PATOLOGIA DELLA SELVAGGINA Specie: insieme di individui geneticamente simili e tra loro interfecondi. Un virus a RNA può mutare in 20 minuti -> macroevoluzione (100.000 copie virali in 10 ore). La macrofauna al contrario muta nel corso di secoli -> microevoluzione. Un virus può produrre 1012 particelle virali in un organismo in una sola infezione (e nel virus a RNA a ogni replicazione si ha una mutazione). La dimensione della popolazione è estremamente importante per le malattie. Le popolazioni domestiche sono molto più grandi di quelle selvatiche -> c’è molto più substrato per i patogeni. L’aspetto clinico della malattia si vede nel domestico, raramente nel selvatico -> questo perché il virus o l’ae convive e si è adattato al selvatico (se lo curiamo paradossalmente lo uccidiamo: infatti se lo sverminiamo riduce gli Ab di superficie, se dopo si rinfetti non ha il sistema immunitario stimolato e pronto a difendere e quindi l’animale si reinfetta e può morire). Spesso i selvatici sono serbatoi di malattie. Fra l’ae e l’ospite c’è l’ambiente. Dalla stagionalità dipende la movimentazione degli animali, la resistenza del mo; ma anche dalle temperature, dall’altitudine, dal tipo di terreno e tante altre caratteristiche. La prima cosa da fare è sapere quanto è grande una popolazione nel territorio. territorio Sapere questo ci permette di fare sia il campionamento sia creare popolazioni artificiali marcate. Le popolazioni sono sempre soggette a dinamiche. I giovani sono la percentuale più rappresentata: sono alla base della piramide; molti di questi poi muoiono perché non sanno vivere da soli. Se tagliamo a metà la piramide ottengo i maschi e le femmine. Alcune patologie colpiscono di più i maschi o le femmine. Altra cosa importante è creare una popolazione conosciuta e artificiale (marchiati marchiati) marchiati in una popolazione naturale. Come si riproducono gli animali - mondo delle R = produce molti figli e servono per dar da mangiare a quelli della catena alimentare che stanno sopra. Sono già in grado di badare a se stessi e si riproducono entro l’anno (es. insetti, topi, anatre, galliformi…); ci sono molti nati ma vivono poco. - mondo delle K = ai vertici della catena alimentare, mangiano le R. Si riproducono a 4-5 anni; hanno pochi figli -> investono sul singolo. Sono molto complessi, hanno delle nicchie trofiche molto precise -> per questo motivo non possono essere in tanti. I parametri di popolazione sono: 1. natalità ecologica: numero di nati per unità di tempo in presenta di fattori limitanti (è la più reale); 2. natalità max (teorica): in assenza di fattori limitanti (es. cinghiali del parco dei gessi perché non ha predatori); 3. natalità media: riferita a individui riproduttivi in una popolazione. Le popolazioni si modificano nel tempo in seguito ad aumenti o diminuzioni della propria consistenza. La consistenza di una popolazione non è un qualcosa di rigido. Es: cinghiali con PSC quelli che muoiono sono sostituiti da animali che micrano per occupare il loro territorio ma moriranno anche loro. La consistenza di una popolazione è influenzata da: 1. numero di nati 2. cibo disponibile 3. immigrazione 4. migrazione 5. morti Per le specie che non hanno un ae come effetto limitante, se togliamo degli elementi (es adulti) della piramide, avrò migrazioni (popolazione destrutturata) -> senza equilibrio. Es. se tolgo le femmine, i maschi tendno a migrare. Se tolgo gli adulti i giovani tendono ad invadere i campi e ad avere comportamenti meno auto protettivi. L’intervento dell’uomo deve essere sempre molto attento perché può creare dei disequilibri e possono facilitare l’aumento o la diminuzione della popolazione (ex. Alimentare i cervi d’inverno diminuisce la mortalità invernale). Sono gli interventi che si fanno per estinguere una popolazione.. Ogni popolazione tende naturalmente a mantenere in maniera dinamica una struttura ottimale, in equilibrio con le condizioni dell’ecosistema. Popolazioni lontane dall’equilibrio si dicono destrutturate. Esempi legati a scorretti prelievi venatori • Popolazioni di cinghiali con giovani troppo numerosi che, senza il controllo di adulti capobranco, si trovano allo sbaraglio Conseguenze: utilizzo non ottimale delle risorse ambientali e quindi: - elevato nomadismo - danni all’agricoltura La catena trofica: Piramide alimetare: nel passaggio da un evento trofico all’altro una grande quantità di energia viene dispersa, quindi la biomassa si riduce salendo di livello nella piramide alimentare. Per approcciare una malattia possono considerare: - cantene trofiche (percorso lineare) -> è così che molti ae si diffondono; - reti alimentari: le catene alimentare si combinano a formare delle reti più o meno complesse; Questo approccio ci permette di sapere quanti animali ci sono per ogni specie: più è specializzato l’animale, minore è il numero di individui -> concetto della piramide alimentare (produttori, consumatori 1°, 2°, 3°…). K capacità di sostentamento ? portante: ti dice quanti animali vivono li. Definisce quanti animali possono vivere li, cioè oltre quella linea non c’è più cibo disponibile. Schema di introduzione di una nuova specie: es nutrie. All’inizio ho pochi animali e non li vedo, poi aumentano sempre di più fino a raggiungere la capacità portante (comprende non solo il cibo ma anche le strade, le costruzioni, presenza di acqua temperature…) -> tutte le specie tendono a raggiungerla, quando la superano ho le prime mortalità. Poi tutto fluttua. K/2 = max crescita. Se scendo sotto K/2 ho un vero e proprio decremento di popolazione -> questo ci serve se vogliamo sfoltire una popolazione in corso di profilassi di una malattia (ex PSC). C’è un rapporto molto stretto tra predatore e preda (non ci può essere predatore senza preda). Si vede che all’aumentare della specie preda, l’anno dopo aumenta la specie predatrice. Quindi non posso pretendere di aumentare le linci se non gli do da mangiare (cioè non aumento la specie preda). Altra cosa da valutare: quando li studio e li inseguo, li stresso -> consumano molta energia -> se lo faccio tutti i giorni dimagrisce e non arriva con 10 cm di grasso all’inverno. Quindi quando devo spostare gli animali devo conoscere la capacità portante di quel territorio (se non c’è cibo muoiono). La capacità riproduttiva è influenzata dalla popolazione e dalla capacità portante. Un capriolo può fare un figlio dove c’è molta popolazione, 2 figli dove ce ne sono pochi -> sono regole normali legate alla densità di popolazione. Ci sono popolazioni densità-dipendenti: tendono a crescere in modo proporzionale alla densità e quindi al cibo. Poi ci sono popolazioni densità-indipendenti che tendono a crescere in maniera slegata dalla densità, e quindi crescono finchè non vengono fermate da forze esterne. Altra cosa importante sono i domestici al pascolo: si possono mangiare tutto e non resta più niente per i selvatici -> competizione trofica. Curva di sopravvivenza: aspettativa di vita media di un individuo (immunità/capacità di riprodursi). - R : muori subito - K : nel primo anno di vita c’è una mortalità elevatissima, se superano il gap vivono moltissimo -> c’è una selezione potente. Questa è la curva di una R: la maggior parte della popolazione è giovane, si muore presto; molti (il 90%) dei giovani muoiono. Inquadrare i soggetti in classi di età o di sesso condiziona il campionamento. Il periodo in cui un soggetto muore dà oscillazioni di popolazione (alcuni nascono, altri vivono). C’è una mortalità naturale e una aggiuntiva -> destrutturano la popolazione -> impediscono la riproduzione quindi non si rinfoltisce la popolazione -> questo comporterà una riduzione di popolazione dei predatori. Es. di mortalità aggiuntiva: - bracconaggio - tox ambientale - attività agricole - prelievo sconsiderato - elletrocuzione (folgorazione) dimensione popolazione con mortalità naturale dimensione popolazione con mortalità aggiuntiva. Le popolazioni possono variare naturalmente per migrazioni estive ed invernali. CENSIMENTI da articolo internet Perché fare i censimenti -> Conoscere la consistenza e la qualità del patrimonio faunistico -> Conoscenza di base: distribuzione, status, … -> Supporto per l’istituzione di aree protette, istituti faunistici/venatori, piani territoriali ... ->Gestione faunistica -> Verifica della gestione ambientale Che censimenti 1. Censimenti qualitativi -> Checklist -> Ricchezza di specie -> Presenza di specie rare -> Cambiamenti nel tempo della struttura faunistica, dello status, ... 2. Censimenti quantitativi -> Aggiungono informazione sull’abbondanza delle singole specie (densità) Ci sono due modi per sapere quanti elementi costituiscono la popolazione, detti censimenti (diretti o indiretti) o meglio stime (non li si conta bene per davvero). La stima -> Con qualsiasi metodo di censimento è inevitabile un certo margine di errore, che dipende dall’accuratezza con cui il metodo è stato scelto e utilizzato -> Le stime che derivano dai censimenti devono essere il più possibile precise e vicine alla realtà -> L’importanza dell’intervallo di confidenza della stima Tipi di censimento -> Censimenti completi: conteggi completi di animali in una superficie determinata in un dato momento ->Censimenti campione: conteggi completi di animali in una porzione di una data superficie in un dato momento ->Censimenti per indici: conteggi o rapporti relativi al numero totale di animali presenti in una determinata popolazione Indici di abbondanza -> Indice chilometrico (I.C.A.) -> Indice puntiforme (I.P.A.) -> Indice temporale (I.T.A.) Censimento dei segni di presenza -> Censimento delle impronte -> Censimento al canto -> Censimento dell’abbondanza degli escrementi -> Censimento delle tane Censimento con richiami registrati -> Vocalizzazioni che possono essere usate: - Richiami di sfida tra maschi territoriali - Richiami di raduno dei gruppi familiari - Richiami delle femmine verso i maschi - Richiami di smarrimento dei pulcini - Richiami di pericolo dei pulcini Fattori di scelta di un metodo di censimento -> Dimensione dell’area interessata -> Morfologia del territorio di studio -> Caratteristiche comportamentali della/e specie oggetto del censimento -> Densità della popolazione -> Distribuzione degli individui nell’ambiente Scelta delle aree campione -> Le aree campione, nel loro complesso, de-vono essere rappresentative dell’ambiente del territorio di studio -> La superficie complessiva deve raggiungere una percentuale ragionevole della superficie del territorio di studio (almeno 10%) -> La percentuale campionata deve essere inversamente proporzionale alla dimensione dell’area di studio (con aree piccole il campione deve essere grande e viceversa) Mappaggio -> Adatta per specie territoriali -> Reticolo di percorsi che coprono tutta l’area di studio -> Visite ripetute dove vengono annotate su una mappa tutte le osservazioni effettuate, con particolare riguardo per quelle simultanee -> Sovrapponendo le mappe parziali, le nuvole di punti rappresentano i territori degli individui Censimento in battuta -> Forma e topografia -> Lunghezza -> Confini -> Il fronte di battuta -> Gli osservatori -> Successione delle battute -> Censimento su striscia Area campionata : Area totale = Animali contati : Animali totali Censimento su percorso lineare (line transect) -> Scelta dei percorsi nell’area interessata -> Effettuare i percorsi a velocitàcostante e tale da poter osservare tutti gli animali presenti ai due lati del percorso -> Censimento notturno con faro -> Determinare la superficie censita Transetto con misurazione della distanza -> Gli animali posti lungo la linea del transetto sono sempre osservati -> Gli animali sono osservati nella loro posizione iniziale, prima di ogni movimento dovuto al disturbo dell’osservatore -> Le distanze (e gli angoli, quando necessario) sono misurate con accuratezza (per dati non raggruppati) o contati nella appropriata categoria di distanza (per dati raggruppati) Censimenti da delogu: Sapere quanti animali ho so qual è la prevalenza attesa in base a sesso e età…se sbaglio sbaglio anche i risultati e azioni come il campionamento e così via. Ci sono due modi per sapere quanti elementi costituiscono la popolazione, detti censimenti (diretti e indiretti) o meglio stime (non si sa con esattezza in numero degli individui della popolazione). I censimenti indiretti si basano sui “segni di presenza” lasciati dagli animali. Gli animali cmq si muovono, non stanno fermi in una popolazione fissa, perché seguono le risorse per portare la loro specie il più vicino possibile alla capacità portante. Da vikipedia: La zoogeografia è la branca della biogeografia che studia la distribuzione delle specie animali e degli altri taxa rispetto al territorio. Areale della gallinella d'acqua Definizioni L'areale è il concetto base della zoogeografia e costituisce l'area occupata da una data specie. Nell'areale sono comprese l'area riproduttiva e le varie zone territoriali occupate con regolarità, stagionalmente o saltuariamente. Queste aree possono non coincidere come nel caso degli organismi migratori che occupano areali del tutto diversi a seconda delle stagioni. Gli areali possono essere continui, occupati in maniera continua dalla specie in questione, e discontinui, costituiti da due o più zone distaccate da barriere alla dispersione. Si parla di relitto biogeografico quando avviene una forte riduzione o frammentazione dell'areale originario di una specie, e di relitto filogenetico quando un certo gruppo di animali è sopravvissuto all'estinzione generale taxon di originale appartenenza. Una specie (o un taxon maggiore) si dice endemica quando è presente solo in una certa area, di solito ristretta mentre si dice cosmopolita se è presente in gran parte degli habitat idonei del pianeta. Es mammiferi: movimenti verticali: estate: sale di quota; inverno: scende di quota (vedi gli stambecchi). Es. uccelli: migrazione trasversale: i germani reali vanno a riprodursi 2 volte l’anno nella tundra quando c’è il disgelo. Es. i pipistrelli fanno migrazioni trasversali. Es. i rettili: animali terresti che migrano pochissimo Es. animali marini: migrano trasversalmente. Quindi sapere le migrazioni è importante per sapere dov’è una popolazione in un certo momento -> migrando si spostano un sacco di patogeni. Che specie ci sono in italia? 1_cinghiali Sus scrofa ssp ne sono note 32 tra cui in italia: a. sus scrofa majori (toscana e lazio); maschio 120 Kg; femmina: 70-80Kg b. sus scrofa meridionalis (sardegna): nasce in epoca storica come maiale importato e poi rinselvatichito; il maschio pesa 70 Kg e la femmina 45Kg. c. sus scrofa scrofa (altre parti d’italia, oggi è stato sostituito da incroci): è molto arcaico. La suddivisione a livello sottospecifico presenta alcune incertezze, aggravate dal fenomeno di ibridazione con le razze domestiche o con forme originarie di altre aree. In italia il cinghiale è distribuito con contiguità lungo tutta la catena appeninica e l’arco alpino orientale. Nuclei più o meno isolati sono presenti in altre zone della penisola e in sicilia. Oggi ci sono delle sottospecie dell’est (sus scrofa attila, sus scrofa sibiricus) molto più grandi: i siberiani arrivano a 300 Kg poi hanno il muso concavo e il posteriore molto alto (i nostri no!). Inoltre non hanno paura dell’uomo, ne del lupo! Classi di età: - appena nati: striati (da 0 a 6 mesi) - rossi (castagna): fino all’ultimo anno di vita; - neri: fino a 38 mesi - adulto: aspetto brinato Valutazione dell’età in base alla dentizione da 0 a 38 mesi perché poi è fatta. Il cinghiale nasce con 8 denti da latte. Nell’adulto ci sono 44 denti (22 superiori e 22 inferiori): I 3/3; C 1/1; P 4/4; M 3/3. I canini vengono chiamati i superiori coti, e gli inferiori o zanne o difese, sono a crescita continua, più sviluppati nei maschi che nelle femmine, vengono sfregati gli uni con gli altri per mantenerli affilati e vengono usati nelle lotte tra maschi e per la difesa nei confronti dei predatori. Per dare l’età nel morto si guarda la cronologia di eruzione dei denti. IL CAMBIO DEI DENTI DA LATTE CON QUELLI DEFINITIVI E LA FORMAZIONE DELLA DENTATURA COMPLETA SI REALIZZANO ENTRO I PRIMI 3 ANNI DI VITA • IN QUESTO PERIODO L’INTERVALLO TEMPORALE DI ERUZIONE PER OGNI TIPO DI DENTE (incisivi, canini, premolari e molari) DIFFERISCE DA INDIVIDUO AD INDIVIDUO: DA UN MINIMO DI TRE MESI (per il 1° molare) AD UN MASSIMO DI 9 MESI (per il 3° molare) • È PREFERIBILE UTILIZZARE UNA VALUTAZIONE PER CLASSI DI ETA’ • IL PASSAGGIO AL TERZO ANNO E’ SCANDITO DALL’ERUZIONE SUCCESSIVA DELLE DIVERSE CUSPIDI DEL TERZO MOLARE P1, M1, M2, M3 -> compaiono come denti definitivi P4 da latte è trilobato P4 definitivo: bilobato. - Alla nascita c’è l’incisivo 3 e 1 canino. - A 1mese abbiamo gli incisivi 1-3, 1 canino e il premolare 4. - A 2-3 mesi abbiamo: incisivi 1-2-3, incisivo 1, premolare 2-3-4. - A 4-5 mesi spunta il primo molare. Classe 2: fino a 12-13 mesi eruzione M2: - a 5-6 mesi M1 ( (P2-3-4, C1; I 1-2-3) - 7-8 mesi M1, P1 (P2-3-4; C1; I 1-2-3) - 9-10 mesi: v.s. I 3 - Sub-adulti 19 mesi/22 mesi euruzione M2 25-28 mesi -> spunta la prima coppia di cuspidi 28-31,5 mesi: spuntata la terza coppia di cuspidi 31-37 mesi: completamente spuntata la terza coppia di cuspidi, ma non ancora ampiamente separato dal processo mandibolare. M3 >38 mesi -> definitivo. Per quanto riguarda la riproduzione dei cinghiali le femmine vanno in calore la prima voolta a 89 mesi. Il periodo riproduttivo è ottobre-gennaio. La gravidanza è di 114 giorni. Le femmine al primo parto (24 mesi) fanno 4 cuccioli (sono R); poi 6 massimo. Su 10 mammelle totali in genere solo 8 sono attive. Segni di presenza cinghiali: - impronta con 4 unghielli perché hanno la zampa corta - le zampe del maschio sono affilate sui tronchi (sptt piante resinose, sulla resinose, e sulla resina rimangono le setole); - d’estate stanno vicino all’insoglio -> pozzo di fango (perché hanno caldo); si tolgono il fango in eccesso sulle rocce e sugli alberi -> lo vedo! - Feci analoghe a quelle del suino domestico; Le femmine non ha le zanne molto pronunciate, il grufo è più rettilineo, è più piccola. L’impronta si può distinguere femmine e maschio: Tutti si coprono: l’impronta più grande è quella dell’anteriore, poi c’è sopra il posteriore più piccolo. A volte cinghiali e maiali si accoppiano. Sus scrofa Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Stato di conservazione Rischio minimo[2] Nomenclatura binomiale Sus scrofa Linneo, 1758 Areale Il cinghiale (Sus scrofa Linnaeus, 1758) è un mammifero artiodattilo della famiglia dei Suidi. Da sempre considerato al contempo una preda ambita per la sua carne ed un fiero avversario per la sua tenacia in combattimento, in virtù di questo strettissimo legame con l'uomo il cinghiale appare assai frequentemente, e spesso con ruoli da protagonista, nella mitologia di moltissimi popoli, e solo nel corso del secolo passato ha cessato di essere una fonte di cibo di primaria importanza per l'uomo, soppiantato in questo dal suo discendente domestico, il maiale. Originario dell'Eurasia e del Nordafrica, nel corso dei millenni il cinghiale è stato a più riprese decimato e reintrodotto in ampie porzioni del proprio areale ed anche in nuovi ambienti, dove si è peraltro radicato talmente bene, grazie alle sue straordinarie doti di resistenza ed adattabilità, che al giorno d'oggi viene considerato una delle specie di mammiferi a più ampia diffusione e risulta assai arduo tracciarne un profilo tassonomico preciso, in quanto le varie popolazioni, originariamente pure, hanno subito nel tempo l'apporto di esemplari alloctoni o di maiali rinselvatichiti. Distribuzione L'areale del cinghiale: in verde l'areale originario, in blu le zone in cui l'animale è stato introdotto. Il cinghiale è originario dell'Eurasia e del Nordafrica: esso era inoltre diffuso in tempi storici anche in Inghilterra ed Irlanda[13]. La forte pressione venatoria alla quale questo animale è stato praticamente da sempre sottoposto da parte dell'uomo ne provocò la scomparsa dalle isole britanniche probabilmente durante il corso del XIII secolo, salvo poi esservi reintrodotto a più riprese fra il 1610 (da parte di re Giacomo I) ed il 1700: questi tentativi di reintroduzione del cinghiale, peraltro, si risolsero sempre in un fallimento, in quanto la pressione venatoria sulle popolazioni introdotte era sempre maggiore rispetto al ritmo riproduttivo di queste ultime. Il cinghiale fu inoltre importato dagli spagnoli in Nordamerica attorno alla metà del Cinquecento: attualmente, esso si è naturalizzato in vaste aree degli Stati Uniti, dove è conosciuto col nome colloquiale di razorback[14]. Nel 1900, il cinghiale era sparito dalla Danimarca, dalla Tunisia e dal Sudan, mentre era sull'orlo dell'estinzione in Germania, Austria e Russia. La popolazione francese di cinghiali, invece, rimaneva stabile. A partire dal 1950 l'areale del cinghiale tornò ad espandersi e questi animali riconquistarono vaste porzioni del loro areale, diffondendosi a nord fino ad Arcangelo, oltre che in Danimarca e Svezia, complici le fughe di esemplari allevati in cattività ed in seguito rinselvatichitisi[15]. L'esplosione demografica del cinghiale negli anni del Dopoguerra è dovuta a una serie di cause concatenate: fra queste, la più importante è sicuramente lo spopolamento delle zone rurali e di media montagna a causa dell'ingente flusso migratorio verso le aree urbane, col conseguente abbandono di vaste aree rurali che vennero prontamente ricolonizzate dagli abitanti del bosco, fra cui per l'appunto il cinghiale[16]. In Italia la specie è distribuita, seppure con areale discontinuo, dalla Valle d'Aosta fino alla Calabria, oltre che in Sardegna, in Sicilia, nell'isola d'Elba ed in altre piccole isole, dove però è stato introdotto dall'uomo in tempi recenti. Popolazioni meno numerose si incontrano in alcune regioni prealpine e sui monti di Lombardia, Veneto, Trentino e Friuli[17]. È stato inserita nell'Elenco delle 100 specie aliene più dannose del mondo. Habitat I cinghiali europei sono tipici abitatori dei boschi ben maturi ed in particolare dei querceti, mentre le sottospecie africane ed asiatiche sembrano preferire le aree aperte e paludose: in generale il cinghiale si dimostra però assai adattabile in termini di habitat, e colonizza praticamente ogni tipo di ambiente a disposizione. Nei territori occupati dai cinghiali deve tuttavia essere sempre presente una fonte d'acqua, dalla quale l'animale non si allontana mai molto. Pertanto, il cinghiale evita le aree desertiche, rocciose e quelle a forte precipitazione nevosa, dove per l'animale risulta disagevole grufolare. I cinghiali, tuttavia, tollerano molto bene il freddo (resistono a temperature di decine di gradi al di sotto dello zero), mentre sono meno adattabili a climi eccessivamente caldi, dove danno segni di sofferenza: l'umidità dell'ambiente li interessa relativamente poco, grazie al pelo altamente isolante. Descrizione Dimensioni Gli esemplari adulti misurano fino a 180 cm di lunghezza, per un'altezza al garrese che può sfiorare il metro ed un peso massimo di un quintale circa[18]. Sussistono tuttavia grandi variazioni di dimensioni e peso a seconda delle sottospecie, con tendenza all'aumento dei sopracitati parametri in direttrice SudOvest/Nord-Est: gli esemplari spagnoli di cinghiale, infatti, raramente superano gli 80 kg di peso, mentre in Russia si avrebbe notizia di esemplari di peso superiore ai tre quintali. In ogni caso, i maschi hanno dimensioni e peso ben maggiori rispetto alle femmine. Nelle Alpi Italiane il peso dei cosiddetti "neri", soggetti con mantello scuro, grigio-nerastro, morfologicamente adulti, oscilla tra i 100 ed i 200 kg: nel centro e sud Italia, invece, il peso medio è sugli 80-90 kg, con esemplari che possono raggiungere il quintale e mezzo di peso. Aspetto Uno scheletro di cinghiale maschio: notare la costituzione massiccia della testa rispetto al corpo. Zoccolo di cinghiale. Il cinghiale ha costituzione massiccia, con corpo squadrato e zampe piuttosto corte e sottili: ciascun piede è dotato di quattro zoccoli, dei quali i due anteriori, più grossi e robusti, poggiano direttamente sul terreno, mentre i due laterali sono più corti e poggiano sul terreno solo quando l'animale cammina su terreni soffici o fangosi, favorendo una migliore distribuzione del peso ed impedendogli di sprofondare. Nonostante le piccole zampe, il cinghiale si muove piuttosto velocemente, solitamente al trotto, è in grado di galoppare molto velocemente anche nel fitto del bosco (ad esempio durante una carica od una fuga), seguendo quasi sempre traiettorie rettilinee. La coda è pendula e può misurare fino a 40 cm di lunghezza: essa è interamente ricoperta di setole, che vanno a formare un ciuffetto di peli al suo apice. L'animale la agita nervosamente quando è infastidito od irritato, ma essa trova un ottimo impiego anche come scacciamosche. Raffigurazione del cranio di un maschio di cinghiale: notare la zanne ricurve verso l'alto ed il lungo osso fognaiuolo al termine del muso. La testa è grande e massiccia, dotata di un lungo muso conico che termina in un grugno (o grifo) cartilagineo che poggia su un disco muscolare, che gli assicura una grande mobilità e precisione: grazie alla ricca innervazione, il grugno del cinghiale possiede inoltre una grande sensibilità tattile ed olfattiva. Il grugno è assicurato al muso grazie ad un apposito osso prenasale assai allungato, detto osso fognaiuolo. La fronte, soprattutto nei vecchi maschi, è praticamente perpendicolare al resto del muso. Il collo è corto e tozzo: soprattutto nei mesi invernali, quando l'animale è ricoperto da un pelo più folto, esso appare praticamente assente, con la testa che pare innestarsi direttamente sul torso. Gli occhi sono obliqui, piuttosto piccoli e posti lateralmente sul cranio, per assicurare al cinghiale una visione quanto più ampia possibile di ciò che gli accade attorno e non essere perciò preso alla sprovvista: la vista è tuttavia piuttosto debole, a vantaggio di altri sensi, come l'olfatto e l'udito. Le orecchie sono di media grandezza e vengono portate diritte. Zanne di cinghiale esposte come trofeo di caccia: quelle interne sono i denti superiori detti coti, quelle esterne sono i denti inferiori detti difese. Formula dentaria Arcata superiore 3 4 1 3 3 1 4 3 3 4 1 3 3 1 4 3 Arcata inferiore Totale: 44 Dentizione permanente del cinghiale ▼ mostra Legenda La dentatura del cinghiale si compone di 44 denti, che ne rivelano le abitudini alimentari opportunistiche: si possono contare in totale dodici incisivi, quattro canini, sedici premolari e dodici molari. Gli incisivi ed i premolari tendono a cadere con l'età, mentre i molari sono permanenti: essi hanno forma appiattita e servono a triturare il cibo[19]. Sono però i canini, spesso chiamati erroneamente zanne, la caratteristica principale del cinghiale, quella che per prima risalta nell'immaginario collettivo. Si tratta di denti a crescita continua, presenti in ambedue i sessi, ma che tuttavia solo nel maschio hanno dimensioni tali da protrudere al di fuori della bocca, inarcandosi verso l'alto. I canini inferiori (detti difese) sono più grandi di quelli superiori (detti coti): essi sono profondamente conficcati nella mandibola e possono raggiungere (sempre nel cinghiale maschio) in casi eccezionali i 30 cm di lunghezza, mentre sono considerabili normali delle lunghezze comprese fra i 15 ed i 20 cm, di cui comunque meno della metà protrudono dalla bocca; i canini inferiori crescono con un'incurvatura verso l'alto di 180°, andando a creare interferenza con i canini superiori e mantenendoli sempre affilati. In ogni caso, zanne