di tipo primario,23 sì da non risultare preservato dall’eventuale contrasto con leggi o atti aventi forza di
legge ad essa successivi.24
M. Chiavario, Giustizia europea e processo penale, cit., p. 231.
Legge 4 agosto 1955, n. 848.
23
Corte cost., sent. 22 dicembre 1980, n. 188, in Giur. cost., 1980,
I, p. 1626; Id., sent. 10 febbraio 1981, n. 17, ivi, 1981, I, p. 87; Id.,
sent. 1° febbraio 1982, n. 15, ivi, 1982, I, p. 85, con nota di L. Carlassare, Una possibile lettura in positivo della sentenza n. 15?; Id.,
sent. 5 luglio 1990, n. 315, ivi, 1990, p. 2017; Id., sent., 22 marzo
2001, n. 73, ivi, 2001, p. 428.
24
In argomento, cfr. M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e l’ordinamento italiano, in A. Balsamo – R. E. Kostoris
(a cura di), Giurisprudenza europea, cit., pp. 36-37. Per scongiurare
tale eventualità e salvaguardarsi da possibili “regressioni di tutela”
nella legislazione statale, si sarebbe dovuto attribuire alle norme
convenzionali un “grado di resistenza” superiore a quello delle norme ordinarie interne (cfr. M. Chiavario, La Convenzione europea dei
diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale,
Milano, 1969, p. 50), ciò che, secondo taluni Autori, sarebbe derivato dal “carattere di specialità” proprio delle leggi di esecuzione dei
trattati internazionali (B. Conforti, La «specialità» dei trattati internazionali eseguiti nell’ordine interno, in Studi in onore di Balladore
21
22
12
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
L’inadeguatezza di tale impostazione25 – invero non condivisa da ampia parte della letteratura, a lungo impegnata
nel tentativo di individuare una copertura costituzionale
Pallieri, II, Milano, 1978, p. 187 ss.; G. Raimondi, La Convenzione
europea dei diritti dell’uomo nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento italiano. Nota minima a margine della sentenza Ciulla, in Riv.
int. dir. uomo, 1990, pp. 40-41). In giurisprudenza, nel senso che le
disposizioni della C.e.d.u., in quanto principi generali dell’ordinamento, godono di una particolare forma di resistenza nei confronti della legislazione nazionale posteriore, Cass., Sez. I, 12 maggio
1993, n. 2194, Medrano, in Cass. pen., 1994, p. 439, con nota di G.
Raimondi, Un nuovo status nell’ordinamento italiano per la Convenzione europea dei diritti dell’uomo; nel senso che le norme de quibus,
salvo quelle il cui contenuto sia da considerarsi così generico da non
delineare specie sufficientemente puntualizzate, sono di immediata
applicazione nel nostro Paese e vanno concretamente valutate nella
loro incidenza sul più ampio complesso normativo che si è venuto a
determinare in conseguenza del loro inserimento nell’ordinamento
italiano, Cass., Sez. Un., 23 novembre 1988, n. 15, Polo Castro, in
Giust. pen., 1990, II, p. 599; la pronuncia ha altresì precisato che la
“precettività” delle norme della Convenzione consegue dal principio
di adattamento del diritto italiano al diritto internazionale convenzionale, per cui ove l’atto o il fatto normativo internazionale contenga
il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali,
tale cioè da poter senz’altro creare obblighi e diritti, l’adozione interna del modello di origine internazionale è automatica (adattamento
automatico); ove invece l’atto internazionale non contenga detto modello, le situazioni giuridiche interne da esso imposte abbisognano,
per realizzarsi, di una specifica attività normativa dello Stato.
25
Cfr. E. Amodio, La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1967, p. 857; M. Chiavario, La Convenzione europea
dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative, cit., p. 51
ss.; G. Raimondi, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo
nella gerarchia delle fonti, cit., p. 41.
Capitolo I – Tutela convenzionale
13
alla C.e.d.u.,26 di volta in volta alla luce dei parametri di cui
agli artt. 1027, 1128 e 2 Cost.,29 nonché da un fondamentale,
Per una panoramica, G. Sorrenti, Le Carte internazionali sui diritti umani: un’ipotesi di “copertura” costituzionale a più facce,
in Pol. dir., 1997, p. 349 ss.; D. Tega, La CEDU e l’ordinamento
italiano, in M. Cartabia (a cura di), I diritti in azione, Bologna,
2007, p. 71 ss.
27
Nel senso che, in virtù del principio pacta sunt servanda, l’adattamento automatico previsto dal primo comma di tale norma dovrebbe
applicarsi a tutti i trattati internazionali, R. Quadri, Diritto internazionale pubblico, Palermo, 1949, p. 46. In una diversa prospettiva,
“contenutistica” e “parziale”, si è invece sostenuto che nella sola
parte in cui la C.e.d.u. non ha valore innovativo, ma si limita con le
sue disposizioni a codificare consuetudini internazionali o principi internazionali generalmente riconosciuti, essa rientra nell’area di
operatività dell’art. 10, comma 1 Cost., con conseguente soggezione al meccanismo dell’adattamento automatico e riconoscimento di
rango costituzionale nell’ordinamento interno (F. Cocozza, Diritto
comune delle libertà in Europa, Torino, 1994, p. 68 ss; G. Sorrenti,
La Corte corregge il giudice a quo o piuttosto…se stessa? In tema di
copertura costituzionale della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in Giur. cost., 1999,
p. 2301 ss.).
28
Nella prospettiva secondo cui la C.e.d.u. rientrerebbe tra i trattati
attraverso cui il nostro Paese acconsente alle «limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
nazioni» (P. Mori, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto
delle Nazioni Unite e Costituzione italiana, in Riv. dir. int., 1983, p.
306 ss.). Per le conseguenze di tale impostazione, in termini di “primato” delle norme europee, si v. M. Cartabia, sub Art. 11 Cost., in
R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di), Commentario alla
Costituzione, I, Torino, 2006, p. 264 ss.
29
Concependo tale norma come “clausola aperta”, grazie alla quale il
riconoscimento costituzionale è accordato non solo ai menzionati «diritti
inviolabili», ma anche ai diritti riconosciuti dalle Convenzioni interna26
14
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
quanto isolato, intervento dello stesso Giudice delle leggi30
– è stata definitivamente superata dopo la modifica apportata all’art. 117 Cost. dalla riforma del titolo V della Carta
fondamentale.31
Muovendo dalla statuizione di cui al comma 1 di tale
disposizione, secondo cui «la potestà legislativa è esercitata
nel rispetto degli obblighi internazionali», la Corte costituzionale con due pronunce epocali, le “sentenze gemelle” n.
348 e 349 del 2007,32 ha riconosciuto alle previsioni della
zionali sui diritti umani (A. Barbera, sub Art. 2 Cost., in G. Branca,
Commentario della Costituzione. Principi fondamentali. Artt. 1-12, Bologna-Roma, 1975, p. 80 ss.).
30
Corte cost., sent. 19 gennaio 1993, n. 10, in Cass. pen., 1993, p. 796,
che ha affermato la natura di “fonte atipica” della Convenzione europea, dotata di una efficacia normativa potenziata rispetto allo strumento legislativo di recepimento e, come tale, connotata da una particolare
forma di resistenza rispetto alla abrogazione o modificazione ad opera
di disposizioni di legge ordinaria. In senso critico su tale affermazione,
giudicata «dogmaticamente non ineccepibile», G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre” della Corte costituzionale e alcune discutibili reazioni, ivi, 2012, p. 19, nonché E. Lupo, Il diritto dell’imputato straniero
all’assistenza dell’interprete tra codice e convenzioni internazionali,
in Giur. cost., 1993, p. 73, che la reputa «oscura ed equivoca».
31
Art. 3, l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3. In argomento, v. B. Conforti,
Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto
degli obblighi internazionali e comunitari, in Foro it., 2002, V, p. 229
ss.
32
Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, in Giur. cost., 2007, p.
3475, con note di C. Pinelli, Sul trattamento giurisdizionale della
CEDU e delle leggi con essa confliggenti, e di A. Moscarini, Indennità
di espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti (e uno
indietro) della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo; Id., sent. 22 ottobre 2007, n. 349, ivi, 2007, p. 3535,
con note di M. Cartabia, Le sentenze «gemelle»: diritti fondamentali,
Capitolo I – Tutela convenzionale
15
C.e.d.u., come interpretate dalla Corte di Strasburgo, il rango di c.d. “norme interposte”, collocandole nella gerarchia
delle fonti del diritto ad un livello inferiore rispetto alla Costituzione e superiore rispetto alla legge ordinaria.33 Con la
fonti, giudici, di A. Guazzarotti, La Corte e la CEDU: il problematico
confronto di standard di tutela alla luce dell’art. 117, comma 1, Cost. e
di V. Sciarabba, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra
fonti e corti nazionali ed internazionali.
33
L’orientamento è stato di seguito confermato da Corte cost., sent.
27 febbraio 2008, n. 39, in Giur. cost., 2008, p. 408; Id., sent. 26
novembre 2009, n. 311, ivi, 2009, p. 4657, con nota di M. Massa,
La «sostanza» della giurisprudenza europea sulle leggi retroattive;
Id., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, ivi, 2009, p. 4747, con note di
G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, e di F. Bilancia, Con
l’obiettivo di assicurare l’effettività degli strumenti di garanzia la
Corte costituzionale italiana funzionalizza il «margine di apprezzamento» statale, di cui alla giurisprudenza CEDU, alla garanzia
degli stessi diritti fondamentali; Id., sent. 12 marzo 2010, n. 93,
ivi, 2010, p. 1053, con note di A. Gaito – S. Furfaro, Consensi
e dissensi sul ruolo e sulla funzione della pubblicità delle udienze
penali, e di F. Licata, Il rito camerale di prevenzione di fronte ai
diritti fondamentali; Id., sent. 15 aprile 2010, n. 138, ivi, 2010, p.
1604, con nota di R. Romboli, Il diritto «consentito» al matrimonio
e il diritto «garantito» alla vita familiare per le coppie omosessuali
in una pronuncia in cui la Corte dice «troppo» e «troppo poco»; Id.,
sent. 28 maggio 2010, n. 187, ivi, 2010, p. 2212; Id., sent., 4 giugno
2010, n. 196, in Foro it. 2010, I, p. 2306; Id., sent. 5 gennaio 2011,
n. 1, in Giur. cost., 2011, p. 1, con nota di P. Carnevale, La tutela
del legittimo affidamento…cerca casa; Id., sent. 12 gennaio 2011,
n. 11, ivi, 2011, p. 101; Id., sent. 7 aprile 2011, n. 113, in Guida
dir., 2011, n. 17, p. 44, con note di P. Gaeta, Al decisore interno la
singola valutazione sul grado di “contaminazione” delle prove, e
M. Castellaneta, Grande impatto sull’attuale gerarchia delle fonti.
Sulla perdurante validità di questa ricostruzione dopo l’entrata in
16
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
conseguenza che, essendo, come detto, alla luce dell’art.
117, comma 1 Cost., il legislatore italiano tenuto a rispettare i «vincoli derivanti […] dagli obblighi internazionali»,
il giudice nazionale deve interpretare il diritto interno in
senso conforme alla disciplina sovranazionale, nel limite
massimo consentito dal testo della legge domestica e nel rispetto degli indirizzi ermeneutici della Corte di Strasburgo.
Nell’eventualità di un contrasto tra le due normative, a differenza di quanto consentito per la disciplina comunitaria,
non può egli disapplicare la legge interna, ma è tenuto ad
investire della questione la Corte costituzionale, chiamata
ad effettuare un duplice vaglio di compatibilità: della normativa nazionale con quella pattizia, pervenendo in caso di
esito negativo ad una declaratoria di illegittimità della prima
con riferimento al parametro contenuto all’art. 117, comma
1 Cost.; della legge sovranazionale con la Costituzione,34
vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, Id., sent. 11
marzo 2011, n. 80, in Riv. dir. int., 2011, n. 2, p. 578. In generale,
sull’argomento, si v. pure M. Bignami, L’interpretazione del giudice
comune nella «morsa» delle corti sovranazionali, ivi, 2008, p. 595;
M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.,
p. 33 ss.; R. Cisotta, Trattati internazionali, diritto comunitario e
strumenti di protezione dei diritti umani davanti alla Corte costituzionale italiana, in Pace diritti umani, 2007, p. 87; B. Piattoli, Diritto giurisprudenziale Cedu, garanzie europee e prospettive
costituzionali, in Dir. pen. proc., 2008, p. 262; P. Tonini, Processo
penale e norme internazionali, cit., p. 417. Per un inquadramento
della tematica anteriore alle pronunce della Consulta, v. M. Luciani,
voce Fonti del diritto, in Il Diritto, Enciclopedia giuridica del Sole
24 Ore, Milano, 2008, VI, p. 482.
34
Come osserva P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, Bologna, 2012, p. 209,
«bene ha fatto la Consulta a riservarsi il giudizio sulla compatibilità
delle norme sovranazionali rispetto alla Costituzione; altrimenti si sa-
Capitolo I – Tutela convenzionale
17
comportando l’eventuale contrasto l’inidoneità della norma
convenzionale a integrare il parametro costituzionale invocato, nonché la sua espunzione dall’ordinamento giuridico
italiano, attraverso la dichiarazione di illegittimità in parte
qua della legge di esecuzione.35
rebbe giunti al paradosso di dichiarare illegittima, per contrasto con la
Convenzione, una disposizione di legge ordinaria non solo compatibile
con la Costituzione, ma addirittura da essa imposta».
35
Il delineato assetto delle fonti pare, peraltro, suscettibile in futuro di
ulteriori evoluzioni a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (avvenuta il 1° dicembre 2009), che ha modificato l’art. 6 del
Trattato sull’Unione Europea, ponendo la base giuridica per un’adesione
dell’Unione Europea alla C.e.d.u. quale Alta Parte Contraente (art. 6,
comma 2: «L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»; comma 3:
«i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti
dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del
diritto dell’Unione in quanto principi generali»). Ciò, com’è evidente,
avrebbe rilevanti ripercussioni quanto a “comunitarizzazione” dei principi sanciti nel testo convenzionale, con conseguente diretta applicabilità
degli stessi negli ordinamenti nazionali e possibile disapplicazione della normativa interna con essi confliggente. Queste sono le conclusioni
cui è già pervenuta parte della giurisprudenza amministrativa che, nel
precisare come il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia
desumibile dagli artt. 24 Cost. e 6 e 13 C.e.d.u., ha affermato che questi
ultimi sono ormai «divenuti direttamente applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta dal Trattato
di Lisbona» (Cons. St., sez. IV, sent. 19 gennaio 2010, n. 1220, in Guida
dir., 2010, n. 14, p. 88 ss., con nota di G. Colavitti – C. Pagotto, La
diretta applicazione del Trattato di Lisbona garantisce la tutela effettiva del ricorrente). Sulla stessa linea interpretativa, si è successivamente
statuito che la gerarchia delle fonti delineata dalla Corte costituzionale
nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007 «appare destinata a nuovi e ancor
più incisivi sviluppi a seguito dell’entrata in vigore […] del Trattato di
18
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Evidente la portata “rivoluzionaria” di tale arresto36 che,
attribuendo alle norme convenzionali, nell’interpretazione datane dal diritto vivente della Corte europea, il valore
di fonti integratrici del parametro di costituzionalità di cui
all’art. 117, comma 1 Cost., non solo fa assurgere il diritto convenzionale a canone di valutazione della legittimità
del diritto processuale penale interno, ma annovera espres-
Lisbona»: «l’adesione dell’Unione alla CEDU, con la modifica dell’art.
6 del Trattato» comporta, infatti, il «riconoscimento dei diritti fondamentali sanciti dalla CEDU come principi interni al diritto dell’Unione»,
con «immediate conseguenze di assoluto rilievo» poiché «le norme della
Convenzione divengono immediatamente operanti negli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione, e quindi nel nostro ordinamento nazionale,
in forza del diritto comunitario, e quindi in Italia ai sensi dell’art. 11 della
Costituzione, venendo in tal modo in rilievo l’ampia e decennale evoluzione giurisprudenziale che ha, infine, portato all’obbligo, per il giudice
nazionale, di interpretare le norme nazionali in conformità al diritto comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario, previa eventuale pronuncia
del giudice comunitario, ma senza dover transitare per il filtro dell’accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno» (T.A.R. Lazio,
sez. II bis, 18 maggio 2010, n. 11984, in www.giustizia-amministrativa.
it; in argomento, in dottrina si v. A. Gaito, L’adattamento del diritto
interno alle fonti europee, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2010,
p. 39 ss.). Tali “fughe in avanti” della giurisprudenza sono state, tuttavia,
smentite dal Giudice delle leggi che, con la sentenza 11 marzo 2011, n.
80, cit., ha escluso che il nuovo testo dell’art. 6 TUE, come sostituito
dal trattato di Lisbona, implichi l’immediata “comunitarizzazione” della
C.e.d.u., risultando prematura nelle more dell’adesione dell’U.E. al testo
convenzionale, tale conclusione.
36
Di «vera e propria “rivoluzione d’ottobre” nell’ordinamento giuridico del nostro Paese», in virtù di una singolare coincidenza di date con
la rivoluzione sovietica del 1917, parla G. Ubertis, La “rivoluzione
d’ottobre”, cit., p. 19.
Capitolo I – Tutela convenzionale
19
samente in esso anche l’interpretazione che di quel diritto
fornisce la giurisprudenza europea.
Si verifica, insomma, un ampliamento del sindacato di
costituzionalità che, varcando i confini della Grundnorm
domestica, si estende – con conseguente potenziale ulteriore “permeabilità” delle disposizioni processuali penali
interne – non solo ai principi testualmente consacrati nella
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma anche alle
molteplici e poliedriche interpretazioni che di essi la Corte
di Strasburgo ha nel corso degli anni forgiato.37 Ciò sulla
base della premessa espressamente dichiarata che «le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte EDU», di tal ché «la verifica di
compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come
prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e
per sé considerata».38
Come efficacemente osserva V. Manes, Introduzione, cit., p. 7, ci si
trova così di fronte ad una Carta «singolarmente “ipertestuale”», posto
che «l’articolato della Convenzione – piuttosto essenziale e “scarno”
nella sua formulazione – va letto alla luce della ricchissima giurisprudenza della Corte di Strasburgo».
38
Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, cit. Il principio di incorporazione delle interpretazioni giurisprudenziali alla Convenzione è già
esplicitato nella risalente pronuncia Corte e.d.u., 18 gennaio 1978, Irlanda c. Regno Unito, § 154, ed è ripreso nelle più recenti Corte e.d.u.,
30 maggio 2000, Carbonara e Ventura c. Italia, § 48, e Id., 27 marzo
2003, Scordino c. Italia, secondo cui «Article 6 of the Convention makes it possible to transfer to domestic level “the limits of applicability
of the same provision existing at International level, limits which depend essentially on the State and on the development of the case-law
of the Strasbourg authorities, especially that of the European Court of
Human Rights, whose decisions must therefore guide […] the domestic
court in the definition of these limits”».
37
20
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Prospettiva, questa, che se dal punto di vista della coerenza tutta interna al sistema convenzionale può avere una
sua ragion d’essere, presenta tuttavia non trascurabili profili
di criticità nel momento in cui si ripercuote anche all’ambito dei rapporti di questo con l’ordinamento interno.
Vero è, infatti, come osserva lo stesso Giudice delle leggi, che gli Stati parte hanno riconosciuto alla Corte europea
una «funzione interpretativa eminente», che contribuisce a
precisare gli obblighi sugli stessi gravanti nella specifica
materia della tutela dei diritti umani,39 come del resto dimostra il tenore dell’art. 32, comma 1 C.e.d.u., che configura
la Corte di Strasburgo quale garante della «definitiva uniformità di applicazione» del testo convenzionale e dei suoi
protocolli, spettando ad essa l’ultima parola.40 Ruolo, indubbiamente, reso ancora più pregnante dalla significativa
evoluzione dianzi descritta del sistema di tutela convenzionale, che ha attribuito maggiore vincolatività ed efficacia
alle pronunce di tale organo.41
Così come, parimenti innegabile è che l’eventuale dubbio, derivante da tale impostazione, in ordine alla lesione
del principio di legalità processuale ex art. 111, comma 1
Cost. pare potersi fugare considerando che detto canone è
sancito dalla stessa C.e.d.u.,42 che tuttavia non lo àncora
imprescindibilmente alla esistenza di una legge formale,
Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, cit.
Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 349, cit.
41
Sul punto, cfr. G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre”, cit., p. 21.
42
Corte e.d.u., 22 giugno 2000, Coëme e altri c. Belgio, § 102, secondo
cui «the principle that the rules of criminal procedure must be laid
down by law is a general principle of law. It stands side by side with
the requirement that the rules of substantive criminal law must likewise
be established by law and is enshrined in the maxim “nullum judicium
sine lege”». 39
40
Capitolo I – Tutela convenzionale
21
ben potendo essere assicurato anche da una fonte di matrice
giurisprudenziale, purché però “certa” e “prevedibile”.43
Restano tuttavia, in ogni caso, talune difficoltà rispetto
ai «principi generali in tema di legge, giurisdizione e giudicato», come più attente letture non hanno mancato di evidenziare.44
In primis, quella inerente allo stesso «sistematico richiamo alle disposizioni della C.E.D.U. come interpretate dalla
Corte europea». Non possono, infatti, essere trascurate le
peculiarità del giudizio innanzi al Giudice di Strasburgo,
eminentemente focalizzato sul singolo caso sottoposto al
suo esame, sicché «la lettura della Convenzione svolta dai
giudici europei è inevitabilmente funzionale alle peculiarità
della fattispecie, in un gioco di reciproco condizionamento
tra caso e legge»: conseguentemente, «è estremamente rischioso proiettarla fuori dal contesto, convertendola di fatto
in una formula legislativa».
Per quanto, dunque, sia incontestabile che le disposizioni
della C.e.d.u. vivano nella interpretazione che di esse dà la
Corte europea, «la forza vincolante di quanto asserito nelle
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 37.
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 210. Sul tema, si v. altresì,
Id., L’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
e il preteso monopolio della Corte di Strasburgo, in Proc. pen. giust.,
2012, n. 4, p. 116 ss.; Id., Il contraddittorio nella formazione della
prova tra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
in R. Gambini – M. Salvadori (a cura di), Convenzione europea sui
diritti dell’uomo: processo penale e garanzie, Napoli, 2009, p. 62 ss.;
Id., Il contraddittorio nella formazione della prova a dieci anni dalla
sua costituzionalizzazione: il progressivo assestamento della regola
e le insidie della giurisprudenza della Corte europea, in Arch. pen.,
2008, n. 3, p. 27 ss.; Id., Il giudizio penale: fatto e valore giuridico, in
Aa. Vv., La prova nel dibattimento penale, Torino, 2010, p. 406 ss.
43
44
22
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sue sentenze non dovrebbe superare il limite segnato dalla
singola controversia»: «a differenza della Corte costituzionale, la Corte europea non è giudice delle leggi; si limita ad
accertare se in un determinato processo vi sia stata o no violazione della normativa convenzionale e solo in quel contesto decisorio i suoi assunti sono costrittivi». Nessun vincolo giuridico dunque – se non quello del testo della legge
e della ragionevolezza – può sussistere per i giudici costituzionali e ordinari nell’interpretazione della Convenzione,
i quali, anzi, possono anche – in caso di ritenuta erroneità
o censurabilità – discostarsi dagli orientamenti della Corte
di Strasburgo, motivando il diverso convincimento: invero,
«il parametro sulla cui base si valuta la correttezza dell’atto
interpretativo è quello della ragione e non della conformità
all’indirizzo di un organo di vertice».45
L’interpretazione della legge in funzione applicativa, infatti, non è un qualcosa di meccanico, bensì atto che può
implicare delle «scelte, anche di valore, con inevitabile
soggettivismo», svolgendosi «nella tensione di due opposti
valori»: «il pluralismo interpretativo e la libertà di convincimento del giudice», da un lato, «la certezza del diritto e la
sua uniforme applicazione», dall’altro.46
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 210-211, il quale osserva
anche come l’esegesi del Giudice delle leggi abbatta «la frontiera tra la
legge e la sua interpretazione, tra potere legislativo e giurisdizionale;
e lo stesso contraddittorio rischia di vanificarsi, perché il diritto delle
parti di interloquire e argomentare su ogni questione di diritto si riduce
sensibilmente se il giudice del loro processo è comunque vincolato
all’interpretazione altrove formalizzata dalla Corte europea».
46
P. Ferrua, L’interpretazione della Convenzione europea, cit., p.
117.
45
Capitolo I – Tutela convenzionale
23
Una diversa impostazione, finirebbe con l’abbattere la
frontiera esistente tra la legge e la sua interpretazione, tra
il potere legislativo e quello giurisdizionale, risultando inesorabilmente in contrasto con il principio di soggezione
del giudice alla sola legge consacrato all’art.101, comma 2
Cost., volto appunto ad escludere che «i precedenti abbiano
valore vincolante», e dunque, «che i giudici abbiano l’obbligo di seguirli».47
In questa prospettiva, si è inoltre evidenziata un’attenuazione del rigore del principio inizialmente sancito da parte
della stessa Corte costituzionale, che recentemente, manifestando la sua adesione alla cd. dottrina del “margine di
apprezzamento nazionale”, pur ribadendo l’impossibilità di
una sostituzione della propria interpretazione delle disposizioni convenzionali a quella della Corte europea – dovendo,
dunque, le norme della C.e.d.u. essere applicate nel significato loro attribuito da tale organo giurisdizionale – ha tuttavia rivendicato a sé il potere di «valutare come ed in qual
misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea
si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano», ossia
di «apprezzare la giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente, in modo da rispettarne la sostanza, ma
con un margine di apprezzamento e di adeguamento che
le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata ad
inserirsi».48
Così ancora P. Ferrua, L’interpretazione della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, cit., pp. 118-119, che ricorda quanto affermato da
R. Guastini, sub Art. 101 Cost., in G. Branca – A. Pizzorusso (a cura
di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1994, p. 191.
48
Corte cost., sent. 22 luglio 2011, n. 236, in Giur. cost., 2011, p. 3021;
Id., sent. 25 luglio 2011, n. 345, ivi, 2011, p. 3131, ha tuttavia precisato
47
24
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
La critica alla forza vincolante delle interpretazioni della
Corte europea è stata avversata da altri autorevoli orientamenti dottrinari, che hanno al riguardo evidenziato come la
stessa trascuri la circostanza che le pronunce del Giudice
di Strasburgo possono «vertere su comportamenti non solo
di per sé illegittimi, bensì pure eventualmente affetti da cosiddetti “vizi normativi”, cioè “addebitabili ai dettami della
normativa interna, e non conseguenti alla sua erronea applicazione, [per cui la Corte europea] si comporta più come un
giudice delle leggi che come giudice del caso concreto»,49
sì da far apparire un «autentico luogo comune» la tesi che
vorrebbe l’efficacia delle sentenze della Corte europea limitata al caso concreto,50 come del resto dimostrerebbe la
concezione della cd. “cosa giudicata interpretata”, postulante l’estensione dell’effetto delle sentenze della Corte di
Strasburgo oltre i confini dello Stato cui di volta in volta
direttamente si riferiscono.51
che «il margine di apprezzamento riservato agli Stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica
e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione».
49
G. Ubertis, La “rivoluzione d’ottobre”, cit., p. 21.
50
F. Viganò, Le Sezioni Unite rimettono alla Corte costituzionale l’adeguamento del nostro ordinamento ai principi sanciti dalla
Corte EDU nella sentenza Scoppola, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/4-/55-/-/1699-le_sezioni_unite_rimettono_alla_
corte_costituzionale_l___adeguamento_del_nostro_ordinamento_ai_
principi_sanciti_dalla_corte_edu_nella_sentenza_scoppola/, p. 3.
51
Non esita a definire tale tesi – elaborata dalla dottrina internazionalistica belga – una “stravaganza concettuale”, una “fumisteria verbale”, P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 212-213, il quale osserva
che la supposta autorità di “cosa giudicata interpretata” «si esplica,
per l’appunto, nell’ambito della ‘cosa giudicata’, ossia della contro-
Capitolo I – Tutela convenzionale
25
Proprio su tale scia si è di recente mossa la Corte di legittimità che, nel rimettere alla Consulta la questione di costituzionalità degli artt. 7 e 8 del d.l. 24 novembre 2000,
n. 341 (conv. in l. 19 gennaio 2001, n. 4), in riferimento
agli artt. 3 e 117, comma 1 Cost., quest’ultimo in relazione
all’art. 7 C.e.d.u., ha fatto affermazioni di estremo rilievo in
tema di evoluzione funzionale del ruolo del Giudice europeo ed efficacia delle sue pronunce.52
versia decisa. Oggetto di giudizio e, quindi, di giudicato è la violazione o no delle regole convenzionali in un determinato processo, non la
loro interpretazione, che si ricava più o meno esplicitamente solo dalla
motivazione. L’idea di estendere il giudicato anche all’interpretazione
della legge, proiettandola fuori dal contesto in cui si è svolta, non ha
alcun fondamento giuridico; né si può pensare di naturalizzarla con
l’inusitata categoria del ‘giudicato interpretativo’ o con altre fumisterie
verbali».
52
Cass., Sez. Un., ord. 19 aprile 2012, n. 34472, Ercolano, in C.E.D.
Cass., n. 252933-4, che ha sollevato la questione di legittimità delle
citate disposizioni nella parte in cui «operano retroattivamente e, più
specificamente, in relazione alla posizione di coloro che, pur avendo
formulato richiesta di giudizio abbreviato nella vigenza della sola legge n. 479 del 1999, sono stati giudicati successivamente, quando cioè
– precisamente dal pomeriggio del 24 novembre 2000 – era entrato in
vigore il decreto legge in questione, con conseguente applicazione del
più sfavorevole trattamento sanzionatorio da esso previsto, ritenendosi impraticabile un’interpretazione di tale normativa interna in senso
conforme all’art. 7 C.e.d.u., come interpretato dalla Corte di Strasburgo. L’ordinanza trae origine dalla delicata questione inerente la sorte
dei condannati all’ergastolo in casi identici o analoghi a quello deciso
dalla Corte di Strasburgo con la sentenza della Grande Camera, 17
settembre 2009, Scoppola c. Italia (su cui v., infra, Cap. III, par. 3) non
aventi tempestivamente adito l’organo giudiziario europeo e, dunque,
privi di un favorevole giudicato sovranazionale sulla cui base invocare – sulla scorta dei principi affermati da Corte cost., sent. n. 113 del
26
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Partendo dalla premessa assai significativa per cui «la
giurisprudenza della Corte EDU, originariamente finalizzata alla soluzione di specifiche controversie relative a casi
concreti, si è caratterizzata nel tempo “per una evoluzione
improntata alla valorizzazione di una funzione paracostituzionale di tutela dell’interesse generale al rispetto del diritto oggettivo”», la Cassazione è giunta ad affermare che
le sentenze della Corte europea che accertino violazioni
convenzionali di carattere strutturale o sistemico dell’ordinamento dello Stato convenuto, non hanno un’efficacia
limitata al singolo caso considerato, ma impongono allo
Stato di rimuovere gli effetti ancora perduranti della violazione riscontrata anche «nei confronti di coloro che, pur
non avendo proposto ricorso a Strasburgo, si trovano in
una situazione identica a quella oggetto della decisione
adottata dal giudice europeo» nel caso concreto (il corsivo
è nostro).
E ciò in quanto, «di fronte a pacifiche violazioni convenzionali di carattere oggettivo e generale, già in precedenza
2011 – la riapertura del processo innanzi al giudice italiano. Tematica,
all’evidenza, di estrema complessità e importanza, involgendo il tema
dell’incidenza sul dictum definitivo interno delle sentenze emesse dalla Corte europea con riferimento ad altra vicenda processuale identica
o analoga a quella in questione (in dottrina, sullo specifico tema, si v. F.
Viganò, Figli di un dio minore? Sulla sorte dei condannati all’ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte edu in Scoppola c. Italia,
in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1334052870Figli%20
di%20un%20dio%20minore%20def.pdf; G. Romeo, L’orizzonte dei
giuristi e i figli di un dio minore, in http://www.penalecontemporaneo.
it/upload/1334557367Romeo%20orizzonte%20giuristi.pdf; F. Viganò, Giudicato penale e tutela dei diritti fondamentali. in http://www.
penalecontemporaneo.it/upload/1334736069Vigano%20replica%20
Scoppola.pdf
Capitolo I – Tutela convenzionale
27
stigmatizzate in sede europea, il mancato esperimento del
rimedio di cui all’art. 34 CEDU (ricorso individuale) e la
conseguente mancanza, nel caso concreto, di una sentenza
della Corte EDU cui dare esecuzione non possono essere di
ostacolo ad un intervento dell’ordinamento giuridico italiano, attraverso la giurisdizione, per eliminare una situazione di illegalità convenzionale, anche sacrificando il valore
della certezza del giudicato, da ritenersi recessivo rispetto
ad evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona».
La preclusione, quale effetto proprio del giudicato, dunque – conclude la Corte – «non può operare allorquando
risulti pretermesso, con effetti negativi perduranti, un diritto fondamentale della persona», imponendosi in questi
casi «di emendare “dallo stigma dell’ingiustizia” una tale
situazione», anche a costo di sacrificare il “dogma del
giudicato”.53
La Corte di legittimità – si noti bene – ha cura di precisare che tale
conclusione trova il suo presupposto in una censura di unfairness che
affondi le sue radici in una violazione sistematica e strutturale dell’ordinamento dello Stato convenuto. Come, infatti, si legge nella motivazione della sentenza, solo «l’esecuzione di una pena ritenuta oggettivamente e quindi ben al di là (il corsivo è nostro) della species facti,
illegittima dall’interprete autentico della CEDU» può porre in crisi il
dogma del giudicato, pena «una patente violazione del principio di parità di trattamento tra condannati che versano in identica posizione».
«Diverso è il caso» – aggiunge la Corte – «di una pena rivelatasi illegittima, esclusivamente perché inflitta all’esito di un giudizio ritenuto
dalla Corte EDU non equo, ai sensi dell’art. 6 CEDU: in questa ipotesi,
l’apprezzamento, vertendo su eventuali errores in procedendo e implicando valutazioni strettamente correlate alla fattispecie specifica, non
può che essere compiuto caso per caso, con l’effetto che il giudicato
interno può essere posto in discussione soltanto di fronte a un vin53
28
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
3. (segue) Verso un “Giudice delle leggi” europeo?
La Corte di legittimità, dunque, pare farsi interprete particolarmente sensibile – e “recettivo” – dei mutamenti di
assetto dei rapporti tra ordinamento interno ed europeo,
compiendo affermazioni autenticamente dirompenti per il
potenziale impatto sistematico.
Alla riaffermazione del primato della Corte europea quale
interprete ultimo ed autentico dei diritti sanciti dalla C.e.d.u.,
essa aggiunge la “consacrazione” del riconoscimento del
ruolo “paracostituzionale” della stessa nella tutela di tali diritti, cui consegue la correlativa postulata esigenza di una
“vis espansiva” del giudicato sovranazionale di accertamento di una violazione convenzionale strutturale, il cui ovvio
corollario sarebbe una notevole estensione degli obblighi di
adeguamento interni, con conseguente ulteriore erosione della (già intaccata) area di stabilità del giudicato nazionale.
Pertanto, un interrogativo che in passato sarebbe stato improponibile, appare invece ora acquisire spessore: la
Corte di Strasburgo sta mutando la sua fisionomia a tal punto da essere avviata a diventare una sorta di “giudice delle
leggi” europeo?54
colante dictum della Corte di Strasburgo sulla medesima fattispecie»
(analogamente, Cass., sez. I, 18 gennaio 2011, n. 6559, Raffaelli, in
C.E.D. Cass., n. 249328, che ha escluso la riapertura del processo con
riferimento ad un’asserita violazione del contraddittorio nel giudizio
innanzi alla Corte di legittimità analoga a quella censurata dalla Corte
europea in altro procedimento. Per un commento della pronuncia, si
v. M. Gialuz, Esclusa la riapertura del processo in assenza di una
pronuncia della Corte di Strasburgo, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/4-/54-/-/450-esclusa_la_riapertura_del_processo_
in_assenza_di_una_pronuncia_della_corte_di_strasburgo/).
54
La questione inerente la pretesa vocazione alla constitutional justi-
Capitolo I – Tutela convenzionale
29
Non v’è dubbio che con riferimento alla Corte “primigenia” tale quesito non avrebbe avuto alcun senso.
Vero è che come giudice dell’osservanza del rispetto, ad
opera degli Stati parte, dei diritti e delle libertà fondamentali consacrati nella Convenzione, la Corte e.d.u. – ferma
restando la diversità di contesto istituzionale55 – risulta ince del Giudice europeo è stata ampiamente dibattuta dalla letteratura
straniera. In proposito, ex plurimis, si v. I. Cameron, Protocol 11 to
the European Convention of Human Rights: the European Court of
Human rights as a Constitutional Court?, in Yearbook of European
Law, 1995, p. 219 ss.; L. Favoreu, Les Cours de Luxembourg e de
Strasbourg ne sont pas de cours constitutionnelles, in Melanges en
l’honneur de Louis Dubouis, Dalloz, 2002, p. 35 ss.; J. F. Flauss, La
Cour européenne des droits de l’homme est-elle une cour constitutionnelle?, in Revue Française de droit constitutionnel, 1998, p. 711
ss.; R. Harmsen, The European Court of human rights as a Constitutional Court, Definitional debates and Dynamic of Reform, in J.
Morison – K. McEvoy (a cura di), Transition and Human Rights,
Oxford University Press, 2007, p. 33 ss.; L. Whildaber, A constitutional future for the European Court of Human Rights, in Human
Rights Law Journal, 2002, p. 161 ss.; A. Stone Sweet, Sur la Constitutionnalisation de la Convention europeenne des droits de l’homme:
cinquante ans après son installation. La Cour européenne des droits
de l’homme conçue comme une cour constitutionnelle, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, 2009, p. 924 ss.
55
Il contesto istituzionale del Consiglio d’Europa, nel cui ambito opera
la Corte di Strasburgo, non può in alcun modo essere comparato alla
“forma di governo” che fa da sfondo all’esercizio delle funzioni delle
Corti costituzionali nazionali: l’Assemblea parlamentare non è paragonabile ai parlamenti statali, non essendo titolare di alcuna funzione legislativa classicamente intesa; il Comitato dei Ministri può esser definito
solo impropriamente un organo esecutivo, mancando un indirizzo politico all’interno del sistema della C.e.d.u., la cui unica missione è quella di
garantire all’interno dei Paesi membri la tutela dei diritti umani; la Corte
europea non ha alcuna competenza a valutare la conformità delle attivi-
30
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
vestita di una funzione assimilabile a quella delle Corti costituzionali nazionali, che mirano ad assicurare il rispetto
dei diritti e delle libertà garantiti dalla Carta fondamentale;
tuttavia, in passato, l’impossibilità di un accostamento tra
i due organi sarebbe derivata da una diversità “ontologica”
insuperabile: a differenza di quanto accade in altri Paesi,56
la nostra Corte costituzionale si configura come “giudice
delle leggi”, id est come organo che esercita un sindacato di legittimità costituzionale su norme prodotte da organi legislativi, risultando preclusa qualunque via di accesso
“diretta” ad essa da parte degli individui che avanzano una
domanda di giustizia; la Corte europea, invece, tradizionalmente si è configurata come giudice non “delle leggi”, bentà, dei rapporti e delle raccomandazioni dell’Assemblea e del Comitato
dei Ministri; per la modifica del testo convenzionale, inoltre, si richiede
l’unanimità degli Stati contraenti, ciò che – dato l’altissimo numero degli stessi – ne rende improbabile la realizzazione e segna un’ulteriore,
rilevante differenza rispetto ai Giudici delle leggi statali, la cui interpretazione dei parametri costituzionali può essere superata attraverso revisioni costituzionali (O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei
diritti dell’uomo e la Corte di giustizia nella prospettiva della giustizia
costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/
pdf/documenti_forum/paper/0206_pollicino_sciarabba.pdf, pp. 3-4).
56
È il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Recurso de amparo è direttamente attivabile dall’interessato – di regola previo esaurimento dei
rimedi giudiziali ordinari – innanzi al Tribunal Constitucional, onde
tutelare i diritti e le libertà fondamentali consacrati agli artt. 14-29 della Costituzione contro possibili violazioni ad opera dei pubblici poteri (in argomento, cfr. C. D. Delgado Sancho, El recurso de amparo,
Gomylex, 2012; M. Hérnandez Ramos, El nuevo trámite de admisíon
del recurso de amparo constitucional, Reus S. A., 2009; F. Fernandez
Segado, La reforma del régimen jurídico-procesal del recurso de amparo, Dykinson, 2007; nella dottrina italiana, S. Marcolini, voce Processo penale spagnolo, in Enc. dir., Annali II, tomo I, Milano, 2009,
p. 782).
Capitolo I – Tutela convenzionale
31
sì “dei casi” specifici sottoposti al suo esame direttamente
dai singoli individui che si ritengano vittime di violazioni
convenzionali.57
Il quesito iniziale, tuttavia, acquista significato e pregnanza alla luce dell’evoluzione che – in particolare nell’ultimo decennio – ha connotato la giurisdizione di Strasburgo, il cui ruolo tradizionale di “giudice dei singoli casi” è
progressivamente andato sbiadendo, in parallelo con una
tendenza “espansiva” del sindacato europeo.
È quanto si è verificato in ragione della progressiva,
sempre più approfondita attenzione rivolta all’analisi delle
legislazioni nazionali,58 sfociata a partire dal 2004 nella via
via più frequente rilevazione da parte della Corte europea
di situazioni interne di portata generale, “difetti sistemici e
strutturali” dell’ordinamento, causa diretta del vulnus convenzionale, con conseguente indicazione talora anche nel
dispositivo della sentenza – e, dunque, nella parte precettiva della stessa, con correlativa efficacia vincolante – dei
rimedi da adottare per rimuovere la rilevata disfunzione sistemica nell’ordinamento interno.59
M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo nel processo
penale, in A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza
europea, cit., p. 28.
58
Come ricorda M. Chiavario, op. ult. cit., p. 29, ben evidenziata dalla
regola della necessaria presenza in ogni collegio giudicante del giudice
rappresentativo dello Stato convenuto in seno alla Corte.
59
Emblematica, con riferimento al nostro Paese, Corte e.d.u., sent.