eccessivamente lunghe risultano svantaggiose per l'animale, in quanto incurvandosi all'indietro divengono inutili come arma d'offesa. Le zanne cominciano a spuntare a partire dal secondo anno d'età, e nel giro di un anno le inferiori oltrepassano di misura le superiori in lunghezza. Nelle femmine i canini inferiori misurano sempre meno di 10 cm, mentre i canini superiori sono piccoli e rivolti verso il basso: solo nelle femmine più anziane essi possono mostrare una tendenza a piegarsi verso l'alto. Lo sfregamento fra canini superiori ed inferiori e fra canini superiori ed incisivi inferiori, coi quali essi combaciano, fa sì che le zanne mantengano sempre un orlo tagliente. Le zanne hanno per il cinghiale una duplice funzione: esse vengono infatti utilizzate sia come strumenti da lavoro, ad esempio per facilitare l'attività di scavo nel terreno, che come strumenti di difesa od offesa, per difendersi dai predatori o per competere con gli altri esemplari durante il periodo degli amori. La pelle è molto spessa e poco vascolarizzata, spesso con presenza di cuscinetti adiposi sottocutanei: essa costituisce una vera e propria corazza, che rende l'animale virtualmente immune alle punture d'insetto ed alle piante spinose del sottobosco, e lo preserva addirittura dai morsi di vipera (a meno che questi non vengano assestati in punti nevralgici, come il grugno). Essa è quasi totalmente ricoperta (ad eccezione di alcune parti della testa e della parte inferiore delle zampe) da setole rigide, frammiste ad un sottopelo lanoso più fine e morbido, che ha lo scopo di isolare termicamente il corpo. Le setole sono rivolte all'indietro (verso la coda) su tutto il corpo, tranne che su petto e ventre, dove esse sono rivolte in avanti. Sulla fronte e sulle spalle il manto va a formare una sorta di criniera, più evidente in alcune sottospecie rispetto ad altre: quando l'animale è irritato od impaurito, la criniera viene drizzata, rendendo l'animale ancora più grande e massiccio alla vista di quanto non sia in realtà. Il mantello invernale, folto e di colore scuro, nei mesi primaverili lascia il posto al mantello estivo, con perdita della maggior parte del sottopelo e setole dalla punta di colore chiaro. La colorazione del manto varia anche di molto a seconda della popolazione di cinghiali presa in considerazione, mantenendosi tuttavia in un range di colori che va dal bruno-rossiccio al nerastro: in Asia Centrale vi è un'inusuale abbondanza di esemplari di colore biancastro (ma non albini), in Russia occidentale sono frequenti animali di colore rossiccio, mentre in Manciuria abbondano gli esemplari nerastri. Sporadicamente (con una frequenza di tre individui ogni cento circa) vengono avvistati cinghiali con pezzature scure di varia grandezza sul manto: tale mutazione recessiva si è dimostrata frutto di incroci in tempi più o meno recenti con maiali domestici. Gli individui pezzati, come dimostrato da studi compiuti negli anni settanta, avrebbero indici di mortalità più elevati rispetto ai conspecifici "normali", poiché il loro pelo sarebbe meno termoisolante. Il verso del cinghiale è il grugnito, del tutto simile a quello del maiale: messo di fronte a un pericolo, tuttavia, l'animale sbuffa rumorosamente dalle narici ed emette un brontolio gutturale. Qualora spiazzato od impaurito, invece, il cinghiale emette un acuto gemito. Biologia Cinghiale in una pozza fangosa; l'acqua è un elemento sempre presente nel territorio di questi animali. Si tratta di animali dalle abitudini crepuscolari e notturne: durante il giorno, i cinghiali riposano distesi in buche nel terreno che essi stessi scavano col muso e gli zoccoli fra i cespugli, per poi ingrandirle con l'usura. Durante l'inverno, tali buche vengono spesso imbottite con frasche e foglie secche. Numerosi punti di riposo si trovano anche lungo i tragitti percorsi dagli animali durante la notte, che collegano le zone di foraggiamento con la tana principale e gli abbeveratoi. Alcuni individui sono stati osservati strappare l'erba alta e le canne per poi porli fra i rami bassi ed i cespugli, in modo tale da crearsi dei ripari: in questo senso, i cinghiali sarebbero fra i pochissimi ungulati (assieme ad altri suidi) a costruirsi una tana[20]. I cinghiali sono animali sociali, che vivono in gruppi composti da una ventina di femmine adulte coi propri cuccioli, guidate dalla scrofa più anziana: in alcune zone con grande ricchezza di cibo, tuttavia, si trovano gruppi comprendenti anche più di 50 animali, spesso frutto della fusione di più gruppi. I maschi più anziani conducono una vita solitaria per la maggior parte dell'anno, mentre i giovani maschi che ancora non si sono accoppiati tendono a riunirsi in gruppetti. Ciascun gruppo occupa un proprio territorio, che si estende su un'area di una ventina di chilometri quadrati circa d'ampiezza e viene delimitato tramite secrezioni odorose della zona labiale ed anale: i territori dei maschi sono solitamente più grandi di quelli delle femmine, anche del doppio. Generalmente, il gruppo rimane nello stesso territorio finché le risorse sono sufficienti al proprio sostentamento, per poi abbandonarlo alla ricerca di aree più ricche di cibo qualora la disponibilità alimentare diminuisca: questo spiega l'apparizione improvvisa di cinghiali in aree dove storicamente la loro presenza non è contemplata. I vari esemplari comunicano fra loro attraverso una vasta gamma di suoni, che comprendono una serie di grugniti a varie frequenze, come anche grida e ruggiti che possono avere la funzione di comunicare la propria appartenenza ad un gruppo o la disponibilità all'accoppiamento ed al combattimento[21]: l'emissione di suoni si accompagna anche alla comunicazione olfattiva tramite gli odori corporei o le secrezioni ghiandolari. Spesso gli esemplari di uno stesso gruppo praticano una sorta di grooming, lisciandosi vicendevolmente il pelo del dorso con la lingua od il grugno. I cinghiali sono noti per il temperamento aggressivo: qualora presi alla sprovvista o messi alle strette, infatti, questi animali, anche se feriti o debilitati, attaccano senza pensarci due volte, combattendo strenuamente e risultando molto pericolosi. La diversa conformazione delle zanne nei due sessi provoca anche una diversa reazione davanti al pericolo: mentre il maschio carica a testa bassa, per poi menare fendenti verso l'alto e lateralmente, al fine di sventrare l'aggressore, la femmina si getta sul nemico tenendo la bocca aperta ed azzannandolo a ripetizione, spesso infierendo sul suo corpo anche dopo averlo atterrato. Gli attacchi dei cinghiali, sebbene raramente mortali per i grossi predatori come l'uomo o l'orso, lasciano spesso ricordi indelebili nell'aggressore, sotto forma di cicatrici e mutilazioni. Una pozza scavata da un cinghiale: questi animali sono soliti rotolarsi nel fango per rinfrescarsi e tenere lontani i parassiti. Nonostante la credenza popolare, che vede il cinghiale come un animale sudicio, si tratta di animali che curano molto la loro igiene: l'abitudine di rotolarsi nel fango, detta insoglio, è la prima azione che l'animale compie dopo essersi svegliato ed ha la duplice funzione di rinfrescare il corpo nei mesi caldi, proteggendolo inoltre da scottature dovute ai raggi solari, oltre che di favorire la cicatrizzazione delle numerose ferite, di entità più o meno grave, che l'animale si procura in combattimento od attraverso il semplice movimento nel sottobosco spinoso. Per scrostarsi di dosso il fango essiccato, poi, l'animale si sfrega periodicamente contro superfici verticali, come massi e tronchi d'albero (soprattutto querce ed abeti rossi). Laddove siano assenti pozze d'acqua atte all'insoglio, il cinghiale ne ricava una smuovendo la terra col grugno ed urinandovi, per poi rotolarsi nell'impasto ottenuto. Alimentazione Un cinghiale mentre mangia della frutta. Si tratta di animali dalla dieta onnivora e molto varia, come dimostra la dentizione mista e lo stomaco scarsamente specializzato (solo due compartimenti, a differenza dei tre dei pecari e dei quattro dei ruminanti): pur nutrendosi principalmente di materiale vegetale, come ghiande (nei periodi in cui queste sono particolarmente abbondanti il cinghiale non mangia praticamente altro), frutti, bacche, tuberi, radici, e funghi, il cinghiale non disdegna di integrare di tanto in tanto la propria dieta con materiale di origine animale, come insetti ed altri invertebrati, uova e talvolta anche carne e pesce, provenienti questi principalmente da carcasse dissotterrate o trovate nei pressi dell'acqua. Ogni tanto, i cinghiali cacciano attivamente, scegliendo come proprie vittime piccoli animali come rane e serpenti, ma anche prede di una certa dimensione, come cerbiatti ed agnelli. Il finissimo olfatto di questo animale gli consente di fiutare il cibo anche qualora questo si trovi sottoterra. Riproduzione Femmina di cinghiale durante l'allattamento dei cuccioli. A seconda del clima e della disponibilità di cibo, la femmina può andare in estro da una a tre volte l'anno, con estro di tre giorni su cicli di tre settimane[22]: in Italia le nascite si concentrano in primavera ed alla fine dell'estate. Le femmine tendono a sincronizzare il loro ciclo estrale, in modo tale da allevare cuccioli di età il più simili possibile, massimizzando le probabilità di sopravvivenza della prole. Durante il periodo degli amori, i maschi abbandonano la vita solitaria per aggregarsi ai gruppi di femmine, spesso percorrendo anche grandi distanze sulla scia delle piste odorose e non nutrendosi né riposando per raggiungerne uno al più presto: una volta raggiunto il gruppo, per prima cosa il maschio allontana i giovani che dovessero ancora trovarsi assieme alla femmina. La presenza di numerosi maschi adulti in un gruppo, tuttavia, genera tensioni che si risolvono spesso in aspri combattimenti: prima del combattimento vero e proprio, in ogni caso, i maschi compiono tutta una serie di rituali di minaccia, consistenti nel faccia a faccia fra i due contendenti, che cominciano a spruzzare urina e raspare il terreno, sbattendo i denti e schiumando saliva per intimorire l'avversario: solo se questo rituale non scoraggia nessuno dei due maschi si passa alle vie di fatto. Durante il combattimento, i maschi cozzano testa contro testa, parando i colpi proprio con l'armatura: ciò non scongiura tuttavia il rischio di procurarsi lesioni anche gravi, sebbene assai raramente mortali. Per far fronte a tali episodi violenti, durante il periodo degli amori i cinghiali maschi sviluppano la cosiddetta "armatura", ossia un ispessimento cutaneo ed adiposo che ricopre il collo e le spalle fino all'altezza dell'ultima costola. Una volta decretato il vincitore, comincia la fase del corteggiamento: il maschio, emettendo un suono simile al rombo di un motore endotermico, comincia ad inseguire la femmina più vicina. Una volta raggiuntala, esso comincia a massaggiarle in maniera piuttosto rude la schiena ed i fianchi col grugno, emettendo al contempo dei suoni particolari in maniera ritmica: in tal modo la femmina pronta all'accoppiamento si immobilizza, come ipnotizzata, permettendo al maschio di montarla. L'accoppiamento dura circa cinque minuti ed avviene numerose volte e con numerose femmine (fino ad otto per i maschi più forti e vigorosi), fino alla fine dell'estro della femmina: a questo punto, il maschio abbandona il gruppo e torna alla sua vita solitaria, almeno fino al periodo degli amori successivo. Una scrofa con cuccioli: durante l'allevamento della prole, le femmine divengono particolarmente aggressive. La gestazione dura fino a cinque mesi (in Italia, secondo il detto popolare, la gravidanza del cinghiale dura "tre mesi, tre settimane e tre giorni"): in prossimità del parto, la femmina si isola dal resto del gruppo per costruirsi una tana nel folto della vegetazione, simile ai giacigli che essa è solita usare per la notte. Tale tana spesso ha apertura rivolta verso sud, sicché può essere meglio riscaldata dai raggi solari. In questa tana vengono dati alla luce i cuccioli, che sono in numero variabile da tre a dodici per ciascuna cucciolata. Alla nascita, i piccoli hanno gli occhi aperti e si affannano nella ricerca di uno dei dodici capezzoli materni, disposti in due file lungo il ventre della femmina: in caso di cucciolate particolarmente abbondanti, i cinghialetti più deboli sono perciò destinati a morire d'inedia. Il pelo del cucciolo è brunastro o rossiccio, con le punte dei peli giallastre, che contribuiscono a renderlo più chiaro di quanto non sia in realtà: su schiena e fianchi sono presenti 4-5 striature orizzontali di un colore che va dal bianco al beige, che danno un forte effetto criptico sul sottobosco e sulla copertura di foglie morte del terreno. Ulteriori striature sono presenti sulla spalla e sul posteriore, mentre maculature dello stesso colore possono essere presenti sul muso del cucciolo: la disposizione delle strisce varia da individuo a individuo, sicché è possibile riconoscere individualmente i giovani cinghialetti. Cuccioli di cinghiale. Per la prima settimana dopo il parto, la femmina di cinghiale abbandona rarissimamente la tana coi cuccioli, e se lo fa ha cura di nascondere la cucciolata coprendola con frasche e foglie durante la sua assenza. Le femmine sono estremamente protettive nei confronti della propria prole: durante l'allevamento della cucciolata, infatti, esse diventano estremamente pericolose in quanto aggrediscono con potenti morsi alle zampe ed al corpo qualsiasi intruso che per loro potrebbe rappresentare un pericolo per la progenie, sia esso un pericoloso predatore od anche solamente un ignaro visitatore a passeggio per il bosco. Qualora venga sottratto loro un figlio, le femmine inseguono il rapitore al galoppo per svariati chilometri. Un giovane cinghiale con la caratteristica colorazione subadulta. A una settimana di vita, i cuccioli sono in grado di seguire la femmina nei suoi spostamenti, tornando alla tana solo durante la notte. A due settimane di vita, i piccoli cinghialetti cominciano a grufolare nel terreno e ad assaggiare del cibo solido, ma continuano tuttavia a succhiare il latte materno almeno fino a tre mesi di vita: lo svezzamento può dirsi completato solo dopo il quarto mese, ed è solo dopo questo traguardo che la femmina ed i cuccioli (che proprio attorno al quarto mese perdono la colorazione giovanile del pelo, per acquisire la colorazione subadulta) fanno ritorno al proprio branco d'origine. L'indipendenza viene raggiunta attorno al settimo mese di vita, tuttavia i cuccioli tendono a restare con la madre anche fino ad un anno d'età, quando vengono scacciati dai maschi adulti bramosi di accoppiarsi con la femmina. Le femmine raggiungono la maturità sessuale attorno all'anno e mezzo di vita, mentre i maschi sono più tardivi e non completano lo sviluppo prima del secondo anno d'età: raramente però riusciranno ad accoppiarsi prima del compimento del quinto anno, a causa della competizione con altri maschi più anziani e forti[23]. La speranza di vita dei cinghiali si aggira, in natura, attorno ai 10 anni, mentre in cattività possono sfiorare il trentesimo anno d'età[24]. Predatori I cinghiali sono animali grossi e forti, che non esitano ad attaccare per primi se disturbati: per questo motivo, è abbastanza raro che un predatore scelga di cacciare questi animali, qualora disponga di altre specie meno impegnative da cacciare. Il principale predatore dei cinghiali è l'uomo: nelle regioni in cui le due specie si trovano a convivere, tuttavia, anche le tigri cacciano occasionalmente i cinghiali, piombando loro addosso dall'alto e finendoli velocemente con un morso alla gola, per evitare che l'animale, riavutosi dalla sorpresa e dallo spavento, reagisca ed attacchi a sua volta[25]. Anche il lupo si dimostra un temibile predatore per il cinghiale: nonostante tendano a nutrirsi dei cuccioli lasciati temporaneamente incustoditi dalle femmine, alcune popolazioni locali di lupo (fra cui quelle italiane[26], siberiane e spagnole) si nutrono abitualmente anche di cinghiali adulti. Il metodo di caccia raramente è impostato su un attacco diretto al cinghiale, che reagirebbe caricando a testa bassa e facendo strage di lupi prima di venire sopraffatto dal numero degli assalitori: gli attacchi avvengono generalmente alle spalle (con qualche lupo che distrae l'animale) e vengono indirizzati alla zona di carne morbida del perineo, provocando la morte dell'animale per dissanguamento[27]. La caccia da parte dei lupi rende i cinghiali più aggressivi nei confronti di qualsiasi canide[28][29]. Altri predatori occasionali di cinghiali sono i grossi orsi (che predano questi animali soprattutto in prossimità dell'inverno, quando hanno bisogno di incrementare le proprie scorte di grasso), le iene striate (di cui si pensa però che solo le sottospecie di maggiori dimensioni possano cacciare un cinghiale adulto con successo)[30] ed i coccodrilli. Ungulati: d. bovidi: hanno le corna = tessuto corneo : non è molto sviluppato ha dei processi cornuali su cui si applica un astuccio di cheratina. Anche le femmine le hanno. e. Cervidi: palco = lo perdono ciclicamente perché altrimenti sono ingombranti. Solo i maschi le hanno, eccetto le renne. BOVIDI Camoscio: rupicapra rupicapra (50Kg il maschio, 42 Kg la femmina; ottobre = max accumulo di grasso). Patologie di potenziale interfaccia con animali domestici: pasteurellosi, brucellosi, actinomicosi, cheratocongiuntivite infettiva, rogna sarcoptica, dermatofilosi, ectima contagioso. Il camoscio alpino (Rupicapra rupicapra, Linnaeus 1758) è un mammifero artiodattilo appartenente alla famiglia dei Bovidi. Di aspetto molto simile alle capre, viene incluso con esse e con le pecore nella sottofamiglia dei Caprini. È piuttosto simile alle altre due specie del genere Rupicapra, il camoscio dei Pirenei (Rupicapra pyrenaica), che vive, appunto, sui Pirenei, e il camoscio d'Abruzzo (Rupicapra ornata), quest' ultima endemica dell' Appennino Italiano centrale e, talvolta, considerata una sottospecie del camoscio dei Pirenei. Il prof parla di Pyrenaica ornata (abruzzese) e dice ch è un po’ più piccola ma con corna più sviluppate. Dice che è quasi estinta e che oggi si sono spostati in nuclei decentrati per evitare la consanguineità. Sistematica La specie Rupicapra rupicapra si divide in 7 sottospecie (di cui 5 localizzate in Europa e 2 in Asia minore) che si caratterizzano per lievi differenze morfologiche: Rupicapra rupicapra rupicapra (Linneo, 1758), diffusa sull'arco alpino. Rupicapra rupicapra cartusiana, presente sulle Prealpi della Chartreuse. Rupicapra rupicapra tatrica, presente sui Monti Tatra. Rupicapra rupicapra carpatica, diffuso sui Carpazi. Rupicapra rupicapra balcanica, diffuso nella Penisola balcanica. Rupicapra rupicapra caucasica, diffuso nell'altipiano del Caucaso. Rupicapra rupicapra asiatica, diffuso in Asia Minore. La validità di alcune di queste divisioni sottospecifiche ultimamente è stata messa in discussione. Distribuzione I resti fossili più antichi di camoscio sono stati rinvenuti sui Pirenei e risalgono a 250-150.000 anni fa (Glaciazione di Riss). La massima diffusione della specie si ebbe tra gli 80.000 e i 12.000 anni fa (Glaciazione di Würm): in quest'epoca, spinto dall'incalzare dei ghiacciai, il camoscio si distribuì in quasi tutta l'Europa centrale e in parte di quella centromeridionale. Le successive mutazioni climatiche ed ambientali privarono questo Ungulato (nelle zone meno elevate) dell'habitat idoneo alla sua sopravvivenza; conseguentemente il suo areale si ridusse e frammentò e incominciarono così a differenziarsi le diverse sottospecie. Oggi il camoscio è presente nei sistemi montuosi del centro e del sud dell'Europa: Alpi francesi, Alpi italiane, Alpi svizzere, Alpi austriache, Alpi bavaresi, Liechtenstein, Catena del Giura e Slovenia. A seguito di reintroduzioni, la specie è presente anche nei Vosgi, nel Cantal e nella Foresta Nera. A nord raggiunge gli Alti Tatra. Agli inizi del 1900 è stato introdotto in Nuova Zelanda. In Italia è diffuso sui pendii montani delle Alpi con una popolazione che nel 1995 contava più di 100.000 unità[1] e che è in espansione.(124.000 nel 2008, di cui 19.500 in Lombardia (da: Rapporto sulla fauna selvatica in Lombardia) La maggiore presenza di individui è riscontrabile nelle province di Trento, Bolzano e Verona (Prealpi Veronesi) ed in Piemonte, nei cui territori risulta al momento concentrato il 62% dei camosci alpini italiani[2]. Dal 1994 si è insediato nel Carso triestino un piccolo gruppo di camosci probabilmente a seguito di una immissione illegale: questo evento ha spinto la Provincia di Trieste ad avviare uno studio per valutare la compatibilità della specie con l'ambiente locale. Anatomia e Morfologia Il camoscio è un Ungulato che, per forme e dimensioni corporee (è il più piccolo tra i rappresentanti della sottofamiglia dei Caprini) e per la sua agilità, è assai più prossimo alle antilopi e alle saighe che non agli altri Bovidi che oggi condividono con lui l'ambiente alpino: stambecco (Capra ibex), muflone (Ovis musimon) e Capra selvatica (Capra aegagrus). Taglia e peso La lunghezza totale del corpo, misurata dall'estremità della testa alla radice della coda, varia tra 130 e 150 cm nel maschio, e tra 105 e 125 cm nella femmina. L'altezza, misurata al garrese, varia tra 85 e 92 cm nel maschio e tra 70 e 78 cm nella femmina[3]. Il peso corporeo è influenzato innanzitutto dall'età e dal sesso, e il valore massimo viene raggiunto intorno ai 5-9 anni: nei maschi adulti tale valore può raggiungere i 50 kg, nelle femmine adulte i 40–42 kg[3]. Negli jahrlings (animali di un anno compiuto) il peso si aggira sui 15–20 kg. Il peso varia notevolmente nel corso dell'anno. I valori massimi si raggiungono nel periodo di maggiore accumulo del grasso, che corrisponde al mese di ottobre. I maschi adulti, al termine del periodo riproduttivo, arrivano a perdere quasi un terzo del loro peso corporeo, a causa del forte dispendio energetico durante le lotte tra rivali. In generale comunque, tra gennaio ed aprile si ha una diminuzione della massa corporea in tutti i soggetti, provati dalle dure condizioni invernali. Corporatura Nel maschio la sagoma generale è più tozza, con maggior sviluppo del treno anteriore, mentre la femmina si presenta più longilinea, con preponderanza dell'addome e del treno posteriore; il collo, corto e tozzo nel maschio, è sottile nella femmina, tanto da dare l'impressione che quest'ultima abbia il muso più allungato rispetto al maschio. Mantello Il mantello del camoscio è essenzialmente costituito da due tipi di pelo, in grado di proteggerlo dalle difficili condizioni climatiche dell'ambiente in cui vive. Esso fornisce una protezione ottimale che permette all'animale di sopportare le forti escursioni termiche cui è sottoposto. Il pelo superficiale (lungo 2-4 cm), che costituisce la copertura più esterna, è più irsuto ed è in grado di inglobare grandi quantità d'aria, isolando termicamente il corpo dell'animale. Lo strato sottostante, detto pelo lanoso o primo pelo, è molto fine e di colore biancastro e tende a farsi più rado nel periodo estivo. Il mantello è soggetto a due mute: una autunnale e una primaverile. Due camosci "sorpresi" dall'alto: da notare la "barba dorsale" scura. In inverno il pelo è lungo, morbido e folto, con una colorazione da bruno scuro a nerastro; grazie alla tonalità scura il pelo assorbe in larga misura i raggi solari, garantendo all'animale un'ulteriore fonte di calore. Le sole parti chiare sono la zona nasale, quella ventrale e lo specchio anale. In questa stagione, nei maschi, la silhouette è caratterizzata dal cosiddetto "pennello": un ciuffo di peli nella regione prepuziale, molto evidente dopo il quinto anno di età ma già ben accennato verso i tre anni. Molto sviluppata nel maschio, ma presente anche nella femmina, è la "barba dorsale": una fascia di lunghi peli scuri (6-7 cm in estate, ma possono raggiungere i 30 cm nel periodo degli accoppiamenti) che si sviluppa lungo la linea mediana e che risulta folta soprattutto a livello del garrese e della groppa. Essa viene rizzata dall'animale quando si trova in situazione di pericolo o vuole affermare la propria dominanza nei confronti di un rivale. La muta primaverile inizia a marzo e dura oltre tre mesi. Lo scuro manto invernale è allora sostituito da quello estivo, caratterizzato da peli più corti e ruvidi, con tonalità che vanno dal giallastro pallido al grigio rossastro. Fanno contrasto, per il colore più scuro, gli arti e, sul muso, una mascherina tra l'occhio e il labbro superiore. In entrambi i sessi una sottile linea di peli scuri segue la linea mediana dorsale. Questo manto viene conservato fino a fine agosto, quando incomincia la muta autunnale che si protrarrà fino a dicembre. Sono stati riscontrati casi di melanismo e di albinismo che comportano il mantenimento di un pelo rispettivamente quasi nero o quasi bianco per tutta la vita dell'animale. Corna Testa di un camoscio: da notare le corna ad uncino e la mascherina del muso. Le corna, relativamente piccole e di un caratteristico nero ebano (o bruno scuro), sono permanenti (a differenza dei Cervidi, che le hanno caduche e sono più propriamente definite Palchi), comuni ai due sessi e presentano una tipica forma ad uncino, con sezione grossolanamente circolare. In media raggiungono una lunghezza di 20–25 cm. Di seguito vediamo come l’apice delle corna sia più o meno aperto in base al sesso. Inoltre il dimorfismo è evidenziabile anche nel collo; nella femmina è più sottile mentre nel maschio il collo è taurino. Per distinguere il sesso basta osservare come urinano: la femmina da seduta, il maschio in piedi. Sono composte da due parti ben distinte: la cavicchia ossea e l'astuccio corneo. Le cavicchie ossee sono protuberanze in continuità con l'osso frontale e perpendicolari ad esso. L'astuccio corneo, composto da cheratina (sostanza ricca di zolfo e elemento costituente fondamentale per pelo, unghie, piume e, appunto, corna), le circonda completamente ed è il corno propriamente detto. La crescita annuale avviene a fasi alterne: durante la primavera (marzo-aprile), si ha la produzione di tessuto corneo, che si deposita alla base dell'astuccio; in inverno il processo si arresta, per effetto della variazione di luce e la carenza di nutrimento. Si formano così dei solchi anulari, visibili sulla superficie esterna del rivestimento corneo: si tratta dei cosiddetti "anelli di crescita" (o "anelli di giunzione"), il cui conteggio permette una valutazione attendibile dell'età dell'animale. Iniziano a crescere fin dalla nascita e risultano visibili già in tenera età. L'accrescimento è maggiore nei primi tre anni di vita e minore negli anni successivi Generalmente la crescita delle corna nel capretto è di 6–7 cm, quella nel camoscio di 1 anno è di 6–10 cm e quella nel camoscio di 2 anni è di 3–6 cm. Nel maschio di 3 anni la crescita scende a 1-1,5 cm, e in quello di 4 anni essa arriva soltanto a 0,5 cm. A 5 anni il corno si restringe alla base, attorno alla cavicchia, e la crescita si limita negli anni successivi a 1–3 mm. Il peso del solo astuccio corneo raggiunge i 70 g, un'inezia, se confrontato con i 3-6 kg dello stambecco. Lo sviluppo delle corna non presenta sostanziale differenza tra i sessi; tuttavia, quelle del maschio presentano generalmente un diametro maggiore a livello della base, un'uncinatura più marcata (angolo di curvatura pari in media a 24º, contro i 51º nella femmina), e sono meno distanti tra loro nel punto di inserzione. La sezione, più ellittica in un sesso e più circolare nell'altro, come anche l'apertura, che nelle femmine comincia più distalmente che