10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, nel cui dispositivo la Corte
così afferma: «there has been a violation of Article 6 of the Convention»; «the above violation has originated in a systemic problem connected with the malfunctioning of domestic legislation and
practice caused by the lack of an effective mechanism to secure the
right of persons convicted in absentia – where they have not been
informed effectively of the proceedings against them and have not
unequivocally waived their right to appear at their trial – to obtain
a fresh determination of the merits of the charge against them by a
57
32
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Evoluzione ulteriormente sottolineata e portata a compimento dall’adozione della cd. tecnica delle “sentenze pilota”, particolare procedura che, ispirata ad un evidente scopo
deflattivo del contenzioso pendente innanzi al Giudice di
Strasburgo – evitare l’intasamento da “ricorsi ripetitivi”,
ossia inerenti a violazioni analoghe originate da difetti sistemici – consente alla Corte di “selezionare” uno o più di
tali ricorsi (rinviando gli altri), addivenendo così ad una definizione degli stessi che, individuando all’interno dell’ordinamento nazionale la disfunzione a base della violazione, fornisca chiare indicazioni al Paese convenuto circa le
modalità di eliminazione della stessa, incentivandolo anche
eventualmente alla creazione di vie di ricorso interne idonee
a far fronte alla domanda di giustizia a livello domestico.
Chiaro l’effetto: lungi dal limitarsi a considerare la singola specie facti oggetto di ricorso, il Giudice europeo cerca
invece di giungere ad una soluzione che, estendendosi al di
là di essa, possa valere da criterio risolutivo dei casi simili,
originati dalla medesima disfunzionalità ordinamentale.
Ed è particolarmente degna di nota – proprio nella prospettiva qui considerata del mutamento di fisionomia del
Giudice europeo – la circostanza che tale procedura, nata
nella prassi,60 ha di recente trovato un’apposita formalizzazione normativa: recependo l’invito contenuto nella dichiarazione finale dell’ Interlaken conference del febbraio
court which has heard them in accordance with the requirements of
Article 6 of the Convention»; «the respondent State must, through
appropriate measures, secure the right in question to the applicant
and to other persons in a similar position».
60
In particolare, su esplicita richiesta del Comitato dei Ministri, attraverso la Risoluzione DH Res (2004) 3. In argomento, v. M. de Salvia,
L’obbligo degli Stati di conformarsi, cit., p. 75.
Capitolo I – Tutela convenzionale
33
2010 – che sollecitava la Corte a «sviluppare norme chiare
e prevedibili per ciò che concerne la procedura della sentenza pilota in relazione alla selezione delle richieste, la
procedura da seguire ed il trattamento dei casi sospesi» – è
stato introdotto nel Regolamento della Corte europea dei
diritti dell’uomo l’art. 61, che disciplina dettagliatamente
presupposti e procedimento di attivazione e svolgimento di
tale particolare tipologia di risoluzione dei ricorsi.61
Tale disposizione, in vigore dal 1° aprile 2011, prevede che la Corte possa decidere di avviare la procédure de l’arrêt pilote, d’ufficio
o su richiesta di parte, ogni qual volta i fatti all’origine di un ricorso
rivelano l’esistenza, nello Stato contraente interessato, di un problema strutturale o sistemico che ha dato luogo alla presentazione di
ricorsi simili. In via preventiva, la Corte è tenuta consultare le parti; ove la procedura sia aperta, la trattazione del ricorso avviene in
via prioritaria ai sensi dell’art. 41 del Regolamento stesso. La Corte
deve indicare nella sentenza pilota la natura del problema strutturale
o sistemico o della disfunzione che essa ha constatato ed il tipo di
misure correttive che lo Stato contraente interessato deve adottare
a livello interno, fissando eventualmente nel dispositivo della sentenza un termine per l’adozione delle stesse. Nelle more dell’ottemperanza, la Corte può riservare la questione dell’equa riparazione
in tutto o in parte e può rinviare l’esame di tutti i ricorsi che scaturiscono dallo stesso motivo, informando prontamente i ricorrenti interessati di tale decisione. L’eventuale raggiungimento di una
composizione amichevole tra le parti di un caso pilota comporta una
dichiarazione del Governo convenuto concernente l’attuazione delle
misure generali indicate nella sentenza e delle misure correttive che
devono essere accordate agli altri ricorrenti, attuali o potenziali. Se
lo Stato contraente interessato non si conforma al dispositivo della
sentenza pilota, la Corte, salvo contraria decisione, riprende l’esame
dei ricorsi che sono stati rinviati. Il Comitato dei Ministri, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il Segretario generale del
Consiglio d’Europa ed il Commissario per i diritti dell’uomo del
61
34
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Da ultimo, non trascurabile ai fini dell’evoluzione in discorso del ruolo del Giudice europeo appare l’introduzione,
ad opera del Protocollo n. 14, della condizione di ricevibilità cristallizzata all’art. 35, par. 3, lett. b) C.e.d.u., secondo
cui «La Corte dichiara irricevibile ogni ricorso individuale
presentato ai sensi dell’art. 34 se ritiene che: […] il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante».62
Per quanto temperata da due clausole di salvaguardia
che limitano la discrezionalità dell’Organo europeo, imponendogli l’esame del ricorso in presenza di esigenze oggettive legate alla necessità di tutela dei diritti umani, ovvero
soggettive, dipendenti dal mancato esame del caso da parte
di un tribunale nazionale («salvo che il rispetto dei diritti
dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di
non rigettare […] alcun caso che non sia stato debitamente
esaminato da un tribunale interno»), tale regola, ispirata al
Consiglio d’Europa sono sistematicamente informati dell’adozione
di una sentenza pilota o di ogni altra sentenza in cui la Corte segnala
l’esistenza di un problema strutturale o sistemico in seno ad uno
Stato contraente.
62
Frutto di un percorso negoziale accidentato, espressamente motivato da esigenze di deflazione del contenzioso pendente innanzi alla
Corte europea (Rapporto esplicativo al Protocollo n. 14, §§ 39 e 78),
tale condizione costituisce una delle novità più controverse della recente riforma del meccanismo di controllo sul rispetto della C.e.d.u.
(in argomento si v., in dottrina, M. L. Padelletti, Una nuova condizione di ricevibilita’ del ricorso individuale: il danno significativo subito dalla vittima, in Riv. dir. int., 2006, p. 50 ss.; R. Pisillo
Mazzeschi, Il coordinamento tra la nuova condizione di ricevibilità
prevista dal Protocollo n. 14 alla convenzione europea e la regola
del previo esaurimento dei ricorsi interni, ivi, 2005, p. 605 ss.).
Capitolo I – Tutela convenzionale
35
principio de minimis non curat praetor,63 pare segnare – sia
pure in modo prudente e, appunto, non privo di garanzie
– il tentativo di evoluzione del sistema di controllo convenzionale verso la direzione di un modello in cui il ruolo più
strettamente “costituzionale” della Corte può prevalere sul
diritto delle vittime ad ottenere giustizia individuale.64
È evidente, dunque, alla luce di tutti i fattori considerati, il
mutamento di fisionomia della Corte di Strasburgo, non più
solo “giudice del caso singolo”, ma giudice che, da tempo,
secondo una linea evolutiva costantemente perseguita soprattutto nell’ultimo decennio, tende «a farsi (anche) “giudice delle leggi”»,65 id est, «giudice della conformità degli
ordinamenti nazionali ai principi europei», investendo così
il suo intervento «direttamente le legislazioni e non più solo
il contegno delle autorità nazionali nel caso singolo».66
Lo confermano gli adeguamenti legislativi intercorsi
proprio in recepimento di censure europee inerenti a carenze ordinamentali o strutturali, come accaduto ad esempio
nel nostro Paese in ordine alla disciplina del processo contumaciale.67
Corte e.d.u., 19 ottobre 2010, Rinck c. Francia.
C. Pitea, sub Art. 35, in S. Bartole – P. De Sena – V. Zagrebelski,
Commentario breve alla Convenzione, cit., p. 656; C. G. Hioureas,
Behind the Scenes of Protocol No.14: Politics in Reforming the European Court of Human Rights, in Berkley Journal of International
Law, 2006, pp. 731-733; P. Sardaro, The Right of Individual Petition to the European Court, in P. Lemmens – W. Vandenhole, Protocol No 14 and the Reform of the European Court of Human Rights,
2005, p. 45 ss.
65
M. Chiavario, op. ult. cit., p. 29.
66
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 35.
67
Riformata, con il dl. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni nella l. 22 aprile 2005, n. 60, proprio a seguito dei reiterati e
63
64
36
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Ma i riflessi sistemici vanno oltre.
Il superamento di un controllo di conformità convenzionale rigorosamente circoscritto alla particolare quaestio
sottoposta ad esame pone – sulla scia delle dirompenti affermazioni compiute dalla Corte di legittimità –68 il problema della eventuale “forza espansiva” del giudicato europeo
che rilevi una violazione di matrice sistematico-strutturale,
e, conseguentemente, dei correlativi oneri di adeguamento gravanti sui Paesi contraenti in ordine alla posizione di
chi, non ricorrente a Strasburgo, si trovi in una situazione
identica o analoga a quella censurata in tale sede; tematica, questa, che a ben vedere involge la stessa persistente
configurazione del sistema europeo di protezione dei diritti
umani come ancora strettamente imperniato sul presupposto del “ricorso individuale”. Con conseguenti, non trascurabili profili di problematicità in ordine ai riflessi sul piano
esecutivo domestico: innanzitutto in termini di qualificazione della stessa sentenza della Corte europea che abbia
certificato la violazione di matrice oggettiva e sistemica; in
secondo luogo, in ordine allo strumento normativo interno
attraverso cui dare ottemperanza al dictum europeo.
Tralasciando, per ora, l’approfondimento della tematica,
si può fin da subito rilevare la non agevole soluzione di tali
aspetti problematici, derivanti da una pretesa esplicazione
dell’autorità di cosa giudicata al di là della specifica controversia decisa. Da un lato, risulta infatti non convincente la
assimilazione della pronuncia sovranazionale a una declaratoria di incostituzionalità sopravvenuta alla formazione del
pressanti moniti al riguardo del Giudice europeo. Sul tema, più specificamente, v. infra, Cap. III, par. 4.
68
Cass., Sez. Un., ord. 19 aprile 2012, n. 34472, Ercolano, cit.
Capitolo I – Tutela convenzionale
37
giudicato, e, dunque, rilevante anche in executivis, come si
sarebbe tentati di fare soprattutto nei casi di ritenuta illegittimità convenzionale di una pena; eventualità che pone il pressante problema del rispetto del principio di legalità della sanzione anche in fase esecutiva, nonché di parità di trattamento
tra condannati che versano in identica situazione. Dall’altro,
in ogni caso, è una prospettiva da escludere dovendosi comunque fare i conti con gli specifici perimetri della disciplina
dettata per la fase esecutiva che, allo stato, non contempla
una norma che attribuisca al giudice dell’esecuzione un consequenziale potere. Né, in ragione dei peculiari presupposti
cui sono ancorate, pare praticabile la via del ricorso a disposizioni esistenti, quali l’art. 673 c.p.p., la cui operatività è limitata all’abolitio criminis o alla declaratoria di incostituzionalità delle sole “norme incriminatrici”. Senza considerare,
poi, i “varchi”, dalle conseguenze sistematiche imprevedibili
che in tal modo potrebbero aprirsi nel già instabile quadro
dell’esecuzione. Analogamente – alla luce di quanto si dirà
nel prosieguo dello studio, cui fin d’ora si rinvia – afflitto da
non trascurabili profili di criticità sarebbe pure il ricorso al
rimedio ex art. 625-bis c.p.p., così come tutta da verificare
– alla luce dei relativi presupposti di attivabilità – sarebbe la
praticabilità di una riapertura del processo, attraverso l’istituto di nuovo conio della “revisione europea”.
4. L’adeguamento convenzionale: “fisio-patologia” di
un rapporto
Dalla delineata dinamica dei rapporti tra ordinamento interno ed europeo emerge la centralità del tema della cd. “conformità convenzionale”, ossia della sintonia tra gli stessi,
vero presupposto di ogni discorso relativo alla tutela sovranazionale dei diritti dell’uomo.
38
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Due sono, a ben vedere, al riguardo le vie percorribili.
La prima, cd. “fisiologica”, implica un adeguamento ex
ante, vale a dire «spontaneo e preventivo»,69 del sistema interno ai canoni europei. È quanto si può verificare, con riferimento a censure inerenti a deficit di tutela sistemici, mercé
l’intervento del legislatore che, solerte ai richiami di Strasburgo, interviene con apposite riforme a correggere il vizio
riscontrato, riallineando così l’ordinamento domestico agli
standards di protezione delle garanzie reclamati in sede sovranazionale.
È questo un ruolo chiave ai fini del recepimento della stessa
“cultura” dei diritti dell’uomo, nonché dello spirito che anima
la Corte in materia; tuttavia, deve ammettersi che il banco di
prova dell’esperienza italiana non ha dato, al riguardo, finora
l’esito sperato. Basti rilevare, infatti, come il legislatore per
riformare la disciplina della contumacia – peraltro secondo
modalità che permangono non immuni da profili di attrito
convenzionale – ha impiegato venti anni dalla prima vicenda
che ha dato l’avvio alla necessità di una novella in materia.70
Ed una inerzia ancora più intollerabile – reiteratamente stigmatizzata in sede europea oltre che dalla stessa Consulta – si
è registrata in ordine all’introduzione di un meccanismo di
ottemperanza ai dicta della Corte di Strasburgo, essendosi risolti in un nulla di fatto i vari disegni di legge che nel corso
degli anni sono stati presentati in parlamento per la regolamentazione di un rimedio idoneo allo scopo.71
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 36.
Corte e.d.u., sent. 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, in Cass. pen.,
1985, p. 1247, con nota di G. Ubertis, Latitanza e contumacia secondo
la Corte europea dei diritti dell’uomo.
71
Sul tema, si v. più diffusamente infra, Cap. II, par. 4.
69
70
Capitolo I – Tutela convenzionale
39
Sempre nella prospettiva di un “adeguamento fisiologico”, un ruolo quanto mai significativo, per certi versi inedito, anche se non privo di spinosità, spetta poi agli organi giudiziari nazionali, chiamati invero ad essere i «primi
giudici della convenzione», ossia coloro i quali in prima
battuta devono assicurare il rispetto dei diritti fondamentali nell’estensione loro riconosciuta dalla Convenzione,
prevenendo così potenziali censure da parte del Giudice
europeo.72
In quest’ottica, si sottolinea come i giudici interni, in coerenza con le esigenze proprie di un ordinamento multilivello, siano ormai obbligati «a guardare fuori dalla finestra
del loro sistema, che altrimenti potrebbe essere oscurata
dalle tende della tradizione giuridica»:73 abbandonando un
F. Viganò, Le Sezioni Unite rimettono alla Corte costituzionale l’adeguamento, cit., p. 3. Come afferma V. Manes, Introduzione,
cit., p. 19, «la Corte europea […] vede nei giudici domestici […]
non già dei corìfei, bensì dei coprotagonisti, chiamati a dare – in
forza del principio di sussidiarietà – il primo impulso nel riconoscimento ed affermazione delle garanzie, e persino collocati in posizione migliore (mieux plecés) per apprezzare l’eventuale violazione».
Analogamente, Corte e.d.u., sent. 7 dicembre 1976, Handyside c.
Regno Unito, § 48.
73
B. Markesinis – J. Fedke, Giudici e diritto straniero, Bologna, 2009,
p. 193. E proprio nella direzione di favorire un’interpretazione convenzionalmente orientata, dando vita ad un fecondo “dialogo tra Corti”,
si è mossa anche la Cassazione, che ha ribadito l’esigenza per l’interprete di «non isolarsi in un contesto nazionale», ma di cercare «una
“osmosi” tra le diverse formulazioni, della normativa convenzionale
e di quella nazionale, ordinaria e costituzionale» (Cass., sez. II, 18 ottobre 2007, n. 43331, Poltronieri, in Dir. pen. proc., 2008, p. 878, con
nota di P. Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua
a Strasburgo ed estende l’ammissibilità dell’incidente probatorio). In
argomento, si v. pure A. Balsamo, La cultura della prova del giudice
72
40
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
atteggiamento autarchico, essi devono aprirsi ad un “dialogo” con la giurisdizione europea,74 a un “contatto delle
menti”,75 che dà vita a un «potente canale di circolazione
dei diritti».76 Da ciò deriva – come affermato dal Giudice
delle leggi – l’obbligo di interpretazione del diritto interno
in senso conforme alla disciplina internazionale, nel limite
massimo consentito dal testo della legge domestica e nel
rispetto degli indirizzi ermeneutici della Corte di Strasburgo, fermo restando comunque che tale attività ermeneutica
non può, tuttavia, ovviamente spingersi oltre i limiti segnati
dalla compatibilità costituzionale, dovendo eventuali aporie
irrisolvibili a livello esegetico essere sciolte “canalizzandole” nel giudizio di legittimità costituzionale.77
nazionale e l’interpretazione conforme alla Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, in Giur. mer., 2007, p. 2036 ss.
74
Effetto del dialogo giurisprudenziale sempre più intenso tra Corte
sopranazionale e Corti interne è un ribaltamento dell’impostazione tradizionale della produzione del diritto statuale, «declinata secondo modalità top-down», a favore invece di un assetto “reticolare” delle fonti,
per cui essa «procede secondo modalità bottom-up, ed è affidata in
gran parte al “protagonismo positivo dei giudici […], alla sua “distruttività creatrice”, ed alla sua capacità “universalizzante”» (V. Manes,
Introduzione, cit., p. 19).
75
C. Perelman – L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione,
Torino, 1996, p. 16.
76
M. Cartabia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit., p.
36. È questa una prospettiva, invero, non nuova nell’esperienza italiana. Un antecedente significativo, sia pure attinente al diverso contesto
comunitario, è rappresentato dalla nota sentenza della Corte di Giustizia, 16 giugno 2005, Pupino, che ha affermato il principio secondo cui
il giudice interno, nell’interpretare ed applicare la normativa nazionale, deve uniformarsi, per quanto possibile, al disposto delle decisioni
quadro dell’Unione europea e, in genere, al diritto comunitario.
77
Corte cost., sent. 22 ottobre 2007, n. 348, cit.; Id., sent. 22 ottobre
Capitolo I – Tutela convenzionale
41
Si realizzerebbe, così, quella «combinazione virtuosa»
tra «l’obbligo che incombe sul legislatore nazionale di
adeguarsi ai principi posti dalla CEDU – nella sua interpretazione giudiziale, istituzionalmente attribuita alla Corte europea ai sensi dell’ art. 32 della Convenzione – l’obbligo che parimenti incombe sul giudice comune di dare
alle norme interne una interpretazione conforme ai precetti
convenzionali e l’obbligo che infine incombe sulla Corte
costituzionale – nell’ipotesi di impossibilità di una interpretazione adeguatrice – di non consentire che continui ad
avere efficacia nell’ordinamento giuridico italiano una norma di cui sia stato accertato il deficit di tutela riguardo ad
un diritto fondamentale».78
Al di là delle affermazioni di principio, un’analisi più
approfondita del ruolo dell’autorità giudiziaria nazionale ai
fini dell’adeguamento convenzionale cd. “fisiologico” rivela come la stessa sia tematica quanto mai delicata.
Ai fini della tenuta sistematica dell’intero “ordinamento integrato”, occorre infatti intendersi su quali siano i caratteri e i limiti dell’interpretazione “adeguatrice” ad essa
rimessa, evitando atteggiamenti manichei, che inducano a
passare da un massimalismo all’altro: dalla pressoché totale insensibilità agli insegnamenti del Giudice europeo del
passato,79 a un “vincolo cogente” degli stessi nel presente,
2007, n. 349, cit., con la conseguenza che – come efficacemente evidenziato – «il problema interpretativo derivante dalla giurisprudenza
della Corte europea si sostanzia […] nella alternativa tra interpretazione conforme a detta giurisprudenza ed incidente di costituzionalità»
(E. Lupo, La vincolatività delle sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo per il giudice interno, cit., p. 2258).
78
Corte cost., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, cit.
79
Come ricorda A. Giarda, Intervento, in Processo penale e giustizia
42
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
che finisce col “blindare” l’esercizio dell’attività giurisdizionale domestica.
E la questione nodale, da cui prendere le mosse e da
scandagliare a fondo, è l’affermazione contenuta nelle cd.
“sentenze gemelle” della Corte costituzionale secondo cui
il diritto convenzionale va interpretato ed applicato secondo gli indirizzi ermeneutici della Corte di Strasburgo.80
Se, invero, i menzionati arresti appaiono meritori per il
riconoscimento del peso della Convenzione europea anche
all’interno del sistema italiano, aprendo ufficialmente ad
essa, e dunque contribuendo ad una più avanzata tutela dei
diritti umani, essi tuttavia suscitano perplessità – come evieuropea, cit., p. 27, il numero «particolarmente alto» dei ricorsi italiani
alla Corte europea deriva dalla circostanza che le lesioni convenzionali
dipendono «dal fatto che nella quotidianità dell’ordinamento forense
non si registra una sensibilità diffusa per le problematiche relative alla
Carta europea dei diritti dell’uomo».
80
Sulla interpretazione conforme in senso sovranazionale, si v. in dottrina, G. Campanelli, Interpretazione conforme alla CEDU e al diritto
comunitario: proporzionalità e adeguatezza in materia penale, in M.
D’Amico – B. Randazzo (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Atti del convegno di Milano svoltosi il 6-7 giugno
2008, Quaderni del “Gruppo di Pisa”, Torino, 2009, p. 139 ss.; P. Gaeta,
Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u.: ovvero, la ricombinazione genica del processo penale, in http://www.penalecontemporaneo.it/
materia/-/-/-/1618-dell_interpretazione_conforme_alla_c_e_d_u___
ovvero__la_ricombinazione_genica_del_processo_penale/; V. Manes,
Metodo e limiti dell’interpretazione conforme alle fonti sovranazionali
in materia penale, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-//-/1617-metodo_e_limiti_dell___interpretazione_conforme_alle_fonti_sovranazionali_in_materia_penale/; F. Viganò, Il giudice penale e
l’interpretazione conforme alle norme sovranazionali, in P. Corso – E.
Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, II, Rimini, 2010,
p. 617 ss.
Capitolo I – Tutela convenzionale
43
denziato da un autorevolissimo rappresentante dello stesso
organo giudiziario europeo – laddove, utilizzando appunto
la formula “la Convenzione europea così come interpretata…” finiscono col trasferire «alla tecnica e alla natura
della giurisprudenza della Corte di Strasburgo il modello
della giurisprudenza di una Corte di cassazione che enuncia principi di diritto tendenzialmente generali e astratti
come generale e astratta è la norma della cui applicazione
si tratta».81 Ma questa, pur nella consapevolezza del mutamento genetico della giurisprudenza europea, il cui raggio
d’azione si è ormai esteso anche al controllo di conformità
ordinamentale, è un’operazione non consentita, restando
comunque detta giurisprudenza «casistica, legatissima al
caso concreto»; sicché, se «è vero che c’è una ripetitività
giurisprudenziale la cui ratio decidendi finisce con l’indicare il principio di diritto adottato dalla Corte in rapporto
ai precedenti», è tuttavia assolutamente indubbio come «il
vero senso dei precedenti che la Corte richiama si comprende, apprezzandone o discutendone la coerenza, con riferimento al caso concreto».82
Ed è questa una caratteristica che non può in alcun modo
essere obliata.
Pertanto, pretendere di astrarre massime o criteri generali sovranazionali da quel contesto specifico con riferimento al quale sono stati formulati può risultare rischioso,
determinando un “corto circuito” tra pronunce europee e
Così V. Zagrebelsky, Intervento, in Processo penale e giustizia
europea, cit., p. 14.
82
V. Zagrebelsky, ibidem. In argomento, si v. pure Id., La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni. Pensieri di un
giudice a fine mandato, in http://www.europeanrights.eu/index.
php?funzione=S&op=5&id=687
81
44
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
disciplina codicistica: non bisogna infatti dimenticare che
la C.e.d.u, nell’interpretazione datane dalla sua istituzione
giurisdizionale, funge ormai da parametro interposto di legittimità costituzionale, con la conseguenza che può risultare «sufficiente un qualsiasi passo in cui la Corte, magari incidentalmente, si richiami a criteri non puntualmente
recepiti dalla nostra legge processuale», per «alimentare
sospetti di legittimità costituzionale o [..] sollecitare modifiche legislative».83
Conclusione, questa, non accettabile, che spingerebbe
oltre i limiti del consentito e della stessa tenuta sistemica
quella “permeabilità” del processo penale alle fonti sovranazionali dianzi descritta.
Si impone, quindi, una actio finium regundorum della
pur indispensabile attività adeguatrice della giurisdizione
interna al sistema convenzionale, onde trovare un ragionevole punto di equilibrio tra le opposte esigenze in considerazione.
E al riguardo la soluzione preferibile, che riesce a coniugare le esigenze di adattamento sovranazionale con i
principi generali vigenti nell’ordinamento interno in tema
di legge, giurisdizione e giudicato, è quella propugnata da
un autorevole orientamento dottrinario, secondo cui gli arresti di Strasburgo – ferma, ovviamente la loro efficacia
vincolante con riferimento alla specifica controversia decisa – siano per il resto autorevolissimi precedenti, cui il
giudice interno deve ispirasi, ma nel rispetto del suo libero
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 207. Diversamente, riconoscendo carattere vincolante alle interpretazioni della Corte di Strasburgo – sottolinea l’Autore (p. 211) – si arriverebbe alla paradossale
conclusione che «qualunque contenuto i giudici europei ascrivano alla
Convenzione, foss’anche il più eversivo, quel contenuto è legge».
83
Capitolo I – Tutela convenzionale
45
apprezzamento, che non può essere “ingessato” dalle interpretazioni del giudice europeo.84 «Nulla fuori contesto»
– si sottolinea – dovrebbe essere il canone guida di ogni
discorso sui criteri di valutazione della prova, di modo che
l’organo giudiziario nazionale – ex art. 101, comma 2 Cost.,
soggetto solo alla “legge”, e dunque, alla C.e.d.u., e non
alle interpretazioni dei suoi giudici – può anche discostarsi
da dette interpretazioni, ove le reputi non convincenti o errate, purché ovviamente motivi adeguatamente l’iter logico seguito. La correttezza dell’atto interpretativo si valuta,
infatti, sul parametro della «ragione e non della conformità all’indirizzo di un organo di vertice», salvaguardandosi
così, a ben vedere, lo stesso progresso nella tutela dei diritti
umani, “azzoppato” a monte nella sua evoluzione ove si
pretendesse di cristallizzare in dicta vincolanti le interpretazioni della Corte di Strasburgo.85
È questa una impostazione che riesce a coniugare l’imprescindibile esigenza della certezza del diritto con l’essenza pregnante dell’attività giurisdizionale, mortificata
ad un “automatismo a-valutativo” ove si accedesse alla
tesi del carattere vincolante delle interpretazioni del Giudice europeo.
Prospettiva, questa, peraltro foriera di una contraddizione tutta interna allo stesso sistema convenzionale, che perP. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 206 ss.
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 213, secondo cui dunque (pp.
211-212) l’assunto formulato dalla Consulta nelle cd. “sentenze gemelle” dovrebbe essere attenuato nella sua originaria rigidità e formulato come segue: «ogni giudice, nell’interpretare le disposizioni della
Convenzione, deve attenersi agli indirizzi della Corte di Strasburgo, a
meno che non indichi, con specifica motivazione, le ragioni per una
diversa e più corretta lettura della normativa convenzionale».
84
85
46
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
seguendo il maximum standard di tutela dei diritti umani,
fissa all’art. 53 C.e.d.u. un livello minimo ed indisponibile
di garanzia degli stessi, ben derogabile dagli Stati “verso
l’alto”:86 è questa, infatti, una clausola tesa ad evitare l’adozione di interpretazioni che pregiudichino stadi di protezione più elevati, sia a livello interno che internazionale.87
Conseguentemente del tutto legittima – anzi, convenzionalmente doverosa – sarebbe l’attività interpretativa del
giudice nazionale che, ravvisando in taluni interventi della
Corte di Strasburgo un abbassamento della soglia di tutela,
si discostasse dagli stessi, onde garantire una protezione più
significativa dei diritti in questione.
Peraltro, il monopolio interpretativo vincolante assegnato al Giudice di Strasburgo pare tradire la stessa essenza
del diritto convenzionale, nato come «espressione massima della libertà del diritto giurisprudenziale rispetto alla
costrizione formale della legge nazionale scritta»: evidente, dunque, l’incongruenza insita nella ricostruzione volta
a concepirlo, nell’interpretazione fattane dal suo organo
giurisdizionale, come un «vincolo per il giudice nazionale
ancor più ferreo del “vincolo della legge” del più vetero
positivismo giuridico».88
M. Cartabia, Art. 53, in R. Bifulco – M. Cartabia – A. Celotto (a
cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna, 2001, p. 362.
87
A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell’uomo in Europa, Torino, 2004, p. 252. Sul punto, si v. più ampiamente il
paragrafo successivo.
88
Così P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit.,
p. 14, che parla al riguardo di una «velenosa eterogenesi dei fini».
L’Autore sottolinea, inoltre (p. 15), la possibile degenerazione cui il
meccanismo dell’interpretazione conforme, ove sorretto da «un certo
86
Capitolo I – Tutela convenzionale
47
Tornando alla tematica iniziale, ove l’adeguamento
“spontaneo” e “preventivo” non dia gli esiti sperati, si aprono invece i margini per un adeguamento ex post, «coattivo
e successivo»,89 ossia conseguente ad una sentenza di condanna del Giudice europeo per violazione delle regole del
due process.
Se tale pronuncia non si limiti, tuttavia, alla imposizione
di una satisfaction équitable, si pone un problema tutto interno all’ “ordinamento integrato”: la carenza di un potere
rescindente in capo all’organo sovranazionale fa sì che restino in vita due atti di contenuto contraddittorio, quello di
accertamento del vulnus e quello interno lesivo, rimettendosi la ricomposizione dei due piani di illegittimità all’ordinamento nazionale, che dunque, per ottemperarvi – stante
il principio di “sussidiarietà” della tutela convenzionale, secondo cui la Corte di Strasburgo può essere adita solo dopo
il previo esaurimento delle vie di ricorso interne90 – deve
essere dotato di meccanismi idonei a superare il giudicato,
garantendo eventualmente anche il riesame o la riapertura
del processo.
Proprio tale lacuna di disciplina – come si vedrà meglio
nel prosieguo della trattazione – è valsa al nostro Paese una
serie di moniti, se non di veri e propri ultimatum, e censure
da parte tanto degli organi europei91 che del Giudice delle
furor theologicus», potrebbe esporsi: «il rischio di una oligarchisher
Richterstaat, di una “oligarchia giudiziaria” promossa da Strasburgo
sul sistema processuale penale attraverso una “europeizzazione della
interpretazione”».
89
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 36.
90
Art. 35 C.e.d.u.
91
Tra le numerose sollecitazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si ricordano le risoluzioni interinali DHRes (2005) 85
48
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
leggi92. Quest’ultimo, nella perdurante inerzia del legislatore a provvedere, e data l’inadeguatezza dei rimedi pretori all’uopo escogitati per sopperirvi,93 è intervenuto con
la “storica” sentenza n. 113 del 2011, che ha “aggiunto”
all’art. 630 c.p.p. un “nuovo caso” di revisione, volto appunto a far fronte alle descritte evenienze.94
del 12 ottobre 2005, DHRes (2004) 13 del 10 febbraio 2004, DHRes
(2002) 30 del 19 febbraio 2002, nonché la risoluzione finale DHRes
(2007) 83; tra gli atti dell’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa volti a stigmatizzare l’inerzia del nostro Paese possono
citarsi le Raccomandazioni n. 1684 (2004) del 23 novembre 2004 e
n. 1764 (2006), nonché il Rapporto n. 11020 (2006) e la risoluzione
n. 1516 (2006) del 2 ottobre 2006 (quest’ultima ha affermato che «Il
rispetto della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che comprende il riconoscimento della giurisdizione obbligatoria della Corte Europea […] e del carattere vincolante delle sue sentenze, è la
chiave di volta dell’ordine pubblico europeo che garantisce la pace,
la democrazia e il buon governo in seno alla Grande Europa»). In
argomento, si v. A. Mangiaracina, La revisione del giudicato penale
a seguito di pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo (I).
La progettualità italiana e l’esperienza del Regno Unito, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2006, p. 982 ss.; A. Guazzarotti, Effettività dei diritti e ruolo della Corte EDU in un’Europa allargata, in R. Bin – G.
Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi (a cura di), All’incrocio tra
Costituzione e Cedu. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, Torino, 2007, p. 131.
92
Corte cost., sent. 30 aprile 2008, n. 129, in Giur. cost., 2008, p. 1506,
con nota di M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo»: la Corte si
pronuncia (ma non è la parola definitva) (in argomento, si v. amplius,
Cap. IV, par. 1).
93
Infra, Cap. III.
94
Corte cost., 7 aprile 2011, n. 113, in Dir. pen. proc., 2011, p. 833,
con nota di L. Parlato, Revisione del processo iniquo: la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo” (sul tema, si v. più diffusamente, infra, Cap. IV, par.2).
Capitolo I – Tutela convenzionale
49
5. (segue) Maximum Vs minimum standard di tutela
Le interrelazioni normative tra ordinamento europeo ed interno pongono il problema delle eventuali “interferenze” di
tutela, e dunque, del grado di protezione da riconoscere ai
diritti fondamentali presi in considerazione da entrambi.
Al riguardo, la scelta di campo del testo convenzionale è netta: l’obiettivo da perseguire è quello del maximum
standard, ossia del best level di protezione, sicché come
afferma l’art. 53 C.e.d.u. – clausola priva di significativi
precedenti in altre Convenzioni sui diritti umani – nessuna
disposizione della C.e.d.u. «può essere interpretata in modo
da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi
di ogni Parte contraente o in base ad ogni altro accordo al
quale essa partecipi».
Si tratta, insomma, di una clausola di garanzia che, onde
evitare interpretazioni che pregiudichino livelli di tutela più
elevati nell’ordinamento interno o anche internazionale,95
pone uno standard minimo ed indisponibile di garanzia,96
derogabile da parte degli Stati contraenti solo “verso
l’alto”.97 Se ne deduce, quindi, che l’apporto offerto dal siA. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti dell’uomo
in Europa, cit., p. 252; P. Pustorino, Art. 53, in S. Bartole – B. Conforti
– G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, p. 741;
96
L. F. M. Besselinek, Entrapped by the Maximum Standard: On Fundamental Rights, Pluralism and Subsidiarity in the European Union, in
Common Market Law Review, 1998, vol. 35, n. 3, p. 657.
97
M. Cartabia, Art. 53, cit., p. 362; P. Van Dijk - F. Van Hoff – A. Van
Rijn – L. Zwaak, Theory and practice of the European Court of Human
Rights, Antewerpen-Oxford, 2006, p. 10.
95
50
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
stema convenzionale “si aggiunge” alle garanzie domestiche, elevandone il grado di protezione o amplificandone la
portata, ma non potendo tuttavia comprimerne lo spettro di
tutela, limitandole o pregiudicandole.98
Alla luce di ciò, dunque – come affermato dal Giudice
delle leggi – «il confronto tra tutela convenzionale e tutela
costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, anche
attraverso lo sviluppo delle potenzialità insite nelle norme
costituzionali che hanno ad oggetto i medesimi diritti».99
Ora, in linea generale, il livello di tutela assicurato dalla
nostra Carta fondamentale non è inferiore a quello garantito dalla C.e.d.u, riscontrandosi – per ragioni cronologiche,
storiche, politiche – una larga sintonia tra i due testi.100
Ciò non toglie, tuttavia, l’esistenza di taluni punti di frizione di questa – come anche dell’ordito codicistico proV. Manes, Introduzione, cit., p. 11. Analogamente, Corte cost., sent.
317 del 2009, cit., secondo cui «con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere
causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte
dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa».
99
Corte cost., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, cit.; proprio perseguendo il maximum standard di tutela, Corte cost., sent. 12 marzo 2010,
n. 93, cit., ha elevato, alla luce dell’art. 6, par. 1 C.e.d.u., il livello
di tutela interno, dichiarando l’illegittimità costituzionale della normativa in materia di procedimento per l’applicazione di misure di
prevenzione patrimoniali e personali nella parte in cui non consente
che, su istanza degli interessati, il procedimento davanti al tribunale
e alla corte d’appello possa svolgersi nelle forme dell’udienza pubblica. 100
V. Zagrebelsky, Intervento, in Processo penale e giustizia europea,
cit., p. 14.
98
Capitolo I – Tutela convenzionale
51
cessual penale – con il testo convenzionale, risultando non
perfettamente allineati. E ciò in un duplice senso: per eccesso, essendo talvolta il nostro assetto interno calibrato su
uno standard più elevato di protezione; per difetto, registrando talaltra un appiattimento verso il basso del grado di
salvaguardia.101
Il terreno elettivo di tali profili di criticità è quello del
contraddittorio nella formazione della prova e, in particolare, dell’utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni
rese, in fase preprocessuale, senza contraddittorio.
Non vi è, infatti, piena coincidenza tra quanto sancito all’art. 111, commi 4 e 5 Cost. (e relative applicazioni codicistiche) e quanto preteso dall’art. 6, par. 3, lett. d)
C.e.d.u.102
Come è noto, nell’interpretazione del Giudice di Strasburgo, il diritto dell’accusato di «interrogare o far interIn argomento, v. A. Balsamo – A. Lo Piparo, Principio del contraddittorio, utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali e nozione di testimone tra giurisprudenza europea e criticità del sistema
italiano, in R. E. Kostoris – A. Balsamo, Giurisprudenza europea e
processo italiano, cit., p. 347 ss.; P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit.,
p. 197 ss.; R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, cit., p. 8 ss.; S. Lonati, Il diritto dell’accusato a interrogare o fare interrogare le fonti di prova a carico (Studio sul contraddittorio nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nel sistema
processuale penale italiano), Torino, 2008; Id., Il contraddittorio
nella formazione della prova orale e i principi della C.E.D.U.: una
proposta de iure condendo, in http://www.penalecontemporaneo.it/
upload/1342383550articolo%20lonati.pdf; O. Mazza, La procedura
penale, cit., p. 40 ss.; E. Selvaggi, Il valore probatorio delle dichiarazioni irripetibili, in R. E. Kostoris – A. Balsamo, Giurisprudenza
europea e processo italiano, cit., p. 373 ss.
102
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 40.
101
52
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
rogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico»
è concepito in un modo particolare, una sorta di via intermedia tra il contraddittorio “forte” per la formazione della
prova e quello “debole” meramente argomentativo su una
prova già formata.103
Se, cioè, in linea di principio, anche in sede sovranazionale si predilige la formazione della prova nel corso di
un’udienza pubblica e in presenza dell’imputato, che deve
esser stato posto in condizione di confrontarsi con il suo
accusatore,104 tale regola non è tuttavia accolta in maniera
assoluta, ammettendosene se non la totale derogabilità, certamente un’attenuazione.
Senza, cioè, arrivare ad affermare la sufficienza di un
mero confronto argomentativo su una prova già acquisita
da una delle parti in assenza dell’altra, si ammette comunque la legittimità di un contraddittorio “almeno differito”
sulla stessa.105 Deve cioè esser stata accordata – anche semplicemente ex post – all’accusato una occasione «adeguata» e «sufficiente» per poter «guardare negli occhi l’accusatore», interrogandolo e contestandogli le dichiarazioni
effettuate.106 A tali condizioni anche una dichiarazione resa
S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale,
cit., p. 6.
104
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 40. Corte e.d.u., 20 novembre 1989, Kostovski c. Paesi Bassi; Id., 20 settembre 1993, Saïdi c.
Francia.
105
G. Ubertis, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in
Cass. pen., 2003, p. 2102; Id., Ricostruzione del sistema, giusto processo, elementi di prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p. 265; Id.,
Rilanciato il “giusto processo”, in Dir. pen. proc., 1996, p. 791.
106
Corte e.d.u., 22 ottobre 2009, Raykov c. Bulgarie, § 71; Id., 19 ottobre 2006, Majadallah c. Italia; Id., 13 ottobre 2005, Bracci c. Italia;
Id., 5 dicembre 2002, Craxi c. Italia; Id., 27 febbraio 2001, Lucà c. Ita103
Capitolo I – Tutela convenzionale
53
anteriormente al dibattimento, in assenza di contraddittorio, può fondare “esclusivamente” (solely) o in maniera
“determinante” (mainly) un esito decisorio di condanna. In
caso contrario, essa – secondo i canoni dell’ “equo processo europeo” – può egualmente essere ammessa e confluire
nell’orizzonte valutativo del giudice, senza tuttavia poter
assurgere a prova unica o determinante dell’affermazione
di colpevolezza.107
È questa una impostazione che – come efficacemente è
stato rilevato – guarda al contraddittorio con «disincanto»,
evitando atteggiamenti assolutisti che possano pregiudicare la ricerca della verità giudiziale.108 Il risultato è una via
lia; Id., 23 aprile 1997, Van Mechelen e altri c. Paesi Bassi, § 50; Id.,
20 settembre 1993, Saïdi c. Francia, § 43; Id., 15 giugno 1992, Lüdi c.
Suisse, § 49; Id., 20 novembre 1989, Kostovski c. Paesi Bassi, § 41; Id.,
24 novembre 1986, Unterpertinger c. Francia, § 29.
107
Come osserva S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della
prova orale, cit., p. 9, la Corte, nell’apprezzare l’efficacia probatoria di
una testimonianza, «è chiamata ad effettuare un delicato ragionamento
ipotetico: tra le varie prove utilizzate nelle decisioni nazionali, essa
deve “sottrarre” le dichiarazioni del testimone o dei testimoni che il
ricorrente non ha potuto esaminare. Ove, dopo tale operazione, la condanna risulti ancora supportata da “sufficienti elementi”, la procedura
sarà considerata “complessivamente equa”, mentre opposte conclusioni si imporranno qualora a seguito della sottrazione l’affermazione di
colpevolezza non possa più essere dichiarata». In argomento, si v. pure
A. Tamietti, Il diritto di interrogare i testimoni tra Convenzione europea e Costituzione italiana, in Dir. pen. proc., 2001, p. 509 ss.; Id., Il
principio dell’immutabilità del giudice nella giurisprudenza europea:
divergenze e similitudini con la disciplina interna, in Cass. pen., 2006,
p. 699 ss.; Id., Il diritto a esaminare testimoni a carico: permangono
contrasti tra l’ordinamento italiano e l’art. 6 par. 3 lett. d della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ivi, 2006, p. 2991 ss.
108
S. Buzzelli, La riforma dell’art. 111 Cost. e il problema aperto
54
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
di mezzo che, allontanandosi dalle peculiarità processuali
inquisitorie, non si omologa completamente ai canoni del
processo accusatorio.109
Evidenti i punti di frizione con il nostro assetto di tutela
che, per un verso, pretende di più, e, per un altro, si accontenta di meno.
È innegabile, infatti, che la nostra Carta fondamentale,
laddove sancisce espressamente l’inutilizzabilità contra
reum delle «dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si
è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da
parte dell’imputato o del suo difensore», pretende di più
della C.e.d.u., che può invece ammettere il recupero di tali
dichiarazioni, salvo poi inibirne la sola idoneità a fondare
in maniera “esclusiva” o “determinante” l’affermazione di
colpevolezza dell’imputato.
Ed egualmente è a dirsi per la disciplina processuale, che,
nel sancire la utilizzabilità ai soli fini della valutazione di
credibilità delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni
(art. 500, comma 2 c.p.p.), si attesta su uno standard di protezione incontestabilmente più elevato di quello europeo.
Ciò, tuttavia, a ben vedere, non crea particolari problemi.
Le garanzie riconosciute dalla Convenzione europea costituiscono infatti, come detto, un semplice standard minimo di tutela,110 che gli ordinamenti degli Stati parte sono
tenuti a rispettare, senza cedimenti verso il basso, ma senza
tuttavia che sia preclusa agli stessi la predisposizone di un
better level di salvaguardia delle medesime.
della legislazione attuativa con particolare riguardo alle regole di formazione e valutazione della prova, in Cass. pen., 2000, p. 3180.
109
S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale,
cit., p. 6.
110
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 200-201.
Capitolo I – Tutela convenzionale
55
Lo conferma il tenore del menzionato art. 53 C.e.d.u.,
che, nell’ottica propria di un sistema convenzionale di salvaguardia dei diritti umani che, conformemente al principio di sussidiarietà, rafforzi la protezione offerta a livello
nazionale senza mai imporle limitazioni,111 pone una regola interpretativa in virtù della quale le disposizioni interne
più garantiste non possono essere limitate dall’applicazione
della C.e.d.u., essendo perfettamente legittima una derogabilità “verso l’alto” delle garanzie da questa poste.112
I problemi sorgono, invece, ove la normativa domestica
deroghi “verso il basso”.
Eventualità cui può dar spazio l’assetto costituzionale
delle deroghe al contraddittorio (art. 111, comma 5 Cost.),
che di fatto precludono all’accusato il confronto – contestuale o successivo – con l’accusatore, consentendo l’uso
determinante in sentenza di dichiarazioni rese senza metodo dialettico.
Con riferimento alla legislazione processual-penalistica
interna, il discorso involge, poi, disposizioni quali gli artt.
195 comma 3, 238 comma 3, 512, 512-bis, 513 comma 2
c.p.p., che, nella parte in cui consentono l’utilizzazione anche “esclusiva” o “determinante” ai fini dell’accertamento
di responsabilità di dichiarazioni rese in assenza di qualunque forma di contraddittorio, finanche “differito”, si pongono in conflitto con il sistema convenzionale che detta
utilizzazione preclude, esponendosi così ad una censura di
incostituzionalità ex art. 117 Cost., alla luce del parametro
interposto di cui all’art. 6, par. 3, lett. d) C.e.d.u.
Corte e.d.u., 30 gennaio 1998, Partito comunista unificato di Turchia c. Turchia, § 28.
112
J. Velu – R. Ergec, La Convention européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 1990, p. 59.
111
56
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Nel tentativo di scongiurare tale eventualità sono state
proposte soluzioni diversificate.
Sul piano interpretativo, si è percorsa la via di un’esegesi
convenzionalmente orientata delle disposizioni interne. In
particolare, si è affermato che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione
dell’art. 6 C.e.d.u. – fondare in modo esclusivo o significativo l’affermazione della responsabilità penale.113 È questa
la conclusione cui si perviene attraverso un’interpretazione
adeguatrice dell’art. 526, comma 1-bis c.p.p., condotta alla
luce dell’art. 6, par. 3, lett. d) C.e.d.u., per come costantemente e vincolativamente interpretato dalla Corte di Strasburgo: da tale norma, infatti, discende una «vera e propria
regola di diritto […] che prescrive un criterio di valutazione
della prova nel processo penale, nel senso che una sentenza
di condanna non può fondarsi, unicamente o in misura determinate, su deposizioni rese da una persona che l’imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare né nella fase
istruttoria né durante il dibattimento».
Cass., Sez. Un., 25 novembre 2010, n. 27918, De Francesco, in
C.E.D. Cass., n. 250199; in Cass. pen., 2012, p. 858, con nota di P.
Silvestri, Le Sezioni Unite impongono rigore per l’acquisizione e
l’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali rese senza contraddittorio da persona residente all’estero. Sulla pronuncia si v. pure
P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 30 ss.; S.
Lonati – C. Melzi d’Eril, Le sole affermazioni fatte fuori dal dibattimento non possono costituire la base per la condanna, in Guida dir., n.
43, 2011, pp. 83-85; A. Pagliano, Le discrasie del sistema processuale
penale italiano in tema di letture e contestazioni, in Dir. pen. proc.,
2011, p. 1527 ss.
113
Capitolo I – Tutela convenzionale
57
In tal modo si arriva, di fatto ad un ampliamento in via
esegetica delle regole di prova legale fissate all’art. 192,
commi 2 e 3 c.p.p., operazione, questa, invero non priva di
aspetti di problematicità, stante il carattere “eccezionale” di
dette regole, come tali, non suscettibili di interpretazione
analogica, né, tanto meno, di integrazione mediante applicazione diretta della normativa convenzionale.114
Per tale ragione, si è quindi sostenuto che la soluzione
sembra ridursi ad un’alternativa secca: proposizione della
relativa questione di costituzionalità ex art. 117 Cost., stante l’aporia non componibile interpretativamente coi dettami
sovranazionali, ovvero intervento legislativo adeguatore,
da orientare nel senso dell’introduzione nell’ordinamento
interno di «formule normative riferite a concetti da sempre
presenti nelle decisioni della Corte europea», quali quelle
di «condanna “fondata esclusivamente o in maniera determinante” su dichiarazioni formate unilateralmente».115 In
questa prospettiva, si è quindi proposta una doppia modifica dell’art. 526, comma 1-bis c.p.p., da un lato, estendendone l’operatività oltre l’eventualità del testimone che «per
libera scelta» si è «sempre» sottratto «volontariamente»
all’esame; dall’altro, circoscrivendo l’area del divieto alle
sole ipotesi di un impiego delle dichiarazioni «in maniera
esclusiva o determinante» a fondamento della dichiarazione di responsabilità.116
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 41.
S. Lonati, Il contraddittorio nella formazione della prova orale,
cit., p. 16.
116
S. Lonati, op. ult. cit., p. 17. In una prospettiva diversa si pone
E. Selvaggi, Il valore probatorio delle dichiarazioni irripetibili, in
A. Balsamo – R. E. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea
e processo penale italiano, cit., p. 379 ss., secondo cui sussistereb114
115
58
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Non sono, peraltro, mancate autorevoli posizioni di segno contrario, che evidenziando l’evanescenza del concetto di “prova determinante” e sostenendo la non opportunità «né di un intervento del legislatore che appesantisca
di nuovi commi il già sovrabbondante testo dell’art. 192
c.p.p. né tanto meno di una sentenza additiva della Corte
costituzionale che escluda la possibilità di una condanna
fondata in modo ‘esclusivo’ o ‘determinante’ su dichiarazioni irripetibili assunte fuori contraddittorio», hanno evidenziato come all’interno del nostro sistema ci sia già una
norma che «di fatto» vieta affermazioni di responsabilità di
tal fatta ed è «la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio»
codificata all’art. 533, comma 1 c.p.p., «perfettamente in
grado, proprio per la presenza del flessibile aggettivo ‘ragionevole’, di assorbire il criterio di valutazione enunciato
dalla Corte».117
bero altre due vie d’uscita, una di tipo “metodologico” e l’altra di
matrice “interpretativa”: la prima consisterebbe nella necessità, per
il giudice, del ricorso ad una motivazione congrua ed esaustiva che
prescinda – o comunque non dia peso determinante – alla dichiarazione non assunta in contraddittorio; la seconda si sostanzierebbe,
invece, in una interpretazione convenzionalmente orientata dell’istituto dell’incidente probatorio, tale da estenderlo anche ai casi considerati.
117
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., pp. 203-205.
Capitolo II
L’esecuzione delle sentenze
della Corte di Strasburgo
Sommario: 1. Dal contenzioso originario a quello attuale – 2. La forza
delle pronunce di Strasburgo e la recessività del giudicato interno
– 3. (segue) La rivisitazione della vicenda giudiziaria nell’ordinamento nazionale – 4. L’inerzia legislativa italiana
1. Dal contenzioso originario a quello attuale
Per quanto non priva di taluni interventi assai significativi,
l’attività della Corte europea dei “primordi” è apparsa alquanto rarefatta: fino alla metà degli anni settanta, essa si
è configurata di fatto come un «giudice ad intermittenza»,
chiamato ad intervenire soltanto sporadicamente, come dimostra il crudo dato dell’emanazione di meno di trenta sentenze in più di un quindicennio.1
Il limitatissimo numero di ricorsi italiani, unito alla mancata ricezione delle garanzie convenzionali tanto a livello
legislativo quanto giurisprudenziale, oltre alla pressoché
totale assenza di controlli sovranazionali sulla osservanza
delle stesse, inducevano alla sconsolante affermazione secondo cui «lo spirito del diritto europeo non penetra nell’orCosì, M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo, cit., p.
11.
1
60
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
dinamento italiano»,2 concludendosi nel senso che «le norme della Convenzione di Roma non sono ancora diventate
un effettivo strumento di tutela dell’individuo nei confronti
dello Stato».3
La causa di tale disfunzionalità appariva addebitabile ad
una molteplicità di fattori, di matrice congiunturale, strutturale e sociale.
In primis, l’incertezza circa il valore giuridico della normativa convenzionale,4 la sua inadeguata conoscenza da parte dei cittadini italiani, unita agli «indirizzi decisori tutt’altro che stimolanti degli organi giurisdizionali europei»,5
non avari nell’emissione di decisioni di irricevibilità.6
In secondo luogo, la particolare congiuntura sfavorevole
di quegli anni, martoriati dal diffondersi del terrorismo e
dall’acuirsi dei problemi della nuova criminalità, «fenomeni
divenuti più allarmanti proprio quando stava per maturare,
alla fine degli anni Sessanta, quella stagione delle riforme
processuali da cui sarebbe potuta venire la sollecitazione a
rendere pienamente operanti le norme della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo».7
G. Gregori, La tutela europea dei diritti dell’uomo, Milano, 1979,
p. 217
3
E. Amodio, L’impatto della normativa europea sul processo penale
italiano, in Id., Processo penale diritto europeo e common law, Milano, 2003, p. 80.
4
G. Foschini, La giustizia sotto l’albero e i diritti dell’uomo, in Riv. it.
dir. proc. pen., 1963, p. 300; M. Pisani, Un «caso clinico» in tema di
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Ind. pen., 1967, p. 391.
5
E. Amodio, op. ult. cit., p. 83.
6
In argomento, cfr. pure G. Biscottini (a cura di), La Convenzione
europea dei diritti dell’uomo nell’applicazione giurisprudenziale in
Italia, Milano, 1981.
7
E. Amodio, op. ult. cit., p. 85; A. Giarda, Diritti dell’uomo e processo
2
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
61
A ciò si sono aggiunte ragioni di ordine strutturale, legate
alla configurazione del modello processuale allora vigente
ed al ruolo da esso attribuito agli operatori giudiziari. In una
prospettiva ancora saldamente imperniata sugli schemi del
processo di tipo “misto”, con un magistrato istruttore dotato
del «potere di ipotecare la decisione dibattimentale mediante i risultati delle sue indagini», non era ragionevolmente
pensabile che potesse trovare terreno fecondo la ricezione
delle garanzie sovranazionali, percepite invero come «qualcosa di calato dall’esterno» in un processo la cui struttura
non appariva confacente.
La posizione di preminenza della magistratura – che sentiva di «essere chiamata ad esercitare la iurisdictio in una
condizione di assoluto monopolio, come “corpo dello Stato”», non tollerando facilmente limitazioni nella sua opera
di ricerca della verità – non poteva, poi, che fare avvertire
come una erosione di potere le garanzie previste dalla Convenzione di Roma.8
Infine, non privi di influenza sono apparsi certi orientamenti culturali e sociali, che, non ancora maturi a recepire il
grado di effettività e pregnanza delle garanzie europee, hanno
esercitato una portata frenante quanto a metabolizzazione delle stesse a livello di opinione pubblica, veicolando interpretazioni deformanti non in linea con i canoni sovraordinati.9
penale italiano: un bilancio e prospettive operative, Relazione tenuta
al Convegno su «Diritti dell’uomo e processo penale», svoltosi a Trieste nei giorni 11 e 12 ottobre 1980, p. 6 ss. del testo dattiloscritto.
8
Così, ancora E. Amodio, op. ult. cit., p. 85.
9
E. Amodio, op. ult. cit., p. 86, che ricorda l’interpretazione deformante data in quegli anni all’art. 6, n. 3, lett. a) C.e.d.u. che riconosce all’imputato il diritto di essere informato della natura e dei motivi
dell’accusa elavata a suo carico.
62
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
La situazione è cominciata a mutare verso la seconda
metà degli anni Settanta, epoca a partire dalla quale si è registrata una intensificazione a tratti quasi vertiginosa degli
interventi del Giudice europeo.
Ciò è stato dovuto, innanzitutto, al progressivo espandersi dell’area dei Paesi vincolati all’osservanza della Convenzione, passati a partire dal 1989, nel giro di diciotto anni, da
venti a quarantasette. Molti di tali Stati – provenienti dall’ex
blocco sovietico – avevano (ed hanno tuttora) uno standard
di protezione dei diritti umani non del tutto soddisfacente
e comunque non in linea con un’applicazione rigorosa delle condizioni di adesione previste dall’art. 3 dello Statuto
del Consiglio d’Europa.10 Ne è conseguito un inevitabile
incremento quantitativo del contenzioso innanzi alla Corte
europea, che ha prodotto dei significativi riflessi anche dal
punto di vista “qualitativo”. Progressivamente, infatti, la
Corte, oltre a procedere ad un graduale arricchimento per
via interpretativa del catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti dal testo della C.e.d.u.,11 ha espanso
il suo ruolo, affiancando al tradizionale compito di “custode della Convenzione” nei casi particolari sottoposti al suo
esame, quello di “controllore della conformità ordinamentale” ai parametri europei, assolvendo anche a quella che
è stata definita la “missione di scuola di democrazia” per i
Paesi che tale regime avevano da poco conquistato.12
Così O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti
dell’uomo e la Corte di giustizia nella prospettiva della giustizia costituzionale, cit., p. 17.
11
M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell’uomo, cit., p. 17.
12
Così O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti
dell’uomo, cit., p. 17.
10
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
63
Tale trasformazione del ruolo della Corte ha prodotto un
maggiore attivismo dei giudici di Strasburgo: questi, infatti,
trovandosi spesso di fronte a procedure giurisdizionali formalmente istituite nei nuovi Stati membri, ma in realtà del
tutto inadeguate a garantire un effettivo esercizio dei diritti
dei ricorrenti, hanno iniziato a dichiarare ricevibili ricorsi
rispetto ai quali non erano stati esauriti tutti i rimedi giurisdizionali interni,13 con un conseguente progressivo affievolimento del ruolo sussidiario della Corte ed un parallelo
vertiginoso aumento dei ricorsi individuali.14
Tale effetto è stato, poi, ulteriormente consolidato da altri fattori concorrenti, tra cui spiccano talune fondamentali
modifiche intervenute in tema di tutela convenzionale dei
diritti umani.
In particolare, il riferimento va innanzitutto al cedimento
delle barriere innalzate contro l’assoggettamento alla giurisdizione europea, dapprima con l’adesione, da parte dei
Paesi che non l’avevano fatto al momento della ratifica, alle
clausole relative alla giurisdizione obbligatoria della Corte e al diritto al ricorso individuale alla stessa – avvenuta,
per ciò che concerne il nostro Paese, nel 197315 – poi, con
O. Pollicino – V. Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo,
cit., p. 17. Nella giurisprudenza europea, si v. Corte e.d.u., 18 dicembre
1996, Aksoy c. Turchia; Id., 16 settembre 2006, Akdivar c.Turchia.
14
Come osserva R. Harmsen, The European Convention on Human
Rights after the Enlargement, in International Journal of Human
Rights, 2001, p. 29, in tal modo «the Court ceases to be a secondary
guarantor of human rights and instead finds itself in a more explicit
affirmation of its role in a more crucial and exposed front line position».
15
Nel sistema antecedente alla radicale riforma realizzata dal Protocollo n. 11, mentre l’operatività dei ricorsi interstatali era configurata
come automatica, cioè quale effetto della sola ratifica della C.e.d.u. da
13
64
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
la previsione dell’obbligatorietà ipso iure delle stesse ad
opera del Protocollo n. 11 alla Convenzione, adottato nel
1994,16 che ha realizzato una radicale riforma del sistema di
tutela convenzionale dei diritti umani, rappresentando una
tappa decisiva nel “processo di giurisdizionalizzazione”
dello stesso.17
parte degli Stati, quella dei ricorsi individuali aveva carattere facoltativo, essendo subordinata alla previa accettazione dei singoli Paesi
membri, da formularsi mediante apposita dichiarazione (revocabile e,
di regola, a tempo determinato). Si poteva, quindi, verificare l’eventualità che gli Stati ratificassero la C.e.d.u., senza tuttavia riconoscere
l’operatività del diritto al ricorso individuale: e questo fu appunto il
caso dell’Italia, che ratificò la Convenzione nel 1955, ma accettò la
clausola relativa al ricorso individuale solo nel 1973 (sul punto, v. A.
Saccucci, voce Corte europea dei diritti dell’uomo, in Diz. dir. pubbl.
diretto da S. Cassese, Milano, 2006, p. 1595).
16
Esattamente, l’11 maggio 1994; esso è entrato in vigore il 1° novembre 1998, a seguito della ratifica di tutti i Paesi membri (l’Italia vi ha
provveduto per ultima, il 1° ottobre 1997, successivamente all’autorizzazione disposta con la l. 28 agosto 1997, n. 296).
17
J. A. Carrillo – Salcedo, Quels juges pour la nouvelle Cour européenne des droits de l’homme, in Revue universelle des droits de l’homme,
1997, p. 1. In particolare, oltre al menzionato riconoscimento in forma
obbligatoria della giurisdizione della Corte e del diritto al ricorso individuale, esso ha sostituito la Commissione e la Corte europea preesistenti
con una nuova Corte europea permanente, in capo alla quale sono state
concentrate tutte le funzioni inerenti l’esame dei ricorsi interstatali ed individuali, ed ha abolito le competenze decisorie del Comitato dei Ministri,
deputato ormai ad assolvere a funzioni di sorveglianza sull’esecuzione
delle sentenze del Giudice di Strasburgo. Il sistema antecedente prevedeva, invece, un meccanismo di tutela convenzionale solo parzialmente
giurisdizionale, in cui il Comitato dei Ministri – organo politico, cui veniva trasmesso il ricorso che aveva superato il filtro della Commissione
e che non si fosse concluso con una composizione amichevole – poteva,
se non rimetteva il ricorso alla Corte, pronunciarsi in via definitiva sulla
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
65
Un ruolo fondamentale, inoltre, per ciò che concerne il
nostro Paese, ha indubbiamente avuto anche il mutamento
di sensibilità, più affine al “garantismo europeo”, avviatosi
con la riflessione sulla riforma del processo penale, sfociata
in quegli anni nella legge delega del 1974 e nel conseguente
progetto preliminare di un nuovo codice di rito del 1978,18
successivamente meglio coltivata con la seconda (e definitiva) legge delega del 1987.19
lesione convenzionale (in letteratura, sulle innovazioni introdotte dal Protocollo n. 11, ex multis, I. Arena, L’evoluzione del sistema internazionale
dei diritti dell’uomo. Il Protocollo n. 11, in Giur. mer., 2000, p. 1014 ss.;
R. Bernhardt, Reform of the Control Machinery Under the European
Convention on Human Rights: Protocol No. 11, in American Journal of
Int. Law, 1995, p. 145 ss.; M. de Salvia, La nuova Corte europea dei diritti dell’uomo tra continuità e riforma, in Riv. dir. intern. uomo, 1999, p.
704 ss.; A. Drzemczewski – J. Meyer-Ladewig, Principales caractéristiques du nouveau mécanisme de contrôle établi par la C.E.D.H. suite au
Protocole n. 11, signé le 11 mai 1994, in Revue universelle des droits de
l’homme, 1994, p. 81 ss.; A. Drzemczewski, A Major Overhaul of the European Human Rights Convention Control Mechanism: Protocol No. 11,
in Collected Courses of the Academy of European Law, VI, The Hague,
1997, p. 121 ss.; U. Leanza, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo: nuove prospettive per la tutela internazionale dei
diritti dell’uomo, in Jus, 1999, p. 359 ss.; G. Raimondi, Il Protocollo n.
11 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: una Corte unica per
la protezione dei diritti in Europa, in Riv. dir. intern. uomo, 1994, p. 61
ss.; D. E. Tosi, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali: la tutela dei diritti fondamentali
davanti alla nuova Corte europea, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, p. 137
ss.; M. Valenti, Il Protocollo n. 11 alla Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo: ancora una soluzione di compromesso?, in
Riv. dir. intern. priv. proc., 2000, p. 397 ss.).
18
L. 3 aprile 1974, n. 108.
19
L. 16 febbraio 1987, n. 81.
66
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Negli ultimi anni, l’istituzione giudiziaria della “Grande Europa” dei quarantasette Stati membri del Consiglio
d’Europa, ha registrato un trend costante di crescita della
domanda di tutela, che l’ha condotta, in oltre cinquant’anni di attività, a pronunciare più di quindicimila sentenze,20
oltre il 91% delle quali emesse nell’arco temporale che va
dal 1998 al 2011.21
In particolare, a partire dal 2009, la Corte e.d.u. si è assestata su una media di ricezione di più di cinquantamila
ricorsi all’anno.22
Più esattamente, il “giro di boa” delle 10.000 pronunce è avvenuto il 18
settembre 2008 (cfr. http://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/DB4F537E7364-4C4F-8A83-21F2EFCC87B6/0/ITA_Court_in_brief.pdf). Circa
la metà delle oltre quindicimila sentenze emesse dalla sua istituzione
riguardano quattro Stati membri: Turchia (2.747); Italia (2.166); Russia
(1.212) e Polonia (945); sul numero totale di ricorsi esaminati fin dal
1959, in oltre l’83% dei casi la Corte ha riscontrato almeno una violazione della Convenzione (ECHR Overview 1959-2011, in http://www.echr.
coe.int/NR/rdonlyres/8031883C-6F90-4A5E-A979-2EC5273B38AC/0/
APERCU_19592011_EN.pdf, p. 3), consistente, per lo più, nel vulnus
all’art. 6 C.e.d.u., sotto il profilo della fairness o della lentezza del procedimento. Più esattamente, i dati statistici evidenziano come il 58% delle
violazioni ha riguardato l’art. 6 C.e.d.u. e l’art. 1 Protocollo n. 1 (diritto
di proprietà); l’11% ha coinvolto, invece, il diritto alla vita o il divieto
di tortura e trattamenti inumani e degradanti (artt. 2 e 3 C.e.d.u.) (ECHR
Overview 1959-2011, cit., p. 5).
21
Cfr. The ECHR in facts & figures 2011, in http://www.echr.coe.
int/NR/rdonlyres/4ACC88A2-0336-415D-A904-061BE63EDE8D/0/
FAITS_CHIFFRES_EN_JAN2012_VERSION_WEB.pdf, p. 8.
22
Per una interessante documentazione dell’aumento esponenziale dei
ricorsi, si v. l’Explanatory report al Protocollo n. 14, redatto dallo Steering Committee for Human Rights in occasione della sessione n. 114
del Comitato dei Ministri (Strasburgo, 12-13 maggio 2004), consultabile in http://www.coe.int/t/e/human_rights/cddh/.
20
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
67
I dati dell’annual report 2011 del Comitato dei Ministri23
registrano come nel 2011 i ricorsi assegnati ad una formazione giudiziale in cui si articola l’organo europeo (single
judge, committee, chamber) sono stati 64.500, con un incremento del 5% in più rispetto all’anno 2010 (61.300); quelli
decisi 52.188, con un aumento del 27% rispetto all’anno
precedente (41.182); quelli pendenti 151.600. Di questi ultimi, 13.741 (ossia, il 9,1%) vedono come Stato convenuto
l’Italia,24 le cui violazioni più ricorrenti riguardano in genere la ragionevole durata del processo, il diritto di proprietà
e le garanzie del due process.25
Si tratta di dati statistici che costituiscono un segno inequivoco della grande vitalità del ricorso al Giudice di Strasburgo,
non privo, tuttavia, invero – come ammesso da un autorevolissimo rappresentante dell’istituzione giudiziaria europea –
di gravi ricadute sulla capacità di trattazione degli stessi.26
In http://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/77FF4249-96E5-4D1F-BE7142867A469225/0/2011_Rapport_Annuel_EN.pdf
24
Subito dopo la Turchia, che ha 15.950 casi pendenti (pari al 10,5%),
preceduta a sua volta dalla Russia, con 40.250 (pari al 26,6%).
25
In argomento, si v. pure S. Buzzelli, voce Processo penale europeo,
in Enc. dir., Annali II, tomo I, Milano, 2008, p. 722, che sottolinea
come i punti di maggior attrito con i principi convenzionali attengono
all’«insostenibile lentezza dei processi [all’] incompatibilità di certe
letture acquisitive […] senza dimenticare il nodo del processo in absentia». Sulle condanne subite dal nostro Paese, cfr. Ead., È tempo di
costruire una giustizia penale di qualità, in Cass. pen., 2006, p. 4309;
M. Castellaneta, L’Italia non è nuova a condanne per le condizioni
di vita nei penitenziari. (Spetta agli Stati assicurare ai detenuti nelle
carceri le cure appropriate per evitare che la salute peggiori), in Guida dir., 2012, n. 9, p. 92.
26
Cfr. V. Zagrebelsky, La Corte europea dei diritti dell’uomo dopo
sessant’anni, cit., p. 6.
23
68
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
2. La forza delle pronunce di Strasburgo e la recessività
del giudicato interno
L’esigenza di garantire effettività al sistema europeo di protezione dei diritti umani postula il pieno rispetto, da parte
degli Stati membri, delle sentenze definitive emesse dalla
Corte europea nelle controversie in cui sono parte.
È questo un “obbligo internazionale specifico” che si aggiunge a quello “generico”, scaturente dal principio pacta
sunt servanda, di garantire, con opportune misure legislative e con precisi comportamenti, i diritti e le libertà consacrati nel testo convenzionale.27
Diversamente, se l’ordinamento di uno Stato contraente
potesse permettersi che «una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria restasse inefficace a detrimento di una
parte», ne risulterebbe minata la configurazione stessa della
Convenzione europea quale «meccanismo unico di protezione» dei diritti dell’uomo, che contribuisce in «maniera
determinante» al mantenimento della «sicurezza democratica» e al rispetto del diritto nell’insieme dell’Europa.
Peraltro, lo stesso concetto di fair trial assumerebbe una
consistenza evanescente, riducendosi a un qualcosa di meramente «illusorio».28
Di qui, l’esigenza di considerare l’esecuzione stessa di
una decisione del Giudice di Strasburgo come «parte integrante del processo ai sensi dell’art. 6 Conv. eur.»,29 senza,
M. De Salvia – M. Remus, Ricorrere a Strasburgo. Presupposti e
procedura, Milano, 2011, p. 76.
28
S. Lonati, Il diritto dell’accusato a «interrogare o fare interrogare»
le fonti di prova a carico, cit., p. 80; Id., Il contraddittorio nella formazione della prova orale, cit., pp. 1-2.
29
Corte e.d.u., 19 febbraio 1997, Horsnby c. Regno Unito, § 40.
27
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
69
tuttavia, che naturalmente ciò implichi uno sforamento da
parte di detto Giudice dei limiti invalicabili spettanti alla
giurisdizione nazionale, con cui anzi deve “virtuosamente”
coordinarsi.
Per quanto il significativo mutamento del ruolo della
Corte europea dianzi descritto abbia, come visto, avuto
delle ripercussioni al riguardo,30 il sistema di salvaguardia
convenzionale dei diritti umani si fonda, in linea di principio, sul criterio di cd. “sussidiarietà”, secondo cui spetta innanzitutto alle autorità nazionali garantire i diritti e le
libertà consacrati nella C.e.d.u.;31 solo in seconda battuta,
una volta esaurite le vie di ricorso interne, può intervenire
il Giudice europeo, custode “secondario” dei diritti fondamentali, il quale esercitando un ruolo di “supplenza”, verifica le modalità attraverso cui i diritti in questione sono
stati assicurati dall’ordinamento domestico, censurando
eventuali inadempienze o lacune di disciplina.32
Si v. il paragrafo che precede.
Corte e.d.u., 7 dicembre 1976, Handyside c. Regno Unito, § 48, che
afferma: «The Court points out that the machinery of protection established by the Convention is subsidiary to the national systems safeguarding human rights […]. The Convention leaves to each Contracting State, in the first place, the task of securing the rights and liberties
it enshrines. The institutions created by it make their own contribution to this task but they become involved only through contentious
proceedings and once all domestic remedies have been exhausted».
Analogamente, Corte e.d.u., Grande Camera, 22 marzo 2001, Streletz,
Kessler e Krenz c. Germania, § 51; Id., 10 aprile 2001, Tanli c. Turhia,
§ 110; Id., 10 maggio 2001, Z. e altri c. Regno Unito, § 103; Id., 23
maggio 2001, Denizci e altri c. Cipro, § 315.
32
Sussiste, dunque, un obbligo statale di garantire «effective remedies» in caso di violazione dei diritti fondamentali tutelati dalla
C.e.d.u.: l’assenza di un esame giudiziario o di un’altra approfondi30
31
70
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Si introduce, così, un “controllo giurisdizionale esterno”
sulle violazioni dei diritti fondamentali dei singoli, che possono convenire lo Stato alla cui giurisdizione sono soggetti
direttamente innanzi al Giudice europeo.33
Espressione e strumento procedurale di attuazione del
principio di sussidiarietà è la regola del “previo esaurimento dei ricorsi interni” posta dall’art. 35 del testo convenzionale34 quale principale condizione di ricevibilità delle istanze avanzate alla Corte di Strasburgo.35 Essa, infatti, mira ad
assicurare che le autorità nazionali, in primis quelle giurisdizionali, possano prevenire violazioni della Convenzione
o rimediare alle stesse,36 in attuazione dell’obbligo generale
ta inchiesta sui fatti denunciati dal ricorrente integra una violazione
dell’impegno assunto ex art. 1 C.e.d.u. di riconoscere tali diritti, e in
particolare, di apprestare un ricorso effettivo come previsto dall’art.
13 C.e.d.u. (Corte e.d.u., 17 luglio 2001, Bilgin c. Turchia, § 123).
33
Sulla natura di tale controllo, si v. specificamente V. Zagrebelsky, La
Corte europea dei diritti dell’uomo dopo sessant’anni, cit., p. 4.
34
Corte e.d.u., Grande camera, 16 settembnre 1996, Akdivar e altri c.
Turchia, § 65.
35
P. Leach, Taking a case to the European Court of Human Rights,
Oxford-New York, 2005, p. 134. La regola del previo esaurimento dei
ricorsi interni è vigente anche in altri contesti di tutela dei diritti umani:
si pensi, in via esemplificativa, all’art. 41, par. 1, lett. c) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, o all’art. 46, par. 1, lett. a) della
Convenzione americana sui diritti umani del 1969 (cd. Patto di San
José), o ancora, agli artt. 50 e 56, par. 5, della Carta africana sui diritti
dell’uomo. Sull’origine storica del principio, si v. G. Strozzi, Ricorsi
interni (regola del previo esaurimento dei), in Enc. dir., XL, Milano,
1989, p. 706.
36
Corte e.d.u., 23 aprile 1996, Remli c. Francia, § 33; Id., Grande
Camera, 28 luglio 1999, Selmouni c. Francia, § 74; Id., Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, § 43; Id., Grande Camera,
17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, § 68.
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
71
gravante sui Paesi membri, ai sensi dell’art. 1 C.e.d.u., di
rispettare i diritti convenzionalmente garantiti37 e di predisporre nei rispettivi ordinamenti, ex art. 13 C.e.d.u., ricorsi
effettivi in caso di loro violazione.38
Tale regola – che, peraltro, contribuisce all’efficacia generale del sistema di protezione convenzionale, consentendo alla Corte di pronunciarsi su una questione beneficiando
del punto di vista delle corti nazionali, poste a più diretto
contatto con le forze vitali delle rispettive società39 – ha
fondamentali ripercussioni sull’ordinamento interno, postulando l’esperibilità del ricorso alla Corte europea solo
una volta che il giudicato nazionale si sia già formato, e
dunque, comportando una fatale “recessività” di questo in
caso di accertata lesione delle garanzie convenzionali.40
Corte e.d.u., Grande Camera, 29 marzo 2006, Cocchiarella c. Italia,
§ 134.
38
Corte e.d.u., Grande Camera, 26 ottobre 2000, Kudla c. Polonia, §
152.
39
Corte e.d.u., Grande Camera, 29 aprile 2008, Burden c. Regno Unito,
§ 42.
40
Nel senso che l’obbligo dell’ordinamento italiano di dare esecuzione
al giudicato sovranazionale non si arresta di fronte a situazioni interne
definite irrevocabilmente, essendo le pronunce del Giudice dei diritti
umani dotate di una forza vincolante tale da prevalere anche sul pregresso dictum definitivo interno, Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n.
16507, Scoppola, in C.E.D. Cass., n. 247244; Id., sez. VI, 12 novembre
2008, n. 45807, Drassich, ivi, n. 241753; Id., sez. I, 1° dicembre 2006,
n. 2800, Dorigo, in Cass. pen., 2007, p. 1441; Id., sez. I, 12 luglio
2006, n. 32678, Somogyi, ivi, 2007, p. 1002; Id., sez. I, 22 settembre
2005, n. 35616, Cat Berro, in Guida dir., 2005, n. 43, p. 84, con nota
di E. Selvaggi, I dispositivi della Corte europea possono travolgere
il giudicato; nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 25 settembre
2006, Bracci, in Cass. pen., 2007, p. 276. Per i risvolti costituzionali
del «superamento del giudicato “post Strasburgo”», si v. Pollicino – V.
37
72
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Recessività che, tuttavia, non è “automatica”, non conseguendo ipso iure alla sentenza dell’istituzione sovranazionale: la Corte e.d.u. è priva, infatti, di un potere di
annullamento delle decisioni domestiche lesive, e dunque, dai suoi dicta non consegue alcun effetto rescindente
sulle stesse.41
Si rende, quindi, indispensabile una “collaborazione”
degli ordinamenti nazionali, sui quali, ai sensi dell’art. 46
C.e.d.u. grava l’obbligo di «conformarsi» alle sentenze definitive della Corte europea, dandovi attuazione attraverso
Sciarabba, La Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 28, i quali sottolineano come l’intangibilità del giudicato interno rappresenti
«l’elemento “di chiusura” degli ordinamenti giuridici», ponendosi, «su
un piano forse meno appariscente di altri, ma probabilmente cruciale
dal punto di vista tecnico», come un elemento fondamentale di difesa
della sovranità intesa in senso tradizionale.
41
Invero, durante le fasi iniziali dei lavori preparatori della Convenzione si era proposto di attribuire alla Corte europea il potere di intervenire direttamente nell’ordinamento giuridico degli Stati membri,
annullando o modificando gli atti interni legislativi, amministrativi o
giudiziari ritenuti lesivi delle garanzie convenzionali. Il testo originario
dell’art. 50 C.e.d.u. (ora divenuto art. 41), prevedeva infatti che «The
verdict of the Court shall order the State concerned (1) to annul, suspend or amend the incriminating decision; (2) to make reparation for
damage caused; (3) to require the appropriate penal, administrative or
civil sanctions to be applied to the person or persons responsible» (cfr.
Council of Europe, Collected edition of the “Travaux préparatoires”
of the European Convention on Human Rights, The Hague, 1975, I,
p. 98). Tale
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impostazione era stata, tuttavia, quasi subito abbandonata a favore di una soluzione più adeguata all’assetto tradizionale del
diritto internazionale, che riconoscesse alla Corte europea il potere di
disporre a favore della vittima della violazione un’equa riparazione,
rimettendo al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il compito
di sorvegliare l’esecuzione delle sentenze.
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
73
l’adozione di misure interne che consentano alla vittima
della violazione di essere reintegrata nella situazione antecedente all’accertato vulnus.42
In particolare, secondo quanto dispone l’art. 41 C.e.d.u.,
in caso di condanna per violazione delle norme della Convenzione o dei Protocolli addizionali, lo Stato convenuto
diviene destinatario di una serie di obblighi consequenziali: innanzitutto, quello primario di porre fine al comportamento antigiuridico, rimuovendo la violazione normativa
accertata e ripristinando la situazione anteriore alla stessa
(cd. restitutio in integrum);43 in secondo luogo – e solo in
In argomento, in dottrina si v. A. Drzewmczewski, Art. 46, in S. Bartole – B. Conforti – G. Raimondi, Commentario alla Convenzione
europea, cit., p. 685 ss.; P. H. Imbert, L’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle decisioni del Comitato
dei Ministri, in Doc. giust., 2000, p. 234 ss.; E. Lambert, Les effets
des arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme, Bruxelles,
1999; Ead, Les effets des décisions des organes de la Convention
européennne des droits de l’homme: des obligations internationales
sans précédent…, in Rev. trim. dr. homme, 2000, p. 200 ss.; P. Pirrone,
L’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo, Milano, 2004; Id., Art. 46, in S. Bartole – P. De Sena – V.
Zagrebelsky, Commentario breve alla Convenzione europea, cit., p.
744 ss.; G. Raimondi, L’obbligo degli Stati di conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti umani negli affari nei quali
essi sono parte: l’art. 46, primo comma, della Cedu, in Aa. VV., La
Corte europea dei diritti umani e l’esecuzione delle sue sentenze, Napoli, 2003, p. 39 ss; B. Randazzo, Nuovi sviluppi in tema di esecuzione
delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. uomo,
2006, n. 2, p. 11 ss.;
43
Su tale obbligo, cfr. C. Bîrsan, Les aspects nouveaux de l’application des articles 41 et 46 de la Convention dans la jurisprudence
de la Cour européenne des droits de l’homme, in Trente ans de droit
européenne des droits de l’homme. Etudes à la memoire de Wolf42
74
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
via sussidiaria – quello di corrispondere una satisfaction
équitable alla vittima nell’eventualità in cui la normativa
nazionale non consenta una completa riparazione.44
L’accertamento di un vulnus convenzionale da parte del
Giudice europeo, dunque, comporta a carico del Paese ritenuto responsabile l’obbligo prioritario di provvedere alla
integrale riparazione del pregiudizio causato alla vittima
della lesione.
Ora, in linea di principio, si è sempre riconosciuta allo
Stato membro un’ampia autonomia nella scelta dei mezzi attaverso cui realizzare, sotto la sorveglianza ad hoc del
Comitato dei Ministri, tale obiettivo45 – purchè ovviamengang Strasser, Bruxelles, 2007, p. 23 ss.; E. Lambert, La pratique
récente de réparation des violations de la Convention européenne
de sauveguarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales:
plaidoyer pour la préservation d’un acquis remarquable, in Revue
trim. dr. homme, 2000, p. 201.
44
In dottrina, cfr. F. Crisafulli, Il pagamento dell’ “equa soddisfazione”, in Aa. Vv., La Corte europea dei diritti umani e l’esecuzione delle
sue sentenze, cit., p. 87 ss.; R. Luzzatto, La Corte dei diritti dell’uomo
e la riparazione delle violazioni della Convenzione, in Studi in onore di
Manlio Udina, I, Milano, 1975; F. Sundberg, Art. 41, in S. Bartole –
B. Conforti – G. Raimondi, Commentario alla Convenzione europea,
cit., p. 664 ss.
45
Corte e.d.u., 19 ottobre 2000, Iatridis c. Grecia, § 33; Id., 13 luglio
1996, Nasri c. Francia, § 49; Id., 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos e altri c. Grecia, § 34; Id., 23 maggio 1991, Obserschilck c.
Austria, § 65; Id., 24 maggio 1989, Hauschildt c. Danimarca, § 54;
Id., 29 aprile 1988, Belilos c. Svizzera, § 78; Id., 26 maggio 1988,
Pauwels c. Belgio, § 41; Id., 26 ottobre 1988, Norris c. Irlanda, §
50; Id., 25 giugno 1987, Baggetta c. Italia, § 30; Id., 18 dicembre
1986, Johnston e altri c. Irlanda, § 77; Id., 26 ottobre 1985, McGoff
c. Svezia, § 31; Id., 22 marzo 1983, Campbell c. Regno Unito, § 16;
Id., sent. 13 giugno 1979, Marchx c. Belgio, § 58.
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
75
te questi fossero «compatibili con le conclusioni contenute
nella sentenza della Corte» – costituendo l’obbligo ex art.
46 C.e.d.u. un obbligo “di risultato”.46
Tale conclusione, in linea con la tradizionale natura “dichiarativa” attribuita ai decisa sovranazionali47 ha nel tempo cominciato ad incrinarsi, iniziando la stessa Corte europea ad indicare nelle sue pronunce quali ulteriori misure,
diverse dal risarcimento monetario, di carattere individuale
(idonee, cioè a porre fine alla riscontrata violazione, eliminando le conseguenze pregiudizievoli della stessa e ripristinando per quanto possibile la situazione antecedente) o
generale (ossia, adeguate a rimediare a situazioni strutturali
esistenti negli ordinamenti nazionali causa di attrito con i
principi della Convenzione), si rendessero di volta in volta
necessarie per adempiere all’obbligo riparatorio in favore
delle vittime, dando in tal modo piena esecuzione alle sue
sentenze.48
Corte e.d.u., Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, § 147; Id., 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, §§ 119 e 127; Id.,
Grande Camera, 12 maggio 2005, Ocalan c. Turchia.
47
Cfr. V. Esposito, La libertà degli Stati nella scelta dei mezzi attuativi, cit., p. 17; A. Saccucci, Obblighi di riparazione e revisione, cit.,
p. 618.
48
Cfr. Corte e.d.u., 13 luglio 2000, Scozzari c. Italia, § 249: «lo Stato
convenuto, riconosciuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, è chiamato non solo a versare agli interessati
le somme assegnate a titolo di equo indennizzo, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei ministri, le misure generali e/o,
eventualmente, individuali da adottare nel suo ordinamento giuridico
interno al fine di porre fine alla violazione accertata dalla Corte e di
cancellarne per quanto possibile le conseguenze»; nello stesso senso,
in precedenza, Corte e.d.u., 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos c.
Grecia, § 34. Su tale evoluzione, in dottrina, cfr. A. Cozzi, L’impat46
76
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Così, ad esempio, in tema di illegittima privazione della
libertà personale, la Corte non ha esitato ad indicare nello
stesso dispositivo della sentenza la messa in libertà immediata del ricorrente quale misura individuale da adottarsi da
parte dello Stato per ottemperare alla sua decisione;49 con
riferimento a condizioni detentive inumani e degradanti, ha
sollecitato il Paese convenuto ad assicurare nel più breve
tempo modalità di restrizione della libertà adeguate ad assicurare al ricorrente le necessarie cure mediche;50 in tema
to delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle situazioni giuridiche
interne definite da sentenze passate in giudicato: la configurabilità di
un obbligo di riapertura o di revisione del processo, in F. Spitaleri (a
cura di), L’incidenza del diritto comunitario e della CEDU sugli atti
nazionali definitivi, Milano, 2009, p. 162 ss.; L. G. Loucadeis, Reparation for Violation of Human Rights under the European Convention
and Restitutio in Integrum, in Eur. Hum. Rights Law Rev., 2008, p.