nei maschi sono altre caratteristiche che differenziano le corna maschili da quelle femminili. Tali caratteristiche comunque non sempre consentono un'attribuzione certa del sesso. Sulle corna dei camosci che abitano in zone boscate e ricche di conifere, specie se maschi, si trovano frequentemente tracce di resina, dovute all'attività di sfregamento ("horning") contro alberi di conifere, praticata soprattutto durante il periodo riproduttivo[5]. Il camoscio d'Abruzzo, sottospecie del pirenaico, ha le corna mediamente più lunghe di quelle del camoscio alpino e con un angolo rispetto alla fronte maggiore. Dentatura [modifica] Il camoscio adulto possiede, nella dentizione permanente, 32 denti così ripartiti: Mascella superiore 6 premolari 6 molari Mascella inferiore 6 incisivi 2 canini 6 premolari 6 molari Ne deriva una formula dentaria così rappresentata: Arcata superiore 3 3 0 0 0 0 3 3 3 3 1 3 3 1 3 3 Arcata inferiore Totale: 32 Come in tutti i Bovidi, anche nel camoscio sono assenti gli incisivi superiori, che sono sostituiti da un cercine semilunare della mucosa ispessita e indurita. Tra l'ultimo incisivo e il primo molare inferiore è presente un diastema (una zona vuota). Gli 8 incisivi e i 12 premolari (6 per ciascuna mascella) costituiscono i 20 denti "da latte" che vengono tutti sostituiti in seguito. I 12 molari si sviluppano in un secondo tempo, e soltanto come denti definitivi. Attraverso l'analisi della dentizione è possibile avere un'idea dell'età dell'animale. Nel capretto (individuo di età inferiore all'anno) sono presenti solamente incisivi da latte; lo yearling (individuo che ha superato l'anno di vita) dispone di due incisivi definitivi, che risultano più grossi e con un'inserzione più bassa sulla gengiva; i soggetti di 2 anni possiedono 4 incisivi definitivi; dopo i quattro anni di vita i denti da latte sono del tutto assenti (bocca fatta a 4 anni). -> cambiano un paio di incisivi all’anno. Inoltre è un segno di età avanzata l'usura dentaria, che comporta la riduzione dell'altezza della corona degli incisivi e dell'altezza dei molari e dei premolari, con conseguente allargamento della superficie di masticazione ed appiattimento di quella triturante. La dentina, con il procedere del logorio, risulta sempre più visibile, essendo più scura dello smalto. (per attribuire l’età ricorda: bocca fatta a 4 anni, nel maschio pennello sul prepuzio dai 5 anni e maschera più sfumata da un anno in poi). Ghiandole e organi di senso Il camoscio possiede ghiandole interdigitali, prepuziali e sovraoccipitali, le cui secrezioni sono probabilmente utilizzate nella comunicazione intraspecifica. Le ghiandole sovraoccipitali (delle dimensioni di una noce), presenti in entrambi i sessi, sono particolarmente sviluppate nei maschi durante il periodo riproduttivo (iniziano a crescere da settembre): la loro secrezione viene usata per marcare il territorio, quando l'animale sfrega la testa e le corna contro arbusti e rocce. Sembra che la sostanza fortemente odorosa rilasciata da queste ghiandole abbia anche la funzione di stimolare nelle femmine la predisposizione all'accoppiamento. Per tale motivo esse sono anche chiamate "ghiandole della fregola". Il camoscio è dotato di una buona capacità olfattiva, ma anche di una buona vista proprio in relazione al suo biotopo, in gran parte aperto, che può determinare a volte una informazione olfattiva non molto affidabile, ad esempio a causa della variazione dei venti[6]. Particolarità anatomiche Il camoscio ha subìto adattamenti morfologici e fisiologici che gli hanno permesso di sopravvivere in ambienti dirupati e con forte innevamento. Particolarmente adatto per la vita in montagna è lo zoccolo bidattilo (3º e 4º dito) con parti e durezza differenziate: il bordo esterno, duro ed affilato, permette di sfruttare i più piccoli appigli sulla roccia; i morbidi polpastrelli, aumentando l'attrito, evitano le cadute e le scivolate in discesa. Le dita dello zoccolo sono divaricabili e munite di una membrana interdigitale che fornisce una più ampia superficie d'appoggio, consentendo agili spostamenti anche sulla neve. Il cuore, piuttosto voluminoso, è dotato di spesse pareti muscolari che garantiscono il mantenimento di una frequenza cardiaca di duecento battiti al minuto ed un'elevata portata sanguigna; questo permette al camoscio di risalire lunghi e ripidi pendii senza sforzi eccessivi. Un'ampia capacità polmonare e un elevato numero di globuli rossi (11-13 milioni per mm3) forniscono un'ottima ossigenazione del sangue anche in condizioni di alta quota, dove l'aria è più rarefatta. Longevità e Aspettativa di vita I camosci possono raggiungere in teoria i 25 anni di età, ma in realtà pochi superano i 15-16 anni. Dai 10 anni inizia la fase di "vecchiaia", il loro peso diminuirà costantemente fino alla loro morte. Il pelo perde il proprio colore diventando man mano sempre più grigiastro. Da questa età in avanti inizia ad aumentare il tasso di mortalità, che cresce ulteriormente superati i 14-15 anni. Il fattore che più incide in tale crescita è l'usura dei denti: essa condiziona talmente la capacità di procurarsi il cibo che pochissimi individui sono in grado di superare i 21-22 anni. È importante osservare che, analogamente agli esseri umani e ad altri mammiferi, le femmine hanno una aspettativa di vita più elevata. Questo anche a causa del dispendio energetico causato nei maschi dal periodo degli amori. I capretti (gli individui al di sotto di un anno di età) hanno un'aspettativa di vita del 50-70% in inverno e del 90% circa in estate. Habitat Il camoscio alpino vive di solito a quote comprese tra gli 1.000 e i 2.800 m di altitudine, includendo quindi l'orizzonte montano, caratterizzato da boschi di conifere (larice, abete rosso, pino silvestre e abete bianco) e/o latifoglie (faggio, castagno, con ricco sottobosco) intervallati da pareti rocciose e scoscese, l'orizzonte subalpino (con larici sparsi e macchie localizzate di ontano, pino mugo e rododendro) e l'orizzonte alpino (pascoli e zone rocciose al limite della vegetazione). Nei periodi in cui la copertura nevosa è assente (maggio-ottobre) l'habitat ottimale è costituito da ambienti con vegetazione aperta, le praterie alpine di alta quota (sopra i 2.000 m). In questo periodo è facile osservare i camosci ai limiti dei nevai, sui pendii erbosi in ombra, negli anfratti rocciosi e sugli sfasciumi esposti a Nord. Nel periodo dei parti (maggio-giugno) le femmine gravide hanno però un comportamento differente rispetto ai conspecifici; mentre questi (maschi adulti, giovani immaturi e femmine non gravide) risalgono progressivamente in quota seguendo il ricaccio dell'erba[7], esse si spostano per il parto su pendii poco accessibili o addirittura su pareti a strapiombo. Nei mesi estivi si possono incontrare camosci anche a quote molto elevate: Couturier[3] riporta l'osservazione di un soggetto a ben 4.750 metri di quota, non lontano dalla vetta del Monte Bianco. In inverno (novembre-marzo) il camoscio scende a quote inferiori e tende a preferire zone a vegetazione arborea rada (ad esempio boschi di larice) e con esposizioni ad alto irraggiamento solare (Est e Sud-Est), intervallati da versanti ripidi e rocciosi, dove si accumula poca neve. In queste aree riesce a nutrirsi e a spostarsi con minor dispendio di energie rispetto alle zone dove la coltre nevosa è più spessa. J. Hamr[8] seguendo alcune femmine nel Tirolo settentrionale ha rilevato la tendenza, da parte di alcuni branchi, a spostarsi in zone densamente forestate durante prolungati (2-5 giorni) periodi di pioggia, di forti venti (100 km/h) o in seguito all'attività di caccia attuata dall'uomo. Secondo Von Elsner-Schack[9] la scelta dell'habitat varia a seconda della stagione, e sono le disponibilità alimentari e la sicurezza di una via di fuga a determinare la scelta. L'habitat ottimale estivo è rappresentato dalle praterie alpine, che offrono un'ampia varietà, altamente appetita, di specie vegetali a diverso grado di maturazione. In inverno sono i ripidi pendii e le pareti rocciose ad essere preferiti, per lo scarso innevamento che lascia disponibile la vegetazione di suolo.-> in Inverno stanno in branchi -> diffusione di malattie. Di fondamentale importanza, in ogni caso, è la presenza di zone rocciose e accidentate, frammiste alle zone di pascolo e utilizzate come vie di fuga in caso di minaccia. Proprio l'assenza di zone scoscese sarebbe il fattore limitante per l'utilizzo di pascoli di fondovalle (attorno agli 800–900 m) che altrimenti rientrerebbero nell'intervallo di tolleranza climatica di questa specie. Secondo altri autori[10][11] anche altri fattori ambientali, oltre la disponibilità di cibo e di vie di fuga, intervengono sulla scelta dell'habitat da parte del camoscio: l'esposizione dei versanti, l'inclinazione e le condizioni climatiche della zona in cui l'animale vive. L'esposizione, secondo Knaus & Schröder[5] risulta importante soprattutto nei mesi invernali. Altrettanto può dirsi dell'inclinazione, anche se viene sottolineata da Couturier[3] l'attitudine sempre rupicola della specie. La presenza di versanti con un'inclinazione compresa tra i 30 ed i 45-50 gradi viene considerata un elemento favorevole per la sopravvivenza invernale della specie[5][12]. Controversa è, invece, la valutazione sull'importanza delle precipitazioni nevose e della permanenza della neve al suolo. A differenza dello stambecco, il camoscio si sposta sulla neve con notevole disinvoltura, favorito dal particolare adattamento dello zoccolo[3][5][13]. Tuttavia le aree meno innevate, o prive di neve, sarebbero nettamente preferite secondo alcuni autori[14] e non secondo altri[12]. Regime alimentare. Il camoscio è un ruminante, ovvero presenta lo stomaco diviso in quattro cavità: rumine, reticolo, omaso ed abomaso. Fra gli Ungulati Ruminanti esiste una classificazione in base al tipo di alimenti selezionati. Si distinguono così tre categorie: brucatori o selettori di alimenti concentrati pascolatori o consumatori di foraggio grezzo erbivori di tipo intermedio I primi (alce, capriolo) sono tipici utilizzatori di alimenti ricchi di principi nutritivi e basso contenuto in fibra (germogli, gemme, ecc.), presentano grandi ghiandole salivari, fegato molto sviluppato, piccolo rumine, corto intestino, cieco voluminoso; il loro regime alimentare prevede numerosi periodi di attività e di breve durata, mentre la digestione è piuttosto rapida. I secondi (pecora, bovini, muflone) sono invece forti consumatori di foraggio grezzo, anche con alto tenore in fibra, hanno un'anatomia digestiva opposta ai precedenti e spendono il loro tempo dedicato all'alimentazione frazionandolo in un minor numero di periodi di attività di più lunga durata, fra i quali dedicano altrettante lunghe pause per la ruminazione. Il camoscio si trova in una posizione intermedia, con una tendenza verso la categoria dei selettori, per la scelta che compie sia delle specie vegetali, sia della parte della pianta da consumare. In realtà può essere definito un "opportunista", in quanto, pur non appartenendo né all'una né all'altra categoria, è in grado di variare la sua dieta per quantità e qualità in rapporto alle influenze stagionali[16]. La ricerca di cibo, comunque, svolge un ruolo fondamentale nelle abitudini del camoscio, condizionando la sua distribuzione e l'altitudine alla quale vivere con il succedersi delle stagioni[17]. Dalla sintesi bibliografica e dai dati ottenuti sperimentalmente da Dunant[18] emerge che sono comprese nella dieta del camoscio alpino almeno 300 specie vegetali. Da dicembre a marzo l'alimentazione è costituita in prevalenza (dal 56 al 93%) da erbe secche[19], rinvenute scavando con gli zoccoli nella neve, da licheni, aghi e germogli di resinose (come abete bianco, pino cembro, pino mugo). In primavera, da aprile a maggio, vengono privilegiati germogli, erbe fresche e infiorescenze. Le specie selezionate appartengono soprattutto alla famiglia delle Graminacee (Agrostis rupestris, Festuca sp., Poa alpina, Poa laxa, Poa pratensis), e al gruppo delle Dicotiledoni erbacee (Bromus erectus, Colchicum autunnale, Plantago alpina, Trifolium alpinum, Trisetum flavescens) (100% del totale secondo Perle & Hamr[20]). L'estate, da giugno a settembre inoltrato, rappresenta il periodo di maggiore abbondanza vegetale e consente agli animali di selezionare minuziosamente le essenze preferite[21]; compaiono nella dieta del camoscio, in buona percentuale (dal 25 al 38%[22]), le piante erbacee (Lotus corniculatus, Medicago sativa, Trifolium alpinum) e i giovani germogli degli arbusti (Juniperus sp. e Rhododendron sp). La quantità di vegetali ingerita può essere notevole tenuto conto che il contenuto ruminale di un grande maschio può pesare anche più di 10 kg. In autunno, mesi di ottobre-novembre, si assiste al progressivo ritorno all'alimentazione invernale, con una dieta costituita per il 50-60% dalle Graminacee tardive (Festuca sp., Poa sp.), per circa il 20% da altri tipi di piante erbacee e per il restante 20-30% da arbusti come Juniperus sp., Rhododendron sp. e Vaccinium myrtillus. Ad ottobre inoltrato i depositi di grasso, accumulati da giugno, raggiungono i massimi livelli: serviranno come riserva energetica durante il periodo degli amori e per supplire alle carenze alimentari della stagione fredda. Il fabbisogno idrico viene soddisfatto con l'acqua presente nei vegetali ingeriti o depositata su di essi sotto forma di rugiada. I sali minerali (Sodio, Calcio, Fosforo e Magnesio) vengono invece integrati leccando le rocce e le muffe. Come per altri ruminanti selvatici, l'attività alimentare è più intensa all'alba e al tramonto[23]. Nel corso della giornata si osservano da due a tre periodi di alimentazione, intervallati da lunghi periodi di ruminazione; in estate l'attività di alimentazione si protrae anche nelle ore notturne[24]. Comportamento sociale [modifica] Il camoscio viene descritto come un animale "gregario" da A. Kramer[25] e W. Schröder[26], e il comportamento sociale, sempre secondo Kramer, sembra essere legato all'esistenza di gerarchie all'interno dei gruppi. In realtà, essendo l'organizzazione sociale di una specie in stretta relazione con il comportamento degli individui che la compongono[27], questa definizione risulta essere valida soprattutto per le femmine. Queste ultime, infatti, vivono per la maggior parte dell'anno in gruppi di dimensioni mutevoli, regolati da diversi fattori: disponibilità alimentare, condizioni morfo-climatiche del territorio, struttura e densità della popolazione, comportamenti riproduttivi[28]. Questi gruppi, oltre che dalle femmine, sono formati dai capretti e, talvolta, anche da qualche giovane di 2-3 anni. Il tratto più evidente dell'organizzazione sociale dei camosci è la segregazione sessuale. Infatti, durante la maggior parte dell'anno, ad eccezione del periodo riproduttivo, gli adulti dei due sessi vivono, anche geograficamente, separati e questa tendenza si rafforza con l'età. I maschi sub-adulti (3-5 anni) tendono a vivere isolati o aggregati in piccoli gruppetti (2 o 3 individui), sono molto mobili sul territorio e compiono spostamenti altitudinali di una certa importanza. I maschi adulti tendono ad essere solitari e, durante l'anno, frequentano aree di 300-500 ha, solitamente a quote inferiori rispetto alle femmine[29]. Territorialità nei maschi [modifica] In autunno, con l'avvicinarsi del periodo degli accoppiamenti, i maschi si avvicinano ai branchi delle femmine, scese a quote più basse. Durante questo periodo, per poche settimane, marcano e difendono un proprio territorio di pochi ettari all'interno del quale tentano di trattenere le femmine mediante rituali di corteggiamento. Il camoscio marca il proprio territorio fregando le corna contro gli arbusti, i ciuffi d'erba e le rocce in modo da depositare la sostanza odorosa prodotta dalle ghiandole "della fregola", situate proprio dietro il trofeo; allontana qualunque altro maschio adottando comportamenti di minaccia diretta e indiretta. Quando un maschio maturo incontra un altro camoscio assume il caratteristico atteggiamento di "imposizione": il collo e la testa sono portati eretti, il pelo e la "barba dorsale" vengono drizzati, i movimenti sono solenni e, a tratti, viene scrollata la muscolatura. Questo comportamento intimidatorio è di solito sufficiente ad allontanare un animale ancora giovane, ma se l'avversario ha un "grado gerarchico" simile si può assistere a lunghi inseguimenti a velocità sostenuta che possono anche terminare con un contatto violento tra i due animali. Riproduzione Maturità sessuale a 2 anni e mezzo. Il periodo riproduttivo è da novembre a dicembre, la gestazione dura 6-7 mesi, fanno 1-2 piccoli verso maggio-giugno. Il periodo riproduttivo inizia solitamente a fine ottobre per concludersi nella seconda metà di dicembre; il culmine degli accoppiamenti si verifica a cavallo fra gli ultimi giorni di novembre e primi giorni di dicembre. L'estro della femmina dura dalle 36 alle 72 ore e, se essa non è stata fecondata, si ripete dopo circa tre settimane[30]. Il periodo dell'estro si verifica una sola volta all'anno e modifica in modo rilevante il comportamento dell'animale. I camosci, come già detto, tendono ad essere più gregari e si possono osservare, in questa fase, branchi di 40-50 individui, che si raggruppano nelle aree dei pascoli alpini su versanti scoscesi. Alla fine di dicembre, con il termine del calore, gli animali si separano progressivamente e riprendono le loro attività abituali. La gestazione dura 160-170 giorni; il periodo delle nascite va quindi dal 15 maggio al 15 giugno. In generale la femmina di camoscio partorisce un solo capretto: i parti gemellari sono del tutto eccezionali. Nei maschi la maturità sessuale viene raggiunta intorno al 18º mese di vita ma, per motivi di competitività, non si riproducono prima dei 4-5 anni di età[3][14][31]. Le femmine possono partorire già a 2 anni ma l'età del primo parto cade più frequentemente a 3 anni. Legame tra femmina e capretto [modifica] L'unico legame stabile in questa specie è quello che unisce le femmine al loro piccolo dell'anno (il "capretto"), determinando in questo modo la costituzione di una società aperta e matriarcale. Questo rapporto esclusivo si instaura durante i primissimi giorni di vita del capretto: la madre, avvicinandosi il momento del parto, si allontana dal gruppo isolandosi in un luogo idoneo e appartato[32]. Dopo pochi giorni dai parti, che avvengono in sincronia, si formano gruppi costituiti dalle femmine e dai nuovi nati, che si localizzano in preferenza sui pascoli alpini. Queste zone sono in grado di offrire le risorse alimentari necessarie al dispendio energetico dovuto alla lattazione e di garantire al capretto un migliore apporto nutritivo. I pascoli alpini vengono scelti anche se, essendo zone aperte, espongono i giovani capretti al pericolo della predazione; le femmine confidano, infatti, nella presenza di un alto numero di individui che garantisce la sorveglianza collettiva dei piccoli. Il piccolo rimane con la madre per tutto il primo anno di vita, fino al momento del parto successivo quando viene allontanato. Nel caso in cui invece la femmina non sia gravida, può capitare che questo legame si prolunghi di un anno. Questa è l’impronta, che è molto simile allo stambecco e alle pecore. Muflone: Ovis ammon musimon, è il ponte più vicino con i domestici, e la percora è la sua forma domestica (sempre ovis). Possibili patologie di interfaccia coi domestici: cheratocongiuntivite infettiva, pasteurellosi, brucellosi, ectima, BT. Il muflone è un mammifero artiodattilo della famiglia dei Bovidi. Il muflone è diffuso sulle isole mediterranee di Sardegna, Corsica, Cipro e Rodi, delle quali peraltro non risulterebbe nativo: su queste isole mancano infatti reperti fossili di questi animali e si pensa perciò che essi siano stati introdotti in epoca storica dall'uomo a partire da forme semidomestiche di pecora, poi rinselvatichitesi. Da qui, il muflone è stato in seguito introdotto anche in Europa continentale a partire dal XVIII secolo, in particolare se ne trovano popolazioni consistenti in Europa Centrale. Altre introduzioni hanno dato origine a popolazioni stabili di questi animali anche in Cile e negli Stati Uniti (Texas, Hawaii). In Italia, oltre che con una buona popolazione autoctona nel Gennargentu, il muflone è diffuso con una quarantina di popolazioni isolate (per un totale di circa 5000 esemplari) in alcune isole minori (Isola d'Elba, Asinara, Capraia, Giglio, Marettimo, Zannone) ed in vari punti della penisola, in particolare nell'Appennino centro-settentrionale e nelle zone prealpine. Il muflone è inoltre presente all'interno del Parco naturale provinciale dell'Adamello-Brenta sito in Trentino, dove è stato introdotto durante gli anni Settanta. Il muflone predilige gli ambienti aperti in aree medio-collinari, spesso con presenza di aree rocciose dove potersi rifugiare in caso di pericolo: tuttavia si è adattato a una grande varietà di habitat, dalle foreste di conifere ai boschi di latifoglie, raggiungendo anche altitudini di 1500 m. Descrizione Dimensioni [modifica] Misura 130 cm di lunghezza, per un'altezza al garrese di circa 75 cm: il peso varia fra i 25 kg massimi della femmina ai 40 kg dei maschi adulti. Aspetto: Un sul dorso-> maschio adulto: notare la foggia delle corna e la "sella" bianca Una femmina di muflone (le femmine sono acorne)-> Il pelo è ispido e di colore fulvo d'estate e bruno scuro d'inverno, con tonalità grigiastre e nerastre su spalle e collo: il muso, la parte interna delle orecchie, un cerchio perioculare, il ventre, il posteriore e la parte distale delle zampe sono bianchi. Nei maschi spesso è presente una "sella" bianca sul dorso, assente nelle femmine, che sono di colore marroncino. <- Un cranio di muflone maschio: notare le corna fisse nell'osso. Caratteristica unica dei maschi è la presenza sul cranio di due grosse corna fisse su una base d'osso, che hanno crescita continua con tendenza alla spiralizzazione in senso laterale: le corna del muflone hanno un alto effetto spettacolare, che rende in particolare i vecchi maschi un trofeo molto ambito dai cacciatori. Biologia Si tratta di animali diurni e dalle abitudini gregarie: le femmine con i piccoli vivono durante tutto l'arco dell'anno in grossi greggi, mentre i maschi giovani formano gruppi separati e meno consistenti numericamente, di solito composti da animali della stessa età. I maschi più anziani, invece, sono soliti vivere da soli. Come le capre selvatiche, il muflone non assume normalmente un comportamento territoriale, pur possedendo ghiandole odorifere preorbitali, interdigitali e inguinali atte a marcare i confini del territorio: nel caso di conflitti per il territorio o l'accoppiamento, tuttavia, il maschio scuote nervosamente la testa da un lato all'altro in segno di minaccia verso gli avversari. Alimentazione Pur essendo animali da pascolo, che si nutrono soprattutto di erbe, i mufloni, così come anche le capre, sono in grado di mangiare un po' tutti gli alimenti di origine vegetale. Sono anche capaci di brucare le piante dure e coriacee rifiutate dalla maggior parte degli Ungulati, riuscendo così a sopravvivere in habitat particolarmente aridi. se di ottobre (negli ambienti più freddi il periodo può cadere anche più tardi): in questo periodo, i maschi si avvicinano ai greggi di femmine, attratti dall'odore del loro estro, e competono fra loro per attirarne l'attenzione e potersi quindi accoppiare. I conflitti tra i maschi vengono normalmente risolti con cozzate frontali delle corna o con combattimenti spalla a spalla, generalmente senza che gli sfidanti si procurino lesioni gravi grazie alla forte ritualizzazione del processo. Quando ricorre ai cozzi con la testa, i due maschi si dispongono frontalmente, sbuffando ed agitando la testa, fino a quando, quasi all'unisono, prendono una breve rincorsa e saltano l'uno contro l'altro con un violento impatto, il cui rumore può essere sentito anche a grande distanza: le grandi corna e le forti ossa craniche e del collo proteggono l'animale da lesioni ossee anche gravi. Il combattimento spalla a spalla è meno violento, poiché gli animali si spingono reciprocamente con le corna incrociate. Può capitare che le corna dei due sfidanti si incastrino le une con le altre e che perciò i due contendenti, impossibilitati a condurre una vita normale, muoiano di stenti o da causa di predatori nel caso in cui non riescano a disincagliarsi l'uno dall'altro. Fra la fine di febbraio fino alla fine di aprile, le femmine gravide si allontanano dal gruppo e partoriscono, isolate, 1 o 2 piccoli, che sono in grado di muoversi e camminare subito dopo la nascita e che devono essere allattati ogni 15 minuti circa. Quando arriva l'estate, le femmine con la loro prole (ed i giovani maschi -fino ai 2 anni di età-) si riuniscono a formare greggi di 30-40 individui. La speranza di vita dei mufloni maschi è di circa 12 anni, mentre le femmine sono generalmente più longeve, vivendo infatti anche oltre i 15 anni. I cuccioli sono rossicci. I sub-adulti e adulti -> hanno un disegno sulla schiena bianco. Le corna hanno dei solchi di crescita annuale: ci sono righine sottili ornamentali poi delle docciature più profonde queste sono le linee vere. Hanno un’impronta molto simile alle pecore. Stambecco: capra ibex. Patologie di interfaccia coi domestici: cheratocongiuntivite infettiva, pasteurellosi, brucellosi, rogna sarcoptica, paratbc. È il selvatico delle capre domestiche (capra hircus). I Maschi si lasciano avvicinare senza problemi mentre le femmine scappano a 150m. Vivono al max 16-17 anni. Distribuzione e habitat Lo stambecco è attualmente diffuso in tutto l'arco alpino, dalle Alpi Marittime ad ovest sino alle Alpi di Carinzia e di Slovenia ad est [2], ad altitudini comprese tra 500 e 3.000 m [3].