186 ss.; A. Saccucci, La riapertura del processo penale quale misura
individuale per ottemperare alle sentenze della Corte europea, in A.
Balsamo – R. E. Kostoris, Giurisprudenza europea e processo penale
italiano, cit., p. 84.
49
Corte e.d.u., 8 aprile 2004, Assanidzé c. Georgia,§ 203: «In these
conditions, having regard to the particular circumstances of the case
and the urgent need to put an end to the violation of Article 5 § 1 and
Article 6 § 1 of the Convention [...], the Court considers that the respondent State must secure the applicant’s release at the earliest possible date».
50
Corte e.d.u., 20 gennaio 2009, Sławomir Musiał c. Polonia, § 108:
«In these conditions, having regard to the particular circumstances of
the case and the urgent need to put an end to the violation of Article 3
of the Convention [...], the Court considers that the respondent State
must secure, at the earliest possible date, the adequate conditions of
the applicant’s detention in an establishment capable of providing him
with the necessary psychiatric treatment and constant medical supervision».
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
77
di contaminazione da virus dell’HIV, ha stabilito in favore
del ricorrente, in aggiunta all’equa soddisfazione, l’onere
del Governo di assicurare allo stesso la copertura medica
gratuita e completa per tutta la durata della sua vita;51 in
tema di illegittima espropriazione di beni, ha indicato allo
Stato l’alternativa tra la restituzione del bene illegittimamente sottratto al ricorrente o il pagamento allo stesso di
un indennizzo corrispondente al valore di mercato del bene
stesso.52
Sempre più frequentemente, inoltre, relativamente a violazioni dei canoni del fair trial ex art. 6 C.e.d.u. – sotto
il profilo, ad esempio, dell’imparzialità dell’organo giudicante o del diritto dell’accusato a partecipare al processo
– la Corte europea ha affermato che il modo migliore per
ottemperare alla sentenza che ha censurato la violazione
convenzionale è quello di garantire la “rinnovazione” o la
“riapertura” del procedimento nell’ordinamento interno.53
Corte e.d.u., 23 marzo 2010, Oyal c. Turchia
Corte e.d.u., 23 gennaio 2001, Brumărescu c. Romania.
53
Con riferimento alla violazione dell’imparzialità dell’organo giudicante, Corte e.d.u., 23 ottobre 2003, Gencel c. Turchia, § 27 («Lorsque la Cour conclut que la condamnation d’un requérant a été prononcée par un tribunal qui n’était pas indépendant et impartial au
sens de l’article 6 § 1, elle estime qu’en principe le redressement le
plus approprié serait de faire rejuger le requérant en temps utile par
un tribunal indépendant et impartial»); in tema di processo contumaciale, Corte e.d.u., 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, § 86 («La
Corte ritiene che quando essa conclude che è stata pronunciata la
condanna di un ricorrente nonostante l’esistenza di una potenziale
lesione del suo diritto a partecipare al suo processo la correzione
più appropriata sarebbe in principio quella di far giudicare di nuovo
l’interessato o di riaprire il processo in tempo utile e nel rispetto
delle esigenze dell’articolo 6 della Convenzione»).
51
52
78
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
3. (segue) La rivisitazione della vicenda giudiziaria
nell’ordinamento nazionale
Tappa fondamentale di tale significativa evoluzione nella
giurisprudenza della Corte europea è stata l’approvazione
della nota raccomandazione n. R. (2000) 2 del 19 gennaio
2000,54 con cui per la prima volta il Comitato dei Ministri,
sulla base dei suggerimenti formulati dal Comitato di esperti per il miglioramento delle procedure di protezione dei
diritti umani (DH-PR), ha affrontato in modo organico la
questione della “riapertura” del processo nell’ordinamento
interno a seguito di condanna del Giudice di Strasburgo.
Con tale atto si è, infatti, affermato che di frequente
la misura preferibile di adempimento in forma specifica
dell’obbligo di riparazione in grado di assicurare la restitutio in integrum è proprio il “riesame” o la “riapertura”
del processo,55 rivolgendosi, quindi, un invito agli Stati
contraenti «ad esaminare i rispettivi ordinamenti nazionali» onde assicurare adeguate possibilità di realizzazione
degli stessi.
In particolare, la Raccomandazione individua due presupposti ricorrendo i quali l’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche sottesa alla res iudicata deve cedere il
passo alla salvaguardia effettiva dei diritti dell’individuo:
la prima è che la vittima «continu[i] a soffrire delle conseguenze negative molto gravi in seguito alla decisione nazionale, conseguenze che non possono essere compensate
dall’equa soddisfazione e che non possono essere rimosse
V. cap. I, nota 15.
M. Gialuz, voce Revisione europea, in Digesto del processo penale,
diretto da A. Scalfati, Torino, 2012, p. 1.
54
55
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
79
se non attraverso il riesame o la riapertura» del caso;56 la
seconda attiene alla natura della violazione, che può essere
sia di carattere sostanziale («la decisione interna impugnata
è nel merito contraria alla Convenzione»), che procedurale
(«la violazione riscontrata è costituita da errores o da altre
mancanze»), purché in quest’ultimo caso sia «di tale gravità da far sorgere seri dubbi sull’esito del procedimento
nazionale considerato».57
Tale distinzione appare fondamentale ai fini dell’identificazione del contenuto dell’obbligo.
Sebbene infatti l’Explanatory Memorandum della Raccomandazione adotti una concezione lata, che ricomprende
«tutte le forme, giurisdizionali e non, di riconsiderazione
critica del caso a livello interno»,58 precisando che la «riapertura» si riferisce alle ipotesi caratterizzate dall’intervento delle autorità giurisdizionali, mentre il «riesame» attiene ai casi di intervento di autorità non giurisdizionali, in
particolare amministrative, nella specifica prospettiva della
riconsiderazione di una vicenda processuale penale, si è ritenuto preferibile adottare un criterio diverso, calibrato sul
tipo di lesione convenzionale perpetrata.
L’Explanatory Memorandum della Raccomandazione indica a titolo
esemplificativo le seguenti ipotesi: «persone che sono state condannate a lunghe pene detentive e che sono ancora in carcere al momento
dell’esame del caso da parte degli organi convenzionali»; persone cui
«vengano ingiustificatamente negati certi diritti civili o politici», o che
vengono espulse «in violazione del [loro] diritto alla vita familiare»,
ovvero ancora, minori che si vedono «ingiustificatamente proibire contatti con i propri genitori».
57
A. Saccucci, La riapertura del processo penale quale misura individuale, cit., pp. 87-88.
58
A. Saccucci, op. ult. cit., p. 87.
56
80
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Così, si è detto che, ove la decisione interna sia lesiva di
un diritto sostanziale riconosciuto dalla Convenzione, verrà in rilievo una «sentenza convenzionalmente ingiusta»,
come tale soggetta a “riesame”; ove, invece, il vulnus ai
principi sovranazionali derivi dalla violazione di un diritto
processuale di tale gravità da avere condizionato l’esito del
processo, si avrà una «sentenza convenzionalmente illegittima», che dà luogo a “riapertura” del processo.59
Alla luce di tale criterio discretivo è possibile poi specificare ulteriormente il vincolo derivante per l’ordinamento
interno da una pronuncia della Corte di Strasburgo che imponga, in termini generici, la “riapertura” quale misura individuale idonea ad assicurare in forma specifica l’obbligo
di riparazione.
Nei casi, infatti, di violazione di un diritto sostanziale
garantito dalla C.e.d.u. – si pensi, a titolo esemplificativo,
al principio di irretroattività della legge penale ex art. 7,
alla libertà di espressione sancita dall’art. 10, a quella di
associazione di cui all’art. 11, a quella di pensiero, di coscienza e di religione di cui all’art. 9 C.e.d.u. – l’obbligo di
riesame, stando alla stessa evoluzione giurisprudenziale europea, può atteggiarsi in due modi distinti: come obbligo di
«neutralizzazione degli effetti» della illegittima condanna
del ricorrente, ovvero come obbligo di «rivalutazione del
contenuto» della sentenza allo stato degli atti, ossia senza
svolgere attività processuale diversa da quella strettamente
decisoria, tenendo conto delle indicazioni del Giudice di
Strasburgo.60
È questa la distinzione proposta da M. Gialuz, voce Revisione
europea, cit., p. 2.
60
Così, ancora, condivisibilmente M. Gialuz, voce Revisione europea,
cit., p. 3 e Id., Il riesame del processo a seguito di condanna della Cor59
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
81
La prima eventualità, più precisamente, potrebbe ricorrere, ad esempio, nell’ipotesi di una condanna per diffamazione nell’ordinamento interno, ritenuta dalla Corte
europea lesiva della libertà di espressione sancita dall’art.
10 C.e.d.u., essendo in tal caso necessario “cancellare” gli
effetti di detta pronuncia; la seconda, come accaduto in un
noto caso che ha visto convenuto il nostro Paese, allorché
sia violato il principio di retroattività della legge più favorevole, corollario del principio nullum crimen sine lege di
cui all’art. 7 C.e.d.u.,61 occorrendo provvedere in tale eventualità ad una riconsiderazione rebus sic stantibus del contenuto della pronuncia nazionale alla luce delle indicazioni
contenute nella sentenza del giudice europeo.62
Diverso il caso di violazione delle garanzie processuali
– ad esempio, inosservanza delle regole del due process per
lesione del diritto ad un giudice imparziale,63 del diritto a
partecipare personalmente al processo,64 o di interrogare i
te di Strasburgo: modelli europei e prospettive italiane, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2009, p. 1849.
61
Il riferimento è alla famosa pronuncia Corte e.d.u., 19 settembre
2009, Scoppola c. Italia, su cui v. infra, Cap. III, par. 3.
62
Come precisa M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p. 1850, invero «la rivalutazione può essere disposta pure
per eseguire una sentenza che abbia accertato la violazione di un diritto
di natura processuale: in alcuni ordinamenti, infatti, si è garantita la
riduzione della pena, al fine di compensare il condannato dell’irragionevole durata del procedimento».
63
Corte e.d.u., 19 ottobre 2006, Abdullah Altun c. Turchia, § 38; Id.,
2 febbraio 2006, Duran Sekin c. Turchia, § 23; Id., 12 maggio 2005,
Ocalan c. Turchia, § 210; Id., 29 gennaio 2004, Tahir Duran c. Turchia, § 23; Id., 23 ottobre 2003, Gençel c. Turchia, § 27.
64
Corte e.d.u., 12 novembre 2007, Pititto c. Italia, § 79; Id., 21 dicembre 2006, Zunic c. Italia, § 73; Id., 14 dicembre 2006, Alì Ay c. Italia,
82
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
testimoni a carico65 – che dà luogo ad un’ipotesi di “riapertura” in senso proprio.
A differenza, infatti, dell’eventualità dianzi considerata,
in cui la violazione riscontrata impone allo Stato di rimuovere o riconsiderare l’esito stesso del processo (sempre
che continui a produrre gravi conseguenze pregiudizievoli
per la vittima non altrimenti eliminabili), in tal caso non
è l’esito del giudizio a porsi di per sé in contrasto con la
Convezione, bensì le modalità del suo svolgimento, che
compromettono – indipendentemente dall’approdo decisorio, che potrebbe eventualmente non mutare di segno – la
credibilità oggettiva dell’accertamento interno, di tal chè
occorrerà riaprire il processo con completamento (“riapertura in senso stretto”) o “rinnovazione” dell’attività istruttoria o argomentativa.66
Peraltro, con riferimento alle ipotesi di riapertura “in senso stretto” – diverse dalla rinnovazione totale (conseguente,
§ 59; Id., 29 settembre 2006, Hu c. Italia, § 71; Id., Grande Camera, 1°
marzo 2006, Sejdovic c. Italia, §§ 126-127.
65
Corte e.d.u., 19 ottobre 2006, Majadallah c. Italia, § 49; Id., 15 ottobre 2005, Bracci c. Italia, § 75.
66
Altre ipotesi in cui la Corte di Strasburgo indica la riapertura del processo come misura individuale più idonea attengono alle eventualità
di violazione del fair trial per l’utilizzo di prove testimoniali ottenute
con la coercizione (Corte e.d.u., 28 settembre 2007, Harutyunyan c.
Armenia, § 66), per la lesione del diritto dell’imputato di essere sentito
personalmente davanti al giudice (Id., 1° luglio 2008, Calmanovici c.
Romania, § 162), del diritto all’assistenza effettiva di un difensore (Id.,
27 aprile 2006, Sannino c. Italia, § 68), del diritto di essere informato
della natura e dei motivi dell’accusa e di disporre del tempo necessario
per preparare la difesa (Id., 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia, §
46), del diritto di accesso al giudice dell’impugnazione (Id., 22 maggio
2007, Perlata c. Grecia, § 35).
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
83
ad esempio, a lesione del diritto a un giudice indipendente
e imparziale o del diritto dell’imputato a partecipare personalmente al processo) – non si è neanche escluso un certo
“margine di apprezzamento nazionale”: la regola dell’incidenza determinante dell’error in procedendo sull’esito
processuale fissata dalla Raccomandazione n. R (2000) 2
del 19 gennaio 2000 e ribadita pure dall’art. 4, comma 2
del Protocollo n. 7 alla C.e.d.u., pare, infatti, postulare oltre
ad un primo vaglio delle istituzioni sovranazionali – Corte europea e Comitato del Ministri – sulla rilevanza causale del vizio, anche un ulteriore sindacato rimesso agli
ordinamenti interni.67 Se ne è dedotta, quindi, l’assenza di
un «vincolo assoluto per le autorità nazionali, che possono anche discostarsi dalle indicazioni della Corte, purché
giustifichino l’eventuale diniego della riapertura davanti al
Comitato».68 A sostegno dell’assunto, oltre a significativi
precedenti e al richiamo ad esperienze comparatistiche di
taluni ordinamenti stranieri,69 si è evidenziato come, soprattutto in merito a lesioni processuali derivanti da violazioni
probatorie, la “prova di resistenza” effettuata dalla Corte è
molto diversa da quella realizzata nell’ordinamento interA. Cozzi, L’impatto delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle
situazioni giuridiche interne, cit., p.195.
68
M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p.
1852.
69
M. Gialuz, op. ult. cit., p. 1852, nt. 32, ricorda la Risoluzione Cm/
resDh(2007)1, del 14 febbraio 2007, che ha chiuso il caso relativo alla
sentenza Ocalan c. Turchia, del 12 maggio 2005: benché la Corte europea avesse individuato nella riapertura del procedimento la misura
individuale preferibile, la Corte di Ankara l’aveva esclusa, ritenendo
che «neither the new submissions made on behalf of the applicant by
his lawyers nor a full re-examination of the case file» potesse mettere
in dubbio la fondatezza della pronuncia di condanna.
67
84
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
no. Da un lato, infatti, il giudice nazionale non si basa solo
sulla motivazione della sentenza, ma dispone anche degli
atti del procedimento, laddove invece il sindacato dell’organo giurisdizionale europeo sulla “decisività” dell’elemento probatorio si confonde con la “tenuta” dell’apparato
logico-argomentativo della pronuncia; dall’altro, gli stessi
criteri di valutazione differiscono: mentre il giudice interno,
nell’effettuare la verifica de qua, provvede all’espunzione
del risultato probatorio viziato, quello europeo, nel valutare l’equità della procedura nel suo complesso, non compie
un’analoga esclusione, facendo comunque confluire l’elemento iniquo nel “metabolismo giudiziario”, nell’ambito
del quale ben può avere un ruolo “non determinante” ai fini
della decisione.70
4. L’inerzia legislativa italiana
La carenza di un potere rescindente o modificatorio dell’atto lesivo nazionale in capo alla Corte europea implica la necessaria “cooperazione” dell’ordinamento interno, tenuto a
“tradurre” il vincolo derivante dalla pronuncia sovranazionale, dandovi piena esecuzione.71
Proprio tale esigenza ha indotto la maggioranza dei Paesi del Consiglio d’Europa a dotarsi di rimedi straordinari
tramite cui ottemperare all’obbligo ex art. 46 C.e.d.u., scardinando la stabilità del giudicato interno iniquo.
Le vie a tal fine seguite nei diversi ordinamenti sono
state varie: dall’introduzione di un apposito strumento reS. Allegrezza, Violazione della CEDU e giudicato penale. Quali
contaminazioni? Quali rimedi?, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto
– P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 25.
71
M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 3.
70
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
85
vocatorio ad hoc, all’adattamento – non privo di qualche
forzatura – di istituti straordinari già esistenti.72
L’Italia, purtroppo, nonostante le reiterate sollecitazioni all’uopo ricevute a livello internazionale e dalla stessa
Corte costituzionale,73 è rimasta inerte, essendosi risolte in
un nulla di fatto le iniziative legislative avviate nell’ultimo quindicennio per garantire l’esecuzione del giudicato di
Strasburgo.74
Privilegiando un’impostazione per lo più “conservativorestrittiva” – volta cioè a realizzare la rivisitazione delle
sentenze irrevocabili convenzionalmente illegittime attraverso un ampliamento dell’ambito di praticabilità del già
esistente istituto della revisione ex art. 630 c.p.p.,75 limitato
Per una puntuale analisi delle diverse soluzioni adottate negli ordinamenti europei, si v. M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito
di condanna, cit., p. 1864 ss.; T. A. Cristou – J. P. Ramon, European
Court of Human Rights. Remedies and Execution of Judgments, BIICL,
2005; A. Mangiaracina – L. Parlato, La revisione del giudicato penale a seguito di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo.
I) La progettualità italiana e l’esperienza del Regno Unito; II) L’esperienza della Repubblica federale tedesca e di altri Paesi dell’Europa
continentale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 982 ss.
73
Cfr. cap. I, note n. 91 e 92.
74
Come efficacemente osserva P. Gaeta, La Corte ritiene superfluo un
nuovo giudizio e ridetermina direttamente la pena, in Guida dir., 2010,
n. 24, p. 87, «il legislatore nazionale […], come l’oracolo delfico, continua a ignorare il problema: “non dice, non nega, ma accenna”».
75
Opzione condivisa da M. D’Orazi, Revisione della condanna penale
e violazione dell’art. 6 CEDU, in Cass. pen., 2006, p. 2967; in senso
contrario, invece, S. Allegrezza, Violazioni della CEDU e giudicato
penale, cit., p. 22; L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e Costituzione: la Corte costituzionale in tema di revisione a
seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo, in Cass. pen.,
2008, p. 3999 ss.; A. Scalfati, Libertà fondamentali e accertamento
72
86
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
peraltro alle sole violazioni di matrice processuale – un primo tentativo in tal senso fu compiuto nel corso della XIII legislatura, con la presentazione al Senato, il 24 marzo 1998,
della proposta di legge n. 3168, che introduceva un nuovo
caso di revisione per l’eventualità in cui fosse «accertata
con sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo la
violazione dell’art. 6, paragrafo 3, lettere c) e d), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali».
Mai approdata alla discussione,76 tale proposta è stata seguita, nel corso della XIV legislatura, dalla presentazione
del testo n. 1447-1992-A, frutto dell’unificazione operata
dalla Commissione Giustizia della Camera di due progetti
di legge (C-1447, del 31 luglio 2011, di iniziativa degli onn.
Pepe, Saponara, Russo e altri, e C-1992, del 20 novembre
2001, d’iniziativa dell’on. Cola), il quale, come risultante
da alcuni emendamenti apportati al testo base,77 si caratgiudiziario: la revisione del processo a seguito delle pronunce della
Corte europea dei diritti dell’uomo, in G. Di Chiara (a cura di), Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino,
2003, p. 453, il quale sottolinea la nuova portata per tal via attribuita
all’istituto della revisione, sospinto «verso un orizzonte del tutto ignoto al suo tradizionale regime», non invocandosi più un novum capace
di influire sulla ricostruzione della vicenda processuale, ma mirandosi
a ristabilire un ordine violato in nome del diritto all’equo processo.
76
La norma in questione fu stralciata dalla Commissione Giustizia del
Senato, proseguendo l’iter fino all’approvazione della l. 23 novembre
1998, n. 405 solo la prima parte della proposta di legge, finalizzata ad
una modifica della competenza in materia di revisione. In argomento,
anche per le iniziative successive, si v. A. Saccucci, Revisione dei processi in ottemperanza alle sentenze della Corte europea: riflessioni de
iure condendo, in Dir. pen. proc., 2002, p. 247.
77
Il testo base si componeva di due articoli: il primo prevedeva l’intro-
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
87
terizzava per introdurre nel tessuto codicistico un nuovo
art. 630-bis, dedicato appunto alla «revisione a seguito di
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo». L’attivabilità del nuovo rimedio straordinario era, però, subordinata al ricorrere di un triplice ordine di presupposti: che
venisse in rilievo la violazione dell’art. 6 C.e.d.u. (non più
limitata al solo terzo paragrafo),78 che questa avesse avuto
un’ “incidenza rilevante” sulla decisione nazionale e che
permanessero gli “effetti negativi”79 dell’esecuzione della
pronuncia.80
duzione di una lettera d-bis all’art. 630, comma 1 c.p.p., secondo cui
la revisione era ammessa ove fosse stata «accertata con sentenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo la violazione dell’art. 6 paragrafo
3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali»; il secondo aggiungeva all’art. 633 c.p.p. un nuovo comma, secondo cui «nel caso previsto dall’art. 630, comma 1, lett.
d-bis) alla richiesta deve essere unita copia autenticata della sentenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo». Per le critiche mosse a tale
proposta di legge, si v. F. Callari, La firmitas del giudicato penale,
cit., pp. 343-344.
78
Precisamente, l’art. 630-bis statuiva che «fuori dalle ipotesi previste
dall’art. 630, la revisione delle sentenze e dei decreti penali di condanna può essere richiesta se è accertato con sentenza della Corte europea
dei diritti dell’uomo che nel corso del giudizio sono state violate le
disposizioni di cui all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
79
All’art. 631 c.p.p. veniva, inoltre, aggiunto un nuovo comma, secondo cui «la richiesta di revisione ai sensi dell’art. 630-bis è inammissibile se la violazione delle disposizioni ivi richiamate non ha avuto incidenza rilevante sulla decisione e se non permangono gli effetti negativi
dell’esecuzione della sentenza o del decreto penale di condanna».
80
Si trattava, dunque, di una soluzione piuttosto equilibrata, posto che
«la temuta diffusività del rimedio risulta[va] temperata dalle condizioni di ammissibilità della richiesta, sia nell’imporre un certo tipo di
88
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Anche tale proposta, tuttavia, non è stata approvata, incontrando una forte resistenza parlamentare.81 Ed eguale
esito fallimentare ha avuto pure il tentativo di introduzione di un nuovo caso di revisione – limitato alle violazioni
dell’art. 6, par. 3, lett. c) e d) C.e.d.u. – ad opera dell’art. 3
del progetto di legge relativo alla ratifica e all’esecuzione
del Protocollo n. 14 alla C.e.d.u., presentato in Senato il
22 marzo 2005, ma poi non confluito nel testo della l. 15
dicembre 2005, n. 280.82
rapporto tra l’inosservanza delle garanzie fondamentali e la pronuncia
irrevocabile, sia nel subordinare l’impiego dell’impugnazione a specifiche conseguenze da rimuovere» (A. Scalfati, Libertà fondamentali
e accertamento giudiziario, cit., p. 452; in senso critico, invece, P. Pustorino, Esecuzione delle sentenze della Corte EDU e revisione dei
processi penali: sviluppi nella giurisprudenza italiana, in R. Bin – G.
Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e
Cedu, cit., p. 207).
81
Cfr. F. Callari, La firmitas del giudicato, cit., p. 355. Id., Esigenze
giuridiche ed aspirazioni idealistiche nel giudizio di revisione: limiti e
prospettive de iure condendo, in Cass. pen., 2006, p. 310 ss.; T. Basile,
Adeguamento dell’ordinamento giuridico nazionale alla Convenzione
europea dei diritti dell’uomo, in Dir. pen. proc., 2002, p. 907 ss.; A.
Saccucci, Revisione dei processi in ottemperanza alle sentenze della
Corte europea, cit., p. 247 ss.
82
M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit., p.
1883, che ricorda come nel corso della stessa legislatura del tema si era
occupata anche la commissione ministeriale di studio per la riforma
del codice di procedura penale insediata con d.m. 29 luglio 2004 (cd.
“commissione Dalia”), che nel testo del progetto redatto aveva contemplato (art. 688) un’ipotesi di revisione connessa all’eventualità che
«il processo, definito con sentenza di condanna, con sentenza di applicazione di pena concordata tra le parti o decreto penale di condanna,
è stato ritenuto ingiusto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché lesivo dei diritti minimi dell’individuo, come specificati dall’art.
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
89
Nel corso della XV legislatura, dopo un’iniziativa – poi
ritirata – dell’on. Pecorella, che aveva presentato un disegno
di legge (C-917) sostanzialmente riproduttivo del contenuto
della proposta approvata alla Camera durante la precedente
legislatura, il Governo si è fatto promotore di un’iniziativa
dai contenuti fino a quel momento inediti. Recependo le
sollecitazioni provenienti dalla Commissione ministeriale di studio per la riforma del codice di procedura penale istituita con d.m. il 17 luglio 2006 (cd. “Commissione
Riccio”),83 ha presentato un disegno di legge (S-1797)84 che
introduceva nel libro IX del codice di rito un nuovo titolo
IV-bis, in cui, agli artt. 647-bis–647-sexies, era contenuta la
disciplina di un rimedio impugnatorio straordinario diverso
e autonomo rispetto a quello tradizionale disciplinato agli
artt. 629 ss. c.p.p., denominato «Revisione a seguito delle
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo»,85 la cui
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali». Sul tema, si v. pure T. Cavallaro, Un
nuovo caso di revisione del processo penale, in A. Pennisi (a cura di),
Verso un nuovo processo penale. Opinioni a confronto sul progetto di
riforma Dalia, Milano, 2008, p. 159 ss.
83
La Bozza di delega legislativa al Governo per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale statuiva espressamente (art. 2, punto
104.8) l’opportunità di «prevedere un apposito rimedio, diverso dalla
revisione», per ottemperare alle sentenze di condanna emesse dal Giudice di Strasburgo.
84
Consultabile in R. E. Kostoris – A. Balsamo, Giurisprudenza europea e processo italiano, cit., p. 573.
85
In particolare, l’art. 647-bis c.p.p. così statuiva: «1. È ammessa la revisione delle sentenze di condanna quando la Corte europea dei diritti
dell’uomo ha accertato con sentenza definitiva la violazione di taluna
delle disposizioni di cui all’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratifi-
90
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
attivabilità – limitata ai soli casi di condanna per violazione
dell’art. 6, par. 3 C.e.d.u. – era subordinata al superamento
di un preventivo vaglio di ammissibilità affidato alla Corte
di cassazione.86 La fine anticipata della legislatura ha, tuttavia, impedito anche a tale progetto di riforma di andare in
porto.
Si sono così susseguite nel corso della XVI legislatura
una serie di ulteriori proposte legislative,87 tra le quali degna di menzione appare quella di cui al disegno di legge
S-1440, presentato in Senato il 20 marzo 2009.
Limitandosi ad intervenire sulla struttura dell’istituto della revisione tradizionale, arricchendola ad hoc di un ulteriore caso di esperibilità per l’eventualità che la Corte europea
avesse «condannato lo Stato italiano per violazione delle
disposizioni di cui all’art. 6, paragrafo 3» della C.e.d.u. [art.
cata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848. 2. Nei casi previsti dal
comma 1, la revisione è ammessa solo quando ricorrono le seguenti
condizioni: a) la violazione riscontrata dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo abbia avuto incidenza determinante sull’esito del procedimento; b) il condannato, al momento della presentazione della richiesta
di revisione, si trovi o debba essere posto in stato di detenzione ovvero
sia soggetto all’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione,
diversa dalla pena pecuniaria».
86
Per un commento del disegno di legge, L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione: la Corte costituzionale in tema di revisione a seguito di condanna da parte della Corte di
Strasburgo, in Cass. pen., 2008, pp. 3941-3942.
87
Disegno di legge n. 839, d’iniziativa del sen. Li Gotti, presentato in
Senato il 26 giugno 2008; progetto di legge n. 1538, presentato dagli
onn. Pecorella e Costa alla Camera il 24 luglio 2008; progetto di legge
n. 1780, d’iniziativa dell’on. Di Pietro, presentato alla Camera il 13
ottobre 2008; disegno di legge n. 2163, primo firmatario on. Zeller,
presentato alla Camera il 5 febbario 2009.
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
91
630, lett. d) bis], esso circoscriveva in maniera assai rigorosa il presupposto dell’ “attualità” delle conseguenze lesive
della pronuncia cui era condizionata l’attivabilità stessa del
rimedio straordinario.
Si prevedeva, infatti, a tal fine che il condannato si trovasse «in stato di detenzione» o vi dovesse essere sottoposto «in virtù di un ordine di esecuzione, anche se sospeso»,
ovvero ancora, fosse «soggetto all’esecuzione di una misura alternativa alla detenzione, diversa dalla pena pecuniaria» (art. 631, comma 1-bis). Ricorrendo tali condizioni,
l’istanza di revisione poteva essere proposta entro il termine perentorio di tre mesi dalla data in cui la pronuncia del
Giudice di Strasburgo fosse divenuta definitiva (art. 634,
comma 1-bis).
Una scelta, insomma, che rivendicava allo Stato membro «un autonomo margine di apprezzamento in ordine alla
valutazione dell’attualità delle conseguenze dannose», apprezzamento effettuato una volta per tutte dal legislatore,
con l’affermazione secondo cui l’unica conseguenza dannosa rilevante ai fini della riapertura era rappresentata dallo
stato detentivo.88
Tale impostazione, tuttavia, non è andata esente da rilievi critici, evidenziandosi rilevanti motivi di perplessità in
ordine ad entrambe le delineate condizioni di ammissibilità
del rimedio revocatorio.
Se, infatti, la limitazione dell’esperibilità dello stesso ad
opera dei condannati a pena detentiva in corso di esecuzione o suscettibile di essere eseguita, anche con modalità
alternative alla detenzione, poteva ritenersi in linea con le
Così, M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit.,
p. 1885.
88
92
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
indicazioni della Raccomandazione n. R (2000) 2 – nella
parte in cui caldeggiava l’adozione di meccanismi di restitutio in integrum per i casi in cui la vittima continuasse a
«subire conseguenze molto serie» non riparabili con l’equo
indennizzo – i termini in cui detta limitazione era formulata
venivano giudicati «oltremodo imprecisi».89
E ciò non solo in ragione del fatto che si menzionava
la «“misura alternativa alla detenzione diversa dalla pena
pecuniaria” nonostante la classe delle misure “alternative” non includa quest’ultima pena – che al più, nel nostro ordinamento, è una sanzione “sostituiva” delle pene
detentive brevi» – ma anche e soprattutto perché la previsione appariva «di dubbia applicabilità al condannato
a pena detentiva condizionalmente sospesa, che non può
dirsi attinto da “ordine di esecuzione, anche se sospeso”»:
all’atto del passaggio in giudicato della condanna, infatti,
«l’ordine di esecuzione, a fronte di pena non eseguibile,
non viene neppure emesso», potendo tuttavia «comunque
incorrere nella carcerazione se la sospensione condizionale fosse revocata»; in tal caso, verrebbe sì emesso ordine
di esecuzione ex art. 656 c.p.p., «ma in un momento in cui,
presumibilmente, il termine perentorio di “tre mesi dalla
data in cui è divenuta definitiva la sentenza della Corte
europea” (art. 634 comma 1 bis) sarebbe ampiamente decorso, conseguendone l’inammissibilità della richiesta di
revisione».90
Peraltro, in un’ottica sistematica, si censurava altresì
proprio l’incongruenza di tale termine rispetto alla natura
B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo, in R. Gambini – M. Salvadori (a
cura di), Convenzione europea sui diritti dell’uomo, cit., pp. 144-145.
90
B. Lavarini, op. ult. cit., p. 145.
89
Capitolo II – L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo
93
straordinaria della revisione, come tale esperibile in ogni
tempo.91
Ulteriori criticità venivano, inoltre, ravvisate nella limitazione dell’attivabilità del rimedio nei soli casi di violazioni convenzionali ex art. 6, paragrafo 3 C.e.d.u., con
esclusione dunque delle ulteriori, rilevanti garanzie del due
process ricavabili dagli altri commi della norma e da altre
disposizioni convenzionali;92 problematica veniva, poi, ritenuta anche la mancata affrancazione del nuovo caso di
revisione dal presupposto di ammissibilità fissato all’art.
631 c.p.p., con conseguente rischio di poter attivare tale
impugnazione – in contrasto con la ratio e i caratteri del
controllo sovranazionale – solo quando fosse formulabile
una prognosi di proscioglimento.93
F. Giunchedi, Questioni problematiche della nuova ipotesi di revisione, in Osservatorio del processo penale, 2009, n. 2, p. 140, in http://
www.utetgiuridica.it
92
M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale: alcune riflessioni e spunti de iure condendo, in
Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1522; F. Giunchedi, Questioni problematiche della nuova ipotesi di revisione, cit., p. 139.
93
B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della
Corte europea, cit., p. 145.
91
Capitolo III
La supplenza pretoria
Sommario: 1. Escamotages interpretativi a legislazione invariata – 2.
L’incidente di esecuzione – 3. Il ricorso straordinario ex art. 625-bis
c.p.p. – 4. La restituzione nel termine per impugnare
1. Escamotages interpretativi a legislazione invariata
L’esito fallimentare delle menzionate iniziative legislative, via via arenatesi, senza arrivare mai a tradursi in norme
positive,1 ha determinato un vuoto normativo cui il diritto
vivente ha cercato di supplire in via interpretativa,2 indiviDi «fervore legislativo totalmente inconcludente» parla M. de Stefano, Dopo la Corte di Strasburgo, la revisione del processo penale
in Italia: una sentenza epocale della Corte costituzionale, in I diritti
dell’uomo, 2001, n. 1, p. 49.
2
Per una panoramica generale, v. S. Furfaro, L’esecuzione delle decisioni europee di condanna: riflessioni sullo “stato dell’arte” anche in
prospettiva di scelte normative, in Giur. it., 2010, p. 2643 ss.; F. Giunchedi, Ricorso accolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dogma del giudicato, ivi, 2007, p. 1227 ss.; R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione e obbligo di conformarsi
alle decisioni della Corte europea dei diritti umani: considerazioni sul
caso Drassich, ivi, 2009, p. 2511 ss.; V. Sciarabba, La “riapertura”
del giudicato in seguito a sentenze della Corte di Strasburgo: questio1
96
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
duando soluzioni diversificate, invero non esenti da forzature, in grado di superare il giudicato censurato dalla Corte
di Strasburgo: “neutralizzazione” degli effetti della sentenza iniqua, “rimaneggiamento” del contenuto della stessa,
reintegra mediante rinnovati poteri di gravame.3
Vari gli istituti a tal fine utilizzati: procedimento di esecuzione (art. 670 c.p.p.) per ottenere l’ineseguibilità del
giudicato,4 ricorso straordinario per cassazione ex art. 625ni generali e profili interni, in Giur. cost., 2009, p. 513 ss.; A. Tucci,
Giudicato penale e riapertura del processo a seguito delle sentenze
della Corte di Strasburgo, in F. Dinacci (a cura di), Processo penale e
Costituzione, Milano, 2010, p. 563 ss.
3
In argomento, cfr. E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del
sistema penale nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in
V. Manes – V. Zagrebelski (a cura di), La Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, cit., p. 509 ss.; M. de Salvia, L’obbligo degli Stati
di conformarsi alle decisioni della Corte europea, cit., p. 67 ss.
4
Cass., sez. I, 1° dicembre 2006, Dorigo, in Guida dir., 2007, n. 9, p.
74, con nota di A. Scalfati, I giudici offrono un «rimedio tampone»
in attesa che si colmi il vuoto legislativo; sulla pronuncia, si v. L.
De Matteis, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo
ed il giudicato penale: osservazioni intorno al caso “Dorigo”, in
Cass. pen., 2007, p. 1448 ss.; A. Tucci, Violazione dell’equo processo
accertata da Strasburgo e paralisi del giudicato, in Dir. pen. proc.,
2007, p. 1338 ss.; G. Amato, Va dichiarata inefficace la condanna
pronunciata all’esito di un processo “non equo”, ivi, 2007, p. 294
ss.; S. Lonati, Il “caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo in attesa di un (auspicato) intervento legislativo, in Riv.
it. dir. proc. pen., 2007, p. 1538 ss.; R. Conti, La Corte dei Diritti
dell’Uomo e la Convenzione Europea prevalgono sul giudicato - e sul
diritto - nazionale, in Corr. giur., 2007, p. 689 ss. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Roma, ord. 25 settembre 2006, Bracci, in Guida
dir., Comunitario e internazionale, 2007, n. 2, p. 82, con nota di A.
Capitolo III – La supplenza pretoria
97
bis c.p.p.,5 restituzione nel termine per impugnare per l’imputato contumace ai sensi dell’art. 175, commi 2 e 2-bis
c.p.p.6
Rimedi che segnavano un significativo mutamento di
tendenza negli assetti del sistema giuridico multilevel: pur
in mancanza di una espressa disciplina, l’organo europeo
entrava a far parte del sistema giudiziario interno quasi con
poteri rescindenti;7 una funzione “paracassatoria” che riScalfati, La misura resta sempre legittima anche senza rinnovazione
del processo.
5
Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, Scoppola, in Guida dir., 2010, n. 24,
p. 79, con nota di P. Gaeta, La sentenza definitiva deve essere modificata se ritenuta iniqua dalla Cedu per la sanzione; Id., sez. VI, 12
novembre 2008, Drassich, in Cass. pen., 2009, p. 1457 ss., con nota
di M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p. a
seguito di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, e L. De
Matteis, Condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo
e revoca del giudicato.
6
Cass., sez. V, 15 novembre 2006, Cat Berro, in Cass. pen., 2007,
p. 1459; Id., sez. I, 12 luglio 2006, Somogyi, ivi, 2007, p. 1002, con
nota di A. Tamietti, Un ulteriore passo verso una piena esecuzione
delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di
equo processo: il giudicato nazionale non è di ostacolo alla riapertura dei processi. Mai ritenuto applicabile, invece, il ricorso alla
revisione, sia per la non riconducibilità dell’ipotesi in questione ad
alcuno dei casi contemplati dall’art. 630 c.p.p. (cfr. M. Gialuz, voce
Revisione europea, cit., p. 5), che per la non praticabilità di un’applicazione analogica del rimedio straordinario, preclusa dal principio
di tassatività vigente in materia di impugnazioni penali.
7
A. Scalfati, I giudici offrono un «rimedio tampone», cit., p. 82; Id.,
La misura resta sempre legittima anche senza rinnovazione del processo, cit., p. 92. In senso critico su tale evoluzione, S. Lonati, Il “caso
Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione
alle sentenze della Corte europea, cit., p. 1547, secondo cui «una cosa
98
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sultava particolarmente evidente nei casi degli strumenti
esecutivi, obbligando il giudice nazionale ad una modifica
“a rime obbligate” del titolo – definitivamente paralizzato
nella sua esecutività in virtù della decisione sovranazionale – restando, invece, più sfumata nelle altre soluzioni
pretorie.
Soluzioni, comunque, in grado solo di infrangere il dictum definitivo domestico reputato unfair, senza tuttavia
garantire una rivisitazione del sistema che assicurasse, in
ossequio ai dettami europei, un’effettiva riapertura del processo.8
Né poteva essere diversamente. A ben vedere, infatti,
la vera questione in gioco non era solo trovare uno strumento tramite cui ottemperare alle sentenze della Corte
europea, quanto anche definire i termini del rapporto tra
“legalità interna” (costituzionale e ordinaria, sia sostanè filtrare le pronunce della Corte attraverso un congegno capace, secondo la disciplina di ciascun Paese, di restituire al condannato un
equo processo, altra è attribuire alle pronunce dei giudici europei una
attitudine invalidante sulle sentenze interne irrevocabili».
8
G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee, cit.,
p. 112. Come osserva A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 422, «il nostro sistema delle impugnazioni – che già costituisce un corpo non certo armonico
all’interno di un ordinamento processuale improntato ad un modello
di tipo accusatorio – è del tutto inadeguato a dare soluzioni corrette
alle domande di giustizia che scaturiscono da sentenze della Corte di
Strasburgo, di accertamento della violazione dei diritti fondamentali
dell’individuo. In siffatto contesto, le soluzioni giurisprudenziali fin
qui elaborate altro non sono se non il tentativo, spesso strettamente contingente, di piegare le rigidità del sistema alla esigenza testé
enunciata, attraverso l’assunzione di un onere che spetta in realtà al
legislatore soddisfare».
Capitolo III – La supplenza pretoria
99
ziale che processuale) sintetizzata nel giudicato, e “legalità convenzionale” riaffermata dalla sentenza del Giudice di Strasburgo.9
Un compito che, per sua natura, non può che essere affidato al legislatore, l’unico in grado di trovare il delicato
punto di equilibrio tra le opposte esigenze di stabilità del
dictum nazionale – formatosi spesso secondo le norme interne – e necessità di attuare la sentenza della Corte europea
che ha accertato una violazione convenzionale.10
Inevitabile, quindi, che qualunque sperimentazione pretoria a legislazione invariata – per quanto meritoria nell’intento di offrire tutela effettiva ai diritti umani lesi – finisse
col risultare inadeguata allo scopo perseguito, segnando
comunque sul piano pratico un duplice rilevante mutamento: nell’interpretazione e applicazione delle fonti positive,
pur rimaste sostanzialmente identiche,11 nonché nello stesso ruolo della giurisprudenza della Corte di legittimità, in
qualche modo sempre più “casistico”, attento alle istanze
equitative della fattispecie concreta, e dunque, non più limitato all’enunciazione di principi generali frutto di astrazione rispetto ai temi giudiziari.12
Evoluzione, questa, per molti versi rischiosa, segnando
significative deviazioni dal principio di legalità processuale,
Così, M. Gialuz, Il riesame del processo a seguito di condanna, cit.,
p. 1846.
10
M. Gialuz, ibidem.
11
M. Caianiello, Profili critici e ipotesi di sviluppo nell’adeguamento
del sistema interno alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in V. Manes – V. Zagrebelski (a cura di), La Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, cit., pp. 550-551.
12
E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema penale, cit., p.
545.
9
100
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
derivanti dall’esigenza di piegare le ragioni del diritto alle
contingenze di giustizia sostanziale del caso concreto.13
2. L’incidente di esecuzione
Un primo tentativo di dare risposta all’esigenza di adeguamento dell’ordinamento interno alle pronunce di Strasburgo, evitando che le stesse rimanessero un mero flatus vocis, è stato compiuto da una parte della giurisprudenza che,
riprendendo talune linee di pensiero,14 ha percorso la via
del procedimento di esecuzione tramite la disciplina sancita
dall’art. 670 c.p.p.
L’indirizzo – inaugurato dalla nota pronuncia della Suprema corte relativa al “caso Dorigo”15 – ha ritenuto la “ineSul punto, si v. più diffusamente, infra, Cap. V, par. 2.
V. Esposito, Illegalità della detenzione per effetto di sentenza della Corte europea che abbia accertato la violazione dell’equo processo, in Dir. uomo, cronache e battaglie, 2006, n. 3, p. 29 ss.; A.
Giarda, Italia e giurisprudenza europea: «Io speriamo che me la
cavo», in Dir. pen. proc., 2006, p. 6; E. Selvaggi, I dispositivi della
Corte europea possono travolgere il giudicato, in Guida dir., 2005,
n. 43, p. 88.
15
Cass., sez. I, 1° dicembre 2006, Dorigo, cit.; in senso conforme, Trib.
Roma, ord. 25 settembre 2006, Bracci, cit.; contra, Assise App. Milano, sez. I, 30 gennaio 2006, Cat Berro, in Cass. pen., 2006, p. 3180,
con nota di E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo e il giudicato nazionale: conflitto non risolvibile? In generale, per i commenti su tale arresto giurisprudenziale, oltre alla letteratura citata sub nota n. 4 di questo capitolo, si v. pure A. Cisterna, La
rimozione della detenzione iniqua è l’unico rimedio congruo e praticabile, in Guida dir., 2008, n. 20, p. 60 ss.; A. Filippini, Il caso Dorigo,
la CEDU e la Corte costituzionale: l’effettività della tutela dei diritti
dopo le sentenze 348 e 349 del 2007, in http://www.costituzionalismo.
it/articoli/279/; A. Guazzarotti, Il caso Dorigo: una piccola rivolu13
14
Capitolo III – La supplenza pretoria
101
seguibilità” del giudicato allorché la Corte e.d.u.16 abbia reputato iniquo per violazione dell’art. 6 della Convenzione il
titolo su cui lo stesso si fonda, sancendo la necessità di una
conseguente rinnovazione del giudizio.17
zione nei rapporti tra Cedu e ordinamento interno?, in Quest. giust.,
2007, p. 151 ss.; O. Mazza, L’esecuzione può attendere: il caso Dorigo e la condanna ineseguibile per accertata violazione della Cedu, in
Giur. it., 2007, p. 2637 ss. Un primo tentativo di risolvere la questione
dell’esecuzione delle sentenze interne confliggenti con il giudicato europeo ricorrendo ai meccanismi previsti per la fase esecutiva era stato
compiuto da Cass., sez. I, 22 settembre 2005, Cat Berro, in Cass. pen,
2006, p. 3171, con nota di E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., sia pure al solo fine di dichiarare la non
applicabilità della procedura de plano prevista dall’art. 666, comma 2
c.p.p.
16
Nel caso di specie, non si trattava in realtà di una decisione della
Corte di Strasburgo, bensì di un rapporto (del 9 settembre 1998) della
Commissione europea dei diritti dell’uomo, nel regime della C.e.d.u.
anteriore al Protocollo n. 11 (in proposito, sulle possibili confusioni
concettuali, si v. G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne
europee per violazione dell’equità processuale, in P. Corso – E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, II, cit., p. 601 ss.). Il
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, preso atto del mancato deferimento della controversia alla Corte europea, con risoluzione
interinale Dh [99]258 aveva recepito tale rapporto, così attribuendogli efficacia obbligatoria ai sensi dell’art. 32 del testo originario della
C.e.d.u.
17
Il Dorigo, condannato in Italia a tredici anni di reclusione per il reato di partecipazione ad un’associazione per delinquere aggravata dalla
finalità di terrorismo e per una serie di reati fine, aveva ottenuto dalla
Corte di Strasburgo il riconoscimento che nel processo a suo carico era
stato violato l’art. 6 C.e.d.u., in quanto egli – conformemente, peraltro,
alla legittima disciplina all’epoca vigente – era stato condannato sulla
base di dichiarazioni rese in fase investigativa da tre coimputati poi
avvalsisi in dibattimento della facoltà di non rispondere, così impe-
102
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Le premesse teoriche su cui poggia l’assunto appaiono,
invero, tutt’altro che inattaccabili.
I giudici di legittimità prendono le mosse dalla questione attinente la rilevanza delle disposizioni della C.e.d.u.
nell’ordinamento interno e, sulla scorta degli insegnamenti
congiunti – ma non coincidenti – del Giudice delle leggi e
della Cassazione,18 ne affermano l’«immediata precettività», trattandosi di norme derivanti da una «fonte riconducibile ad una competenza atipica», come tali insuscettibili di
abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria. Conseguentemente, il giudice comune sarebbe
gravato – secondo la Corte – dell’obbligo di «disapplicare
le norme interne in contrasto con la norma pattizia dotata di
immediata precettività nel caso concreto».
Ma è questa un’impostazione che, invero, cade in una
duplice contraddizione: il potere “disapplicativo” infatti, da
un lato, è coerente con la natura “sovraordinata”, e dunque costituzionale, della normativa europea, esclusa tuttavia dalla stessa pronuncia laddove ne postula la matrice di
“fonte atipica”; dall’altro, è caratteristico del diritto comunitario – dotato di un’efficacia superiore a quella della legge
ordinaria – cui certamente non appartiene la Convenzione
europea, fonte internazionale pattizia.19
dendo il diritto al confronto. Il pubblico ministero aveva, quindi, proposto ex art. 670 c.p.p. un incidente di esecuzione, affinché la Corte di
assise quale giudice dell’esecuzione dichiarasse l’inefficacia del titolo
esecutivo. La declaratoria di inammissibilità di tale istanza era stata
successivamente impugnata dall’organo dell’accusa innanzi alla Corte
di legittimità, sfociando nella pronuncia in questione.
18
Ex multis, Corte cost., sent. 19 gennaio 1993, n. 10, cit.; Cass., Sez.
un., 23 novembre 1988, n. 15, Polo Castro, cit.
19
O. Mazza, L’esecuzione può attendere, cit., pp. 2638-2639.
Capitolo III – La supplenza pretoria
103
Più convincenti le conclusioni circa il valore delle decisioni della Corte europea, ritenute «direttamente produttive di diritti ed obblighi nei confronti delle parti», vale a
dire sia rispetto allo Stato convenuto, che deve conformarsi
al dictum sovranazionale, eliminando tempestivamente le
conseguenze pregiudizievoli della violazione, che rispetto
al cittadino, titolare del diritto alla riparazione, nella forma
pecuniaria o in quella specifica eventualmente stabilita, che
può anche comportare l’obbligo di riapertura del processo,
con conseguente necessità di mettere in discussione l’intangibilità del dictum definitivo interno.20
La ritenuta ineseguibilità del giudicato unfair per violazione dell’art. 6 C.e.d.u., viene desunta, dai Giudici di legittimità, dalla lettura congiunta degli artt. 6 (che delinea i
connotati del processo équitable) e 5, par. 2, lett. a), C.e.d.u.
(secondo cui il diritto alla libertà di un individuo può essere
compresso solo se questi «è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente): tra
tali disposizioni sussiste una «stretta ed essenziale correlazione», da cui consegue che non può – per evidenti ragioni
di coerenza dell’ordinamento – essere considerata legittima e regolare una detenzione fondata su una sentenza di
condanna pronunciata in un giudizio nel quale siano state
poste in essere violazioni delle regole del giusto processo
accertate dalla Corte europea, sì da rendere “ingiusta” non
soltanto la procedura seguita, ma anche l’esecuzione della
conseguente condanna a pena detentiva.21
Chiara la conclusione: il diritto alla rinnovazione del giudizio sorto per effetto della pronuncia della Corte di Stra-
20
21
Cass., sez. I, 1° dicembre 2006, Dorigo, cit.
Cfr. Corte e.d.u., 24 marzo 2005, Stoichkov c. Bulgaria, § 51.
104
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sburgo è «concettualmente incompatibile con la persistente
efficacia del giudicato», che deve dunque essere “neutralizzato”; e può provvedervi il giudice dell’esecuzione, investito della procedura ex art. 670 c.p.p.
Né osta a tale soluzione la mancanza nell’ordinamento
italiano di un mezzo processuale attraverso cui realizzare la
rinnovazione del giudizio: diversamente opinando, infatti,
la protrazione dell’illegittimo stato detentivo dell’individuo
trarrebbe paradossalmente legittimazione dall’inadempimento da parte del nostro legislatore degli obblighi convenzionali, in primis quello posto dall’art. 46 C.e.d.u., realizzando un «flagrante diniego di giustizia» contro «i principi
di legalità, di coerenza e di razionalità, dai quali è permeato
l’intero ordinamento».
Molteplici le critiche alla soluzione individuata, ritenuta rischiosa per la «implicita funzione rescindente»22 che,
pur in carenza di apposita previsione legislativa, attribuiva al Giudice di Strasburgo, organo di per sé privo del
potere di annullamento o modificazione delle decisioni
nazionali.
Si trattava, inoltre, di un escamotage incongruente rispetto ai principi regolatori della fase dell’esecuzione, impiegando l’incidente ex art. 670 c.p.p. come strumento per
rimediare a vizi del processo di cognizione ormai coperti
dal giudicato, sovvertendo così completamente i rapporti
tra cognizione ed esecuzione.23
A. Scalfati, La misura resta sempre legittima anche senza rinnovazione del processo, cit., p. 92; in argomento, cfr. pure S. Lonati, Il
“caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea, cit., p. 1547.
23
R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2516.
22
Capitolo III – La supplenza pretoria
105
Di più. Ad essere lesa era la stessa legalità processuale:
identificando il rimedio alla detenzione inflitta in conseguenza di un giudizio unfair nella procedura di controllo ex
art. 670 c.p.p., il giudice realizzava una indebita «operazione integratrice dell’ordinamento processuale contrabbandata per “interpretazione logica e sistematica”»; si espandeva,
infatti, «l’ambito applicativo di un istituto, preordinato a
dichiarare la mancanza o la non ancora maturata esecutività
del provvedimento, sino a tramutarlo in un mezzo straordinario per rimuovere il giudicato a suo tempo effettivamente
formatosi, benché secondo regole processuali dichiarate a
posteriori contrarie ai principi della CEDU».24
Peraltro, per quanto eventualmente apprezzabile negli intenti – essendo «intollerabile l’idea dell’esecuzione
di una pena che ha alle spalle la violazione di un diritto
fondamentale dell’individuo»25 – il delineato arresto interpretativo non risolveva nemmeno il problema di fondo, ossia, a fronte del persistente vuoto legislativo, trovare una
soluzione che consentisse di rinnovare il processo in caso
di violazione dell’art. 6 C.e.d.u.:26 quello ex art. 670 c.p.p.
era uno strumento solo rescindente, in grado di intervenire
puntualmente su situazioni che richiedevano, al massimo,
D. Negri, Rimedi al giudicato penale e legalità processuale: un connubio che gli obblighi sopranazionali non possono dissolvere, in R.
Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 171.
25
S. Carnevale, I rimedi contro il giudicato tra vizi procedurali e
“vizi normativi”, R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e CEDU, cit., p. 57.
26
E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema penale, cit., p.
522; G. Canzio, Giudicato “europeo” e giudicato penale italiano: la
svolta della Corte costituzionale, in Leg. pen., 2011, n. 2, p. 468.
24
106
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
di “paralizzare” il titolo esecutivo e la sanzione irrogata,
ma inidoneo ad assicurare anche una conseguente fase rescissoria.27
Esso appariva, quindi, afflitto dal grave limite intrinseco
di non poter garantire l’esecuzione di quelle sentenze della
Corte europea che prescrivessero proprio la riapertura del
procedimento quale forma più appropriata di restitutio in
integrum,28 potendo al più neutralizzare gli effetti della condanna, con particolare riguardo all’esecuzione della pena
detentiva.29 Risultato questo, come detto (v. retro, Cap. II,
par. 3), invero più adatto a riparare le lesioni di garanzie
di carattere sostanziale riconosciute dalla C.e.d.u. (es. artt.
7, 9, 10), che determinano l’“ingiustizia convenzionale”
della pronuncia interna, comportando, quindi, un obbligo
riparatorio consistente o nella mera “neutralizzazione degli effetti” della illegittima condanna o nella “rivalutazione del contenuto” della stessa allo stato degli atti, alla luce
delle indicazioni della Corte europea, senza il compimento
di alcuna attività processuale diversa da quella decisoria;
risultato, invece, del tutto inadeguato ad assicurare la riapertura del procedimento, con effettivo “completamento”
o “rinnovazione” dell’attività istruttoria o argomentativa,
misura individuale più appropriata a rimediare le violazioni
S. Quattrocolo, Giudicato interno e condanna della Corte europea
dei diritti dell’uomo: la Corte di cassazione “inaugura” la fase rescissoria, in Cass. pen., 2010, p. 2626.
28
S. Lonati, Il “caso Dorigo”: un altro tentativo della giurisprudenza
di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea, cit., p. 1547; E.
Selvaggi, Una risposta alle sollecitazioni del Comitato dei ministri, in
Guida dir., 2006, n. 5, p. 45.
29
M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1862.
27
Capitolo III – La supplenza pretoria
107
convenzionali di matrice processuale,30 quale appunto quella dell’art. 6 C.e.d.u. cui la sentenza “Dorigo” pretendeva
di far fronte.
Non solo. La tesi prospettata si connotava per ulteriori
profili di intrinseca incongruenza,31 dando origine alla anomala figura di una sentenza che rimaneva ferma ma non
poteva ricevere esecuzione,32 verificandosi «la paradossale
situazione di un giudicato penale non più eseguibile ma non
ancora rinnovabile», come tale «collocato […] a tempo indeterminato, in una sorta di limbo processuale».33
Questa sospensione della condanna in un «non luogo
spazio temporale», in bilico tra «l’esistenza, innegabile, e
l’efficacia/eseguibilità, carente», si risolveva, peraltro, per
l’interessato in un fattore assai più vantaggioso della stessa revisione, conseguendone la preclusione ad un riesame
nel merito della regiudicanda: non potendosi ricelebrare il
M. Gialuz, ibidem. Analogamente, O. Mazza, L’esecuzione può attendere, cit., p. 2640, che sottolinea come in un’ottica di tutela dell’interesse punitivo, sia collettivo che della vittima del reato, occorre garantire la riapertura del processo, non potendo «lo Stato, e il popolo in
nome del quale la giustizia viene amministrata […] accontentarsi del
congelamento del titolo esecutivo».
31
Nel senso, invece, che «nella sentenza Dorigo, la Suprema Corte ha
fornito dell’art. 670 c.p.p. un’esegesi certamente ampia, ma indiscutibilmente corretta», C. Valentini, La Corte costituzionale e il caso
Dorigo: sense and sensibility, in Giust. pen., 2008, I, c. 216.
32
E. Lupo, La vincolatività delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo per il giudice interno, cit., p. 2253.
33
A. Pugiotto, Vent’anni dopo l’insegnamento di Giovanni Battaglini,
in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra
Costituzione e CEDU, cit., p. 193. Analogamente, A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p.
421.
30
108
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
rito, infatti, la condanna, per quanto innegabile nella sua
esistenza, veniva considerata niente più che «un mero accidente, improduttivo di effetti giuridici»; mentre l’eventuale
praticabilità del rimedio revocatorio avrebbe postulato una
riconsiderazione del merito della vicenda.34 Con ciò andandosi ben al di là di quanto richiesto in sede europea, posto
che «la violazione delle garanzie dell’equità processuale in
un determinato processo non significa certo che il ricorrente sia innocente».35
Peraltro, ancor più a monte, non persuasiva veniva ritenuta la stessa asserzione dell’inefficacia del titolo esecutivo
nelle situazioni considerate: al riguardo si osservava, infatti, che le ipotesi di iniquità su cui può fondarsi la condanna
del Giudice europeo «paiono richiamare casi di invalidità degli atti, se guardate con la lente del diritto interno: e
come tali, esse dovrebbero essere superate definitivamente
con il giudicato, senza poter più essere riproposte in sede
esecutiva»; di qui, la conclusione secondo cui la soluzione
avanzata dall’indirizzo ermeneutico in discorso appariva
«di tenore inventivo, e senza dubbio frutto di un forte afflato equitativo».36
In un’ottica differente, si è così proposta una tesi alternativa, ritenuta più armonica con il sistema e con i principi di teoria generale: la violazione dei canoni del fair
trial non consente di ritenere giuridicamente esistente il
giudizio, per cui in realtà «nemmeno sorge la questione
di rispettare un giudicato»; conseguentemente, «il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 670 comma 1 c.p.p.,
M. Caianiello, Profili critici e ipotesi di sviluppo, cit., pp. 558-559.
M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale, cit., p. 1513.
36
M. Caianiello, op. ult. cit., p. 558.
34
35
Capitolo III – La supplenza pretoria
109
dovrebbe solo accertare la mancanza del titolo esecutivo e
assumere le delibere conseguenti: la sospensione dell’esecuzione, la liberazione dell’interessato se in vinculis non
per altro motivo e (regredendo il procedimento allo stato e
al grado in cui si è integrata l’invalidità) la rimessione degli atti al giudice a suo tempo competente per la fase processuale invalidamente celebrata, da svolgere per la prima
volta ritualmente».37
È questa una opzione esegetica che se, da un lato, presenta il pregio di consentire l’apertura di un nuovo processo
per gli stessi fatti, senza incorrere nel divieto di bis in idem,
dall’altro, comporta non trascurabili risvolti problematici,
sia sul piano concettuale che eminentemente pratico: sotto
il primo profilo, infatti, configura la dichiarazione di inesistenza come “automatica”, escludendo al riguardo qualunque margine di apprezzamento da parte del giudice nazionale; sotto il secondo, implica necessariamente l’integrale
ripetizione del processo, con le ovvie conseguenze in punto
G. Ubertis, L’adeguamento italiano alle condanne europee, cit., p.
113; Id., Conformarsi alle condanne europee per violazione dell’equità processuale: doveroso e già possibile, in Corr. mer., 2007, p. 599;
analogamente, O. Mazza, L’esecuzione può attendere, cit., p. 2639; M.
Gialuz, Il riesame del processo, cit., pp. 1862-1863; Id., Il caso Dorigo: questione mal posta, ma con qualche (tenue) speranza di essere accolta, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio
tra Costituzione e Cedu, cit., p. 124; F. Zacchè, Cassazione e iura novit
curia nel caso Drassich, in Dir. pen. proc., 2009, p. 785; contra, R. E.
Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione e
obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea dei diritti
umani: considerazioni sul caso Drassich, in Giur. it., 2009, p. 2516;
L. Cordì, L’efficacia delle decisioni della Corte europea dei diritti
dell’uomo nell’ordinamento italiano: dalla vanificazione del giudicato
alla decostruzione del principio di legalità, in Riv. pen., 2008, p. 120.
37
110
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
di rispetto del canone della ragionevole durata e in ordine ai
rischi connessi al decorso del tempo.38
Ancor più a monte essa, affermando che l’equità indica
«la configurazione che deve possedere ogni celebrazione
processuale per non ridursi a una vuota lustra»,39 rischia di
risolversi in una “petizione di principio”: presupposto della
giurisdizione è, infatti, la presenza di un soggetto investito
dei poteri giurisdizionali, «situazione [che] non viene meno
ove questi ponga in essere atti che violino determinate garanzie, sia pure di livello convenzionale»; in tal caso, «potranno certamente venire in gioco forme nominate di invalidità (nullità o inutilizzabilità), ma non si potrà certo invocare
l’inesistenza». Né potrebbe giungersi a conclusioni opposte
ove tale forma di invalidità, anziché alla violazione convenzionale in astratto, fosse ricollegata ad una concreta censura
di iniquità da parte del Giudice di Strasburgo: il giudizio
saldamente ancorato ad una specifica vicenda giudiziaria
effettuato da quest’organo implicherebbe che la mancanza
di giurisdizione e la conseguente inesistenza degli atti compiuti dipendessero «da una diagnosi sul grado di incidenza che le varie violazioni possano aver avuto o non avuto
nel loro complesso sul rispetto della fairness processuale
in rapporto ad un concreto caso giudiziario»; esse, dunque,
finirebbero per dipendere «da una valutazione comparativa
formulata ex post sulla base di un bilanciamento di interessi, anziché risultare in via meramente ricognitiva, come
presupporrebbe la presenza di vizi così gravi e congeniti»,
Così, M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1863. Sul punto,
si v. pure P. Troisi, L’errore giudiziario tra garanzie costituzionali e
sistema processuale, Padova, 2011, p. 143.
39
G. Ubertis, Sistema di procedura penale, I, Principi generali, Torino, 2007, p. 108.
38
Capitolo III – La supplenza pretoria
111
che precludono «la stessa celebrazione di un processo nel
senso giuridico del termine e lo stesso venire in essere nel
mondo del diritto di un atto processuale».40
Sulla falsariga di quanto affermato dall’indirizzo propugnato dalla sentenza “Dorigo”, pur non senza qualche
perplessità, la soluzione “forzata” dell’incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 c.p.p. è stata invece ritenuta
da taluni praticabile per l’esecuzione di quelle sentenze
della Corte di Strasburgo che, accertando una violazione convenzionale di merito (ad es., artt. 9 o 10 C.e.d.u.),
comportino un «effetto cassatorio negativo», esigendo la
cessazione degli effetti della condanna: in tale eventualità,
infatti, non sarebbe utilmente invocabile l’art. 673 c.p.p.,
che consente di revocare la sentenza o il decreto penale
di condanna divenuti definitivi solo a seguito di abolitio
criminis conseguente all’abrogazione o alla declaratoria
di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.41 Anche se, con riferimento all’ipotesi in questione,
autorevole orientamento ha ritenuto applicabile l’art. 669
c.p.p., essendosi in presenza di «due sentenze definitive
(quella interna e quella convenzionale) per il medesimo
fatto contro la stessa persona».42
R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2517.
41
M. Gialuz, Il riesame del processo, cit., p. 1864, che sottolinea come
il congelamento dell’effetto esecutivo attraverso il meccanismo di cui
all’art. 670 c.p.p. «rappresenterebbe davvero una forma di esecuzione della sentenza: la sospensione consente, infatti, anche di eliminare
l’iscrizione della sentenza dal casellario giudiziale (art. 5, comma 2,
lett. b, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313)».
42
F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione: la Corte europea
dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2011, p. 817.
40
112
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
3. Il ricorso straordinario ex art. 625- bis c.p.p.
Ulteriore strada percorsa dal diritto vivente per garantire l’esecuzione delle sentenze della Corte europea è stata
quella del ricorso straordinario per errore di fatto previsto
dall’art. 625-bis c.p.p.
L’arresto – noto come “caso Drassich” – era maturato
con riferimento ad un’ipotesi di violazione dell’art. 6, par.
1 e 3, lett. a) e b) C.e.d.u. (diritto a conoscere tempestivamente la natura e i motivi dell’accusa e a disporre del tempo
necessario per preparare la difesa) da parte della Corte di
legittimità, che con sentenza di rigetto aveva ex officio modificato in peius la qualificazione giuridica del fatto contestato, impedendo così non solo la prescrizione del reato, ma
anche l’esperimento di qualsiasi attività difensiva del prevenuto in ordine al mutato addebito. Violazione questa che,
ad avviso dei Giudici di Strasburgo, poteva esser rimediata
attraverso la riapertura del processo su istanza dell’interessato.43 Investita, quindi, della relativa richiesta, la CassaMauro Drassich era stato condannato in primo grado per falso ideologico ed alcuni fatti di corruzione; in accoglimento dell’impugnazione del pubblico ministero, la Corte d’appello di Venezia lo aveva
dichiarato responsabile anche degli ulteriori episodi di corruzione per
atti contrari ai doveri d’ufficio e, unificati tutti i reati nel vincolo della
continuazione, gli aveva irrogato la pena di anni tre e mesi otto di
reclusione. Avverso tale sentenza, l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, eccependo tra l’altro la prescrizione del reato. La
Corte di legittimità, con sentenza del 4 febbraio 2004, riqualificati ex
officio i fatti nel più grave delitto di corruzione in atti giudiziari, aveva
escluso l’operatività della prescrizione, rigettando il ricorso. Adita la
Corte e.d.u., il Drassich si era vista riconosciuta (Corte e.d.u., Sez. II,
11.12.2007, Drassich c. Italia, in Giust. pen., 2007, I, c. 165, con nota
di M. Caianiello, Mutamento del nomen iuris e diritto a conoscere la
43
Capitolo III – La supplenza pretoria
113
zione aveva ritenuto di poterla accogliere applicando in via
analogica l’istituto disciplinato all’art. 625-bis c.p.p., posto che tale operazione non sarebbe stata preclusa dall’art.
14 delle disposizioni sulla legge in generale, trattandosi di
applicazione analogica in bonam partem di una norma che
non presenta caratteri di «eccezionalità rispetto al sistema
processuale», in cui viene piuttosto a «colmare un vuoto
normativo dovuto all’inadeguatezza della precedente disciplina a tutelare anomalie e violazioni riconducibili al diritto
di difesa, pur configurabili con ordinarietà nel giudizio di
legittimità». Sussisterebbe quindi – nella prospettiva fatta
propria dalla Suprema corte – una identità di ratio tra il
ricorso straordinario per errore di fatto e la riapertura del
natura e i motivi dell’accusa ex art. 6 C.e.d.u.: le possibili ripercussioni sul sistema italiano) la violazione dell’art. 6, par. 1 e 3, lett. a)
e b) C.e.d.u., per avere la Cassazione leso «il diritto del ricorrente ad
essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico nonché il suo diritto a disporre del tempo
e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa». La Corte
d’appello di Venezia, adita quale giudice dell’esecuzione, ritenendo
di dare parziale esecuzione alla sentenza del Giudice europeo, aveva
sospeso ex art. 670 c.p.p. l’esecuzione del giudicato interno reputato
iniquo solo con riferimento alla pena irrogata come aumento per la
continuazione a titolo di corruzione, trasmettendo peraltro alla Corte
di cassazione il ricorso a suo tempo presentato dall’imputato contro
detta decisione. Avverso l’ordinanza della Corte veneta, il Drassich
proponeva ricorso ex art. 606 c.p.p., deducendo l’iniquità dell’intero
giudizio nazionale, e chiedendo, in subordine, la riapertura del processo innanzi al giudice di legittimità e la dichiarazione di estinzione del
reato per prescrizione. Per una puntuale ricostruzione della vicenda, si
v. E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema, cit., p. 526 ss.,
nonché S. Quattrocolo, Giudicato interno e condanna della Corte
europea dei diritti dell’uomo: la Corte di cassazione “inaugura” la
fase rescissoria, in Cass. pen., 2010, p. 2622 ss.
114
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
processo sollecitata dalla Corte europea, essendo ambedue
funzionali a «rimediare, oltre che a veri e propri errori di
fatto, a violazioni del diritto di difesa occorse nell’ambito
del giudizio di legittimità e nelle sue concrete e fondamentali manifestazioni che rendono invalida per iniquità la sentenza della Corte [di] cassazione»44.
La soluzione individuata dai giudici di legittimità ha suscitato reazioni contrastanti.
Una linea di pensiero, in senso adesivo, ne ha sottolineato il “coraggio”, «il passo in avanti compiuto nel percorso ermeneutico teso a dare attuazione alle sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo»,45 sulla scia dell’indirizzo interpretativo inaugurato dalla “sentenza Dorigo”: in
Cass., Sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807, Drassich, cit.; sulla pronuncia, in dottrina, M.G. Aimonetto, Condanna “europea” e
soluzioni interne al sistema processuale penale, cit.; G. Biondi, Il
ricorso straordinario per cassazione per errore materiale o di fatto
quale possibile rimedio alle violazioni CEDU, in Giust. pen., 2009,
III, c. 329; M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis
c.p.p. a seguito di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit.; L. De Matteis, Condanna da parte della Corte Europea dei
diritti dell’uomo e revoca del giudicato, cit.; R. E. Kostoris, Diversa
qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit.; S. Lonati, Il
“caso Drassich”: continua l’opera di supplenza della giurisprudenza di fronte alla perdurante (e sconcertante) inerzia del legislatore
italiano in tema di esecuzione delle sentenze della Corte europea dei
diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2011, p. 263 ss.; S. Negri, Nel bilanciamento tra valori fondamentali deve prevalere il diritto all’equo
processo, in Guida dir., 2009, n. 11, p. 60 ss.; L. Parlato, Riapertura
del processo iniquo per modifica “viziata” del nomen iuris, in Dir.
pen. proc., 2008, p. 1584 ss.; F. Zacché, Cassazione e iura novit curia
nel caso Drassich, cit.
45
M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p., cit.,
p. 1467.
44
Capitolo III – La supplenza pretoria
115
quest’ottica, anzi, se ne sono auspicate applicazioni ulteriori, ipotizzando l’esperibilità del ricorso straordinario per
errore di fatto anche nelle ipotesi di violazioni delle norme C.e.d.u. occorse in uno dei gradi di merito, in quanto,
diversamente, dovrebbe concludersi che «nel non rilevare
la violazione processuale della Convenzione oggetto di ricorso da parte del condannato in sede di merito, la Corte
di cassazione a sua volta pone in essere un comportamento censurabile ai sensi della Convenzione stessa (sia per la
violazione dell’art. 6, sia per la violazione del diritto ad un
ricorso effettivo di cui all’art. 13)», con la conseguenza che,
in caso di successiva condanna da parte del Giudice europeo, potrebbe derivarne l’esigenza di riaprire innanzitutto
il giudizio di legittimità e poi, eventualmente, anche quello
di merito.46
L’orientamento prevalente in letteratura appare, tuttavia,
estremamente critico.
Per quanto ci si renda, infatti, conto che si tratti di una
interpretazione “necessitata”, apprezzabile sul piano equitativo – poiché riesce a realizzare il risultato indicato dalla
Corte europea, a differenza delle situazioni risolte tout court
L. De Matteis, Condanna da parte della Corte Europea dei diritti
dell’uomo e revoca del giudicato, cit., p. 1479, che sottolinea come
«in seguito a condanna della Corte di Strasburgo, potrebbe dunque essere richiesta – come nel caso in esame – la revoca in parte qua del
dispositivo ed un nuovo esame della doglianza alla luce della sentenza
della Corte europea. Questo nuovo esame potrà portare (ma, anche in
questo caso, la soluzione non può essere data per scontata) all’eventuale annullamento della sentenza di merito originariamente oggetto di
impugnazione, rientrando così il giudizio nel “circuito ordinario” della
giurisdizione nazionale mediante gli usuali sbocchi del procedimento
di cassazione».
46
116
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
con la declaratoria di ineseguibilità del titolo esecutivo, che
collocano il giudicato in una sorta di “limbo processuale”
– sul piano più propriamente giuridico si tratta di una decisione che suscita non poche perplessità.47
Se, infatti, l’opera ricostruttiva dei giudici della Cassazione da un lato appare «meritoria» per la risposta data al
caso sottoposto ad esame, in assenza di meccanismi codicistici ad hoc, dall’altro è indubbiamente «insufficiente»,
oltre che «contestabile»: non risolve, infatti, il problema
strutturale all’origine della violazione e, per di più, pare
collocarsi al di fuori del sistema il rimedio con cui si pretende di rimettere in discussione una vicenda coperta dal
giudicato.48
Va evidenziato, innanzitutto, come la formulata regula
iuris sia limitata ai soli casi di violazioni incorse nel giudizio di legittimità, laddove invece l’esigenza di tutela del
contraddittorio in caso di mutamenti della qualificazione
giuridica del fatto può ben porsi anche in uno dei gradi di
merito,49 non apparendo persuasiva la tesi della tutela del
diritto di difesa ex post, attraverso l’attivazione dei giudizi di impugnazione,50 rappresentando gli stessi comunque
solo proiezioni eventuali della vicenda processuale che, per
essere conforme ai canoni del giusto processo, deve essere
compiutamente rispettosa delle sue declinazioni già in prime cure.
M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, cit., p.
1514.
48
F. Zacché, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, cit., p.
782.
49
Cfr. Cass., sez. VI, 19 febbraio 2010, n. 20500, Fadda, in C.E.D.
Cass., n. 247371.
50
E. Aprile, I meccanismi di adeguamento del sistema, cit., p. 529.
47
Capitolo III – La supplenza pretoria
117
Peraltro, nella prospettiva fatta propria dal Giudice di
Strasburgo, la conformità convenzionale pare soddisfatta
in virtù di un mero “contraddittorio argomentativo” sulla
emendatio iuris.
Il rispetto della regola consacrata all’art. 6, par. 1 e 3, lett.
a) e b) C.e.d.u., postula infatti che l’imputato sia informato
dei fatti materiali addebitatigli e della loro qualificazione
giuridica, consentendogli così di approntare le strategie più
opportune per un esercizio adeguato ed effettivo del diritto
di difesa.51 Conseguentemente, ove l’organo decidente rinvenga l’opportunità di riqualificare i fatti ascritti all’imputato, va garantita una tempestiva e dettagliata informazione
al riguardo, assicurandogli la possibilità di interloquire sulla stessa.52
A differenza di quanto accade nell’ordinamento italiano, in cui, nonostante il tenore dell’art. 111, comma 3 Cost. corrisponda all’art. 6,
par. 3, lett. a) C.e.d.u., l’art. 521 c.p.p. consente, alla luce del principio iura novit curia, una modificazione della qualificazione giuridica
del fatto ex officio, compiuta direttamente dal giudice in sentenza,
senza l’espletamento di un previo contraddittorio con l’accusato.
Per alcune considerazioni storiche circa tale opzione positiva, cfr.
G. Pierro, Equità del processo e principio di legalità processuale, in
Dir. pen. proc., 2009, pp. 1520-1521.
52
In questo senso, Corte e.d.u., 24 luglio 2012, D.M.T. e D.K.I. c.
Bulgaria, §§ 74-75; Id., 25 settembre 2008, Seliverstov c. Russia,
§ 18 ss.; Id., 11 dicembre 2007, Drassich c. italia, § 34; Id., 19
dicembre 2006, Mattei c. Francia, § 37 ss.; Id., 26 settembre 2006,
Miraux c. Francia, § 36 ss.; Id., 20 aprile 2006, I.H. e altri c. Austria, § 33 ss.; Id., 25 marzo 1999, Péllissier e Sassi c. Francia, § 52
ss. Analogamente, nella giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. VI,
24 maggio 2012, n. 22301, Saviolo, in http://www.penalecontemporaneo.it/novita_legislative_e_giurisprudenziali/5-/1629-nuove_garanzie_del_diritto_di_difesa_e_diversa_qualificazione_giuridica_
del_fatto_in_occasione_della_sentenza_di_appello/; Id., sez. I, 18
51
118
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Tuttavia, la prospettiva di una mera «disquisizione in diritto sulla nuova accusa» pare insufficiente, trascurando il
dato fondamentale che in tali eventualità l’esercizio concreto ed effettivo del diritto di difesa potrebbe esigere l’esperimento di un’attività di istruzione probatoria.53 La riparazione del vizio, realizzabile attraverso la reintegrazione della
vittima della lesione nella situazione quo ante, potrebbe infatti rendere non praticabile lo iato tra il dibattito sulla quaestio iuris e l’esercizio del diritto di difendersi provando:
«mutando la fattispecie di riferimento, è inevitabile ritenere
che debbano essere riviste anche le strategie difensive (e
accusatorie) in ordine alla prova».54 E ciò in quanto, invero,
non sussiste una netta cesura tra fatto e diritto, tra descrizione fattuale e qualificazione normativa dell’addebito:55 se
è vero, infatti, che «il thema probandum è rappresentato
dal fatto», è indubbio che «la ricostruzione del fatto risulta
altresì direttamente condizionata dalla qualificazione giuridica dello stesso», essendo altresì «incontestabile che la
fattispecie normativa di riferimento funga da parametro
selettivo per valutare la rilevanza delle circostanze fattuali
sulle quali vengono esperiti i mezzi di prova».56
Considerazioni, queste, che naturalmente vanno rapportate all’effettiva configurazione del processo penale. In
febbraio 2010, n. 9091, Di Gati e altri, in Cass. pen., 2011, p. 630,
con nota di M. Sculco, La correlazione tra accusa e sentenza nel
caso di diversa definizione giuridica. Diversa qualificazione giuridica del fatto e prerogative difensive.
53
F. Zacché, Cassazione e iura novit curia, cit., p. 785; O. Mazza, La
procedura penale, cit., pp. 45-46.
54
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 46.
55
F. Zacché, Cassazione e iura novit curia, cit., p. 785.
56
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 46.
Capitolo III – La supplenza pretoria
119
particolare, quando le modifiche della qualificazione normativa del fatto intervengono in sede di legittimità, occorre
prendere atto della struttura di un giudizio che non consente
l’espletamento di attività istruttoria; analogamente è a dirsi
ove detta mutatio avvenga in seconde cure ai sensi dell’art.
597, comma 3 c.p.p., residuando in tal caso all’imputato
solo la facoltà di ricorrere in cassazione; mentre, invece,
nell’eventualità in cui la manovra giudiziale sul “diritto”
si realizzi in primo grado, bisognerebbe fare i conti con i
limiti di esperibilità della rinnovazione istruttoria in appello
fissati all’art. 603 c.p.p., che non paiono garantire, con riferimento all’ipotesi considerata, quella restitutio in integrum
consona ai canoni europei.
Ma le ragioni di perplessità nei confronti dell’indirizzo
propugnato dalla “sentenza Drassich” sono ulteriori.
In primis, non condivisibile è l’applicazione analogica
al caso in esame dell’istituto previsto all’art. 625-bis c.p.p.,
inibita – come affermato anche dalle Sezioni unite della
Corte di cassazione57 – dal principio di tassatività delle impugnazioni: principio che impronta «tanto l’istituto in sé
– quale mezzo di gravame, per di più straordinario e conseguentemente eccezionale – quanto i relativi presupposti
– l’errore materiale e quello di fatto incorsi nel giudizio di
cassazione», come tali dunque «ontologicamente incompatibili con qualsivoglia forma di analogia legis, sia pure “nobilmente” motivata dall’esigenza di salvaguardare il diritto
di difesa dell’imputato».58
Cass., Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile, in Cass. pen.,
2002, p. 2616.
58
B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., pp. 137-138. Nello stesso
senso, M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne,
57
120
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Inoltre, neppure può procedersi ad ardite operazioni interpretative volte ad estendere la nozione di “errore di fatto”59
cit., p. 1516; G. Biondi, Il ricorso straordinario per Cassazione per
errore materiale o di fatto quale possibile rimedio alle violazioni della CEDU, in Giust. pen., 2009, III, p. 329 ss.; F. Callari, La firmitas
del giudicato penale, cit., p. 382 ss.; M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, in Digesto del processo penale, diretto da A.
Scalfati, Torino, 2012, p. 9; F. Zacché, Cassazione e iura novit curia, cit., p. 784; S. Quattrocolo, La Corte europea dei diritti dell’uomo e il principio di correlazione tra accusa e sentenza: un invito ad
un ripensamento del principio iura novit curia?, in Leg. pen., 2009,
p. 362 ss.; A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema
delle impugnazioni, cit., pp. 421-422.
59
L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del
rimedio previsto dall’art. 625-bis c.p.p. consiste propriamente in un
errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte
di cassazione è incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso;
esso è connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della
volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali
che ha condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata
adottata in sua assenza: Cass., Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16103,
Basile, cit.; Id., Sez. un., 27 marzo 2002, n. 16104, De Lorenzo, in
Cass. pen., 2002, p. 2616; in dottrina, in senso adesivo, A. Bargi,
Controllo di legittimità ed errore di fatto nel giudizio di cassazione,
Padova, 2004, pp. 183 e 187; P. Bruno, Innovazioni e modifiche al
giudizio di cassazione, in G. Spangher (a cura di), Le nuove norme
sulla tutela della sicurezza dei cittadini (cd. “pacchetto sicurezza”),
Milano, 2001, p. 143; G. Canzio – G. Silvestri, Art. 6, l. 26 marzo
2001, n. 128, in A. Gaito (a cura di), Codice di procedura penale ipertestuale, Torino, 2002, p. 2633 ss.; M. Gialuz, Il ricorso straordinario
per cassazione, cit., p. 240 ss.; Id., Ancora sul concetto di «errore di
fatto» come vizio dei provvedimenti della cassazione, in Cass. pen.,
2002, p. 2633 ss.; in prospettiva critica, O. Mazza, Il ricorso straordinario per errore di fatto: un quarto grado di giudizio occasionale?,
ivi, 2003, p. 3220 ss., secondo cui è discutibile – nonché difficilmente
Capitolo III – La supplenza pretoria
121
sì da annoverarvi anche l’erronea interpretazione delle norme processuali, e dunque, ricomprendervi una “lettura” del
principio iura novit curia che, in contrasto con l’art. 6 par. 3
C.e.d.u., consenta la riqualificazione del fatto senza che sul
nuovo nomen l’imputato sia messo in grado di contraddire:
un’interpretazione del genere – peraltro reiteratamente negata dalla stessa Corte di legittimità – trasformerebbe, invero, il ricorso straordinario in una sorta di “quarto grado” di
giudizio, che non avrebbe più nulla di eccezionale.60
Per altro verso, poi, anche l’asserita identità di ratio tra
l’istituto in esame e la riapertura del processo sollecitata
dalla Corte di Strasburgo appare una considerazione «fallace»: vero è che «il mezzo di cui all’art. 625-bis c.p.p. è volto a porre rimedio (anche) a violazioni gravi del diritto di
difesa verificatesi nel giudizio di cassazione; ma – è questo
il punto decisivo – solo a quelle che derivano da un errore
di lettura degli atti interni. Ove così non fosse, si aprirebbe
la strada alla proposizione del ricorso anche per far valere
gli errori di diritto o gli errori di giudizio della Corte».61
Prospettiva, comunque, che non ricorre nel caso di mutamento della qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, in cui non è in gioco alcun tipo di “errore” – nemmeno
di diritto – in cui possa essere incorsa la Corte, rilevando
invece l’esistenza di una lacuna normativa, costituita dalla carenza di una previsione che postuli l’instaurazione di
decifrabile nella pratica – la distinzione tra errore percettivo ed errore
di giudizio.
60
B. Lavarini, Giudicato penale ed esecuzione delle sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 138.
61
M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, cit., p. 9;
analogamente, M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, cit., p. 1515.