-> quindi capiamo che vive ad alte quote. Sebbene il suo areale si sia notevolmente ampliato nel corso del XX secolo, la sua distribuzione è tuttora abbastanza frammentaria. Fatta eccezione per quella del Parco nazionale del Gran Paradiso, tutte le attuali popolazioni sono il frutto di reintroduzioni (Francia, Svizzera, Austria e Germania) o di nuova introduzione (Slovenia e Bulgaria). Negli anni novanta è stata stimata una popolazione complessiva di circa 30.000 esemplari. Di questi circa 15.000 vivono in Svizzera, 9.700 in Italia, 3.200 in Austria, 3.300 in Francia, 250 in Slovenia e 220 in Germania [4]. Il suo habitat tipico è costituito dagli ambienti rocciosi di alta quota, al di sopra della linea degli alberi. I costoni rocciosi scoscesi esposti a sud ricchi di vegetazione erbacea sono l'ambiente preferito. A livello subalpino li si può incontrare in aree aperte e soleggiate con presenza di affioramenti rocciosi [3]. Conservazione. Giunta ad un passo dalla estinzione nel corso del XIX secolo, la specie si è salvata grazie alla creazione, nel 1836, della Riserva reale di caccia del Gran Paradiso e successivamente del Parco nazionale del Gran Paradiso (1922). Le successive operazioni di reintroduzione, avviate con spirito pionieristo dalla Confederazione Elvetica sul finire dell'Ottocento, hanno portato alla sua ricomparsa in 175 diverse aree alpine europee [2]. Nonostante la relativa frammentazione del suo areale, la sua popolazione è attualmente in significativa crescita [5]. In base a tali dati la Lista rossa IUCN classifica Capra ibex come specie a basso rischio (Least Concern) [6]. La specie è inserita nella Appendice III della Convenzione di Berna ed è sottoposta a misure di protezione regolate da differenti legislazioni nazionali che prevedono in taluni casi il divieto assoluto di caccia (Francia, Germania e Italia) ovvero autorizzano abbattimenti selettivi (Svizzera, Austria e Slovenia). È presente in numerose aree naturali protette tra cui: il Parco nazionale del Gran Paradiso, il Parco nazionale dello Stelvio, il Parco naturale delle Dolomiti d'Ampezzo e il Parco naturale delle Alpi Marittime in Italia; il Parco nazionale della Vanoise, il Parco nazionale des Écrins e il Parco nazionale del Mercantour in Francia; il Parco nazionale Kalkhochalpen in Austria. Anatomia e morfologia. Si tratta di un bovide di rilevanti dimensioni. Il maschio dello Stambecco, 100Kg, è caratterizzato da lunghe corna arcuate e nodose. La femmina, più piccola (80Kg), è anch'essa dotata di corna, che raggiungono al massimo i 30-35 cm. Il maschio può vivere 14-16 anni mentre la femmina arriva a superare i 20 anni. Il manto peloso. esemplare di stambecco a sx, femmina di stambecco al centro e maschio di stambecco a dx. Il colore del mantello dello stambecco cambia con il variare delle stagioni. Nel periodo estivo il pelo è corto, di colore beige o bruno chiaro. In autunno cade lentamente ed è sostituito da una spessa pelliccia con peli più lunghi di un colore bruno scuro, quasi nero: questa calda pelliccia lo proteggerà dal freddo della montagna ed il colore più scuro assorbirà meglio i raggi del sole. Una muta si renderà poi necessaria alla fine dell'inverno, nei mesi di maggio e giugno. Gli stambecchi si sbarazzeranno della pelliccia grattandosi contro le rocce e contro i tronchi degli alberi e non è raro, in questo periodo, trovare dei ciuffi di pelo intrecciati sugli arbusti e sulle rocce. La muta è anche all'origine del fastidioso prurito che gli stambecchi maschi cercano di alleviare aiutandosi con le loro lunghe corna. Il pelo estivo dei becchi è di un colore grigio ferro su tutto il dorso, fino al ventre che invece è di colore bianco. Le zampe sono di un colore bruno scuro, quasi nerastro come anche la banda mediana sul dorso è di un colore scuro, molto vicino al nero, (questa banda nera talvolta non è presente). Dal mese di novembre in poi, il pelo dei maschi si scurisce e diventa marrone scuro. Il pelo delle femmine è di un beige giallastro o castano chiaro, salvo il ventre che rimane piuttosto biancastro e le zampe che sono bruno scuro. Esso si scurisce leggermente in inverno, ma comunque, sia in estate che in inverno, il mantello della femmina è più chiaro di quello del maschio. Alla nascita, il pelo dei piccoli stambecchi è invece di un colore beige rossastro, più chiaro di quello delle femmine: resterà tale fino all'età di due anni. Corna <- Maschio di stambecco Le corna, permanenti, sono costituite da un'impalcatura ossea ricoperta di sostanza cornea. La loro crescita si blocca ogni anno in novembre e tale arresto si evidenzia come un anello ben visibile sulla parte laterale e posteriore del corno. Dal conteggio di tali cerchi si risale al numero di inverni trascorsi e quindi all'età dell'animale. Nei maschi le corna presentano sul lato anteriore nodi vistosi, formati da escrescenze cornee, e possono superare, nei soggetti più vecchi, il metro di lunghezza. -> i bitorzoli sono ornamentali e anteriori; mentre le linee di crescita sono posteriori e sono dei solchi. Al contrario le femmine hanno corna lisce, di 35 cm al massimo; dopo i 5 anni l'accrescimento annuale del corno diventa di pochi millimetri ravvicinando di molto gli anelli. In sintesi: il maschio ha corna più lunghe e pelo più scuro rispetto alla femmina. I piccoli sono rossicci. Biologia Lo stambecco è un animale gregario; i branchi di maschi restano separati da quelli delle femmine e si riuniscono ad essi solo nel periodo riproduttivo. I gruppi di maschi comprendono soggetti di età superiore ai 4-5 anni e possono, in primavera, raggiungere le 100 unità. I soggetti più vecchi tendono ad una vita solitaria o sono aggregati in piccoli gruppi (4-6 elementi), comprendenti anche animali giovani. Vi sono infine i branchi di femmine con i piccoli e i giovani fino a due anni. Durante l'estate si possono osservare le "nurseries", ovvero gruppi di capretti (fino a 15-20) controllati da una o due femmine mentre le altre madri sono alla ricerca di cibo. Alimentazione Erbivoro, può mangiare fino a 15 kg di erba al giorno, ma si ciba anche dei germogli di ginepro, di rododendri, di muschi e di licheni. Non è raro incontrare in montagna, ai lati delle strade, dei piccoli blocchi di sale destinati ai gruppi di stambecchi perché, come altre specie del genere Capra, è ghiotto di sale in quanto il suo organismo accusa un'effettiva esigenza di sodio, solitamente poco disponibile nei foraggi. Si abbevera poco, accontentandosi spesso della rugiada mattutina. In primavera si nutre di arbusti dei quali apprezza soprattutto i germogli, e che bruca drizzandosi sulle zampe posteriori. In inverno le erbe secche sono la base dell'alimentazione ma compaiono anche arbusti (ontano verde) e licheni, raramente aghi di conifere. Riproduzione Gli accoppiamenti avvengono durante i mesi di dicembre e di gennaio. I maschi adulti dominanti ricercano attivamente le femmine in calore, mostrando caratteristici atteggiamenti di sottomissione: corna rovesciate sulla schiena, collo teso, coda alzata a pennacchio a scoprire lo specchio anale bianco. Gli scontri tra maschi, peraltro assai spettacolari, sono limitati e sanciscono la supremazia dei singoli individui. Dopo una gestazione di circa 160-180 giorni nasce un solo piccolo, raramente due. Il neonato sta in piedi dopo pochi minuti ed è subito in grado di seguire la madre sulle pareti a strapiombo. Ecologia <-Un esemplare sul Piccolo Lagazuoi È un animale particolarmente adattato agli ambienti caratterizzati da affioramenti rocciosi misti a prateria, situati sino al limite dei ghiacciai. In inverno sono preferite le pareti con buona esposizione, a quote comprese tra i 2000 ed i 3500 m; il bosco fitto viene evitato. I maschi possono utilizzare il bosco rado, costituito perlopiù da larice ed interrotto da pareti rocciose, per scendere poi in primavera sul fondovalle, al momento del ricaccio dell'erba. Le femmine rimangono invece per buona parte dell'anno sui pendii rocciosi. Lo stambecco è un animale essenzialmente diurno ed è attivo già prima del sorgere del sole. Dalle prime ore del giorno fino all'imbrunire, trascorre le sue giornate sulle terrazze erbose e ben esposte al sole. Gli stambecchi formano branchi, spesso a contatto con i domestici e si scambiano malattie come paratbc, rogne e congiuntiviti da micoplasmi. In particolare le forme oculari sono molto più gravi nei selvatici e danno pan oftalmiti che causano la morte degli animali per la caduta dalle rocce. Le feci degli stambecchi sono uguali a quelle di altri cervidi, e le impronte come quelle della pecora. Si studiano con marche auricolari e radio collari. Capra selvatica di motecristo: (capra aegagrus hircus) Distribuzione geografica La capra selvatica (Capra aegagrus hircus) è presente in Italia unicamente sull’isola di Montecristo (Arcipelago toscano, Tirreno centrale) e tale popolazione ircina rappresenta l’unico esempio nel nostro Paese di capre viventi alla stato interamente selvatico da epoca antica. La specie selvatica originaria presenta amplissima diffusione: Asia Minore, Caucaso, Turkestan russo, Iran, Belucistan, Sind occidentale e India. Le popolazioni di alcune isole greche del Mediterraneo centro-orientale (Creta, Cicladi, Sporadi) sono considerate frutto di introduzione da parte dell’uomo della forma selvatica e di capre già oggetto di domesticazione. Popolazioni di capre domestiche rinselvatichite vivono in alcune zone europee, come nel Regno Unito. L'origine della Capra di Montecristo è sicuramente non indigena e ibridata con capre di alta provenienza. Si è perfettamente ambientata nell’habitat spiccatamente rupicolo dell’isola, con vegetazione di boscaglia o ad arbusti sparsi intercalati a vasti affioramenti di roccia viva e pietraie. Vivono in piccoli branchi che cambiano composizione e numero nei vari periodi dell’anno. I branchi di maschi e femmine possono essere avvistati durante agosto-settembre, durante il periodo degli accoppiamenti. Il periodo di gestazione è di 5-6 mesi e in febbraio-marzo ogni femmina partorisce un capretto, raramente due. Si formano allora "branchi familiari", composti da femmine e dai piccoli capretti nati nell’arco dell’anno ed eventualmente da quelli dell’anno precedente. Caratteristiche morfologiche -> c’è una forte ibridazione con il domestico. Il maschio è più grande della femmina, pesa in media 33-50 kg e ha un'altezza variabile dai 58 ai 73 cm. Le corna nel maschio sono molto sviluppate (fino a 50-60 cm) e formano una scimitarra rivolta all’indietro. Gli anelli di accrescimento sono poco visibili e molto spaziati e le corna continuano a crescere, con una pausa durante l’inverno, fino all’età di 10-11 anni. Le corna sono piatte. I tipici maschi adulti di capra selvatica hanno la barbetta e una colorazione bruno chiaro, con una striscia scura al centro del dorso e sulla spalla. Le femmine hanno strisce scure meno accentuate, corna poco sviluppate (15-20 cm) e comunemente sono prive di barba; pesano 22-30 kg e sono alte 59 cm. Le vocalizzazioni sono belati, emessi soprattutto dai capretti e dalle madri, mentre il grido di allarme è una sorta di starnuto. Conservazione della Capra di Montecristo Nell’isola la Capra è del tutto priva di predatori, per cui la mortalità naturale è determinata sostanzialmente da senescenza. In passato è stata oggetto in passato di attività venatoria e di bracconaggio. L’istituzione nel 1971 dell’isola di Montecristo in riserva naturale è stato senza dubbio il primo provvedimento essenziale per consentire una sufficiente condizione di protezione della popolazione ircina, che ha raggiunto una consistenza rilevante. Ciò ha determinato la necessità di un contenimento numerico attraverso campagne di abbattimento selettivo condotte dal Corpo Forestale dello Stato in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Oggi il numero complessivo è stato stimato in 300-350 capi. Gli unici rischi per una popolazione di morire per malattia infettiva è se la popolazione è piccola. CERVIDI I palchi sono le appendici ramificate che si trovano sul capo di quasi tutte le specie appartenenti alla famiglia dei Cervidi.Sono impropriamente considerate corna ma in realtà le corna vere e proprie sono possedute solo dai rinoceronti (li possedevano anche arcosauri estinti) e sono di derivazione ectodermica formati completamente da cheratina cementante ciuffi di peli ricoperta da altra cheratina laminare a dare strutture massicce con significato soprattutto difensivo. Altra cosa sono le corna dei cosiddetti cavicorni: membri della famiglia dei Bovidi, che comprende i bovini domestici e selvatici (bue, yack, zebù, bufalo, bisonte…), gli ovini (pecore, mufloni…), le capre e gli stambecchi e le antilopi. Le corna dei cavicorni hanno, in generale, le seguenti caratteristiche: sono semplici, costituite, cioè, da una struttura senza ramificazioni, anche se spesso ripiegata, ricurva, avvolta a spirale o con nodosità. sono costituite da una base ossea (os cornu), poggiante sul cranio, che una volta danneggiata o spezzata non si rigenera (come ben sapevano i contadini un tempo, quando il giogo veniva poggiato sulle spalle di buoi o vacche e legato alle loro corna: un animale con un corno spezzato non era più in grado di lavorare) rivestita esternamente da uno strato corneo (che ha la stessa origine, quindi, di pelle e peli). I palchi dei cervidi invece: sono ramificati sono costituiti solo da un particolare tessuto osseo, senza un rivestimento corneo. vengono rinnovati periodicamente (di solito ogni anno). La crescita e la successiva caduta dei palchi vengono regolate da due ormoni: l’ormone somatotropo ed il testosterone, che è un ormone tipicamente maschile, infatti i palchi vengono portati quasi esclusivamente dai maschi adulti. L’unica eccezione, tra i Cervidi, è costituita dalla renna e dal caribù (la renna selvatica del Nord America), in cui anche le femmine possiedono dei palchi, comunque più piccoli di quelli maschili. L’ormone somatotropo è quello che determina la crescita dei palchi. Quando il tessuto è in crescita è riccamente vascolarizzato e rivestito esternamente da una morbida peluria: il velluto. Il testosterone, invece, determina la progressiva ossificazione dei palchi e, quindi, la chiusura dei vasi che li nutrono. Ciò determina in primo luogo l’arresto della crescita (in animali sterilizzati, quindi privi di testosterone, il palco ha una crescita indeterminata), la morte ed il distacco del velluto ed, infine, la caduta dei palchi. Le specie italiane In Italia vivono tre specie di Cervidi: Cervo (Cervus elaphus), Daino (Dama dama) e Capriolo (Capreolus capreolus). Di anno in anno il palco del cervo e del daino diventa sempre più grande e complesso, tanto che può essere usato come indice dell’età dell’animale, anche se il numero delle punte non corrisponde esattamente al numero degli anni di vita dell’animale. Nel cervo i giovani di circa un anno o due (fusoni), hanno corna senza ramificazioni, dette anche pugnali. Dopo il secondo anno di vita e fino al quinto abbiamo i maschi giovani con almeno tre ramificazioni. Quindi, dopo il quinto anno di età i maschi diventano adulti e, normalmente, presentano sei ramificazioni. D’ora innanzi il numero di ramificazioni non cresce più, ma le dimensioni e la massa dei palchi diventano progressivamente maggiori con il passare degli anni ed il loro colore si fa più scuro rispetto ai giovani. Questo fino al quattordicesimo-quindicesimo anno d’età dell’animale, quando, ormai raggiunta la senilità, il trofeo inizia a regredire. Un discorso analogo vale per i daini: fino al secondo anno di vita abbiamo i fusoni con i due pugnali, dopodiché il palco inizia a ramificarsi e ad allargarsi nella pala terminale, diventando gradatamente più ampio ed esteso. Raggiunto il tredicesimo anno d’età, poi, il trofeo inizia a regredire. Importanti per la formazione, le dimensioni e l’aspetto del trofeo, poi, non sono soltanto gli anni di vita, ma anche fattori genetici, lo stato di salute dell’animale, l’alimentazione e lo stress. Per il capriolo, invece, questa relazione età – dimensioni del trofeo non vale: fin dal secondo anno d’età, infatti, questo presenta sempre tre punte. Riduzioni delle dimensioni o del numero di punte del trofeo sono imputabili ad un cattivo stato di salute dell’animale, allo stress o, tutt’al più, a fattori genetici. Non sono rari i casi di animali con due o una sola punta o addirittura con palchi asimmetrici proprio per motivi ereditari. Cervo: cervus elaphus ippelaphus è del nord europa e pesa il maschio 150 Kg, mentre la femmina sugli 80. Mentre il cervus elaphus corsicanusus è quello sardo; il maschio pesa 120 kg, e la femmina solitamente meno di 100. L'habitat originario del cervo è costituito dalle zone boschive con presenza di radure o aree di boscaglia poco fitta, generalmente in ambiente pianeggiante o a basse altitudini : successivamente la specie si è sospinta in aree montuose od impervie per sfuggire alla pressione demografica e venatoria dell'uomo. È stato inoltre introdotto in numerosi ambienti ai quali si è adattato brillantemente, dalla brughiera alla foresta di conifere. Descrizione Dimensioni I maschi adulti possono essere lunghi sino a 2,50 m e alti, al garrese, sino a 1.2 m, con un peso che va da 80 a più di 150 kg. La femmina è notevolmente più piccola, raggiungendo solo eccezionalmente i 2 m di lunghezza e i 100 kg di peso[10]. A queste misure va aggiunta la coda, che in ogni caso non supera i 20 cm di lunghezza. Generalmente, gli esemplari delle popolazioni dell'Europa orientale raggiungono dimensioni maggiori (ad esempio la sottospecie nominale raggiunge i cinque quintali di peso), mentre quelli dell'area mediterranea hanno dimensioni inferiori (ad esempio il cervo corso non supera quasi mai il quintale di peso): tuttavia, se alimentati abbondantemente i cervi sono in grado di crescere ben al di sopra delle misure medie raggiungibili dalla popolazione in esame[6], mentre le popolazioni di qualsiasi sottospecie introdotte in altri Paesi possono rimanere di dimensioni molto contenute (anche mezzo quintale di peso)[11]. Aspetto Un maschio mentre bruca a sx, una femmina in atteggiamento di allerta a dx. Il tronco appare snello e allungato; leggermente rientrante nella regione inguinale; la spalla è arrotondata e muscolosa; il petto è largo e la groppa è diritta e potente. Il collo, lungo, piuttosto sottile e un poco compresso, sostiene alta la testa, allungata e larga all'occipite, con la fronte infossata tra gli occhi. Il muso, diritto, va assottigliandosi, e gli occhi, di media grandezza e vivacissimi, hanno le pupille ovali. <- I lacrimatoi del cervo: I lacrimatoi, piuttosto grandi, formano una specie di infossatura allungata, che scende verso gli angoli della bocca con le pareti interne secernenti la caratteristica sostanza oleosa, di cui il cervo si libera, soffregando la testa contro la corteccia degli alberi. Le orecchie sono lunghe, larghe e assai mobili. Gli arti, molto lunghi in proporzione al corpo, si presentano sottili ma robusti, con zoccoli stretti e appuntiti adatti a un velocissimo corridore e agilissimo saltatore, mentre gli unghioli delle dita posteriori sono ovali, troncati all'estremità e non toccano il suolo se non nella corsa. Il mantello, aderente e liscio, è composto di peli setolosi e di fine lanugine, che si allunga notevolmente sulla coda, mentre sul labbro superiore e intorno agli occhi crescono serie di lunghe setole: nei maschi, in particolare in quelli delle popolazioni diffuse in climi freddi, spesso è presente una criniera sul collo. La colorazione del mantello subisce variazioni a seconda delle stagioni, del sesso e dell'età degli individui: il mantello estivo appare brunastro o tendente al rossiccio, mentre in inverno è grigio-bruno, con un pelo notevolmente infittito. Nelle femmine, i medesimi colori vanno schiarendosi, come se sbiadissero, e i giovani presentano un abito rossastro con macchie bianche che tendono a scomparire con l'età. I palchi, (solo maschi) strutture analoghe ma non omologhe alle corna dei Bovidi, rappresentano la principale caratteristica dei maschi. Alla fine del primo inverno, sullo stelo, cresciuto nella regione frontale, compaiono i primi palchi, nutriti da uno strato di pelle riccamente vascolarizzata, detta velluto; in luglio essa raggiunge il suo massimo sviluppo, ossificandosi. Al suo secondo anno di vita, il giovane cervo, a causa della graduale diminuzione dei livelli di testosterone nel sangue (la crescita dei palchi è infatti legata al tasso di testosterone) subisce la decalcificazione della base dei primi palchi, che, al minimo urto contro un ostacolo, si staccano e cadono (intorno al 15 marzo). Il fenomeno si ripete, da qui innanzi, regolarmente ogni anno: i palchi cadono ma sullo stelo se ne formano subito di nuovi, che raggiungono le dimensioni massime entro quattro mesi, sempre ricoperti di velluto (pelle e pelo che vascolarizza la crescita ossea e che poi a luglio ischemizza e lasciano brandelli si sangue e velluto sugli alberi; a ottobre il palco è tutto osseo). Anno per anno, il volume, il peso e parzialmente il numero dello punte va aumentando. I palchi possono essere coronati (quando presentano 2-3-4-5-6 punte = 15 Kg) o forcuti quando terminano biforcandosi. Il palco cresce fino al picco, poi in età avanzata diventa più piccolo e il cervo diventa più taurino. Quanto alle dimensioni e al peso dei palchi, si nota una considerevole variabilità individuale: in generale, la lunghezza va da un minimo di 70 cm a un massimo, peraltro eccezionale, di 1,30 m. Il peso delle corna, negli individui adulti, è, in media, di 4-6 kg, con punte eccezionali al di sopra dei 10 e fino a 15-20 kg. Per quanto riguarda le malattie il cervo nobile può essere affetto da Brucellosi, Paratubercolosi, Leptospirosi, Toxoplasmosi, Malattia del deperimento cronico del cervo Biologia Il cervo si muove leggero ed elegante nei boschi più fitti, nelle praterie a diverse altitudini; è maestoso, veemente e veloce nel trotto e nel galoppo, tanto che in piena corsa può raggiungere e superare gli 80 km/h, agile e abile nel salto che, talvolta, può raggiungere in altezza anche i 2 m e più del doppio in lunghezza. Una certa importanza assumono, soprattutto in funzione della caccia, le impronte che gli zoccoli del cervo lasciano sul terreno. Sia i maschi che le femmine vivono in gruppi monosessuali, con queste ultime che portano con sé anche i cuccioli non ancora indipendenti. Nell'ambito dei gruppi, solitamente vi sono sempre un paio di esemplari che fanno da sentinelle mentre il resto del branco si nutre. Durante l'estate, i cervi tendono a migrare ad altitudini maggiori, raggiungendo le praterie in quota, dove il cibo è presente in maggiori quantità. Alimentazione La ricerca del cibo viene effettuata di solito nelle ore notturne: in primavera gli animali divorano le erbe fresche e tenere, i germogli, le foglie novelle e i ramoscelli. Durante l'estate vengono invece preferiti il grano maturo, l'avena, le carote e le barbabietole succose. L'inverno è certamente per questi animali la più triste e dura stagione dell'anno, poiché il terreno si ricopre di una coltre di neve, il suolo non produce più erba, e i rami non danno più foglie; i cervi, allora, si accontentano delle cortecce, degli arbusti secchi e delle radici penosamente scavate a colpi di zoccolo. Riproduzione All'inizio dell'autunno, precisamente da metà settembre a metà ottobre, inizia la stagione degli amori. In questo periodo, i maschi, che solitamente vivono in piccoli gruppi monosessuali, si separano e iniziano a sfidarsi tramite bramiti per rivendicare il possesso di una zona di bosco nel quale accoppiarsi con le femmine. Gli abbondanti pascoli primaverili hanno rafforzato l'organismo dei maschi, che sono divenuti vigorosi e sono pronti a mettersi in cammino per la lunga ricerca delle compagne. Durante questo periodo, essi abbandonano le loro consuete abitudini e i luoghi prima frequentati, divenendo inquieti e irascibili. Il cervo, quindi, raduna intorno a sé da 5 a 15 femmine, che custodisce gelosamente, a prezzo di lotte furiose contro tutti i rivali. Le lotte tra i maschi sono rare: infatti, prima di passare alle armi i contendenti si sfidano "a voce". Il potente bramito del cervo (una via di mezzo fra un muggito bovino ed un ruggito) serve appunto ai rivali per capire chi hanno di fronte: solo quando le capacità vocali si equivalgono i maschi si affrontano in campo aperto, ma anche a questo punto, prima di combattere, mettono in atto una serie di comportamenti rituali, ad esempio cominciano a marciare avanti e indietro lungo linee parallele per osservare le dimensioni delle corna e la robustezza dell'avversario. I cervi vengono contati proprio quando fanno i bramiti: iniziano alle 9 di sera per 3 orette. I picchi sono alle 12 e alle 6 di mattino. I maschi che bramiscono sono i più vecchi: con delle formule per ogni maschio che bramisce si ricavano gli altri soggetti della popolazione. <- Un cerbiatto. Trascorsi questi giorni, i maschi riformano i branchi, riprendendo la loro vita normale, mentre le femmine, riunite anch'esse in branchi separati assieme ai maschi più giovani, muovono alla ricerca di luoghi sicuri, dove trascorrere i primi tempi della gestazione. La gravidanza dura 260 giorni (8 mesi ca) e di norma, a ogni parto nasce un solo cerbiatto, raramente due: il cucciolo ha il dorso pomellato per meglio mimetizzarsi fra i cespugli, dove rimane perfettamente immobile e non può essere avvistato da eventuali predatori poiché non emana odore. La pomellatura viene persa alla fine dell'estate, quindi dopo una decina di mesi diventano rossi. Il cerbiatto resta nascosto nel fitto dei cespugli (dove la madre lo raggiunge solo per la poppata) per un paio di settimane, dopodiché esso è in grado di seguire il gruppo delle altre femmine con cuccioli nei suoi spostamenti: a due mesi i cerbiatti vengono svezzati, ma non si allontaneranno dalle madri prima di aver compiuto un anno d'età, ossia quando i maschi adulti li scacceranno per potersi accoppiare con le femmine. Sebbene la maturità sessuale venga raggiunta dai cervi verso il secondo anno di età, essi sono in grado di procreare solo alla fine del terzo anno. La speranza di vita in natura dei cervi si aggira fra i 10 ed i 15 anni, ma in cattività essi vivono tranquillamente oltre i venti anni. L’età si può guardare dai denti: il 3PM al terzo anno di età viene cambiato e passa da 3 cuspidi a 2 cuspidi; oppure si seziona il dente e si guardano le linee di crescita. Gli incisivi superiori sono assenti. Segni di presenza: - feci: sono diverse a seconda di cosa mangiano - impronta: come gli altri ungulati, l’anteriore è una volta e mezzo il posteriore. Rapporti con l'uomo Il cervo è sempre stato un'importante fonte di cibo per l'uomo: già nelle pitture rupestri risalenti al Paleolitico si possono infatti trovare abbondanti raffigurazioni di questi animali, solitamente in veste di preda o come entità spirituali. <- Un tronco scortecciato da un cervo: a volte questi animali possono arrecare danni anche ingenti ai boschi. Il cervo viene oggi allevato e riprodotto con successo dall'uomo per fini culinari, per l'uso della pelle e dei palchi (che trovano impiego nella medicina tradizionale asiatica), come animale da allevamento a scopo alimentare, amatoriale o da ripopolamento per essere reintrodotto allo stato selvatico o per uso venatorio. In Italia esistono diversi allevamenti soprattutto in Toscana come in altre regioni d'Italia ad esempio il Trentino, l'Emilia Romagna e le Marche dove vicino ad Osimo nel parco di Santa Paolina convive un piccolo gruppo con daini e mufloni Stato di conservazione I cervi non hanno, oltre all'uomo, dei veri nemici, in quanto nessun predatore è in grado di raggiungerli durante la fuga viste le loro straordinarie doti velociste. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ciò non aiuta a mantenere in buone condizioni le popolazioni di cervi, che sono ancora numerose in taluni boschi, soprattutto nelle zone protette. I predatori eliminano infatti tutti gli animali più deboli e malati, contribuendo quindi al miglioramento continuo della specie, poiché solo gli individui più dotati hanno la possibilità di riprodursi. Inoltre solo i membri dal pelo molto rosso possono essere accolti dall'harem in modo pacifico. In Italia, la popolazione peninsulare del cervo, diffusa originariamente su tutto il territorio, a partire dal XVII secolo cominciò a declinare a causa della pressione venatoria e dell'espansione degli insediamenti umani a danno degli ecosistemi boschivi, fino a quando non ne rimase che una misera popolazione relitta nel sopracitato Gran Bosco della Mesola, oltre a segnalazioni sporadiche di gruppetti provenienti dalla Svizzera in provincia di Sondrio: in seguito tali migrazioni da oltreconfine divennero sempre più numerose e consistenti, al punto che oggi la specie si è ristabilita con successo in tutto l'arco alpino centro-orientale ed è soggetta anche a prelievo venatorio autorizzato, mentre per quanto riguarda le altre popolazioni si tratta di individui introdotti a partire da popolazioni francesi e tedesche durante gli anni sessanta. L'attuale popolazione nazionale italiana ammonta in 40.000 capi circa: 11.500 nelle Alpi occidentali, 22.400 in quelle orientali, 5400 nell'Appennino settentrionale ed i rimanenti nel resto della Penisola. La crescita della popolazione è buona (al punto di aver spinto le autorità ad istituire campagne di abbattimento selettivo per evitare danni al patrimonio boschivo) e si prospettano future campagne di reintroduzione anche in altre aree idonee ad ospitare popolazioni stabili di questi animali. Per quanto riguarda la popolazione sardo-corsa, invece, essa sparì dalla parte settentrionale della Sardegna nei primi anni del secondo dopoguerra: a partire dagli anni ottanta, le varie campagne di sensibilizzazione della popolazione hanno permesso di aumentare il numero di esemplari ed espandere l'areale della specie, che attualmente conta circa 3000 capi. Alce: Alces alces L'alce (Alces alces, Linnaeus 1758) è il più grande animale di tutta la famiglia dei Cervidi, e si distingue dagli altri membri della stessa famiglia per la forma dei palchi (che è comune, ma scientificamente scorretto, definire corna) dei maschi. Queste salgono come raggi cilindrici su ogni lato, proiettati ad angolo retto dalla linea mediana del cranio, e si dividono a forchetta dopo breve distanza. La punta inferiore della forchetta può essere semplice oppure divisa in due o tre protuberanze, talvolta appiattite. Etimologia Il nome latino alces, da cui il nome volgare in italiano, alce, ha un'antica origine indoeuropea ed è la stessa parola dell'inglese elk e del tedesco Elch. In America elk indica invece il wapiti, mentre per l'alce si usa il termine moose, che si ritiene derivi dal vocabolo mus della famiglia linguistica algonchina. Sottospecie Nella sottospecie propria della Siberia orientale (Alces alces bedfordiae), la divisione posteriore della forchetta principale si suddivide a sua volta in tre protuberanze, senza appiattimento. Nell'alce comune (Alces alces alces), invece, questa ramificazione si espande in un'ampia struttura palmata, con un largo ramo alla base e un certo numero di seghettature minori sul bordo libero. Esiste tuttavia una variante scandinava dell'alce comune, in cui i palchi sono più semplici e ricordano quelli della sottospecie siberiana. I palchi palmati appaiono più marcati nella sottospecie nordamericana (Alces alces americanus) che non in quella scandinava. La sottospecie più grande è quella dell'Alaska (Alces alces gigas), che raggiunge mediamente una altezza di 210 cm al garrese e un'ampiezza dei palchi di 180 cm. Descrizione <- Diorama conservato al Museo civico di storia naturale di Milano La lunghezza delle zampe conferisce all'alce un aspetto decisamente goffo. Il muso è lungo e carnoso, e ha solo una piccola area glabra sotto le narici; i maschi posseggono una particolare sacca che pende dal collo, nota come "campana". A causa del corto collo l'alce non è in grado di brucare, e il suo principale nutrimento consiste in germogli e foglie di salice e betulla, nonché di piante acquatiche (come Arnicus brucitus). Questi ruminanti si trovano spesso a cibarsi nelle terre umide delle aree temperate. I maschi dell'alce hanno un peso medio di oltre 550 kg, e le femmine superano spesso i 400 kg. I piccoli pesano circa 15 kg alla nascita, ma aumentano velocemente di taglia. L'altezza al garrese varia generalmente dai 2,1 ai 2,3 m. Solo i maschi hanno le corna (palchi), con ampiezza media di 160 cm e di peso sui 20 kg, con forma palmata e appiattita, spesso orlata. Un alce dell'Alaska scoperto nel 1897 detiene il record come cervide moderno più grande; si trattava di un maschio di 2,34 m d'altezza e con un peso di 816 kg. Le sue corna avevano un'apertura di 199 cm. Distribuzione L'alce ha una distribuzione tipicamente circumpolare, essenzialmente legate alle foreste fredde o temperatofredde. In Nordamerica, il taglio delle foreste del nord ha ampliato verso settentrione la zona del Cervo dalla Coda Bianca. Nei punti di sovrapposizione delle aree dei due animali, l'alce è soggetto ai parassiti del cervo, come il verme cerebrale, il Parelaphostrongylus tenuis e il Dermacentor albipictus, che possono essere fatali alla popolazione di alci. Etologia <- Un esemplare femmina con un piccolo Benché generalmente timidi, i maschi divengono intraprendenti nella stagione dell'accoppiamento, quando le femmine lanciano forti richiami, spesso scambiati per muggiti bovini; in questa stagione i maschi lottano, sia usando le corna che gli zoccoli. Sono piuttosto frequenti infatti violenti scontri a cornate fra maschi. Il Presidente degli USA Theodore Roosevelt si riferiva a questo comportamento quando diceva "Sono forte come un alce". A causa di questa frase il partito di Roosvelt, il Progressive Party, divenne famoso come "Il Partito dell'Alce". Il passo tipico dell'alce è un trotto strascicato, ma se incitato l'alce può trasformarlo in un galoppo. La femmina dà alla luce uno o due piccoli alla volta, non pezzati. Nel Nordamerica, durante l'inverno, un maschio e diverse femmine formano talvolta il cosiddetto "recinto dell'alce", calpestando la neve per mantenerlo sgombro. Rapporti con l'uomo Un esemplare di alces alces mentre attraversa una strada in Alaska La femmina di alce è l'animale che uccide più persone in Canada (molte più di quante non ne uccida il grizzly nordamericano). Questi grandi animali sono molto protettivi nei confronti dei piccoli, quindi le femmine vanno avvicinate con estrema cautela. In inverno gli alci si vedono spesso nei fossi ai bordi delle strade mentre mangiano il sale sparso per sciogliere la neve. Questo minerale sostituisce i necessari elettroliti, come il sodio, che mancano nella loro dieta invernale. Infatti la loro dieta prevede un'integrazione di piante terrestri, più nutrienti ma povere di sodio, con piante acquatiche che, viceversa, sono più ricche di questo elemento ma poco nutrienti. D'inverno, i laghi gelati non lasciano loro alternativa che leccare il sale usato come antigelo per le strade, venendosi a creare dei seri problemi per la sicurezza stradale: la sua struttura corporea, un corpo massiccio sospeso su gambe lunghe ed esili, rende l'alce particolarmente pericoloso se colpito da un veicolo. Gli incidenti sono spesso fatali, sia per l'animale che per il guidatore. <- Cartello stradale norvegese Per questa ragione in Scandinavia è stato sviluppato il cosiddetto "test dell'alce", che verifica la capacità di un'auto di tenere la traiettoria dopo una violenta sterzata per schivare un ostacolo improvviso, come può essere appunto un alce. Nella cultura occidentale l'alce è spesso considerato un animale solitario, tranquillo e dall'intelligenza non particolarmente brillante. Un esempio è Bullwinkle, protagonista di un famoso cartone animato statunitense. Daino: dama dama. Dimensioni Misura circa 140-160 cm di lunghezza, con un'altezza al garrese di 90-100 cm; la coda misura circa 20 cm. Il peso può sfiorare gli 80 kg, si mantiene tuttavia solitamente attorno ai 60 kg. Il prof dice che il maschio può pesare 150 Kg, la femmina sui 80100 kg. Aspetto L'aspetto è quello tipico dei Cervidi, anche se nell'insieme il daino appare leggermente più basso e tozzo ed ha il collo in proporzione più corto rispetto al cervo nobile. Il colore del mantello varia a seconda della stagione: durante l'estate la parte dorsale è rossiccio-marrone maculata (pomellata) di bianco con una striscia nera che corre lungo la spina dorsale, grossomodo dalla nuca alla coda, dove si triforca andando a circoscrivere il posteriore, mentre la parte ventrale ed il posteriore sono bianchi; durante l'inverno la parte dorsale diviene grigionerastra, mentre quella inferiore diventa di colore grigio-cenere. Sono sempre pomellati, piccoli, adulti sia maschi sia femmine. Il grado di pomellatura dei fianchi è assai variabile da individuo ad individuo. A testimonianza della totale artificialità delle attuali popolazioni europee, non è infrequente notare nei branchi di daini esemplari bianchi, albini, melanici od isabellini. Dimorfismo sessuale I maschi, oltre a possedere i palchi, sono più grossi e robusti delle femmine: essi possiedono inoltre un pomo d'Adamo ben sviluppato. <- Un maschio di daino, si noti il pomo d'Adamo sviluppato. I palchi, presenti solo nei maschi, spuntano a partire dal secondo anno di vita. Essi hanno forma a pala (anche se per i primi anni di vita hanno forma a fuso) e rivolti all'indietro, con punte divergenti. Negli individui più anziani non è infrequente che cominci a crescere una seconda pala rivolta in avanti. I palchi cadono fra la fine di marzo e l'inizio di giugno, per essere rapidamente sostituiti da un nuovo paio più grosso e forte: inizialmente i nuovi palchi sono ricoperti dal cosiddetto velluto e riccamente vascolarizzati, ma col tempo il velluto si secca ed a partire dal mese di agosto l'animale comincia a strofinarli contro tronchi e rocce per liberarli da tale rivestimento ed essere così pronto per i combattimenti della stagione degli amori. Biologia Rispetto al cervo rosso, il daino è molto meno "selvatico", nel senso che non è così diffidente ed in particolare le femmine (che vivono in gruppi anche piuttosto consistenti, assieme ai cuccioli) si possono facilmente osservare anche durante il giorno, risultando scarsamente timorose dell'uomo. I vecchi maschi, che conducono vita perlopiù solitaria ed abitano zone più impervie, sono invece assai prudenti e difficilmente avvicinabili. Alimentazione Il daino è assai versatile in termini di alimentazione, in quanto si comporta indifferentemente da brucatore o da pascolatore. Questa specie non ha in genere preferenze per quanto riguarda il posto dove vivere e pascolare; si accontenta infatti del cibo che trova ed apporta pochi danni al terreno e alla vegetazione. Il suo nutrimento consiste in erba, foglie, germogli e frutta, ma anche funghi di ogni specie, sia quelli velenosi che quelli mangerecci. Il daino è un ruminante, cioè un animale che dopo aver ingoiato il cibo lo rigurgita per poi rimasticarlo più dettagliatamente in luoghi riparati e sicuri. L'alimentazione avviene durante tutta la giornata, anche se dei picchi di ingestione del cibo si hanno durante le prime ore del mattino e al tramonto. Riproduzione: Il periodo degli amori dura tra la metà di ottobre e l'inizio di novembre: in questo periodo, i maschi, solitamente solitari, si uniscono ai gruppi di femmine e cuccioli, scacciando i giovani maschi (che formano gruppetti monosessuali di 5-6 individui e rimangono ai margini dei territori dei maschi, nella speranza di accoppiarsi con qualche femmina all'insaputa del maschio dominante) e definendo un proprio territorio. I maschi difendono il proprio diritto ad accoppiarsi con le femmine da altri pretendenti a suon di cornate (fanno combattimenti in arene, detti leck: tutti i daini si radunano li, scavano un buco, lasciano i ferormoni e poi aspettano le femmine per riprodursi. Un cucciolo di daino: i piccoli daini sono ottimi corridori e non emanano alcun odore. La femmina può andare in estro varie volte durante la stagione degli amori, tuttavia essa tende ad accoppiarsi e portare avanti la gravidanza (che dura in media 28 settimane) solo al primo estro stagionale. In prossimità del parto, la femmina si isola dal branco e dà alla luce nel folto della macchia un solo cucciolo (ma non sono rari i parti gemellari), il quale è in grado di vedere e camminare già poche ore dopo la nascita. La femmina porta il cucciolo al branco quando esso ha circa 10 giorni di vita: fino a quel momento, il cucciolo viene lasciato da solo ed allattato ogni 4 ore circa, mentre per evitare di essere individuato da eventuali predatori rimane perfettamente immobile e confida nel mantello mimetico e nella caratteristica di non emanare odore. Il piccolo comincia ad ingerire cibi solidi attorno al mese di vita, anche se non può dirsi completamente svezzato prima dei sette mesi. Il cucciolo diviene indipendente a circa un anno d'età, anche se occorrono almeno altri sei mesi prima che esso raggiunga la maturità sessuale: in ogni caso, è raro che le femmine si accoppino prima del secondo anno d'età, mentre i maschi devono aspettare di aver compiuto almeno quattro anni per poter avere dimensioni del corpo e dei palchi sufficienti da poter sfidare con successo qualche maschio dominante. La speranza di vita dei daini si aggira attorno ai 9-10 anni. Rapporti con l'uomo Il daino viene allevato in cattività e riprodotto dall'uomo sia per uso culinario, sia per essere reintrodotto in natura. Molti esemplari vengono allevati anche per essere tenuti come animali ornamentali da giardino. Stato di conservazione Risente della caccia, dell'inquinamento e del disboscamento. Oltre all'azione dei predatori, in particolare del lupo. Il cervo abbaia. Lascia impronte simili al cervo ma più piccole, le feci sono quelle dei cervidi. Capriolo: È diffuso in gran parte dell'Europa continentale e in Gran Bretagna, mentre è assente da Irlanda, Portogallo e Grecia. Si trova sulle Alpi e sugli Appennini. Ultimamente, si assiste alla lenta ricolonizzazione dei boschi della pianura padana, in particolare del Parco del Ticino, ma anche dei recenti rimboschimenti realizzati lungo il Po grazie ai contributi dell'Unione Europea. Alcuni esemplari sono stati recentemente inseriti all'interno del Parco dei Nebrodi. Si tratta di esemplari provenienti dall'Emilia-Romagna e concentrati nella zona di Galati Mamertino, nell'ambito di un progetto di reintroduzione della specie. Il capriolo è diffuso in boschi aperti in cui il sottobosco sia fitto e che siano inframmezzati da radure e zone cespugliose, sia in pianura (anche dove questa è coltivata e pure dove l'agricoltura è intensiva purché trovi boscaglie dove rifugiarsi), sia in collina, sia in montagna, sia nelle zone umide. Descrizione Cucciolo di capriolo, nascosto nel sottobosco -> Il capriolo è un cervide di piccole dimensioni, dal mantello fulvo in estate. La gola e le parti ventrali e la regione perianale, detta specchio anale, sono bianche. La coda è cortissima e non emerge dal pelo, anche se nella femmina c'è un ciuffo di peli che ricopre la vulva. Il maschio possiede piccoli palchi con tre sole punte; questi cadono ogni anno (da ottobre a dicembre) e ricrescono alla fine dell'inverno, ovvero in marzo, poiché combattono ad agosto che è il periodo riproduttivo. Formula dentaria Arcata superiore 3 3 0 0 0 0 3 3 3 3 1 3 3 1 3 3 Arcata inferiore Totale: 32 Un capriolo è lungo tra 90 e 130 cm, e alla spalla è alto tra 55 e 77 cm. Pesa circa tra i 10 e i 27 kg. La femmina arriva ai 24 Kg, mentre il maschio anche ai 35 Kg. Comportamento <- Testa di un capriolo maschio: si notino le ghiandole odorifere sottto gli occhi In passato il capriolo veniva considerato un animale tendenzialmente solitario, ma oggi si sa che ha un comportamento sociale piuttosto complesso ed articolato. Infatti, mentre i maschi conducono per gran parte dell'anno un'esistenza solitaria (anche perché già alla fine dell'inverno tra di loro iniziano le dispute territoriali), le femmine spesso vivono riunite in branchi, composti in media da 3-7 individui (ma possono essere anche più grandi), diretti da una femmina dominante. In tali branchi le gerarchie ed i rapporti sociali sono ben definiti e strutturati. Nel periodo che va dalla tarda primavera all'inizio dell'estate (maggio-giugno) le femmine partoriscono 1 o 2 piccoli dal caratteristico mantello bruno fittamente maculato. Molto spesso, le femmine lasciano il cucciolo nascosto nell'erba alta, mentre loro vagano nei paraggi in cerca di cibo. Il periodo degli amori va da metà luglio a fine agosto ed il corteggiamento è costituito da una serie di inseguimenti da parte del maschio nei confronti della femmina. La gestazione dura circa 9 mesi e mezzo; infatti l'ovulo, una volta fecondato, si impianta nell'utero materno, ma rimane quiescente fino a dicembre, quando riprende a svilupparsi. Questa caratteristica viene detta ovoimplantazione differita -> ha una diapausa embrionale -> il piccolo nasce in primavera. Con l'arrivo dell'autunno, poi, anche i maschi si riuniscono ai branchi di femmine e spesso occupano un posto in fondo alla gerarchia. I giovani raggiungono la maturità sessuale dopo il primo anno di vita a circa 14 mesi di età. Può raggiungere un'età massima di 12-18 anni. Le feci sono a palline in inverno e a scibali in estate. Censimento in primavera: quando mettono le gemme gli alberi. L’oryctolagus cuniculus. Distribuzione e habitat Attualmente il coniglio è diffuso allo stato selvatico praticamente in tutta Europa (dal Portogallo sino alla Polonia, anche in Gran Bretagna ed alcuni territori di Norvegia, Svezia ed Ucraina) e nel Nordafrica. I conigli selvatici sono stati inoltre introdotti con successo in Australia, Nuova Zelanda, Cile ed in numerosissime isole. In Italia, la sottospecie huxleyi è diffusa in tutte le isole (Sardegna, Sicilia, Corsica, Malta, Elba ed isole minori), oltre che con popolazioni frammentarie in tutto il territorio peninsulare: a più riprese è stata importata e liberata sul territorio nazionale anche la sottospecie nominale. Predilige ambienti aperti, con clima secco e mite, ad altitudine non eccessivamente elevata: il suolo dev'essere soffice o sabbioso, in modo da permettere all'animale di scavarsi la tana. Un tempo i conigli selvatici si spostavano nelle aree rurali, dove il suolo appena arato era agevolmente colonizzabile, tuttavia con l'avvento delle moderne tecniche di aratura meccanica, molto più invasive, ciò non è più conveniente per l'animale. Dimensioni: Misura fino a 45 cm di lunghezza, per un peso che raggiunge i 2,5 kg: i maschi sono generalmente più grossi e robusti delle femmine. È quindi grande come un coniglio d’affezione. Aspetto Un coniglio selvatico in natura. Ha lunghe orecchie e grandi occhi neri situati sui lati della testa, che nelle femmine è più lunga e affusolata rispetto ai maschi. Le zampe posteriori sono robuste e più lunghe di quelle anteriori e mettono il coniglio in condizione di correre rapidamente. Invece di avere dei cuscinetti a protezione della pianta dei piedi, il coniglio ha una fitta copertura di peli che gli permette di non scivolare sia sulla roccia che sulla neve. Le zampe sono inoltre palmate per impedire alle dita di separarsi mentre l'animale salta o scarta di lato, provocando così cadute. La coda è molto corta e rivolta all'insù: essa è ricoperta sul lato inferiore di pelo bianco, che le dà un aspetto ovattato. La pelle è piuttosto scura e lucida nella parte superiore del corpo, mentre è grigio-biancastra nelle parti più basse. La pelliccia ha tre strati: un sottopelo, fitto, lanoso e soffice; uno strato mediano di peli più lunghi e più duri che danno al mantello il suo colore; un terzo strato (detto "di guardia") di peli ancora più lunghi ma meno fitti; Il rivestimento si infittisce durante la stagione invernale. Il pelo è solitamente bruno uniforme nella zona dorsale, con sfumature grigie sul quarto posteriore e color ruggine sulle spalle, mentre il ventre, la gola, la coda e la parte interna delle zampe sono bianche. Tutta l'area dorsale è brizzolata di nero: non sono rari anche gli esemplari completamente neri. Sotto il mento del coniglio vi sono delle ghiandole, più grandi nel maschio che nella femmina, le quali producono una secrezione che viene utilizzata per contrassegnare il territorio: i conigli hanno l'abitudine di fregarsi a vicenda il mento, specialmente tra coppie e con i neonati, e si presume che ciò permetta loro di riconoscersi. Biologia Si tratta di animali principalmente notturni e fortemente gregari, che possono vivere in colonie di grandezza direttamente proporzionale alla disponibilità di cibo. Una colonia tipo è composta da una decina di individui, senza distinzione di sesso: in ogni caso all'interno di ciascuna colonia (in particolare fra i maschi) vige un rigido schema gerarchico, che si traduce nella facilità di accesso all'accoppiamento o al cibo. Ciascuna colonia vive in un territorio che solitamente si estende per una decina di acri e nei maschi ha dimensioni maggiori, in modo tale da sovrapporsi con quelli di più femmine. Hanno gallerie, tane sociali -> spartizione delle aree. Nonostante l'idea di animale placido che l'opinione pubblica ha dei conigli, questi animali possono rivelarsi particolarmente aggressivi fra loro: in particolare i maschi, pur mostrando rituali aggressivi come lo spruzzare la propria urina sui contendenti, generalmente rispondono ad eventuali sfide attaccando immediatamente e ferendosi anche gravemente con morsi, graffi e calci[5]. Alimentazione Escrementi di coniglio selvatico, dalla caratteristica forma sferica. Usa le latrine, fa la cacca sempre li! Si tratta di animali erbivori, che si nutrono di una vasta gamma di materiali di origine vegetale, dall'erba alle foglie alle radici. Per ricavare il massimo quantitativo di nutrimento disponibile dal cibo, i conigli sono soliti reingerire parte delle proprie feci (le cosiddette "feci molli") per rielaborarne il contenuto (nel frattempo degradato dalla flora batterica) ed ottenere alcuni nutrienti essenziali. Riproduzione I conigli sono universalmente famosi per la propria capacità riproduttiva: la femmina va infatti in estro ogni 21 giorni (anche se l'ovulazione è indotta dall'accoppiamento) e tende a riprodursi durante i primi mesi dell'anno, anche se in condizioni favorevoli può allevare i piccoli durante tutto l'anno al ritmo di una cucciolata al mese. Tuttavia, in condizioni di stress essa può abortire spontaneamente o riassorbire gli embrioni. Le modalità di corteggiamento del coniglio selvatico sono tuttavia state ancora poco studiate: pare che i maschi di rango più alto abbiano degli harem (poliginia), mentre quelli di ranghi più bassi tendano a formare delle coppie stabili (monogamia).[senza fonte] La gestazione dura un mese, al termine del quale vengono dati alla luce dai 3 ai 14 cuccioli: prima di partorire la femmina tende a scavarsi un cunicolo a fondo cieco nella tana, che ricopre col proprio pelo e con erbe secche, oppure se è il suo primo parto scava un cunicolo nel terreno ex novo, che poi verrà ampliato negli anni successivi. I cuccioli nascono nudi e ciechi, e la femmina li visita per una manciata di minuti al giorno per la poppata: sono tuttavia estremamente precoci e già a tre settimane possono essere svezzati. L'indipendenza dalla madre viene raggiunta a un mese di vita, ma la maturità sessuale non sopravviene prima dell'ottavo mese di vita. La speranza di vita di questi animali è di circa 9 anni, anche se in generale il 90% degli esemplari muore prima di raggiungere l'anno d'età, a causa della forte pressione predatoria e venatoria alla quale l'animale è sottoposto. ha un ruolo legato alla mixomatosi. Lepre: lepus. Popolazioni italiane In Italia, il genere è rappresentato da quattro specie con differenti areali, in parte sovrapposti: generalmente, le specie non si incontrano mai o solo raramente, occupando nicchie differenti. - La lepre comune (Lepus europaeus) è la specie con la più vasta distribuzione. Presente in tutto il territorio nazionale, tranne Sardegna e Sicilia -> è stata introdotta dai paesi dell’est per la caccia. - La lepre italica o lepre appenninica (Lepus corsicanus) era in passato diffusa in Sicilia e nel territorio della penisola (Italia centrale e meridionale). Attualmente ha un areale molto frammentato nella penisola, mentre copre l'intero territorio della Sicilia. - La lepre sarda Lepus capensis mediterraneus è presente in un areale continuo in tutto il territorio della Sardegna e in alcune isole minori (Asinara, La Maddalena, Isola di San Pietro, Isola di Sant'Antioco). - La lepre bianca (Lepus timidus) è infine distribuita su tutto l'Arco Alpino -> lepre variabile; è bianca in inverno. Distinguiamo l’europea dall’italica perché l’europea presenta una macchia bianca netta sul ventre, mentre nell’italica la macchia bianca è sfumata. Nelle lattrine il terreno è bruciato: non sono lattrine fisse (tombini, prati etc…). Nel maschio le feci sono opercolate nella femmina sono tonde. Per dare l’età si usa il tubercolo di Stroth nel radio (c’è fino ad un anno di vita). MUSTELIDI I mustelidi (mustela) portano malattie come il cimurro, la pravo virosi, l’influenza (in UK sono importanti per la tbc). La donnola (12-18cm): vive nelle cavità del terreno o dei tronchi degli alberi, fino ad altitudini di circa 2800 metri. Si trova sia nei campi che nei boschi anche se frequentati dall'uomo. Costruisce la sua tana in zone pietrose o anche in gallerie scavate nel terreno. Essendo un carnivoro, va a caccia, spesso di notte, alla ricerca di conigli, lepri, topi e uccelli di piccola taglia. Quando vive in vicinanza dei fiumi, non disdegna piccoli insetti, rane e anche qualche biscia, se di modesta taglia. Si riproduce spesso anche due volte l'anno e la gestazione dura circa cinque settimane. La nidiata media è di circa 3/6 cuccioli, a seconda della disponibilità di cibo nella zona in cui vive la madre. I piccoli vengono allattati per circa due mesi e diventano indipendenti all'età di circa quattro mesi. L’ermellino ha un ciuffo nero sulla cosa, vivo a 2500 metri, in inverno è bianco, quando muore un animale lo portano in processione. Descrizione. La coda ha una lunghezza che va dagli 8 ai 12 cm. Il corpo varia da 22 a 32 cm. I maschi sono molto più grandi delle femmine. Il corpo è lungo e snello, con corte zampe. La sua caratteristica principale è quella di cambiare il colore della pelliccia di stagione in stagione. In estate, è bruno rossastro nella parte superiore del corpo e bianco nella parte inferiore, con sfumature giallastre. La punta della coda è nera. In inverno la pelliccia diventa totalmente bianca, tranne la punta della coda che rimane nera. La sua pelliccia è stata molto ricercata, soprattutto nella variante bianca, per l'industria della pellicceria, scatenando una vera e propria caccia, che ha causato una grande riduzione della popolazione. È un grande carnivoro. Distribuzione e habitat Ha una ampia diffusione in tutto l'emisfero settentrionale, dal Nord America all'Europa all'Asia, estendendosi dalla zona temperata sino alla regione artica. È stato introdotto in Nuova Zelanda, nel tentativo, mal riuscito, di controllare l'espansione dei conigli, e si è rivelato un pericolo per la sopravvivenza di molte specie di uccelli, di cui preda voracemente le uova per cui è stato inserito nell'Elenco delle 100 specie aliene più dannose del mondo. In Italia è presente, con un areale frammentato, solo sull'arco alpino[1]. L'ermellino vive soprattutto nei boschi, ma è molto adattabile e si può trovare anche nelle brughiere, nelle praterie e lungo le siepi. Ecologia Questo carnivoro utilizza una vasta gamma di ambienti, preferendo quelli che gli offrono una maggiore disponibilità di rifugi naturali per la presenza di vegetazione arbustiva e di pietre. La specie è quindi presente nelle foreste con ricco sottobosco, nelle pietraie, o nella prateria alpina fino ad un'altitudine di 3500 metri. Biologia L'attività dell'Ermellino si esplica sia di giorno sia di notte. Fra i carnivori è senz'altro una delle specie più facilmente osservabili in natura, sia a causa della sua attività diurna sia a causa del suo temperamento curioso. Può infatti accadere che, avvistato un estraneo, l'Ermellino si nasconda immediatamente, per poi ricomparire all'improvviso nell'intento di controllare i movimenti dell'intruso. Riproduzione Il periodo degli amori può verificarsi sia in primavera sia in estate. Nel primo caso si ha una gestazione normale che dura circa due mesi. Nel secondo caso invece si assiste ad una gestazione, apparentemente molto lunga, della durata di 8-12 mesi; ciò permette di adeguare le date di nascita alle migliori condizioni ambientali per lo sviluppo dei piccoli. Nel secondo tipo di gestazione lo sviluppo dell'uovo fecondato prosegue per 14 giorni dopodiché vi è un periodo di quiescenza, cioè un arresto