122
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
un contraddittorio con la difesa per poter procedere alla
modifica del nomen originario. Non si tratta, cioè, di recuperare quanto avrebbe dovuto fisiologicamente realizzarsi
se non vi avesse ostato un difetto percettivo della Corte di
legittimità, bensì di ottemperare ad una censura dell’organo europeo introducendo una garanzia assente nell’ordinamento interno. Ed è questo un punto di «irriducibile
distanza» tra ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p. e
riqualificazione giuridica del fatto in Cassazione in assenza di contraddittorio: «nel primo caso si mira infatti ad
assicurare una tutela difensiva prevista in astratto, ma che
è mancata nel caso concreto; nel secondo, invece, si vorrebbe introdurre una tutela difensiva che non è prevista
neppure in astratto».62
Inoltre, giova ricordare come i motivi posti a base della regolamentazione giuridica del ricorso straordinario per
cassazione non possono certo estendersi all’ipotesi in discorso. L’istituto ex art. 625-bis c.p.p. mira, infatti, ad assicurare al condannato il diritto alla fruizione del ricorso
innanzi alla Corte di legittimità garantito dagli artt. 24 e 111
Cost.: ne è riprova il fatto che il suo inserimento nel tessuto
codicistico è avvenuto su impulso del Giudice delle leggi,63
che aveva sollecitato l’individuazione di uno strumento riparatorio per l’eventualità in cui i giudici della Cassazione,
incappando in errori percettivi, avessero indebitamente dichiarato l’inammissibilità del ricorso, così ledendo il diritto
al processo di legittimità.64
R. E. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2519.
63
Corte cost., sent. 28 luglio 2000, n. 395, in Cass. pen., 2001, p. 390.
64
M. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne, cit., p.
1515.
62
Capitolo III – La supplenza pretoria
123
Alla luce di tali considerazioni, si è quindi osservato come, per raggiungere il risultato perseguito, la Corte
avrebbe forse potuto percorrere un’altra via, «altrettanto
azzardata ma più diretta»: ossia, «ritenere che l’ “errore di
diritto” della cassazione sia stato determinato dalla difficoltà ad orientarsi in una disciplina processuale penale
“plurilivello”, comprensiva anche della normativa di fonte
internazionale e della giurisprudenza della Corte europea
che esplicita il contenuto delle norme convenzionali, sì che
l’errore possa essere rapportato ad un vero e proprio difetto
percettivo».65
Le riferite critiche non sono, tuttavia, valse ad impedire applicazioni ulteriori dell’istituto disciplinato all’art.
625-bis c.p.p. per ottemperare al giudicato della Corte
europea.
Nel “caso Scoppola” la Corte di cassazione,66 investita
del ricorso straordinario volto ad ottenere, in esecuzione del
dictum di Strasburgo, la rideterminazione del trattamento
sanzionatorio iniquo, ha – nonostante la nota del Procuratore generale di trasmissione degli atti al giudice dell’esecuzione67 – dichiarato ammissibile detta istanza, provvedendo
quindi a revocare in parte qua la propria precedente sentenza, cassando senza rinvio la decisione del giudice di merito
M. G. Aimonetto, op. ult. cit., p. 1516.
Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, cit.; in dottrina,
sulla pronuncia, cfr. C. Di Paola, Gutta cavat lapidem: in assenza del
legislatore in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 1400 ss.; S. Furfaro,
L’esecuzione delle decisioni europee di condanna, cit.; P. Gaeta, La
sentenza definitiva deve essere modificata se ritenuta iniqua, cit.; C.
Musio, Il “Caso Scoppola” dalla Corte Europea alla Corte di Cassazione, in Cass. pen., 2011, p. 208 ss.
67
Pubblicata in Cass. pen., 2010, p. 3393.
65
66
124
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
e rideterminando direttamente la pena irrogata.68 Ciò sulla
base dell’assunto della radicale diversità del caso de quo
rispetto a quelli sottesi ai precedenti giurisprudenziali che
avevano risolto in altro modo la questione dell’adeguamento dell’ordinamento interno al giudicato della Corte
europea. Qui infatti – si è sottolineato – «l’iniquità della
La vicenda riguardava un cittadino italiano che, pur avendo avanzato
istanza di giudizio abbreviato in appello nel vigore della disciplina di cui
alla l. n. 479 del 1999 – che consentiva la celebrazione di tale rito anche
per i delitti puniti con l’ergastolo, prevedendo genericamente per tale
eventualità la sostituzione di detta pena con la reclusione di anni trenta
– si vedeva applicata in sentenza la pena dell’ergastolo. Ciò in ragione
della circostanza che il giorno stesso della conclusione del giudizio era
entrato in vigore il d.l. n. 341 del 2000, il cui art. 7 – in via di interpretazione autentica dell’art. 442 c.p.p. – precisava che la sostituzione della
pena di trent’anni a quella dell’ergastolo dovesse riferirsi esclusivamente
all’ergastolo senza isolamento diurno, mentre la pena dell’ergastolo con
isolamento diurno avrebbe dovuto essere sostituita con quella dell’ergastolo senza isolamento diurno. Ritenuta, quindi, la natura processuale
di tale disposto normativo e, conseguentemente, la sua soggezione al
canone tempus regit actum, allo Scoppola veniva applicata in grado di
appello – con sentenza poi confermata anche in sede di legittimità – la
pena dell’ergastolo senza isolamento diurno. La Corte europea (Grande
Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, in Cass. pen., 2010, p.
832, con nota di G. Ichino, L’ “affaire Scoppola c. Italia” e l’obbligo
dell’Italia di conformarsi alla decisione della Corte europea dei diritti
dell’uomo) ha ritenuto tale condanna convenzionalmente illegittima per
violazione dei canoni di cui agli artt. 6 e 7 C.e.d.u. Sotto quest’ultimo
profilo, in particolare, perché la cd. “legge Carotti”, entrata in vigore
dopo la commissione dei fatti ma prima della sentenza definitiva di condanna, rappresentava una lex mitior sopravvenuta, di natura sostanziale
e non processuale, che, in virtù del principio della necessaria retroattività della legge penale più favorevole, corollario del principio di legalità,
avrebbe dovuto essere applicata allo Scoppola in luogo della più sfavorevole disciplina di cui al sopravvenuto d.l. n. 341 del 2000.
68
Capitolo III – La supplenza pretoria
125
decisione non attiene al profilo di formazione della prova
in contraddittorio, o dell’accertamento della responsabilità penale o della qualificazione giuridica dei fatti; non
si sostiene cioè che il giudice avrebbe potuto giudicare in
maniera differente o che l’imputato avrebbe potuto difendersi diversamente, se fossero state rispettate le garanzie
processuali fondamentali». Nell’ipotesi considerata «la
non equità riguarda solo il trattamento sanzionatorio»,
con la conseguenza che «non è quindi necessario che si
proceda a un nuovo giudizio di merito, essendo sufficiente
una modifica della pena, nel senso indicato dalla sentenza» sovranazionale; modifica cui, invero, anche alla luce
di ragioni di economia processuale e di contenimento dei
tempi, può procedere lo stesso giudice di legittimità, evitando così l’ulteriore fase – pur pienamente conforme alla
normativa vigente» – dell’intervento in executivis ai fini
della sostituzione della pena inflitta.69
Aspri gli appunti avanzati avverso tale decisione, che,
non spendendo una parola circa la congruità del mezzo
processuale utilizzato e la rispondenza del caso di specie
ai presupposti normativi richiesti, opera quasi “chirurgicamente”: anziché limitarsi a statuire l’ineseguibilità del giudicato, la Corte di cassazione «per modus tollens, estirpa
dalla sentenza la pena (ingiusta) originariamente irrogata e
la sostituisce, per modus ponens, con l’altra, ritenuta equa
dal giudice europeo».70
Soluzione, questa, di dubbia ortodossia normativa, che
andando al di là della mera sospensione del giudicato in-
Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, cit.
P. Gaeta, La Corte ritiene superfluo un nuovo giudizio, cit., p.
87.
69
70
126
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
terno iniquo, realizza una «manipolazione genetica del
titolo esecutivo», modificandone una significativa porzione.71
Operazione nel suo complesso reputata “abnorme”, «in
quanto avulsa dall’intero ordinamento processuale e resa al
di fuori dei casi consentiti: il ricorso straordinario era infatti palesemente inammissibile, in quanto rivolto verso una
sentenza emessa da un giudice diverso dalla Cassazione e
diretto a censurare un vizio assolutamente non riconducibile all’errore di fatto».72
Nel caso in questione si sarebbe andati ben oltre la semplice violazione del divieto di analogia vigente in tema di
rimedi impugnatori: la Cassazione, infatti, non si sarebbe
limitata ad applicare «l’istituto giuridico ex art. 625-bis
c.p.p. ad un caso non disciplinato ma analogo a quello disciplinato», bensì avrebbe «in realtà costruito un nuovo
istituto», «analogo […] rispetto a quello esistente del ricorso straordinario», «il quale ibrida revisione (artt. 629 ss., e
spec. 637, comma 2 c.p.p.) e ricorso straordinario».73
4. La restituzione nel termine per impugnare
Con riferimento alla violazione del diritto a partecipare al
processo, l’ordinamento interno conosceva già un istituto
– la restituzione nel termine per proporre impugnazione avP. Gaeta, ibidem.
Così M. Gialuz, voce Ricorso straordinario per cassazione, cit., p.
10. In termini critici, pure C. Musio, Il “caso Scoppola” dalla Corte
europea, cit., p. 217.
73
M. Gambardella, Il “caso Scoppola”: per la Corte europea l’art. 7
CEDU garantisce anche il principio di retroattività della legge penale
più favorevole, in Cass. pen., 2010, pp. 2027-2028.
71
72
Capitolo III – La supplenza pretoria
127
verso le sentenze contumaciali ex art. 175 c.p.p. – che, per
quanto ispirato ad una ratio differente, poteva essere applicato estensivamente per ottenere la riapertura del giudizio
ove in sede europea si fosse censurato lo svolgimento del
processo in carenza di un’effettiva conoscenza o di una volontaria rinuncia a comparirvi da parte dell’imputato.74
Al riguardo, giova premettere come il processo contumaciale non sia irriducibilmente stridente con il quadro di
tutela convenzionale dei diritti umani.75
Nella prospettiva europea, la partecipazione dell’accusato al processo, oltre ad essere dedotta indirettamente dall’art.
6 C.e.d.u.76 – e precisamente, da quelle declinazioni del due
process, quali il diritto a difendersi personalmente, al confronto con l’accusatore o all’interprete, che presuppongono
la presenza fisica del prevenuto77 – è configurata non solo
come diritto, ma anche come dovere, potendo l’organo giuCass., sez. V, 15 novembre 2006, n. 4395, Cat Berro, in C.E.D.
Cass., n. 235446; Id., sez. I, 12 febbraio 2008, n. 8784, Ay, ivi, n.
239141. In dottrina, cfr. C. Angeloni, L’istituto della rimessione in
termini può travolgere il giudicato penale, in Cass. pen., 2008, p.
270.
75
In argomento, si v. A. Mangiaracina, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Torino, 2010, p. 22 ss., nonché M. Deganello, Procedimento in absentia: sulla ‘tratta’ Strasburgo-Roma una ‘perenne
incompiuta’, in R. Gambini – M. Salvadori (a cura di), Convenzione
europea sui diritti dell’uomo, cit., p. 79 ss.
76
Il quale non la menziona espressamente, a differenza dell’art. 14, §
3, lett. d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, secondo cui
«Ogni individuo accusato di un reato ha diritto […] ad essere presente
al processo».
77
Corte e.d.u., Grande Camera, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia,
§ 81; Id., 25 marzo 1998, Belziuk c. Polonia, § 37; Id., 12 febbraio
1985, Colozza c. Italia, cit., § 27.
74
128
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
dicante tener conto della mancata comparizione, traendone
le (proporzionate) conseguenze del caso.78
Come le altre garanzie sancite dall’art. 6 C.e.d.u., anche quella della partecipazione al proprio processo è
rinunciabile,79 purchè però tale atto abdicativo – tacito o
espresso – sia “informato” e “inequivoco”. Occorre, cioè,
che l’accusato sia reso edotto in maniera effettiva e dettagliata dell’addebito elevato a suo carico, dell’esistenza di
un processo, del suo oggetto, della data dell’udienza, potendo ragionevolmente prevedere le conseguenze della sua
rinuncia a comparire.80
A tali condizioni la celebrazione di un giudizio senza
imputato è convenzionalmente conforme, potendo rientrare
tra le legittime opzioni normative degli Stati membri.81
Corte e.d.u., 22 settembre 1994, Pelladohah c. Paesi Bassi; Id., 23
novembre 1993, Poitrimol c. Francia.
79
Corte e.d.u., 30 novembre 2000, Kwiatkowska c. Italia; Id., 21 febbraio 1990, Håkansson e Sturesson c. Svezia, § 66; V. zagrebelsky,
Intervento, cit., p. 17.
80
La rinuncia non deve, inoltre, contrastare con alcun interesse pubblico significativo e deve essere assistita da salvaguardie minime
connaturate alla sua importanza (A. Tamietti, Processo contumaciale
e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: La Corte di Strasburgo sollecita l’Italia ad adottare riforme legislative, in Cass. pen.,
2005, p. 991; nella giurisprudenza europea, tra le tante, Corte e.d.u.,
9 settembre 2003, Potrimol c. Francia, § 31; Id., 21 settembre 1993,
Zumtobel c. Austria, § 34; Id., 25 febbraio 1992, Pfeifer e Plankl c.
Austria, § 37).
81
Con la Risoluzione (1975) 11 il Comitato dei Ministri ha fissato nove
regole minime in tema di garanzie che gli Stati contraenti che prevedono
il processo contumaciale devono rispettare. In argomento, si v. G. Ubertis, Come rendere giusto il processo senza imputato, in Id., Argomenti di
procedura penale, II, Milano, 2006, p. 171 ss.
78
Capitolo III – La supplenza pretoria
129
I punti di frizione con le garanzie europee sorgono – e
l’esperienza italiana ne ha contezza – allorché l’informazione data non soddisfi i citati requisiti, garantendo una conoscenza solo ipotetica o non ufficiale delle accuse e del
processo,82 e dunque, non assicurando all’imputato l’esercizio effettivo dei suoi diritti.
La via per la “conformità convenzionale” passa, quindi, in tali ipotesi attraverso il diritto a un nuovo processo di merito a favore di colui che, non sottrattosi volontariamente al giudizio e condannato all’esito di un
trial in absentia, abbia patito un flagrante “diniego di
giustizia”.83
Orbene, con riferimento all’ordinamento italiano, la Corte di Strasburgo ha in passato avuto modo di stigmatizzare
reiteratamente il non allineamento ai suddetti standards di
garanzia, essendo non solo consentita la celebrazione di un
processo in contumacia nonostante la mancanza di una rinuncia consapevole e inequivoca dell’imputato a prendervi parte
(come consegue dalla disciplina delle notificazioni all’irreperibile), ma non riconoscendosi nemmeno in tali ipotesi un
diritto ad una fresh determination of the merits of the charges,
concepita – in ossequio ai precetti di Strasburgo – in termini
Corte e.d.u., 12 ottobre 1992, T. c. Italia, § 28; Id., 18 maggio 2004,
Somogyi c. Italia, § 75.
83
Corte e.d.u., 16 ottobre 2001, Einhorn c. Francia, § 32: «A denial
of justice undoubtedly occurs where a person convicted in absentia
is unable subsequently to obtain from a court which has heard him
a fresh determination of the merits of the charge, in respect of both
law and fact, where it has not been unequivocally established that he
has waived his right to appear and to defend himself». Cfr. pure Corte
e.d.u., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit., § 29 e Id., 18 maggio
2004, Somogyi c. Italia, cit., § 66.
82
130
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
pressoché automatici, ostandovi il tenore dell’originario art.
175 c.p.p.84
Tali difetti sistemici del nostro assetto processuale hanno
trovato definitiva censura con la sentenza della Corte europea 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia,85 che, andando
oltre le riserve già manifestate dal Giudice europeo nella
decisione sulla ricevibilità del ricorso dell’11 settembre
2003 in ordine all’idoneità stessa dell’istituto della restituzione nel termine ai fini in questione – in particolare, sotto
il profilo della eccessiva brevità dello spatium temporis per
presentare la relativa richiesta e la carenza di informazioni
in ordine all’esistenza di tale rimedio86 – ha denunciato la
genesi strutturale della violazione accertata, addebitabile ad
una carenza congenita della legislazione italiana, sollecitando quindi il nostro Paese ad adottare le adeguate misure
generali necessarie per prevenire violazioni analoghe.87
Corte e.d.u., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit.; Id., 28 agosto
1991, F.C.B. c. Italia; Id., 12 ottobre 1992, T. c. Italia, cit.; Id., 19
dicembre 1989, Brozicek c. Italia. Il processo contumaciale italiano
era stato censurato anche dal Comitato dei diritti umani dell’Onu, con
la decisione 27 luglio 1999, Malaki, in Cass. pen., 2000, p. 2487, che
aveva rilevato la violazione dell’art. 14, § 3, lett. d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
85
Corte e.d.u., 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, in Cass. pen.,
2005, p. 983 ss., con nota di A. Tamietti, Processo contumaciale e
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cit.
86
Corte e.d.u., (dec.) 11 settembre 2003, Sejdovic c. Italia (n.
56581/00), in Cass. pen., 2004, p. 1390 ss., con nota di A. Tamietti, Processo contumaciale e rimedi a garanzia del diritto di difesa
dell’imputato assente: la Corte europea «boccia» la restituzione nel
termine ex art. 175 c.p.p.
87
Corte e.d.u., 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, cit., §§ 44 e 47.
84
Capitolo III – La supplenza pretoria
131
In particolare, la Corte europea, nello stesso dispositivo
della pronuncia,88 ha rivolto un invito a «mettere in opera
il diritto delle persone condannate in contumacia – che
non siano informate in maniera effettiva delle pendenze a
loro carico e che non abbiano rinunciato in maniera non
equivoca al loro diritto di comparire – ad ottenere ulteriormente che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo
averle sentite nel rispetto dell’art. 6 della Convenzione,
sul merito delle accuse»;89 sancendo, altresì che lo Stato
italiano «deve garantire, attraverso misure appropriate, la
messa in opera del diritto in questione per il ricorrente e
le persone che si trovano in una situazione simile a quella
del ricorrente».90
Era questo un dispositivo che «non lascia[va] vie di
scampo» al legislatore italiano,91 costringendolo finalmente
Sottolinea il peso di tale monito nella parte precettiva della sentenza, O. Mazza, Diritto a un equo processo, in L. Pineschi (a cura di),
La tutela dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi, Milano, 2006,
p. 481.
89
Punto 2 del dispositivo della sentenza: «the above violation has originated in a systemic problem connected with the malfunctioning of domestic legislation and practice caused by the lack of an effective mechanism
to secure the right of persons convicted in absentia – where they have
not been informed effectively of the proceedings against them and have
not unequivocally waived their right to appear at their trial – to obtain
a fresh determination of the merits of the charge against them by a court
which has heard them in accordance with the requirements of Article 6 of
the Convention»
90
Punto 3 del dispositivo della pronuncia: «the respondent State must,
through appropriate measures, secure the right in question to the applicant and to other persons in a similar position».
91
G. Lattanzi, Costretti dalla Corte di Strasburgo, in Cass. pen., 2005,
p. 1125.
88
132
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
a modificare – a quasi un ventennio dalla prima censura
europea92 – la disciplina della contumacia.
L’obbligo è stato assolto con il d.l. 21 febbraio 2005,
n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 22 aprile
2005, n. 60, che, intervenendo sull’art. 175, comma 2 c.p.p.
– fonte di attrito con l’art. 6 C.e.d.u. – l’ha modificato, capovolgendone l’onere della prova ivi previsto.93
Se, stando al tenore originario della norma, la restituzione nel termine per impugnare poteva essere concessa
all’imputato previa dimostrazione della mancata conoscenza incolpevole del provvedimento ovvero, nei casi di
notifica della sentenza contumaciale mediante consegna al
difensore, della non volontaria sottrazione alla conoscenza
degli atti del procedimento, la versione riformata della previsione ha introdotto un meccanismo connotato da tratti di
automaticità: una volta che l’imputato presenti richiesta di
restituzione nel termine, il rimedio deve essergli concesso,
spettando all’autorità giudiziaria la prova dell’eventuale
effettiva conoscenza del procedimento da parte del prevenuto.
Sebbene ispirato da un intento di riallineamento ai canoni di equità processuale europei, il rinnovato impianto normativo non ha conseguito lo scopo, non risolvendo in modo
soddisfacente tutte le problematiche implicate dalla lesione
del diritto dell’imputato a partecipare al processo.94
Corte e.d.u., 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, cit.
In argomento, P. Moscarini, Il giudizio in absentia nell’ottica delle
giurisdizioni internazionali ed in una recente legge italiana, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2005, p. 573 ss.; S. Quattrocolo, Commento all’art.
2 d.l. 18.2.2005 n. 17, conv., con modif., in l. 22.4.2005 n. 60, in Leg.
pen., 2005, p. 291 ss.
94
M. Chiavario, Non è tutto oro quello che luccica nel nuovo pro92
93
Capitolo III – La supplenza pretoria
133
Per quanto si riconosca al contumace il diritto incondizionato di impugnare tardivamente il provvedimento emesso a suo carico – senza, peraltro, che possa avere efficacia
preclusiva l’eventuale impugnazione proposta dal difensore95 – si è in realtà ben lontani dalla realizzazione di quella
cesso in absentia, in Dir. giust., 2005, n. 19, p. 11; L. Filippi, Rito
contumaciale: quale «equo processo»?, in Cass. pen., 2005, p. 2199;
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 39; F. Siracusano, Reciproco
riconoscimento delle decisioni giudiziarie, procedura di consegna e
processo in absentia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 115 ss.; A.
Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 419.
95
Corte cost., sent. 4 dicembre 2009, n. 317, cit., che ha dichiarato
incostituzionale l’art. 175, comma 2 c.p.p., nella parte in cui non consente all’imputato, secondo il diritto vivente, di essere restituito nel
termine per impugnare la sentenza contumaciale di condanna quando
l’impugnazione sia stata già in precedenza proposta dal difensore. È
stato così superato l’orientamento delle Sezioni unite della Corte di legittimità (31 gennaio 2008, n. 6026, Huzuneanu, in Cass. pen., 2008,
p. 2358, con nota di G. De Amicis, Osservazioni in margine ad una
recente pronuncia delle Sezioni unite in tema di rapporti tra unicità
del diritto di impugnazione e restituzione nel termine per impugnare
una sentenza contumaciale di condanna) secondo cui, posto il principio di cd. “unicità dell’impugnazione”, ritenuto diretta proiezione del
canone della ragionevole durata del processo, l’«impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato
contumace, una volta che […] sia intervenuta la relativa decisione,
preclude all’imputato la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione». I profili di criticità con
le garanzie europee di quest’ultimo orientamento sono sottolineati da
V. Zagrebelsky, Intervento, cit., p. 19, che evidenzia come «nel caso
in cui perduri la non informazione all’accusato e dunque la sua impossibilità di partecipare è evidente la mancanza di rinuncia. Il fatto
che il difensore abbia impugnato ha solo introdotto una nuova fase in
cui di nuovo l’accusato non ha possibilità di partecipare; esso quindi
134
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
restitutio in integrum pretesa da Strasburgo che, per essere effettivamente tale, implicherebbe una rinnovazione del
giudizio.96
Alla modifica dell’art. 175 c.p.p. non si è, infatti, accompagnata quella dell’art. 603, comma 4 c.p.p.97 che tuttora
– con evidente incongruenza rispetto al mutato assetto di
disciplina – subordina la rinnovazione del dibattimento in
appello alla prova da parte dell’imputato rimasto contumace in primo grado di non esser potuto comparire per caso
fortuito o forza maggiore ovvero per mancata conoscenza
incolpevole o involontaria dell’atto di citazione.
Previsione, questa, che se aveva una sua coerenza nella
vigenza dell’originario testo dell’art. 175, comma 2 c.p.p.,
risulta oggi del tutto illogica, ponendo a carico del prevenuto un onere probatorio che nella nuova versione della disposizione da ultimo citata manca, con conseguenze paradossali: può ben accadere, infatti, che l’imputato in prima
battuta sia restituito nel termine per impugnare, ma non si
veda poi riconosciuto il diritto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, vanificandosi quella garanzia della ripetizione del giudizio che il sistema di tutela convenzionale
imporrebbe.98
non risolve il problema». In argomento, si v. pure G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del
processo contumaciale, in Giur. cost., 2009, p. 4765 ss.
96
Cfr. G. Ubertis, Corte europea dei diritti dell’uomo e “processo
equo”: riflessi sul processo penale italiano, in Id., Argomenti di procedura penale, III, Milano, 2011, p. 111 ss.
97
Nonostante l’iniziale previsione della sua modifica nel corso dei lavori parlamentari, in sede di conversione del d.l. 21 febbraio 2005, n.
17, tale disposizione è infatti rimasta immutata.
98
G. Lattanzi, Costretti dalla Corte di Strasburgo, cit., p. 1132. Sic-
Capitolo III – La supplenza pretoria
135
Ma pure quando l’accesso alla rinnovazione istruttoria
in secondo grado sia garantito, può invero dubitarsi che al
contumace venga assicurato quel “giusto processo” che gli
spetterebbe: in seconde cure, infatti, l’imputato può trovarsi di fronte ad una situazione processuale già per più
aspetti pregiudicata, ad esempio perché il giudice utilizza
atti istruttori compiuti nel giudizio antecedente senza la sua
presenza,99 ma anche perché egli «non può più avvalersi del
patteggiamento e del giudizio abbreviato, o perché tra accusa e difesa sono intervenuti accordi svantaggiosi in materia
probatoria, o ancora perché non sono state proposte eccezioni (di nullità, di incompetenza, ecc.) o compiuti determinati atti ormai preclusi (come una dichiarazione di ricusazione)»; peraltro, poi, più in generale può fondatamente
porsi l’interrogativo della compatibilità costituzionale, ex
art. 3 Cost., dell’ «assoggettamento a una diversa disciplina processuale dell’imputato che non abbia avuto effettiva
conoscenza del procedimento e non abbia volontariamente
rinunciato a comparire».100
Senza trascurare, inoltre, che gli strumenti della restituzione nel termine per impugnare e della rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale non sempre appaiono idonei
a garantire al contumace un nuovo giudizo “sul merito delle accuse”: basti pensare all’eventualità di un appello del
pubblico ministero avverso sentenza contumaciale di priché, come osserva A. Tronci, Violazioni C.e.d.u. e limiti dell’attuale sistema delle impugnazioni, cit., p. 420, la portata che si assegna
all’art. 175 c.p.p. è quella di «mera garanzia del diritto di impugnare
riconosciuto all’imputato, non anche del diritto di essere reintegrato
nelle ragioni lese».
99
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 39.
100
G. Lattanzi, Costretti dalla Corte di Strasburgo, cit., p. 1132.
136
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
mo grado di assoluzione; contro l’eventuale condanna in
seconda istanza l’imputato – ove restituito nel termine per
impugnare – può solo proporre ricorso per cassazione, rimedio inidoneo a garantire un giudizio “sul merito delle
accuse”.101
Infine un ulteriore, rilevante profilo di perplessità della
nuova disciplina deriva dalla “dimenticanza” del legislatore
di regolamentare la sorte del giudizio svoltosi in condizioni
di minorato contraddittorio, e in particolare, delle prove ivi
assunte.
Si è già accennato all’innegabile problematicità, dal
punto di vista della fairness processuale, della utilizzabilità da parte del giudice dell’impugnazione del materiale probatorio assunto in primo grado senza la presenza
dell’imputato:102 è concreto il rischio di uno “svuotamento
di significato” della stessa ripetizione del giudizio imposta
per rimediare al vulnus delle garanzie convenzionali ove si
attribuisca credibilità alle risultanze acquisite in condizioni
di absentia censurabili.103
G. Lattanzi, op. ult. cit., p. 1132.
G. Ubertis, Intervento, in Processo penale e giustizia europea, cit.,
p. 39
103
P. Moscarini, La contumacia dell’imputato, Milano, 1997, p. 467.
Tuttavia, con riferimento a un caso di appello avverso sentenza contumaciale, in cui l’imputato – sebbene ne avesse avuta la possibilità –
non aveva avanzato istanze istruttorie, Corte e.d.u., 9 settembre 2003,
Jones c. United Kingdom, nel dichiarare l’irricevibilità del ricorso, ha
svolto affermazioni da cui è possibile dedurre l’utilizzabilità del materiale probatorio assunto in prime cure, integrabile a seguito della partecipazione dell’accusato al giudizio d’appello. In argomento, si v. V.
Zagrebelsky, Intervento, cit., p. 18.
101
102
Capitolo IV
Un nuovo caso di revisione
Sommario: 1. Un’incompatibilità costituzionale (quasi) accertata ma
non dichiarata – 2. L’ampliamento del rimedio revocatorio: Corte
cost., n. 113 del 2011 – 3. (segue) Punti fermi – 4. (segue) Nodi
irrisolti
1.Un’incompatibilità costituzionale (quasi) accertata
ma non dichiarata
La consapevolezza dell’inadeguatezza degli istituti esistenti nel diritto interno – per quanto interpretati, non senza
forzature, in chiave estensiva – a soddisfare l’obbligo di
adeguamento ai dicta di Strasburgo, garantendo la riapertura dei procedimenti iniqui, ha indotto una parte della
giurisprudenza a percorrere la via dell’incidente di costituzionalità.
La Corte d’appello di Bologna, nell’ambito della vicenda relativa al “caso Dorigo”, ha infatti sollevato innanzi ai giudici della Consulta, ex artt. 3, 10 e 27 Cost.,
la questione di legittimità dell’art. 630, comma 1, lett. a)
c.p.p., nella parte in cui esclude dai casi di revisione l’impossibilità di conciliare i fatti stabiliti a fondamento della
sentenza o del decreto penale di condanna con la pronuncia definitiva della Corte europea che abbia accertato
138
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
l’assenza di equità del giudicato interno ai sensi dell’art.
6 della Convenzione.1
Pur potendosi sottrarre all’onere di una decisione di merito, avvalendosi del commodus discessus di una declaratoria
di inammissibilità per inesistenza del presupposto fondante
l’eccezione (non sussisteva, infatti, nel “caso Dorigo” nessuna sentenza della Corte e.d.u., bensì solo un rapporto del
Comitato dei ministri, che, per quanto obbligatorio ex art. 32
del testo convenzionale originario, costituiva indubbiamente «cosa diversa dalle sentenze di un organo giudiziale»2),
ovvero trincerandosi dietro l’indebita invasione della intangibile sfera di discrezionalità legislativa che l’invocata pro-
La questione era stata sollevata, nell’ambito del “caso Dorigo”, dalla Corte d’appello di Bologna con l’ordinanza 13 marzo 2006, n. 63
(in Cass. pen., 2006, p. 2959, con nota di M. D’Orazi, Revisione della
condanna penale e violazione dell’art. 6 Cedu). Il Dorigo, infatti, da
un lato, aveva avanzato istanza di revisione, sostenendo la configurabilità dell’ipotesi di cui alla lett. a) dell’art. 630 c.p.p. (inconciliabilità tra il giudicato interno e la decisione del Giudice di Strasburgo);
dall’altro, in via subordinata, aveva proposto la questione di legittimità costituzionale della disciplina citata laddove non prevede, nei
casi in questione, l’esperibilità dell’impugnazione straordinaria. La
Corte territoriale investita della revisione, verificata l’impraticabilità
di un’interpretazione del disposto codicistico che consentisse l’attivabilità dell’istituto a seguito dell’accertamento da parte della Corte
europea della violazione delle garanzie convenzionali, ha rimesso gli
atti alla Corte costituzionale, sospendendo peraltro medio tempore, ex
art. 635 c.p.p., l’esecuzione della pena.
2
M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit., p. 1522, secondo
cui, dunque, «non sembra corretto che si possa parlare indifferentemente delle une e delle altre». Sulla questione, si v. pure D. Manzione, “Caso Dorigo” e dintorni: una “blessing in disguise” della Corte
Suprema (e non solo)?..., in Leg. pen., 2007, p. 259 ss.
1
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
139
nuncia additiva avrebbe comportato,3 il Giudice delle leggi
non l’ha fatto, compiendo anzi affermazioni ulteriori – e
di grande rilievo – rispetto a quelle strettamente funzionali
alla trattazione delle sollevate censure.4
L’esito di infondatezza dell’incidente di costituzionalità
è stato, infatti, accompagnato – in maniera neanche troppo
velata, se non a tratti decisamente manifesta – da una serie
di “suggerimenti”, rivolti tanto al giudice comune che al
E. Selvaggi, Una risposta alle sollecitazioni del Comitato dei ministri, cit., pp. 45-46.
4
Corte cost., sent. 30 aprile 2008, n. 129, cit. Sulla pronuncia, si v.
G. Campanelli, La sentenza 129/08 della Corte costituzionale e il valore delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo: dalla
ragionevole durata alla ragionevole revisione del processo, in Foro
it., 2009, I, p. 621 ss.; M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo»,
cit., p. 1522 ss.; A. Cisterna, La rimozione della detenzione iniqua è
l’unico rimedio congruo e praticabile, in Guida dir., 2008, n. 20, p.
60 ss.; L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo
e Costituzione, cit.; F. Gambini, Il ruolo del giudice ordinario e della
Corte costituzionale nell’attuazione dell’obbligo di riapertura o revisione del processo, in F. Spitaleri (a cura di), L’incidenza del diritto
comunitario e della CEDU, cit., p. 221 ss.; M. Gialuz, Il caso Dorigo:
questione mal posta, ma con qualche (tenue) speranza di essere accolta, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio
tra Costituzione e CEDU, cit., p. 123 ss.; G. Mantovani, La sent. n.
129 del 2008 e la riparazione delle violazioni dell’art. 6 Cedu, in Giur.
cost., 2008, p. 2679 ss.; M. Repetto, La Corte costituzionale respinge
l’ipotesi di “revisione europea”: un’occasione mancata?, in Dir. pen.
proc., 2008, p. 929 ss.; V. Sciarabba, Il problema dell’intangibilità del
giudicato tra Corte di Strasburgo, giudici comuni, Corte costituzionale
e…legislatore?, in http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2008/0004_nota_129_2008_
sciarabba.pdf; C. Valentini, La Corte costituzionale e il caso Dorigo,
cit., p. 207 ss.
3
140
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
legislatore, che “contraddicendo” in qualche modo il dispositivo adottato, hanno tracciato la strada da percorrere per
colmare la lacuna dell’inesistenza nell’ordinamento italiano di un rimedio atto ad ottemperare al giudicato di Strasburgo.
Da questo punto di vista la sentenza in esame pare assimilabile al genus delle cd. “decisioni di incostituzionalità accertata ma non dichiarata” (dette anche “sentenze
di rigetto con accertamento di incostituzionalità”),5 cui la
Consulta ricorre quando, pur non dichiarando l’incostituzionalità della normativa impugnata, adotta formule che ne
riconoscono apertamente l’attrito con i principi fondamentali, rivolgendo un pressante monito al legislatore a comporre il contrasto, dietro avvertimento che, in caso contrario, potrebbe essere possibile un futuro accoglimento della
doglianza.6 Come, infatti, nel caso in questione si è puntualmente verificato.
L’iter motivazionale seguito dai Giudici costituzionali,
più precisamente, si articola secondo una sequenza che,
muovendo dalla dimostrazione dell’infondatezza delle censure sollevate dal giudice a quo,7 si sofferma sull’(in)idoIn questo senso, anche P. P. Rivello, La Corte costituzionale interviene sull’istituto della revisione al fine di garantire l’obbligo di
adeguamento alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 1185.
6
In dottrina, su tale tipologia di pronunce, si v. R. Pinardi, L’ horror vacui nel giudizio sulle leggi, Milano, 2007, p. 88; Id., I giudici, la Corte
ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità, Milano, 1993, p. 145 ss.; Id., Discrezionalità legislativa ed efficacia temporale delle dichiarazioni di incostituzionalità: la
sent. n. 125/1992, come decisione di «incostituzionalità accertata ma
non dichiarata», in Giur. cost., 1992, p. 1086.
7
In dottrina, la non pertinenza degli invocati parametri di costituzio5
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
141
neità dell’istituto della revisione tradizionale a fungere da
rimedio revocatorio “post-Strasburgo”, lasciando aleggiare
sullo sfondo – sebbene mai espressa palesemente, ma tuttavia chiaramente percepibile in taluni passaggi argomentativi – l’indicazione della corretta “via” da seguire per l’accoglimento della questione di costituzionalità.
Quanto alla prima doglianza, sollevata dal giudice rimettente invocando il parametro di cui all’art. 3 Cost., sotto
il profilo della mancata inclusione nell’art. 630, comma 1,
lett. a) c.p.p. delle sentenze della Corte e.d.u. tra le decisioni atte a dar vita a un conflitto teorico di giudicati – sul presupposto che la nozione di «fatti» di cui alla disposizione
citata non si riferirebbe solo alle circostanze storiche della
vicenda sottoposta a giudizio, ma comprenderebbe anche
ex art. 187, comma 2 c.p.p. l’accertamento dell’invalidità di
una prova assunta nel giudizio nazionale – la Corte osserva
come la stessa si fondi su una premessa argomentativa non
condivisibile «né sul piano logico, né su quello sistematico». Non sussiste, infatti, una situazione di omologabilità
tra i casi considerati: «il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili […] non può essere inteso in termini di
contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate» nelle
nalità era stata già sottolineata da S. Carnevale, I rimedi contro il
giudicato, cit., p. 59; M. D’Orazi, Revisione della condanna penale,
cit., p. 3282; M. Gialuz, Il caso Dorigo, cit., p. 125 ss.; nel senso che,
comunque, la mancata inclusione dell’art. 117, comma 1 Cost. tra i
parametri evocati non sarebbe stata d’ostacolo ad una pronuncia di
accoglimento, B. Randazzo, Caso Dorigo. La Cassazione “paralizza” il giudicato penale in applicazione diretta della Cedu, senza pregiudicare la rilevanza della quaestio sui limiti della revisione. Ora la
parola alla Corte costituzionale, in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra Costituzione e Cedu, cit., p. 212.
142
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
decisioni considerate, ma deve, invece, essere concepito «in
termini di oggettiva incompatibilità tra i “fatti” (ineludibilmente apprezzati nella loro dimensione storico-naturalistica) su cui si fondano le diverse sentenze». Né nel concetto
di “fatto” può essere ricompresa – come pretende il giudice
a quo, argomentando ex art. 187, comma 2 c.p.p. – anche
l’ipotesi dell’accertamento dell’invalidità/iniquità della
prova assunta nel processo interno8: la disposizione invocata, nel menzionare, come oggetto di prova, anche i fatti dai
quali dipende l’applicazione delle norme processuali, «si
riferisce proprio agli accadimenti (ancora una volta, naturalisticamente intesi) costituenti il presupposto “materiale”
che deve essere “provato”, perché si generi un determinato
effetto processuale», senza che possa «riferirsi alla disposizione processuale la cui applicabilità può scaturire dall’accertamento di quei fatti; e meno ancora alla valutazione che
il giudice abbia effettuato in ordine alla congruità della prova di quegli stessi fatti e della relativa idoneità a porsi quale
premessa per la (equa) applicazione della regola processuale che venga, volta a volta, in discorso».9
È questo, peraltro, un errore di prospettiva, che non tiene conto del metodo di giudizio della Corte e.d.u., che non accerta l’invalidità di una singola prova, ma pone attenzione all’equità in concreto della complessiva
vicenda processuale: al Giudice di Strasburgo, infatti, «non interessano
le soluzioni normative in se stesse, ma gli effetti che la loro applicazione
ha avuto nel caso concreto»; un punto di vista, questo, «che privilegia
la protezione effettiva e concreta dei diritti fondamentali della persona,
lasciando in secondo (e solo servente) piano il profilo della regolarità/
irregolarità formale della vicenda» (V. Zagrebelsky, Corte europea dei
diritti dell’uomo e “processo equo”, cit., p. 248).
9
In senso adesivo al ragionamento della Corte, M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit, p. 1524.
8
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
143
Egualmente infondata la censura elaborata ai sensi dell’art. 10 Cost., sotto il profilo della ascrizione tra le
“norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”, come tali oggetto di “adattamento automatico” nel nostro ordinamento, della presunzione di innocenza ex art. 6
C.e.d.u., che si sostanzierebbe – secondo il giudice a quo –
anche nel diritto alla revisione di una condanna pronunciata
all’esito di un processo non equo. Al riguardo la Consulta
osserva come l’art. 10, comma 1 Cost., con l’espressione
«norme di diritto internazionale generalmente riconosciute», si riferisce alle “norme consuetudinarie”: la disposizione invocata dal rimettente, invece, «in quanto pattizia e non
avente la natura richiesta dall’art. 10 Cost., esula dal campo
di applicazione di quest’ultimo», con conseguente «impossibilità di assumerla come integratrice di tale parametro di
legittimità costituzionale».10
La Consulta afferma anche, a proposito della «presunzione di non
colpevolezza», che tale garanzia «accompagna lo status del “processando” ed impedisce sfavorevoli “anticipazioni” del giudizo di responsabilità […] ma […] si dissolve necessariamente […] allorché il […]
processo è giunto al proprio epilogo, trasformando la posizione di chi
vi è sottoposto da imputato – presunto non colpevole – in condannato,
con una statuizione di responsabilità irrevocabile». In senso critico si
è, al riguardo, espresso M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo»,
cit., pp. 1523-1524, che oltre a rilevare la sovrapposizione da parte
della Corte della «presunzione di non colpevolezza» ex art. 27, comma
2 Cost., alla «presunzione di innocenza» invocata dal giudice a quo
e testualmente consacrata all’art. 6, par. 2, C.e.d.u., sottolinea come
quest’ultima, invero, «prima e più che alla condizione dell’imputato
nel corso del processo a suo carico, guarda proprio all’esito del suo
processo», come dimostrano quelle pronunce in cui la Corte europea
si è spinta «sino a considerare come lesive della “presunzione”, statuizioni accessorie a decisioni conclusive del processo penale […], conte10
144
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Allo stesso epilogo di infondatezza conduce anche lo
scrutinio della terza doglianza, mossa ex art. 27, comma 3
Cost., per essere la sanzione irrogata all’esito di un processo unfair in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena, implicante – nella prospettiva del giudice
rimettente – «istanze etiche che trovano contrappunto in
regole processuali non inique».
Secondo i Giudici costituzionali, «se si assegnasse alle
regole del “giusto processo” una funzione strumentale alla
“rieducazione”, si assisterebbe ad una paradossale eterogenesi dei fini, che vanificherebbe – questa sì – la stessa
presunzione di non colpevolezza»: «la necessità che la
pena debba “tendere” a rieducare, lungi dal rappresentare
una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali
che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e
l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione
normativa, fino a quando in concreto si estingue». Se ne
ricava, dunque, che “giusto processo” e “giusta pena” sono
«termini di un binomio non confondibili fra loro; se non a
prezzo […] di una inaccettabile trasfigurazione dello “strumento” (il processo) nel “fine” cui esso tende (la sentenza
irrevocabile e la pena che da essa può conseguire)».
Pur potendosi arrestare a questo punto nell’assolvimento
del suo compito, avendo vagliato le censure sollevate avverso la disposizione di cui all’art. 630, comma 1, lett. a)
c.p.p., argomentandone la ritenuta infondatezza, la Corte
costituzionale è andata oltre, svolgendo una serie di considerazioni particolarmente significative in ordine al tema
stuali o successive ad una sentenza di proscioglimento, [che] facessero
emergere residuali sospetti sulla colpevolezza dell’imputato».
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
145
della recessività del giudicato a seguito di pronuncia del
Giudice europeo.
Premessa la delicatezza della questione e riconosciuta la
problematicità dell’individuazione di un difficile punto di
equilibrio tra l’esigenza di approntare idonei meccanismi
revocatori a fronte del pur sempre possibile errore dell’organo giudicante e la contrapposta necessità di preservare la
certezza e la stabilità della res iudicata, la Corte ha preso
espressamente posizione sul merito delle opzioni a disposizione del legislatore per superare il giudicato censurato a
Strasburgo.
Netto il giudizio di inidoneità al riguardo dell’istituto
della revisione tradizionale ex artt. 629 ss. c.p.p., sconfessandosi così apertamente quelle non poche iniziative legislative che, nel solco di un intervento riformatore “minimalista”, miravano solo a incrementare il novero dei casi di
cui all’art. 630 c.p.p. con una nuova ipotesi di attivabilità
dell’impugnazione straordinaria.11
Molteplici sono i profili di perplessità che il Giudice delle leggi ravvisa in una soluzione del genere: la revisione, infatti, è «modello del tutto eccentrico», che «mira a riparare
un (ipotetico) errore di giudizio, alla luce di “fatti” nuovi»
e «non a rifare un processo (in ipotesi) iniquo», restando
dunque ad essa estranee le varie problematiche precipuamente connesse all’esecuzione di una sentenza della Corte
di Strasburgo che abbia riscontrato la lesione dei canoni del
due process.
In questa prospettiva, l’avallo della Consulta va invece
a quelle iniziative novellistiche più autenticamente innovatrici, quali il disegno di legge n. 1797 presentato dal Gover11
V. retro, Cap. II, par. 4.
146
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
no il 18 settembre 2007, che, nel segnare una discontinuità
rispetto alle altre ipotesi riformatrici, prevedeva l’introduzione di un Titolo IV-bis nel libro IX del codice di rito penale, volto a disciplinare un’ipotesi di revisione “speciale”
delle sentenze di condanna, distinta e autonoma da quella
“ordinaria”, attivabile «quando la Corte europea dei diritti
dell’uomo ha accertato con sentenza definitiva la violazione
di taluna delle disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 3,
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali».12 Rimedio, anche questo straordinario, ma con caratteristiche proprie, quali la non automaticità della rinnovazione dell’intero processo (automatismo che è, invece, essenziale della revisione dell’attuale
sistema processuale) e la necessità della rinnovazione degli
atti cui si fossero riferite le violazioni riscontrate dalla Corte di Strasburgo, con conseguente perdita di rilievo probatorio di quelli la cui pregressa assunzione era stata accertata
come “iniqua”. Epilogo, questo – sottolinea la Corte – che
non potrebbe scaturire dalla richiesta di sentenza additiva
formulata dal giudice a quo, dal momento che la revisione “ordinaria” – per come positivamente disciplinata dagli
artt. 629 ss. c.p.p. – non spiega, di per sé, effetti “invalidanti” sul materiale di prova raccolto nel precedente giudizio.
Infatti, nel caso di revisione di cui all’art. 630, comma 1,
lett. c), c.p.p., le «nuove prove» – che devono dimostrare la
necessità del proscioglimento – vanno apprezzate o da sole
oppure «unite a quelle già valutate».
Il forte appello rivolto al legislatore nella parte conclusiva della motivazione perché provveda a colmare il vuoto normativo nella materia de qua si inserisce, dunque, in
12
V. retro, Cap. II, par. 4.
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
147
questo specifico disegno della Consulta, intenzionata, pur
nel rispetto della discrezionalità ad esso spettante, a indirizzarlo, tracciando le linee lungo le quali esercitare le facoltà
sue proprie.
Sullo sfondo tuttavia, come si diceva, per l’eventualità
di un’ulteriore inerzia legislativa, l’ “avvertimento-suggerimento” in ordine alla scelta del parametro più conferente
alla luce del quale tornare a deferire – questa volta con successo – la questione di legittimità della disciplina oggetto di
scrutinio: l’art. 117, comma 1 Cost., il riferimento al quale,
più o meno esplicitamente, emerge da taluni passaggi motivazionali, quali quelli di cui ai punti 4.2. («la impossibilità
di far leva sul parametro richiamato dal giudice a quo si
evince dai principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte […] (si vedano, da ultimo, le sentenze nn. 348 e
349 del 2007), e – soprattutto – 7, con il significativo inciso
che ivi compare («Pur dovendosi quindi pervenire ad una
declaratoria di infondatezza della questione proposta dalla
Corte rimettente – con specifico riferimento ai parametri di
costituzionalità che sono stati richiamati – […]»).13
V. Sciarabba, Il problema dell’intangibilità del giudicato tra Corte di
Strasburgo, cit., p. 12. Per una diversa impostazione, invece, L. De Matteis, Tra Convenzione europea dei diritti dell’uomo e Costituzione, cit., p.
3998, M. Cerioni, Ancora sull’ “affaire Dorigo”: il seguito della pronuncia costituzionale, in Giur. it., 2009, p. 2145, C. Ciuffetti, Prime osservazioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 129 del 2008, in http://
www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=9983&content_auth=,
M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 7 e G. Campanelli, La sentenza 128/08 della Corte costituzionale, cit., p. 622, i quali, osservando
come la Corte avrebbe potuto invocare autonomamente il parametro di
cui all’art. 117 Cost., ritengono non l’abbia fatto perché la pluralità di soluzioni astrattamente prospettabili per colmare la lacuna in esame sarebbe
stata d’ostacolo all’emanazione di una sentenza additiva.
13
148
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Indicazioni preziose, che i giudici ordinari, nella perdurante latitanza legislativa, non hanno mancato di cogliere
prontamente.
2. L’ampliamento del rimedio revocatorio: Corte cost.,
n. 113 del 2011
Nonostante il pressante monito della Consulta, che sottolineava «l’evidente, improrogabile necessità» che
l’ordinamento italiano predisponesse «adeguate misure
atte a riparare, sul piano processuale, le conseguenze
scaturite dalle violazioni ai principi della Convenzione
in tema di “processo equo”, accertate da sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo»,14 il legislatore è
rimasto in una posizione di ostinata, colpevole inerzia,
isolandosi sia a livello interno (a fronte dell’attivismo
giurisprudenziale), che europeo (posta la diligenza degli
altri Paesi contraenti), in una anomala condizione di refrattarietà all’adempimento dell’obbligo fissato all’art.
46 C.e.d.u.
Nell’ambito della “Grande Europa” dei quarantasette
Stati membri, l’Italia – uno dei dieci fondatori del Consiglio
d’Europa15 – rimaneva così l’unico Paese a non prevedere
a favore della vittima di una violazione convenzionale un
rimedio interno idoneo a garantire l’esecuzione delle pronunce della Corte di Strasburgo.16
Corte cost., sent. n. 129 del 2008, cit.
Insieme a Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia.
16
Per quanto riguarda la situazione degli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa, la maggioranza dei quali prevede nei propri codici di
rito penale la possibilità di riesaminare una decisione interna a seguito
14
15
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
149
Ciò ha spianato la strada alla prosecuzione, ad opera del
Giudice delle leggi, di quel tortuoso cammino di “supplenza giurisprudenziale” intrapreso, con non poche forzature e
aporie sistematiche, dalla Corte di legittimità.
Facendo tesoro delle indicazioni contenute nella sentenza costituzionale n. 129 del 2008, la Corte d’appello di
Bologna,17 nel corso del medesimo procedimento relativo al
cd. “caso Dorigo” in cui tale pronuncia aveva avuto origine,
ha sollevato una nuova questione di legittimità costituzionale, questa volta estesa all’intero art. 630 c.p.p. e fondata
sull’art. 117, comma 1 Cost., in relazione al parametro interposto dell’art. 46 C.e.d.u.
Più precisamente, secondo il giudice rimettente la censurata disposizione codicistica risultava inconciliabile con
la previsione convenzionale, che, nel prevedere l’obbligo
degli Stati contraenti di uniformarsi ai dicta definitivi della Corte europea, li vincola a consentire la rinnovazione
del processo, pur irrevocabilmente definito, ove il Giudice europeo ne abbia accertato la assenza di equità ai sensi dell’art. 6 C.e.d.u.; sotto tale profilo, dunque, l’art. 630
c.p.p., laddove non consentiva nelle evenienze considerate
l’attivabilità della revisione si poneva, sia pur indirettamente, in contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost., che impone al
legislatore il rispetto degli obblighi internazionali.
Avverando le predizioni di autorevoli orientamenti
esegetici,18 la Corte costituzionale, con la sentenza 7 aprile
2011, n. 113, ha accolto la sollevata censura, dichiarando
l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte
di condanna in sede europea, si v. M. Gialuz, Il riesame del processo a
seguito di condanna, cit., p. 1864 ss.
17
Ordinanza 23 dicembre 2008, in Gazz. Uff., n. 41, 13 ottobre 2010.
18
M. Chiavario, Giudicato e processo «iniquo», cit., p. 1524.
150
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire
la riapertura del processo quando ciò sia necessario, ai sensi
dell’art. 46, par. 1 C.e.d.u., per conformarsi ad una sentenza
definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.19
Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, in Giur. cost., 2011, p. 1523,
con note di G. Ubertis, La revisione successiva a condanne della Corte
di Strasburgo, di G. Repetto, Corte costituzionale e CEDU al tempo
dei conflitti sistemici, e S. Lonati, La Corte costituzionale individua
lo strumento per adempiere all’obbligo di conformarsi alle condanne
europee: l’inserimento delle sentenze della Corte europea tra i casi di
revisione. Sulla pronuncia, si v. pure M. Castellaneta, Grande impatto sull’attuale gerarchia delle fonti, in Guida dir., 2011, n. 17, p. 57
ss.; M. Caianiello, La riapertura del processo per dare attuazione alle
sentenze della Corte europea dei diritti: verso l’affermarsi di un nuovo
modello, in Quad. cost., 2011, p. 668 ss.; F. Callari, La revisione. La
giustizia penale tra forma e sostanza, 2° ed., Torino, 2012, p. 282 ss.;
G. Canzio, Passato, presente (e futuro)? Dei rapporti tra giudicato
“europeo” e giudicato penale italiano, in Leg. pen., 2011, p. 465 ss.;
M. de Stefano, Dopo la Corte di Strasburgo, la revisione del processo
penale in Italia: una sentenza epocale della Corte costituzionale, in
I diritti dell’uomo, 2011, n. 1, p. 48 ss.; A. Diddi, La «revisione del
giudizio»: nuovo mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze
emesse in violazione della C.e.d.u., in Giust. pen., 2011, p. 139 ss.; P.
Gaeta, Al decisore interno la singola valutazione sul grado di “contaminazione” delle prove, ibidem, p. 52 ss; R. M. Geraci, La revisione
quale rimedio interno dopo le condanne della Corte di Strasburgo: un
avanzamento di tutela e molte incognite, in Proc. pen. giust., 2011, n.
4, p. 93 ss.; M. Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen., 2011, p.
3308 ss.; Id., voce Revisione europea, cit.; R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo e i rapporti tra violazioni convenzionali e
invalidità processuali secondo le regole interne, in Leg. pen., 2011, p.
473 ss.; A. Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza
Cedu. Questioni interpretative sul nuovo caso di revisione, in Cass.
19
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
151
Decisione “coraggiosa” e di fatto “necessitata” del Giudice delle leggi, costretto all’intervento additivo dal riconoscimento dell’ “asfitticità” dei rimedi finora elaborati dal
diritto vivente («soluzioni parziali e inidonee alla piena realizzazione dell’obiettivo»),20 nonché dalla intollerabilità
giuridica, oltre che etica e politica, dell’ulteriore persistenza di una lacuna legis che precludeva al cittadino “iniquamente” condannato il diritto di ottenere una nuova decisione conforme ai requisiti del giusto processo.21
Decisione di cui, tuttavia, la stessa Corte avverte i limiti
e le forzature, ma che appare giustificata dalla circostanza
che, a diritto invariato, il rimedio straordinario ex artt. 629
ss. è l’unico istituto funzionale ai fini in questione, potendo
assicurare la riapertura del processo a seguito di pronunce
del Giudice dei diritti umani («l’incidenza della declarapen., 2012, p. 933 ss.; O. Mazza, La procedura penale, cit., 46 ss.; C.
Musio, La riapertura del processo a seguito di condanna della Corte
edu: La Corte costituzionale conia un nuovo caso di revisione, in Cass.
pen., 2011, p. 3321 ss.; L. Parlato, Revisione del processo iniquo:
la Corte costituzionale “getta il cuore oltre l’ostacolo”, in Dir. pen.
proc., 2011, p. 839 ss.; P. Pustorino, Un nuovo intervento della Corte
costituzionale in tema di riapertura di procedimenti penali per contrarietà alla Cedu, in Giur. it., 2011, p. 2647 ss.; P. P. Rivello, La Corte
costituzionale interviene sull’istituto della revisione, cit., p. 1169 ss.;
A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata all’impatto con la
Convenzione europea dei diritti umani … ovverosia quando la certezza
del diritto è obbligata a cedere il passo alla certezza dei diritti, in Leg.
pen., 2011, p. 481 ss.; L. Suraci, Verso nuovi equilibri in tema di revisione (a proposito di Corte cost. n. 113 del 2011), in Arch. pen., 2011,
n. 2, p. 559 ss.; G. Tabasco, Decisioni CEDU, processo iniquo e nuovo
giudizio, in Dir. pen. proc., 2011, p. 1405 ss.
20
Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit.
21
G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1543.
152
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
toria di incostituzionalità sull’art. 630 cod. proc. pen. non
implica una pregiudiziale opzione di questa Corte a favore dell’istituto della revisione, essendo giustificata soltanto
dall’inesistenza di altra e più idonea sedes dell’intervento
additivo»; «la revisione, infatti […] costituisce l’istituto,
fra quelli attualmente esistenti nel sistema processuale penale, che presenta profili di maggiore assonanza con quello
la cui introduzione appare necessaria»).22
Resta ferma in ogni caso – ad avviso della Consulta – la
libertà del legislatore di «regolare con una diversa disciplina
– recata anche dall’introduzione di un autonomo e distinto
istituto – il meccanismo di adeguamento alle pronunce definitive della Corte di Strasburgo», così come «di dettare norme su specifici aspetti di esso» su cui la Corte non potrebbe
intervenire «in quanto involventi scelte discrezionali».23
Il percorso logico-argomentativo attraverso cui la Corte
costituzionale perviene al descritto esito decisorio si muove
lungo i tracciati segnati dalle cd. “sentenze gemelle”.
In via preliminare, la Consulta dichiara l’ammissibilità
della questione, rimarcandone la sostanziale diversità, «pur
Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit. Anteriormente all’intervento della Consulta, in molti si erano espressi in dottrina nel
senso che la revisione non fosse l’istituto migliore per ottemperare
all’obbligo ex art. 46 C.E.D.U.: ex plurimis, M. D’Orazi, Revisione
della condanna penale e violazione dell’art. 6 CEDU, cit., p. 2967;
O. Mazza, Sei mesi di tempo (ormai anche meno) per garantire lo
stato di diritto, ivi, 2006, p. 4314; A. Scalfati, Libertà fondamentali
e accertamento giudiziario: la revisione del processo a seguito di
pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 451; E.
Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e il
giudicato nazionale: conflitto non risolvibile?, in Cass. pen., 2006,
p. 3187.
23
Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit.
22
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
153
nell’analogia delle finalità perseguite», rispetto a quella
in precedenza sollevata dalla Corte d’appello di Bologna
nell’ambito del medesimo procedimento e dichiarata non
fondata. Diversi sono, infatti, gli elementi che la compongono rispetto a quelli inerenti la quaestio allora deferita:
l’oggetto è più ampio, essendo sottoposto al vaglio dei giudici costituzionali l’intero art. 630 c.p.p., e non solo la lettera a) dello stesso; il parametro invocato – l’art. 117 Cost.
– è nuovo, così come differenti sono pure le argomentazioni
svolte a sostegno della denuncia di incostituzionalità.
Ricostruito il complesso assetto di rapporti tra Convenzione di Roma, giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
poteri del giudice nazionale e margini del sindacato di costituzionalità, la Corte si sofferma quindi sul valore dell’art.
46 C.e.d.u, disposizione chiave a presidio dell’effettività
del sistema dei diritti umani, e sull’evoluzione che la fisionomia dell’obbligo di conformazione da essa sancito ha
assunto nel corso degli anni, essendosi accentuata la tendenza a garantire un’effettiva restitutio in integrum, attraverso l’adozione di misure generali o individuali idonee a
riparare la lesione riscontrata e l’onere, gravante sullo Stato
parte, di rimuovere gli impedimenti che, a livello di legislazione nazionale, si frappongono al conseguimento di tale
obiettivo.
Da questo punto di vista, la carenza della previsione
nell’ordinamento italiano di un istituto attraverso cui assicurare, in conformità ai dettami europei, la “riapertura” del
processo – meccanismo identificato dalla Corte e.d.u. come
il più consono ai fini della restitutio in integrum nei casi di
infrazioni correlate allo svolgimento di un processo penale,
e segnatamente, di quelle ex art. 6 C.e.d.u. – non appare sanabile in via interpretativa, non essendo praticabile un’ese-
154
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
gesi estensiva dell’art. 630 c.p.p. che annoveri, tra i casi da
esso previsti, anche l’ipotesi della violazione dei canoni del
due process accertata a Strasburgo.
Il rimedio straordinario della revisione si configura, infatti, tradizionalmente come strumento volto a rimediare il
difettoso apprezzamento da parte del giudice del fatto storico-naturalistico, e a comporre dunque il dissidio tra l’accertamento concluso con il giudicato e una possibile differente
“ricostruzione storica” risultante da elementi fattuali non
esaminati, presentando peraltro una vocazione funzionale
calibrata in vista del solo proscioglimento del condannato,
come dimostra la condizione di ammissibilità posta dall’art.
631 c.p.p.
Caratteristiche queste, invero, del tutto estranee a quelle
del rimedio che si vorrebbe introdurre per garantire l’adempimento dell’obbligo di cui all’art. 46 C.e.d.u.: uno strumento che dovrebbe riparare, oltre i limiti del giudicato
(considerati tradizionalmente comunque insuperabili con
riguardo agli errores in procedendo), a un vizio del percorso processuale, consentendo una riapertura che ponga
l’interessato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in
assenza della violazione riscontrata. E ciò nella prospettiva – tutta diversa – per cui rimediare al difetto di equità di
un processo non significa giungere necessariamente ad un
giudizo assolutorio.
Posta di fronte ad un vulnus non sanabile in via interpretativa, la Corte costituzionale prende quindi atto del dovere
di porvi rimedio; da questo punto di vista la sedes dell’intervento additivo invocato dal giudice a quo appare pertinente: nonostante le peculiarità evidenziate, «la revisione,
infatti – comportando, quale mezzo straordinario di impugnazione a carattere generale, la riapertura del processo,
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
155
che implica una ripresa delle attività processuali in sede di
cognizione, estesa anche all’assunzione delle prove – costituisce l’istituto, fra quelli attualmente esistenti nel sistema
processuale penale, che presenta profili di maggiore assonanza con quello la cui introduzione appare necessaria al
fine di garantire la conformità dell’ordinamento nazionale
al parametro evocato».
Ne consegue, quindi, la declaratoria di incostituzionalità
della citata disposizione nella parte in cui non contempla
un “diverso” caso di revisione rispetto a quelli ora regolati, volto specificamente a consentire, per il processo definito con una delle pronunce indicate nell’art. 629 c.p.p.,
la riapertura dello stesso ove questa sia necessaria ai sensi
dell’art. 46 C.e.d.u. per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Si realizza così l’invocato intervento additivo “di
principio”24 che, secondo talune linee di pensiero, assumerebbe una fisionomia peculiare.
La Corte, infatti, non si sarebbe limitata ad affermare
l’introduzione del principio secondo cui la declaratoria di
iniquità del giudizio può esser ricondotta tra i casi di revisione del processo di cui all’art. 630 c.p.p., ma avrebbe
fissato un «ricco corredo di regole, particolarmente dettagliate, volte a rendere effettivo ed operante il suo dispoTale tipologia di pronuncia si caratterizza per l’introduzione di un
“principio” che, sebbene debba essere applicato attraverso un successivo intervento legislativo, può, entro certi limiti, costituire in via transitoria un riferimento per il giudice comune nella decisione dei casi
concreti sottoposti al suo esame. In dottrina, in argomento, si v. A.
Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino,
2009, p. 147 ss.; E. Malfatti – S. Panizza – R. Romboli, Giustizia
costituzionale, Torino, 2007, p. 123 ss.
24
156
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sto», quasi a voler precisare che il margine autonomo di
intervento spettante ai giudici comuni nell’applicazione del
suo dictum «possa esplicarsi solamente negli interstizi [da
essa] lasciati liberi»: ciò che determinerebbe un assottigliamento del tradizionale discrimen intercorrente tra sentenze
additive “di principio” e “di regola”, acuito dall’espresso
riconoscimento della Consulta di prescindere da soluzioni
obbligate, ricorrendo alla revisione solo in quanto istituto
connotato da una maggiore “assonanza” – e non idoneità –
con le esigenze da soddifare nella fattispecie considerata,
quando invece di per sé gli interventi additivi del Giudice
delle leggi dovrebbero essere saldamente ancorati a «esigenze di coerenza e continuità ermeneutica tra Costituzione
e regole legislative».25
Sviluppando ulteriormente la citata linea esegetica, si è
parlato con riferimento alla pronuncia della Consulta di una
inedita sentenza “additiva di istituto”, evidenziandosi la
«nuova forma di impugnazione straordinaria» direttamente
plasmata dal Giudice delle leggi.26
Ora, per quanto si condivida la natura atipica della “revisione europea” e sia palese la “contaminazione” della declaratoria di illegittimità in esame con la fissazione di talune
regole fondamentali nel rispetto delle quali il rimedio revocatorio di nuovo conio dovrà articolarsi, non pare tuttavia
che tale compendio di “disciplina” – pur sotto certi aspetti
particolarmente significativo – si connoti per una puntualità e ricchezza di dettaglio tali da modellare, ad opera della
stessa Corte, un istituto nuovo.
G. Repetto, Corte costituzionale e CEDU, cit., pp. 1553-1554.
M. Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”, cit., p. 3311; Id.,
voce Revisione europea, cit., p. 8
25
26
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
157
Le indicazioni al riguardo fornite – quanto a “concetto”
di riapertura, “necessità” della stessa, “vaglio di compatibilità” con le disposizioni codicistiche in tema di revisione,
etc. (su cui v. infra par. 3) – pongono, infatti, l’interprete
dinanzi ad una cospicua e rilevante serie di nodi ermeneutici lasciati insoluti.
La sensazione che si ha, invero, è quella di un istituto
solo abbozzato, i cui esatti contorni – lasciati sfumati dalla Consulta e intuibilmente alquanto complessi, oltre che
non completamente coincidenti con quelli dell’omonimo
rimedio ordinario – nelle more di un futuro, auspicato intervento legislativo ad hoc, andranno disegnati dal diritto
vivente.27
La Corte costituzionale, insomma, pur costretta dalle circostanze all’intervento additivo, si è tuttavia attenuta ad un
atteggiamento improntato all’understatement, limitandosi
a proclamare un principio alla cui nuda essenzialità poco
hanno aggiunto le pur significative indicazioni fornite, gravandosi invece espressamente dell’intero onere di definire la fisionomia del nuovo strumento i giudici comuni.28 A
questi, infatti, si è attribuito il compito di “dare seguito”
alla pronuncia della Corte, riconoscendo loro un margine
quanto mai significativo di autonomia di intervento, dovenNello stesso senso, A. Logli, La riapertura del processo a seguito
della sentenza Cedu, cit., p. 934, secondo cui «la Corte […] è stata
perentoria nell’introdurre il nuovo caso di revisione ma, per i limiti
intrinseci ai propri poteri decisori, è rimasta vaga nel disciplinarlo e
ha lasciato al giudice ordinario sia il compito di scegliere le regole
processuali applicabili di volta in volta, sia l’onere di dettare i canoni
di ammissibilità del nuovo istituto».
28
Così, P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alle C.e.d.u., cit., p.
21.
27
158
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
do gli stessi trarre – per espressa indicazione del Giudice
delle leggi – dalla declaratoria di incostituzionalità tutti «i
necessari corollari sul piano applicativo, avvalendosi degli interventi ermeneutici a loro disposizione», così individuando, con riferimento ed efficacia limitata ai singoli casi
di volta in volta considerati, la disciplina di dettaglio del
rimedio revocatorio di nuovo conio.
3. (segue) Punti fermi
Avvertendo la valenza “eterodossa” del diverso caso di revisione introdotto, i giudici costituzionali hanno sentito il
bisogno di fissare alcuni “punti fermi” da affidare all’interprete-giudice.
Il primo – fondamentale – attiene alla nozione stessa di
“riapertura”, che la Corte, consapevole degli esiti non univoci derivanti dalla sua declaratoria sul terreno processuale
interno,29 definisce «concetto di genere, funzionale anche
alla rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di
quella integrale del giudizio».
A fronte, cioè, di una condanna in sede europea, la concreta realizzazione della restitutio in integrum può atteggiarsi secondo modalità diversificate, in ragione del tipo di
lesione riscontrata.
Senza pretese di esaustività, tentando una classificazione delle varie eventualità prospettabili, talvolta la via per
la conformità convenzionale passa attraverso la semplice
“neutralizzazione” degli effetti della decisione illegittima
(si pensi al caso, ad esempio, di un giornalista condannato per diffamazione nell’ordinamento interno che, adita la
29
Cfr. G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1545.
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
159
Corte di Strasburgo, vedesse accertata la violazione della
libertà di espressione consacrata all’art.10 C.e.d.u.); talaltra, implica, invece, una sorta di modifica “a rime obbligate” della pronuncia nazionale, ossia una rivalutazione del
contenuto della stessa allo stato degli atti, senza svolgimento di attività processuale diversa da quella strettamente decisoria, da condurre alla luce delle indicazioni del
Giudice di Strasburgo (è quanto avvenuto nel “caso Scoppola”, in cui la pena dell’ergastolo inflitta in violazione
dell’art. 7 C.e.d.u. è stata sostituita con quella di trent’anni
di reclusione,30 ovvero quanto si verifica in quegli ordinamenti esteri in cui la lesione del canone della ragionevole
durata del processo è “compensata” con una riduzione del
trattamento sanzionatorio inflitto31); altre volte invece – e
sono le ipotesi che una linea di pensiero identifica come
di “riapertura” in senso proprio32 – quando non è l’esito in sé del giudizio a porsi in contrasto con le garanzie
convenzionali, ma sono le modalità di svolgimento dello
stesso a compromettere la credibilità dell’accertamento,
la riapertura del processo implica una ripresa dello stesso,
con il compimento di attività istruttorie o argomentative
(è l’eventualità in cui si rileva, ad esempio, una violazione
dei canoni del fair trial per l’utilizzo di prove testimoniali
ottenute con la coercizione) o addirittura impone una totale rinnovazione del processo stesso (si pensi alla lesione
del diritto a un giudice indipendente e imparziale o alla
V. Cap. III, par. 3.
Cfr. L. Parlato, La revisione del giudicato penale a seguito di pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo. II) L’esperienza della
Repubblica federale tedesca, cit., pp. 1029-1030.
32
M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 2. Sul punto, v. retro,
Cap. II, par. 3.
30
31
160
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
violazione del diritto dell’imputato a partecipare personalmente alla vicenda processuale).33
In ogni caso però – ha cura di affermare la Corte costituzionale – «la necessità della riapertura», nel significato
dianzi precisato, «andrà apprezzata – oltre che in rapporto
alla natura oggettiva della violazione accertata […] – tenendo naturalmente conto delle indicazioni contenute nella
sentenza della cui esecuzione si tratta, nonché nella sentenza “interpretativa” eventualmente richiesta alla Corte di
Strasburgo dal Comitato dei ministri ai sensi dell’art. 46,
paragrafo 3, della CEDU».
In realtà, si tratta di parametri che non valgono a delimitare in modo certo l’ambito di praticabilità della revisione
europea: i giudici della Consulta non forniscono, infatti, alcuna indicazione concreta circa la valutazione della gravità
del vulnus patito dalla vittima, limitandosi ad enunciare il
principio senza indicarne il contenuto, e perciò, delegando interamente al giudice comune la valutazione del merito
della lesione; così come non considerano che assai spesso
nelle pronunzie della Corte europea la necessità della riapertura non è neanche menzionata, sebbene essa costituisca
l’unica modalità di attuazione della restitutio in integrum;
per non dire, poi, della mera eventualità dell’esistenza di
una sentenza interpretativa della Corte e.d.u., presupponendo questa l’insorgenza di un contenzioso sull’esecuzione
delle decisioni europee.34
Per tale tentativo di classificazione sistematica delle varie modalità
attuative delle decisioni della Corte europea, si v. G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1546 e M. Gialuz, Il riesame del
processo, cit., p. 1848 ss.
34
A. Logli, La riapertura del processo a seguito della sentenza Cedu,
cit., pp. 937-938.
33
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
161
Ciò nonostante, dai menzionati parametri si evince inequivocabilmente la volontà del Giudice delle leggi di circoscrivere l’ambito di praticabilità della “revisione europea”,
lasciando intendere che la stessa non costituisce rimedio “ad
attivabilità obbligata”, misura riparatoria specifica ineluttabile a fronte di qualunque lesione dei diritti garantiti dalla
Convenzione europea o dai relativi Protocolli addizionali.
Possono esserci, infatti, violazioni (la Corte fa l’esempio dell’inosservanza del principio di ragionevole durata
del processo, di cui all’art. 6, par. 1 C.e.d.u.) per le quali
una riapertura del giudizio apparirebbe fuori luogo, o rappresenterebbe addirittura un ulteriore vulnus alla garanzia
che si pretende di tutelare; ovvero – sviluppando ulteriormente il ragionamento della Consulta – lesioni che hanno
avuto un’incidenza solo marginale nello sviluppo processuale non tale da giustificarne la riapertura, che apparirebbe
strumento del tutto sproporzionato a fronte dell’esigenza di
stabilità della decisione; o ancora, violazioni adeguatamente riparabili con misure di tipo diverso, quali, ad esempio,
quelle approntate per la fase esecutiva (può essere il caso
del su citato esempio della condanna per diffamazione del
giornalista poi ritenuta iniqua in sede sovranazionale35). Al
contrario, ci sono naturalmente ipotesi lesive – emblematici, ad esempio, il citato difetto di imparzialità e indipendenza del giudice nazionale, ovvero le inosservanze inerenti
all’art. 6, comma 3, lett. c) e d) Ce.d.u. – la cui incidenza
significativa sulle sorti della vicenda giudiziaria induce a
giustificare l’attivabilità del rimedio straordinario.
Secondo F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p.
817, in tal caso «si tratta di due sentenze definitive (quella interna e
quella convenzionale) per il medesimo fatto contro la stessa persona.
Siamo in pieno art. 669 c.p.p.».
35
162
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Conseguentemente, dalle affermazioni del Giudice delle
leggi parrebbe potersi desumere – del tutto in linea con i
principi sanciti nel Protocollo n. 14, nonché con lo stesso
orientamento degli organi europei, incline a ritenere legittimo condizionare la riapertura del processo ad una domanda in tal senso di chi sia ricorso al Giudice di Strasburgo36
– che la revisione sia solo uno dei possibili strumenti per
dare esecuzione ai dicta della Corte europea, non l’unico e
l’imprescindibile, atteggiandosi anzi essa, secondo attenti
filoni ermeneutici, come una «una sorta di extrema ratio»,37
un rimedio cui ricorrere allorché appaia l’unico strumento
attraverso cui rimuovere in modo integrale le conseguenze
pregiudizievoli della violazione accertata dalla Corte dei
diritti umani, ben potendo nelle altre eventualità essere affiancata da misure riparatorie diverse, idonee a rimuovere
i pregiudizi causati dalla violazione e far cessare le gravi
conseguenze negative della stessa.38 Impostazione, questa,
che condurrebbe, come accennato, a far ritenere tuttora praticabili, ove adeguate ai casi specifici considerati, talune
Cfr. Corte e.d.u., 10 novembre 2004, Seidovic c. Italia, cit., nonché la
Risoluzione del Comitato dei Ministri nel caso Lucà c. Italia n. 86 del
2005, adottata il 12 ottobre 2005.
37
A. Saccucci, Revisione dei processi in ottemperanza alle sentenze
della Corte europea: riflessioni de iure condendo, cit., 2002, p. 249;
analogamente, A. Logli, La riapertura del processo a seguito della
sentenza Cedu, cit., pp. 938-939 e 943.
38
In questo senso, A. Logli, op. ult. cit., p. 939, che propone di «garantire la riapertura quando questa risulti “imposta” allo Stato, distinguendo al contempo i casi in cui questa sia semplicemente “opportuna”»:
conseguentemente, «ove la rinnovazione del processo sia uno dei mezzi, ma non l’unico, per garantire la restitutio in integrum, parrebbe da
escludersi l’ammissibilità della nuova revisione, per mancanza del suo
presupposto».
36
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
163
soluzioni alternative già individuate dal diritto vivente per
adempiere all’obbligo di conformazione sancito dall’art. 46
C.e.d.u.
Ove la revisione europea possa essere attivata, l’ “eccentricità” del rimedio rispetto all’ipotesi “classica” di cui
agli artt. 629 ss. c.p.p. pone, poi, il problema del «vaglio di
compatibilità» delle singole previsioni codicistiche con gli
assetti del nuovo mezzo di impugnazione.
Sul punto, i ragguagli del Giudice delle leggi sono alquanto scarni, limitandosi all’indicazione di principio secondo
cui «dovranno ritenersi […] inapplicabili le disposizioni
che appaiano inconciliabili, sul piano logico-giuridico, con
l’obiettivo perseguito», che è quello di «porre l’interessato
nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della violazione accertata, e non già rimediare a un difettoso
apprezzamento del fatto da parte del giudice, risultante da
elementi esterni al giudicato». Conseguentemente – sottolinea la Corte – dovranno, ad esempio, ritenersi inoperanti
la condizione di ammissibilità della richiesta, basata sulla
prognosi assolutoria, indicata dall’art. 631 c.p.p., nonché le
previsioni di cui all’art. 637, commi 2 e 3 c.p.p., secondo
cui l’accoglimento della richiesta comporta senz’altro un
esito proscioglitivo, che non può comunque essere pronunciato esclusivamente sulla base di una diversa valutazione
ad opera del giudice delle prove assunte nel precedente giudizio: affermazioni coerenti col dato che l’accertata lesione
convenzionale indica solo che vi è stato un vizio nel processo interno, ma nulla implica in ordine alla giustizia della
sentenza di condanna.
Indicazioni comunque “minimali”, che delegano interamente all’interprete la soluzione dei nodi di maggiore problematicità dell’istituto, attinenti all’individuazione delle
164
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sue concrete cadenze procedimentali e alla disciplina allo
stesso applicabile, su cui la Corte ha mantenuto un sostanziale silenzio.
Infine, a completamento del compendio di “regole” individuate, la Consulta richiama l’attenzione su una circostanza di particolare rilievo: il nuovo caso di revisione comporta, nella sostanza, una deroga – imposta dall’esigenza di
rispettare gli obblighi internazionali assunti – al principio
per cui i vizi processuali restano coperti dal giudicato. In
questa prospettiva, il giudice della revisione è gravato di un
non agevole compito: valutare come le cause di non equità
del processo individuate dalla Corte di Strasburgo si possano «tradurre» in «vizi degli atti processuali alla stregua del
diritto interno, adottando nel nuovo giudizio tutti i conseguenti provvedimenti per eliminarli».39
È questo un profilo di estrema delicatezza, che sovverte
le tradizionali concezioni dogmatiche, ponendo all’interprete complessi interrogativi.
Al riguardo, premesso che il vizio accertato dalla Corte
europea deve aver avuto un’incidenza rilevante sulla decisione, in letteratura si è ritenuto opportuno operare un
fondamentale distinguo tra violazioni pattizie inerenti al regime delle prove e lesioni convenzionali riconducibili alle
cause di nullità.
Con riferimento alle prime, la “ricaduta” interna della
causa di iniquità si traduce in una regola di giudizio, implicando il vincolo per il giudice della revisione, conformemente agli insegnamenti della giurisprudenza europea,40 di
non basare il suo convincimento in modo “decisivo” sull’at-
39
40
Corte cost., sent. 7 aprile 2011, n. 113, cit.
V. retro, Cap. I, par. 5.
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
165
to viziato;41 in questa prospettiva, egli può quindi procedere
ad una rivalutazione del materiale conoscitivo inserito nel
processo “depauperata” dell’atto unfair ovvero, ove possibile, alla rinnovazione dello stesso, senza tuttavia che si
verifichi alcuna regressione, ostandovi il disposto dell’art.
185, comma 4 c.p.p.42
Più complessi gli scenari con riferimento, invece, alla
seconda tipologia di lesioni, venendo in rilievo in tutta la
sua pregnanza la diversità di approccio tra il nostro sistema,
“formale” e imperniato sul principio di tipicità delle nullità,
e quello convenzionale, “sostanziale” e per il quale, al contrario, ciò che conta è l’effettiva lesività in concreto di un
diritto sancito dalla C.e.d.u.
Nulla quaestio ove la violazione difensiva che ha determinato il giudizio di iniquità trovi corrispondenza in una
causa interna di nullità: il giudice della revisione è tenuto a
rilevarla, anche d’ufficio, con le relative conseguenze previste dalla disciplina codicistica, anche in tema di invalidità
derivata.
Non così, invece, per quanto riguarda eventuali, ulteriori violazioni difensive che, pur coincidendo con un’ipotesi
di nullità interna, non fossero state poste dalla Corte europea a base della declaratoria di iniquità: essendo la riapertura un’impugnazione straordinaria finalizzata unicamente
all’eliminazione del vizio riscontrato a Strasburgo, queste
dovrebbero infatti ormai ritenersi coperte dal giudicato.43
R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 477.
G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p. 1547. In
argomento, si v. pure P. Gaeta, Al decisore interno la singola valutazione, cit., p. 56, nonché A. Diddi, La «revisione del giudizio», cit., p.
152.
43
R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 479.
41
42
166
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
I problemi più delicati sorgono, per contro, con riferimento alle eventualità di lesioni convenzionali che non
corrispondono a vizi processuali interni o la cui corrispondenza è molto incerta: si tratta delle ipotesi in cui il giudice nazionale ha proceduto ritualmente e, ciò nonostante,
si è verificata una situazione concretamente lesiva delle
garanzie difensive (si pensi, ad esempio, alla concessione
di un termine previsto dalla legge, che in concreto è del
tutto inidoneo ad assicurare una difesa effettiva).44 Al riguardo, si è proposto di ritenere possibile una “eterointegrazione” dell’art. 178 c.p.p. ad opera dell’art. 6 C.e.d.u.,
posto che la Convenzione europea, in virtù della ratifica
ed esecuzione, farebbe comunque parte del diritto interno,
ovvero, adottando una nozione sostanzialistica di nullità,
di considerare tale anche quella determinata da un atto
atipico in concreto lesivo di una garanzia fissata dal testo
convenzionale,45 ciò che tuttavia determinerebbe una «rilevante anamorfosi», in ragione della conformazione alla
C.e.d.u., del principio di tipicità delle nullità.46 Per tale
ragione, la soluzione preferibile, in detti casi, parrebbe
quindi essere quella di sollevare questione di legittimità
costituzionale della normativa interna considerata, laddove impedisce – per la mancanza di una espressa previsione di nullità – il ripristino dell’equità convenzionale lesa,
potendo eventualmente essere invocati anche parametri
È l’esempio che fa F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione,
cit., p. 813.
45
F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p. 814 ss. Sul
punto, si v. pure R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit.,
pp. 479-480.
46
P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 21.
44
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
167
ulteriori rispetto all’art. 117 Cost., quali ad esempio, gli
artt. 25, comma 1 o 111, commi 2 e 3 Cost.47
4. (segue) Nodi irrisolti
Al di là dei cosiddetti “punti fermi” fissati dalla Consulta
– di per sé, invero, tutt’altro che esaustivi in chiave interpretativa – molti altri sono gli interrogativi ed i nodi ermeneutici lasciati irrisolti dalla pronuncia in esame.
Il primo attiene alla stessa natura del rimedio individuato: ulteriore caso di revisione o istituto analogo a quello
disciplinato agli artt. 629 ss. c.p.p., rispetto al quale si caratterizza per rilevanti profili di discontinuità?
Non vi è dubbio, infatti che si assiste ad un significativo mutamento della fisionomia tradizionalmente attribuita
all’impugnazione straordinaria, paventandosi addirittura il
sospetto che possano ritenersi ormai esistenti due diversi
modelli di revisione, una “interna”, strutturata secondo i
consueti canoni codicistici, ed una “europea”, inedita, scaturita dalla declaratoria de qua, la cui articolazione è solo
in parte coincidente con le cadenze delineate dal codice di
rito, ed il cui ambito di attivabilità ai fini della riparazione
delle violazioni convenzionali è forse, invero, da circoscrivere.48
R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 480; analogamente, G. Ubertis, La revisione successiva a condanne, cit., p.
1547.
48
Già qualche anno fa, riflettendo sull’idoneità dell’istituto della revisione a fungere da strumento di adeguamento al giudicato sovranazionale, A. Scalfati, I giudici offrono un «rimedio tampone», cit., p.
82, avvertiva che «ogni manovra additiva del legislatore imporrebbe di
costruire un percorso parallelo, con regole autonome, in vista dei casi
47
168
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
Finora, infatti, la revisione si è configurata come un rimedio post rem iudicatam tipicamente volto ad ovviare
agli errori nella “ricostruzione del fatto” che possono avere determinato la condanna: una impugnazione straordinaria, insomma, «concepita per recuperare la “novità” incidente sulla quaestio facti e strutturata in funzione del solo
proscioglimento»,49 esulando, invece, dalla sua area di operatività gli errori inerenti le regulae iuris, eventualmente rimediabili oltre i limiti del giudicato con strumenti giuridici
di altra natura, quali quelli previsti per la fase esecutiva.
La nuova revisione “europea”, invece, sembra connotarsi per tratti che la discostano sensibilmente dalla sua
tradizionale fisionomia: pur essendo condizionata, quanto
ad attivabilità, alla sopravvenienza di un novum, questo,
a differenza dell’ipotesi dianzi citata, non si atteggia a insorgenza capace di influire negativamente sulla decisione
di condanna, bensì a violazione dei principi convenzionali giudizialmente accertata dalla Corte di Strasburgo, che
prescinde completamente da una prognosi di ribaltamento
dell’esito del giudizio, e che mira più propriamente a rimediare a un giudicato di condanna lesivo delle irrinunciabili
garanzie consacrate nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. Non si tratta, in definitiva, di invocare elementi sopravvenuti capaci di influire
sulla ricostruzione della vicenda, ma di ristabilire un ordine
violato da errori intervenuti durante la cognizione penale,
in nome degli irrinunciabili diritti convenzionalmente riconosciuti.
in cui bisogna ripetere il processo in seguito alla violazione constatata
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».