nella crescita, che dura parecchi mesi; successivamente l'uovo si impianta nell'utero e si sviluppa normalmente. La femmina partorisce 5 o 6 piccoli nei luoghi più disparati: fessure nella roccia, cavità naturali nel terreno, pietraie o anche angoli nascosti di case o malghe abbandonate. Costruisce le sue tane sotto terra, in lunghi cunicoli, dove si rifugia immediatamente in caso di pericolo. Se minacciato, produce un forte e sgradevole odore di muschio dalle ghiandole anali. Alimentazione La dieta dell'ermellino, essenzialmente di tipo carnivoro, comprende piccoli roditori (in particolare l'arvicola delle nevi) oltre a uccelli, rettili ed invertebrati. L'animale esplora attentamente l'ambiente in cerca delle tracce della propria preda, utilizzando in particolare l'olfatto. Avvistata la preda, l'ermellino si avvicina ad essa con molta circospezione e, tramite un balzo fulmineo, l'afferra a livello della nuca per provocarne la morte istantanea. L'animale ucciso viene immediatamente divorato oppure trasportato nella tana dove va a costituire una riserva alimentare. Faina: martes foina Distribuzione: la specie è diffusa in gran parte d'Europa (comprese Creta e numerose isole dello Ionio e dell'Egeo), fatta eccezione per Scandinavia, Irlanda, Gran Bretagna ed isole Baleari, dove peraltro una sottospecie distinta pareva vivere fino agli anni sessanta: il suo areale comprende anche l'Asia Minore e centrale, fino alla Manciuria. Una colonia riproduttiva è stata inoltre impiantata nel Wisconsin[3]. In Italia la sottospecie nominale è presente in tutta l'area peninsulare. Frequenta una grande varietà di ambienti, dalla pianura fino a 2000 m d'altezza: predilige le aree forestali o boschive ed è comune anche in aree antropizzate, dove si adatta alle aree periferiche e rurali degli insediamenti umani, mentre evita con cura i grandi spiazzi aperti. Dimensioni: Misura 45-50 cm, cui vanno sommati 25 cm di coda, per un peso medio di un paio di chilogrammi. Lo studio dei resti fossili appartenenti a questa specie ha messo in evidenza una graduale ma costante diminuzione della taglia nel corso della sua evoluzione-> è grande come un gatto e ha una macchia bianca sul petto. Aspetto: Il pelo è corto e folto: sul dorso esso si presenta di colore marroncino, con tendenza a schiarirsi su muso, fronte e guance: le orecchie sono tondeggianti ed orlate di bianco, mentre le zampe presentano delle "calze" di colore marrone scuro. Sulla gola e sul collo è presente una caratteristica macchia bianca o, più raramente, giallognola che si spinge fino al ventre e prosegue fino a metà della parte interna delle zampe anteriori. Si differenzia dalla martora comune per la macchia golare bianca ed allungata verso il ventre (anziché giallognola e meno estesa), per le dimensioni un poco minori, le zampe e il muso più corti, le orecchie e gli occhi di dimensioni minori ed in generale l'aspetto più slanciato. Biologia. La faina è un animale dalle abitudini squisitamente notturne: utilizza come rifugi diurni cavità od anfratti riparati in antichi ruderi, nei fienili, nelle stalle, nelle pietraie, tra le cataste di legna o nelle cavità naturali delle rocce, dalle quali esce al tramonto od a notte fatta. Si tratta di animali principalmente solitari, che delimitano un proprio territorio di estensione compresa fra i 15 e i 210 ettari: le dimensioni di quest'ultimo variano a seconda del sesso (territori dei maschi più estesi rispetto a quelli delle femmine) e della stagione (è stata riscontrata una diminuzione invernale dell'estensione del territorio)[5]. Alimentazione Si tratta di una specie tendenzialmente onnivora, che si nutre di miele (risulta immune alle punture di ape e vespa), bacche, uova (delle quali incide il guscio coi canini per poi succhiarne fuori il contenuto), e piccoli animali: la carne, tuttavia è la componente preponderante della sua dieta. Cerca il cibo principalmente al suolo, pur dimostrandosi una provetta arrampicatrice, dove si nutre di bacche, frutti, uova e nidiacei d'uccello. Per agguantare le prede di maggiori dimensioni, come fagiani e ratti, la faina dimostra una grande pazienza, appostandosi per ore nei luoghi in cui questi animali sogliono passare. Al passare della preda, l'animale le balza fulmineamente addosso, atterrandola e finendola con un morso alla gola. Spesso l'animale procura danni alle attività umane: durante la ricerca di nidi, nidiacei e pipistrelli, tende a danneggiare i tetti delle case spostando le tegole, inoltre ha la tendenza a mettere fuori uso le automobili masticandone i tubi in gomma. Quando la faina riesce ad intrufolarsi in un pollaio od in una conigliera, poi, spesso uccide un numero di animali molto maggiore del suo fabbisogno immediato di cibo: questo comportamento, riscontrato anche in altri Mustelidi (come l'ermellino) e noto come surplus killing, ha fatto nascere la credenza popolare (peraltro errata) secondo la quale questo animale si nutrirebbe principalmente, od addirittura esclusivamente, del sangue delle proprie prede[6]. Riproduzione [modifica] La stagione riproduttiva cade durante l'estate: durante questo periodo gli animali perdono la loro spiccata territorialità e possono essere visti anche durante il giorno, mentre durante la notte echeggia il loro lamentoso richiamo di accoppiamento. I maschi durante il periodo riproduttivo tendono ad aumentare l'estensione del proprio territorio e ad accoppiarsi con tutte le femmine il cui territorio si sovrapponga parzialmente col proprio. L'accoppiamento vero e proprio, che può durare oltre un'ora, avviene dopo una serie di schermaglie durante le quali la femmina risponde aggressivamente agli approcci del maschio, che emette richiami sommessi ed infine la monta mordendola ai lati del collo, dove sono presenti depositi di grasso sottocutaneo. Dopo la copula, il maschio è solito pulirsi accuratamente. La gestazione dura circa otto mesi, al termine dei quali vengono dati alla luce da uno a quattro cuccioli: tale lasso di tempo è dovuto al fatto che l'impianto dell'ovulo fecondato avviene nella primavera dell'anno successivo all'accoppiamento, dimodoché l'embrione comincia a svilupparsi a partire da febbraio. I piccoli vengono svezzati attorno ai due mesi di vita: l'indipendenza completa tuttavia non viene raggiunta prima dell'anno, mentre la maturità sessuale viene raggiunta fra i 15 mesi ed i due anni e mezzo. L'aspettativa di vita in natura di questi animali è di 5-10 anni, mentre in cattività possono tranquillamente sfiorare i venti anni di vita. Martora: ha la macchia gialla anziché bianca, altrimenti sarebbe del tutto uguale alla faina. Vive sugli alberi. La lontra: lutra lutra. È un'ottima nuotatrice e la sua dieta consiste quasi esclusivamente in pesce. Ha una pelliccia marrone intenso nella parte superiore e più chiara nella parte inferiore, specialmente sulla gola. Il corpo è allungato e la coda è lunga e affusolata. Il muso è tozzo e coperto di baffi robusti. Le orecchie sono molto piccole. Le zampe sono corte con piedi palmati, utili per il nuoto. Spesso può spingersi sino alle zone costiere, quando c'è carenza di cibo. La lontra è un predatore e si nutre principalmente di pesci (in genere preferisce le anguille e le trote), mangia anche gamberetti e altri invertebrati e non disdegna nemmeno gli uccelli acquatici. Sulla terra preda arvicole, conigli e altri piccoli mammiferi. Generalmente è notturna. Passa molto tempo in acqua. Per costruirsi la tana approfitta quasi sempre delle buche che le acque dei fiumi lasciano sulle rive; raramente utilizza le cavità naturali tra le radici di vecchi alberi o le tane abbandonate da tassi o volpi. Il periodo riproduttivo dura solitamente da febbraio a marzo, ma gli accoppiamenti al di fuori di questo periodo non sono rari, pertanto i piccoli possono nascere durante tutto il periodo dell'anno. La gestazione dura nove settimane e la femmina partorisce da 2 a 4 piccoli che nascono con occhi chiusi e quasi inappetenti. Diventano sessualmente attivi poco prima dei tre anni di età. Gli esemplari adulti vivono isolati o in piccoli gruppi familiari, tuttavia le femmine tengono presso di sé la prole per molto tempo. La lontra vive solo in zone non antropizzate ed è molto sensibile all'inquinamento, inoltre è un'ottima pescatrice che è entrata in competizione con l'essere umano: questo significa che negli ultimi 2-3 secoli la convivenza non è stata per nulla facile, a discapito della lontra, che è stata cacciata, nel XX secolo anche per la sua pelliccia, usata per abbigliamento femminile. Dichiarata specie a rischio nel 1977 in Italia, è più facile incontrarla nelle ampie zone selvagge del nord Europa. La puzzola: mustela putorius. Dimensioni Due pelli di puzzola: notare le maggiori dimensioni del maschio (sin) rispetto alla femmina (dx). Misura fino a 60 cm di lunghezza, di cui fino a 20 cm spettano alla coda, per un peso che può superare il chilo e mezzo: questi valori massimi, tuttavia, si riferiscono esclusivamente ad esemplari di sesso maschile, in quanto in questa specie i maschi sono molto più grandi delle femmine, arrivando a pesare il doppio di esse e a misurare fino a un terzo in più in rapporto al gentil sesso. Aspetto Il corpo ha forma cilindrica ed è allungato ed affusolato, in contrasto con le zampe corte e tozze: quando l'animale corre, esso compie ampie falcate piegandosi come un bruco, acquistando una velocità del tutto inaspettata. La testa è massiccia ed arrotondata, con una caratteristica conformazione mandibolare, quasi sigillata al resto del cranio che conferisce all'animale una presa eccezionale durante il morso[7]. Il pelo, rado e setoloso d'estate e folto e sericeo d'inverno, è di colore bruno scuro sul dorso, con tendenza a scurirsi man mano che si va verso la zona ventrale, che, così come le zampe e la coda, tende al colore nero: è presente inoltre un folto sottopelo di color crema, la cui presenza è particolarmente evidente sui fianchi dell'animale. La testa, anch'essa nera, presenta dei disegni bianchi o di color crema su orecchie, muso e guance che vanno a formare una curiosa mascherina attorno agli occhi. Biologia La puzzola ha abitudini prettamente notturne e solitarie: durante il giorno cercano rifugio in una cavità tranquilla, che può essere rappresentata sia da un anfratto naturale fra le rocce che dalla tana abbandonata (o dalla quale il legittimo proprietario viene scacciato in malo modo od ucciso) di una volpe o di un coniglio. Nelle aree antropizzate le puzzole utilizzano anche le cataste di legname o le abitazioni come rifugi diurni. Al calare delle tenebre, l'animale esce in cerca di cibo, muovendosi velocemente sulle corte zampe (che durante la deambulazione vengono mosse a mo' di planata): la puzzola si muove prevalentemente sul terreno, in quanto è assai meno atta di altri mustelidi (in primo luogo la faina e la martora) all'arrampicata ed al movimento fra le fronde. A causa delle sue abitudini spiccatamente solitarie, la puzzola è assai poco comunicativa e per la maggior parte del tempo resta in silenzio: è tuttavia in grado di emettere brevi guaiti o squittii, mentre l'animale eccitato o spaventato emette dalle ghiandole sottocaudali il caratteristico liquido maleodorante per il quale l'animale è tanto conosciuto. Tale liquido, tuttavia, non avrebbe scopo difensivo come spesso si è pensato, quanto piuttosto una funzione territoriale, in quanto le puzzole prese in cattività non emanano quasi del tutto l'odore molesto[8]. Oltre che col proprio odore, le puzzole sono solite lasciare in segno di avvertimento per altri esemplari le proprie feci lungo i tragitti che il padrone di casa è solito percorrere, avendo cura di depositare i propri escrementi in luoghi strategici. Alimentazione Si tratta di animali prettamente carnivori: si nutrono principalmente di ratti, topi e conigli, uccelli e loro uova, rane[9][10], lucertole e serpenti. In particolare adorano i rospi li capovolgono e li spellano a rovescio. Fa i frigoriferi (fa la scorta). Del tutto infondata è la credenza secondo la quale la puzzola sia immune al veleno delle vipere, che è solita cacciare. La puzzola individua la preda grazie allo sviluppatissimo olfatto: una volta raggiunta, l'animale azzanna la malcapitata vittima al collo, serrando le mascelle in modo così tenace che è possibile sollevare l'animale in aria assieme alla sua preda senza che esso allenti la presa. In tal modo, le puzzole hanno ragione anche di animali di dimensioni assai maggiori, come i grossi conigli. Le puzzole usano trasportare prede di piccole dimensioni afferrandole a metà dorso, più o meno come fanno i cani da caccia quando riportano la selvaggina[11]. Quando il cibo scarseggia, la puzzola può ripiegare sugli invertebrati ed addirittura cominciare a nutrirsi di bacche e frutti: essa è tuttavia assai meno atta dei suoi parenti Canidi ed Ursidi a digerire tali tipologie di cibo, e perciò se ne nutre solo in casi eccezionali. Riproduzione La stagione degli amori cade durante l'inverno: i maschi (che spesso lottano fra loro per conquistarsi il diritto di accoppiarsi con la femmina) durante la copula afferrano coi denti la nuca delle femmine, scuotendole con veemenza. Un cucciolo di puzzola: la caratteristica mascherina non compare prima dei tre mesi di vita. La femmina è in grado di ritardare per varie settimane l'impianto dell'ovulo fecondato sulle pareti uterine: per questo motivo, anche se l'accoppiamento avviene in inverno, i cuccioli nascono solitamente in aprile-maggio. La gestazione dura circa sei settimane, al termine delle quali la femmina dà alla luce una cucciolata comprendente dai tre agli otto cuccioli, ciechi, sordi e ricoperti da una rada pelliccia biancastra, mentre la pelle è di colore rosato: in prossimità del parto, essa comincia a foderare il proprio nido con erba secca e pelo per renderlo più confortevole. I cuccioli vengono svezzati attorno al mese d'età: la femmina tuttavia continua ad accudirli sino al raggiungimento della taglia adulta (attorno al terzo mese) anche se i cuccioli non possono dirsi sessualmente maturi prima dei sei mesi di vita. La femmina è solita partorire una sola volta all'anno: se tuttavia, per qualche motivo, la nidiata non sopravviva, essa può andare nuovamente in estro per rimpiazzarla. Il tasso: meles meles. Ha un cranio molto simile a quello dell’orso. Vive un sacco in galleria. Pericolo tbc: rimane nelle tane che sono colonizzate da altri tassi. Mangiano i lombrichi scavando le cacche delle mucche -> ricircolo tbc col domestico. Pesa 10 Kg, fa le lattrine, mangia frutta e altro. Biologia Impronte sulla neve lasciate da un tasso -> La sua attività principale consiste nella costruzione delle tane. È un animale notturno che può rimanere attivo, senza fare ritorno alla tana, durante tutta una notte. Nel periodo invernale non cade in letargo ma l’attività è notevolmente ridotta. In caso di forte abbassamento della temperatura o di condizioni atmosferiche particolarmente sfavorevoli, può trascorrere anche diverse settimane nella tana; a questo scopo in autunno gli animali portano erbe secche e muschi per imbottire i locali dove trascorrono le lunghe fasi di riposo invernale. Durante questi periodi il tasso utilizza il grasso accumulato durante la stagione favorevole. Per la deambulazione il tasso poggia sul terreno quasi l'intera pianta del piede, è dunque un semi-plantigrado, che lascia particolari impronte, lunghe 5-7 cm, dove si evidenziano bene le cinque dita con le relative unghie. Voce: Il tasso può emettere una vasta gamma di suoni: soffi, brontolii, abbaii e grida acute come segnale di inquietudine. Riproduzione: Il periodo degli amori si colloca tra la primavera e l'estate; ad ogni parto nascono in media da 2 a 4 piccoli che vengono allattati per 2-3 mesi. La loro prima uscita fuori dalla tana avviene circa 60 giorni dopo la nascita. Tana: Ingresso di una tana di Meles meles -> L'animale usa, come riparo, grotte naturali, anfratti nelle rocce o tane che esso stesso scava nel terreno. Scava profonde e intricate tane nel sottosuolo del bosco, lungo argini naturali ed artificiali. Le tane, dotate generalmente di due o tre aperture, hanno al loro interno numerose gallerie, che vengono ingrandite via via dalle generazioni successive di tassi che vi abitano. Dalla tana si dipartono in varie direzioni numerosi sentieri molto ben battuti dal frequente passaggio dell'animale, che tende ad usare percorsi fissi nei suoi spostamenti. In un'unica tana possono vivere contemporaneamente più esemplari di tasso; è interessante notare che, a volte, una parte della tana occupata dal tasso viene utilizzata anche dalla volpe. In questo caso i due animali usano ingressi e gallerie diverse. Non lontano dalla tana si possono trovare piccole buche nel terreno (latrine) dove il tasso depone i suoi escrementi. Cibo e alimentazione Si nutre durante la notte ed è un animale onnivoro: in particolare mangia morbide radici che scalza con le sue poderose zampe ungulate e poi tuberi, rizomi, vermi, lumache e piccoli serpenti compresa la vipera, al cui veleno risulta immune. Non esita a introdursi in pollai e conigliere. FELIDI Gatto selvatico: C’è il felis lybica (sardo) e il silvestris (selvatico). Sono presenti lungo l’appenino centromeridionale e sulle isole. I segni di presenza sono le impronte e i miagolii. Lince: lynx. Presente in trentino e veneto, mangia caprioli. Sulle Alpi era un tempo presente la sottospecie Lynx lynx alpina, oggi probabilmente estinta. In Italia la presenza della lince è ben documentata sulle Alpi Giulie (Provincia di Udine) in particolare nelle Valli del Natisone e Torre, nella Val Resia e Val Canale dove è giunta dalla vicina Slovenia. Dopo un progetto di ripopolamento che ha avuto scarso successo, è presente, in modo estremamente sporadico anche nel Parco Nazionale del Gran Paradiso la Lince europea nella sottospecie Lynx lynx carpathicus. La lince è presente anche nel parco nazionale d'Abruzzo, dove almeno fin agli inizi del XX secolo la presenza è certa, confermata in numerosi documenti di ricercatori e studiosi dell'epoca. Fonti incerte parlano inoltre di avvistamenti anche nell'appennino Tosco-Emiliano dove sono già presenti coppie stanziali di lupi. La lince rossa Lynx rufus, più piccola della lince europea, è il felino più diffuso negli USA dove prende il nome di wildcat o bobcat. Fra le sottospecie di lince eurasiatica alcuni autori presentano la lince della Sardegna Lynx lynx sardiniae MOLA, 1908 di cui non c’è alcun riferimento in alcun museo, non ci sono resti di nessun tipo. Indagini condotte dalla Regione Sardegna non hanno riscontrato la presenza di una lince neanche allo stato fossile, per tanto la lince in Sardegna non è mai esistita. Mola la descrive sommariamente, come un grosso gatto selvatico.(Stefano Orga – direttore del Museo Zoologico di Avellino) CANIDI Lupo: Canis lupus. Caratteristiche: Tra i canidi il lupo è il più grande come dimensioni: lunghezza tra i 145 e i 160 cm., altezza tra i 90 e i 110 cm. Il colore del suo mantello varia a seconda dell'età e delle stagioni; generalmente grigio-giallastro o marronerossiccio. Il lupo presenta una dentatura caratterizzata da canini affilati, lunghi e ricurvi verso l'interno. Questo animale raggiunge al massimo i 10 anni di vita in libertà e i 17 in cattività. Il peso del lupo varia geograficamente; in media il peso per il lupo eurasiatico è di 38.5 kg, per il lupo nord americano è di 36 kg, per il lupo indiano e il lupo arabo è di 25 kg, anche se - raramente - sono stati identificati, in Alaska e Canada, alcuni esemplari dal peso superiore ai 77 kg. Un esemplare selvatico, ucciso nel 1939 in Alaska, raggiungeva il peso record di 80 kg. La fronte è ampia, le mandibole particolarmente robuste, gli occhi sono chiari, generalmente di colore diverso e dal taglio leggermente obliquo, le zampe hanno dei piccoli artigli affilati non retrattili. La mascherina facciale di un lupo adulto si estende intorno alle labbra inferiori e superiori ed è di colore bianco-crema, mentre negli individui giovani può essere incompleta oppure scura in prossimità del muso. Le orecchie hanno generalmente un'attaccatura più laterale e sono più lunghe e larghe. Solitamente non le porta mai flosce e calate lungo i lati della testa, bensì le tiene in posizione eretta lungo il profilo della testa. Il pelo ha sempre una colorazione varia che comprende colori dal marrone antracite al marrone chiaro; ma anche nero, beige, bianco o fulvo. Sul dorso la colorazione è beige con punte nere, sulla parte superiore delle zampe anteriori vi è spesso una vistosa striscia nera e infine il torace è quasi sempre marrone chiaro. Molto vorace, appartiene all'ordine dei carnivori ed è classificato nel genere dei superpredatori. Struttura sociale e caccia: il branco. La funzione di ogni lupo è organizzata all'interno di un branco, con una struttura sociale fortemente gerarchica. Il branco è guidato da due individui che stanno alla punta della piramide sociale, il maschio alfa e la femmina alfa. La coppia alfa (di cui solo uno dei due componenti può essere il "capo") possiede più libertà rispetto al resto del branco, anche se i due non sono capi nel senso umano del termine: gli individui alfa non impartiscono ordini agli altri lupi; bensì, possiedono la libertà di scegliere cosa fare, quando farlo, dove andare, quando andare. Il resto del branco, che possiede un forte senso della collettività, solitamente li segue. Anche se la maggior parte delle coppie alfa è monogama, ci possono essere alcune eccezioni: un individuo alfa può preferire l'accoppiamento con un lupo di importanza minore nella scala sociale, in particolare se possiede legami di parentela molto vicini con l'altro alfa (fratello o sorella, ad esempio). Si è osservato che se un esemplare Alfa muore, il compagno o la compagna spesso non forma una nuova coppia con un altro soggetto, ma rimane da solo a guidare il branco. Tuttavia a volte può succedere che il lupo o la lupa vedova prendano un nuovo compagno. Solitamente, solo la coppia alfa è in grado di crescere una cucciolata (gli altri lupi del branco possono allevare, ma, di solito, non possiedono le risorse necessarie a portare i cuccioli alla maturità). Tutti i lupi del branco assistono la crescita dei cuccioli. I piccoli, quando diventano adulti, possono scegliere se rimanere all'interno del branco e aiutare ad allevare i nuovi nati, opzione di solito scelta da alcune femmine, oppure disperdersi, scelta presa in considerazione più che altro dai maschi. La grandezza del branco può cambiare con il passare del tempo secondo alcuni fattori, come l'habitat, la personalità individuale dei lupi, o la quantità di cibo disponibile. I branchi possono contenere dai 2 ai 20 lupi, sebbene un branco medio contenga circa 6 o 7 lupi. Un nuovo branco si forma quando un esemplare abbandona il suo branco di nascita e rivendica un suo territorio. I lupi solitari possono viaggiare in cerca di altri individui anche per distanze molto lunghe. Gli individui che si disperdono devono evitare i territori di altri lupi perché gli intrusi su territori già occupati vengono cacciati via o uccisi. Gerarchia: La gerarchia (guidata dalla coppia alfa) influisce su tutte le attività del branco. Nei branchi più grandi, si possono trovare, oltre a quella principale, altre due gerarchie separate: la prima viene esercitata sui maschi del branco ed è guidata dal maschio alfa, l'altra sulle femmine del branco, ed è governata dalla femmina alfa. In questo caso, il maschio alfa sarà il componente più importante della coppia alfa, sebbene, in alcuni casi, sono state osservate situazioni in cui la femmina alfa abbia preso il controllo dell'intero branco. Le gerarchie del maschio e della femmina sono interdipendenti, e sono costantemente mantenute da complesse e aggressive manifestazioni di predominio e di sottomissione. Oltre alla coppia alfa, si possono trovare, specialmente nei branchi molto grandi, un lupo o dei lupi beta, un "secondo in comando" rispetto agli alfa. Normalmente, i beta assumono un ruolo più importante nel gruppo aiutando l'allevamento dei nuovi nati, spesso sostituendo i genitori quando la coppia alfa non è presente. La perdita di grado può essere immediata o graduale. Un lupo più vecchio può semplicemente scegliere di lasciare il proprio posto quando gli si presenta un pretendente motivato, evitando spargimenti di sangue o lotte. Dall'altro lato, però, l'individuo sfidato può scegliere la lotta, che può avere diversi gradi di intensità. Mentre la maggior parte delle aggressioni dei lupi è più che altro ritualizzata, e non prevede danni fisici, uno scontro in cui la posta in gioco è così importante può facilmente risultare in ferite o danni per uno dei due o anche per entrambi. Colui che esce sconfitto da uno scontro del genere viene molto spesso cacciato via dal branco, o addirittura, seppur molto raramente, viene ucciso dagli altri membri del branco come atto di ribellione. Questo tipo di scontro si verifica principalmente durante la stagione degli accoppiamenti. L'ordine gerarchico all'interno del branco è stabilito e mantenuto attraverso una serie di posizioni e di incontri rituali. I lupi preferiscono opporre un'ostilità psicologica anziché fisica, ciò significa che uno stato molto alto nella scala sociale è basato molto più sulla personalità o sull'atteggiamento, che sulla taglia dell'individuo o sulla sua forza fisica. Il grado sociale, chi lo detiene, e quanto è elevato nella gerarchia varia molto tra branchi e individui. In branchi molto grandi, o in un gruppo di giovani lupi, il grado sociale può mutare costantemente, oppure essere circolare (esempio, lupo A ha il predominio su lupo B, che a sua volta ha predominio su quello C, che ha il controllo su A), o "incrociato" (il lupo A ha il predominio sul lupo B, cha ha il predominio su C, che a sua volta controlla D e quest'ultimo controlla B. Un eventuale E controlla C, e così a seguire...). In un branco normale, comunque, solo un lupo assume il ruolo di omega (vale a dire il più basso ruolo nella scala sociale del branco). Questi individui subiscono il maggior numero di aggressioni dal resto del branco, e possono essere soggetti a varie forme di crudeltà (a partire dal costante predominio dagli altri membri del branco fino a continue molestie, anche fisiche). Sebbene, dopo un'affrettata analisi, questa disposizione possa sembrare discutibile, la natura dinamica del branco esige che un lupo sia al gradino più basso della scala sociale. Infatti, tali individui sono forse più felici, pur sopportando continue dimostrazioni di forza e di sottomissione, che vivendo da soli. Per i lupi, il cameratismo, non importa in quale forma, è preferibile alla solitudine, e, invero, i lupi sottomessi tendono a scegliere un basso grado nella gerarchia piuttosto che rischiare di morire di fame. Nonostante ciò spesso gli omega osano sfidare la coppia alfa e se questi vengono sconfitti vengono cacciati dal branco. Questi potranno tornare nel branco originario o entrare in un nuovo in una sola maniera: sfidare e sconfiggere una coppia alfa subentrando a essi.Il maschio alfa o qualsiasi altro lupo più importante, dopo aver ferito o aggredito l'omega, puliscono la ferita per evitare che si sporchi portando poi malattie al branco o al sottomesso. Il ruolo del lupo omega all'interno del gruppo è stato riconsiderato, però, in tempi recenti alla luce di nuove osservazioni. Come scrive Shaun Ellis, uno scienziato divenuto famoso per il suo vivere tra i lupi[5]: « I lupi omega hanno un ruolo fondamentale per la sopravvivenza del branco. La loro funzione è disinnescare le tensioni che si creano all'interno del gruppo, minimizzando la possibilità che situazioni di conflitto possano indurre i lupi a ferirsi gravemente. A partire dalle due o tre settimane di vita, il cucciolo omega è sempre al centro di continui litigi fra i componenti della cucciolata. Gli individui omega imparano rapidamente come attirare l'attenzione su di loro sia col gioco sia comportandosi come "buffoni di corte" o clown. Con una serie di comportamenti istintivi ma anche appresi, che vanno da particolari posture del corpo a espressioni facciali e vocalizzi, il lupo omega è in grado di calmare la situazione, evitare ferimenti e ripristinare l'armonia. Spesso il lupo omega è stato definito la "cenerentola" del branco perché ritenuto di basso rango e trattato come tale dagli altri membri. Questa convinzione deriva probabilmente dal fatto che, durante il pasto, gli omega vengono ripetutamente allontanati dalla carcassa. Al contrario, questo comportamento potrebbe essere giustificato dalla necessità di consentire agli individui di rango elevato di cambiare posizione attorno alla preda senza dover combattere con gli altri componenti del branco per poter quindi scegliere le parti e le quantità adeguate alla loro posizione sociale. Lupi affamati potrebbero anche farsi molto male l'un l'altro senza l'intervento degli omega. Una volta che il resto del branco ha terminato il pasto, gli omega vengono ricompensati con il permesso di accedere ad alcuni bocconi pregiati, appositamente tenuti in serbo per loro dai lupi beta. E' quindi probabile che, nonostante le apparenze, gli individui omega abbiano un rango specialistico elevato e godano di grande considerazione all'interno del branco. L'ululato del lupo omega, con la sua ampia estensione, è il più armonioso tra tutti e anche questa caratteristica, in momenti di tensione, può aiutare a riportare la calma quando i lupi sono sulla difensiva. » Cooperazione nella caccia e dieta <- Un gruppo di lupi attacca un bisonte americano. I branchi di lupi cacciano in maniera cooperativa qualunque grande erbivoro si trovi nel loro territorio, mentre gli esemplari solitari si limitano di norma alla caccia di prede piccole e medie, nonché di bestiame come pecore, capre e vitelli. È anche vero che ci sono stati casi negli Stati Uniti di lupi isolati che hanno ucciso alci e bovini adulti, approfittando del fatto che questi fossero rallentati dalla neve alta. Lupi isolati, almeno fino a meno di un secolo e mezzo fa, in Italia ed Europa in alcuni casi divennero antropofagi, attaccando e divorando soprattutto donne e bambini, come accadde nei casi di Palazzolo Acreide (Sicilia) alla fine del XVII secolo e a Cusago nel XIX secolo. Tuttavia quei fatti furono eccezionali e oggi il lupo è del tutto inoffensivo per l'uomo. Le tecniche di caccia del branco vanno dall'attacco a sorpresa alle cacce a lungo termine. Attraverso una meticolosa cooperazione, un branco di lupi è capace di inseguire una grande preda per alcune ore prima di arrendersi, sebbene il tasso di successo di questo tipo di caccia sia relativamente basso. Spesso prede dei lupi, se in branco, sono alci, caribù, cervi e altri grandi ungulati. I lupi cacciano anche roditori e piccoli animali, seppure in maniera limitata, poiché un lupo medio necessita per sopravvivere, dai 1,3 ai 4,5 kg di carne al giorno. Ciò non significa che i lupi abbiano la possibilità di mangiare ogni giorno: i lupi di rado mangiano quotidianamente, così, quando ne hanno la possibilità, arrivano ad ingurgitare anche 9 kg di carne. Quando cacciano prede molto grandi, i lupi attaccano da tutte le direzioni, puntando specialmente al collo ed alle parti laterali dell'animale. Normalmente, le prede sono animali troppo anziani, feriti, o troppo giovani; tuttavia, anche animali sani possono occasionalmente soccombere. Habitat: L'habitat preferito dal lupo è caratterizzato da aree di pianura, foreste montane e radure. Oggi è diffuso soprattutto nelle regioni più remote dell'emisfero boreale Un lupo ha mediamente un territorio di caccia di 100 km². Per trovare cibo a sufficienza in un territorio inospitale o deserto, un branco può arrivare ad occupare un territorio di 2500 km². Distribuzione: Un tempo era diffuso in tutto l'emisfero boreale a nord del 15º parallelo. Ora è drasticamente ridotto di numero negli Stati Uniti e in Europa. Negli Stati Uniti il lupo era sopravvissuto soltanto in Minnesota e Alaska (dove però si può cacciare dal 1º ottobre al 30 aprile).[6] Il lupo è tutelato dalle leggi degli Stati Uniti in tutto il territorio (esclusa ovviamente l'Alaska). Grazie a una serie campagne di reintroduzione effettuate anni fa, il lupo è tornato in vari stati, come Wyoming, Idaho e Montana, e in queste aree sta aumentando di molto il suo numero, già superiore a diverse migliaia. La presenza del lupo in Italia ha toccato il suo punto più basso agli inizi degli anni '70. Una stima indicava che la popolazione si era ridotta a un centinaio di lupi, concentrati sui monti dell'Abruzzo e della Calabria. Grazie alle leggi di protezione, il numero dei lupi è lentamente cresciuto, e stime recenti lo calcolano in circa 800-1000 esemplari, distribuiti lungo tutto l’Appennino, dall'Aspromonte fino alle Alpi Marittime, con presenze anche sui preappennini laziali e nella Toscana centro-meridionale. A nord il lupo è tornato sulle Alpi Occidentali, sconfinando sui massicci alpini francesi e svizzeri. Segni di presenza: carcasse morte e smembrate o di animali investiti (di solito perdono l’orientmento e finiscono sotto le macchine quando vengono intossicati da qualcosa); improonte come un grosso cane, con i due cuscinetti plantari centrali che sono uniti (ponte). L’età si attribuisce guardando la dentatura-> Fanno superpredazioni: se vedono scappare altre specie le stimola a inseguirle, è troppo forte per lei e ammazzano tutto. Sono sensibili alla filaria e alla rogna demodettica. Volpe: volpes volpes. Distribuzione: La volpe rossa è originaria dell’emisfero settentrionale. È presente in tutta la regione Paleartica, dall’Irlanda allo Stretto di Bering; il suo areale si estende poi verso sud in Giappone, Cina e regioni più settentrionali di India, Myanmar e Vietnam. È diffusa inoltre in Africa, lungo la valle del Nilo fino a Khartoum, oltre che nelle regioni marittime di Tunisia, Algeria e Marocco. La si trova anche in Medio Oriente, ad eccezione del deserto centrale arabo. Nel Nordamerica è distribuita dalle Isole Aleutine (all’interno del circolo polare artico e in particolare in Alaska) alla costa caraibica del Texas: l'animale è nativo delle zone boreali, mentre venne introdotto a scopo venatorio e per la sua pelliccia durante il XVIII secolo nelle aree temperate. È presente anche in Australia, dove è stata introdotta alla fine del XIX secolo. È stata inserita nell'Elenco delle 100 specie aliene più dannose del mondo. In Italia, la sottospecie crucigera è diffusa in tutta l'area peninsulare ed in Sicilia, mentre la sottospecie ichnusae è endemica di Sardegna e Corsica: la volpe risulta invece assente da tutte le isole minori[2]. Si tratta di animali estremamente adattabili (come testimonia l'enorme areale occupato dalla specie), che colonizzano qualsiasi ambiente a disposizione, trovandosi un posto anche nelle periferie delle aree urbane: in generale, le volpi vivono a più ampie densità nelle zone con ecosistemi diversificati e risorse distribuite in modo disomogeneo, mentre tendono a vivere in densità assai basse nelle aree montane, dove il cibo a disposizione è scarso. Descrizione Vulpes vulpes – Cranio -> Dimensioni. A seconda della sottospecie presa in considerazione, questi animali possono misurare fra i 75 ed i 140 cm, per un peso che varia fra i 3 e gli 11 kg: queste misure rendono la volpe rossa il più grande appartenente al proprio genere. Le dimensioni degli animali tendono a diminuire in direttrice N-S. Aspetto. Il colore, spesso rossiccio, va dal giallo al marrone, a seconda degli individui e delle regioni. La gola, il ventre e l'estremità della coda sono bianche; quest'ultima è lunga e folta. Il muso è allungato e le orecchie sono triangolari ed estremamente mobili. Essa è giocherellona come i suoi cuccioli ed estremamente furba. Biologia. Normalmente vive in coppia, con i cuccioli, anche se talvolta è possibile osservarne esemplari solitari o in gruppi di 4 o 6 adulti. Il maschio marchia il territorio in modo sistematico e comunica con i propri simili attraverso segnali sonori, visivi, tattili e olfattivi. Una volpe può riconoscere un altro esemplare dall'odore, oltre a decifrarne il rango gerarchico e il livello sociale. È significativo sottolineare che, in questa specie, la coppia tende a riformarsi ogni anno e che il maschio solitamente partecipa attivamente alla cura e all'allevamento della prole, procurando il cibo e difendendo i cuccioli da possibili predatori. Alimentazione. Anche se il suo cibo prediletto sono conigli e roditori, la volpe è un cacciatore opportunista e si adatta all'ambiente in cui vive. Anche gli uccelli fanno parte della sua dieta e non disdegna neppure insetti, lombrichi, frutta, bacche, carogne e persino pesci. Caccia al calare della notte o all'alba e utilizza vari metodi a seconda della preda: può sferrare un attacco a sorpresa contro animali che escono dalla tana o avvicinarsi ad essi quatta quatta fino a essere abbastanza vicina da saltar loro addosso. Scava nel terreno o ficca il muso nelle cavità per catturare lombrichi. Riproduzione. Cucciolo di volpe-> Il periodo degli amori è molto variabile e cambia secondo la latitudine: nella nostra regione ha luogo in inverno, tra dicembre e febbraio. I parti avvengono generalmente tra marzo e aprile. La femmina, dopo una gestazione di 7 settimane, partorisce, in una tana, in media da 3 a 5 piccoli, che vengono allattati per un mese. AI termine di questo periodo essi iniziano a prendere i primi cibi solidi, costituiti da alimenti predigeriti dalla madre e poi rigurgitati. Questa tecnica è molto vantaggiosa poiché permette di nutrire la cucciolata senza portare le carcasse vicino alla tana e nel contempo fa sì che i piccoli non debbano spostarsi alla ricerca di cibo, esponendosi ad eventuali pericoli. Durante le prime due settimane di vita, la madre non abbandona i cuccioli, si dedica interamente al loro allattamento e viene nutrita dal maschio. La femmina non esita a trasportare in luoghi più sicuri i propri piccoli se, nei pressi della tana, vengono a crearsi fattori di disturbo. I piccoli escono dalla tana per la prima volta intorno alla quarta o quinta settimana e sono molto giocherelloni. A dieci mesi di età, raggiungono la maturità sessuale. In natura, questa specie può raggiungere un'età di 12 anni. Ora, per quanto riguarda questi animali, sono importanti per la reintroduzione dalla slovenia e croazia della rabbia. È in cima alla piramide alimentare, si può cibare di tutto, e utilizza molto anche le discariche. Ci sono due situazioni; quella selvatica e quella rurale. Le feci stanno sempre in posti rilevati e per quanto riguarda le tane usano sempre quelle ciclicamente. Segni di presenza: impronte, feci, tane… Cane procione: Nyctereutes procyonoides Il cane procione (Nyctereutes procyonoides, dove "nycto-" dal greco "notte", "ereutes" dal greco "che si aggira", "procyon" = "procione") è un membro della famiglia dei Canidae anche se è spesso confuso con i procioni e i tassi. È l'unica specie vivente del genere Nyctereutes, e il suo parente più prossimo sembra essere la volpe (sempre canide), più che il cane domestico. Caratteristiche I cani procione sono timidi e poco aggressivi; preferiscono nascondersi o gridare piuttosto che combattere; sono monogami: le poche lotte sono in genere tra maschi per le femmine. La stagione degli amori comincia quando il tanuki emerge dalla sua tana; le femmine restano in calore per circa sei giorni. L'osso penico li lega nel coito per circa sei minuti, meno degli altri canidi. Quando i cuccioli nascono, dopo una gestazione di circa 60 giorni, il maschio collabora alla cura dei piccoli, prima procurando cibo per la sua compagna e poi anche per i cuccioli, una volta svezzati, a circa 50 giorni d'età. Diventano fisicamente e sessualmente maturi all'età di un anno. La lunghezza di un adulto medio è di circa 65 cm e pesa tra 4 e i 10 kg; le femmine partoriscono circa cinque cuccioli a parto. Vivono 3-4 anni in libertà e circa 11 anni in cattività. Il cane procione è l'unico membro della famiglia dei canidi ad andare in letargo nei mesi invernali e spesso si finge morto quando viene attaccato. Non abbaia e per esprimere potere il maschio dominante arriccia la coda a forma di U rovesciata. Il cervello del tanuki è poco sviluppato rispetto a quello di cani e lupi, ha denti piccoli e testicoli inconsuetamente grandi, caratteristica esagerata nel folklore giapponese. Habitat Il cani procioni sono originari del Giappone, Siberia sudorientale, e Manciuria ma si sono spinti fino a Scandinavia e Francia; nel 2005, ci sono stati avvistamenti anche in Italia. Si possono trovare sia in pianura sia in montagna, e sono specialmente comuni nelle foreste; spesso si avvicinano a piccoli villaggi e aree rurali. Alimentazione Come altri canidi, sono onnivori, e la loro dieta è stranamente molto variegata: invertebrati, rane, lucertole, roditori e uccelli, ma anche semi e bacche; quelli che vivono vicino al mare mangiano anche granchi e qualche forma di vita marina. In inverno vanno in letargo, perciò la loro alimentazione in autunno è superiore alle necessità per costruire lo stato di grasso necessario. Rischi La popolazione dei cani procione è diminuita negli ultimi anni a causa di caccia, urbanizzazione, e l'aumento di altri animali associati alla civiltà umana, domestici o abbandonati, e le malattie con cui possono contagiarli; in Cina inoltre sono anche cacciati per la pelliccia. In Italia sembra siano commercializzate pellicce di questo animale con il nome di Murmaski o Murmanski (dalla regione russa da cui provengono: Oblast' di Murmansk). Sciacallo dorato: dorato canis aureus. Stretto parente del coyote. Solo in italia nord orientale. Ricorda come aspetto il lupo. RODITORI Istrice: Hystrix cristata. È in espansione. Segni di presenza: aculei, le impronte ricordano quelle del tasso: unghie molto sviluppate. Usa le tane. Vedi immagine tane e cacche. È un mammifero roditore della famiglia degli Istricidi. Dimensioni: L'istrice ha una lunghezza media di 60-82 cm, possiede una coda lunga 8-17 cm e pesa dai 13 ai 30 kg. Aspetto Il pelo è setoloso e nerastro sul corpo, mentre la testa è di colore marroncino e sulla gola è presente una banda bianca a forma di mezzaluna. La testa è grande e dal muso arrotondato, con piccoli occhi neri ed altrettanto piccole orecchie e lunghe vibrisse. Ciò che maggiormente caratterizza l'animale è la presenza sul dorso di una quantità di aculei, che altro non sono che peli modificati: essi sono lunghi una ventina di centimetri ciascuno sul dorso e fino a 35 cm sui fianchi, striati alternativamente di bianco e di nero, e grazie a muscoli piloerettori e pellicciai sono erettili. Sulla coda l'animale ha inoltre altri peli cavi a forma di calice, che utilizza a mo' di sonaglio per avvertire gli eventuali aggressori. Su testa e nuca, invece, l'animale non possiede aculei ma solo peli setolosi bianchi posti a mo' di cresta erettile, sicché un eventuale aggressore può facilmente venire ingannato quando l'animale rizza contemporaneamente peli ed aculei. La credenza popolare racconta che l'istrice sia in grado di scagliare i propri aculei, ma questo non è vero. Gli aculei si staccano facilmente per poter trafiggere l'avversario e capita che quando li rizza per difesa, alcuni di essi si stacchino grazie alla contrazione dei muscoli. Biologia Si tratta di animali dalle abitudini principalmente notturne ed assai schivi, tanto che durante le notti di luna piena evitano con cura gli spiazzi aperti, dove potrebbero essere avvistati con facilità: durante il giorno riposano in spaccature delle rocce od in tane che scavano nel terreno grazie ai robusti unghioni delle zampe anteriori, oppure che ottengono occupando rifugi di altri animali, soprattutto di oritteropo. Durante l'inverno, se il clima è rigido, l'animale non esce dalla propria tana, tuttavia la specie non è solita andare in letargo. Quando l'animale è spaventato o eccitato, drizza contemporaneamente gli aculei e i peli della nuca, dando l'impressione di essere assai più grande e robusto di quanto in realtà non sia; essendo gli aculei attaccati piuttosto blandamente alla radice, rimangono conficcati nella pelle di un eventuale aggressore. Se la minaccia persiste l'istrice comincia a pestare rumorosamente i piedi sul terreno ed ad agitare la coda munita di aculei a sonaglio, infine se messa alle strette, carica l'aggressore, con esiti anche letali. L'aculeo ha infatti una struttura lievemente seghettata, che ne rende difficile e dolorosa l'estrazione, in particolare per gli animali sprovvisti di pollice opponibile, tanto che spesso sono costretti a spezzare gli aculei conficcati nella pelle, col possibile rischio di infezioni. In Italia meridionale, a causa di tale facilità dell'animale nel perdere gli aculei, oltre al fatto che spesso questi cadono per essere rimpiazzati dai nuovi, è assai diffusa la credenza (peraltro errata) che l'istrice, qualora minacciato, sia in grado di lanciare i propri aculei a distanza. Alimentazione. Si tratta di animali essenzialmente erbivori: si nutrono prevalentemente di tuberi e bulbi, che ottengono scavando nel terreno con le robuste zampe a colonna, ma non disdegnano di rosicchiare anche cortecce morbide, frutti caduti al suolo e, anche se assai sporadicamente, insetti. In prossimità di aree coltivate a patate o mais, spesso questi animali si danno nottetempo al saccheggio. L'istrice è, inoltre, ghiottissima d'uva, di cui fa scorpacciate riempiendosi la bocca coi grappoli più bassi o caduti ed in via di fermentazione e risucchiandone gli acini senza staccare il graspo dalla pianta. Riproduzione. La stagione riproduttiva è limitata al periodo caldo, anche se esemplari in cattività possono riprodursi durante tutto l'arco dell'anno, se si mantengono condizioni climatiche omogenee. Il ciclo estrale della femmina dura circa 35 giorni e la gestazione quattro mesi, al termine dei quali viene dato alla luce un unico cucciolo. La specie forma coppie monogame: la femmina tollera la presenza del compagno, mentre mostra comportamenti aggressivi con maschi estranei. Il maschio monta la femmina solo dopo che questa si dimostra disponibile all'accoppiamento, ponendosi con gli aculei abbassati e la coda spostata di lato: a questo punto, il maschio si pone sulle zampe posteriori e la penetra continuamente, appoggiandosi solo leggermente al suo dorso con le zampe anteriori[3]. Nell'imminenza del parto, la femmina fodera la parte finale della tana con erba secca. Il cucciolo è estremamente precoce e poco dopo la nascita apre gli occhi e possiede già gli incisivi: il suo corpo è ricoperto di pelo, che forma cinque strisce bianche sul dorso, mentre gli aculei sono ancora morbidi. Ci vorrà una settimana prima che siano sufficientemente duri da permettere all'animale di utilizzarli come arma di difesa durante le sue uscite dal nido. Attorno al mese d'età, il cucciolo è perfettamente svezzato e perde il mantello giovanile, anche se la maturità sessuale viene raggiunta attorno ai due anni d'età. In cattività, può vivere fino a 21 anni. Distribuzione e habitat. L'areale del porcospino comprende l'Italia, il Maghreb e l'Africa subsahariana.[1] In passato si riteneva che fosse stato introdotto in Italia dai Romani, ma evidenze fossili suggeriscono la sua presenza in Europa nel Pleistocene.[4]. In Italia è presente in quasi tutta la penisola (dalle propaggini meridionali di Lombardia e Veneto sino alla Calabria; (manca nella penisola salentina), in Sicilia e sull'isola d'Elba. Pare che negli ultimi anni il suo areale si sia esteso, oltre che verso nord, anche verso nord-ovest, come emergerebbe dai presunti avvistamenti fatti in Liguria occidentale. Nutria: Myocastor coypus. In Italia negli ultimi anni si è diffusa anche nella pianura padana, in abruzzo e lazio. Ma si ritrova, in maniera puntiforme, anche al sud, e nelle isole. È importante per la leptospira (prevalenza del 60%). Inizialmente le scambiavano per lontre. Descrizione. È un roditore di grossa taglia molto simile al castoro, da cui si differenzia per le minori dimensioni e per la forma della coda (cilindrica nella nutria, piatta nel castoro). Il corpo, lungo intorno a 60 cm, è tozzo e ricoperto da una fitta pelliccia di colore uniformemente marrone scuro, ad eccezione della regione ventrale che è leggermente più chiara. Il peso è compreso tra 5 e 10 kg. Le dimensioni del maschio sono maggiori di quelle della femmina (dimorfismo sessuale). La femmina presenta quattro paia di mammelle latero-dorsali, segni delle abitudini fortemente semiacquatiche di questo roditore. Le zampe posteriori presentano quattro dita palmate, mentre il quinto dito è libero. Le zampe anteriori, più corte di quelle posteriori, sono pentadattili. Hanno un problema termico: congelamento delle estremità. La dentatura è caratterizzata da incisivi lunghi e affilati che sporgono dalla rima labiale. Incisivi arancioni di minaccia. Biologia. Allo stato selvatico la nutria ha abitudini crepuscolari ed è un'abile nuotatrice. È un animale gregario che vive in gruppi di 2-10 esemplari guidati da una femmina dominante. Il maschio è errante. Costruisce le proprie tane in prossimità di fiumi o stagni, al riparo della vegetazione palustre. Alimentazione. A differenza del ratto, con cui viene talvolta confusa, la nutria è un animale prettamente erbivoro: la sua dieta si basa prevalentemente su alghe e piante acquatiche, ma in caso di necessità si nutre di qualunque vegetale, comprese le specie coltivate (come mais e barbabietola da zucchero). Riproduzione. La nutria raggiunge la maturità sessuale molto precocemente: già all'età di 6 mesi i maschi sono in grado di riprodursi. La stagione riproduttiva comprende tutto l'arco dell'anno, con un calo della attività nei mesi invernali. La gestazione dura in media 132 giorni e si conclude con la nascita di 3-6 piccoli. Ogni femmina può avere nel corso dell'anno da 2 a 3 gravidanze, a seconda delle condizioni ambientali e delle risorse trofiche a disposizione. Predatori. Nel suo habitat naturale il principale predatore è il caimano. Nelle aree in cui è stata introdotta mancano predatori naturali e soltanto i soggetti più giovani o in cattive condizioni fisiche possono essere in modesta misura predati da cani randagi, mustelidi, volpi, linci, felini selvatici, uccelli rapaci e ciconiformi. Si classificano sulla base delle impronte, feci, sul muso più o meno appuntito, sulle orecchie e sulle dimensioni degli occhi (grandi o piccoli). URSINI Orso bruno: Ursus arctos. L'orso bruno è un mammifero onnivoro della famiglia degli Ursidi, diffuso in gran parte dell'Eurasia settentrionale e del Nordamerica. Pesa tra i 130 ed i 700 kg ed i suoi membri più grossi contendono all'orso polare il titolo di carnivoro terrestre più grande del mondo. Nonostante l'areale dell'orso bruno si sia ristretto ed in alcuni luoghi si sia addirittura estinto, con una popolazione totale di circa 200.000 esemplari continua ad essere valutato come una specie a basso rischio. I Paesi che comprendono la maggior parte del suo areale sono la Russia, gli Stati Uniti (specialmente l'Alaska) ed il Canada. Questa specie si nutre principalmente di materiale vegetale, tra cui radici e funghi. I pesci costituiscono la loro fonte primaria di carne, anche se sulla terraferma possono uccidere piccoli mammiferi. Catturano occasionalmente anche mammiferi più grandi, come i cervi. Gli orsi bruni adulti non hanno timore di scontrarsi con altri predatori, dal momento che possono competere da soli con branchi di lupi e grandi felini, scacciandoli spesso dalle prede che questi ultimi hanno ucciso. L'orso bruno in Italia. In sintesi sono presenti in trentino, friuli, veneto e abruzzo. Benché facendo riferimento ai dati più recenti ed attendibili si possa distinguere una sola sottospecie per l'Europa e l'Asia settentrionale, molti studiosi fanno ancora riferimento, per l'Italia, a due sottospecie distinte: l'orso bruno europeo (Ursus arctos arctos) e l'orso marsicano (Ursus arctos marsicanus). L'orso bruno nelle Alpi Orientali Sulle Alpi, la situazione all'inizio degli anni novanta era drammatica, poiché era presente un'unica popolazione di orsi, ridotta a non più di 2-3 individui relegati nelle Dolomiti del Brenta, che aveva superato la soglia dell'estinzione e per cui una ripresa naturale era considerata assolutamente improbabile. In questo contesto, nel 1996, ha preso avvio mediante finanziamenti Life dell'Unione Europea il «Progetto Life Ursus – tutela della popolazione di orso bruno del Brenta» promosso dal parco naturale dell'Adamello-Brenta, in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e con l'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il progetto prevedeva la reintroduzione di 10 esemplari provenienti dalla Slovenia poiché, grazie a studi preventivamente effettuati, si era appurato che quello fosse il numero di animali necessario per arrivare ad avere, nel giro di circa 30 anni, una popolazione minima vitale di circa 40-60 individui. Il progetto ha certamente avuto successo poiché gli esemplari si sono ben adattati al nuovo territorio di vita e la popolazione è caratterizzata da un'espansione sia numerica (circa 25 individui nel 2007, una trentina nel 2010, grazie a 13 eventi riproduttivi accertati tra il 2002 e il 2007) che territoriale. Recenti avvistamenti risalenti al 2005, al 2008 e all'aprile 2010 sono avvenuti in Vallarsa, sull'Altopiano di Asiago 7 Comuni in provincia di Vicenza, in provincia di Bergamo, a Magasa, Val Vestino e Tremosine in provincia di Brescia e stanno a indicare un'espansione territoriale di caccia del plantigrado[6][7]. Dimensioni e aspetto. Il range abituale delle dimensioni di un orso bruno è una lunghezza testa-corpo tra gli 1,7 ed i 2,8 m ed un'altezza al garrese tra i 90 ed i 150 cm. La coda è lunga 10–12 cm. I maschi sono più grandi delle femmine del 38-50%[9]. Gli orsi bruni, nonostante le loro dimensioni, possono essere veloci corridori, capaci di raggiungere velocità di 56 km/h. Gli orsi bruni hanno folti mantelli di colore biondo, bruno, nero, o formati da un misto di questi colori. I peli di guardia esterni dell'orso bruno hanno spesso la punta bianca o argentata, dando a questi animali un aspetto «brizzolato» (in inglese grizzled, da cui deriva grizzly). Come tutti gli orsi, gli orsi bruni sono plantigradi e possono stare ritti sulle zampe posteriori per periodi di tempo abbastanza lunghi. Gli orsi bruni hanno una grossa gobba di muscolo sulle spalle che li distingue dalle altre specie. Gli arti anteriori terminano con zampe munite di artigli lunghi fino a 15 cm che vengono utilizzati soprattutto per scavare. Gli artigli dell'orso bruno non sono retrattili ed hanno punte relativamente smussate. Presentano delle ghiandole carpali che usano per marcare il territorio. La testa è larga ed arrotondata con un profilo facciale concavo, caratteristica che viene usata per distinguerlo da altri orsi. Alimentazione. Questi animali sono onnivori e si nutrono di una vasta gamma di prodotti vegetali, come bacche, radici, germogli e funghi, così come di animali, come pesci, insetti e piccoli mammiferi. Nonostante la loro reputazione, la maggior parte degli orsi bruni non è particolarmente carnivora e fino al 90% della loro alimentazione è composta da materia vegetale. La