49
A. Scalfati, Libertà fondamentali e accertamento giudiziario, cit.,
p. 463.
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
169
In questa prospettiva, l’istituto di nuovo conio sembra
quasi evocare una moderna forma di ricorso straordinario
nell’interesse della legge, connotata dalla peculiarità per
cui la possibilità di rimozione del giudicato è collegata ad
un accertamento compiuto da un organo esterno all’ordinamento statale.50
Ma i profili di problematicità della decisione in commento vanno oltre, intravedendosi potenzialità applicative
dagli effetti dirompenti.
Stando, infatti, al dispositivo della declaratoria,51 che rispecchia fedelmente l’iter argomentativo dei Giudici costituzionali52 – e nonostante il contrario tenore della massima
Cfr. V. Sciarabba, La “riapertura” del giudicato, cit., nota 15.
Così recita il dispositivo della decisione: «La Corte costituzionale
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione
della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la
riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46,
paragrafo 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali per conformarsi ad una sentenza definitiva
della Corte europea dei diritti dell’uomo».
52
Nella motivazione della sentenza si afferma, infatti, che «nella specie, l’art. 630 cod. proc. pen. deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo proprio perché (e nella parte in cui) non contempla un
“diverso” caso di revisione, rispetto a quelli ora regolati, volto specificamente a consentire (per il processo definito con una delle pronunce
indicate nell’art. 629 cod. proc. pen.) la riapertura del processo – intesa,
quest’ultima, come concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate, e, se del caso, di quella integrale del giudizio – quando la riapertura stessa risulti necessaria, ai sensi dell’art.
46, paragrafo 1, della CEDU, per conformarsi a una sentenza definitiva
della Corte europea dei diritti dell’uomo (cui […] va equiparata la decisione adottata dal Comitato dei ministri a norma del precedente testo
dell’art. 32 della CEDU)».
50
51
170
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
“ufficiale”53 – la revisione europea sarebbe attivabile non
solo in caso di sentenza di condanna della Corte di Strasburgo per violazione delle garanzie processuali del fair trial
cristallizzate all’art. 6 C.e.d.u., ma per qualsivoglia lesione
dei canoni convenzionali, ciò che aprirebbe la praticabilità del rimedio straordinario anche alle ipotesi di accertate
violazioni di carattere sostanziale, esaltando il ruolo della
C.e.d.u. di fondamentale fattore di rafforzamento delle garanzie.54
Al di là dei casi inerenti a violazioni dell’art. 10 C.e.d.u.,
risolvibili, come accennato, alla luce delle indicazioni contenute nella stessa sentenza n. 113 del 2011, eventualmente
Che limita, invece, alle sole violazioni ex art. 6 C.E.D.U. la praticabilità della revisione [«È ammissibile – poiché non ricorre la preclusione
alla riproposizione della questione nel medesimo grado di giudizio – la
questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art.
117, primo comma, della Costituzione e all’art. 46 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede la rinnovazione del processo allorché la sentenza o il decreto
penale di condanna siano in contrasto con la sentenza definitiva della
Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato l’assenza di
equità del processo, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Tale questione, pur nell’analogia delle finalità perseguite, è infatti sostanzialmente diversa rispetto
a quella sollevata dallo stesso giudice a quo nel medesimo giudizio e
dichiarata non fondata con sentenza n. 129 del 2008 di questa Corte. Tale diversità si apprezza in relazione a tutti e tre gli elementi che
compongono la questione: l’oggetto è più ampio (essendo sottoposto
a scrutinio l’art. 630 cod. proc. pen. nella sua interezza, e non la sola
disposizione di cui al comma 1, lett. a), nuovo è il parametro evocato e
differenti sono anche le argomentazioni svolte a sostegno della denuncia di incostituzionalità»].
54
Su tale ruolo, v. V. Manes, Introduzione, cit., p. 7 ss.
53
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
171
con altri strumenti idonei a garantire la restitutio in integrum,
si potrebbe, invero, porre l’interrogativo della praticabilità
della revisione del processo nell’eventualità di lesione di
talune garanzie di carattere sostanziale occupanti in seno al
testo C.e.d.u. una posizione di tutela privilegiata.
Il riferimento va, in particolare, ai cd. inviolable core
rights, ossia a quel “nucleo duro” di diritti che nel sistema
di tutela convenzionale non ammette alcuna deroga, nemmeno «in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico
che minacci la vita della nazione».55
Tra questi spiccano in posizione di preminenza il diritto
alla vita (art. 2 C.e.d.u.) ed il divieto di tortuta e di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti (art. 3 C.e.d.u.),56
valori fondamentali che, nell’elaborazione giurisprudenzia-
Art. 15, comma 2 C.e.d.u.
L’art. 3 C.e.d.u., allo scopo di evitare possibili vuoti di tutela [cfr.
Council of Europe, Preparatory Work of Article 3 of the European
Convention of Human Rights, memorandum Prepared by the Secretariat of the Commission, DH (56), 5, 8] non fornisce le nozioni di
tortura e trattamenti inumani o degradanti, in seguito elaborate in sede
dottrinale e giurisprudenziale. Al riguardo, si individua una gradualità
di comportamenti lesivi, al cui livello inferiore si colloca il trattamento “degradante”, a livello intermedio quello “inumano” e all’apice la
“tortura”. Questa consiste nella inflizione intenzionale di crudeltà da
cui derivano lesioni nel corpo o nella psiche della vittima; i trattamenti inumani e degradanti, invece, sono costituiti dall’inflizione di una
quota di sofferenza che, ancorché non deliberata, oltrepassa il livello
consentito insito nella sanzione penale e causa un surplus di sofferenza
e umiliazione nel destinatario [G. Mannozzi, Diritti dichiarati e diritti
violati: teoria e prassi della sanzione penale al cospetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in V. Manes – V. Zagrebelski
(a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, cit., pp. 348-349].
55
56
172
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
le della Corte europea, presentano un duplice versante positivo di tutela, sostanziale (volet materiél) e processuale (volet procédural): sotto il primo profilo rileva l’obbligo dello
Stato di tutelare il bene protetto, punendo le lesioni dello
stesso;57 sotto il secondo, ormai verificatasi la violazione,
viene in considerazione il dovere delle autorità di polizia e
giudiziaria di avviare e condurre indagini “effettive” ed “efficaci” onde pervenire all’identificazione dei responsabili e
alla loro effettiva punizione.58
Orbene, proprio con riferimento alla violazione di tali
valori nel loro versante processuale, potrebbe porsi un problema di attivabilità della revisione quale misura riparatoria
specifica.
Si pensi, ad esempio, all’eventualità di una lesione del
bene vita protetto all’art. 2 C.e.d.u., a fronte della quale,
il mancato compimento di indagini effettive da parte delle
autorità inquirenti, abbia condotto ad un esito prosciogliCon riferimento al bene-vita, Corte e.d.u., Sez. I, 17 gennaio 2012,
Choreftaki c. Grecia; Id., Sez. II, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c.
Italia.
58
Con riferimento al diritto tutelato dall’art. 2 C.e.d.u., Corte e.d.u.,
Sez. I, 29 maggio 2012, Damayev c. Russia; Id., Sez. III, 24 aprile
2012, Crăiniceanu e Frumuşanu c. Romania; Id., sez. I, 27 marzo 2012,
Inderbiyeva c. Russia e Kadirova e altri c. Russia; Id., Sez. II, 8 novembre 2011, Paçaci e altri c. Turchia; Id., Sez. I, 27 settembre 2011,
Vajić, Beksultanova c. Russia; Id., Sez. I, 19 luglio 2011, Khashuyeva
c. Russia; Id., Sez. II, 26 aprile 2011, Enukidze e Girvliani c. Georgia;
Id., Sez. II, 29 marzo 2011, Alikaj e altri c. Italia, cit.; con riferimento
alla garanzia posta dall’art. 3 C.e.d.u., Corte e.d.u., Sez. III, 17 aprile
2012, J.L. c. Lettonia; Id., Sez. I, 14 febbraio 2012, Valyayev c. Russia;
Id., Sez. IV, 24 gennaio 2012, P.M. c. Bulgaria; Id., Sez. III, 20 dicembre 2011, Pscari c. Moldavia; Id., Sez. I, 8 novembre 2011, Filatov c.
Russia.
57
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
173
tivo per insufficienza del materiale probatorio addotto in
giudizio dalla pubblica accusa, risolvendosi così in quel
vizio della procedura «di tale gravità da gettare un’ombra
sul risultato finale del processo stesso» che la Raccomandazione R (2000) 2 del Comitato dei ministri individua come
presupposto fondamentale (insieme alla persistenza delle
conseguenze negative della violazione) per la riapertura del
processo. A ben vedere, tuttavia, la risposta a tale interrogativo appare indissolubilmente legata alla risoluzione di
un altro, spinoso profilo problematico lasciato irrisolto dal
Giudice delle leggi: è ammissibile una revisione in malam
partem?
Perché è ciò che sottenderebbe l’ipotesi delineata, come
anche del resto, quella di una condanna del Giudice di Strasburgo a seguito di ricorso da parte della persona offesa,
come potrebbe accadere, ad esempio – volgendo l’attenzione al versante delle violazioni convenzionali di tipo processuale – ove un soggetto che si ritenesse diffamato da
dichiarazioni rese da un parlamentare, impossibilitato a far
valere utilmente le sue ragioni innanzi all’autorità giudiziaria nazionale dall’operatività dell’insindacabilità ex art. 68,
comma 1 Cost., ricorresse alla Corte europea per violazione
del diritto di accesso a un tribunale ai sensi dell’art. 6, par.
1 della Convenzione.59
Una ricostruzione della revisione europea, improntata
ad esigenze di coerenza sistematica interna, e dunque, aderente al connotato di favor rei che caratterizza il rimedio
È il caso sotteso a Corte e.d.u., 6 aprile 2010, C.G.I.L. e Cofferati c.
Italia; Id., 20 aprile 2006, Patrono e Cascini c. Italia; Id., 6 dicembre
2005, Ielo c. Italia; con riferimento all’analoga insindacabilità prevista
per i componenti del C.S.M., Id., 5 aprile 2007, Esposito c. Italia.
59
174
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
straordinario codicistico,60 indurrebbe a propendere per la
soluzione negativa. Tale opzione, però, creerebbe nelle ipotesi considerate un evidente vuoto di tutela, che si tradurrebbe in una violazione dell’obbligo di conformazione ex
art. 46 C.e.d.u., tanto più censurabile rammentando il monito della Corte costituzionale secondo cui dovranno ritenersi
«inapplicabili» quelle disposizioni della disciplina comune
in tema di revisione «che appaiano inconciliabili, sul piano
logico-giuridico, con l’obiettivo perseguito», ovvero – lo si
ribadisce – «porre l’interessato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della violazione accertata». D’altro
canto, deve, rispettarsi il principio di tassatività in materia
di impugnazioni (che, ai fini in questione, avrebbe preteso
un ulteriore intervento additivo della Consulta sul punto),
nonché rammentarsi l’esplicita statuizione contenuta nella
sentenza in commento secondo cui nell’ipotesi di riapertura del processo resta «fermo naturalmente il divieto della
reformatio in peius». Di tal ché le vie percorribili sembrano ridursi a due: o ritenere preclusa qualunque forma di
revisione in malam partem, coerentemente con il canone
di cui all’art. 568, commi 1 e 3 c.p.p. e con la fisionomia
dell’istituto tradizionale, ma con i menzionati vuoti di tutela
che ne deriverebbero, o ammetterla (con le conseguenti incongruenze sistemiche), ritenendo operante il divieto della
Ipotesi di revisione contra reum sono legislativamente previste nel
nostro ordinamento in materia di decadenza dai benefici accordati ai
pentiti e ai dissociati dai reati commessi per finalità di terrorismo ed
eversione dell’ordinamento costituzionale nonché coloro che sono sottoposti alle speciali misure di protezione in seguito a collaborazione
con la giustizia (art. 10, l. 29 maggio 1982, n. 304 e art. 16 septies d.l.
15 gennaio 1991, n. 8, convertito in legge 15 marzo 1991, n. 82, inserito con la legge 13 febbraio 2001, n. 45).
60
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
175
reformatio in peius nella sola ipotesi in cui la pronuncia del
Giudice di Strasburgo sia stata determinata da un ricorso
del condannato. In ogni caso, una soluzione di quest’ultimo
tipo imporrebbe di ritenere che il giudicato non rappresenti
più una garanzia per il processato contro nuove aggressioni
giudiziarie, con ogni implicazione in termini di conflittualità con altre statuizioni di rilievo sovranazionale.
Quel che appare certo, comunque, è che sul piano procedimentale occorre procedere ad un «vaglio di compatibilità» delle singole previsioni di cui agli artt. 629 ss. con la
specifica ipotesi di revisione considerata.
E anche al riguardo, l’operazione si presenta non poco
ardua, stante l’accennata laconicità delle indicazioni fornite
dalla Corte costituzionale.
Assodata, infatti, l’inapplicabilità di disposizioni quali
gli artt. 631 e 637, commi 2 e 3 c.p.p., in tema rispettivamente di prognosi assolutoria ai fini del vaglio di ammissibilità della domanda ed esito proscioglitivo conseguente
al suo accoglimento, resta da ricostruire l’intera ed esatta
articolazione di un rimedio revocatorio che presenta non
pochi profili di inconciliabilità con l’istituto omonimo regolato nel codice di rito.
A cominciare dall’ampio spettro di legittimazione soggettiva all’attivazione del rimedio di cui all’art. 632 c.p.p.,
passibile, invero, al contempo, di una lettura estensiva e riduttiva.
Da un lato, infatti, la legittimazione “primaria” alla proposizione della richiesta dovrebbe essere riconosciuta alla
vittima della violazione convenzionale in quanto tale, che
in concreto potrebbe essere anche la persona offesa dal reato, e non necessariamente il condannato, anche se ciò, come
accennato, può poi creare taluni profili di criticità quanto
176
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
ad attivabilità del rimedio in malam partem. Dall’altro lato,
ponendo la citata Raccomandazione R (2000) 2, tra le condizioni legittimanti la riapertura del processo nell’ordinamento interno la persistente attualità delle «conseguenze
gravemente negative» sofferte dalla vittima della violazione, occorrerebbe escludere dal novero dei soggetti legittimati all’attivazione del rimedio l’erede o il prossimo congiunto della vittima in caso di morte della stessa.61
Anche le forme della richiesta dovrebbero essere passibili di integrazione, ritenendosi che all’istanza debba essere
allegata copia autentica della sentenza della Corte europea,
che deve aver assunto carattere definitivo – e dunque giuridicamente obbligatorio – ai sensi dell’art. 44 C.e.d.u.
Inoltre, la riapertura del processo “post Strasburgo”, quale
adempimento all’obbligo convenzionale di conformazione
alle decisioni definitive del Giudice europeo, comportando
la necessità di un riesame degli stessi atti già considerati nel
giudizio interno, implicherà una rivalutazione dello stesso
materiale probatorio62 alla luce delle indicazioni della Corte
e.d.u., non conciliabile con la previsione di cui all’art. 637,
comma 3 c.p.p.
Sul punto, A. Logli, La riapertura del processo, cit., p. 940.
R. E. Kostoris, La revisione del giudicato iniquo, cit., p. 476; in
argomento, cfr. pure S. Lonati, La Corte costituzionale individua lo
strumento, cit., pp. 1564-1565, che sottolinea come l’ambito di operatività della revisione tradizionale sia stato comunque ampliato dalla più
recente giurisprudenza di legittimità: «si pensi, in particolare, alla sentenza Pisano delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che ha esteso
il concetto di “nuova prova” anche a quella che, pur presente agli atti,
non è stata valutata dal giudice. Oppure all’indirizzo giurisprudenziale
che, sulla medesima linea, ritiene “nuova” anche quella prova che, pur
presente agli atti, valutata o meno, non è entrata a far parte del processo
argomentativo e motivazionale del provvedimento».
61
62
Capitolo IV – Un nuovo caso di revisione
177
L’esito decisorio della revisione europea, non necessariamente obbligato ad uno sbocco proscioglitivo, recide poi
quella connessione tradizionale sussistente tra accoglimento dell’istanza di revisione e diritto alla riparazione dell’errore giudiziario,63 con le conseguenti ripercussioni in tema
di applicabilità degli artt. 643 ss. c.p.p. Profili, questi, solo
esemplificativi della complessità di ricostruzione delle cadenze della nuova revisione europea.
A. Logli, La riapertura del processo, cit., p. 940, il quale, sotto
altro profilo rileva che «ove la riapertura avesse come unica ricaduta
concreta la maturazione di un diritto alla riparazione, questo interesse non apparirebbe così stringente da giustificare il diritto alla ripetizone del giudizio a seguito della sentenza della Corte EDU», tanto
più che con tale pronuncia «la vittima della violazione si è già vista
riconoscere una somma a titolo di equa riparazione ai sensi dell’art.
41 della Convenzione».
63
Capitolo V
Riflessi sistematici
Sommario: 1. Mutato assetto delle fonti e aporie ricostruttive – 2. Tendenze evolutive del sindacato de legitimitate – 3. Manipolazioni
teoriche
1. Mutato assetto delle fonti e aporie ricostruttive
Il quadro sin qui delineato consente di effettuare un primo
bilancio sui riflessi sistemici dell’evoluzione verificatasi in
tema di rapporti interordinamentali.
Il discorso coinvolge, innanzitutto, l’assetto delle fonti
del diritto, che risente di un significativo mutamento di impostazione.
La ricostruzione volta al perseguimento del maximum
standard di protezione dei diritti umani,1 postulata dalla C.e.d.u. (art. 53) ed avallata dallo stesso Giudice delle
leggi,2 secondo cui eventuali “interferenze di tutela” delle
medesime garanzie tra l’ordinamento interno e quello sovraordinato devono essere risolte nel senso della prevalenza del sistema che ne assicura il grado di protezione più
1
2
V. retro, Cap. I, par. 5.
Corte cost., sent. n. 93 del 2010, cit.; Id., sent. n. 317 del 2009, cit.
180
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
elevato, pone in crisi il tradizionale assetto “verticisticoformale” delle fonti del diritto, soppiantato da una sistematica “orizzontale-sostanziale”.3
Ciò che conta non è più, infatti, l’ordine formale di priorità delle fonti in questione, il “grado” dalle stesse occupato
nella scala gerarchica che le ordina, bensì, secondo un’impostazione prettamente “assiologica”, l’intensità di tutela
dalle stesse approntata, e dunque, il loro valore sostanziale.4
Ne deriva che tutte le norme sui diritti umani – sia di
matrice convenzionale che costituzionale – risultano “pari
ordinate”, essendo collocate su di un medesimo piano orizzontale, che consente al giudice di attingere laddove, a suo
giudizio, intravede un più pregnante livello di protezione.
L’organo giudicante, dunque, è chiamato a compiere
«delicate operazioni di bilanciamento assiologico», che
coinvolgono a un tempo norme di origine interna e norme
di matrice sovraordinata, in vista della fissazione del punto di sintesi maggiormente elevato tra i valori evocati nel
caso concreto considerato. Ciò, ovviamente, può implicare
che sia la stessa Carta fondamentale a doversi fare da parte
Nel senso che «la gerarchia formale delle fonti non è all’altezza della
“europeizzazione dei diritti fondamentali”» si era già espresso in passato P. Häberle, Lineee di sviluppo della giurisprudenza della Corte
costituzionale federale tedesca in materia di diritti fondamentali, in
Giur. cost., 1996, p. 2901.
4
Di sistema “a rete” e non più piramidale, parla V. Carbone, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2009, p. 16, in www.
cortedicassazione.it; in argomento, cfr. pure M. Cartabia, La Cedu e
l’ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisdizioni,
in R. Bin – G. Brunelli – A. Pugiotto – P. Veronesi, All’incrocio tra
Costituzione e Cedu, cit., p. 8.
3
Capitolo V – Riflessi sistematici
181
ove un better level di garanzia sia approntato dalla Convenzione europea, e viceversa, ove dovesse invece risultare il
contrario.5
Se questa è un’impostazione che, per certi versi, può
risultare coerente con la stessa “apertura” della Costituzione alla Comunità internazionale e alle organizzazioni
sovranazionali,6 è indiscutibile, tuttavia, che essa denuncia
un’aporia concettuale nella ricostruzione del sistema delle
fonti operata dalla Consulta, determinando una contraddizione tutta interna allo stesso.
È chiaro, infatti, che l’assetto appena delineato pone in
crisi la stessa concezione di fonte “sub costituzionale”, “interposta” tra Carta fondamentale e legge ordinaria, riconosciuta alla C.e.d.u., che, lungi dal dover essere sempre re-
A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata, cit., passim, il quale
(p. 486) sottolinea come «la Costituzione, col fatto stesso di recedere,
in realtà si realizza … al meglio di sé, come “sistema” appunto, dal
momento che intanto siffatto esito può aversi, in quanto così risulti
prescritto dalla stessa legge fondamentale della Repubblica che vuole
ad ogni modo promosso e custodito il patrimonio dei diritti inviolabili
della persona umana, perseguita l’effettiva uguaglianza di tutti gli uomini, in ultima istanza preservata integra la loro dignità, quale autentico Grundwert e Grundnorm assieme fondativi sia dell’ordine interno
che delle relazioni interordinamentali».
6
Con cui, secondo A. Ruggeri, La cedevolezza della cosa giudicata,
cit., pp. 488-489, la Costituzione, al fine di un conseguimento ottimale
dei fini-valori da essa stessa enunciati, «riconoscendo la sua finitezza e
imperfezione», si apre ad altre Carte, diverse da sé ma ugualmente idonee a dare riconoscimento e tutela ai diritti fondamentali, disponendosi
«a farsi da esse rigenerare semanticamente» e, laddove necessario, a
farsi da parte «in questa o quella sua regola allo scopo di assistere alla
piena affermazione dei suoi principi di libertà, eguaglianza, giustizia e,
sopra tutti, dignità»
5
182
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
cessiva – in quanto subordinata – rispetto alla Costituzione,
può invece su questa prevalere ove assicuri un livello di
protezione più intensa dei diritti fondamentali.
Ma vi è di più.
Quando descritto esprime la crisi ormai irreversibile di
una ricostruzione “piramidale” e “monolitica” dell’ordinamento, con al vertice un’unica fonte apicale, fondante,
che si pone come “fonte delle fonti” (la Costituzione) ed un
unico organo di chiusura dello stesso (la Corte costituzionale), a favore invece di un sistema “pluralistico” ed “integrato”, in cui convivono due fonti (la Carta fondamentale
e la C.e.d.u.) e due organi di vertice (la Consulta e la Corte
di Strasburgo), di matrice interna e sovraordinata, destinati ad interferire. Un sistema, insomma, caratterizzato dalla
presenza di due diverse “Carte dei diritti” e “Corti dei diritti”, ispirate a regole e meccanismi di funzionamento non
coincidenti, chiamate tuttavia ad interagire nell’opera di tutela dei diritti dell’uomo. Il che, poi, sul piano pratico – per
quanto qui più interessa – si traduce nell’assoggettamento
delle norme del processo penale ad un duplice controllo
di compatibilità: costituzionale e convenzionale, entrambi
dotati – per le ragioni prima esposte – di pari dignità assiologica, ma, per la diversità di regole di funzionamento e
valori tutelati, potenzialmente destinati anche ad esiti non
coincidenti (come dimostra la vicenda Dorigo).7
2.Tendenze evolutive del sindacato de legitimitate
Nel tentativo di ovviare alla latitanza legislativa che impediva di dare un “seguito giudiziario” alle decisioni di con-
7
P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 17.
Capitolo V – Riflessi sistematici
183
danna della Corte europea, la giurisprudenza di legittimità
si è, come visto, impegnata nella ricerca di soluzioni interpretative che, a legislazione invariata, consentissero in
qualche modo di attuare l’obbligo di conformazione sancito
dall’art. 46 C.e.d.u.
Se, per un verso, tale sforzo è apparso meritorio, denotando una spiccata sensibilità per i diritti umani,8 ritenuti
prevalenti rispetto alla stessa esigenza di stabilità della res
iudicata, dall’altro ha segnato l’imbocco di una strada pericolosa, volta a piegare le ragioni del diritto ad esigenze di
giustizia sostanziale.
Duplici gli effetti negativi conseguenti.
In primis, un uso “disinvolto” di istituti e categorie processuali, applicati oltre i limiti consentiti dalla disciplina
codicistica e dai principi generali: “congelamento” sine die
del giudicato, lasciato permanere in un limbo di inefficacia;9
interpretazione analogica di un mezzo di impugnazione
straordinario;10 violazione del principio di tassatività delle
impugnazioni; vanificazione della stessa distinzione tra rimedi impugnatori ordinari e straordinari.
Un «uso manipolativo dello strumentario processuale»
estremamente rischioso e dagli incerti sbocchi futuri, che
nell’immediato denota una certa tendenza alla “fantasia
procedurale”, se non a vere proprie forme di “lassismo concettuale” che, in virtù delle contingenze dei casi concreti,
sacrificano le esigenze di coerenza sistematica e ledono il
S. Lonati, La Corte costituzionale individua lo strumento, cit., p.
1561.
9
Cass., sez. I, 1 dicembre 2006, n. 2800, Dorigo, cit.
10
Cass., sez. V, 11 febbraio 2010, n. 16507, Scoppola, cit.; Id., sez. VI,
12 novembre 2008, n. 45807, Drassich, cit.
8
184
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
principio di legalità processuale.11 Canone, quest’ultimo,
che ex artt. 101, comma 2 e 111, comma 1 Cost., pone
vincoli stringenti all’organo giudicante, tra l’altro, proprio
sotto il profilo della tassatività, arginando pericolose derive verso il cd. “diritto libero”, id est, verso interpretazioni giurisprudenziali adeguatrici che in realtà mascherano
forme di autentica creazione normativa, con un giudice
comune che tende a improvvisarsi legislatore.12 Un’interpretazione creatrice, insomma, che contraddice l’essenza
stessa della funzione giurisdizionale, giacché apre spazi
irriducibili di incertezza,13 laddove invece lo svolgimento
del processo penale deve essere indissolubilmente legato
all’osservanza della legalità, il cui superamento impone
l’imprescindibile passaggio attraverso l’opera riformatrice
del legislatore.
Il secondo profilo di criticità cui si accennava deriva, invece, dalla circostanza che la giurisprudenza della Corte di
cassazione – almeno con riferimento alle considerate ipotesi
di supplenza dell’inerzia legislativa – sembra essersi avviata
verso una trasformazione genetica: dismessa la vocazione
all’enunciazione di principi generali, frutto di un’astrazione
dalle soluzioni alle varie questioni giuridiche affrontate, in
coerenza con il ruolo nomofilattico spettante alla Corte, si
è invece sempre più avvicinata al modello di una giurisprudenza “casistica”, vicina alle tecniche di ragionamento e
argomentazione giuridica tipiche della Corte di Strasburgo,
P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 29.
Così, con riferimento alle soluzioni individuate nei casi Somogyi e
Dorigo, D. Negri, Rimedi al giudicato penale e legalità processuale,
cit., p. 169.
13
G. Pierro, Equità del processo e principio di legalità processuale,
cit., p. 1524.
11
12
Capitolo V – Riflessi sistematici
185
più attenta alle istanze equitative della fattispecie concreta,
che non alla ricerca di norme generali e astratte.14
Un’evoluzione sicuramente frutto di una sensibilità che
ha indotto la Corte di cassazione ad attingere direttamente
alla sostanza dei diritti fondamentali in gioco nel processo,
ma che tuttavia l’ha condotta a garantirli al di là delle regole
poste a presidio della legalità processuale.
Ciò che, sul piano sistematico, si traduce, poi, in un altro
fattore degenerativo: l’ulteriore compromissione di quella
funzione interpretativa generale riservata alla Corte, invero già alquanto messa in crisi dai non infrequenti contrasti
esistenti non solo tra le sezioni semplici (e all’interno di
queste, sulle medesime questioni, finanche tra pronunce
aventi lo stesso relatore),15 ma anche tra le decisioni delle
stesse Sezioni unite. Con il rischio di accrescere l’incertezza e il disorientamento interpretativo in diversi ambiti
già esistente.
Inoltre, il descritto sistema integrato – costituito dall’ordinamento interno e dall’ordinamento convenzionale – con
un giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo eminentemente
casistico, equitativo, attento all’osservanza sostanziale dei
diritti umani, più che al dato formale, pone un interrogativo
di fondo: ha ancora senso un giudizio innanzi alla Corte di
cassazione strutturato in termini di controllo di mera legittimità?
Pur con tutte le cautele necessarie, ci si può domandare
se il superamento del giudicato interno per effetto delle senE. Aprile, I meccanismi di adeguamento, cit., p. 545.
Si v., ad esempio, Cass., sez. V, 18 dicembre 2009, n. 8829, in Cass.
pen., 2011, p. 3990, con nota di P. Di Geronimo, Inapplicabilità dell’aggravante del danno di rilevante gravità alla bancarotta documentale
impropria, e Cass., sez. V, 4 giugno 2010, n. 35836, non massimata.
14
15
186
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
tenze della Corte europea non implichi che oramai il “vero”
giudicato si formi a Strasburgo,16 avendo di fatto la pronuncia irrevocabile del giudice nazionale perso quel connotato
di immutabilità da cui derivava la vis sanante ogni vizio,
dedotto o deducibile, che dava certezza alle situazioni giuridiche.
Interrogativo, questo, alquanto delicato, che paventa
l’esistenza di un «sistema integrato nazionale-convenzionale delle impugnazioni»,17 al cui vertice si colloca quale
«quarto grado di giurisdizione» proprio la Corte europea,
con tutte le incongruenze conseguenti, prima fra tutte l’
“asimmetria” di censure deducibili innanzi a questa (giudice di ultimo grado che è anche giudice del fatto) e alla Corte
di cassazione (giudice di penultimo grado, che è giudice
di solo diritto),18 ciò che può costituire un non trascurabile
ostacolo all’opera di prevenzione interna delle infrazioni rilevabili a Strasburgo.19
È di questo avviso O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 50.
L’espressione è di F. M. Iacoviello, Il quarto grado di giurisdizione, cit., p. 800, secondo cui la Corte di Strasburgo è «un quarto grado
di giurisdizione atipico», «non assimilabile ad alcun tipo di giudice
nazionale», che «convoglia in sé funzioni sia del giudice di merito,
sia della Cassazione, sia della Corte costituzionale». Essa, a differenza
della Cassazione, che garantisce la nomofilachia delle regole, «garantisce la nomofilachia dei diritti».
18
Così ancora F. M. Iacoviello, op. ult. cit., p. 795; sul punto, si
v. A. Scalfati, I giudici offrono un “rimedio tampone”, cit., p. 82,
secondo cui «l’organo europeo entra a far parte del sistema giudiziario interno quasi con poteri “rescindenti”».
19
Come osserva E. Lupo, La vincolatività delle sentenze, cit., p.
2253, il pericolo che si introduca un quarto grado di giudizio «può
essere evitato soltanto se il nostro processo si allinea ai parametri
europei, come delineati dalla Corte europea».
16
17
Capitolo V – Riflessi sistematici
187
Interrogativo che, invero, pare assumere consistenza sol
che si consideri che le decisioni definitive del Giudice dei
diritti umani vengono iscritte nel certificato del casellario
giudiziale,20 avallandosi così l’idea – come efficacemente
evidenziato – che «le sentenze di Strasburgo “entrano” in
qualche modo nel nostro ordinamento», posto che «se così
non fosse dovrebbe ritenersi non infondata la tesi che esse
richiedano il previo riconoscimento nelle forme dovute
(exequatur)».21
In questa prospettiva, si è quindi evidenziata l’esigenza
di un mutamento degli attuali assetti del sindacato di legittimità, abbandonando – proprio nell’ottica di una conformità
ex ante ai precetti convenzionali – la tradizionale “dicotomia legittimità-merito”, considerata già da tempo “usurata”
e ormai definitivamente “mandata in soffitta” dalla Corte di
Strasburgo: la Cassazione, infatti, non potrebbe più continuare ad «essere un terzo grado di pura legittimità quando
il quarto ed ultimo grado – la Corte europea – è un giudice
ferocemente aggrappato al merito».22
In quest’ottica di idee, si è quindi proposta de iure condendo l’introduzione un autonomo motivo di ricorso per cas-
D.P.R. 28 novembre 2005, n. 289, cit. Il provvedimento, che ha
modificato l’art. 19 del testo unico in materia di casellario giudiziale
(d.P.R. 313 del 2002), più precisamente, ha previsto l’iscrizione nel
casellario giudiziale «delle decisioni definitive adottate dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano, concernenti i provvedimenti giudiziari e amministrativi definitivi delle
autorità nazionali già iscritti, di seguito alla preesistente iscrizione
cui esse si riferiscono».
21
E. Selvaggi, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo,
cit., p. 3187.
22
F. M. Iacoviello, op. ult. cit., p. 809.
20
188
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
sazione volto specificamente a far valere la violazione dei
principi posti a salvaguardia dei diritti dell’uomo, evitando
così che, «ogni qual volta si prospetti una inconciliabilità
tra norma interna e disposizione convenzionale, debba essere sollecitato un incidente dinanzi alla Corte costituzionale ovvero attendere, per ottenere l’attuazione del giusto processo, l’esaurimento del quarto grado di giurisdizione».23
3. Manipolazioni teoriche
La delineata evoluzione pone, infine, all’attenzione dell’interprete un ultimo dato: l’incidenza dei mutamenti intervenuti sulle architetture del processo penale, spintasi fino al
depotenziamento di talune concezioni dogmatiche consolidate.
Il grado di maggiore effettività delle garanzie interne
al processo si è, infatti, non di rado accompagnato ad una
“flessione” concettuale di talune categorie fondamentali,
avviate verso una maggiore “precarietà teorica”.24
E al riguardo il discorso non può che prendere le mosse
dal giudicato, oggetto di un fenomeno di “dissoluzione”,
riducendosi ormai a un «mito decadente».25 Perché è questo
l’effetto della sentenza n. 113 del 2011.
Il ragionamento non involge tanto l’eventuale futura portata statistica del fenomeno – secondo talune letture alquanA. Diddi, La «revisone del giudizio», cit., p. 156.
Cfr. P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p.
16, che parla al riguardo di istituti piegati «da una “stabile certezza”
teorica ad una loro “precaria effettività”».
25
E. Selvaggi, Il nuovo ruolo del giudice, cit., p. 1, secondo cui «non
è più vero che il giudicato aequat quadrata rotundis e facit de albo
nigrum».
23
24
Capitolo V – Riflessi sistematici
189
to esigua, e dunque, sostanzialmente irrilevante26 – quanto
piuttosto il valore euristico della categoria processuale, da
sempre percepita come fondamentale “certezza culturale”,
oltre che essenziale “fondamento etico del processo”. Tradizionalmente, infatti, la legalità dell’accertamento consacrata nella firmitas del giudicato presupponeva iuris et de
iure la giustizia dello stesso, su cui poteva basarsi la certezza delle situazioni giuridiche.27
Concezioni che oggi appaiono “destabilizzate” dall’interazione col sistema sovranazionale di protezione dei diritti
umani.
Non solo infatti il dictum interno è ormai recessivo rispetto al giudicato europeo che rilevi un’infrazione al testo convenzionale, ma la sua cedevolezza non viene meno neanche
quando gli esiti censurati a Strasburgo sono stati originati
dalla necessità di conformarsi ai dettami della Corte costituzionale (come accaduto nel caso Dorigo),28 verificandosi
dunque un “cortocircuito” tutto interno all’ “ordinamento
integrato” tra rispetto della legalità interna e rispetto della
M. Gialuz, voce Revisione europea, cit., p. 18.
Così P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p.
22, che efficacemente osserva come «siamo stati tutti nutriti dall’idea
che non soltanto la preclusione del giudicato fosse la pietra angolare
della costruzione del rito per una pratica esigenza di certezza, ma,
di più, che nel giudicato, quale risultato dell’attività giurisdizionale si realizzasse “la coincidenza della situazione giuridica accertata
con l’effettivo stato giuridico che precedeva l’accertamento (verità
e giustizia)».
28
In tale vicenda la violazione dell’art. 6 C.e.d.u., per il recupero probatorio di dichiarazioni rilasciate in fase di indagini dai coimputati poi
avvalsisi in dibattimento della facoltà di non rispondere, era stata determinata dall’applicazione dell’art. 513 c.p.p., nella portata risultante
a seguito della sentenza n. 254 del 1992 della Corte costituzionale.
26
27
190
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
legalità convenzionale: l’una, soddisfatta dall’osservanza
delle regulae iuris, l’altra eventualmente inappagata dalla
stessa, esigendo invece la tutela effettiva dei diritti umani.
La nozione di giudicato nazionale, e con essa la certezza
delle situazioni giuridiche, assumono, dunque, un’inedita
dimensione di “precarietà”, rimanendo le modalità di svolgimento di una vicenda processuale questione potenzialmente aperta fintantoché il Giudice di Strasburgo non si sia
pronunciato, ovvero, fino a quando un ricorso ad esso non
sia più possibile.29
Conseguentemente, muta anche la stessa nozione tradizionale di “certezza del diritto” che, superando i limiti di una
proiezione intraordinamentale, assume il nuovo, più pregnante significato di “certezza dei diritti fondamentali”.30
Da quanto delineato consegue, peraltro, un ulteriore, inedito fenomeno: se prima il conflitto tra giudicati era di tipo
“omogeneo”, coinvolgendo decisioni non solo intraordinamentali ma prodotte sulla base delle medesime regole, oggi
la prospettiva invece cambia, assistendosi, con riferimento alla stessa vicenda processuale, alla possibile, legittima
esistenza di più dicta irrevocabili – uno dei quali destinato
a “prevalere” sull’altro – fondati su regole di produzione
diverse ed aventi scopi di tutela non coincidenti.31
Ma il fenomeno di “depotenziamento” in questione va
oltre, coinvolgendo ulteriori categorie processuali.
Come già evidenziato antecedentemente,32 costituisce
acquisizione consolidata in sede europea, recentemente
O. Mazza, La procedura penale, cit., p. 50
È questo, secondo A. Ruggeri, op. ult. cit., p. 485, l’unico significato
possibile – e costituzionale – della certezza del diritto.
31
P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla C.e.d.u., cit., p. 17.
32
Cfr. Cap. I, par. 2 e 4.
29
30
Capitolo V – Riflessi sistematici
191
avallata dallo stesso Giudice delle leggi, la concezione volta a riconoscere il monopolio interpretativo vincolante della
Corte di Strasburgo nei confronti delle disposizioni del testo convenzionale.
I giudici nazionali, cioè, gravati dell’obbligo di interpretazione conforme alla C.e.d.u., si troverebbero di fronte ad
una singolare “ipertestualità” della stessa,33 dovendo non
solo attenersi ai precetti ivi testualmente consacrati, ma
anche alle poliedriche e multiformi interpretazioni che di
essi la Corte europea – ex art. 32 C.e.d.u. esegeta ultimo ed
autentico della C.e.d.u. e dei suoi Protocolli – ha nel corso
degli anni elaborato.
Senza indugiare su considerazioni già dianzi svolte, preme qui solo mettere in evidenza le ricadute negative in termini di indebolimento dogmatico di talune categorie processuali che tale concezione implica.
Il riferimento – intuitivo – va ai principi del libero convincimento del giudice e del contradditorio nella formazione della prova, considerevolmente indeboliti, se non degradati, da un’euristica giudiziale di tal fatta.
Lungi dall’essere “libero” di valutare secondo il suo
prudente apprezzamento il materiale probatorio acquisito
nel corso del processo, avendo come unico limite, oltre alla
coscienza della responsabilità della funzione svolta,34 la razionalità dell’iter logico seguito, da esplicitare nell’apparato motivazionale del provvedimento decisorio, secondo gli
stringenti parametri di cui agli artt. 192, comma 1 e 546,
comma 1, lett. e) c.p.p., l’organo giudicante viene invece
V. Manes, Introduzione, cit., p. 7.
A. De Marsico, Lezioni di diritto processuale penale, Napoli, 1942,
p. 174.
33
34
192
sentenze della corte e.d.u. e revisione del processo penale
mortificato al ruolo di mero applicatore di interpretazioni
aliunde formatesi, divenendo nulla più che «un interprete
[…] completamente spoglio di ripensare il già pensato».35
“Già pensato” che, peraltro, attiene ad un giudizio eminentemente casistico, come tale di per sé inidoneo ad essere dotato di una vis espansiva oltre i limiti segnati dalla singola
controversia cui si riferisce.
Una metodologia di sacrificio di ogni margine di libertà
giudiziale – assiologica, ma anche per molti versi logica –
che, pur “nobilitata” dall’intento di realizzare la tutela dei
diritti umani più conforme alla C.e.d.u., contraddice l’essenza stessa dell’attività giurisdizione, ridotta ad un “automatismo a-valutativo” che, oltre a ledere il principio consacrato all’art. 101, comma 2 Cost., vanifica lo stesso metodo
epistemico su cui essa si fonda: il contraddittorio.
È chiaro, infatti, che si attenua la possibilità di dicere
contra, di prospettare ipotesi ricostruttive dei fatti alternative, se l’organo decidente è già “ingessato” nella loro valutazione, risultando vincolato ad un obbligo di conformità
agli indirizzi ermeneutici di un altro giudice. L’efficacia
stessa dell’interlocuzione e dell’argomentazione è minata
in radice ed il contraddittorio si riduce a un qualcosa di inutilmente sterile.36
Ricadute negative, queste, che possono essere scongiurate accedendo ad una nozione di interpretazione conforme
declinata nel senso del rispetto delle categorie fondamentali dell’ortodossia giuridica interna. Un’esegesi adeguatrice,
cioè, che pur considerando gli arresti del Giudice di StraCosì, efficacemente, P. Gaeta, Dell’interpretazione conforme alla
C.e.d.u., cit., p. 15.
36
In argomento, si v. P. Ferrua, Il contraddittorio nella formazione
della prova a dieci anni dalla sua costituzionalizzazione, cit., p. 9 ss.
35
Capitolo V – Riflessi sistematici
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sburgo referenti obbligati e imprescindibili per l’applicazione dei principi convenzionali, rimette tuttavia l’ “esegesi
definitiva” al giudice interno, che gode al riguardo di un
certo margine di apprezzamento, funzionale – tra l’altro –
alla considerazione delle peculiarità nazionali in cui la normativa europea è destinata ad inserirsi.
In questa prospettiva – come autorevolmente sostenuto –
le interpretazioni della Corte europea, salva la loro efficacia
vincolante nelle specifiche controversie cui si riferiscono,
sono per il resto autorevolissimi precedenti, cui il giudice
nazionale deve ispirarsi, ma nel rispetto del suo libero convincimento, che ben lo legittima a discostarsene in caso di
ritenuta non persuasività degli stessi, fermo restando, ovviamente, il puntuale onere motivazionale al riguardo.37
37
P. Ferrua, Il ‘giusto processo’, cit., p. 215.
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