struttura delle mascelle si è evoluta per adattarsi a queste abitudini alimentari, ma nonostante questo questi animali possiedono sempre i denti canini robusti ed affilati tipici dei predatori veri e propri. La loro dieta varia enormemente a seconda dell'areale Riproduzione La stagione degli amori va dalla fine di maggio agli inizi di luglio. Essendo periodicamente monogami, gli orsi bruni rimangono con lo stesso partner per un periodo che varia da pochi giorni fino ad un paio di settimane. Le femmine divengono sessualmente mature ad un'età tra i 5 ed i 7 anni, mentre i maschi si accoppiano solitamente solo dopo qualche altro anno in più, quando sono abbastanza grossi e robusti da competere con successo con gli altri maschi per appropriarsi dei diritti all'accoppiamento. Tramite il processo dell'impianto ritardato, l'ovulo fecondato di una femmina si divide e vaga libero nell'utero per sei mesi. Durante il letargo invernale, il feto aderisce alla parete uterina ed i cuccioli nasceranno dopo un periodo di otto settimane, mentre la madre sta dormendo. Se la madre non ha accumulato abbastanza grasso per sopravvivere nel corso dell'inverno, l'embrione non si impianta e viene riassorbito dal corpo. Una cucciolata è composta da uno a quattro piccoli, solitamente da due, sebbene ci siano stati casi di orse con cinque cuccioli, anche se non è insolito per le femmine adottare piccoli altrui. Le dimensioni di una cucciolata dipendono da un certo numero di fattori, come l'età della madre, la distribuzione geografica e la disponibilità di cibo. Le femmine più vecchie tendono a mettere alla luce cucciolate più numerose. I piccoli sono ciechi, privi di denti e glabri, ed alla nascita pesano meno di 0,4 chilogrammi. Si nutrono del latte materno fino a primavera o fino agli inizi dell'estate, a seconda delle condizioni climatiche. I cuccioli, che in questo periodo pesano tra i 6,8 ed i 9 chilogrammi, sono abbastanza sviluppati da seguire la madre ed iniziare a nutrirsi di cibo solido. Rimangono con lei tra i due ed i quattro anni, durante i quali apprendono varie tecniche di sopravvivenza, come imparare quali sono i cibi che hanno valori nutrizionali più alti e dove trovarli, come cacciare, come pescare, come difendersi e dove andare in letargo. Gli orsetti imparano seguendo ed imitando le azioni della madre durante il periodo con cui rimangono con lei[20]. Gli orsi bruni praticano inoltre l'infanticidio[21]. Un maschio adulto può uccidere i cuccioli di un altro orso per rendere la femmina sessualmente recettiva. Per questo motivo i piccoli si arrampicano sopra un albero non appena avvistano un maschio adulto. PHOCIDAE Foca monaca: monachus monachus. In italia non c’è più, era presente all’isola d’Elba e in Sardegna. C’è ancora in Nord africa e Grecia, La chiamavano Bue marino. Presentano un corpo allungato, irregolarmente cilindrico, rivestito da uno spesso strato adiposo ricoperto da un fitto pelo corto, vellutato, impermeabile all'acqua. La pelliccia è di colore nero nel maschio o marrone o grigio scuro nella femmina, più chiara sul ventre che può essere fino a bianca nel maschio. Gli arti anteriori sono trasformati in pinne mentre quelli posteriori costituiscono un'unica pinna posteriore. Ha una lunghezza da 80 a 240 cm e può raggiungere i 320 kg di peso; le femmine sono un po' più piccole dei maschi. Hanno la testa piccola e leggermente appiattita ed orecchie esterne prive di padiglione auricolare. Il muso è provvisto di alcuni baffi lunghi e robusti detti vibrisse. Biologia. La vita della foca monaca si svolge soprattutto in mare; durante il periodo riproduttivo predilige i tratti di mare vicini alle coste dove cerca spiagge isolate prevalentemente in grotte o piccoli anfratti accessibili solo dal mare, perché il parto e l'allattamento si svolgono esclusivamente sulla terra ferma. Dorme in superficie in mare aperto o utilizzando piccoli anfratti sul sul fondale per poi risalire periodicamente a respirare. Si nutre di pesci, crostacei e molluschi. Anche durante le soste a terra la foca rimane vicinissima al mare, anche perché i suoi movimenti sono lenti ed impacciati. Si spostano anche di alcune decine di chilometri al giorno alla ricerca del cibo, con immersioni continue; sono state registrate immersioni a 90 metri di profondità ma è probabile che possa superare facilmente alcune centinaia di metri di profondità durante immersioni effettuate per la ricerca di prede. I maschi adulti sono fortemente territoriali e, nel periodo riproduttivo che coincide generalmente con i mesi autinnali, si scontrano frequentemente con altri maschi. Le femmine raggiungono la maturità sessuale a 5/6 anni, hanno un ciclo di riproduzione di circa 12 mesi e partoriscono, di solito tra settembre e ottobre; allattano, in grotte vicinissime al mare o in spiagge riparate, un cucciolo all'anno, lungo 88-103 cm e pesante 16-18 kg. I giovani entrano in acqua giò a pochi giorni dalla nascita. L'allattamento si protrae sino alla dodicesima settimana, ma la femmina lascia il suo cucciolo incustodito già dopo le prime settimane di vita, per tornare ad allattarlo periodicamente. I giovani tendono ad abbandonare il gruppo originario ed a disperdersi anche lontano dal luogo di nascita. Raggiungono la maturità sessuale intorno ai 4 anni. La foca monaca vive dai 20 ai 30 anni. Attuale areale della foca monaca L'areale della foca monaca comprendeva una volta tutto il Mediterraneo, il Mar Nero, le coste atlantiche di Spagna e Portogallo, il Marocco, la Mauritania, Madera e le Canarie; foche erano segnalate spesso anche nella costa sud della Francia. Riccio: Riccio: Erinaceus europaeus Il riccio comune (è un mammifero della famiglia Erinaceidae. Il riccio presenta caratteristiche morfologiche arcaiche (come la formula dentaria e la conformazione del cervello) che lo accomuna ai primi mammiferi comparsi sulla Terra al termine del Cretaceo, rispetto ai quali non si è differenziato di molto: nel corso di milioni di anni ha solamente evoluto il rivestimento di aculei che tanto lo caratterizza agli occhi dell'uomo. In Italia la specie è diffusa con tre sottospecie (oltre alla sottospecie nominale, anche consolei ed italicus) in gran parte del territorio nazionale, comprese Sicilia e Sardegna (le cui popolazioni, così come quelle iberiche, risultano geneticamente ben differenziate da quelle continentali), nel Triveneto la specie vive in simpatria con l'affine (e fino a poco tempo fa considerata sottospecie anch'essa di E. europaeus) Erinaceus concolor. Dimensioni. Misura fino a 25 cm di lunghezza, per un peso che solo eccezionalmente supera il chilogrammo (anche se in vista dell'inverno il peso può raddoppiare): la coda è ridotta ad un moncherino di un paio di centimetri di lunghezza. Aspetto Il riccio presenta cranio allungato e con un piccolo cervello, la maggior parte del quale è addetta alla decodificazione dei segnali di natura olfattiva: il principale senso del riccio è infatti l'olfatto. Il tartufo è grosso, nero ed assai mobile: i canali olfattivi sono costantemente umettati da una mucosa. Anche il senso del tatto è ben sviluppato; meno importante per loro è la vista, in ogni caso i ricci sono in grado di vedere fino a 30 m di distanza di giorno e fino a 12 m di notte. Nonostante le piccole orecchie seminascoste dal pelo, i ricci sono infine in grado di udire frequenze comprese fra i 250 ed i 60.000 Hz, quindi ben dentro gli ultrasuoni: ciò aiuta l'animale nella ricerca del cibo. I ricci presentano forti ossa mascellari ed una chiostra dentaria di 36 denti: i due lunghi denti frontali, che possono a prima vista sembrare canini, sono in realtà incisivi modificati. <- Impronte di riccio: le zampe posteriori lasciano impronte assai diverse rispetto a quelle anteriori. Il corpo è tozzo ed a forma di pera: infatti al muso assai lungo ed appuntito si contrappongono il collo assai corto ed il quarto posteriore arrotondato. Le zampe sono corte e tozze, ma i piedi hanno forma allungata e presentano tutti 5 dita con unghie appuntite: le impronte lasciate dalle zampe posteriori son assai diverse da quelle lasciate dalle zampe anteriori, al punto che possono essere scambiate dai neofiti per tracce di animali di specie differenti. Inoltre gli aculei variano di colore al cambio di stagione, infatti, nelle stagioni fredde, in autunno e in inverno, gli aculei assumono un colore marroncino più scuro rispetto agli aculei che nelle stagioni più calde, primavera e estate, presentano un colore più chiaro. A questo cambiamento partecipa anche il pelo che a seconda della stagione assume un colore chiaro o un colore più scuro. Le aree di pelle nuda (cerchi perioculari, orecchie, zampe e naso) sono di colore nero: il pelo è ispido e di un colore che va dal grigiastro al beige: nell'area che comprende la fronte, i fianchi ed il dorso, il pelo cede il posto ad aculei (che poi altro non sono che peli modificati) lunghi circa 2 cm e di colore nero striato trasversalmente di biancastro. Gli aculei sono appuntiti e cavi, presentano carenature laterali e ciascuno di essi è munito di un muscolo innervato che ne permette l'erezione quando l'animale è eccitato od in stato d'allerta: ciascun esemplare possiede fino a 6000 aculei[5]. Oltre a proteggere l'animale da aggressori in carne ed ossa, gli aculei prevengono anche seri danni dovuti ad urti o cadute: ciascun aculeo, infatti, nei pressi del follicolo pilifero presenta un restringimento che lo rende flessibile, in modo tale da assorbire urti anche di una certa entità. Nei ricci è presente una mutazione recessiva che porta alla nascita di esemplari dal pelo uniformemente color crema, anche se con occhi di colore nero (dunque non si tratta di albini): tale mutazione è particolarmente frequente sull'isola di Alderney. Pare che i ricci con questa mutazione (cosiddetti "biondi", mentre su Alderney essi vengono denominati spike girls, "ragazze coi piercing") non vengano attaccati dalle pulci. Biologia.Il riccio è un animale esclusivamente notturno: si pensa che le abitudini notturne non siano tanto una necessità dettata da esigenze di difesa, in quanto la cortina di aculei di cui dispongono li rende praticamente invulnerabili ai predatori, quanto piuttosto di un adattamento allo stile di vita delle proprie prede, che sono molto più abbondanti durante la notte. Nonostante appaia un animale goffo e generalmente si muova lentamente, il riccio è in grado di correre velocemente e si dimostra anche un ottimo nuotatore. Durante il giorno riposa nascosto nella sua tana, costituita solitamente da una cavità del suolo posta nel sottobosco, fra i tronchi e le foglie cadute. Durante la notte esce alla ricerca di cibo, percorrendo tragitti sempre uguali: non teme di attraversare spazi aperti in quanto è ben protetto dalla corazza di aculei. Generalmente i maschi definiscono dei propri territori di circa 3 km, anche se si muovono in territori di caccia che possono estendersi fino a 30 ettari. Le femmine, che si spostano più lentamente, hanno campi d'azione massimi di una decina d'ettari di superficie. Generalmente, gli esemplari che vivono in ambienti aperti si muovono di più rispetto a quelli che si stabiliscono in aree boschive o riparate. Quando un riccio incontra un possibile pericolo, normalmente, reagisce immobilizzandosi e drizzando gli aculei sul dorso. Poi, se l'intruso lo tocca, appallottolandosi su sé stesso. In questo procedimento, il riccio è aiutato da una fascia muscolare sulla schiena che, contraendosi, va a stringere in un sacco cutaneo tutto il corpo e gli arti. L'aggressore si trova così dinnanzi un'impenetrabile cortina di spine: questa tattica, tuttavia, risulta inefficace con le volpi, che urinando sull'animale appallottolato lo costringono ad uscire dalla corazza, per poi finirlo mordendolo sul delicato muso, e con le automobili, di fronte alle quali l'animale si appallottola, venendo inevitabilmente travolto ed ucciso. Sono infatti fra i due ed i tre milioni i ricci che ogni anno perdono la vita in questo modo mentre attraversano le strade, tanto che nel Regno Unito le popolazioni di riccio vengono monitorate contando il numero di cadaveri ritrovati morti su alcune delle strade più frequentate sia dagli autisti che da questi animali. Il riccio ha abitudini solitarie e scontrose: tende generalmente ad evitare i contatti coi conspecifici, dei quali avverte la presenza con l'udito o l'olfatto, mentre nel percepire l'avvicinarsi di un estraneo va subito in allerta. Tuttavia, in caso di contatto i ricci non disdegnano lo scontro diretto, che viene risolto in base alle dimensioni ed all'età degli esemplari. Durante i mesi invernali (fra ottobre ed aprile), il riccio è solito cadere in letargo: tale operazione risulta però piuttosto rischiosa per l'animale, in quanto nel caso in cui esso non abbia accumulato una quantità di grasso corporeo sufficiente nel corso della bella stagione, potrebbe morire per inedia. Ciò succede soprattutto agli esemplari giovani. In casi di freddo estremo, l'animale (la cui temperatura corporea scende dai 35 °C soliti ai 10 °C, mentre i battiti cardiaci calano da 190 a 20 al minuto) può anche uscire dal letargo per andare alla ricerca di cibo. Per il letargo, il riccio ammucchia una buona quantità di muschio e foglie secche che fungeranno da giaciglio. Alimentazione [modifica] Per la variegata dieta che assume, risulta essere onnivoro. Il riccio in natura si nutre di invertebrati di qualsiasi tipo (insetti, ragni, lombrichi, chiocciole, millepiedi, ma non centopiedi -che si difendono a morsi-), oltre che uccelli, comprese uova (spesso si intrufola nei pollai domestici per cibarsene) e nidiacei, rettili ed anfibi; non disdegna nemmeno di mangiare piccoli mammiferi, soprattutto topi, di cui è considerato un cacciatore spietato in quanto uccide gli adulti e dissotterra i nidi per nutrirsi dei piccoli. La credenza che i ricci si nutrano prevalentemente di vipere si rivela fondata solo in casi eccezionali: l'animale non teme infatti i morsi velenosi, in quanto i denti veleniferi sono più corti degli aculei e raramente riescono a penetrare il rivestimento di peli ispidi che protegge l'animale. In caso di necessità, i ricci mangiano senza problemi anche ghiande, bacche, frutta, ed altro materiale di origine vegetale (non disdegna neppure i croccantini del gatto, di cui è ghiotto) nutrendosi in casi estremi anche di foglie. Il latte è un veleno per il riccio, perché non può digerirlo[6]. Riproduzione. La stagione degli amori cade nel periodo compreso fra aprile ed agosto, con picchi degli accoppiamenti in maggio-giugno. Per chiamarsi tra loro, i ricci emettono dei versi simili a fischi. Il pene del maschio è piccolo ed aderente al corpo, tranne nel periodo dell'accoppiamento, mentre la vagina della femmina è posta all'estremità posteriore dell'addome ed in entrambi i sessi si trovano cinque coppie di capezzoli. Dopo il rituale del corteggiamento, nel quale il maschio mordicchia gli aculei della femmina, questa per permettere al maschio di montarla senza ferirsi, inarca il corpo verso il basso, in modo tale da appiattire lo scudo di aculei. La gestazione dura circa un mese e mezzo, al termine del quale nascono in media 4-5 cuccioli. Il parto avviene nel periodo fra maggio e ottobre, quando vi è maggiore disponibilità di cibo: se la femmina si riproduce in anticipo essa può partorire anche due volte. I piccoli nascono ciechi e sordi, con la parte inferiore del corpo glabra e rosata e quella superiore grigia: essi hanno già gli aculei sul dorso, che sono tuttavia ricoperti da una membrana per proteggere la madre durante il parto. Dopo 36 ore questi primi aculei, bianchi e sottili, saranno sostituiti da nuovi aculei scuri e striati di bianco, mentre verso i 10 giorni di vita un ulteriore terzo mantello sostituirà definitivamente i primi due. A questo punto, il giovane riccio è già in grado di appallottolarsi e di praticare l'autosputo, mentre gli occhi vengono aperti solo attorno alle due settimane di vita. Dopo un mese, i piccoli rassomigliano completamente agli adulti, anche se vengono svezzati e possono quindi dirsi indipendenti attorno al mese e mezzo di vita e raggiungeranno la maturità sessuale attorno all'anno di vita. La speranza di vita del riccio in natura è di circa 5 anni, mentre in cattività non è raro che viva anche il doppio. I ricci possono trasmettere l’afta e la rabbia ai toporagni. Toporagno: Toporagno: Soricidae spp. Descrizione. Sono piccoli mammiferi simili a un topo, imparentati con la talpa e caratterizzati da un lungo muso appuntito e da una pelliccia soffice, vellutata, color marrone-grigio. Sebbene l'aspetto esteriore sia quello di un topo dal naso lungo, il toporagno non è un roditore: la famiglia dei toporagni appartiene all'ordine dei Soricomorpha. I toporagni hanno zampe con cinque artigli a differenza dei roditori che ne hanno quattro. Non vanno confusi con le tupaie e con i toporagni elefante che appartengono ad altri ordini. I toporagni sono piccoli, la maggior parte della dimensione di un topo. La specie più grande è quella dei Suncus murinus dell'Asia tropicale lunga circa 15 cm e dal peso di 100 grammi, mentre la più piccola è quella dei Suncus etruscus che con i loro 3,5 cm di lunghezza e 2 grammi di peso rappresentano i mammiferi viventi più piccoli che si conoscano. Il 10% della massa del toporagno si concentra nel cervello, dando luogo a un rapporto cervello-massa corporea relativamente alto. Distribuzione. I toporagni sono diffusi in quasi tutto il mondo: fanno eccezione la Nuova Guinea, l'Australia e la Nuova Zelanda, mentre nell'America del Sud sono presenti solo nella sua parte settentrionale. In quanto al numero delle specie, la famiglia dei toporagni, con ben 376, si colloca al quarto posto tra i mammiferi, superata solo dalle Muridae, Cricetidae e Vespertilionidae. Biologia. In genere, i toporagni sono animali terrestri che si nutrono di semi, insetti, vermi e una grande varietà di cibo rimediata tra il fogliame e la fitta vegetazione: altri sono specializzati nell'arrampicarsi sugli alberi o a vivere sottoterra o sotto la coltre di neve oppure a cacciare in acqua. Hanno occhi piccoli e una vista scarsa, ma ottimi udito e olfatto. Sono molto attivi, voracissimi, con un metabolismo insolitamente alto: i toporagni mangiano quotidianamente una quantità di cibo equivalente all'80-90% del loro peso corporeo. Non vanno in letargo. Mentre i roditori hanno gli incisivi che crescono lungo tutto l'arco di vita, i denti dei toporagni si consumano inesorabilmente: un problema accentuato dal fatto che essi perdono quelli di latte prima della nascita e quindi possono disporre di una sola dotazione di denti. I toporagni difendono il territorio: scacciano i rivali e accettano la compagnia solo per formare la coppia. Molti scavano la tana per immagazzinare il cibo e per sottrarsi alla vista dei predatori. Le femmine possono avere fino a dieci parti l'anno: la gestazione dura dai 17 ai 32 giorni. La femmina spesso rimane incinta già nei giorni successivi il parto e allatta durante la gravidanza, svezzando la prole quando dà alla luce la nidiata successiva. I toporagni hanno una vita media che va dai 12 ai 30 mesi. I toporagni presentano caratteristiche insolite per dei mammiferi: alcune specie sono velenose mentre altre usano l'ecolocalizzazione, come fanno pipistrelli e odontoceti. Contrariamente alla maggior parte dei mammiferi, essi sono sprovvisti dell'osso zigomatico. Pipistrelli: chirotteri. - serotino comune - orecchione - pipistrello nano Etimologia. La parola Pipistrello deriva dal latino vespertilio, -onis «animale vespertino», da vesper che significa «sera». La parola Chiroptera deriva invece dal greco cheir (mano) e pteron (ala). Descrizione Sono mammiferi antichissimi: allattano i loro piccoli e la loro cute è ricoperta di pelo; anziché camminare e correre, volano, grazie a una speciale modificazione di mano e braccio trasformati in ala. Hanno occhi piccoli e vista limitata, il loro udito invece è molto sviluppato. Mentre volano emettono degli ultrasuoni che, rimbalzando contro gli oggetti che incontrano, provocano un'eco permettendo loro così di individuare gli ostacoli. L'ala del pipistrello è diversa da quella di un uccello, infatti è costituita da una sottile membrana, il patagio, che è composto da un sottile strato di tessuto connettivo lasso vascolarizzato e compreso tra due strati di cute. Esso è sotteso sulle ossa della mano e delle dita. Biologia. Di giorno si riposano nelle fessure dei muri, nelle cavità degli alberi e nelle grotte mentre di notte vanno a caccia di cibo.Molte specie di pipistrello (soprattutto del gruppo dei microchirotteri) si nutrono di insetti, ma ne esistono altre (i megachirotteri) che mangiano polline, nettare, frutta; altre ancora, roditori, pesci, rane ed, infine, si conoscono tre specie di pipistrelli limitate al Centro e al Sud America, che, dopo aver provocato piccole ferite ad animali domestici, ne leccano il sangue che fuoriesce. I pipistrelli italiani predano insetti, eliminando, così, tanti insetti nocivi all'uomo. Un singolo pipistrello, ad esempio, può in una sola notte mangiare fino a 3000 zanzare: [1] . In inverno i pipistrelli vanno in letargo in gruppo, rallentano tutte le attività corporee, incluse la frequenza respiratoria e il battito cardiaco, consumando così poca energia e sopravvivendo grazie alle riserve di grasso corporeo accumulate nella bella stagione. Con l'arrivo della primavera, cessa la fase di letargo: le femmine, dopo un certo tempo, si radunano in rifugi ove, tra giugno e luglio, danno alla luce i piccoli (in genere uno solo), dopo poche settimane, i piccoli sanno già volare e vanno subito a caccia d'insetti. Il Nyctalus migra dall’ucraina alla bulgheria sia in autunno sia in primavera facendo più di 2000 Km. Predatori. Vengono predati da qualsiasi mammifero o uccello rapace con abitudini crepuscolari o notturne, o, se sorpresi durante il dì, da qualsiasi predatore aviano, mammifero o rettile sia in grado di attaccarli. Alcune specie pescatrici temono anche pesci e anfibi predatori. Nel caso dei Microchirotteri esistono anche alcuni artropodi in grado di rappresentare una minaccia per essi. Uccelli Uccelli Possono avere piedi palmati o prensili. Le feci sono speciespecifiche. Sono molto utili per isolare virus senza dover catturare l’animale. Tra le numerose tracce lasciate dagli uccelli ne esiste in particolare una peculiare: le borre. Gli uccelli, essendo privi di denti e quindi incapaci di masticare, devono ingoiare interi i loro pasti e il rigurgito delle parti indigeribili (ossa, peli, piume e penne, conchiglie, esoscheletri di insetti, lische di pesce, scaglie di rettili, frammenti vegetali ed altro ancora, a seconda della dieta) costituisce una buona soluzione al problema della loro eliminazione. E questa via viene sfruttata non solo dai rapaci, forse i più noti sotto questo aspetto, ma anche da aironi, cicogne, cormorani, gabbiani, sterne, limicoli, cuculi, gruccioni, martin pescatori, corvi, averle e anche piccoli passeriformi. La massa di sostanze indigeste viene compattata dai movimenti dello stomaco muscolare, per venire poi espulsa per via orale, sotto forma di una masserella appallottolata o cilindriforme denominata, appunto, borra. Avendo la possibilità e la pazienza di raccogliere le borre si può conoscere con precisione l’alimentazione dell’uccello e, se in alcuni casi è opportuno integrare i dati così ricavati con analisi delle feci, osservazioni dirette di caccia o raccolta di spiumate ed altri residui di predazione, in uccelli come i rapaci notturni lo studio dei contenuti delle borre soddisfa pienamente lo scopo e non solo.La constatazione dell’abbondanza di resti di micromammiferi nelle borre degli strigiformi che ha suggerito come una loro analisi scientifica potesse essere utile non solo allo studio dell’alimentazione dei rapaci notturni, ma anche e soprattutto a stimare quali e quanti micromammiferi frequentano il territorio di caccia e, quindi, realizzare un vero e proprio censimento faunistico. E non solo; i resti di micromammiferi sono utili anche per studi morfologici, biometrici ed analisi del DNA. Il primo indizio deve venire dall’aspetto e dalle dimensioni. Nel Barbagianni le borre sono da ellittiche a cilindriche, coperte da un velo di un muco nero quando sono appena emesse (dimensioni medie: 50 x 27 x 22 mm). L’Assiolo Otus scops produce, come ci si può aspettare, borre molto piccole e sfaldabili (20-35 x 10-12 mm) e piccole sono anche quelle della Civetta Athene noctua, delle quali generalmente almeno un’estremità è appuntita (20-40 x 10-20 mm). Al contrario, quelle del Gufo reale Bubo bubo hanno dimensioni di tutto rispetto (2-6 x 13-18 cm). Nel caso dell’Allocco Strix aluco, si presentano solitamente grigiastre e di aspetto "terroso" (30-70 x 18-30 mm), mentre quelle del Gufo comune Asio otus, anch’esse grigiastre, hanno aspetto più "attorcigliato" (20-70 x 14-27 mm). Svassi Consistono di ossa di pesce e resti di insetti. Contengono grandi quantità di penne. Avvoltoi, rapaci diurni e aquile Forma e dimensione dei rigetti variano notevolmente con la specie. Coesive, dense, contenenti principalmente peli e penne, con soltanto piccoli frammenti di ossa. Falchi veri Simili, per molti aspetti, a quelle degli altri rapaci diurni. Coesive, dense, costituite da minuscoli frammenti di ossa, matrice di pelo e penne, squame di lucertola; sono presenti resti di artropodi e lombrichi. Lodolaio Sebbene sia un falco vero, le borre tendono ad essere lasse, leggere, arrotondate e non coesive, costituite quasi interamente da rigetti di insetti. Aironi Coesive, dense e contenenti principalmente pelo con poche ossa o altri resti di pesci. Gabbiani In genere non compatte, consistono di vari vegetali, invertebrati, vertebrati e resti inorganici. Limicoli Piccole, di forma varia ma in genere non molto coesive. Consistono di resti di invertebrati e, in ambiente costiero, una matrice e la parte dura di invertebrati marini. In alcune specie presentano un rivestimento di muco. Cuculo Piccole e compatte. In certi periodi dell’anno l’elemento principale del cibo sono i bruchi pelosi e i peli vengono rigurgitati come borre assieme con altre parti dure di invertebrati. Martin pescatore Accumuli mal formati di ossa di pesci, scaglie e muco, spesso grandi in proporzione alle dimensioni dell’uccello. Spesso si rinvengono disgregate. Averle Piccole, assai dense, allungate e coesive. Contengono piccoli frammenti di vertebrati e invertebrati. Corvidi Coesive o fragili e con un’ampia varietà di piccoli frammenti consistenti in resti di piccoli mammiferi, uccelli, invertebrati, gusci d’uovo, vermi e vari tipi di materiali vegetali; frequenti i sassi. Piccoli passeriformi onnivori (es. Pettirosso e Fringuello). Piccole borre irregolari che contengono insetti e resti vegetali. Assai difficili da identificare e a volte confondibili con gli escrementi. Anche le piume indicano la presenza degli uccelli. Di solito mutano in luglioagosto. Le predazioni: ci sono modi specifici per ogni specie per predare. Dalle carcasse posso ottenere molte informazioni. Es: la lince torna 3-4 volte alla stessa carcassa; “punti di spennatura” dei rapaci: dove la femmina spella la preda che gli ha portato il maschio. Le carcasse: crani e ossa lunghe durano molto, anche un paio di anni. Inoltre si possono seguire tracce di sangue di animali feriti su neve, erba o arbusti. Nidi e nidiacei (uccelli ancora non usciti dal nido, o senza piume): Il barbagianni fa 10 uova ma le cova una alla volta per cui i piccoli hanno età diverse -> se c’è un periodo di magra il più piccolo diventa il cibo per il più grande (è una k).